Commento alla Legge 15/2005 del Prof. Tarantini

L. 11 FEBBRAIO 2005, N. 15 “MODIFICHE ED INTEGRAZIONI ALLA
LEGGE 7 AGOSTO 1990, N. 241, CONCERNENTI NORME GENERALI
SULL’AZIONE AMMINISTRATIVA”
Giovanni Tarantini
(Professore Associato di Diritto Pubblico, Università degli Studi di Perugia)
21 aprile 2005
1. I principi (artt. 1 - 3/bis).
Ai criteri di economicità, di efficacia e di pubblicità che in via generale devono informare
l’attività amministrativa viene aggiunto quello della trasparenza, prima richiamato dall’art. 22
in materia di accesso, ora completamente riscritto. Il principio di trasparenza ridefinisce il
rapporto tra amministratori ed amministrati e si concretizza nel diritto riconosciuto ai cittadini
di esercitare un controllo sullo svolgimento dell’attività amministrativa al fine di verificarne e
assicurarne la conformità agli interessi sociali ed ai precetti costituzionali1. Il diritto di
accesso non è però il solo mezzo che garantisce la trasparenza dell’azione amministrativa,
anzi non sarebbe di per sé sufficiente ad assicurare la pienezza del controllo democratico cui è
diretto, se non vi fossero altri strumenti quali la partecipazione dei soggetti privati al
procedimento, cui è dedicato il capo III della novellata 241, e l’obbligo della motivazione in
capo all’amministrazione, già solennemente sancito dall’art. 3. Correttamente dunque il
criterio della trasparenza si propone come norma generale sull’azione amministrativa2 e non
solo della disciplina dell’accesso, anche se, come è stato notato, esso era già pacificamente
1
F. CARINGELLA, Diritto amministrativo, I, 753, Napoli, 2003.
F. FRANCARIO, Dalla legge sul procedimento amministrativo alla legge sul provvedimento amministrativo
(Sulle modifiche e integrazioni recate dalla legge 15/2005 alla legge 241/1990), in Speciale sulla riforma della
legge 241/90- www.giustamm.it, il quale sottolinea che, come già fu evidenziato all’indomani della entrata in
vigore della L. n. 241/1990, neppure con le modifiche ed integrazioni apportate dalla l. n. 15/2005 ci troviamo
in presenza di una disciplina generale dell’azione amministrativa, ma solo di norme generali sull’azione
amministrativa.
2
federalismi.it numero 8/2005
ritenuto sussistente nel nostro sistema, proprio a seguito della entrata in vigore della l.
241/90.3
Altro principio che viene introdotto all’art. 1 è quello secondo cui l’amministrazione
“nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato”.
Ad una prima lettura sembrerebbe trattarsi di una disposizione fortemente innovativa, perché
da un lato recepisce a livello normativo generale la distinzione tra atti a contenuto autoritativo
e a contenuto non autoritativo e dall’altro sottopone l’azione amministrativa alle regole del
diritto privato ogni qual volta essa non agisce nell’esercizio di potestà pubbliche. In effetti a
ben guardare, salvo che sia la legge a disciplinare in via speciale ipotesi del secondo tipo, non
pare che la disposizione abbia un concreto e sostanziale contenuto innovatore, visto che già
oggi ai rapporti tra amministrazione ed amministrati in cui la prima non agisce in via
autoritativa sono applicate le norme di diritto privato. E’ la stessa Corte costituzionale che, sia
pure con riferimento al riparto di giurisdizione tra Giudice amministrativo e Giudice
ordinario, ha distinto tra esercizio del potere autoritativo e adozione degli strumenti negoziali
da parte della amministrazione4. La disposizione, pur essendo espressione di una inversione
di tendenza nei confronti di una impostazione tradizionale, che vede le amministrazioni
pubbliche come soggetti la cui attività è regolata dal diritto pubblico, a nostro avviso ha
tuttavia più natura enfatica, che portata reale. E ciò per un duplice ordine di considerazioni.
Anzitutto è una regola posta da una legge ordinaria, come tale derogabile o superabile da una
fonte normativa di pari grado; inoltre è un principio di carattere residuale, diretto a valere solo
nei casi in cui non esistano discipline di settore, o, più correttamente, quando
l'amministrazione ponga in essere con i terzi rapporti non disciplinati dal diritto pubblico.
Anche i "soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative" sono tenuti al
rispetto dei principi stabiliti dall'art. 1 della l. 241/90. E' questo l'ulteriore principio fissato dal
comma 1/ter, introdotto dalla l. 15/2005, che pone non pochi problemi interpretativi. La
disposizione è solo apparentemente chiara. Se da un lato non può che riferirsi a quelle attività
che hanno rilievo pubblicistico, dall'altro non fornisce alcun criterio con riferimento alle
ipotesi, sempre più frequenti, in cui è difficile distinguere tra attività di carattere
3
V. CERULLI IRELLI., Osservazioni generali sulla legge di modifica della l. n. 241/90 - I parte, in Speciale sulla
riforma della legge 241, www.giustamm.it .
4
Cfr. sentenza della Corte costituzionale 6 luglio 2004, n. 204, in Foro amm., 2004, fasc. 7-8, 1895 ss..
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2
imprenditoriale ed attività che siano espressione dell'esercizio di potere pubblicistico5. Il
principio va letto come limite ai processi di privatizzazione, nel senso che l'attribuzione a
privati dello svolgimento di servizi, compiti ed attività di interesse pubblico, non può non
comportare il loro assoggettamento alle regole dell'azione amministrativa6.
L’art. 1 introduce, al primo comma, ultima parte, il richiamo al rispetto dei “principi
dell’ordinamento comunitario”, presa d’atto assolutamente doverosa che rinvia ad una fonte
del diritto comunitario, la quale trae origine dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia,
ancorché taluni di essi (si pensi ad es. il principio di proporzionalità) siano stati recepiti da
disposizioni comunitarie di rango primario7. Tali principi debbono sicuramente essere tenuti
in considerazione nell’applicazione ed interpretazione del diritto comunitario, anche se non ne
può derivare immediatamente la diretta operatività. Il richiamo da parte della nuova
disposizione, che opera una sorta di rinvio recettizio, sembra però consentirne proprio
l’immediata applicazione, ma pone comunque l’interprete di fronte al problema della loro
individuazione e della definizione del relativo contenuto. In proposito si può ritenere che,
qualora si tratti di principi i quali, nell’interpretazione ed elaborazione della Corte di
Giustizia, siano in grado di assicurare un minor livello di tutela della persona con riferimento
a diritti e valori di rango costituzionale, l’ordinamento interno non deve ritrarsi a vantaggio di
quello comunitario in quanto meno garantista8.
Sempre nell’ambito dei principi e con riferimento alle disposizioni dettate in tema di
conclusione del procedimento (provvedimento espresso, fissazione di un termine,
pubblicazione delle determinazioni relative), viene introdotta una norma estremamente
opportuna che mette fine ad un contrasto giurisprudenziale tra coloro che sostenevano che
5
F. SATTA, La riforma della legge 241/90: dubbi e perplessità, in Speciale sulla riforma della legge 241/90,
www.giustamm.it, osserva che la norma pone di fronte alla difficoltà di stabilire chi sono i soggetti privati
preposti all’esercizio di attività amministrativa, rispetto alla quale una maggior precisione da parte del legislatore
sarebbe stata auspicabile. Sorge infatti il problema di capire se tali soggetti sono "persone fisiche, pubblici
ufficiali e incaricati di pubblico servizio, o sono organismi in capo ai quali si può scegliere un profilo di
esercizio di attività amministrativa, quali ad es., gli organismi di diritto pubblico ed i concessionari?”; A.
LOPEZ., Trasparenza amministrativa anche per concessionari e Spa, in Edilizia e territorio, n. 8/2005, 15,
propone di rifarsi ai principi fissati in materia di responsabilità amministrativa dalla giurisdizione della Corte dei
Conti (sent. 19967/2003) e dalla Cassazione (sent. n. 3989/2004), che fanno riferimento ai soggetti privati che si
trovino con l’amministrazione pubblica in una relazione funzionale, caratterizzata dal loro inserimento nell'iter
del procedimento in qualità di compartecipi all'attività dalla stessa posta in essere per la realizzazione di quei fini
pubblici cui la medesima è preposta.
6
V. CERULLI IRELLI, op.cit.
7
Cfr. l’art. 5 TCE; vedi per tutte la sentenza della Corte di Giustizia del 19 novembre 1998, C-150/94, nella
causa Regno Unito c. Consiglio, in Raccolta, 1998, I, 7235 ss.
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3
per impugnare il silenzio inadempimento occorreva la notifica della diffida ad adempiere con
termine non inferiore a trenta giorni, trascorso il quale poteva essere proposto ricorso
giurisdizionale9, e la diversa tesi in base alla quale la previa intimazione non era ritenuta
condizione di proponibilità del gravame10. La nuova previsione (art. 2) stabilisce che il ricorso
avverso il silenzio “può essere proposto anche senza necessità di diffida all’amministrazione
inadempiente fin tanto che perdura l’inadempimento e comunque non oltre un anno dalla
scadenza dei termini” previsti per la conclusione del procedimento. Nel sancire la non
obbligatorietà della diffida ai fini della proposizione del ricorso giurisdizionale, la formazione
del silenzio rifiuto assume rilievo, prima ancora che sotto il profilo della tutela giurisdizionale
del cittadino, come modalità di svolgimento del potere della pubblica amministrazione11.
2. Partecipazione al procedimento amministrativo.
2.1. La comunicazione dei motivi ostativi.
Abbiamo sopra ricordato che la partecipazione dei privati al procedimento amministrativo
costituisce uno degli strumenti in cui si concretizza il principio della trasparenza della attività
amministrativa, accanto a quelli della economicità e dell’efficacia. La legge, dopo aver
disposto l’integrazione del contenuto della comunicazione con cui si dà notizia dell’avvio del
procedimento amministrativo, richiedendo che la stessa indichi il termine di conclusione, la
data di presentazione dell’istanza nel caso di procedimenti ad iniziativa di parte ed i rimedi
esperibili in caso di inerzia dell’amministrazione, introduce con l’art. 10-bis un nuovo istituto
di partecipazione nei procedimenti ad istanza di parte. La previsione comporta più fasi. Il
responsabile del procedimento o l’autorità competente, qualora intenda assumere un
provvedimento negativo a fronte dell’istanza ricevuta, ne comunica in via preventiva i motivi
alla parte interessata che, entro i dieci giorni successivi dal ricevimento della comunicazione,
può presentare le proprie osservazioni corredate anche da documenti. Il responsabile del
procedimento o l’autorità competente, qualora intendano confermare il non accoglimento
dell’istanza, devono integrare la precedente motivazione tenendo conto delle osservazioni
ricevute. La comunicazione interrompe i termini di conclusione del procedimento. La
disposizione suscita qualche perplessità in quanto, se da un lato rappresenta senz’altro
8
Trattasi di una questione delicata che si inserisce nella più ampia problematica del rapporto tra la Costituzione
europea e le costituzioni nazionali.
9
Cfr. C.S., Sez. IV, n. 5316/2004, in Foro amm., 2004, fasc. 7-8, 2141.
10
Cfr. Tar Campania, sez. Salerno, I, n. 247/2001, in Trib. amm. reg., 2001, 1912.
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4
un’ulteriore affermazione del principio di legalità dell’azione amministrativa, può rischiare
di appesantirne lo svolgimento.
Il nuovo istituto di partecipazione non si applica alle “procedure concorsuali e ai
procedimenti in materia previdenziale ed assistenziale sorti a seguito di istanza di parte”. La
ratio di tale previsione, come si legge nella relazione che accompagna la legge, è riferibile al
grande numero di domande che normalmente caratterizzano le procedure in questione e
quindi ai problemi che ne conseguirebbero in termini di snellezza e di funzionalità dell’azione
amministrativa, ma in effetti, come è stato notato, tale previsione appare superflua visto che si
tratta di procedure e procedimenti di natura vincolata12.
2.2. Gli accordi sostitutivi
La modifica dell’art. 11 che emerge con evidenza consiste nell’abrogazione, al c.1, dell’inciso
“nei casi previsti dalla legge”. Viene in altri termini consentita la conclusione di accordi
sostitutivi del provvedimento non solo nelle ipotesi tassativamente previste dal legislatore, ma
ogni qual volta l’amministrazione ne ravvisi l’opportunità, equiparando, da tale punto di vista,
gli accordi sostitutivi a quelli procedimentali, mediante i quali viene determinato il contenuto
del provvedimento finale. La l. n. 15 ha inteso in tal modo favorire la diffusione, fino ad oggi
piuttosto modesta, di tali forme di amministrazione “consensuale”. Ma l’ampliamento dello
spazio operativo degli accordi sostituivi dovrebbe nei fatti risultare più esiguo di quanto la
prima impressione potrebbe lasciare supporre. Se la novella apre in astratto la strada alla
possibilità che qualsiasi procedimento si concluda con un accordo piuttosto che con un
provvedimento autoritativo, ferma restando l’esclusione (che permane) dei procedimenti di
cui all’art. 1313, è tuttavia la stessa struttura negoziale dell’accordo che in determinate ipotesi
sembra costituire un ostacolo al suo utilizzo. La via convenzionale può in concreto risultare
percorribile nel caso di procedimenti nei quali gli interessi in gioco siano sostanzialmente
due: quello pubblico perseguito dall’amministrazione e quello del privato, potenziale
destinatario del provvedimento. E’ stato giustamente rilevato che nelle ipotesi “complesse”,
in cui gli interessi pubblici e privati coinvolti sono plurimi, il modello dell’accordo sostituivo
11
M. OCCHIENA, Riforma della l. 241/1990 e “nuovo” silenzio-rifiuto: del diritto v’è certezza, in Speciale sulla
riforma della legge 241/90, www.giustamm.it .
12
In tal senso V. CERULLI IRELLI , op. cit., parte II.
13
L’art. 13 esclude l’applicazione delle norme sulla partecipazione dettate dal capo III della l. n. 241/1990 ai
procedimenti tributari nonché a quelli relativi all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di
pianificazione, di programmazione, “per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la
formazione”.
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5
ben difficilmente riuscirà a trovare una rilevante applicazione, risultando, in tali casi, assai
complicata la composizione delle diverse istanze. D’altro canto, la stessa prospettiva di una
funzione deflattiva del contenzioso appare alquanto ottimistica14. È ipotizzabile infatti che le
controversie giudiziali vengano alimentate dai controinteressati che non abbiano partecipato
alla formazione dell’accordo e che se ne ritengano danneggiati15.
Anche l’inserimento del comma 4 bis, il quale prevede che la stipulazione degli accordi
sostituivi sia preceduta da una “determinazione dell’organo che sarebbe competente per
l’adozione del provvedimento”, non sembra che possa facilitare la diffusione dello strumento
convenzionale. Si tratterà di verificare se la previa “determinazione” serva semplicemente a
valutare l’opportunità di percorrere la soluzione pattizia, o possa invece costituire una “bozza”
di provvedimento cui il privato è chiamato a prestare acquiescenza, dando luogo ad una specie
di atto amministrativo “consentito”.
Conclusivamente, ci sembra che l’accordo sostitutivo potrà in determinate ipotesi rivelarsi
uno strumento utile a porre in essere un’amministrazione “convenzionale”, che garantisca
partecipazione, trasparenza ed efficienza, ma appare difficile che possa trovare un utilizzo
generalizzato, poiché non sembra configurabile una sostanziale fungibilità tra una congrua ed
adeguata ponderazione degli interessi pubblici e privati in gioco ed una regolazione negoziale
degli stessi.
3. Accesso ai documenti amministrativi (artt. 22 – 28)
3.1. I principi
La disciplina dell’accesso viene quasi integralmente riscritta avuto soprattutto riguardo ai
principi che stanno alla base del relativo diritto, ai documenti che ne sono esclusi ed alle
modalità del relativo esercizio. L’accesso ai documenti amministrativi “costituisce principio
generale dell’attività amministrativa” ed il suo fine specifico è quello “di favorire la
partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza” (art. 22, c. 2). Quantunque
14
Cfr. V. CERULLI IRELLI, op.cit., parte II, sostiene che lo strumento dell’accordo “una volta generalizzato,
ridurrà di gran lunga il contenzioso amministrativo, dando luogo a rapporti fondati su atti condivisi, dotati di
stabilità”.
15
Cfr. G. TULUMELLO, Il nuovo regime di atipicità degli accordi sostituivi: forma di Stato e limiti
all’amministrazione per accordi, in Speciale sulla riforma della legge 241/90, in www.giustamm.it.
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6
esso non compaia tra le materie di cui all’art. 117, c. 2, Cost., lo Stato assume la competenza a
dettarne una disciplina valevole per tutte le regioni, riconducendolo a quella di cui alla lett.
m), stesso articolo, consistente nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale.
Le regioni e gli enti locali non potranno quindi che ampliarne la tutela, nell’ambito delle
proprie competenze. La scelta operata dal legislatore appare corretta ed in un certo senso
obbligata, perché il richiamo all’art. 117, c. 2, lett. m), Cost. era l’unico modo per evitare che
la l.n. 241 finisse per avere una sorta di efficacia limitata all’azione amministrativa dello Stato
e degli enti e delle amministrazioni pubbliche operanti a livello nazionale. Né, d’altro canto,
avrebbe potuto essere sufficiente il solo richiamo ai principi di uguaglianza e imparzialità e di
buon andamento dell’amministrazione di cui agli artt. 3 e 97 Cost., ancorché è a tale nucleo
essenziale che fanno capo, per derivazione e attualizzazione, i principi della trasparenza, della
efficienza e della efficacia. Appare forse riduttivo che la qualifica di principio generale, ai
sensi e per gli effetti di cui all’art. 117, c. 2, lett. m), sia limitata solo al diritto di accesso, ma
la previsione va letta in stretta connessione con l’art. 29, comma 2, nel nuovo testo introdotto
dalla l. n. 15, ove si stabilisce che “Le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle rispettive
competenze, regolano le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto del sistema
costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell’azione amministrativa, così
come definite dai principi stabiliti dalla presente legge.”. E’ evidente che anche questo
richiamo ai principi assume il valore di vincolo per le regioni solo se collegato alla natura
trasversale della disciplina dettata dalla legge n. 241 in quanto diretta a garantire i diritti civili
nei confronti della pubblica amministrazione, senza che si possa distinguere tra livello statale
o regionale dell’azione amministrativa. E non pare dubbio che i principi e gli istituti della l. n.
241, così come novellata dalla l. n. 15, siano essenzialmente finalizzati a consentire al
cittadino in termini di trasparenza, legalità, non discriminazione e partecipazione, una tutela
ampia e responsabile. Sotto questo profilo, anche le materie assegnate alla c.d. competenza
esclusiva, rectius residuale, delle regioni non possono sfuggire al rispetto di tali principi16.
La legge si preoccupa di delimitare in modo preciso i titolari e i destinatari del diritto di
accesso, l’oggetto e i controinteressati, tenendo ampio conto degli orientamenti
giurisprudenziali in materia. Così tra i soggetti privati sono ricompresi anche “quelli portatori
16
Su tale problematica vedi C.E.GALLO, La riforma della legge sull’azione amministrativa ed il nuovo titolo V
della nuova costituzione, in Speciale sulla riforma della legge 241/90, in www.giustamm.it.
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7
di interessi pubblici o diffusi”17; l’interesse che sta alla base dell’accesso deve essere “diretto,
concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al
documento al quale è chiesto l’accesso”18. Si conferma l’esclusione dei meri interessi di
fatto19.
La nozione dei destinatari, da un lato risulta opportunamente ampliata nella definizione che
viene data di “pubblica amministrazione”, come ricomprendente “tutti i soggetti di diritto
pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse
disciplinata dal diritto nazionale e comunitario” (art. 22, c. 1, lett. e); dall’altro si ripropone
l’elenco dell’art. 23, che parla di amministrazioni, di aziende autonome e speciali, di enti
pubblici e dei gestori di pubblici servizi. Non sembrano sufficientemente
risolte le
problematiche emerse in giurisprudenza (ad es., organismi di diritto pubblico, società a
partecipazione pubblica)20.
L’oggetto è sicuramente meglio identificato con una nozione ampia di “documento
amministrativo”,
che
ricomprende
sia
le
rappresentazioni
grafiche,
che
quelle
fotocinematografiche, elettromagnetiche o di qualunque altra specie, concernenti anche atti
interni o non relativi ad uno specifico procedimento. Inoltre viene specificato che i documenti
detenuti da una pubblica amministrazione devono
concernere un’attività di pubblico
interesse, “indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina
sostanziale”. L’accesso non è quindi consentito quando determinati dati e informazioni non
sono contenuti in un documento amministrativo, fatto comunque salvo quanto disposto dal
d.lgs. n. 196/2003 ("Codice sulla privacy"), quando cioè si tratti di dati personali non
rappresentati in un documento amministrativo, ma detenuti da una P.A. in altre forme o con
altre modalità. In tali casi va consentito l’accesso alla persona alla quale i dati si riferiscono.
3.2. Limiti al diritto di accesso.
La legge ridefinisce in modo più organico e completo i c.d. limiti tassativi al diritto di
accesso. Essi sono in parte direttamente enucleati e fissati dalla norma, mentre per altri casi si
17
Cfr. C.S., Sez. IV, n. 5291/2001, in Foro amm., 2001, 2712.
Cfr. C.S., Sez. IV, n. 6435/2002, in Foro amm., 2002, 2845.
19
Cfr. C.S., Sez. IV, n. 569/2003, in Foro amm., 2003, 512.
20
Anche se la giurisprudenza si è già pronunciata per il diritto di accesso non solo nei confronti degli
organismi di diritto pubblico, ma dei gestori dei servizi pubblici largamente intesi: cfr. C.S., Sez. VI, n.
4771/2002, in Giorn. dir. amm., 2002, 1216; C.S., Sez. IV, n. 1821/2000, in Foro amm., 2000, 859; C.S., Ad.
plen., n. 4/1999, in Foro amm., 1999, 76.
18
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8
fa rinvio alla concreta individuazione da parte di normazione secondaria, indicandosi le
categorie di documenti dei quali il Governo può disciplinare la sottrazione all’accesso
mediante regolamento delegato.
L’esclusione diretta è disciplinata dall’art. 24, c. 1, 2 e 3, ove, accanto alle ipotesi dei
documenti coperti dal segreto di stato o comunque coperti da segreto o da divieto di
divulgazione previsto dalla legge o dal regolamento delegato, ovvero sottratti all’accesso dalle
pubbliche amministrazioni nell’ambito dei documenti dalle stesse prodotti o comunque
rientranti nella loro disponibilità, abbiamo quelle già contemplate dall’art. 13 (relative a
procedimenti tributari, diretti alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di
pianificazione e programmazione, per i quali si fa comunque rinvio alle particolari norme che
ne regolano la formazione21), i
“documenti amministrativi contenenti informazioni di
carattere psico-attitudinale relativi a terzi nei procedimenti a carattere selettivo” e i
documenti oggetto di istanze “preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle
pubbliche amministrazioni”.
Diversa è l’impostazione che viene data al divieto concernente altre categorie di documenti
amministrativi, specificamente elencate al comma 6 dello stesso articolo, le quali
corrispondono sostanzialmente a quelle di cui al comma 2 del precedente testo dell’art. 24, ma
vengono opportunamente precisate e specificate. L’elemento che però viene in rilievo è la
diversa impostazione che è data all’intervento del Governo, nell’esercizio della potestà
regolamentare autorizzata ai sensi dell’art. 17, c 2, l.n. 400/1988. Il Governo non è più tenuto
ad esercitare il potere normativo in questione, ma “può prevedere casi di sottrazione
all’accesso di documenti amministrativi”22. A parte la non conformità della delega a quanto
21
Cfr. V.CERULLI IRELLI., op. cit., parte VI, esprime una condivisibile riserva sul punto in quanto gli atti in
questione “sembrerebbero più degli altri recanti esigenze di pubblicità, anche se probabilmente meno
direttamente incidenti su situazioni individuali.”.
22
Le ipotesi sono quelle: a) di una lesione che possa derivare dalla loro divulgazione “specifica ed individuata,
alla sicurezza nazionale, all’esercizio della sovranità nazionale ed alla continuità e alla correttezza delle
relazioni internazionali, con particolare riferimento alle ipotesi previste dai trattati ed alle relative leggi di
attuazione”; b) del pregiudizio che l’accesso possa arrecare “ai processi di formazione di determinazione e di
attuazione della politica monetaria e valutaria”; c) di documenti che “riguardino le strutture, i mezzi, le
dotazioni, il personale e le azioni strettamente strumentali alla tutela dell'ordine pubblico, alla prevenzione e
alla repressione della criminalità con particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle fonti
di informazione e alla sicurezza dei beni e delle persone coinvolte, all'attività di polizia giudiziaria e di
conduzione delle indagini”; d) di documenti che “riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche,
persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare,
sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i
relativi dati siano forniti all'amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono”; e) di documenti che
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9
prescritto dall’art. 17, c. 2 cit., appare comunque incongruo lasciare all’apprezzamento
discrezionale del Governo l’ambito del divieto o della sottrazione, la cui estensione può
diventare in tal modo non ancorata a criteri di certezza, soprattutto quando si inserisce una
previsione come quella di cui alla lett. d) dell’art. 24 che riserva al regolamento delegato
anche i documenti che ”riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone
giuridiche, gruppi, imprese e associazioni…”. La disposizione va coordinata con quanto
previsto dagli artt. 59 e 60 del d.lgs. n. 196/200323 e ci sembra che si sia persa un’utile
occasione di formulare criteri idonei a risolvere il delicato problema, più volte affrontato dalla
giurisprudenza, sul rapporto tra accesso e riservatezza e sulla prevalenza dell’uno sull’altra. Il
divieto e la sottrazione all’accesso sono in ogni caso temperati da due previsioni sicuramente
importanti: “l’accesso… non può essere negato ove sia sufficiente fare ricorso al potere di
differimento” (c. 4); “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti
amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi
giuridici” (c. 7)24.
La legge n. 15/2005, come già detto, qualifica il diritto di accesso come correlato ad un
interesse diretto, concreto ed attuale, il quale deve non solo corrispondere ad una situazione
giuridicamente tutelata, ma essere collegato al documento per cui è richiesto l'accesso. Viene
rafforzata in tal modo la regola per cui la richiesta di accesso ai documenti deve essere
motivata (art. 25, c. 2). Ciò offre lo spunto a qualche considerazione in ordine alla coerenza
complessiva del dettato normativo, con riferimento all’applicazione dei principi di cui all’art.
1, ed in particolare al rinvio ai cd. “principi generali dell’ordinamento comunitario”. Giova
rilevare come l’art. 6 del regolamento CE del Parlamento europeo e del Consiglio n.
1049/2001 del 30 maggio 200125, relativo all’accesso del pubblico ai documenti del
Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione, dispone che “il richiedente non è
tenuto a motivare la domanda”. Pur trattandosi di una disposizione di rango secondario e non
di un “principio generale”, la scelta del legislatore italiano va in direzione diversa da quella
“riguardino l'attività in corso di contrattazione collettiva nazionale di lavoro e gli atti interni connessi
all'espletamento del relativo mandato”.
23
Trattasi delle norme contenute nel codice della privacy, le quali da un lato stabiliscono che “quando il
trattamento concerne dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale, il trattamento è consentito se la
situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti
amministrativi è di rango almeno pari ai diritti dell'interessato, ovvero consiste in un diritto della personalità o
in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile” (art. 60), dall’altro fanno espresso rinvio alla l.n. 241/90
per quanto non previsto.
24
Cfr. C.S., Sez. V, n. 5034/2003, in Foro it., 2004, III, 510; C.S., Sez. V, n. 802/98, in Gazz. giur., 1998, fasc.
30, 60.
25
In G.U. L 145 del 31 maggio 2001, 43 ss.
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10
dell’ordinamento comunitario, che l’art. 1 della legge n. 15 mostra invece di tenere in somma
considerazione. Va tuttavia ricordato come la Corte costituzionale, pronunciandosi sulla
legittimità di una disposizione dello Statuto della Toscana, ha affermato che “La disposizione
che stabilisce il diritto di accesso, senza obbligo di motivazione, ai documenti amministrativi
si conforma al principio costituzionale di imparzialità e di trasparenza dell’azione
amministrativa ed è altresì del tutto coerente con l’evoluzione del diritto comunitario”. Nel
contempo ha precisato che, contenendo la disposizione presa in esame anche un riferimento
esplicito al rispetto degli interessi costituzionalmente tutelati ed a modi di disciplina previsti
dalla legge, la futura legge di attuazione dei principi statutari “dovrà farsi carico di
prefigurare un procedimento che… preveda, oltre ad ipotesi di esclusione dell’ostensibilità di
documenti amministrativi per ragioni di tutela di situazioni costituzionalmente garantite,
anche criteri e modi in base ai quali l’interesse personale e concreto del richiedente si
contempera con l’interesse pubblico al buon andamento dell’Amministrazione, nonché con
l’esigenza di non vanificare in concreto la tutela giurisdizionale delle posizioni di eventuali
soggetti terzi interessati”26.
3.3. Procedimento e tutela (art. 25).
Permane la doppia tutela nei confronti del denegato accesso espresso o tacito (silenzio
rifiuto) o del suo differimento, davanti al Tar o al difensore civico competente per territorio,
ovvero alla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi nel caso di atti delle
amministrazioni centrali e periferiche dello Stato (entro gg. 30).
Il difensore e la
Commissione devono pronunciarsi entro i successivi trenta giorni dalla richiesta; in difetto si
forma il silenzio rigetto. Qualora respingano il ricorso, l’interessato può adire il Tar entro
trenta giorni dalla comunicazione. In caso di accoglimento dell’istanza, l’Amministrazione
deve conformarsi, entro trenta giorni dalla comunicazione, trascorsi inutilmente i quali si
forma il silenzio assenso. Se l’amministrazione non si conforma espressamente alla pronuncia
del difensore o della Commissione, l’interessato può rivolgersi al Tar nel termine di giorni
trenta dalla comunicazione della determinazione.
Una variante allo schema procedimentale sopra riferito si ha in caso di rifiuto o differimento
dell’accesso per motivi inerenti a dati personali di terzi. Il diritto di accesso va coordinato con
il diritto alla privacy ed opportunamente il c. 4 dell’art. 25 dispone che la Commissione debba
26
Cfr. la sentenza della Corte costituzionale 2 dicembre 2004, n. 372, in
http://www.giurcost.org/decisioni/2004/0376s-04.html.
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11
richiedere il previo parere del Garante (dieci giorni o silenzio assenso). Stranamente si fa solo
riferimento alla Commissione e non anche al difensore. Situazione inversa (richiesta parere da
parte del Garante, organo decidente, alla Commissione) si ha quando del procedimento
inerente alla tutela della riservatezza relativa a documenti amministrativi sia stato investito il
Garante.
Importante innovazione è quella relativa alla possibilità conferita: all’interessato di potersi
difendere senza patrocinio di un avvocato di fronte al Tar, in camera di consiglio, nei giudizi
in materia di accesso; all’Amministrazione di farsi rappresentare da un proprio dirigente
autorizzato (possibilità, questa, già peraltro operante nei primi due gradi del processo
tributario ed in talune ipotesi di quello civile). Sempre sul versante processuale il ricorso in
materia di accesso può essere proposto in pendenza di un altro giudizio “con istanza
presentata al Presidente... previa notifica alla amministrazione e ai controinteressati”, che
viene deciso “con ordinanza istruttoria adottata in camera di consiglio”.
4. Efficacia ed invalidità del provvedimento amministrativo (21/bis- 21/nonies).
4.1. Efficacia ed esecutorietà del provvedimento.
La legge distingue tra efficacia ed esecutività del provvedimento avuto riguardo vuoi alla
tutela della sfera giuridica dei privati cui il provvedimento è diretto, vuoi alla celerità ed
efficienza della azione amministrativa.
Con riferimento a questo ultimo aspetto viene innanzitutto affermato il principio del dovere in
capo all’amministrazione di dare esecuzione immediata ai provvedimenti efficaci, salvo che
sia diversamente stabilito dalla legge o sia lo stesso provvedimento a determinare il momento
o il termine entro il quale deve procedersi a darvi esecuzione; in secondo luogo si definiscono
i limiti, i termini e le modalità in presenza delle quali l’amministrazione può procedere alla
sospensione della efficacia: - dallo stesso organo che lo ha emanato, salvo diversa previsione
di legge; - per gravi ragioni; - per il tempo strettamente necessario e con indicazione nell’atto
del termine della sospensione; - il termine può essere differito o prorogato per una sola volta,
nonché ridotto per esigenze sopravvenute (art. 21/quater). L’efficacia non si risolve nella
esecutività, ma ne costituisce il presupposto.
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Viene codificata la regola del potere in capo all’amministrazione di autosospensione
dell’efficacia ovvero della esecuzione del provvedimento, che assume senz’altro una specifica
rilevanza in materia edilizia ove spesso esso è stato negato in materia di titoli abilitativi,
consentendosi solo la sospensione dei lavori27. Il potere di sospensione spetta
all’amministrazione in quanto connaturato, se non ricompreso, in quello di revoca e di
annullamento28.
Il legislatore ha fatto propri principi e regole affermate in giurisprudenza e in dottrina, anche
se, in presenza di una giurisprudenza settorializzata e non consolidata, la mancanza nella
norma della individuazione dei presupposti al ricorrere dei quali la sospensione può essere
disposta, lascia ampio margine all’amministrazione. Le “gravi ragioni” sono troppo generiche
e non sufficientemente garanti di un corretto esercizio del potere in questione da parte della
amministrazione29.
E’ con riguardo alla sfera giuridica del privato che si introduce una principio sicuramente
nuovo, quello cioè per cui nei confronti del destinatario del quale venga a ledere gli interessi,
il provvedimento diviene efficace solo con la comunicazione all’interessato, che può avvenire
anche ai sensi degli art. 140 c.p.c., nei casi ivi previsti. Altre forme di pubblicità “idonee… di
volta in volta stabilite dall’Amministrazione medesima” sono consentite nei casi in cui il
numero dei destinatari non permetta o renda particolarmente gravosa la comunicazione
personale (art. 21/bis). La disposizione lascia ampio margine di discrezionalità
all’amministrazione, non solo sulla valutazione del numero dei destinatari sufficiente a
giustificare una diversa forma di pubblicità, ma anche sulle modalità idonee della stessa.
Sarebbe stato sicuramente opportuno indicare un numero minimo di destinatari e modalità di
facile esecuzione, quali l’affissione ad albi, la pubblicazione su quotidiani e/o su siti
informatici, come ad esempio ha previsto il legislatore all’art. 11 del T.U. n. 327/2001 in
materia di espropriazione.
Alla regola dell'efficacia del provvedimento a seguito della
27
Vedi al riguardo C.S., Sez. V, 24.10.1980, n. 883, in Cons. Stato, 1980, I, 1365; Tar. Campania – Salerno,
24.5.1991, n. 145, in Foro amm., 1992, 636; Tar. Calabria – Reggio, 14.3.1986, n. 84, in Foro amm., 1986,
2299; Tar Marche, 18.10.1985, n. 335, in Foro amm., 1986, 1461; nonché le considerazioni di R. OLLARI, Per
tutelare l’interesse pubblico possibile annullare d’ufficio gare e permessi di costruire in Edilizia e territorio,
2005, n.8, 17-18.
28
Così, ad. es., Tar Lombardia, Sez. I., 20.12.1997, n. 229, in Foro amm., 1998, 113 ss.
29
Sul punto vedi le considerazioni fortemente critiche di N.PAOLANTONIO, Considerazioni su esecutorietà ed
esecutività del provvedimento amministrativo nella riforma della l. 241/90, in Speciale sulla riforma della legge
241/90 in www.giustamm.it.
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comunicazione sono previste due eccezioni. Quella del provvedimento non sanzionatorio, che
può contenere una clausola di immediata efficacia, e quella dei provvedimenti cautelari ed
urgenti (si pensi, ad es., a provvedimenti in materia di pubblica sicurezza, igiene e sanità).
Quanto alla esecutorietà, intesa quale potestà dell’amministrazione di dare esecuzione all’atto
amministrativo contro il volere dell’interessato ed a prescindere dall’interevento dell’Autorità
giudiziaria, si ribadisce la regola, ispirata ad una impostazione rigidamente legalistica,
secondo cui l’amministrazione può imporre coattivamente ai soggetti che vi sono tenuti,
l’adempimento degli obblighi nei suoi confronti, solo nei casi e con le modalità stabilite dalla
legge, indicando nel provvedimento il termine e le modalità di esecuzione dell’obbligo e
previa diffida.
4.2 Revoca del provvedimento.
Viene regolato l’istituto della revoca, recependosi anche in tal caso la tradizionale
impostazione della dottrina e della giurisprudenza che ne individuano il fondamento nel
potere di amministrazione attiva, quando l’interesse pubblico originariamente preso in esame
venga a mutare ed appaia necessario procedere ad una nuova valutazione. La revoca è
espressione del c.d. ius poenitendi, quando sia collegata a vizi di merito o sia necessario
attualizzare l’azione amministrativa per adeguarla alle modifiche nel frattempo intervenute
nella realtà fattuale, ovvero quando l’amministrazione si trovi di fronte ad un quadro di mutati
interessi pubblici. L’art. 21/quinquies riassume efficacemente i presupposti della revoca
(“mutamento della situazione di fatto” o “nuova valutazione dell’interesse pubblico
originario”), la "efficacia durevole" del provvedimento sottoponibile a revoca, l’efficacia "ex
nunc" della stessa e individua in modo certo l’organo cui è riconosciuto ("organo che lo ha
emanato" - c.d. autorevoca), salvo che sia la legge a indicare il soggetto investito del relativo
potere.
Sin qui la parte confermativa di principi e concetti oramai acquisiti30, anche se non viene
previsto il potere di revoca per i provvedimenti ad effetti istantanei che non abbiano
acquistato efficacia e nulla si dice in merito al limite dell’esercizio del potere di revoca
30
Sulla nozione e sulla evoluzione dell’istituto della revoca in dottrina e giurisprudenza si rinvia a B.G.
MATTARELLA, Il provedimento, in Trattato di Diritto amministrativo, a cura di S. CASSESE, Tomo I, Milano,
2003, 952 ss..
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soprattutto avuto riguardo ai provvedimenti costitutivi di diritti soggettivi31. Vi è poi l’aspetto
sicuramente innovativo dell’obbligo di indennizzo a carico dell’amministrazione in favore dei
soggetti direttamente interessati, nei confronti dei quali la revoca comporti dei pregiudizi in
danno, con deferimento delle relative controversie alla giurisdizione esclusiva del Giudice
amministrativo. Va subito rilevato che la legge parla di indennizzo e non di risarcimento del
danno; quindi la determinazione dell’importo che il Giudice sarà chiamato a liquidare a tale
titolo non potrà mai essere completamente satisfattiva, sia pure per equivalente, della lesione
degli interessi patrimoniali e non patrimoniali pregiudicati dalla revoca del provvedimento
originario. E’ comunque una innovazione molto importante, poiché fissa un principio che
dovrà trovare attuazione nella pratica giurisprudenziale e attraverso il quale si è voluto dare
alla revoca una connotazione più conforme al principio comunitario della legittima aspettativa
che, in linea generale, non consente la rimozione di provvedimenti che hanno costituito in
capo a terzi situazioni di vantaggio32.
4.3. Recesso.
Anche il recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione diviene un istituto di
carattere generale che, qualora non previsto direttamente dalla legge, deve essere contenuto in
una specifica clausola del contratto.
4.4. Invalidità del provvedimento.
La disciplina accoglie la distinzione tra nullità ed annullabilità del provvedimento viziato e la
tradizionale tripartizione dei vizi di legittimità (violazione di legge, incompetenza ed eccesso
di potere). Anche in tal caso si codificano avvisi giurisprudenziali e regole elaborate dalla
dottrina, quali, per la nullità (art. 21/septies), la carenza di un elemento essenziale, il difetto
assoluto di attribuzione dell’autorità che lo ha emanato (c.d. carenza di potere), la violazione o
l’elusione di giudicato, prevedendosi per quest'ultima ipotesi la giurisdizione esclusiva del
31
R. TASSONE, Prime osservazioni sulla legge di riforma della L. 241/90, in Speciale sulla riforma della legge
241/90, in www.giustamm.it
32
Come risulta dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, l'amministrazione può revocare con effetto
retroattivo un atto amministrativo favorevole viziato da illegittimità, a condizione che non venga violato né il
principio della certezza del diritto, né quello della tutela del legittimo affidamento; tale possibilità, riconosciuta
allorché il beneficiario dell'atto non ha contribuito alla illegittimità di quest'ultimo, sussiste a maggior ragione
nel caso in cui, come nella fattispecie, l'illegittimità sia stata provocata dal beneficiario stesso (c fr. in tal senso le
sentenze 12 luglio 1957, cause riunite 7/56 e da 3/57 a 7/57, Algera e a./Assemblea comune della CECA, in
Racc. 1957, 81 e 113; 3 marzo 1982, causa 14/81, Alpha Steel/Commissione, in Racc. 1982, 749, punti 10-12; 26
febbraio 1987, causa 15/85, Consorzio Cooperative d'Abruzzo/Commissione, in Racc. 1987, 1005, punti 12-17, e
17 aprile 1997, causa C-90/95 P, De Compte/Parlamento, in Racc. I, 1997, punto 35; vedi da ultimo, 24 gennaio
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giudice amministrativo33. Inoltre, sulla base della giurisprudenza del Consiglio di Stato, si
prevede che la nullità può essere stabilita dalla legge34.
La mancanza di un elemento essenziale è un’ipotesi poco riscontrabile nella giurisprudenza che la qualifica come “eccezionale”35 - ed è riconducibile ai soli casi di totale difetto degli
elementi destinati ex lege a costituire un provvedimento36. Il difetto assoluto di attribuzione, a
parte l’ipotesi poco probabile che il potere esercitato non sussista in quanto non assegnato
dalla legge ad una qualche autorità, viene principalmente in rilievo come incompetenza
assoluta, quando l’organo che emana il provvedimento agisce del tutto al di fuori delle proprie
attribuzioni o invade l’ambito di competenza di un altro potere; come carenza di potere
quando manca un presupposto necessario per l’esercizio del potere medesimo. La violazione
del giudicato presuppone un contrasto integrale tra il provvedimento ed il precedente
giudicato37. Le questioni inerenti la nullità sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del
Giudice Amministrativo solo in tale ipotesi. Ciò significa che in ogni altro caso in cui il
provvedimento sia affetto da nullità la giurisdizione continuerà ad essere del giudice ordinario
qualora comporti la lesione di situazioni giuridiche di diritto soggettivo38.
E’ sul versante dei vizi che portano all’annullabilità (art. 21/octies) che si riscontra una
decisiva innovazione circa la rilevanza di quelli formali e procedurali da un lato e di quelli
sostanziali dall’altro, ai fini della pronuncia di annullamento. La presenza di vizi formali o
procedurali non determina sempre l’annullamento del provvedimento, in particolare qualora,
per la natura vincolata dello stesso, “sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe
potuto essere diverso da quello in concreto adottato”. Anche nel caso di vizio connesso alla
mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, la non annullabilità del provvedimento,
ancorché non di natura vincolata, è ristretta al caso in cui "l’amministrazione dimostri in
2002, causa n. 500/99P, Soc. coop. conserve Italia/ Commisione, in Racc., 2002, I, 867). Sul principio di
legitimate expectation vedi V.CERULLI IRELLI.op. cit. I parte.
33
In dottrina si distingue tra la categoria della inesistenza e quella della nullità, in quanto quest’ultima
presuppone che vi sia un provvedimento che possa essere considerato come esercizio di un atto amministrativo e
che formalmente appaia come tale, mentre la prima si riferisce alle ipotesi in cui non sia neppure configurabile
un provvedimento. Il legislatore non ha tenuto giustamente conto di tale distinzione perché in ambedue i casi il
provvedimento è affetto da totale inefficacia. Sul tema vedasi A. BARTOLINI , La nullità del provvedimento nel
rapporto amministrativo, Torino, 2002; B.G. MATTARELLA , op.cit.., Torino, 2002, 1017 ss.
34
Cfr. C.S., Sez., IV, n. 2272/2002, in Ragiusan, 2003, fasc. 227, 467; C.S., Sez. VI, n. 948/1999, in Cons.
Stato, 1999, I, 1179.
35
C.S., Sez. V, 16.7.1984, n. 552, in Cons. Stato, I, 849.
36
Tar Abruzzo – Pescara, 10.1.1984, n. 11, in Trib. Amm. Reg., 1984, I, 1039.
37
C.S., Sez. IV, 10.1.1990, n. 11; C.S., Sez. IV, 7.5.1991, n. 343, in Con. Stato, 1991, I, 838; C.S., Sez. V,
14.4.1993, n. 494, ibidem, 1993, I, 554.
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giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello
adottato". I primi commentatori hanno correttamente messo in evidenza la difficoltà di
precisare l’effettiva rilevanza della stessa distinzione tra vizi formali e sostanziali in quanto la
norma sembra fare esclusivo riferimento alla tutela di tipo costitutivo (annullamento) e non a
quella di tipo risarcitorio, ormai largamente riconosciuta anche davanti al giudice
amministrativo39.
Altri hanno criticato la soluzione adottata soprattutto con riferimento
all'ipotesi della comunicazione dell’avviso dell’avvio del procedimento, la quale, essendo
posta a garanzia del privato ed in funzione del principio di buona amministrazione, dovrebbe
prescindere dal carattere vincolato o discrezionale del provvedimento. Così, nel caso di
rinnovo di un atto vincolato, la partecipazione potrebbe indurre l’amministrazione a non
rinnovarlo40. Un’utile previsione contenuta nel disegno di legge era quella di escludere
l’obbligo della comunicazione nel caso in cui il destinatario avesse avuto comunque
conoscenza del provvedimento, che però non è stata recepita nel testo approvato.
L’annullamento di ufficio (art. 21/nonies) diviene un istituto di carattere generale, quando ne
sussistano "ragioni di interesse pubblico"41. La legge avrebbe dovuto specificare, sulla scia
dell’insegnamento della giurisprudenza amministrativa42, che deve trattarsi di un interesse
pubblico, concreto ed attuale alla rimozione dell’atto affetto da illegittimità, proprio in
relazione alla situazione di privilegio che consente all’amministrazione, in via di autotutela, di
rimuovere l’atto illegittimo, anche nel caso in cui abbia già prodotto i suoi effetti, con
eliminazione degli stessi con efficacia ex tunc. La competenza spetta all’organo che ha
emanato il provvedimento, ovvero ad altro organo previsto dalla legge. Le condizioni
essenziali per il legittimo esercizio di tale potere sono due. Anzitutto la valutazione, accanto
alle ragioni di pubblico interesse, degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, tenuto
conto che gli interessi coinvolti possono essere tanto pubblici, che privati, per cui la
ponderazione che si richiede caso per caso alla amministrazione diviene di tipo complesso,
ogniqualvolta si tratta non soltanto di valutare l’interesse pubblico che richiede
38
Cfr. V. CERULLI IRELLI, op. cit. V parte.
F.FRANCARIO., op. cit.
40
M.A. SANDULLI, La riforma della legge sul procedimento amministrativo tra novità varie ed apparenti, in
www. Federalismi. It.
41
Recependo un costante e radicato indirizzo giurisprudenziale di cui tra le più recenti pronunce vedasi: C.S.,
IV, 6113/2002, in Foro amm.-Cons. Stato, 2002, 2825; IV, 555/2001, in Giur. it., 2001, 1262.
42
Tra le più recenti, vedasi, ad es, C.S., IV, 7.11.2002, n. 6113, in Foro amm. - Cons. Stato, 2002, 2825; C.S.,
VI, 1.10.2002, n. 4159, in Foro amm. - Cons. Stato, 2002, 1819; C.S., IV, 17.7.2002, n. 3997, in Foro amm. Cons. Stato, 2002, 1657.
39
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l’annullamento e l’interesse privato contrapposto, ma occorre definire il primo alla luce di
altri interessi pubblici che possano comunque essere sacrificati o toccati dal provvedimento.
La norma richiede inoltre che il potere di annullamento venga esercitato entro un termine
"ragionevole". Con tale espressione il legislatore statale sembra rifarsi al noto principio
elaborato dalla giurisprudenza comunitaria con riferimento in generale alla conclusione dei
procedimenti, oggi sancito espressamente dall’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dei
cittadini dell’Unione Europea43 e
previsto dall’art. II-101 del “Trattato che adotta una
costituzione per l’Europa”, come diritto della persona, nell’ambito del più ampio diritto
fondamentale alla “buona amministrazione”44. Il legislatore italiano non indica alcun criterio
per stabilire quando il termine possa essere ritenuto ragionevole, riconoscendo così
implicitamente un’ampia discrezionalità del giudice chiamato a valutare la ragionevolezza.
Anche alla luce della previsione di cui all’art. 1, c. 1, circa il dovere dell’amministrazione di
conformarsi ai principi generali del diritto comunitario, un utile punto di riferimento può però
rinvenirsi nei criteri applicati dalla Corte di Giustizia in tema di "termine ragionevole",
secondo una consolidata giurisprudenza45.
5. La nuova conferenza di servizi (artt. 14 – 14/quinquies).
La conferenza di servizi subisce alcune modifiche sia per quanto riguarda la c.d. conferenza
preliminare che, soprattutto, quella decisoria.
43
Comunemente nota come “Carta di Nizza”, poiché ivi proclamata il 7 dicembre 2000 dal Parlamento Europeo,
dal Consiglio e dalla Commissione. Si tratta di un documento che non ha efficacia giuridica, quantomeno
diretta, non essendo stata adottata con le procedure previste dal diritto comunitario.
44
L’art. II-101, intitolato al “Diritto ad una buona amministrazione”, primo comma stabilisce che “Ogni
persona ha diritto che le questioni che la riguardano siano trattate in modo imparziale, equo ed entro un
termine ragionevole dalle istituzioni, organi e organismi dell’Unione”.
45
La valutazione della “ragionevolezza” da parte della giurisprudenza comunitaria si compone di un giudizio
prima facie di carattere generale circa la eccessiva durata del procedimento (o di un sua fase “in rapporto al
procedimento avviato”), anche in base ad una valutazione comparativa della durata in rapporto ai tempi medi di
definizione “di un caso del tipo di quello in questione”: così la sentenza della Corte di Giustizia, del 15 ottobre
2002, nella cause riunite C-238 P, 244P, 245P, 247P, 250P, 251P, 252P, 254P/99, Limburgse c. Commissione, in
Raccolta , 2002, I, 8375 ss.. A questa prima considerazione segue la valutazione delle circostanze proprie di
ciascun caso concreto che hanno effettivamente determinato il protrarsi del suo svolgimento “in particolare, alla
luce della rilevanza della controversia per l’interessato, della complessità del caso in esame, nonché del
comportamento del ricorrente e di quello dell’autorità competente”. La Corte ha precisato che questi criteri, da
un lato, non sono esaustivi, dall’altro, non necessariamente debbono trovare tutti integrale e contestuale
applicazione, nel senso che uno solo di essi può bastare sia a giustificare quella che appare una eccessiva durata
del procedimento (ad es. il comportamento dilatorio del ricorrente), sia a confermare la prima impressione di
eccessiva lunghezza, specie quando le sue cause siano addebitabili alla sola autorità procedente: vedi sempre la
sentenza della Corte Limburgse c. Commissione, cit.. Per una più recente applicazione vedi anche la sentenza
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Alla conferenza preliminare vengono apportate delle integrazioni che tendono, per un verso, a
definirne meglio l’ambito, assimilando ai progetti di particolare complessità quelli
concernenti “gli insediamenti produttivi di beni e servizi” e consentendo per snellezza che, in
luogo di un progetto preliminare, l’istanza possa essere “documentata…da uno studio di
fattibilità”; per altro verso ad estendere il procedimento rinforzato, previsto dall’art. 14/bis, c.
3 per i casi in cui sia richiesta la VIA, alle ipotesi in cui la conferenza riguardi opere
interregionali e una amministrazione preposta “alla tutela del vincolo ambientale,
paesaggistico territoriale, del patrimonio storico artistico, della salute o della pubblica
incolumità” esprima il proprio dissenso (art. 14/bis, c. 3/bis). Ciò comporta che l’autorità
dissenziente deve esprimersi sulle condizioni per l’elaborazione del progetto, indicando le
principali alternative, ivi compresa la non realizzabilità del progetto medesimo (alternativa
"zero"). Alle amministrazioni che devono pronunciarsi sulle soluzioni progettuali prescelte,
avuto riguardo all’interesse da ciascuna tutelato, è aggiunta quella preposta alla tutela della
“pubblica incolumità”. La disposizione “apre il dissenso qualificato a molteplici
Amministrazioni, dalle forze dell’ordine, ai Vigili del fuoco, al Corpo forestale dello Stato,
agli uffici della protezione civile e così via.”46.
Per quanto riguarda la conferenza decisoria la legge sopperisce ad alcuni difetti di
coordinamento e ne chiarisce aspetti che avevano provocato diverse interpretazioni.
Innanzitutto il termine di indizione della conferenza è portato a trenta giorni, decorrenti dalla
ricezione della richiesta e non dall’inizio del procedimento. Si stabilisce poi che può essere
“indetta quando nello stesso termine è intervenuto il dissenso di una o più amministrazioni
interpellate” (art. 14, c. 2). Inoltre è previsto che la prima riunione venga convocata “entro
quindici giorni ovvero, in caso di particolare complessità dell’istruttoria, entro trenta giorni
dalla data di indizione” (art. 14/ter, c. 1), mentre per i lavori pubblici scompare il richiamo
all’art. 7, l. n. 109/1994 e per quelli affidati in concessione la convocazione può essere
disposta anche dal concessionario, con il consenso del concedente, al quale spetta comunque
il diritto di voto (art. 14, c. 5). La regola secondo cui la conferenza assume le proprie
determinazioni a maggioranza in caso di dissenso espresso, viene abrogata e sostituita con la
previsione secondo cui,
all’esito dei lavori e comunque scaduto il termine per il loro
della Corte di Giustizia del 15 luglio 2004, nella causa C-501/00, Regno di Spagna c. Commissione, non ancora
pubblicata in Raccolta, ma consultabile in www.europa.eu.int
46
V. CERULLI IRELLI, op. cit., III parte.
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19
compimento,“l’amministrazione procedente adotta la determinazione motivata di conclusione
del procedimento, valutate le specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle
posizioni prevalenti in quella sede”.
Si tratta della innovazione più importante, dettata per sopperire alle riscontrate difficoltà di
calcolare una maggioranza in presenza di amministrazioni di diversa rilevanza istituzionale e
dimensioni. Al fine di stabilire quali siano le posizioni prevalenti dovrà tenersi conto del ruolo
che le diverse amministrazioni assumono in sede di conferenza. È stato suggerito che tale
ruolo dovrebbe essere individuato con riferimento al potere che ciascuna di esse avrebbe
altrimenti, in base a leggi di settore, di condizionare l’esito del procedimento47. Non ci sembra
però che la formula adottata dal legislatore sia di facile interpretazione, né che la soluzione
proposta sia di semplice applicazione, perché la posizione prevalente sembrerebbe piuttosto
essere riferita alla posizione ed importanza istituzionale della singola amministrazione: si
pensi, a tale proposito al rilievo istituzionale rivestito dagli enti esponenziali di comunità.
La legge ridefinisce anche gli effetti del dissenso espresso alla conferenza di servizi da una
delle amministrazioni partecipanti. Le conseguenze che sul procedimento ha il motivato
dissenso di una delle amministrazioni preposte alla tutela di uno degli interessi
costituzionalmente protetti (“tutela ambientale, paesistico-territoriale, ... patrimonio storico
artistico… tutela della salute e della pubblica incolumità”), sono disciplinate in maniera
articolata dal nuovo comma 3. In caso di dissenso la decisione viene rimessa al Consiglio del
ministri, alla Conferenza permanente Stato-Regioni-Province autonome di Trento e Bolzano
ed alla Conferenza unificata di cui all’art. 8, d.lgs. n. 281/97, a seconda che il dissenso si
verifichi tra amministrazioni statali, tra una amministrazione statale ed una regionale o tra più
amministrazioni regionali, tra una amministrazione statale o regionale ed un ente locale, o tra
più enti locali.
Per i casi di dissenso espresso da una regione o da una provincia autonoma in una delle
materie di propria competenza, i commi 3/bis e 3/ter definiscono gli ambiti di competenza,
indicano tempi certi dei vari procedimenti e regolano i poteri sostitutivi in caso di inerzia.
Quando il dissenso è espresso da una regione o da una provincia autonoma in una delle
materie di propria competenza, la determinazione sostitutiva è rimessa alla Conferenza Stato-
47
Cfr. V. CERULLI IRELLI, op. cit., III parte.
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Regioni o alla Conferenza unificata, a seconda che il disaccordo si verifichi tra una
amministrazione statale ed una regionale o tra più amministrazioni regionali, ovvero tra una
regione o provincia autonoma ed un ente locale. In tutti questi casi la decisione deve
intervenire entro trenta giorni dall’acquisizione della documentazione a fini istruttori, di cui
va preventivamente verificata la completezza; termine prorogabile sino ad ulteriori novanta
giorni, qualora l’istruttoria non sia completa o risulti particolarmente complessa (comma
3/bis).
Anche per le due Conferenze la decisione deve intervenire entro trenta giorni, prorogabili sino
ad un massimo di ulteriori novanta giorni. Qualora il termine di trenta giorni, o quello
maggiore in caso di proroga, non venga rispettato, il comma 3/ter regola tre distinte ipotesi: 1)
nel caso si tratti di materie attribuite alla competenza statale, la decisione è rimessa, su istanza
del Ministro per gli affari regionali, al Consiglio dei ministri, che deve assumerla entro giorni
trenta; 2) quando si verte in materie di competenza regionale “ai sensi degli artt. 117,
secondo comma, e 118 della Costituzione”, la decisione è rimessa alla Giunta regionale che
deve provvedere nello stesso termine; 3) la mancata decisione sostitutiva da parte della Giunta
nel termine di trenta giorni determina l’intervento del Consiglio dei ministri, che delibera con
la partecipazione dei presidenti delle regioni interessate.
La disciplina sopra riportata è piuttosto analitica e, ad una prima lettura, sembra esaustiva
delle varie situazioni di dissenso che possono verificarsi nei rapporti tra le amministrazioni
dello Stato e tra queste e le amministrazioni regionali e locali, oltre che tra queste ultime,
come pure appare esaustivo il meccanismo sostitutivo dei vari livelli in caso di non rispetto
dei termini prefissati. Non risulta chiaro il richiamo dell’art. 118 Cost., visto che tale norma
regola la distribuzione delle funzioni amministrative tra i diversi livelli governo nell’ambito
della regione e non individua ambiti di competenze materiali ulteriori rispetto a quelli
delineati e definiti dall’art. 117 Cost..
Il dissenso tra le amministrazioni regionali non comporta necessariamente che la decisione
venga rimessa alla Conferenza Stato-Regioni-Province autonome ed eventualmente in via
sostitutiva al Consiglio dei ministri integrato, quando le regioni dissenzienti abbiano concluso
intese, ratificate dai rispettivi organi legislativi, dirette a disciplinare il procedimento di
composizione del dissenso, anche mediante la individuazione di organi comuni cui affidare le
relative determinazioni (3/quater).
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Il nuovo art. 14/quinquies si occupa della conferenza di servizi in materia di finanza di
progetto, ai sensi degli artt. 37 bis e seg., della l.n. 109/94, finalizzata alla approvazione del
progetto definitivo, disponendo la convocazione anche dei soggetti aggiudicatari di
concessione individuati all’esito della procedura o le società di progetto, fermo restando che
la partecipazione non comporta l’attribuzione a questi soggetti del diritto di voto.
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