relazione DE Luca - Osservatorio Sicurezza Lavoro

L’azione di rivalsa dell’INAIL: aspetti previdenziali e
giudiziari.
La costituzione di parte civile e la responsabilità civile del
datore di lavoro.
(Avv. Giovanni De Luca – Avvocatura INAIL)
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Premessa
L’INAIL – come è noto – è obbligato per legge (secondo il principio di
automaticità sancito espressamente nel D.P.R. 1124/65) ad erogare determinate
prestazioni previdenziali a tutti i soggetti degni di tutela che subiscono infortuni sul
lavoro o contraggono malattie professionali.
Se, però, gli infortuni o le malattie professionali sono da attribuire a
comportamenti
illeciti della ditta datrice di lavoro degli stessi assicurati (per
accertate omissioni di norme antinfortunistiche), oppure di altri soggetti non
riconducibili al datore di lavoro, l’INAIL ha il diritto/dovere di agire nei confronti
dei responsabili per il recupero delle prestazioni erogate, perché anche le somme
così recuperate consentono all’Istituto di continuare ad erogare le prestazioni
previdenziali a tutela dei lavoratori.
Le azioni di rivalsa.
Le azioni che l’INAIL può esercitare, sussistendone i presupposti di
legge, nei confronti dei responsabili dell’infortunio o della malattia
professionale, sono due: l’azione di regresso (esercitabile solo nei confronti del
datore di lavoro e degli altri soggetti a lui direttamente collegati, come ad
esempio i preposti) e l’azione di surroga (esercitabile contro tutti gli altri
soggetti). L’azione di regresso ed, in taluni casi, anche l’azione di surroga,
possono anche essere esercitate nel processo penale attraverso la costituzione di
parte civile.
1 – L’azione di regresso.
Questa azione è prevista dagli artt. 10 e 11 D.P.R. 1124/65 e nasce come
diritto autonomo dell’INAIL, inquadrato nel rapporto assicurativo tra datore di
lavoro e infortunato, tant’è che solo il Giudice del Lavoro è competente a
decidere il contenzioso, che è di natura previdenziale nonostante l’azione sia di
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natura sostanzialmente risarcitoria, finalizzata al recupero delle prestazioni
previdenziali erogate agli assicurati o agli altri aventi diritto (come gli eredi dei
lavoratori deceduti in conseguenza dell’evento infortunistico o malattia
professionale).
Spesso, nel corso dei giudizi dinanzi al Giudice del Lavoro promossi
dall’INAIL nei confronti del datore di lavoro (includendo in questa figura,
dunque, anche i preposti, dirigenti e altri dipendenti, colleghi di lavoro
dell’infortunato), viene eccepita la improponibilità/improcedibilità dell’azione
di regresso per mancanza del presupposto relativo al giudicato penale di
condanna.
L’esistenza di un procedimento penale pendente, però, non può più
ostacolare l’azione di regresso dell’Istituto.
La subordinazione del regresso all’azione penale sino all’inizio degli anni
ottanta era frutto della preminenza della giurisdizione penale, che si esprimeva
nel diritto speciale (art. 10 T.U. 1124/65) con la necessità di attendere la relativa
pronuncia e con gli effetti vincolanti della stessa (che comportava
implicitamente l’inevitabile sospensione del processo civile).
Sulla stessa linea operava il diritto comune con le disposizioni
sull’efficacia ultra partes del giudicato e con la norma sulla obbligatorietà della
sospensione, in omaggio al principio della pregiudizialità.
Ma l’uno e l’altro fattore sono venuti meno sia nella normativa particolare
della responsabilità del datore di lavoro che in quella comune (dove la
sospensione resta limitata all’infortunato e per casi eccezionali), con la quasi
completa separazione e indipendenza dell’azione civile che, per la
responsabilità del datore di lavoro, ha come unica condizione non già una
formale pronuncia penale, ma la commissione di un fatto - reato accertabile
anche incidenter tantum dal giudice civile.
La giurisprudenza ribadisce questo indirizzo affermando che la
proponibilità dell’azione di regresso dell’INAIL non è condizionata dal previo
accertamento in sede penale della responsabilità del datore di lavoro (o di
persona del cui operato questi debba civilmente rispondere) e neppur dal previo
esame, da parte del giudice penale, del fatto causativo dell’infortunio, in quanto,
in difetto di tale accertamento o esame, l’INAIL, che agisca in regresso, può
chiedere che ad esso proceda incidenter tantum il giudice civile (Cass.
28.9.1991 nr.10167).
Sono state le sentenze nr. 22/1967, nr. 102/1981 e nr. 372/88 della Corte
Costituzionale che - richiamando la conforme giurisprudenza di legittimità hanno sancito la caduta della pregiudizialità penale consentendo la autonoma ed
incondizionata promovibilità dell’azione di regresso (liberandola
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completamente dai presupposti formali richiesti) senza dover attendere l’esito
del procedimento penale.
Il testo degli artt. 10 e 11 del D.P.R. 1124/65 è stato oggetto, infatti, di
numerosi interventi della Corte Costituzionale e della Cassazione, che in parte
ne hanno modificato il contenuto. Da una stretta applicazione iniziale (ove si
faceva dipendere l’azione di regresso dalla condanna in sede penale del datore
di lavoro) si è passati alla dichiarazione di illegittimità costituzionale delle
suddette norme nella parte in cui non prevedevano che l’INAIL potesse adire il
giudice civile in caso di assoluzione del datore di lavoro, e, man mano (con le
successive pronunce), in caso di archiviazione per amnistia, morte del reo
(peraltro, per queste sole due ipotesi il termine triennale per proporre il regresso
è stato considerato, dalla sentenza a S.U. della Cassazione N. 3288/97, di
decadenza e non di prescrizione), proscioglimento in istruttoria per qualunque
motivo, nonché per prescrizione del reato, per oblazione e, in ultimo, anche in
caso di sentenza di “patteggiamento” ex art. 444 c.p.p.
E’ di tutta evidenza come le suddette decisioni consentano all’Istituto di
proporre l’azione di regresso
Significa che l’INAIL -
indipendentemente dal procedimento penale.
se opportunamente decide di adire il Giudice del
Lavoro competente in pendenza di un procedimento penale o, nei casi in cui
esso si è concluso con sentenza diversa dalla condanna - può giovarsi
dell’accertamento incidenter tantum del fatto/reato effettuato dal giudice civile,
che è l’unica condizione dell’azione di responsabilità, dato che la decisione
intervenuta in quella sede (a norma dell’art. 11 T.U.) è sufficiente a costituire
l’Istituto in credito verso la persona civilmente obbligata.
Il titolo giuridico della responsabilità del datore di lavoro (e di
conseguenza il diritto di regresso) va individuato nella sentenza come “atto di
accertamento” che i fatti da cui deriva l’infortunio costituiscono reato sotto il
profilo soggettivo ed oggettivo. Detta sentenza (al contrario dell’accertamento
stesso) non è, infatti, condizione di diritto sostanziale del regresso, costitutiva
del diritto dell’INAIL. Ne discende che quest’ultimo diritto non si costituisce
in presenza di sentenza penale, ma dall’accertamento della qualificazione di
reato dell’illecito da cui è derivato l’infortunio, che può essere effettuato anche
dal giudice civile.
L’azione di regresso (e, quindi, il diritto dell’INAIL) sorge, in definitiva,
con il pagamento delle indennità dovute all’infortunato o ai suoi eredi superstiti,
e può essere esercitata anche in corso di procedimento penale di accertamento
del fatto/reato
(v. per tutte Cass. 8.4.1989 n. 1707). In conclusione, non
vigendo più l’originario principio della pregiudizialità necessaria
dell’accertamento penale rispetto a quello civile, essendo stato, peraltro,
riformulato l’art. 295 c.p.c. ad opera della Legge 353/90 (completa autonomia e
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separazione tra i due giudizi), da un lato il procedimento civile deve proseguire
il suo corso senza essere influenzato dal procedimento penale, dall’altro il
giudice civile deve procedere ad un autonomo accertamento dei fatti e della
responsabilità civile dedotti in giudizio (in tal senso Cass. 27.2.1996 nr. 1501,
Cass. 18.8.2000 nr. 10950).
Sulla scorta di tale orientamento giurisprudenziale la Suprema Corte, in
accoglimento del regolamento di competenza proposto dall’INAIL, ha annullato
le ordinanze di sospensione del giudizio pronunciate da alcuni giudici di merito
sulla base della pregiudizialità del processo penale rispetto al processo civile
iniziato con l’azione di regresso (Cass. 25.8.2004 nr. 16874, Cass. 1.3.2001 nr.
2952). Come si può notare non si discute mai di improponibilità dell’azione di
regresso, semmai - in teoria - di sospensione del giudizio civile in attesa di
quello penale: teoria, questa, smontata dalle pronunce di cui sopra derivanti
dalla non operatività della pregiudiziale penale, se non per i casi espressamente
previsti dall’art. 75 c.p.p.. Infatti, il vigente Codice di Procedura Penale prevede
la possibilità della parte danneggiata di poter trasferire l’azione civile nel
processo penale (attraverso la costituzione di parte civile) e viceversa. Ciò sta a
dimostrare che i due procedimenti, civile e penale, possono viaggiare in
parallelo, salvo le preclusioni (previste dalla legge) per evitare duplicazioni di
giudicato. L’INAIL, peraltro, può costituirsi parte civile nei procedimenti penali
instaurati a carico dei datori di lavoro per gli infortuni o malattie professionali
dei loro dipendenti. Proprio come il lavoratore danneggiato o i suoi eredi. Detta
possibilità è stata riconosciuta da tempo dalla giurisprudenza, anche se solo di
recente, con la norma contenuta nell’art. 61 D.lgs 81/08
il legislatore ha
espressamente previsto tale diritto.
Certamente, l’INAIL deve dimostrare, nel proporre l’azione di regresso
davanti al Giudice del Lavoro, l’esistenza di un fatto - reato procedibile
d’ufficio commesso dal datore di lavoro o dai dipendenti, di cui questi debba
rispondere a norma dell’art. 2049 c.c..
Ciò significa che se l’INAIL fornisce al Giudice civile, nel proprio ricorso
per regresso, tutti gli elementi che sono necessari per la configurazione
dell’infortunio come reato procedibile d’ufficio l’azione è legittima e non può
essere dichiarata improcedibile.
Il diritto dell’INAIL
- che, secondo la Corte Costituzionale (sent.
31.3.1988 nr. 372, già citata) non è da annoverarsi tra gli “interessati” di cui
all’art. 10 T.U. vigente, la cui nozione è inserita in un contesto normativo che
disciplina la r.c. del datore di lavoro verso gli infortunati e loro eredi - ha una
sua peculiarità ed autonomia ed è volta alla tutela di un interesse del tutto
diverso da quello delle altre parti private e derivante da sue finalità istituzionali.
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Tutto ciò porta a delle considerazioni logico – giuridiche inconfutabili
dettate dalle seguenti ipotesi: a) l’INAIL non partecipa come parte civile nel
processo penale ed il datore di lavoro, o chi per lui, viene condannato; in tal
caso la sentenza di condanna non fa stato nel giudizio civile (anche se il giudice
civile, in ogni caso, può dagli atti penali in genere trarre, secondo una
valutazione discrezionale, argomento di prova, poichè per costante
giurisprudenza gli atti penali possono essere da soli sufficienti per fondare il
convincimento del giudice); b) l’INAIL non partecipa come parte civile nel
processo penale ed il datore di lavoro, o chi per lui, viene assolto; tale sentenza
non è però opponibile all’INAIL .
In altri termini, l’azione di regresso è ora proponibile anche in mancanza di
qualunque pronuncia e accertamento del giudice penale atteso che la cognizione
della colpa penale spetta al giudice civile (Cass. Civ., sez. Lav., 21.1.2004 nr.
968).
Alla luce di tutti gli eventi sopra indicati, che nel corso degli anni hanno
stravolto quanto contenuto nell’originario art. 10 T.U. (per cui non è possibile,
oggi, fermarsi puramente e semplicemente alla lettura di tale norma senza tener
conto dell’evoluzione che ha interessato la stessa), la domanda è semplice: che
senso ha attendere l’esito del procedimento penale se comunque l’INAIL può
agire in sede civile per far accertare incidenter tantum la responsabilità del
datore di lavoro?
Pertanto, venuto meno il principio della necessaria pregiudizialità del
procedimento penale rispetto a quello civile (tranne alcune limitate ipotesi
espressamente previste dal c.p.p., come sopra specificato) l’INAIL deve poter
agire in regresso in modo del tutto svincolato dal giudizio penale a carico del
responsabile escusso in quanto “una volta caduto, con la riforma del codice di
procedura penale e dell’art. 295 c.p.c., il principio
giudicato penale sul giudizio civile,
è venuta
della prevalenza del
meno la identificazione
dell’accertamento della responsabilità penale con la sentenza di condanna, cui
erano ispirate le norme del D.P.R.. 30 giugno 1965, n 1124 in tema di
regresso” (Cass. 2.2.2007 nr. 2242).
Ma vi è di più!
L’introduzione della norma (art. 61 del Decreto legislativo n. 81/2008) che
consente all’INAIL di esercitare l’azione di regresso mediante la costituzione di
parte civile svuota definitivamente di contenuto il testo dell’art. 10, co. 2, e
precisamente il riferimento alla sentenza penale di condanna, che – nella logica
delle norme che disciplinano il processo – viene emessa in un momento
successivo alla costituzione di parte civile.
La suddetta norma, dunque, libera una volta per tutte la proponibilità
dell’azione di regresso dell’INAIL dalle sorti del procedimento penale.
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L’azione di regresso veniva esperita in passato solo nei confronti del datore
di lavoro e dei preposti; dopo la sentenza a S.U. della Cassazione del 16.4.1997 nr.
3288, si è giunti a ricomprendere in tale azione anche l’amministratore, il direttore
tecnico e i colleghi di lavoro. Ciò è giustificato perché ogni soggetto che opera
all’interno di un’azienda compartecipa all’organizzazione del datore di lavoro ed è
coinvolto nell’attività rischiosa di quest’ultimo.
Con l’avvento di nuove forme di lavoro, rispetto a quelle previste quando
ebbe la luce, nell’ormai lontano 1965, il T.U. nr. 1124, anche l’azione di regresso
ha dovuto essere reinterpretata. Si pensi alla somministrazione di manodopera,
dove vi è un’azienda che fornisce manodopera (che sarebbe il datore di lavoro
formale, che paga i contributi agli Enti previdenziali e lo stipendio al lavoratore) ed
una azienda che utilizza il lavoratore, la quale deve rispettare la normativa
antinfortunistica posta a tutela dei lavoratori (così come il soggetto che fornisce la
manodopera, al quale spetta l’obbligo di formare ed informare i lavoratori dei rischi
connessi alle lavorazioni che andranno a svolgere presso la ditta utilizzatrice, che
comunque deve accertarsi di detta formazione, eventualmente integrandola, prima
di inserire il lavoratore nel reparto produttivo).
L’azione di rivalsa dell’INAIL contro l’azienda utilizzatrice della
manodopera è da qualificarsi come azione di regresso, dunque di competenza del
Giudice del Lavoro.
Identica situazione per i casi di infortuni occorsi a collaboratori a progetto
per l’inosservanza della normativa in materia di sicurezza del lavoro (anche se una
parte del premio assicurativo INAIL è a carico del suddetto collaboratore).
La giustificazione di tale indirizzo si trova nel fatto che l’azione di regresso
non riguarda solo il rapporto assicurativo, ma anche l’obbligo di sicurezza, per cui
l’Istituto può esercitare
tale azione anche nei confronti di soggetti che non
rivestono la qualità di datore di lavoro (laddove, in teoria, sarebbe esercitabile
l’azione di surroga), proprio perché su questi soggetti incombe l’obbligo di tutelare
l’incolumità dei lavoratori che inseriscono nella propria organizzazione produttiva.
A tal proposito giova citare due sentenze della Suprema Corte (nr. 8136/08 e
6212/08, ma ve ne sono altre conformi) che affermano il principio secondo cui
l’azione di regresso, esperibile nei confronti del datore di lavoro “si estende
automaticamente anche verso i soggetti responsabili civili dell’infortunio sul lavoro
chiamati in causa dal datore di lavoro medesimo, gravando su di essi un comune
obbligo di sicurezza a causa della condotta da essi tenuta ed in relazione al loro
concreto ruolo, sicchè essi sono direttamente responsabili dell’infortunio e dei
conseguenti obblighi patrimoniali nei confronti dell’istituto assicuratore”; tutto ciò
“a prescindere dal titolo contrattuale e dalla tipologia lavorativa che li lega ad
datore di lavoro”. Proprio seguendo tale orientamento, l’INAIL si costituisce parte
civile anche nei confronti di soggetti non datori di lavoro dell’infortunato,
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coimputati insieme a quest’ultimo nel processo penale per i reati di lesioni o di
omicidio colposo, sia pur a diverso titolo. Di questa particolare fattispecie (che si
ha in genere nei casi di eventi avvenuti in cantieri dove operano più imprese) si
tratterà più avanti a proposito della costituzione di parte civile dell’INAIL.
L’azione di regresso, pertanto, da azione di natura contrattuale posta a base
del rapporto contributivo-assicurativo, diventa strumento di prevenzione e di lotta
nei confronti di chi non rispetta le norme poste in materia antinfortunistica.
2 - L’azione di surroga.
Nei confronti di tutti i soggetti responsabili dell’infortunio o malattia
professionale non ricollegabili in alcun modo al datore di lavoro
l’INAIL può
invece agire in via di surroga ex artt. 1916 c.c. e 12 D.P.R. 1124/65 dinanzi al
Giudice Ordinario.
Questa azione è oramai, vista la giurisprudenza sopra citata in occasione
dell’azione di regresso, per la maggior parte dei casi esercitata in ambito civile in
materia di sinistri stradali che vedono coinvolti i lavoratori, sia nel tragitto casa/
lavoro e viceversa (cd. infortunio in itinere), sia nei tragitti diversi comunque
percorsi per motivi di lavoro. La casistica è comunque ampia in materia di eventi
che danno luogo ad azione di surroga; si pensi alle aggressioni nei luoghi di lavoro
ad opera di altri lavoratori o di estranei (es. rapinatori) e, più in genere, a ogni
lesione che un lavoratore subisce al di fuori del proprio ambiente lavorativo senza
implicazione di responsabilità del datore di lavoro e soggetti a lui direttamente o
indirettamente ricollegabili.
L’INAIL, in questi casi, si surroga all’infortunato o ai suoi eredi (in caso di
evento mortale) nei confronti dei responsabili del sinistro per ottenere il
risarcimento del danno che spetta all’Ente stesso, quale assicuratore sociale.
3 – Liquidazione dell’indennizzo e risarcimento del danno.
Ad ogni modo, al verificarsi di un infortunio o malattia professionale,
l’INAIL, oltre l’indennità per l’inabilità temporanea e le altre spese che si
dovessero ritenere necessarie per cure, protesi e riabilitazioni, eroga all’infortunato
– ai sensi del D.Lgs 38/2000 – il danno biologico per postumi permanenti superiori
alla franchigia del 5% e sino al 15%, nonchè – solo dal 16% in poi (sino al 100%)eroga anche il danno patrimoniale attraverso una rendita mensile capitalizzata. Agli
eredi superstiti del lavoratore deceduto
l’Istituto eroga una rendita mensile e
l’assegno funerario.
Naturalmente, per evitare che infortunato o suoi eredi percepiscano un
doppio risarcimento, dopo l’erogazione delle prestazioni INAIL gli aventi diritto
possono chiedere ai responsabili del fatto solo il cd. Danno differenziale (cioè il
danno che risulta applicando le tabelle civilistiche in uso ai vari Tribunali d’Italia,
detratto quanto versato dall’Istituto) ed il danno morale ed esistenziale
(quest’ultima voce molto discussa), non indennizzate dall’INAIL.
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Capita spesso che nei giudizi promossi dai lavoratori infortunati (o loro
eredi) questi chiedano al responsabile del fatto l’intero danno, compreso quello
morale ed esistenziale, senza tener conto delle prestazioni già erogate dall’Istituto.
Trattandosi di infortunio sul lavoro, le parti convenute - che hanno tutto
l’interesse a limitare le richieste risarcitorie del lavoratore al solo danno
differenziale e morale – molto spesso chiedono al Giudice di ordinare la chiamata
in causa dell’INAIL o anche l’acquisizione di atti presso lo stesso Istituto, onde
reperire informazioni sulle prestazioni erogate. Generalmente i responsabili del
fatto conoscono l’importo delle prestazioni pagate agli assicurati perché ricevono
dall’Istituto le rituali diffide di pagamento nell’ambito delle azioni di rivalsa da
esso promosse.
Le suddette prestazioni saranno poi oggetto dell’azione di surroga
e/o
dell’azione di regresso in caso di ritenuta responsabilità di terzi nel determinismo
dell’evento.
La giurisprudenza civilistica (cui occorre far riferimento in sede di prima
applicazione della norma che consente all’INAIL la costituzione di parte civile nel
processo penale) insegna infatti che, da un lato (in punto di onere probatorio del
credito): “Nel giudizio di regresso intentato nei confronti del datore di lavoro,
l’ente previdenziale può fornire prova della congruità dell’indennità corrisposta al
lavoratore attraverso attestazione resa dal direttore della sede erogatrice: infatti,
poiché l’Istituto svolge la sua azione attraverso atti emanati a conclusione di
procedimenti amministrativi, tali atti sono assistiti dalla presunzione di legittimità
propria di tutti gli atti amministrativi, che può venir meno solo di fronte a
contestazioni precise e puntuali che individuino il vizio da cui l’atto in
considerazione sarebbe affetto e offrano contestualmente di provarne il
fondamento” (Cass. civ., sez. Lav., 15.10.2007, n. 21540) e che, dall’altro lato (in
punto di voci di danno liquidabile):
“...
all’INAIL., che agisca in regresso nei
confronti del datore di lavoro responsabile dell’infortunio indennizzato
dall’istituto, va riconosciuto non solo l’importo di denaro pari al valore capitale
attuale della rendita, ma anche l’ammontare dei ratei della rendita stessa in
precedenza versata” (Cass. civ., sez. Lav., 24.10.1991, n. 11296; Cass. civ., sez.
Lav., 6.11.1995, n. 11552).
Sempre più spesso accade, infatti, che i giudici penali, anziché decidere che
il risarcimento del danno dovuto all’INAIL sia liquidabile in “separata sede” o
“separato giudizio”, liquidino direttamente detto danno attribuendo all’Ente
l’importo indicato nell’attestazione di credito prodotta nel processo.
La medesima giurisprudenza (Cassazione nr. 5909/2003) insegna, altresì,
che il credito di regresso dell’lNAIL ha natura di credito di valore, che va pertanto
liquidato d’ufficio all’attualità (sulle somme già erogate spetterà pertanto il cumulo
tra rivalutazione e interessi, secondo il noto criterio di cui alla sentenza Cass.
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1712/1995, da calcolarsi fino alla data della decisione del giudice di liquidazione
del danno): da quest’ultima data al saldo, invece, poiché il risarcimento liquidato in
sentenza si trasforma in credito di valuta, spetteranno solo gli interessi legali.
A seguito dei miglioramenti di legge relativi al valor capitale della eventuale
rendita (erogata al lavoratore o suoi eredi) che intervengono annualmente con
Decreto Ministeriale avviene poi una modificazione del petitum rispetto a quello
risultante dall’atto introduttivo del giudizio di regresso o surroga, nonché dell’atto
di costituzione di parte civle, poiché i miglioramenti di rendita possono essere
richiesti dall’INAIL in ogni fase e stato del procedimento non costituendo nuova
domanda (Cass. n. 1702 del 17.2.1987, Cass. n. 2334 del 21.3.1990 e successive
conformi); per cui la domanda inizialmente formulata dall’INAIL può essere così
aumentata in corso di giudizio.
La costituzione di parte civile dell’INAIL.
Per tutte le considerazioni fin qui svolte non vi è dubbio che l’INAIL è da
considerarsi quantomeno parte danneggiata, al verificarsi di un evento
infortunistico, posto che, appunto, è comunque costretto per legge ad erogare delle
prestazioni al lavoratore o agli eredi superstiti di quest’ultimo.
Il fatto che il vigente Codice di Procedura Penale non preveda
espressamente la citazione della parte danneggiata dal reato (prevedendola,
viceversa, solo per la parte offesa) non può far passare inosservato ciò che è scritto
in proposito nella relazione al suddetto Codice e cioè che ”inserendo l’offeso dal
reato in un titolo autonomo rispetto a quello dedicato alle parti private diverse
dall’imputato, si è inteso sottolineare il ruolo peculiare ad esso assegnato rispetto
al danneggiato: mentre all’offeso, quale titolare dell’interesse leso dalla norma di
diritto sostanziale violata, sono riconosciuti facoltà e diritti sin dalla fase delle
indagini preliminari, al danneggiato è potenzialmente assegnato un ruolo
processuale solo in quanto il procedimento sia pervenuto alla fase indicata
nell’art. 79 c.p.p., così da consentire la possibilità di costituzione di Parte Civile”.
Il compito dell’INAIL (che per ora si costituisce nel processo sin dalla
importante udienza preliminare, nei casi in cui essa è prevista, e che rappresenta
l’Accusa Privata, accanto a quella Pubblica rappresentata dal Pubblico Ministero) è
proprio quello di fornire al giudicante ogni elemento utile, integrando gli elementi
probatori che possono essere sfuggiti al P.M., per l’accertamento delle
responsabilità penali degli imputati,
anche attraverso il supporto degli organi
tecnici dell’Istituto (medici – legali, CONTARP ecc.). Si vorrebbe, però, che
all’Istituto siano attribuite tutte le facoltà della persona offesa, così anticipando
l’ingresso dell’Ente ad alcune fasi proprie delle indagini preliminari, perché
l’INAIL deve considerarsi parte offesa, oltre che danneggiata, per i motivi di cui
innanzi.
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La legittimazione e l’interesse dell’INAIL alla costituzione di parte civile
nei processi penali che trattano di infortuni e malattie professionali è da tempo
riconosciuta dalla prevalente giurisprudenza di merito, nonostante sia stata
osteggiata proprio per il fatto che si contestava la qualità di soggetto danneggiato
dal reato.
Il primo vero intervento legislativo che ha legittimato il diritto dell’INAIL di
esercitare l’azione di regresso nel processo penale è dato dalla legge 3.8.2007 n.
123, la quale (all’art. 2), ha disposto che ”in caso di esercizio dell’azione penale
per i delitti di omicidio colposo o di lesioni personali colpose, se il fatto è
commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro
o relative all’igiene del lavoro o che abbia determinato una malattia professionale,
il pubblico ministero ne dà immediata notizia all’INAIL […] ai fini dell’eventuale
costituzione di parte civile e dell’azione di regresso”
Il legislatore delegato ha poi ritenuto opportuno riprodurre il testo dell’art. 2
della L. n. 123/2007 nel primo comma dell’art. 61 del Decreto legislativo n.
81/2008 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 30 aprile 2008), di attuazione della
delega di cui all’art. 1 della L. 123/07, per il riassetto e la riforma delle norme
vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro,
L’esplicita disposizione normativa del citato art. 61 del D.Lgs. 81/2008
assume, con ogni evidenza, valenza dirimente in ordine alla questione
dell’ammissibilità della costituzione di parte civile dell’INAIL nei processi penali,
perché meramente ricognitiva, e non già costitutiva, della predetta ammissibilità,
come è già stato evidenziato in due provvedimenti emessi dal Tribunale di Torino
(proc. N. 830/06 R.G.) e dal Tribunale di Caltanissetta (proc. N. 113/2007) e da
ultimo dalla stessa Suprema Corte con sentenza 47374/2008 della quarta sezione
penale (anche perché è la prima volta che la Sezione Penale della Corte Suprema si
pronuncia sulla costituzione di parte civile dell’INAIL, visto che nelle precedenti
occasioni solo la Sezione Lavoro della stessa Corte si era occupata indirettamente
della questione ritenendo non possibile tale costituzione). Con la suddetta sentenza
la Corte di Cassazione evidenzia la portata innovativa dell’art.61 che, prevedendo
l’obbligo gravante sui pubblici ministeri di dare immediata notizia all’INAIL in
caso di esercizio dell’azione penale, legittima espressamente l’INAIL alla
costituzione di parte civile nel giudizio penale, riconoscendo la peculiare posizione
dell’Istituto quale garante dell’attuazione del principio costituzionale di tutela
dell’integrità psico-fisica dei lavoratori, la cui protezione può essere attuata anche
attraverso la costituzione di parte civile, oltre che con l’esercizio dell’azione di
regresso dinanzi al giudice civile, per rafforzare la prevenzione degli infortuni e
delle malattie professionali e contribuire all’effettività delle sanzioni a carico di
coloro che sono stati riconosciuti responsabili dell’evento lesivo.
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I reati di cui agli artt. 589 e 590 c.p., infatti, quando commessi con
violazione della normativa della prevenzione degli infortuni sul lavoro e della
tutela dell’igiene e della salute sul lavoro, ledono non soltanto la sfera giuridica
della vittima del reato, ma anche l’interesse della collettività alla tutela della salute
e sicurezza sul lavoro, interesse del quale l’INAIL, in quanto Ente strumentale
dello Stato, deputato a dare concreta attuazione ai principi costituzionali di cui agli
artt. 35, 38, II° comma, 41, II° comma, della Costituzione, è diretto portatore; come
tale, non può non essere considerato quantomeno diretto danneggiato dai reati
sopra menzionati.
Ciò in piena coerenza con l’insegnamento della Suprema Corte, la quale più
volte ha ribadito che in caso di reati plurioffensivi la qualificazione, se non di
persona offesa, quantomeno di “danneggiato” del reato, va riconosciuta a tutti i
soggetti ed istituzioni portatori degli interessi lesi (per tutte, Cassazione civile, Sez.
Un., 21 febbraio 2002 , n. 2515).
Non va tralasciato di considerare, tra l’altro, che il nuovo Testo Unico sulla
salute e sicurezza sul lavoro riconferma in pieno ed, anzi, per alcuni versi, rende
ancor più evidente la funzione dell’INAIL quale Ente deputato alla tutela
dell’integrità psico-fisica dei lavoratori (in tal senso depongono, tra gli altri, le
norme contenute negli artt. 5, 8, 9, 10 e 11).
Inoltre, una ulteriore consolidata giurisprudenza di legittimità ha evidenziato
che "danneggiato" del reato non si identifica solo nel "soggetto passivo" del reato,
potendosi in realtà ben individuare "danneggiati" diversi dal "soggetto passivo",
che hanno subito in via riflessa un danno dall'azione delittuosa e sono, quindi,
titolari del diritto alla restituzione e al risarcimento dei danni, esercitabile tramite la
costituzione di parte civile e che la causalità è quella “in fatto” regolata dall'art. 40
c.p. (si vedano, oltre alla Cassazione penale, sez. V, 18 novembre 2004, n. 3996,
anche Cassazione penale, sez. VI, 4 novembre 2004, n. 7259; Cassazione penale,
sez. III, 4 luglio 2002, n. 34310).
In particolare, nella sentenza del 4 novembre 2004, n. 7259, si legge: “È
indubbio che la fonte dell'obbligazione risarcitoria deve essere costituita dal reato,
ma poco rileva se il relativo danno civile sia immanente o, per così dire, esteriore
rispetto al fatto criminoso.
Il reato dal quale deriva un danno risarcibile non è il reato come fattispecie
normativa o modello legale, bensì il reato come fatto illecito, visto nella sua
materialità, nella quale si esprime l'efficacia dell'azione dell'agente e che
comprende sia elementi che fanno capo all'illecito penale sia quelli che fanno capo
all'illecito civile. Ne discende che il fatto produttivo di un danno s'identifica
nell'azione comunque lesiva di un diritto la cui tutela non può che trovare legittimo
inserimento nel processo penale, dalla cui definizione dipende la quantificazione
del danno stesso.
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È in tale ottica che va verificata la dipendenza diretta ed immediata del danno
dall'illecito penale considerato nella sua materialità; la responsabilità civile del
colpevole sussiste non soltanto in relazione all'offesa del bene oggetto della
specifica tutela penale, ma anche in relazione ad ogni altro interesse patrimoniale
o non patrimoniale, riconducibile nell'ambito della condotta delittuosa in virtù di
un nesso di derivazione eziologico”.
Alla luce dei sopra riportati principi, non si può dubitare che il danno che
consegue all’INAIL per effetto della condotta illecita di chi cagioni la morte o le
lesioni personali, con violazione della normativa per la prevenzione degli infortuni
sul lavoro, costituisca conseguenza immediata e diretta del reato.
Non può, quindi, assumere rilevanza la fonte giuridica e la disciplina
dell’intervento di tutela a favore delle vittime di infortuni sul lavoro, quanto
piuttosto la considerazione che, come sopra detto, tale intervento è conseguenza
necessaria e non eventuale del reato e che il rapporto di causalità tra la condotta
illecita e l’erogazione delle prestazioni a favore della vittima del reato deve essere
valutato nei suoi aspetti fattuali ed alla luce del combinato disposto degli artt. 40 e
41 del codice penale.
In quest’ottica, è innegabile che la condotta di chi abbia posto in essere la
fattispecie tipica prevista dalla norma penale, contravvenendo alle disposizioni
sulla prevenzione degli infortuni e così causando lesioni personali o la morte di un
lavoratore, costituisca conditio sine qua non e, quindi, causa della erogazione delle
prestazioni, che, in assenza di detta condotta, e quindi in assenza dell’evento
lesivo, non sarebbero state erogate.
Essendo, dunque, per quanto fin qui detto, già ammissibile, in base ai
principi generali dell’ordinamento, la costituzione di parte civile dell’INAIL quale
diretto danneggiato dal reato, appare evidente che la norma contenuta nell’art. 61
del D.Lgs. n. 81/2008 non abbia una valenza costitutiva della ammissibilità della
costituzione di parte civile dell’INAIL, dal momento che essa, pur costituendo una
definitiva ed autorevole conferma di detta ammissibilità, ha al riguardo una valenza
meramente ricognitiva di una possibilità che preesisteva alla norma.
L’INAIL (che, come è a tutti noto, è l’unico assicuratore pubblico contro gli
infortuni sul lavoro e le malattie professionali) è costretto a corrispondere per
intero le prestazioni previste dal D.P.R.
nr. 1124/65
in caso di evento
infortunistico avvenuto in occasione di lavoro o di malattia da porsi in nesso
causale o concausale con l’attività lavorativa svolta, indipendentemente da ogni
circostanza esterna che - come viceversa avviene per l’assicuratore privato (che
non garantisce l’assicurato se questi non è in regola con i premi di polizza e
risarcisce il danneggiato in proporzione alle rispettive colpe) – influiscono
negativamente sulla indennizzabilità e sulla entità del danno. Anche se il datore di
lavoro dell’infortunato è debitore verso l’Istituto di somme a titolo di contributi
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omessi, oppure l’evento è avvenuto per colpa (totale o parziale) dello stesso
lavoratore, l’INAIL deve erogare necessariamente tutte le prestazioni di legge,
come se il datore di lavoro fosse in regola con i contributi e senza tenere conto
dell’eventuale concorso di colpa dell’infortunato. Tutto questo perché la funzione
sociale dell’Istituto si basa sul fondamentale principio di automaticità delle
prestazioni, ribadito anche dalla Corte di Giustizia Europea, che rende unico - nel
panorama delle assicurazioni – il ruolo dell’INAIL.
L’INAIL, oltre ad avere il compito istituzionale di garantire le prestazioni ai
lavoratori infortunati, anche con una costante e continua assistenza
che segue
l’assicurato dall’evento infortunistico sino al suo reinserimento nel mondo del
lavoro (con cure di ogni genere, qualora ne avesse bisogno: il centro protesi di
Vigorsio di Budrio è, ad esempio, uno dei primi a livello mondiale), ha una
funzione di prevenzione che esercita non solo con i controlli ispettivi, ma anche
attraverso incentivi alle imprese che investono in sicurezza, finanziando ogni
iniziativa (stage presso le Università, borse di studio, concorsi) in
tema di
sicurezza sul lavoro.
La partecipazione dell’INAIL al processo penale, nella specifica qualità di
parte civile, ha, proprio per quanto sopra argomentato, un doppio interesse comune
ad ogni altro danneggiato che ha un autonomo diritto da far valere nei confronti
degli imputati: quella di contribuire, quale accusa privata, alla punizione dei
colpevoli dell’infortunio, che hanno violato le norme poste a tutela dei lavoratori
(che è proprio ciò che l’Istituto contrasta a livello istituzionale), nonché quella
conseguente di ottenere il dovuto risarcimento dei danni, in particolare il rimborso
di tutte le prestazioni che il medesimo Istituto è stato costretto ad erogare a causa
del verificarsi dell’infortunio o della malattia professionale. In effetti, secondo la
giurisprudenza (V. Cass. Pen. del 19.9.1997, CED 208709), “la parte civile ha, per
definizione, interesse (a prescindere dalle statuizioni di carattere civile
coinvolgenti i suoi diritti al risarcimento dei danni e alle restituzioni derivanti dal
reato) anche all’affermazione della responsabilità penale dell’imputato, in quanto
la decisione relativa si pone come presupposto del riconoscimento o della
negazione di tali diritti”.
Già nel 2005, durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario, il Procuratore
Generale presso la Corte di Cassazione (Favara) nel suo discorso citò l’INAIL a
proposito della piaga degli infortuni sul lavoro affermando che l’azione di regresso
in sede penale è “primario mezzo di prevenzione”, costituendo essa un notevole
deterrente.
Perché, allora, non definire l’INAIL “parte offesa”, anziché solo parte
danneggiata, visto e considerato che solo alla persona offesa il codice di procedura
penale riserva facoltà che consentono la partecipazione di quest’ultima sin dalla
fase iniziale delle indagini preliminari, con possibilità di incidere sulla stessa
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azione penale. Si pensi alla facoltà di opporsi alla richiesta di archiviazione
formulata dal P.M.; non sono rari i casi di archiviazione per difetto di querela,
perché al P.M. risulta una malattia, senza postumi permanenti, inferiore ai prescritti
40 gg., nonostante – viceversa – l’INAIL abbia accertato e indennizzato molti più
giorni di malattia e addirittura postumi di una certa gravità, che avrebbero
qualificato il reato come procedibile d’ufficio.
La persona offesa in quanto tale non è legittimata all’esercizio dell’azione
civile nel processo penale, poiché tale facoltà è prevista dall’art. 74 c.p.p. al
“soggetto al quale il reato ha recato danno”. A maggior ragione, l’INAIL, che è
anche parte danneggiata, può essere considerata parte offesa perché l’art. 61 del
D.lgs 81/08 riconosce all’Ente stesso il diritto di avere notizia dell’avvenuto
esercizio dell’azione penale da parte del P.M. in un momento addirittura anteriore a
quello previsto per la persona offesa, alla quale tale notizia è comunicata ex art.
419 c.p.p., dopo la fissazione dell’udienza preliminare.
A ben vedere, l’art. 61 citato configura in maniera diversa gli Enti; solo
quelli di cui al secondo comma non sono stati considerati danneggiati dal reato ma
solo “equiparati” alle persone offese, mentre l’INAIL e l’IPSEMA sono ritenuti
danneggiati e persone offese. D’altronde, l’opportunità di una entrata dell’INAIL
quanto prima possibile nel procedimento penale è condivisa da alcuni autorevoli
magistrati, come il Dr. Guariniello. L’INAIL è portatore di un proprio interesse
diretto al risarcimento del danno (inteso sempre come recupero di denaro pubblico)
ma è anche portatore di un interesse pubblico alla riduzione degli infortuni e
malattie professionali. Proprio la normativa sopra citata (in particolare l’art. 61)
pone l’Istituto in una posizione privilegiata rispetto ad ogni altra parte civile, che
sia o meno anche persona offesa. In tal senso sembra orientarsi la Suprema Corte ,
laddove scrive, nella sentenza nr. 47374/08 sopra citata, che “l’art. 61 …stabilisce
che le organizzazioni sindacali e le associazioni dei familiari delle vittime di
infortuni sul lavoro possono esercitare i diritti e le facoltà della persona offesa
[…]; anche questa disposizione conferma la diversità di posizione che si è voluto
riconoscere all’INAIL rispetto agli altri soggetti menzionati nel comma 2”.
Come si è anticipato trattando delle azioni di regresso e surroga,
la
costituzione di parte civile dell’Istituto è stata ammessa anche nei confronti di
imputati diversi dal datore di lavoro (e soggetti a lui collegati). Si pensi ai cantieri
dove operano più imprese, committenti, appaltatori e sub-appaltatori, con
lavoratori di una ditta che collaborano con lavoratori di altra ditta (formalmente o
anche sostanzialmente) e anche con lavoratori autonomi, quali artigiani e
professionisti, come direttori dei lavori e soggetti che comunque rivestono
posizioni di garanzia.
E’ senz’altro opportuno e corretto che la costituzione di
parte civile dell’INAIL sia rivolta, per tutti i motivi sopra illustrati, a tutti gli
imputati del processo e relativi soggetti eventualmente citati come responsabili
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civili, anche per una concordanza di giudicati. D’altronde, la già citata
giurisprudenza della Suprema Corte, non lascia dubbi a tale soluzione; a chi
evidenzia la diversa natura del regresso (diritto autonomo) rispetto alla surroga
(che è una successione nel credito) si risponde che il diritto dell’Istituto diventa
anch’esso autonomo una volta che si rende palese la domanda limitandola alle
poste di danno richiedibili, cioè alle prestazioni erogate agli aventi diritto.
Avvalora la suddetta tesi anche l’interpretazione che si deve dare alla parte
finale dell’art. 61 del D.lgs 81/08 (“…ai fini dell’eventuale costituzione di parte
civile e dell’azione di regresso”), secondo la quale i due concetti – costituzione di
parte civile e azione di regresso – devono rimanere separati. La costituzione di
parte civile è in altri termini una facoltà data all’INAIL, intesa come libera scelta
di uno strumento processuale finalizzato alla tutela dei suoi interessi, anche perché
comunque rimane per l’Istituto il diritto/dovere di esercitare l’azione di regresso in
sede civile. Altrimenti, diversamente ragionando, si imporrebbe una diversità di
trattamento rispetto a tutti gli altri soggetti danneggiati, che possono scegliere se
costituirsi parte civile nel processo penale o promuovere direttamente il giudizio
dinanzi al giudice civile.
Purtroppo, a distanza di più di due anni dall’entrata in vigore della norma
che obbliga i pubblici ministeri a dare avviso all’INAIL dell’avvenuta azione
penale, alcune Procure non ottemperano a tale disposizione di legge, per i motivi
più vari (non ultimo la carenza di personale di molti uffici). Si spera che, in un
prossimo futuro, la collaborazione tra INAIL e gli Uffici Giudiziari, Procure della
Repubblica in primis, si intensifichi, perché è senza dubbio necessario ed
opportuno – nell’interesse della giustizia stessa e dell’attività di prevenzione e
repressione che si deve svolgere per contrastare con ogni mezzo la triste piaga
degli infortuni sul lavoro – un maggior raccordo tra tutte le realtà che si occupano
del fenomeno.
La meritoria ed importante iniziativa dell’Osservatorio sulla sicurezza va
anche in questa direzione: mettere a confronto tutti i soggetti che a diverso ruolo si
occupano di sicurezza suoi luoghi di lavoro per alimentare quella più volte
richiamata cultura della sicurezza che giocoforza deve portare a prevenire gli
eventi infortunistici.
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