Orientamenti dottrinali e precedenti parlamentari in tema di regimi di

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Orientamenti dottrinali
regimi di emergenza
e
precedenti
parlamentari
in
tema
di
di Silvio Traversa *
1) Nozione d'assedio e suoi elementi
caratteristici;
2) Momenti
per la determinazione
dello stato d'assedio; 3) Lo stato d'assedio nell'ordinamento
italiano quale risulta dal diritto positivo antecedente la Costituzione
repubblicana;
4) Problemi relativi alla compatibilità
della normativa sullo stato d'assedio con
la Costituzione
repubblicana;
5) Il potere di ordinanza in generale e la relativa giurisprudenza della Corte costituzionale;
6) Stato d'assedio e decreto-legge;
7) I precedenti
parlamentaci.
1. ^Nozione di assedio e suoi elementi
caratteristici
Con l'espressione « stato d'assedio » si intende generalmente, secondo l'accezione più lata accolta già da lungo tempo dalla dottrina,
« l'assetto eccezionale al quale un territorio è sottoposto temporaneamente per superare condizioni di turbativa sociale, mediante la
estensione dei poteri delle autorità dello Stato e la correlativa restrizione delle libertà dei cittadini » (Grasso che si richiama a Majorana).
Proprio per la sua ampiezza tale definizione risulta insufficiente a
individuare l'intero fenomeno e si è posta l'esigenza di ulteriori classificazioni nell'ambito di ordinamenti « di democrazia classica ». Tali
classificazioni differenziano le numerose figure esistenti in riferimento:
1) alla struttura (si accoglie come criterio fondamentale l'elemento
organizzatorio distinguendo a seconda che l'autorità investita del potere determinante di comando sia quella militare — « etat de siège »
in senso stretto — ovvero quella civile di governo); 2) all'assetto eccezionale (si ha riguardo al diverso grado dei mutamenti determinati
* Consigliere della Camera dei deputati.
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Problemi costituzionali e parlamentari
entro l'ordinamento giuridico ed in particolare all'ampiezza dell'ambito
dei poteri straordinari e delle restrizioni delle situazioni giuridiche
soggettive); 3) all'autorità investita del potere di decidere lo stato
d'assedioRichiamandosi, tuttavia, ad una definizione di stato d'assedio che
tenga presenti anche le origini storiche dell'istituto, esso può essere
inteso « come l'insieme delle norme relative ad un certo territorio
in relazione ad una determinata situazione che riducono il territorio
sotto una disciplina unitaria ». Questo primo elemento caratteristico
dello stato d'assedio e cioè la territorialità, non appare sufficiente, da
solo, ad identificare lo stato d'assedio. Come è stato esattamente rilevato, « indagando sulla disciplina normativa che caratterizza lo stato d'assedio e che determina l'unità della situazione di fatto di un
territorio, situazione costituente il suo oggetto, si scopre che essa
produce una situazione normativa consistente nella sottrazione di quel
certo ambito territoriale "all'impero della legge comune" e, più specificamente, nella sospensione della vigenza delle norme dell'ordinamento dello Stato per quel determinato territorio » (dottrina concorde:
V. Ranelletti, Hauriou, Grasso, Rossi, Romano, Motzo, Ferrari ecc).
Al problema, che subito si pone, della qualità delle norme che
possono essere sospese, si può dare soluzione riflettendo sulla ragione
per la quale si procede alla proclamazione dello stato d'assedio e che
va rinvenuta nel pericolo o nel danno per la sussistenza e persistenza
dell'ordinamento stesso dello Stato in un suo determinato territorio.
Da qui la potenziale universalità degli effetti del provvedimento di
proclamazione dello stato d'assedio che può sospendere l'efficacia di
tutte le norme costitutive l'ordinamento giuridico dello Stato e che
concretamente dipenderà dalla forma rivestita dall'atto di proclamazione o dai limiti esplicitamente o implicitamente da esso deducibili
(Mortati, Grasso, Modugno-Nocilla). Di tal che, come è stato esattamente rilevato, « il fine del mantenimento della Costituzione formale
che fa dello stato d'assedio un istituto, rectius un ordinamento eminentemente conservatore, vale anche nettamente a distinguerlo, da un
punto di vista sostantivo, da istituti (od ordinamenti) ad esso totalmente irriducibili e con esso contrastanti, quali la rivoluzione o il
colpo di Stato, rivolti come sono a porre stabili e definitivi mutamenti alla Costituzione formale o addirittura a sopprimerla e a sostituirla con una nuova, attraverso una esplicita violazione di essa, pur
nell'eventuale intendimento di svilupparne lo spirito ».
Regimi di emergenza
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2. Momenti per la determinazione dello stato d'assedio
Richiamiamo ora i momenti più significativi per la determinazione
dello stato d'assedio con riferimento sia alla sua instaurazione sia alla
sua cessazione.
1) Il presupposto di fatto, che consiste nell'accertamento di uno
stato di emergenza tale da creare una situazione di pericolo o di
danno per la persistenza dell'ordinamento giuridico statuale su di un
certo territorio.
2) Uatto di proclamazione o dichiarazione dello stato d'assedio, (che
conferisce giuridicità al presupposto di fatto), mediante il quale si
attua una particolare disciplina normativa nel senso che il nuovo ordinamento provvisorio si sostituisce a quella parte dell'ordinamento
originario le cui norme sono sospese. In relazione a quest'ultimo
punto e cioè all'adozione della « decisione iniziale » (Grasso) sorgono
i maggiori interrogativi e le connesse differenziazioni, anche radicali,
della dottrina, specie con riguardo: a) all'autorità competente ad adottare un simile atto; b) al procedimento di adozione; e) alla forma
dell'atto e alle modalità della sua pubblicità; d) ai rapporti con i
provvedimenti di concreto esercizio dei poteri conferiti con l'atto iniziale.
Storicamente può rilevarsi che il potere di proclamare lo stato di
assedio, prima attribuito alla prerogativa regia, si è andato trasformando
nel senso di individuare nell'autorità di Governo quella abilitata alla
proclamazione, sia pure con la progressiva partecipazione delle Assemblee
parlamentari (ma non va dimenticato il penetrante intervento del potere giudiziario nei paesi anglosassoni), sulla necessità dell'intervento
delle quali, sia pure a posteriori, si registra una certa convergenza:
resta naturalmente aperto il problema della qualificazione di tale attività parlamentare di sindacato politico, e, cioè, se essa debba essere ricondotta al bill d'indennità, alla legge di conversione o alla
ratifica.
Sembra, comunque che circa il procedimento per giungere alla proclamazione dello stato d'assedio sia determinante il singolo ordinamento
positivo: si pensi, ad esempio, al capo dello Stato (secondo la soluzione
dell'articolo 48 della Costituzione di Weimar o dell'articolo 16 della
vigente Costituzione francese) o al Governo (secondo la previsione della
legge di pubblica sicurezza nel periodo fascista). In ogni caso, non sem*
bra possa ritenersi determinante, ai fini di escludere l'ammissibilità dello
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Problemi costituzionali e parlamentari
stato d'assedio, il silenzio serbato sul punto dall'ordinamento positivo
(quando non addirittura la espressa previsione da esso compiuta dell'impossibilità della sua proclamazione), ove si consideri che l'ordinamento tende naturalmente alla propria conservazione e, quindi, alla
tutela della costituzione formale a fronte di eventi straordinari (Mortati, Rossi, Ranelletti, Ferrari, Modugno e Nocilla).
3) La concreta attuazione dello stato d'assedio consiste nella sospensione di norme dell'ordinamento originario con la contemporanea
adozione di misure dirette a superare l'emergenza. In proposito sorge
il quesito di quali norme possano essere sospese attraverso Io stato
d'assedio specie in un ordinamento a costituzione rigida garantita come il nostro: ciò avuto particolare riguardo a quelle norme che per
essere caratterizzanti della costituzione materiale appaiono, prima facie,
insuscettibili di limitazione alcuna. Al dubbio sembra, peraltro, sia da
rispondere in senso negativo tenuto conto delle considerazioni fatte
nel precedente paragrafo circa la universalità di effetti della proclamazione dello stato d'assedio.
4) La cessazione degli effetti dello stato d'assedio ed il conseguente ristabilimento del precedente ordinamento sospeso. In proposito occorre distinguere a seconda che Tatto di proclamazione o comunque il diritto positivo prevedano o meno un termine a decorrere
dal quale cessino gli effetti determinatisi con lo stato d'assedio. Qualora nessun termine sia esplicitamente individuabile si potrà richiedere:
a) un atto formale di cessazione analogo a quello richiesto per la
proclamazione (v. Majorana) e, in questo caso, occorrerà determinare
se l'autorità competente debba essere la stessa che ha provveduto
alla proclamazione ovvero altra autorità (v. Ranelletti); b) si ricondurrà all'effettivo superamento dello stato di emergenza la cessazione
degli effetti dell'assedio con una eventuale « dichiarazione di cessazione » (v. Grasso) che determini altresì quali dei provvedimenti
adottati debbano essere mantenuti.
3. Lo stato d'assedio nell 'ordinamento italiano quale risulta dal
diritto positivo antecedente la Costituzione repubblicana
Alla stregua della nozione di stato d'assedio qui accolta, tre ordini
di disposizioni normative debbono essere prese in considerazione. Due
sono contenute nel R.D. 18 giugno 1931, n. 773 che approva il testo
unico delle leggi di pubblica sicurezza (articoli 214-219), l'altro nel
Regimi di emergenza
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R.D. 8 luglio 1938, n. 1415 che approva i testi della legge di guerra
e di neutralità (articolo 3).
a) Stato di pericolo pubblico: gli articoli 214-216 del citato testo
unico di P.S. attribuiscono al ministero dell'interno (o ai prefetti per
delegazione), con l'assenso del Capo del Governo e sulla base del
mero presupposto del « pericolo di disordini », il potere di dichiarare lo stato di pericolo pubblico in forza del quale le predette autorità divengono titolari del potere di « emanare ordinanze, anche in
deroga alle leggi vigenti, sulle materie che abbiano comunque attinenza all'ordine pubblico o alla sicurezza pubblica ».
b) Stato di guerra per motivi di ordine pubblico: gli articoli 217219 attribuiscono alle medesime autorità civili di cui sopra, con lo
stesso procedimento, il potere di dichiarare lo stato di guerra in vista della necessità « di affidare all'autorità militare la tutela dell'ordine pubblico ». Con ciò non solo le autorità militari divengono titolari del potere di emanare ordinanze, come nell'ipotesi sub a), (cosiddetti bandi militari) e le autorità civili possono svolgere funzioni
in materia di ordine pubblico soltanto in quanto e nella misura in
cui vengano loro delegate dall'autorità militare, ma si instaura anche,
sia pure in forma limitata, una competenza dei tribunali militari per
i giudizi contro le persone imputate di determinati reati.
e) Stato di guerra interno: l'articolo 3 del citato R.D. n. 1415
del 1938 consente « l'applicazione, in tutto o in parte, della legge di
guerra ... se è ritenuto necessario nell'interesse dello Stato, ancorché
lo Stato italiano non sia in guerra con altro Stato ». Tale ipotesi si
realizza mediante decreto reale, su proposta del Capo del Governo,
sentito il Consiglio dei ministri ed essa comporta che al comandante
militare è attribuita automaticamente la « facoltà di emanare bandi
che hanno valore di legge ».
4. Problemi relativi alla compatibilità della
d'assedio con la Costituzione
repubblicana
normativa
sullo
stato
Occorre anzitutto rilevare che la Costituzione non contiene alcun
esplicito accenno allo stato d'assedio, né sotto il profilo della sua
ammissibilità, né sotto quello dell'eventuale procedimento instaurativo
e degli organi competenti sia a valutare l'esistenza dei presupposti di
fatto, sia a proclamarlo formalmente. Ciò, peraltro, non significa che
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Problemi costituzionali e parlamentari
la Costituente non si occupò del problema. Essa anzi lo affrontò tanto in sede di Commissione (I sottocommissione) quanto in sede di
Assemblea (seduta pomeridiana del 15 aprile 1947) senza giungere
a definirlo in modo ultimativo in quanto accantonò, senza poi successivamente riprenderlo per mancanza di coordinamento, il noto articolo aggiuntivo Crispo, secondo il quale: « L'esercizio dei diritti di
libertà può essere limitato o sospeso per necessità di difesa, determinate dal tempo o dallo stato di guerra, nonché per motivi di ordine pubblico, durante lo stato d'assedio. Nei casi suddetti, le Camere,
anche se sciolte, saranno immediatamente convocate per ratificare o
respingere la proclamazione dello stato d'assedio e i provvedimenti
relativi ».
Tuttavia la Costituzione ha disciplinato espressamente da un lato,
lo stato di guerra, demandando alle Camere il compito di « deliberarlo », conferendo al Governo i poteri necessari (articolo 78) e al
Capo dello Stato quello di « dichiararlo » e cioè di esternarlo (articolo 87) e, dall'altro lato, la possibilità di adozione da parte del Governo, « in casi straordinari di necessità e d'urgenza » di « provvedimenti provvisori con forza di legge » da sottoporre immediatamente
a ratifica del Parlamento (articolo 77).
SÌ tratta ora, pertanto, di esaminare se le tre ipotesi di assedio
sopradescritte siano compatibili, ed eventualmente in che misura, con
il nuovo assetto costituzionale, sia con specifico riferimento alle disposizioni della Costituzione testé richiamate (articoli 77, 78, 87) sia,
più generalmente, con riferimento ai principi ricavabili dal nuovo sistema, particolarmente sub specie dei rapporti tra Esecutivo e Legislativo in situazioni di necessità ed urgenza.
Sembra opportuno richiamare, preliminarmente, il problema, postosi
all'indomani dell'entrata in vigore della Costituzione (vedi sentenza 7
febbraio 1948 delle sezioni unite penali della Corte di Cassazione) e
riaffrontato con maggior ricchezza argomentativa con l'entrata in funzione della Corte Costituzionale (vedi le sue due prime sentenze: 14
giugno 1956, n. 1 e 23 giugno 1956, n. 2), della idoneità o meno
delle disposizioni costituzionali ad abrogare leggi preesistenti. Al principio enunciato dalla Corte di Cassazione della « necessità di esaminare caso per caso » per valutare se le norme costituzionali siano precettive ed anche di immediata applicazione (nel senso che non hanno
bisogno di essere integrate per la loro applicazione) ovvero soltanto
direttive o programmatiche (nel senso che pongono principi di cui il
legislatore ordinario deve curare l'attuazione), seguono le afferma-
Regimi di emergenza
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zioni della Corte Costituzionale secondo cui « gli istituti della abrogazione e dell'illegittimità costituzionale delle leggi non sono identici
ma si muovono su piani diversi e con effetti e competenze differenti;
il campo dell'abrogazione è più ristretto e i requisiti per l'abrogazione sono più limitati di quelli richiesti per la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una legge »; e « la distinzione tra norme precettive e programmatiche della Costituzione può essere determinante per decidere della abrogazione o meno di una legge ma non
lo è nei giudizi di legittimità costituzionale ». Al quesito sopraposto è
stata quindi data soluzione affermativa, come del resto sostenuto da
autorevole dottrina (vedi per tutti Crisafulli), di talché sembra potersi sintetizzare il fenomeno nella seguente formula: idoneità
delle norme costituzionali ad abrogare norme anteriori se queste sono
con esse incompatibili ovvero se regolano in modo integrale l'intera
materia già regolata dalla norma anteriore.
Venendo ora più propriamente al tema della compatibilità delle
tre richiamate ipotesi di assedio con il nuovo ordinamento costituzionale è da rilevare che la dottrina appare divisa anche per la diversa angolatura con la quale è stato affrontato, in termini di abrogazione o di illegittimità costituzionale, e, soprattutto, per essersi concentrata l'attenzione sul più rilevante aspetto contenutistico del potere d'ordinanza e cioè la possibilità, in un sistema rigido delle fonti,
di derogare a disposizioni contenute in fonti primarie o legislative.
Così, mentre per le norme che contemplano i bandi militari di cui
alla precedente lettera e) la dottrina è decisamente orientata nel senso
di ritenerle ancora in vigore (Pergolesi, Mortati), per quelle relative
alle ordinanze civili e militari di cui alle lettere a) e b) alcuni le ritengono ancora in vigore (Ranelletti, Di Gommo), altri completamente
abrogate (Mortati, Santoni-Rugiul, altri ancora, abrogate parzialmente
(Sandulli), mentre l'orientamento forse prevalente imposta il problema non già in termini di abrogazione bensì di contrasto con alcune
interpretazioni di norme costituzionali il che richiederebbe, al pari
di ogni disposizione legislativa di dubbia costituzionalità, una esplicita
declaratoria di incostituzionalità ad opera della Corte Costituzionale
per far perdere definitivamente efficacia alle norme in esame.
Più complessa, invece, anche per le maggiori sfumature cui si presta, la posizione della dottrina sull'ammissibilità, di un potere di ordinanza anche in deroga alle leggi vigenti: 1) una prima tesi che
assume l'incostituzionalità del potere derogatorio attribuito agli organi di polizia, muove dal presupposto che le ordinanze costituireb-
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Problemi costituzionali e parlamentari
bero atti normativi aventi forza di legge la cui esistenza contrasterebbe irrimediabilmente con il sistema degli articoli 70, 76 e 77 della
Costituzione (vedi soprattutto Rescigno, Barile, Ferrari, Cuocolo, Galateria, Guadalupi, Paladin, Esposito, Virga, Motzo); 2) una seconda
tesi che, al contrario, assume conforme al sistema vigente una potestà
derogativa, osserva che quella non implica altresì attribuzione di potestà normativa agli organi di pubblica sicurezza e richiamandosi a due
sentenze della Corte Costituzionale (quelle n. 8 del 1956 e n. 26 del
1961, concernenti il famoso articolo 2 del testo unico delle leggi di
pubblica sicurezza) sostiene « essere compatibile con il principio di
legalità l'esistenza di una serie di atti amministrativi di fronte ai quali le norme di legge acquistino efficacia dispositiva » (vedi Sandulli,
Dotto, Di Ciommo e, forse Mortati, nonché, con molte perplessità,
Crisafulli).
Comunque a prescindere da questa sommaria panoramica delle più
significative posizioni della dottrina sia pure su aspetti particolari ma
certamente rilevanti per il tema in esame non può non prendersi
atto del prevalente orientamento che è per la sostanziale incostituzionalità, anche se con distinguo e sfumature, delle ipotesi normative
sull'assedio, innanzi ricordate. Incostituzionalità che, anche laddove
non travolgano — secondo talune opinioni — l'intera normativa per
investirne soltanto aspetti parziali, incidono comunque in modo rilevante su tutte e tre le fattispecie di cui alle precedenti lettere a), b)
e e) quantunque sotto profili di ordine procedimentale: si pensi, ad
esempio, al potere di dichiarare lo stato di pericolo pubblico e lo stato
di guerra ai fini della tutela dell'ordine pubblico (di cui ai citati articoli 214 e 217 del testo unico di P.S.) o a quello di emanare ordinanze in deroga alle leggi vigenti (di cui all'articolo 216) attribuito
alla competenza del solo ministro dell'interno, nonché al potere di
ordinare, con decreto reale, l'applicazione della legge di guerra ancorché non si sia in guerra con altro Stato (di cui all'articolo 3 del
citato R.D. n. 1415 del 1938) in contrasto: con l'articolo 77 Costituzione, secondo il quale il potere di emanare provvedimenti con forza di legge — che tra l'altro possono avere soltanto carattere provvisorio (i 60 giorni entro i quali dovrà avvenire la conversione delle
Camere) — spetta non a un singolo ministro ma al Governo, che vi
provvede mediante deliberazione del Consiglio dei ministri e con decreto del Presidente della Repubblica; con l'articolo 78 Costituzione
che affida alle Camere la deliberazione dello stato di guerra e, quindi,
la valutazione della sua opportunità con conseguente conferimento al
Regimi di emergenza
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Governo dei poteri necessari; con i principi costituzionali di ordine
sistematico e specificamente con quelli ricavabili dagli articoli 94 e
95 Costituzione sia in riferimento ai rapporti tra Governo e Parlamento sia a quelli che all'interno dell'organo collegiale di Governo
si instaurano tra Presidente del Consiglio e singoli ministri. Si pensi,
ancora, al potere del prefetto « di ordinare l'arresto o la detenzione
di qualsiasi persona, qualora ciò ritenga necessario per ristabilire o per
conservare l'ordine pubblico » (di cui all'articolo 215 del citato testo unico di P.S.) in contrasto con le garanzie procedimentali stabilite
dall'articolo 13 della Costituzione: a) atto motivato dall'autorità giudiziaria nei soli casi e modi previsti dalla legge; b) in casi eccezionali di necessità ed urgenza il carattere comunque provvisorio dei
provvedimenti adottati, da comunicare entro quarantotto ore alla autorità giudiziaria per la convalida nelle successive quarantotto ore. Si
pensi, infine, alla competenza attribuita dall'articolo 219 del testo
unico leggi di P.S. ai tribunali militari in evidente contrasto con i
principi costituzionali, non essendovi dubbi che l'espressione « in tempo di guerra », di cui all'ultimo comma dell'articolo 103 della Costituzione debba coordinarsi, sotto il profilo procedurale, con l'articolo
78 Costituzione che, come già sottolineato, prevede l'intervento delle
Camere per la deliberazione dello stato di guerra.
Né appare utile, in questa sede, approfondire ulteriormente i problemi concernenti il procedimento instaurativo dello « Stato di guerra » disciplinato dagli articoli 78 e 87 della Costituzione, anche in
riferimento all'articolo 11 e, particolarmente, valutare il tipo di intervento delle Camere: se, cioè, esso debba essere considerato o meno come esclusivamente preventivo e, comunque, se la sua deliberazione debba avvenire nella forma della legge o non anche, e più
semplicemente, con atto bicamerale non legislativo (vedi Elia).
5. Il potere di ordinanza in generale e la relativa giurisprudenza
della Corte Costituzionale
Alle considerazioni sin qui svolte con specifico riferimento alle ipotesi di stato d'assedio previste dall'ordinamento altre occorre aggiungerne che hanno particolare riguardo al potere d'ordinanza in generale — e quindi coinvolgono quello speciale potere d'ordinanza e/o di
bando di cui alle disposizioni sopraricordate ma vanno anche oltre
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Problemi costituzionali e parlamentari
quello — secondo le interpretazioni e le limitazioni offerte dalla stessa giurisprudenza della Corte Costituzionale.
Secondo la definizione tradizionale, le ordinanze di necessità e di
urgenza sono quegli « atti generali o singolari non predeterminati
quanto al contenuto, emanati in casi di urgente necessità da autorità
amministrative diverse dal Governo » (Zanobini, Rescigno). Rientrano
in questa categoria, ad esempio, gli atti di cui agli articoli 2 e 216
del testo unico leggi P.S., articoli 19, 20 e 55 testo unico legge
comunale e provinciale del 1934, articoli 129 e 261 del testo unico
della legge sanitaria del 1934.
Le ordinanze, a differenza di ogni altro provvedimento- amministrativo, come è stato rilevato, hanno ciò di caratteristico, che le norme
che le prevedono legittimano la pubblica amministrazione ad emanare provvedimenti anche rispetto a fattispecie non prevedute da diritto e, particolarmente, abilitano le autorità a derogare ad un numero indeterminato di norme. Peraltro, questo generale potere derogatorio, tipico delle ordinanze, attribuito ad autorità amministrative
diverse dal Governo, sia pure in casi di necessità e di urgenza, se
accolto senza limitazioni — come le norme che lo prevedono inducono a ritenere — è contrario a Costituzione, salvo a ricorrere alla
necessità come autonoma fonte del diritto. Ed è proprio per evitare
tali conseguenze che da parte della dottrina, nell'intento di salvare
le norme attributive del potere di ordinanza si sono individuate delle
limitazioni che, riducendone l'ampiezza, valessero a non renderlo contrastante con la Costituzione. In tal senso si è mossa la stessa Corte
Costituzionale che, investita per due volte del giudizio sulla legittimità costituzionale dell'articolo 2 testo unico leggi di P.S. (sentenze
n. 8 del 1956 e 26 del 1961), soltanto la seconda volta lo ha dichiarato incostituzionale « nei limiti in cui attribuisce ai Prefetti il
potere di emettere ordinanze senza il rispetto dei principi dell'ordinamento giuridico ». Dalla decisione della Corte, che riguarda l'articolo
2 del testo unico leggi di P.S. ma le cui considerazioni sono estensibili a tutte le ordinanze, si ricava con certezza che le ordinanze non
possono contravvenire a disposizioni della Costituzione e che non
possono neppure intervenire in materia coperta da riserva assoluta di
legge.
Oltre queste conclusioni, altre, sia pure in via di interpretazione,
possono trarsi dalle pronunzie della Corte e precisamente — come è
stato esattamente sottolineato (vedi Rescigno) — può rilevarsi che
« le ordinanze, sia che ci si riferisca a quelle oggi previste sia che
Regimi di emergenza
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ci si riferisca a quelle che eventualmente il legislatore voglia legittimare in futuro, affinché possano essere ritenute non incostituzionali,
non possono in nessun caso essere contrarie a disposizioni della Costituzione o intervenire in materia coperta da riserva assoluta di legge,
possono intervenire contra legetn in materia coperta da riserva relativa solo quando le norme relative contengono i criteri direttivi (e
cioè, oggi, solo in alcuni pochi casi), possono tutte intervenire anche
in deroga a legge in materie non coperte da alcuna riserva di legge,
possono infine essere contrarie a fonti subordinate alla legge (in particolare a regolamenti). In definitiva il potere di ordinanza conforme
a Costituzione si riduce in limiti molto stretti, pregiudicando il fine
che con esso il legislatore si proponeva, fare fronte a tutte o per
lo meno alla più parte delle situazioni di urgente necessità, non solo
a quelle non riservate, in via assoluta o relativa, a leggi ».
6. Stato d'assedio e decreto-legge
Si è sin qui sottolineata l'impossibilità o comunque la assai dubbia
conformità al sistema costituzionale che ordinanze della pubblica amministrazione o bandi dell'autorità militare possano disporre in luogo
della legge o contro disposizioni di legge sulla base di valutazioni
compiute da quelle stesse autorità senza che intervenga il Parlamento,
con legge formale o con deliberazione bicamerale non legislativa, com'è previsto per la dichiarazione di guerra, ovvero intervenga un atto
equiparato dalla Costituzione alla legge, così come stabilito esplicitamente dall'articolo 77 Costituzione per i provvedimenti provvisori con
forza di legge adottati dal Governo in casi straordinari di necessità
e d'urgenza che richiedono la immediata presentazione alle Camere e
la successiva conversione in legge entro sessanta giorni.
L'ulteriore problema che si pone è se lo strumento del decreto-legge
consenta anche il superamento delle « riserve assolute » di legge e/o
la sospensione di libertà costituzionalmente previste e garantite e di
altre disposizioni costituzionali la cui applicazione risultasse incompatibile con lo stato d'emergenza verificatosi. Stando ad una autorevole
dottrina (Esposito) il Governo in caso d'urgente necessità può procedere con forza di legge oltre il valore della legge ordinaria cioè può
emanare provvedimenti aventi la forza della legge in generale e cioè
comune alle leggi statali di ogni tipo, ordinaria o costituzionale,
e inoltre alle leggi regionali; solo che là dove si provvede in materia
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Problemi costituzionali e parlamentari
che neanche le leggi ordinarie potrebbero disciplinare allora la necessità deve essere maggiore e più intensa, non può essere solo soggettiva ma anche obiettiva. L'ammissibilità di decreti-legge eccedenti il
valore delle leggi ordinarie si ricava sia dall'articolo 77, comma terzo
(non avrebbe altrimenti alcun significato l'espressa previsione della facoltà delle Camere di « regolare con legge i rapporti giuridici sorti
sulla base dei decreti non convertiti ») sia dall'articolo 78 (secondo
il quale le Camere consentono al Governo con legge ordinaria la
facoltà di sospendere anche garanzie costituzionali, il che confermerebbe l'esistenza di leggi ordinarie che possono legalizzare provvedimenti che vanno oltre il disponibile con legge ordinaria). Secondo tale
impostazione, quindi, la proclamabilità dello stato d'assedio per via
di decreto-legge dovrebbe fondarsi sull'ordinamento positivo e cioè
sulla stessa disposizione costituzionale e non sulla necessità intesa come fonte extra ordinem.
Accanto ed oltre l'eventualità dell'intervento governativo mediante
l'adozione di decreti-legge esiste altresì la possibilità di richiamare la
funzione del Capo dello Stato che, secondo una suggestiva ricostruzione (Esposito, Martines), consentirebbe al Presidente della Repubblica di erigersi a reggitore dello Stato nella ipotesi di crisi dell'intero
sistema. Di tale impostazione, che si fonda non solo sulla considerazione che il Presidente della Repubblica è una delle forze politiche
dello Stato ma anche su di una attenta valutazione del complesso di
poteri allo stesso attribuiti, sembra essersi resa conto la dottrina più
diffusa quando definisce il Capo dello Stato come « difensore o custode o garante della Costituzione » (Barile) con la specifica attribuzione della funzione di rimettere in moto il meccanismo costituzionale
eventualmente inceppatosi (Elia).
Concludendo, si può convenire (vedi Modugno e Nocilla) che il
sistema costituzionale « sembra predisporre tre argini di fronte alle
situazioni di emergenza verificabili, che rendano necessaria la proclamazione dello stato d'assedio. I primi due presuppongono che il sistema non entri in crisi nel proprio complesso e si risolvono nella
deliberazione delle Camere, presa in ossequio all'articolo 78 Costituzione, o nel decreto-legge adottato dal Governo. Nel caso, invece, in
cui l'intiero sistema entrasse in crisi, non essendo consentito agli
organi dell'apparato statuale di funzionare, il Presidente della Repubblica potrebbe assumere poteri dittatori. Al di fuori di queste possibili strade non resterebbe che far richiamo a quelle impostazioni per
cui la necessità costituirebbe essa stessa una vera e propria fonte di
Regimi di emergenza
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diritto... oppure un'ipotesi di fatto... quasi si trattasse di una vera
e propria legittima difesa dello Stato ».
7. I precedenti parlamentari
Dei problemi fin qui trattati e, particolarmente, dell'adeguamento
delle disposizioni del testo unico delle leggi di P.S. alla nuova Carta
costituzionale il Governo si fece interprete all'indomani dell'entrata
in vigore della Costituzione, mediante la presentazione al Senato della
Repubblica, il 1.0 dicembre 1948, del disegno di legge n. 163. Decaduto tale progetto per scadenza della legislatura, il Governo ripresentò
al Senato il 10 dicembre 1953 (Atto n. 254) un altro disegno di
legge composto di venticinque articoli che, rielaborato dalla I Commissione di quella Camera, fu trasmesso per la discussione in Aula
il 6 giugno 1956. Il Senato, dopo aver approvato i primi sette articoli, sospese la discussione in Assemblea, e il disegno di nuovo decadde per la sopravvenuta cessazione della legislatura.
Anche all'inizio della terza legislatura il Governo, nell'intento di
pervenire all'auspicata riforma, si affrettò a presentare alla Camera
dei deputati, il 16 dicembre 1958, un nuovo disegno di legge di carattere generale (Atto n. 715). Il disegno di legge venne assegnato
all'esame della II Commissione Affari interni della Camera, prima in
sede referente e, quindi, il 12 dicembre 1961, in sede legislativa, ma
i lavori parlamentari non furono completati per il sopraggiungimento
ancora una volta della scadenza della legislatura stessa.
All'inizio della quarta legislatura il Governo riprese le iniziative in
precedenza assunte. Previa rielaborazione degli studi sull'argomento,
predispose un nuovo testo di riforma (Atto n. 1773) con il quale
si teneva conto non solo delle pronunzie in materia della Corte Costituzionale ma anche delle nuove esigenze maturate.
Questo progetto che fu l'ultimo provvedimento presentato si differenziava ampiamente dai precedenti in quanto era composto da 75
articoli e aveva riferimento a ben 90 articoli del vigente testo unico
delle leggi di P.S., di cui ne modificava 68 e ne abrogava 22, comportando, altresì, l'abrogazione di altre leggi speciali.
In particolare gli articoli 64" e 65, nella stesura originaria, sostituivano integralmente gli articoli 214 e 215 del vigente testo unico
delle leggi di P.S. concernenti Io stato di pericolo pubblico.
148
Problemi costituzionali e parlamentari
L'articolo 64 del disegno di legge prevedeva nei casi straordinari
di necessità ed urgenza il ricorso alla procedura del decreto-legge ai
sensi dell'articolo 77, comma secondo, della Costituzione per dichiarare un siffatto stato, mentre, relativamente ai mezzi per fronteggiare
le conseguenti situazioni di pericolo, si circondavano di opportune garanzie i necessari poteri attribuiti alle competenti autorità amministrative, stabilendo con l'articolo 65 che i relativi provvedimenti potevano essere emanati limitatamente alle materie attinenti alla tutela
dell'ordine e della sicurezza pubblica e con le dovute garanzie a tutela dei singoli.
Nella formulazione dell'articolo si teneva conto anche dei dibattiti
parlamentari, inquadrando i relativi provvedimenti nella disciplina di
carattere generale prevista, per le competenze rimesse agli organi del
potere esecutivo, in caso di urgenza, dall'articolo 13, terzo comma,
della Costituzione.
Sulla base di precisi precetti costituzionali, il disegno di legge prevedeva, infine, l'abrogazione degli articoli 217, 218 e 219 concernenti la dichiarazione dello stato di guerra, disciplinato direttamente
dall'articolo 78 della Costituzione.
Il progetto di legge, dopo ampia discussione, fu approvato dall'Assemblea del Senato il 27 giugno 1967 e trasmesso alla Camera (Atto
n. 4209), il 1° luglio 1967, assegnato alla II Commissione interni
in sede referente e da questa mai esaminato.
Occorre sottolineare che rispetto al testo originario presentato dal
Governo, quello varato dal Senato risultava significativamente modificato in quanto, da un lato, il primo articolo (divenuto articolo 69)
limitava la possibilità di dichiarare lo stato di pericolo pubblico soltanto
nei casi di necessità e di urgenza « determinati da gravi calamità naturali », dall'altro lato l'articolo 70, che sostituiva l'articolo 215 del
testo unico leggi P.S., consentiva sì al prefetto di adottare i provvedimenti provvisori indispensabili per la tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, ma soltanto « in esecuzione delle misure disposte con
decreto-legge » e « sempre nel rispetto delle norme della Costituzione
e dei principi dell'ordinamento giuridico ».
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