La guerra persa degli antibiotici

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La guerra persa degli antibiotici
Business e deontologia
Giuseppe Miragliotta*
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Nell’editoriale “Dove va la medicina?” apparso su
Negri News di marzo 2006, Silvio Garattini afferma che
“è l’interesse economico ad orientare le scelte di sviluppo degli interventi medici e della ricerca biomedica”,
citando l’esempio delle malattie rare che “non attirano
investimenti perché prive di adeguati ritorni economici”.
Purtroppo l’affermazione è trasferibile ad un altro
settore medico, ben più vasto, quale è quello degli antibiotici.
Negli ultimi decenni in tutto il mondo è stato messo
in evidenza l’aumento significativo della resistenza batterica agli antibiotici. Si sono definite le vie e le modalità con cui i batteri resistenti si trasmettono da persona a
persona e fra uomo, animali, piante.
Dall’atteggiamento trionfalistico che relegava ormai
al passato le malattie infettive, osservato subito dopo la
scoperta della penicillina e degli antibiotici successivi, si
è giunti a Stuart Levy: “Il paradosso degli antibiotici,
farmaci del miracolo che hanno distrutto il miracolo”.
Infatti la resistenza agli antibiotici è un fenomeno grave,
per i suoi effetti diretti sul successo e sul costo del trattamento del paziente.
Si parla, entro non molti anni, di un possibile ritorno
all’era preantibiotica.
Cioè un ritorno alla situazione precedente agli anni
’40, quando fu resa disponibile la penicillina.
La gravità della situazione è attestata da tutte le iniziative che a riguardo vengono intraprese.
Nel giugno 2004 la European Society for Clinical
Microbiology and Infectious Diseases ha affrontato il
problema con un simposio internazionale ad hoc.
Sfortunatamente esistono pochi nuovi farmaci antibiotici all’orizzonte; l’industria
farmaceutica appare poco interessata alla ricerca di nuovi prodotti,
poiché a fronte del costo elevatissimo della ricerca, il rapido insorgere di resistenza alla nuova molecola la renderebbe ben presto inutiPaul Erlich (1854-1
1915)
lizzabile.
Notiziario Luglio 2006
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Foto Eugene Richards
Così l’affermazione di Paul Erlich, pioniere della chemioterapia, “La resistenza accompagna gli antibiotici
come un’ombra fedele” è sempre attuale.
Dal 1970 al 2000 non sono stati scoperti nuovi antibiotici, poiché quelli dichiarati “nuovi” sono in realtà
derivati di molecole preesistenti.
Nel 2002 sono state rese disponibili due nuove molecole, il Linezolid e la Daptomicina, efficaci contro i cocchi Gram-positivi.
D’altra parte gli studi di sorveglianza epidemiologica
sono chiari; negli Stati Uniti il 50% degli pneumococchi,
ancora oggi “capitani degli uomini della morte”, come li
definì il clinico americano William Osler, è resistente
alla penicillina.
In Italia tale resistenza si attesta intorno al 16%,
accompagnandosi peraltro alla resistenza verso altri
antibiotici importanti come macrolidi, cefalosporine,
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trimethoprim-sulfametossazolo, cloramfenicolo.
Per non parlare di stafilococco aureo ed enterococco,
ormai divenuti multiresistenti e responsabili di infezioni
ospedaliere gravi.
Quando la vancomicina, ancora utilizzabile per stafilococchi resistenti a tutti gli altri antibiotici, risultò inutile, un articolo di “Trends in Microbiology” parlò di
“nuova apocalisse”.
Storia recente della ricerca in antibioticoterapia
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Quale l’atteggiamento da tenere? Sicuramente la
messa in opera di tutte le strategie adatte per ridurre la
diffusione dei batteri resistenti e per ottimizzare l’efficacia dei farmaci disponibili. L’ottimizzazione dovrebbe
consistere nello scegliere, di volta in volta, l’antibiotico
attivo sul germe più probabilmente responsabile dell’infezione e nel somministrarlo per il giusto periodo di
tempo, con i minori effetti tossici per il paziente.
A questo proposito Casadevall, nel 1996, ha definito
la terapia antibiotica come l’arte di far coincidere la possibilità che un’infezione sia sostenuta da un determinato
patogeno con la probabilità che l’antibiotico prescelto
sia attivo proprio verso quel patogeno.
Ma anche, modernamente, è importante scegliere,
nell’ambito della stessa classe di antibiotici, quello che
consente, a malattia risolta, la sopravvivenza del minor
numero possibile di batteri resistenti.
Questi ultimi, i cosiddetti “ceppi mutanti resistenti”,
presenti anche a guarigione avvenuta, sono infatti
responsabili della diffusione della resistenza e della progressiva inutilizzabilità degli antibiotici stessi.
Ai colleghi che ne faranno richiesta tramite e-mail, verranno inviati in formato pdf due articoli di approfondimento: G. Miragliotta. Parametri microbiologico-terapeutici per la scelta più opportuna di un antibiotico da utilizzare in
ambito ospedaliero. Nuove Prospettive in terapia, n. 3, 2003. G. Miragliotta.
Terapia antibatterica: dal test in vitro al paziente. Aggiornamento Medico,
vol. 26, n. 10, 2002.
* Cattedra di Microbiologia, Facoltà di Medicina e Chirurgia,
Uni-versità di Bari. E-mail: [email protected].
Notiziario Luglio 2006
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