Ippologia, Anno 12, n. 4, Dicembre 2001 43 UN MODELLO DI APPROCCIO AI DISTURBI COMPORTAMENTALI DEL CAVALLO AN APPROACH TO BEHAVIOUR PROBLEMS IN THE HORSE DANIEL S. MILLS Animal Behaviour, Cognition and Welfare Group, University of Lincoln, Caythorpe, Lincs Riassunto I disturbi comportamentali costituiscono un settore decisamente nuovo per molti veterinari e pertanto la consulenza su tale argomento è in genere fornita da altre figure professionali. Spesso, invece, sono chiamate in causa condizioni cliniche che generano dolore, soprattutto nei disturbi comportamentali del cavallo, e pertanto è essenziale che i veterinari conoscano almeno i concetti di base e le loro possibili applicazioni nella pratica clinica. Questo articolo presenta una panoramica dei problemi rilevati con maggior frequenza e fornisce gli strumenti per la loro individuazione e per la valutazione delle scelte terapeutiche, proponendo alcuni concetti basilari suscettibili di successivi approfondimenti culturali, in modo che lo stato dell’arte in materia possa rispondere alle diverse esigenze dei veterinari. Sotto molti aspetti le procedure e le tecniche di approccio utilizzate in medicina comportamentale corrispondono a quelle proprie della clinica tradizionale, fattore che crea un canale di comunicazione con i colleghi che per la prima volta affrontano questa particolare area di competenza veterinaria. Summary Behaviour problems represent an unfamiliar field of practice for many veterinarians and so advice on such matters is often referred to individuals outside the profession. However medical conditions resulting in pain are often implicated, particularly in equine behaviour problems, and so it is essential that veterinarians at least appreciate the fundamental concepts involved and how their clinical skills should be applied to these matters. This paper reviews the range of problems commonly encountered and the knowledge base required for their assessment and the evaluation of treatment options and recommendations. It presents a rational framework for the organisation of this knowledge, so the available expertise can be most effectively employed depending on the given skills of the individual. In many regards the procedures and approach used in behavioural medicine is very similar to that used in clinical practice and so the field should not be intimidating to those wishing to develop this area of service. PREVALENZA DEI DISTURBI COMPORTAMENTALI PREVALENCE OF BEHAVIOUR PROBLEMS I problemi comportamentali sono il frutto dell’interazione di diversi fattori relativi sia all’ambiente che al paziente. Il proprietario è un’importante componente ambientale in quanto “il problema non è il comportamento dell’animale di per sé ma piuttosto il problema che costituisce per il suo proprietario” (Askew 1996). I disturbi comportamentali non dovrebbero quindi essere necessariamente interpretati come comportamenti disfunzionali, anormali o maladattivi. Molti comportamenti normali possono presentarsi, e in realtà si presentano, come problemi, ad esempio il comportamento da stallone del cavallo criptorchide, ed il veterinario dovrebbe sempre esaminare il Behaviour problems arise as a result of an interaction between factors relating to both the environment and the patient. The owner is an important part of this environment since “the problem is the not the animal’s behaviour per se but rather the problem that this behaviour poses for its owner” (Askew 1996). Behaviour problems should not therefore be seen as necessarily dysfunctional, abnormal or maladaptive behaviours. Many normal behaviours can and do present as problems, for example the stallion-like behaviour of the rig, and the clinician should always as- 44 Un modello di approccio ai disturbi comportamentali del cavallo comportamento dell’animale in rapporto al normale comportamento specie specifico (etogramma) del paziente. Molti altri comportamenti normali, come la risposta a stimoli dolorifici, possono diventare problemi gravi sia come “vizi sotto sella” che nel cavallo non sellato, sebbene non siano riconosciuti come tali al loro esordio. È precipuo dovere del veterinario pratico definire un ordine di priorità terapeutica, identificare e comprendere la natura di ogni patologia, obiettivo che può essere raggiunto attraverso l’utilizzo di strumenti diagnostici di routine o supplementari. Sono stati pubblicati diversi lavori sul rilievo e la distribuzione dei disturbi comportamentali del cavallo. Houpt (1981) ha riportato che i problemi che le venivano più frequentemente segnalati erano i “vizi” di scuderia (come ad esempio il ticchio d’appoggio, il ballo dell’orso, il camminare nel box etc., definiti anche stereotipie) e i comportamenti aggressivi. Più recentemente in uno studio sui problemi comportamentali non riferibili a stereotipie Somerville e colleghi (2001) rilevarono che il 29% dei proprietari incontrava difficoltà in passeggiata, il 26% riferiva problemi in scuderia del tipo reticenza da parte del cavallo a farsi toccare la testa, il 15% riportava problemi sul terreno di gara, il 14% durante il trasporto degli animali, il 9% riferiva problemi con il maniscalco e il 7% presentava difficoltà quando cercava di condurre l’animale. Non solo questi dati sottolineano quanto frequentemente i problemi comportamentali insorgano nella popolazione totale, ma denotano anche una scarsa comprensione della tendenza naturale del cavallo ad adottare rapidamente strategie comportamentali di evitamento come risultato dell’esperienza. La conoscenza delle caratteristiche proprie della specie in oggetto e dei principi delle teorie dell’apprendimento sarebbero perciò d’ausilio non solo nella prevenzione di molti di questi problemi, ma sarebbero essenziali per trattare adeguatamente i disturbi che sono ormai veri e propri casi clinici. Si possono ottenere informazioni dettagliate su questi due argomenti specifici in Mills e Nankervis (1999) e Mills (1998). La finalità di quest’articolo è di proporre un modello razionale per strutturare organicamente le informazioni necessarie per diagnosticare e trattare i disturbi del comportamento del cavallo. LA NATURA DEI PROBLEMI COMPORTAMENTALI Se la componente principale di un disturbo comportamentale da riconoscere è il problema che pone al suo proprietario, l’aspetto secondario è che quel comportamento è costantemente modificato attraverso un circuito di tipo “feedback”. Così il comportamento che origina il problema oggi non ha più le stesse connotazioni di quello originario; si possono infatti verificare due grandi categorie di cambiamenti. Innanzitutto, qualsiasi comportamento motivazionale alla base determinerà delle conseguenze sulla motivazione stessa aumentandola o riducendola nel futuro. Questo processo è definito come condizionamento operante. Tali conseguenze potrebbero includere la risposta del proprietario che mira al controllo dell’animale ottenendo invece l’effetto opposto. Secondariamente, se il comportamento è inizialmente elicitato da stimoli specifici, con l’esperienza potrebbero essere preannunciati da al- sess the behaviour of the animal against the normal species specific behaviour (ethogram) of the patient. Many other normal behaviours, like the response to pain may present as serious problems both under and out of the saddle, although they may not be initially recognised as such. It is the responsibility of the veterinary surgeon to prioritise treatment, identify and define the nature of any pathology. This can be achieved using his/her normal diagnostic and ancillary skills. A number of surveys have been published on the range of problems encountered. Houpt (1981) reported that the problems most frequently referred to her were stable “vices” (such as cribbing, weaving, box-walking etc. also referred to as stereotypies) and aggression. More recently Somerville and colleagues (2001) in a survey of non-stereotypic behaviour problems, found that 29% of owners encountered problems whilst riding out, 26% had problems in the stable such as headshyness, 15% reported problems in the field, 14% whilst travelling, 9% with the farrier and 7% when trying to lead the animal. This not only underlies how frequently problems arise in the general population, but also reflects a poor understanding in the general population of the horse’s natural tendency to rapidly adopt avoidance behaviour strategies as a result of experience. A basic understanding of the nature of the horse and the principles of learning theory would therefore not only help prevent many of these problems but is also essential to treating those cases that do arise. Information relating to these two specific subjects may be found in Mills and Nankervis (1999) and Mills (1998). The aim of this paper is to present a rational model for the organisation of the information required to assess and treat equine behaviour problems. THE NATURE OF BEHAVIOUR PROBLEMS If the first feature of a behaviour problem to recognise is the problem that it poses for its owner, the second is that behaviour is constantly being modified by feedback. So the behaviour which gives rise to the problem today does not have the same form as the original behaviour which gave rise to this. Two broad types of change may occur. Firstly, any motivated behaviour will have motivational consequences which either encourage or discourage it in future. This is called operant conditioning. These consequences might include the owners response at control which might be having the opposite to the desired effect. Secondly, if the behaviour is initially triggered by a specific stimulus, with experience these may be predicted by or associated with other stimuli, leading to generalisation of the response. A process known as classical conditioning. It is therefore essential to examine the extent of these changes when trying to establish the nature of the current problem as these affect prognosis. The prognosis is obviously worse for the owner who has allowed the problem to change extensively from its original form as more learning has occurred to develop the behaviour and so more must be done to reverse this process. Broadly speaking behaviour problems may be seen to be derived from four conceptual categories: 1. Normal functional species typical maintenance behaviours. This includes the stallion like behaviour of a rig Ippologia, Anno 12, n. 4, Dicembre 2001 tri stimoli, o essere associati ad essi, portando ad una generalizzazione della risposta, un processo noto come condizionamento classico. È perciò essenziale quantificare questi cambiamenti quando si cerca di stabilire la natura del problema presentato in quanto potrebbero influire sulla prognosi. La prognosi sarà ovviamente meno favorevole se il proprietario ha permesso che il disturbo si modificasse ampiamente rispetto alla sua forma originale, poiché in tal caso l’apprendimento è intervenuto pesantemente nello sviluppo del comportamento, rendendo più arduo il recupero dell’animale. In generale l’origine dei disturbi del comportamento può rientrare in quattro categorie concettuali: 1. Comportamenti normali di mantenimento, tipici della specie. Questo gruppo include il comportamento da stallone di un cavallo criptorchide e i comportamenti di richiesta di attenzione in una specie così gregaria come il cavallo. 2. Risposte normali, tipiche della specie, a qualche forma di patologia non neurologica. Potrebbe trattarsi di animali che sgroppano per un dolore alla schiena, che si impennano perché hanno dolorabilità alla bocca o che mal sopportano di essere maneggiati per uno stato dolorifico presente o pregresso. 3. Comportamenti associati a disfunzioni neurologiche. Condizioni come la narcolessia e la nevralgia del trigemino che determinano lo scuotimento della testa noto come headshaking* potrebbero rientrare in questa categoria. 4. Reazioni psicologiche a qualche forma di stress. Ciò include problemi come le stereotipie e le risposte fobiche. *Il termine “headshaking” (lett. Scuotimento della testa) indica un comportamento tipico del cavallo, riferibile ad un movimento di scuotimento della testa improvviso ed incontrollato [ndt]. Il primo punto fa riferimento ad un bagaglio culturale che il veterinario pratico già possiede, in quanto gli permette di rilevare uno stato patologico nell’animale. La seconda e la terza categoria rappresentano aree di interesse clinico; soltanto l’ultima costituisce probabilmente un settore innovativo. L’ANALISI DEI DISTURBI COMPORTAMENTALI E GLI APPROCCI TERAPEUTICI Le cause di un comportamento possono essere lette a livelli diversi, da quello più prossimale a quello più remoto (Mayr 1961). L’interpretazione più immediata si riferisce ai meccanismi insiti nell’individuo che determinano l’espressione fenotipica del comportamento, descrivendo i processi patologici ed eziologici ben noti ai veterinari nello svolgimento della loro professione. L’interpretazione più remota spiega il perché tali processi prossimali si devono verificare, descrivendo la funzione o la capacità adattativa dei processi stessi. Tinbergen (1963) ha ipotizzato che, in tale struttura, si deve ricercare un’interpretazione esauriente del comportamento a quattro diversi livelli, distinti l’uno dall’altro, ma complementari: filogenesi (che considera il comportamento sotto il profilo evoluzionistico), ontogenesi (le diverse fasi di sviluppo dell’individuo nel 45 and attention seeking behaviours in a species as gregarious as the horse. 2. Normal functional species typical responses to some form of non-neurological pathology. This might include bucking due to back pain, rearing due to oral pain or resentment of handling due to an active or previous pain focus. 3. Behaviours associated with neurological dysfunction. Conditions such as narcolepsy and trigeminal neuralgia leading to headshaking might be considered in this category. 4. Psychological reactions to some form of stress. This includes problems such as stereotypies and phobic responses. The first of these is obviously part of the normal knowledge base of the practising clinician since it forms the basis on which the diseased state can be distinguished from the undiseased one. The second and third types of condition represent areas of clinical knowledge; only the last category perhaps presents a field of completely new knowledge for the average veterinarian. ANALYSING BEHAVIOUR PROBLEMS AND TREATMENT APPROACHES - A FOUR LEVEL APPROACH The causes of behaviour may be sought at a proximate or ultimate level (Mayr 1961). Proximate explanations relate to mechanisms within the individual which bring about the physical expression of the behaviour; they describe the pathological and aetiological processes with which veterinary surgeons are familiar in normal clinical practice. The ultimate explanations describe why such proximate processes should come about; they explain the function or adaptiveness of the processes. Tinbergen (1963) suggested that, within this framework, a full explanation of behaviour was to be found at four distinguishable but complementary levels: phylogeny (which describes the evolutionary history of the behaviour), ontogeny (the life time developmental history within an individual), mechanism and adaptive value. Emphasis is commonly given to a single dimension for a given behaviour as one level is perceived to be central to the nature of the problem but this may also reflect the underlying philosophy of the therapist and their approach to treatment (Sheppard and Mills 1998). However a comprehensive approach to the management of problem behaviour should consider both the behaviour and treatment options at all four levels. This approach is described below in more detail. 1. Phylogeny Phylogeny refers to the evolutionary history of the behaviour. It is therefore important to have a grasp of the principles of evolution and how selective pressures operate. In this way a sound basis is provided for appreciating what is natural for a horse (which may not be the same as what is expected) and most importantly what limits to adaptability might exist. For example, horses have evolved to feed on forage, and so it is likely that the regulation of nutrient intake is based on “rules of thumb” de- 46 Un modello di approccio ai disturbi comportamentali del cavallo corso della sua vita), meccanismi di base e valore adattativo. Si tende generalmente a evidenziare una dimensione unica per ciascun comportamento in quanto si ritiene che un unico livello sia al centro della natura del problema, ma questo può anche riflettere la filosofia del terapeuta ed il suo approccio terapeutico (Sheppard e Mills 1998). In ogni caso un’analisi bilanciata del disturbo comportamentale dovrebbe considerare il comportamento e le alternative terapeutiche a tutti e quattro i livelli. La parte seguente propone nel dettaglio proprio questa tecnica di approccio. 1. Filogenesi La filogenesi considera il comportamento sotto il profilo evoluzionistico. È quindi importante accennare ai principi dell’evoluzione e alle modalità di pressione selettiva. In questo modo si fornisce una base per comprendere tutto ciò che è assolutamente “naturale” per un cavallo (anche se può non corrispondere alle nostre aspettative) e, elemento fondamentale, quali sono i possibili limiti della sua capacità adattativa. Ad esempio, i cavalli si sono evoluti come erbivori, ed è così probabile che la regolazione dell’assunzione del nutrimento sia fondata su “regole pratiche” derivanti dal consumo di una dieta a base di foraggio. Il processo non si è modificato nel tempo in quanto non si sarebbe ottenuto alcun vantaggio selettivo in senso biologico, anche se oggi molti cavalli domestici seguono una dieta essenzialmente a base di mangimi, un sistema di alimentazione che potrebbe richiedere all’organismo animale nuove norme per un’efficace regolazione dell’assunzione del nutrimento. Così vi è un potenziale conflitto tra le attuali pratiche gestionali e la tendenza evolutiva (“divario genetico” sensu McGuire e Troisi 1998). Quando si identificano gli estremi di questa potenziale conflittualità nell’ambito di un disturbo comportamentale, è probabile che l’animale sia al limite della sua capacità adattativa (Fig. 1). Il trattamento che è mirato a risolvere la causa di problemi di questo tipo dovrà perciò essere incentrato su cambiamenti nella gestione dell’animale, poiché la potenzialità per modificare il paziente stesso è probabilmente molto bassa. In questi casi, se l’intervento terapeutico ha soltanto la finalità di impedire l’emissione del comportamento, è probabile che risulti essere un ulteriore fattore stressante legato a frustrazione o ad aumentata difficoltà d’adattamento (McGreevy e Nicol 1998). Il trattamento dovrebbe essere diretto a quelle cause prossimali che sono rilevanti per il benessere del paziente. Questo non implica necessariamente la scelta di un ambiente totalmente naturale piuttosto che uno al quale l’animale possa effettivamente adattarsi. Se vi è una reale necessità comportamentale, nel senso che l’animale “ha bisogno” di emettere dei comportamenti legati all’assunzione di foraggio, si può sfruttare l’impiego di un dispositivo che agisca consentendo un aumento dell’emissione dei comportamenti alimentari, come ad esempio l’EquiballTM, senza aumentare di per sé la quantità di foraggio (Henderson et al., 1997). Comunque, se il problema è associato ad uno stato di frustrazione prossimale un dispositivo di questo genere potrebbe esacerbare il disturbo poiché il cavallo potrebbe non essere predisposto ad utilizzare tali modalità nell’assunzione del cibo dal punto di vista filogenetico. rived from the consumption of a forage based diet. There has been no selective advantage in a biological sense for modification of this process even though many domestic horses may now be fed a largely concentrate diet whose efficient regulation might require different rules. There is thus a potential conflict between current management practice and evolved tendency (“genome lag” sensu McGuire and Troisi 1998). When such areas of potential conflict are identified within a problem, it is likely that the subject is at the limit of its adaptive capacity (Fig. 1). Treatment which focuses on the cause of any such problems will therefore need to focus on a change in management as the potential for change in the patient is probably at its limit. If treatment in these cases aims only at prevention then further stress due to frustration or increased difficulty in coping is likely to result (McGreevy and Nicol 1998). Treatment should address the proximate causes which are relevant to the well-being of the patient. This does not necessitate a totally natural environment rather an environment to which the animal can effectively adapt. If there is a genuine behavioural need to forage it may be that the provision of a toy which encourages such behaviour, such as the “EquiballTM” satisfies such a requirement without the need for increased forage per se (Henderson et al., 1997). However if the problem is associated with a proximate frustration of feeding such a device could exacerbate the problem as the horse may not be phylogenetically adapted to work in such a way for food. 2. Ontogeny Ontogeny describes the development of the behaviour within an individual; it is the clinical and ethological history of the case and how learning has modified it. These are obviously all essential components to the evaluation of any behaviour. Three phenomena of particular importance within the ontogenetic process are emphasised here, namely: sensitive phases in development, behavioural maturation and learning. Sensitive phases, like the prenatal, neonatal, transitional and socialisation periods, have traditionally formed the focus of ethological descriptions of development but are commonly misunderstood. During these phases the young horse may be particularly open to making certain associations. Qualitative and quantitative aspects of sensory input at this time have a lasting effect and may lead to later problems although their effects can usually be reversed albeit with difficulty (Bateson 1979). Imprinting and attachment onto the maternal figure is traditionally reported to occur during the neonatal period which covers the first few hours of the foal’s life (Rossdale 1967). Imprinting onto an inappropriate object, such as a human can result in both filial and, later on, sexual behaviour being directed towards the imprint object (Bateson 1991). Occasionally, strong attachments to bizarre objects present at the time of birth may form; for example Tyler (1972) reports that the attachment of a new-born foal to a certain tree may occasionally disrupt the mare-foal bond. Similar problems may arise in the domestic situation, with attachment to hay mangers and other stable fittings occa- Ippologia, Anno 12, n. 4, Dicembre 2001 A Risposte adattative presenti nel cavallo ma non necessarie in cattività Risposte adattative che possono essere utilizzate in cattività per permettere al cavallo di adeguarsi positivamente all’ambiente Risposte adattative presenti nei cavalli come risultato della selezione naturale e di quella operata dall’uomo, rispettivamente negli ambienti selvatico e domestico Nessuna risposta adattativa presente nel cavallo: difficoltà o incapacità dell’animale di adeguarsi positivamente all’ambiente B Risposte adattative necessarie al cavallo in cattività FIGURA 1 - Diagramma di Venn che illustra i problemi relativi al “divario genetico” nella popolazione del cavallo domestico (adattato da Fraser et al., 1997). All’aumentare della sovrapposizione di A su B, si riduce il divario e, di conseguenza, si riduce il rischio di insorgenza di problemi relativi allo stato di benessere degli animali attribuibili ad un adattamento inadeguato. A Adaptations possessed but not required in the captivity Adaptations which can be used in captivity to allow horse to cope adequately Adaptations possessed by horses as a result of natural selection in the wild and manmade selection in the domestic environment No suitable adaptation possessed by horse, so difficulty or inability to cope B Adaptations required by the horse in captivity FIGURA 1 - Venn diagram illustration of the problems due to the “genome lag” in the domestic horse population (adapted after Fraser et al., 1997). The greater the overlap between A and B, the small the lag and the lower the risk of welfare problems arising due to inadequate adaptation. 47 48 Un modello di approccio ai disturbi comportamentali del cavallo 2. Ontogenesi L’ontogenesi descrive le fasi di sviluppo del comportamento nell’individuo; è l’anamnesi clinica ed etologica del caso e l’esame delle modificazioni operate dall’apprendimento. Si tratta ovviamente di punti essenziali per la valutazione di qualsiasi comportamento. In questa sede si evidenziano tre fenomeni di particolare importanza nell’ambito del processo ontogenetico e precisamente le fasi sensibili nello sviluppo, la maturazione comportamentale e l’apprendimento. Le fasi sensibili, e cioè i periodi prenatale, neonatale, di transizione e di socializzazione, costituiscono tradizionalmente il fulcro delle descrizioni etologiche dello sviluppo, ma alcuni concetti sono in genere fraintesi. In queste fasi il cavallo giovane è particolarmente disponibile nell’operare certe associazioni. Gli input sensoriali, diversi per quantità e qualità, che arrivano all’animale in tale momento hanno un effetto duraturo e possono portare successivamente alla comparsa di problemi, sebbene gli effetti siano di solito reversibili, anche se con difficoltà (Bateson 1979). Si riporta generalmente che l’imprinting e l’attaccamento alla figura materna si attuano durante il periodo neonatale, identificato con le prime ore di vita del puledro (Rossdale 1967). L’imprinting verso un oggetto inappropriato, come ad esempio un essere umano, può esitare in comportamenti filiali e, successivamente, in comportamenti sessuali, diretti verso l’oggetto d’imprinting (Bateson 1991). Occasionalmente si sviluppa un forte attaccamento verso determinati oggetti presenti al momento della nascita; ad esempio Tyler (1972) riferisce che l’attaccamento di un puledro neonato ad un certo albero può talvolta spezzare il legame madre-figlio. Problemi di questo genere possono sorgere nelle condizioni domestiche, in cui si può sporadicamente formare un attaccamento del puledro a mangiatoie ed altri arredi della scuderia. L’importanza delle esperienze precoci è chiaramente dimostrata dai lavori scientifici sui problemi che nascono dall’esposizione a stimoli inadeguati durante le prime fasi dello sviluppo dell’animale. Grzimek (1949) ha dimostrato che i puledri gestiti in isolamento sociale dagli altri cavalli diventavano timorosi nei confronti dei conspecifici quando erano poi introdotti nel gruppo. Williams (1974) ha riportato che puledri nutriti artificialmente mediante un sistema meccanico di allattamento preferivano la compagnia dell’uomo a quella dei cavalli e non rispondevano con modalità appropriate ai segnali sociali dei conspecifici. Non tutti i disturbi comportamentali del puledro, o più specificatamente del puledro privato della madre, sono problemi di imprinting o semplicemente implicano manifestazioni aberranti di una programmazione genetica, ma piuttosto riflettono la complessa interazione tra ambiente e genotipo (epigenesi, Waddington 1961) durante questo passo cruciale dello sviluppo comportamentale. La maturazione comportamentale può anche influenzare lo sviluppo dei comportamenti problematici in particolari momenti, vale a dire che lo sviluppo fisico del cavallo è associato alla comparsa di determinati moduli comportamentali. Ad esempio l’espressione del comportamento sessuale dipende dalla maturazione fisica delle gonadi; quando ciò si attua un puledro facilmente trattabile può diventare più difficile da gestire. Se un problema comportamentale è associato (piuttosto che semplicemente correlato) ad una particolare fase di sviluppo, è probabile che sia soggetto ad un maggior controllo endogeno. Se un intervento sionally occurring. The importance of early experience is clearly demonstrated by the scientific reports of problems arising from inappropriate exposure during early development. Grzimek (1949) showed that foals reared in social isolation of other horses became fearful of conspecifics when they were finally introduced. Williams (1974) reported that foals reared on a mechanical nursing system preferred human company to that of horses and failed to respond appropriately to the social signals of conspecifics. Not all behaviour problems arising in the foal or more especially the orphan foal are problems of imprinting or simply aberrant manifestations of a genetic programme, but rather reflect the complex interaction of the environment with the genotype (epigenesis, Waddington 1961) during this important stage of behaviour development. Behavioural maturation may also influence the development of problem behaviours at particular times, i.e. the physical development of the horse is associated with the emergence of particular behaviour patterns. For example the expression of sexual behaviour, depends on the physical maturation of the gonads, at this point a previously tractable colt may become more difficult to handle. If a behaviour problem is associated (rather than simply correlated) with a particular stage of development, it is likely to be subject to a greater degree of endogenous control. If internal intervention e.g. castration or pharmacotherapy is not possible then the prognosis is inevitably poorer than a purely learned problem. Learning may represent the dominant feature of the problem, as occurs in learned habits but it is also central to the difference between the current problem behaviour and its initial expression. This relationship must accordingly be examined in all cases. Learning in the horse and the problems which can arise as a result of conditioning or the misapplication of learning theory have been reviewed elsewhere - see Cooper (1998) for a review of learning in the horse and Mills (1998) for a review of learned problems. They will not therefore be reviewed here, but it is worth re-emphasising how an animal’s experiences with the environment affects the development and form of a behaviour. Thus the colt, which was physically punished as it became difficult to handle when it physically matured, may now show an avoidance or fear of the handler resulting in secondary problems like defensive kicking or biting. Even if the association with maturation is recognised, these problems will persist even following castration as their development is dependent upon conditioning rather than hormonal factors. In some cases, the initial association is not recognised and the secondary problems are the primary cause of complaint. Only a full behavioural history will identify the role of such factors and allow an accurate prognosis for treatment to be made. A behavioural history must therefore examine both previous management and experience as well as current status with regards to development and management, including details of any effects at correction of the problem already taken and their effect. Treatments which focus on addressing the developmental aspects of the problem include psychotherapy and retraining. This involves the controlled manipulation of the environment to shape future development and recondition the animal. Ippologia, Anno 12, n. 4, Dicembre 2001 a livello fisiologico come ad esempio la castrazione o un trattamento farmacologico sono inattuabili, allora la prognosi è inevitabilmente più sfavorevole che nel caso di un problema che è soltanto frutto dell’apprendimento. L’apprendimento può costituire la componente principale del problema, come si verifica nei comportamenti appresi mediante abituazione, ma è anche rilevante per la differenza tra il comportamento problematico osservato e la sua espressione iniziale. Questa relazione deve perciò essere analizzata in qualsiasi caso comportamentale. L’apprendimento nel cavallo e i problemi che possono sorgere come risultato del condizionamento o dell’errata applicazione delle teorie sull’apprendimento sono state esaminate in altra sede - vedi Cooper (1998) per una rassegna sull’argomento nel cavallo e Mills (1998) per una disamina delle problematiche sull’apprendimento. Perciò tali tematiche non saranno affrontate in quest’ambito, ma è opportuno sottolineare nuovamente come le esperienze ambientali vissute dall’animale influiscano sullo sviluppo e sull’espressione del comportamento. Così il puledro, che veniva punito fisicamente poiché diventato difficile da gestire dopo la sua maturazione fisica, può mostrare ora reazioni di evitamento o di paura nei confronti della persona che se ne occupa, risposte che possono esitare in problemi secondari come calci o morsi di tipo difensivo. Anche se si ammette la loro associazione con la fase di maturazione, questi disturbi persisteranno anche in seguito alla castrazione poiché il loro sviluppo dipende dal condizionamento piuttosto che da fattori ormonali. In alcuni casi l’associazione iniziale non viene riconosciuta e i disturbi secondari sono in realtà quelli proposti come problema principale. Soltanto un’anamnesi comportamentale approfondita individuerà il ruolo di questi fattori e permetterà una prognosi accurata e l’impostazione di un piano terapeutico adeguato. Un’anamnesi comportamentale deve perciò considerare sia la gestione dell’animale e le sue esperienze precedenti sia la situazione del momento in riferimento allo sviluppo e alle pratiche gestionali, includendo informazioni dettagliate sui metodi di correzione utilizzati e gli effetti rilevati. I trattamenti che agiscono sullo sviluppo includono tecniche di psicoterapia e di riabilitazione. Quest’ultima indica un intervento di controllo sull’ambiente per modellare lo sviluppo futuro dell’animale e ricondizionarlo. Comunque, è importante tenere conto dei limiti di questa tecnica come descritto nel metodo di approccio proposto, che opera a quattro diversi livelli. Un intervento fisiologico, di tipo farmacologico o chirurgico, potrebbe rendersi necessario per facilitare la riabilitazione in riferimento all’attuale stato fisiologico (vedi oltre). Comunque tali rimedi devono essere considerati come una misura di sostegno e non un trattamento della causa del problema quando adottati in questo contesto. 3. Meccanismi di base Interpretazioni meccanicistiche del comportamento tendono a focalizzarsi sulle basi fisiologiche ed anatomiche della sua causa immediata. Perciò a questo livello le fasi sensibili descritte precedentemente rappresentano un periodo di adattamento “neuroplastico” in risposta a determinati input sensoriali, stimoli quantitativamente e qualitativamente diversi, durante le prime fasi di sviluppo (Wolff 1981). Il veterinario, utilizzando la chirurgia e le diverse 49 However, it is equally important to recognise the limits of this technique as illustrated by this four level approach. Physiological intervention through the use of drugs and surgery may be necessary to facilitate retraining due to the animal’s current physiological state (see below). However, such aids must be recognised as a support measure and not a treatment of the cause of the problem when used in this context. 3. Mechanism Mechanistic explanations of behaviour tend to focus on the physiological and anatomical basis of its immediate causation. Thus at this level the sensitive phases described above represent a period of neuroplastic adaptation in response to quantitative and qualitative aspects of sensory input during early development (Wolff 1981). The veterinary surgeon, through the application of surgery and therapeutics, is in a unique position to understand and treat the mechanistic aspects of a behaviour problem, but this does not necessarily mean the cause is being addressed. When medical and biochemical explanations are offered for a behaviour, they relate to this level of description. This might include the role of allergic rhinitis and other pathologies in equine headshaking (Cook 1980) or the importance of serotonin, dopamine and the opiates in the expression of stereotypic behaviour (Cooper and Dourish 1990). It can be difficult to distinguish between cause and effect when biochemical models are proposed for psychological conditions. Thus lowered serotonin levels in the depressed subject may be a reflection of the current state rather than a cause of it. In the former case treatment with serotonin reuptake inhibitors, like clomipramine, may relieve the problem by preventing the formation of the psychological condition but may not actually be addressing the biological cause of the problem. The use of drugs and surgery to treat behaviour problems focuses on intervention at this level and is a cause for some controversy. Castration of a rig, undoubtedly addresses the cause of stallion-like behaviour, but myectomy or combined neurectomy and myectomy (Hakansson et al., 1992) to control crib-biting supposedly results in an animal that is no longer physically capable of the behaviour. Whilst this may achieve the aesthetic goal it is likely to exacerbate the stress of the patient since the cause has not been addressed (McGreevy and Nicol 1998). However, the use of antidepressants like clomipramine to treat self-mutilation in stallions (Shuster and Dodman 1998) may relieve certain aspects of the psychological suffering associated with the behaviour. Again this emphasises the importance of a four level approach to the comprehensive understanding of the problem. 4. Adaptiveness The adaptiveness of a behaviour relates to its function and the rules regulating its expression. This is a central theme of the science of behavioural ecology (Krebs and Davies 1993). Four categories of behavioural adaptation may be considered in a clinical context. 50 Un modello di approccio ai disturbi comportamentali del cavallo forme terapeutiche, è nella posizione ottimale per comprendere e trattare gli aspetti meccanicistici del problema comportamentale, ma questo non implica necessariamente che si agisca sulla causa del disturbo. Le interpretazioni mediche e biochimiche riferite ad un particolare comportamento si riferiscono a questo livello descrittivo; un esempio nel cavallo può essere il ruolo della rinite allergica e di altre patologie nell’headshaking (Cook 1980) o dell’importanza della serotonina, della dopamina e degli oppiacei nell’espressione delle stereotipie (Cooper and Dourish 1990). Può essere arduo distinguere tra causa ed effetto quando si propongono modelli biochimici per condizioni psicologiche. Così la riduzione dei livelli di serotonina nel soggetto depresso può essere il riflesso dello stato emozionale piuttosto che una sua causa. Nel primo caso il trattamento con gli inibitori selettivi della ricaptazione di serotonina, come la clomipramina, possono alleviare il disturbo impedendo il consolidamento della condizione psicotica, ma non può in realtà colpire la causa biologica del problema. L’impiego di farmaci e di tecniche chirurgiche per il trattamento dei disturbi comportamentali sono il fulcro dell’intervento a questo livello, e sono motivo di qualche controversia. La castrazione di un soggetto criptorchide indubbiamente colpisce la causa di un comportamento da stallone, ma la miectomia, o una combinazione di neurectomia e miectomia (Hakansson et al., 1992) per controllare il ticchio d’appoggio produce un animale che non è più fisicamente in grado di emettere il comportamento. Se da un lato un provvedimento del genere può rispondere ad esigenze estetiche è probabile che esacerbi lo stress del paziente in quanto non si mira alla causa (McGreevy and Nicol 1998). Comunque, la somministrazione di antidepressivi come la clomipramina per trattare fenomeni di auto-mutilazione negli stalloni (Shuster e Dodman 1998) può alleviare certi aspetti della sofferenza psicologica associata al comportamento. Nuovamente questo enfatizza l’importanza di un approccio su quattro livelli per una chiara comprensione del problema. 4. Valore adattativo La capacità di adattamento di un comportamento è in relazione alla sua funzione e ai principi che ne regolano l’espressione. Questo è un tema di fondo della branca scientifica dell’ecologia comportamentale (Krebs e Davies 1993). In un contesto clinico si devono considerare quattro diverse categorie di adattamento comportamentale. Innanzitutto, alcuni comportamenti sono veramente adattativi perché raggiungono il loro obiettivo, come ad esempio le minacce aggressive determinano la cessazione di un’esperienza aversiva. Molti problemi comportamentali hanno un significato adattativo che non è riconosciuto dal proprietario; ad esempio il cavallo che morde senza un’evidente giustificazione può aver imparato che le minacce di livello inferiore sono completamente ignorate. Secondariamente, un comportamento può essere soltanto parzialmente adeguato come tentativo di adattamento ad una certa situazione. Il mancato raggiungimento dell’obiettivo dell’adattamento esiterà in un cambiamento della strategia o in un’intensificazione del comportamento, nel tentativo di adattarsi al meglio alle diverse circostanze. Questo genere di comportamento può palesarsi laddove vi è un divario geneti- Firstly, some behaviour is truly adaptive because it achieves its goal, for example aggressive threats result in the cessation of an aversive experience. Many behaviour problems have adaptive significance which is not recognised by the owner. For example the horse that bites for no apparent reason, may have learned that lower level threats are ignored. Secondly, a behaviour may be only partially adequate as an attempt to adapt to a given situation. Failure to achieve the adaptive goal will result in a change of strategy or intensification of the behaviour in an effort to cope as best as possible given the circumstances. This sort of behaviour may be evident in circumstances where there is a genome lag as described in the phylogeny section above. For example, Nicol (1999) has suggested that cribbing may be an attempt by the horse to produce saliva to buffer against the increased acidity in the stomach caused by the ration feeding of concentrates. Horses normally produce saliva only when they are chewing. Therefore when feeding the daily allowance in meals, the total time spent chewing and thus producing alkaline saliva is reduced with the result that gastric acidity increases and ulceration commonly results. Cribbing is not as effective as chewing on forage for the production of saliva (Houpt, personal communication), and so the behaviour intensifies. It is an unsuccessful attempt at adaptation as evidenced by the occurrence of ulcers (Nicol et al., 2001). Thirdly a behaviour may represent an adaptive but non-functional response. In this case the animal’s behaviour may be adaptive in a different context but it is ineffective in the current environment. This occurs because behaviour is controlled by the mechanisms which have been favoured through natural selection, even though they may be inappropriate in the current environment. For example, separation related behaviours which can cause a problem in the domestic setting have adaptive value in particular settings, such as within a free roaming social group (McGuire and Troisi 1998, Stevens and Price 1997). In this context they help increase the chance of separated individuals being re-united, however in the domestic setting the barriers and control imposed by man make this response redundant. Fourthly the behaviour may be truly maladaptive, in which case a physical pathology and chronic motivational conflict should be considered and investigated. For example violent headshaking often serves no function but is a general response to head pain. In circumstances of motivational conflict or frustration, the horse may express displacement, ambivalent, redirected or aggressive behaviour. Displacement behaviour is “an unexpected, seemingly irrelevant movement that occurs out of the behavioural context to which it is assumed to belong functionally” (Immelmann and Beer 1989). In horses, it would seem that the most common form of displacement behaviour relates to grazing. Thus the horse faced with a conflict between avoiding an apparently aversive situation and approaching it under the instruction of its rider, may suddenly pull at some nearby grass. This is often misinterpreted by the rider as a form of stubbornness and results in punishment of the horse. This is only likely to exacerbate the problem. Aggressive behaviour in a simi- Ippologia, Anno 12, n. 4, Dicembre 2001 co come riportato nella sezione sulla filogenesi. Ad esempio Nicol (1999) ha ipotizzato che il ticchio d’appoggio possa essere un tentativo da parte del cavallo di produrre saliva per tamponare l’aumentata acidità nello stomaco causata da un’alimentazione a base di mangimi. I cavalli normalmente producono saliva soltanto quando masticano. Perciò quando si suddivide la razione giornaliera in diversi pasti, il tempo complessivo dedicato alla masticazione, e con esso la produzione di saliva alcalina, è ridotto con il risultato che l’acidità gastrica aumenta, causando in genere la formazione di ulcere. Il ticchio d’appoggio non è così efficace come la masticazione del foraggio per la produzione di saliva (Houpt, comunicazione personale), e così il comportamento si intensifica. Si tratta di un tentativo di adattamento infruttuoso come si evince dal frequente rilievo di ulcere gastriche (Nicol et al., 2001). Terzo, un comportamento può rappresentare una risposta adattativa ma non funzionale. In questo caso il comportamento dell’animale può essere adattativo in un altro contesto, ma è inefficace nell’ambiente attuale. Ciò si verifica perché il comportamento è controllato da meccanismi che sono stati favoriti negli animali mediante la selezione naturale, anche se possono essere inappropriati nell’ambiente in cui essi vivono. Ad esempio, i comportamenti legati a separazione che possono diventare un problema nel contesto domestico hanno un valore adattativo in altre situazioni, come in un gruppo sociale che vive in condizioni di libertà (McGuire e Troisi 1998, Stevens e Price 1997). In tale contesto servono ad accrescere la possibilità che gli individui che si sono allontanati si riuniscano al gruppo; comunque in condizioni di vita domestica le barriere e le modalità di controllo imposte dall’uomo amplificano questa risposta. Quarto, il comportamento può essere realmente maladattativo, nel qual caso una patologia fisica e un conflitto motivazionale cronico dovrebbero essere analizzati ed investigati. Per esempio un violento scuotimento della testa spesso non assolve alcuna funzione, ma è una risposta generica ad una dolorabilità alla testa. In condizioni di conflitto motivazionale o di frustrazione, il cavallo può manifestare un comportamento di dislocazione, ambivalente, ridiretto o aggressivo. Il comportamento di dislocazione è un “movimento inatteso, verosimilmente irrilevante, che si verifica al di fuori del contesto comportamentale al quale si presume appartenga sotto il profilo funzionale” (Immelmann e Beer 1989). Nei cavalli sembrerebbe che la forma più comune di comportamento di dislocazione sia riferito all’andare al pascolo. Così il cavallo che è messo di fronte alla scelta tra l’evitare una situazione apparentemente aversiva o l’avvicinarsi seguendo le istruzioni del suo cavaliere può improvvisamente dirigersi verso l’erba più vicina. Questo fenomeno è spesso frainteso dal cavaliere che lo interpreta come una forma di ostinazione e reagisce punendo il cavallo, atteggiamento che probabilmente esacerba soltanto il problema. Il comportamento aggressivo in un contesto simile è spesso parimenti frainteso e determina le stesse conseguenze. Il comportamento ridiretto, che è un normale comportamento diretto ad un obiettivo diverso dall’originario in quanto viene impedito il raggiungimento dell’obiettivo primario, e i comportamenti ambivalenti (comportamenti che includono parti di due comportamenti antagonisti) possono sottogiacere allo sviluppo di certe stereotipie (McFarland 1966). Ad esempio il ballo dell’orso può rappresentare una forma di comporta- 51 lar context is often equally misunderstood with the same consequences. Redirected behaviour (i.e. normal behaviour directed at an alternative substrate due to frustration towards the primary focus) and ambivalent behaviours (behaviours incorporating parts of two antagonistic behaviours) may underlie the development of certain stereotypical behaviours (McFarland 1966). For example weaving may represent a form of ambivalent behaviour relating to locomotory frustration (Mills and Nankervis 1999). Evaluation of a behaviour at all four levels, not only facilitates an assessment of differential diagnoses, but also helps reveal the most appropriate course of action. For example, consider a weaving horse. At the phylogenetic level we believe the problem may arise from the inappropriateness of housing a social animal in isolation and addressing this will be central to resolving the cause of the problem in a given case. Assessing the development of the problem in an individual will give valuable information about the extent to which the problem may have generalised and its specific triggers. Some of these may be managed so that they can be avoided as a possible treatment option. Our current understanding of the mechanistic basis of the behaviour relates to the role of dopamine, serotonin and endogenous opiates in the regulation of behaviour and suggests that most available pharmacological preparations are only likely to be effective by causing a general depression of behaviour or compromising welfare further. Current evidence suggests that the behaviour has adaptive value through causing a degree of derousal that helps the animal to cope with the current environment, so prevention of the behaviour is inappropriate for good welfare. Accepting that social housing is not a viable option, Mills and Davenport (in press) have evaluated the use of a mirror in the stable as a substitute with favourable results. Given the four level approach it becomes apparent that this is a sound practical solution for the problem which is unlikely to compromise the horse’s well-being unlike weaving grills or hobbles. CONCLUSION The greater an individual’s knowledge in each of these four fields, the greater their potential to understand the nature of a behaviour problem and to devise sensitive solutions which respect the welfare of the horse. Whilst some of the factual information required may be new to the veterinary surgeon, the paradigm in which it is used is a familiar to those working in clinical practice; i.e. for any given case there is a need for a thorough history, assessment of the patient (including clinical examination) and evaluation of differential diagnoses before recommendations for treatment made. The veterinary surgeon is thus well placed to deal with behaviour problems as he has both the essential clinical skills and also much of the essential knowledge base. Key words Horse, behaviour, problem, assessment. 52 Un modello di approccio ai disturbi comportamentali del cavallo mento ambivalente in riferimento a frustrazione espressa a livello locomotorio (Mills e Nankervis 1999). L’analisi di un comportamento a tutti e quattro i livelli non soltanto facilita la valutazione delle diagnosi differenziali, ma fornisce anche indicazioni su come procedere. Si consideri ad esempio un cavallo con il ballo dell’orso. A livello filogenetico si ritiene che il problema nasca dal fatto di detenere un animale sociale in situazioni di isolamento e un intervento mirato su questo punto sarà il fulcro per risolvere la causa del disturbo. Valutare lo sviluppo del problema in un individuo fornirà informazioni preziose sullo stadio di generalizzazione del problema e sugli specifici stimoli elicitanti, ed alcuni di essi potranno essere utilizzati come possibile opzione terapeutica nel senso di essere evitati. Le nostre attuali conoscenze sui meccanismi di base del comportamento si riferiscono al ruolo della dopamina, della serotonina e degli oppiacei endogeni nella regolazione del comportamento, suggerendo che la maggior parte dei farmaci disponibili sono efficaci determinando una drastica riduzione del comportamento in generale o compromettendo ulteriormente un già precario stato di benessere. La constatazione pratica suggerisce che il comportamento ha un valore adattativo mediante l’abbassamento della soglia di reattività che aiuta l’animale ad adeguarsi positivamente all’ambiente attuale, di modo che l’impedire il comportamento è inappropriato se si desidera garantire uno stato di benessere all’animale. Considerando che la sistemazione del cavallo in “collettività” non è un’opzione realistica, Mills e Davenport (in stampa) hanno valutato in sostituzione dell’intervento sociale l’uso di uno specchio in scuderia ottenendo risultati incoraggianti. Tenendo conto dell’approccio proposto, che si fonda su quattro diversi livelli, è evidente che si tratta di una soluzione pratica che ha scarse probabilità di compromettere lo stato di benessere del cavallo a differenza dei vari sistemi che mirano soltanto ad impedire l’emissione del comportamento come le griglie antidondolamento o le pastoie. CONCLUSIONI Approfondendo la conoscenza delle nozioni di base proprie di ciascuna delle quattro branche sopra citate, si potrà ottenere una miglior comprensione della natura del problema comportamentale e sarà possibile trovare soluzioni realistiche nel rispetto del benessere del cavallo. Sebbene alcune delle informazioni necessarie possano essere un campo nuovo per il veterinario pratico, il paradigma utilizzato è ben noto nella clinica tradizionale; per esempio in ciascun caso clinico è assolutamente indispensabile raccogliere un’anamnesi accurata, esaminare il paziente (includendo l’esame fisico del soggetto) e valutare un diagnostico differenziale prima di procedere con l’impostazione del piano terapeutico. Si ritiene quindi che il veterinario sia la figura professionale più adatta per affrontare i disturbi comportamentali, in quanto depositario non solo delle indispensabili nozioni cliniche ma anche delle necessarie conoscenze teoriche. Parole chiave Cavallo, comportamento, disturbo comportamentale, valutazione. Bibliografia/References Askew HR (1996) Treatment of Behavior Problems in Dogs and Cats. Blackwell Science, Oxford. Bateson P (1979) How do sensitive periods arise and what are they for? Anim. Behav. 27, 470-486. 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