DISCORSO TENUTO DAL PRESIDENTE FRANCESCO PIZZETTI
IN OCCASIONE DELLA PRESENTAZIONE DEL VOLUME
“SETTE ANNI DI PROTEZIONE DATI IN ITALIA” *
13 marzo 2012
Sala Capitolare del Senato
Signor Presidente del Senato,
On. Vicepresidente della Camera dei deputati,
Signore e Signori,
grazie innanzitutto della Vostra presenza e della Vostra partecipazione.
Al Presidente del Senato un grazie particolare per averci voluto ospitare in una
sede così prestigiosa per una cerimonia che non ha l’ufficialità della Relazione
annuale, ma che per noi ha un valore ancora più importante, costituendo il momento
finale e il punto di approdo del lavoro svolto durante il nostro lungo mandato.
Il nostro Collegio concluderà infatti il prossimo mese il suo settennato.
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IL SIGNIFICATO DI QUESTO INCONTRO
Abbiamo voluto che questo incontro non fosse solo l’occasione per prendere
commiato dai tanti amici che in questi anni ci hanno seguito, ma anche per presentare
il bilancio di questi anni.
Il volume che oggi vi consegniamo non contiene soltanto tutti i discorsi di
presentazione delle Relazioni annuali, ma anche l’elenco dei provvedimenti più
significativi, delle audizioni fatte, dei pareri dati al Governo, delle Conferenze alle
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quali abbiamo partecipato a livello europeo e internazionale, dell’attività svolta nei
gruppi di lavoro europei.
L’ultima parte contiene due schede informative: la prima relativa alla normativa
europea e al ruolo che le Autorità svolgono nell’ambito dell’Unione; la seconda
relativa, invece, alla normativa e all’attività dell’Autorità italiana, comprese le
modalità di elezione e di funzionamento del Collegio e dell’Ufficio.
L’intento di questa documentazione è duplice: il primo, aggiungere alle tradizionali
Relazioni annuali rapporti e strumenti in grado di offrire il bilancio di un periodo
poliennale di attività.
Il secondo motivo, che tanto lo studioso, quanto il cittadino interessato abbiano,
raccolti in un unico volume, gli strumenti informativi e di documentazione di base
necessari per ricerche e approfondimenti.
In questo quadro, abbiamo ritenuto di inserire anche un Rapporto e una specifica
Relazione relativi all’anno appena terminato.
Abbiamo, infatti, scelto di non presentare noi la Relazione formale dell’attività
2011, per lasciare al Collegio che verrà dopo la possibilità, se lo vorrà, di esporre,
nell’ambito della tradizionale cerimonia annuale, i propri indirizzi programmatici.
Allo stesso tempo, abbiamo pensato, però, che fosse nostro dovere esporre noi
stessi gli aspetti più significativi dell’attività 2011, che ricade interamente sotto la
nostra responsabilità.
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IL BILANCIO DELLA NOSTRA ESPERIENZA
La fase dell’attuazione del Codice
Quando il nostro Collegio si è insediato avevamo di fronte tre grandi compiti.
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Il primo, continuare l’opera di consolidamento della cultura dei dati personali,
proseguendo sulla scia segnata dai precedenti Collegi guidati da Stefano Rodotà.
Il secondo, avviare l’attuazione del nuovo Codice italiano della privacy, entrato in
vigore appena l’anno prima, e condurre a completamento l’organizzazione
dell’Ufficio, anche attraverso l’acquisizione di nuove professionalità, specialmente
nel settore informatico, e il consolidamento dei rapporti con il Nucleo privacy della
Guardia di Finanza che ci ha sempre seguito con fattiva professionalità.
Il terzo, affrontare le sfide dell’evoluzione tecnologica della Rete, che proprio in
quegli anni, col passaggio al web 2.0, apriva nuovi orizzonti nel mondo della
comunicazione globale (si pensi ai blog, ai social network, agli smartphone e a tutte
le nuove applicazioni conseguenti).
Specialmente nei primi tempi, l’attività di attuazione del Codice ci ha impegnati
molto: si pensi all’attività dedicata a promuovere l’adozione da parte di tutte le
articolazioni dell’Amministrazione pubblica dei Regolamenti in materia di dati
sensibili e giudiziari. Uno sforzo notevole, data la complessità dell’Amministrazione
e la sua resistenza ad adeguarsi ad aspetti all’epoca percepiti come inutilmente
burocratici. Non minore, l’impegno profuso rispetto al settore privato per promuovere
l’adozione delle misure di sicurezza per i trattamenti telematici dei dati, sia per
trovare corretti punti di equilibrio tra il rispetto dei diritti dei lavoratori e le esigenze
dell’impresa.
Una stagione difficile, che ha richiesto fermezza e duttilità e che ci ha condotto a
sviluppare anche nuove forme di provvedimenti, basati sul principio della soft law,
come le Linee guida.
Il delinearsi di nuove sfide
Contestualmente alle prime misure di attuazione del Codice abbiamo però dovuto
affrontare nuove sfide, in parte legate a fenomeni mondiali, in parte a specificità
italiane.
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Innanzitutto il bisogno crescente di sicurezza. Dal costante dilatarsi dell’uso di
videocamere e strumenti di controllo a distanza alla continua richiesta di dati legati
agli spostamenti dei cittadini o alle transazioni finanziarie transnazionali, abbiamo
dovuto affrontare, in Italia, in Europa e a livello globale problemi difficilissimi.
Abbiamo sempre cercato di trovare un giusto punto di equilibrio, mirando non
soltanto a contenere i fenomeni, ma anche a garantire che i dati acquisiti fossero usati
sempre e soltanto per le finalità per cui erano raccolti.
Alcune specificità nazionali, legate a nodi purtroppo spesso ancora irrisolti, ci
hanno spinto a rivolgere l’attenzione alle grandi banche dati pubbliche e private, alla
protezione dei dati, specialmente quelli raccolti per finalità di giustizia, di lotta
all’evasione, di sicurezza pubblica e di prevenzione.
Il nostro lavoro con riguardo alle banche dati, ai flussi di traffico telematico, agli
accessi e agli alert da adottare come misure preventive di sicurezza, fino alle
puntigliose regole organizzative da adottare per proteggere, anche sul piano della
organizzazione amministrativa, l’uso corretto dei dati relativi ai cittadini
costituiscono nel loro insieme un corpus di provvedimenti, ma soprattutto un
accumulo di esperienze e di indicazioni utilissime per tutta la società italiana, del
quale siamo orgogliosi.
In questi campi l’Autorità ha svolto un ruolo molto più avanzato di quanto sia
accaduto in altri Paesi, e in molti casi il nostro esempio è stato preso a modello.
Spesso abbiamo svolto anche un ruolo di supplenza rispetto allo stesso regolatore
italiano, come è accaduto, ad esempio, nell’uso della telematica in ambito sanitario.
Abbiamo implementato l’adozione dei codici deontologici, fra i quali segnaliamo
quello degli Avvocati e degli Investigatori.
Con riferimento al settore privato, abbiamo accompagnato con un processo di
semplificazione, a nostro giudizio incisivo, un lavoro orientato a trovare il giusto
punto di equilibrio tra interessi della produzione e rispetto dei diritti fondamentali dei
cittadini, degli utenti e dei lavoratori.
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Abbiamo contenuto il fenomeno delle centrali rischi e quello della raccolta di dati
finalizzata a formare le liste dei buoni o dei cattivi pagatori. Abbiamo cercato di
contenere le pratiche legate alla profilazione indebita dei clienti e dei consumatori.
Abbiamo combattuto le forme di pubblicità non richieste e non volute, sia con
modalità cartacee che telefoniche.
Luci ed ombre del rapporto con le Amministrazioni e con i privati
Guardando a questi temi potremmo dire che il nostro lavoro è stato apprezzato più
dalle Amministrazioni pubbliche che dagli operatori privati.
Mentre sono costantemente aumentate le richieste di cooperazione e di
collaborazione da parte degli operatori pubblici, specialmente nel settore della sanità
e della lotta all’evasione sugli operatori privati è rimasta invece alta la diffidenza nei
nostri confronti.
Dispiace che il mondo delle imprese e delle attività produttive non presti
l’attenzione che noi vorremmo al fatto che il rispetto della riservatezza dei cittadini e
l’adozione di misure di protezione adeguate si trasforma in un valore prezioso per le
imprese, perché riduce il rischio di danni legati alla perdita o al furto di dati, e
favorisce un rapporto più corretto e più positivo anche tra attività economiche e
utenti.
Pensiamo però che esse, se non accompagnate da un forte sforzo di
autoconsapevolezza e di attenzione alla adozione delle necessarie misure di
protezione, possono tradursi, specialmente nell’era del cloud e dell’Agenda digitale,
in rischi gravissimi per gli operatori economici.
Neppure con le Amministrazioni pubbliche però tutto si è svolto in maniera
pienamente soddisfacente.
Non ci riferiamo soltanto all’irrisolta questione delle intercettazioni telefoniche e
dei dati di traffico spesso diffusi dai mezzi di informazione quando ancora non sono
neppure state depositate in cancelleria.
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Pensiamo anche alla grande quantità di dati personali che in larghissima misura
riguardano persone assolutamente comuni, che il sistema giudiziario, civile, penale,
amministrativo, contabile, tratta ogni giorno e pensiamo alla facilità con la quale
spesso possono essere conosciuti anche da chi non ne ha nessun diritto.
Non abbiamo risparmiato i nostri sforzi, ma i risultati non sono stati soddisfacenti.
Lo sanno i Ministri della giustizia che si sono succeduti in questi anni; lo sanno i
Vicepresidenti del CSM; lo sanno i Capi degli uffici giudiziari.
Tutti condividono le nostre preoccupazioni. Spesso sono invocate, con ragione,
ristrettezze finanziarie e difficoltà organizzative. Noi comprendiamo, ma consentiteci
di dire che spesso molte trascuratezze potrebbero essere evitate.
La stessa cosa vale anche, e a maggior ragione, per le banche dati di polizia e di
sicurezza. Per queste il rischio della accessibilità da parte di estranei è minore, ma
non si può dire però che siano protette adeguatamente da accessi illegittimi. Anche
qui vi sono problemi economici e organizzativi ma è necessario uno sforzo deciso.
Da ultimo, un cenno alle strutture sanitarie. I dati sanitari, specialmente quelli
trattati con strumenti elettronici, sono oggi in generale protetti sufficientemente.
Quello che invece manca, e certo non per colpa degli operatori sanitari, sono i
trattamenti di cura svolti con il necessario rispetto della dignità dei pazienti. Già il
primo anno del nostro mandato abbiamo adottato un provvedimento in questo ambito
che mirava a garantire livelli di rispetto della dignità dei malati adeguati alla nostra
tradizione civile e a quelli dei Paesi più avanzati.
Episodi, anche recentissimi, hanno reso evidente quanto ancora siamo in ritardo.
I problemi irrisolti e i nuovi temi legati alla società della trasparenza
Un problema col quale abbiamo dovuto confrontarci continuamente è il rapporto
tra diritto alla riservatezza e libertà di stampa e di manifestazione del pensiero.
Questo tema, che in altri Paesi non riguarda direttamente le Autorità di protezione
dei dati personali, ha assunto da noi una dimensione centrale, diventando spesso da
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un lato, terreno diretto di scontro politico; da un altro lato di crescente tensione fra il
diritto dell’opinione pubblica a tutto conoscere per tutto giudicare e rivendicazione,
sempre più timida, di un diritto alla riservatezza da parte di chi ricopra un qualunque
incarico retribuito con denaro pubblico, ovvero anche di persone comuni a qualunque
titolo coinvolte.
Per quanto riguarda i temi relativi al rapporto tra giustizia, diritto ad informare ed
essere informati, e tutela della riservatezza, in questi anni siamo ritornati molte volte.
Facciamo dunque riferimento alle nostre Relazioni annuali, e ai due volumi che nel
corso del nostro settennato Mauro Paissan ha curato, per dare conto dei nostri
provvedimenti in tema di libertà di stampa.
Molto comunque è legato più al clima sociale e al costume che non alle regole e
alla disciplina normativa. Vi è però un settore sul quale sarebbe invece assai utile che,
dopo tanti anni di discussioni, il legislatore dicesse finalmente una parola chiara.
Ci riferiamo al tema delle intercettazioni e in genere all’uso dei dati di traffico
telefonico acquisiti per finalità di giustizia.
Abbiamo sempre detto che si tratta di strumenti essenziali per le attività di indagine
e per il lavoro della giustizia. Abbiamo anche sempre ripetuto che tocca ai giudici
utilizzare questi strumenti nel rispetto delle leggi mentre spetta al legislatore definire
per quali tipi di indagini essi siano utilizzabili. Infine, non ci siamo stancati di
ribadire che la libertà di stampa è un diritto fondamentale nelle moderne democrazie
e che la nostra Costituzione vieta ogni forma di censura o di autorizzazione.
Non ci siamo però limitati a questo. Abbiamo anche detto in ogni occasione che i
dati acquisiti a fini di giustizia devono essere adeguatamente protetti e che il
legislatore, così come può e deve definire per quali finalità di giustizia possono essere
raccolti e utilizzati, allo stesso modo può regolare quando e in che modo essi possono
essere resi accessibili a tutti.
Va peraltro ribadito che difficilmente sarebbe compatibile col quadro
costituzionale una legislazione che pretendesse di definire in via generale e astratta
quando sussiste e quando no l’interesse pubblico a conoscere.
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Noi pensiamo in questi anni di aver fatto il nostro dovere.
L’ATTIVITÀ DEL 2011
Le conferme dell’ accresciuto ruolo dell’Autorità
Guardando ora all’attività del 2011, l’aspetto che colpisce è la diminuzione del
numero dei ricorsi, dei reclami e delle segnalazioni, mentre il numero di
provvedimenti e delle sanzioni comminate è rimasto alto (si pensi ai tre milioni di
euro di sanzioni comminate nel corso dell’anno).
È inoltre aumentato il numero dei pareri dati al Governo, quello dei quesiti ai quali
ha risposto l’URP, ed è rimasto stabile quello delle segnalazioni fatte al Parlamento e
delle audizioni alle quali abbiamo partecipato.
Si tratta di dati significativi.
In parte, essi confermano che la cultura della protezione dei dati personali si va
radicando nel Paese, rendendo sempre meno frequenti i casi in cui occorre richiedere
il nostro intervento.
In parte, testimoniano l’efficacia della nostra riorganizzazione interna, che ha dato
autonomia ai dirigenti nell’adozione di provvedimenti che si collocano nelle linee
fissate dalle decisioni collegiali.
In parte, infine, dimostrano che è aumentata la collaborazione del’Autorità con il
Governo, con le Amministrazioni, col Parlamento. La maggior parte delle Istituzioni
vede oggi in noi una struttura in grado di assicurare un più elevato rispetto dei diritti
dei cittadini e della legalità senza diminuire in alcun modo, l’efficacia della loro
attività istituzionale.
Gli effetti negativi dei recenti provvedimenti legislativi
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Rispetto al numero e alla tipologia dei provvedimenti e, soprattutto, di quelli
relativi alle persone giuridiche, va segnalato però, un fenomeno che si è verificato
specialmente nell’anno appena trascorso.
Nel corso del 2011, prima col decreto Sviluppo del 13 maggio, poi con il “Salva
Italia” del 6 dicembre, si è intervenuti nell’impalcatura del nostro Codice, nella prima
fase limitando fortemente la sua applicabilità alle persone giuridiche, in quella
successiva escludendola radicalmente.
Degli effetti di questi provvedimenti abbiamo avuto immediato riscontro, e in
molti casi abbiamo dovuto anche interrompere istruttorie in atto, archiviare
segnalazioni delle quali si era avviato l’esame, dichiarare estinti ricorsi ancora non
scaduti.
Riteniamo che scegliere questa strada sia stato un errore.
Nella realtà odierna, e ancora di più lo sarà nel futuro, i dati possono essere
archiviati, trattati, incrociati con modalità sempre più sofisticate che possono
consentirne l’uso per finalità impreviste e spesso illecite.
Finora, noi potevamo assicurare alle imprese e alle persone giuridiche un alto
livello di protezione.
Oggi tutto questo non è più possibile.
Anche i presunti giovamenti relativi alla presunta minore onerosità delle attività
sono assai limitati, perché ogni volta che le imprese trattano dati di persone fisiche
devono comunque rispettare la normativa di protezione dei dati.
Dunque, è ragionevole chiedersi se davvero si è operato con sufficiente
ponderazione. Lo stesso vale per l’abolizione del DPS (Documento programmatico
sulla sicurezza), operata con il recente decreto “Semplifica Italia”. La disciplina di
quel Documento richiedeva necessariamente di essere rivista, e noi stessi, più volte,
lo avevamo proposto.
Tuttavia, esso era utile a limitare in parte l’eventuale responsabilità per la perdita,
la cancellazione o il furto dei dati, consentendo di provare che si era fatto almeno
quanto richiesto come misura minima per evitare il verificarsi dell’evento.
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Speriamo almeno che le imprese comprendano sempre di più la necessità di
adottare di loro iniziativa le misure necessarie.
Nel corso del 2011 nel nostro mondo economico si è manifestata anche una spinta
a un telemarketing sempre più aggressivo.
Si sono introdotte modifiche legislative che hanno consentito di passare dal
consenso espresso, come condizione per poter inviare pubblicità telefonica, all’attuale
sistema basato sul Registro delle opposizioni.
A molti mesi dall’entrata in vigore del nuovo sistema possiamo dire che esso non
funziona. Le segnalazioni dei cittadini hanno ormai raggiunto un ritmo giornaliero
preoccupante.
Una maggiore attenzione ai nostri avvertimenti sarebbe stata opportuna.
Un’eccessiva aggressività commerciale danneggia anche le imprese.
Il controllo dei cittadini come strumento di lotta all’illegalità. Il rischio della
trasparenza amministrativa senza limiti
Un altro fenomeno legato alla particolare situazione del Paese, ma che non può non
preoccupare se fosse destinato a durare a lungo in futuro, riguarda la richiesta sempre
più massiccia da parte delle strutture pubbliche che combattono la lotta all’evasione o
le illiceità nei settori della previdenza e dell’assistenza sociale, di poter accedere ai
dati personali dei cittadini. Recentemente la legge ha addirittura previsto che essi
debbano ricevere alcune informazioni indipendentemente da ogni indagine, sia pure
solo preliminare, nei confronti degli interessati.
Comprendiamo le ragioni di tutto questo, legate a un’evasione fiscale e a forme di
illegalità che richiedono interventi di straordinaria efficacia. Per questo ci siamo
limitati a chiedere, ottenendolo, di essere sentiti con formale parere. Potremo così
garantire almeno che i dati che su queste basi saranno raccolti siano adeguatamente
protetti.
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Dobbiamo però essere consapevoli che siamo in presenza di strappi forti allo Stato
di diritto e al concetto di cittadino che ne è alla radice.
È proprio dei sudditi essere considerati dei potenziali mariuoli. È proprio dello
Stato non democratico pensare che i suoi cittadini siano tutti possibili violatori delle
leggi. In uno Stato democratico, il cittadino ha il diritto di essere rispettato fino a che
non violi le leggi, non di essere un sospettato a priori.
Per questo è importante che si consideri questa una fase di emergenza dalla quale
uscire al più presto.
Se così non fosse, anche lo spread fra democrazia italiana e democrazie occidentali
sarebbe destinato a crescere.
Sentiamo il bisogno di lanciare questo monito anche perchè vediamo che è in atto,
a ogni livello dell’amministrazione, e specialmente in ambito locale, una spinta al
controllo e all’acquisizione di informazioni sui comportamenti dei cittadini che
cresce di giorno in giorno. Un fenomeno che, unito all’amministrazione digitale, a
una concezione potenzialmente illimitata dell’open data e all’invocazione della
trasparenza declinata come diritto di ogni cittadino di conoscere tutto, può condurre a
fenomeni di controllo sociale di dimensioni spaventose.
Attenzione alle liste dei buoni e dei cattivi. Attenzione ai bollini di qualunque
colore siano.
Le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni.
Il rapporto tra diritto alla riservatezza e i media nel 2011
Anche sul piano del rapporto fra diritto alla riservatezza e ruolo dei media l’anno
2011 ha registrato luci e ombre.
Nella prima parte dell’anno è continuato il fenomeno di intercettazioni ed altre
informazioni acquisite dai giudici a fini di giustizia pubblicate dai media, spesso
senza adeguata attenzione a proteggere i terzi incolpevoli, le vittime del reato, i
familiari.
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Abbiamo già detto del nostro auspicio che possa essere presto adottata una
normativa sull’uso delle intercettazioni e dei dati di traffico telefonico.
La nostra esperienza ci dice però che questo non risolverà che una parte soltanto
dei temi legati al rapporto tra media e riservatezza, anche con riguardo alle vicende
giudiziarie.
Non ci riferiamo tanto al caso delle persone che sono pubbliche ma di quelle che
pubbliche lo diventano, perché coinvolte, magari come vittime, in fatti di sangue o
comunque in fatti di cronaca che sollecitano l’interesse, o spesso, più propriamente,
la curiosità del pubblico.
Purtroppo in questi casi, prima del diritto e dello stesso Codice deontologico dei
giornalisti, è il buon gusto e talvolta persino il senso di umana pietà che dovrebbe
guidare i media. Non sempre avviene così, e non sempre soltanto per il
comportamento dei professionisti dell’informazione.
A questi fenomeni si affianca il diffondersi delle trasmissioni di denuncia,
utilissime a individuare le devianze più gravi e sentite come più insopportabili
dall’opinione pubblica, ma spesso inclini a forme di spettacolarizzazione e di
esposizione dei protagonisti che colpiscono per la loro aggressività.
Viviamo in una realtà nella quale il diritto a conoscere e ad essere informati è
sentito, specialmente dai giovani, come un diritto assoluto, che non tollera né limiti,
né freni.
Per questo il nostro intervento da tempo punta assai più sui moniti, sulle
raccomandazioni, sugli inviti a fornire chiarimenti. Molto spesso questo
comportamento si dimostra efficace e ottiene uno spontaneo adeguamento alle regole
da parte dei media stessi.
Ci sia consentito ricordare che la gogna, in qualunque forma, materiale o mediatica
che sia, è sempre uno strumento pericoloso, anzi pericolosissimo.
Nessuna democrazia rispettosa del pluralismo e della libertà individuale ha mai
usato la gogna. È vero che Hawthorne intitolò “La Lettera Scarlatta” il suo
immortale romanzo sulla comunità del New England; è vero anche, però, che la
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democrazia americana trovò in sé stessa gli anticorpi necessari per battere in breccia
l’intolleranza e la violenza del pensiero unico, pur quando fondato sulla fede
religiosa.
Nessuno, in una società democratica, potrà mai chiedere e ottenere di porre limiti
al diritto dei giornalisti di sapere, conoscere e informare. Ma il loro stesso Codice
deontologico contiene regole chiare sulla necessità di rispettare i principi di
essenzialità delle informazioni, di tutelare i minori, di rispettare la dignità delle
persone, specialmente nell’ambito sanitario e sessuale.
E’dovere di tutti chiedere che i media siano anche gelosi custodi delle regole che
essi stessi si sono dati.
Il diritto all’oblio nel 2011
Una riflessione particolare merita, anche con riguardo all’anno appena trascorso, il
tema del diritto all’oblio, anche in seguito alla sua disciplina nel nuovo Regolamento
proposto dalla Commissione europea.
Il diritto all’oblio ha assunto un significato tanto maggiore quanto più la rete è
diventata uno strumento di diffusione incontrollata e incontrollabile delle
informazioni.
Questo è importante, perché chiarisce che il diritto all’oblio non riguarda, e non
potrebbe essere altrimenti, la conservazione della memoria storica di un Paese o l’uso
dei dati per finalità specifiche, quali ad esempio la ricerca statistica o scientifica in
genere, o le attività di giustizia e di sicurezza. Attività, queste, che sono tutte
disciplinate da legislazioni specifiche, che definiscono anche l’ambito di diffusione
legittima dei dati trattati.
Non si può parlare di diritto all’oblio neppure con riferimento ai media e
all’esercizio del diritto ad informare ed essere informati, rispetto ai quali il diritto alla
riservatezza, anche declinato nella forma del diritto all’oblio, cede sempre di fronte
all’interesse pubblico a conoscere l’informazione che si diffonde.
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Del resto, e non a caso, anche lo schema di Regolamento europeo appena
presentato dalla Commissione, quando regola il c.d. diritto all’oblio, esclude
chiaramente che esso si applichi a questi settori, per i quali rinvia, invece, alle
legislazioni nazionali. Con ancora maggiore nettezza il nuovo Regolamento europeo
è chiarissimo, laddove puntualizza che le attività legate all’informazione restano
disciplinate dalle leggi nazionali.
Dove si collocano allora i problemi veri che sottostanno a ciò che oggi si intende
per diritto all’oblio?
Si collocano essenzialmente nell’ambito di Internet, dei social network e
nell’informazione fai-da-te da un lato, dei motori di ricerca generalisti come quello di
Google dall’altro.
Per quanto riguarda social network e informazione fai-da-te il tema è tuttora
inesplorato. Esso pone, infatti, la questione delicatissima se opinioni espresse, foto e
immagini comprese, sui social network debbano essere considerate attività di
diffusione o di comunicazione.
Per i motori di ricerca generalisti, invece, la situazione è diversa.
È chiaro che alle informazioni da essi diffuse si possono e si devono applicare tutte
le regole che tutelano la protezione dei dati personali in generale e dunque che esiste
il diritto a chiedere come il dato sia stato conosciuto, e ottenerne la rettifica e la
cancellazione quando ne ricorrano le condizioni.
Si potrà dunque esercitare il diritto all’oblio nei confronti dei motori di ricerca
generalisti quando l’informazione, anche se tratta da archivi on line dei giornali o dei
media, non ha più alcun interesse pubblico. In questi casi, si potrà chiedere al
giornale o al sito, o comunque alla fonte che ha messo on line il dato, di oscurarlo o
almeno di renderlo inaccessibile al motore generalista.
Il Garante italiano, aprendo una via poi seguita anche da altre Autorità, ha da
tempo chiesto e ottenuto che, quando un cittadino chiede che un’informazione che lo
riguarda e che non ha più interesse pubblico ad essere diffusa sia cancellata dai
motori di ricerca, coloro che l’hanno messa in rete e che l’hanno resa accessibile a
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questi motori provvedano a proteggerla o ad oscurarla. Resta consentito invece l’uso
di motori di ricerca specificamente collegati a singoli siti o ai singoli archivi on line.
Sono questi gli aspetti complicati di una tematica che interessa un numero sempre
crescente di cittadini.
I più importanti provvedimenti del 2011
Venendo ora ai provvedimenti più importanti del 2011, possiamo segnalare una
intensa attività nell’ambito della sanità e della tutela della salute, che si è
concretizzata nei provvedimenti e nelle linee guida relativi alle prenotazioni e alle
analisi ottenute attraverso le farmacie; prescrizioni relative all’acquisto di autovetture
da parte di disabili; linee guida per la customer satisfaction in ambito sanitario; linee
guida per i blog finalizzati allo scambio di informazioni relative alla salute.
La
collaborazione
con
la amministrazione della giustizia ha prodotto
provvedimenti importanti sui trattamenti dati nell’ambito delle attività di mediazione.
Rispetto alle banche abbiamo dettato regole relative alla circolazione di
informazioni e al tracciamento delle operazioni.
Nell’ambito della Pubblica Amministrazione abbiamo dettato linee guida per la
pubblicazione e diffusione on line di atti e documenti amministrativi.
Rispetto al marketing abbiamo adottato numerosi provvedimenti finalizzati a
disciplinare il nuovo regime di opt out, cercando di limitarne gli effetti negativi per
gli utenti e cercando di porre freni alle attività spesso aggressive dei call center e
all’invio massivo di fax indesiderati.
Abbiamo collaborato col Ministero dell’Economia sulle linee di indirizzo in
materia di misure regionali di compartecipazione alla spesa sanitaria e con quello
della Salute su specifici tipi di censimento relativi a protesi di particolare pericolosità.
Numerosi i provvedimenti in materia di lavoro e di trattamento dei dati dei
lavoratori, anche nel campo dell’uso delle impronte biometriche e dei relativi limiti,
nonché nell’ambito del corretto uso di sistemi di geolocalizzazione.
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Nel settore delle telecomunicazioni e delle evoluzioni in atto in questo campo
abbiamo continuato una costante attività di informazione sui sistemi cloud,
specialmente rispetto alle imprese, e abbiamo incrementato la nostra attività di
informazione presso i giovani, dando vita, insieme alla Guida Monaci, a un concorso
aperto alle scuole che ha incentivato, con ottimi risultati, la partecipazione dei
giovani alla produzione di filmati sui moderni social network.
Insomma un’attività che anche quest’anno è stata estremamente variegata e ricca di
stimoli per noi e per tutti.
Il quadro europeo e internazionale e il futuro dell’Autorità.
Ci avviamo alla conclusione.
Una conclusione che non può che guardare al quadro nazionale ed europeo e al
futuro che ci sta davanti.
Gli anni che abbiamo vissuto noi, e in particolare questo ultimo 2011, sono stati
segnati da una attività intensa sia in sede europea che internazionale, della quale
abbiamo parlato diffusamente nelle Relazioni e vi è ampia documentazione nel
volume sul settennato.
La recentissima Conferenza internazionale di Città del Messico ha dato vita in
modo definitivamente compiuto alla organizzazione di un board permanente delle
Autorità di protezione dati di tutti i continenti, incaricato di incrementare e sviluppare
nuove prassi e scambiare costantemente nuove esperienze a livello internazionale.
Un salto in avanti importante, che ha concluso un cammino avviato negli anni
scorsi, e ha aperto una nuova fase della protezione dati vista a livello globale.
Più importante ancora il lavoro della Commissione e la presentazione del nuovo
Regolamento e della nuova Direttiva.
Si è concluso così un lungo lavoro, finalizzato a dare attuazione alla nuova
disciplina della protezione dati alla luce del Trattato di Lisbona.
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Un lavoro al quale la nostra Autorità ha intensamente partecipato in questi anni
insieme alle Autorità degli altri Paesi, e che la vedrà ancora più impegnata nel corso
dell’esame di questi strumenti normativi nell’ambito delle Istituzioni europee. Infine
è bene che fin da ora la nostra e le altre Autorità nazionali si preparino al lavoro che
dovrà essere svolto negli anni successivi, quando si tratterà di dare attuazione a
questa nuova normativa.
Sarebbe però miope limitarsi a guardare a questi aspetti.
Tanto a livello internazionale quanto a quello europeo, la vera nuova dimensione
della protezione dati è strettamente legata all’evoluzione del sistema delle
telecomunicazioni e al continuo svilupparsi di nuovi sistemi di comunicazione, di
nuovi tipi di applicazioni, di nuovi sistemi di trattamento, archiviazione,
conservazione dei dati a livello mondiale.
La stessa Vicepresidente Kroes, del resto, ha detto con chiarezza che senza un
efficace sistema di protezione dei dati, anche lo sviluppo dell’Agenda digitale corre
pericoli seri e rischia di andare incontro a resistenze, diffidenze e limitazioni che ne
metterebbero seriamente a rischio l’efficacia innovativa e la capacità di incrementare
lo sviluppo delle nostre economie.
Questo è dunque l’orizzonte più importante nel quale si colloca oggi l’attività
legata alla protezione dei dati. Protezione dei dati personali, innanzitutto, ma anche
protezione dei dati tout court, giacché sempre di più sarà difficile distinguere
nell’ambito delle nuove tecnologie fra i dati trattati che contengono informazioni
personali e quelli che invece non rientrano in questa categoria.
Allo stesso tempo nella nuova dimensione del mondo delle telecomunicazioni e
della rete sarà sempre più difficile pensare di applicare le norme giuridiche a tutela
dei diritti e dei rapporti economici pensati nel mondo di ieri e adatti a una realtà che è
ormai sempre più lontana dalla nostra.
Si colloca qui il tema del diritto di autore e dei molti diritti tradizionali, che in
questo nuovo mondo non possono più trovare tutela nelle regole esistenti.
E’ tempo di concludere.
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Pensiamo di aver fatto il nostro dovere e siamo certi che chi verrà dopo di noi
saprà continuare il nostro lavoro.
Concludiamo ringraziando.
Ringraziamo tutti voi, che siete qui a dimostrarci la vostra attenzione e, per molti
di voi, anche il vostro affetto.
Consideriamo questa attenzione e questo affetto come rivolti a tutto il Collegio,
perché siamo orgogliosi di poter dire che in sette anni mai una decisione è stata presa
col voto contrario di uno di noi. Tutto è stato deciso sempre all’unanimità e
comunque con la comprensione e l’attenzione per le tesi di tutti.
Ringraziamo l’Ufficio che ci ha sempre supportato con dedizione e i tre Segretari
generali che si sono succeduti in questi anni, ai quali va il nostro apprezzamento
anche per le alte professionalità dimostrate.
Ringraziamo le Istituzioni.
Un grazie a tutti e quattro i Governi che si sono susseguiti nel corso del nostro
mandato e con i quali tutti abbiamo sempre collaborato nel rispetto e nella piena
autonomia reciproca.
Un grazie alle Amministrazioni centrali, regionali e territoriali che hanno accolto
con attenzione i nostri suggerimenti.
Un grazie alle organizzazioni di categoria, e specialmente a quelle a tutela dei
consumatori, che spesso ci hanno contrastato, ma ancora più spesso ci hanno
stimolato e sempre hanno prestato attenzione al nostro lavoro.
Un grazie ai media e alla stampa tutta, in particolare a quella specializzata, che ci
hanno spesso criticato, ma anche sempre seguito con attenzione e che ci sono stati in
ogni occasione di stimolo e di aiuto per meglio valutare e talvolta anche per
correggere errori compiuti.
Un grazie caloroso al Parlamento, fonte della nostra elezione e della nostra
legittimazione, e ai suoi Presidenti che ci hanno ospitato nelle loro sedi e non ci
hanno mai fatto mancare il conforto del dialogo e del sostegno.
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Un grazie al Presidente Schifani e alla Presidente Bindi per le parole calorose e
gentili che oggi ci hanno rivolto.
Un grazie infine, con particolare calore e deferenza, al Signor Presidente della
Repubblica che ha sempre seguito, con attenzione e grande rispetto per la nostra
autonomia istituzionale, il lavoro svolto in questi anni.
Sempre, anche nei momenti più delicati, abbiamo saputo, come tutti gli italiani e
come tutte le nostre Istituzioni democratiche e di garanzia, di poter contare sulla
saggezza e l’autorevolezza del Presidente della Repubblica.
Non sono stati anni semplici, e la memoria di noi ne reca traccia indelebile. Ci è
stato consentito però di vivere una esperienza bella e interessante, al servizio degli
italiani.
Di questo siamo grati a tutti.
*Si è ritenuto opportuno sottolineare il punto del discorso che, nei primi commenti, ha più
richiamato l’attenzione del mondo dell’informazione
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