Aggiornamento Bayesiano e Funzioni di Preferenze Sociali (Cap. III Bowles) Con questa dispensa si conclude la guida alla lettura del capitolo III del libro di Bowles (“Preferenze e Comportamenti”). In particolare, introdurrò due argomenti: 1. L’aggiornamento Bayesiano (cenni) 2. Le Funzioni di Preferenze sociali empiricamente fondate M. BOVI Pag. 1 Aggiornamento Bayesiano Nel caso dell’incertezza le probabilità sono sconosciute e sono sostituite dalle stime soggettive dell’individuo. In questi casi si assume generalmente che gli individui modifichino le loro stime sulla base dell’esperienza recente per mezzo di un processo denominato aggiornamento bayesiano. L’approccio bayesiano all’azione razionale assume che il processo di decisione dell’individuo in situazione di incertezza sia basato sulla massimizzazione dell’utilità attesa, a sua volta fondata sulle probabilità soggettive aggiornate in questo modo: l’approccio bayesiano presume l’utilizzo di utilità di Von Neumann-Morgenstern. Vediamo meglio in cosa consiste l’aggiornamento bayesiano e le sue differenze con l'approccio frequentista alla stima delle probabilità. M. BOVI Pag. 2 Come si calcola la probabilità? Frequentisti vs Bayesiani Le espressioni statistica frequentista e statistica bayesiana si riferiscono a due modi diversi di intendere la teoria della probabilità e, di conseguenza, di affrontare l’inferenza statistica. Nella statistica frequentista si assume che il concetto di probabilità sia strettamente legato a quello di frequenza (relativa). Più precisamente, secondo questo approccio si può parlare di probabilità soltanto con riferimento agli esiti aleatori di esperimenti ripetuti nelle stesse condizioni. La probabilità è il limite “per n che tende ad infinito” della frequenza relativa con cui un particolare esito si è verificato in n prove: se tiro un dado, ho 1/6 di probabilità che esca il numero 4. Siamo tutti d’accordo: questa probabilità è un concetto “oggettivo”. Nell’approccio bayesiano, invece, il concetto di probabilità è legato al suo significato intuitivo e all’etimologia (latina) dell’aggettivo probabile, ovvero alla plausibilità che eventi dall’esito incerto possano accadere. Persone diverse possono tranquillamente esprimere diverse valutazioni di probabilità. Chiedendovi quale è la probabilità che la crescita del Pil il prossimo anno sarà dell'1%, difficilmente otterrei una risposta identica da ciascuno di voi. Il disaccordo è plausibile: questa probabilità è un concetto “soggettivo”. Intuitivamente, il metodo inferenziale di Bayes si basa su tre “scommesse”: M. BOVI Pag. 3 distribuzione a priori del parametro di interesse – Prob(ipotesi): è una distribuzione di probabilità (es. normale) che esprime quanto “scommetteremmo” sulla (quanto siamo fiduciosi della) nostra ipotesi prima delle e quindi senza considerare le - nuove informazioni sperimentali. Non consideriamo i dati sperimentali semplicemente poiché non li conosciamo: siamo “a priori” del primo esperimento. Ma, allora, come ci siamo fatti quest’opinione “a priori”? L’a priori riflette l’informazione che abbiamo letto/sentito…Gli a priori possono ovviamente essere diversi tra le persone. funzione di verosimiglianza – Prob(dati|ipotesi): essa indica quanto “scommetteremmo” sui dati osservati data l’ipotesi. Ovvero: quanto è verosimile (qual è la probabilità) che osserverò “dati”, data la mia ipotesi? O, anche: Quanto è verosimile l’evidenza osservata data la nostra ipotesi. distribuzione a posteriori – Prob(ipotesi|dati): Essa è quanto vogliamo sapere: è la probabilità(=credibilità, affidabilità) della nostra ipotesi in confronto all’evidenza empirica. Ovvero essa ci dice indica quanto “scommetteremmo” sulla nostra ipotesi dopo aver esaminato i dati sperimentali (o nuove evidenze empiriche). Il fatto è che, dopo aver osservato i dati, desideriamo aggiornare le nostre aspettative mettendo insieme le nostre conoscenze a priori e le nuove conoscenze derivate dall’osservazione dei dati. La distribuzione a posteriori ha esattamente lo scopo di “mettere insieme” e, in questo processo di aggiornamento, ci si avvale del teorema di Bayes per arrivare alla formula: p(ipotesi|dati) = [p(dati|ipotesi) p(ipotesi)]/P(dati) A differenza della statistica bayesiana, la statistica classica si avvale soltanto del secondo dei tre elementi - la funzione di verosimiglianza - e ha lo scopo di scegliere il valore del parametro di interesse (i.e. dell’ipotesi) più compatibile con i dati in esame (ovvero il valore del parametro che massimizza la funzione di verosimiglianza). NB importante: M. BOVI Pag. 4 Quanto maggiore è il peso dei dati osservati rispetto alle nostre aspettative a priori del fenomeno (o perché tali aspettative sono molto deboli, o perché la numerosità del campione osservato è molto grande), tanto più le inferenze della statistica bayesiana tendono a convergere con le inferenze della statistica classica (i due approcci portano alla stessa stima del parametro di interesse e a intervalli di confidenza/credibilità simili). Vale anche il viceversa: quando invece i dati osservati sono pochi o le conoscenze a priori molto forti, il peso della distribuzione a priori è maggiore rispetto a quello della funzione di verosimiglianza e i due approcci possono portare a risultati anche molto diversi. Un esempio dovrebbe chiarire ancora meglio la logica bayesiana. M. BOVI Pag. 5 Dobbiamo stimare la probabilità che il nostro bimbo sia affamato (=x=parametro) dopo che ha vagito (=o=dati). Dobbiamo, cioè, stimare p(x|o). Abbiamo a disposizione le seguenti informazioni: 1) quando è affamato vagisce spesso, diciamo il 90% delle volte, cioè p(o| x)=90%, 2) è affamato il 25% del giorno (cioè p(x)=25%), 3) di solito vagisce poco: a prescindere dalla fame lo fa solo il 30% del giorno (cioè p(o)=30%). Dovrebbe essere chiaro che è molto probabile che quando vagisce sia affamato. Infatti: p(x|o)=(90%×25%)/30%=75% D’altronde, se il bimbo piange frequentemente a prescindere dalla fame (es. non più p(o)=30%, ma p(o)=70%), allora la probabilità che sia affamato quando vagisce dovrebbe essere molto minore. Infatti: p(x|o)=(90%×25%)/70%=32% Assomiglia alla storia di “al lupo al lupo” e tutto sembra così logico, plausibile, vero? Eppure vari studi dimostrano che le persone, nel prendere le decisioni, NON usano l’aggiornamento bayesiano. L’homo walrasiano NON sembra emergere studiando il comportamento delle persone. M. BOVI Pag. 6 Funzioni di Preferenze Sociali empiricamente fondate Nelle precedenti lezioni (cf. Istituzioni e Preferenze), abbiamo visto come le preferenze dell’uomo walrasiano certe volte non trovano riscontro nella realtà. Ripercorriamo velocemente i punti essenziali. Il Paradigma Comportamentale standard assume che l’individuo sia: 1) egoista e auto interessato (interesse personale) 2) razionale (coerente) 3) caratterizzato da preferenze esogene e costanti (preferenze “genetiche”) Egoismo e auto interesse non sono concetti coincidenti. Auto interessato: se è nel suo interesse, si può anche comportare da altruista. Egoista: è assolutamente (meno intelligentemente) contrario alla cooperazione. Trattasi di ipotesi tutte criticabili e migliorabili. Qui ci limitiamo al primo punto: Interesse personale? Egoismo sì, ma anche Preferenze Sociali: Reciprocità, Avversione alla disuguaglianza, Invidia, Altruismo … Queste preferenze sono inspiegabili all’interno degli schemi dell’economia standard. M. BOVI Pag. 7 Eppure non sono rare: in molti esperimenti è stato osservato che le persone si interessano degli altri e si interessano del perché le cose succedono. Ciò, indipendentemente dai risultati. Nell’analizzare le preferenze definite in base alle esperienze altrui e proprie, Bowles propone una tassonomia della distribuzione dei benefici e dei costi quando due (o più) persone interagiscono: La colonna a destra è familiare agli economisti standard: Dato che lo scambio di mercato del modello convenzionale avviene per ragioni di interesse personale, esso deve conferire dei benefici. La colonna di sinistra elenca i comportamenti che sono specificamente preclusi dall’assioma dell’interesse personale: Assioma dell’interesse personale: l’individuo non solo persegue l’interesse personale, ma suppone altresì che gli altri siano a loro volta motivati dal loro proprio interesse personale. E’ anche per questo assioma che il walrasiano può essere visto come un R. Crusoè. In particolare l’assioma dell’interesse personale non può comprendere: M. BOVI Pag. 8 Dispetto: l’imposizione di costi ad un’altra persona in modo costoso anche per noi stessi: non fa niente che mi costa, voglio fartela pagare! Questo comportamento può essere motivato da: rancore, invidia, avversione alla diseguaglianza (se l’altro è più ricco oppure ottiene di più) desiderio di punire chi ha danneggiato te stesso o altri o chi ha violato norme sociali. Altruismo: un comportamento è altruistico se conferisce un beneficio ad un altro, imponendo un costo a sé stessi. Dato che in molti esperimenti l’assioma dell’interesse personale risulta violato, una domanda è sorta spontanea: Se l’homo economicus potesse dire all’Economista quali argomenti mettere dentro la propria funzione di utilità, ci metterebbe dentro qualcosa in più degli argomenti walrasiani? La reazione degli Economisti a questo dubbio è stato: occorre formulare funzioni di utilità che siano allo stesso tempo semplici abbastanza da essere trattabili ma anche sufficientemente robuste da spiegare sia comportamenti standard che le varie anomalie sperimentali. Ingredienti principali: interesse personale, altruismo, rancore, equanimità, reciprocità. Vedremo due esempi di funzioni di utilità che tengono conto anche di modelli di comportamento non walrasiani: 1. L’Uomo Equanime/Giusto 2. L’Uomo Reciprocante M. BOVI Pag. 9 L’Uomo Equanime: la funzione di utilità “Fehr-Schimdt” Questa funzione tiene conto sia dell’interesse personale sia della “equanimità”, ovvero della “avversione alla diseguaglianza”, ovvero della “propensione all’uguaglianza”. Se l’agente equanime “i” interagisce con solo un’altra persona (l’agente “j”), allora la sua funzione di utilità è data da (eq. 3.3 del libro di Bowles): Dove: max(.) ≡ argmax(.) = valore più alto tra gli argomenti inclusi in (.); πj , πi = payoff materiali(oggettivi) dei due individui che popolano il Sistema. Perciò, questa funzione di utilità ci dice che l’individuo i tiene conto sia (walrasianamente) dei propri payoff sia (socialmente) della sua avversione alle differenze nei payoff (ricordate l’UG=Ultimatum Game?). Si ipotizza anche che: δi ≥ αi Cioè, l’individuo i attribuisce un maggior peso (δi) alle differenze a lui svantaggiose (πj − πi) > 0 => πj > πi rispetto al peso (αi) attribuito alle differenze a lui vantaggiose (πj − πi ) < 0): altruista sì, ma fino ad un certo punto. αi ∈[0 , 1] Il limite superiore di αi preclude quelli che si potrebbero chiamare livelli “autopunitivi” (masochistici) di avversione alla disuguaglianza vantaggiosa. Infatti, supponiamo che πj<πi In questo caso, max(πj - πi)=0 e un individuo M. BOVI Pag. 10 con α=1 si preoccuperebbe solo dei payoff dell’altro: Ui = πi – δi*0 –(πi - πj) = πi – πi + πj = πj con α>1, si auto punirebbe poiché il suo payoff diminuirebbe la sua utilità: Ui = (1– α) πi + α πj E’ una media pesata con un peso soggettivo negativo ai nostri benefici oggettivi Vediamo ora il caso opposto, ovvero πj>πi. Se i fosse molto avverso a questa disuguaglianza a lui svantaggiosa (i.e., se ha un grande δi) allora, come nell’UG, potrebbe preferire (πj=πi=0) a (πi=1; πj=2). Infatti: se πj=πi=0 => Ui=0; se πi=1; πj=2 => Ui = 1 –δi*(2 - 1)–αi*0 = 1–δi. Ovviamente, se δi>1, allora Ui <0. Pertanto, se δi>1, allora i preferisce (πj=πi=0) a (πi=1; πj=2). Ovvero, preferisce zero a una quantità strettamente positiva di benessere materiale. Che cosa implica l’equanimità per i comportamenti punitivi e per quelli compartecipativi (generosi)? Supponiamo che: i due agenti debbano suddividere una unità (πj + πi =1); αi>½ In questo caso, (dUi /dπi) < 0 per tutte le spartizioni tali che (πi − πj) > 0. Infatti, se πi>πj => Ui = πi – αi(πi‐πj) => ricordando che πj = 1‐πi si ha: => Ui = πi – αiπi + αi – αiπi => αi + πi(1–2αi) => (dUi/dπi) = 1 – 2αi => se αi>½ allora Ui cala quando cresce πi QED. M. BOVI Pag. 11 A parole: la spartizione preferita dall’individuo i sarebbe la divisione dell’unità in parti uguali. Es., se la divisione inizialmente lo favoriva rispetto a j (πi>πj), allora i starebbe soggettivamente meglio trasferendo parte del proprio payoff iniziale a j. In modo simile, se supponiamo che: i payoff debbano essere divisi in modo tale che j riceva 0.6 e i riceva 0.4, δi ≥½ allora i sarebbe disposto a pagare 0.1 per ridurre i payoff di j di 0.3, in modo che entrambi ricevano 0.3 (vi lascio i calcoli come esercizio). Ancora più notevole, in un gioco tipo UG, i rifiuterebbe un’offerta inferiore a 0.25 poiché preferisce zero a 0.25 pur di far prendere zero anche a j (fatevi i calcoli). L’equanimità può spiegare la seguente anomalia sperimentale: un considerevole numero di soggetti sperimentali coopera nel gioco del dilemma del prigioniero one-shot (nonostante che defezionare sia la strategia dominante nei payoff del gioco). Un giocatore-riga equanime (con una funzione di utilità Fehr-Schimdt) trovandosi di fronte ai payoff materiali del dilemma del prigioniero standard (a ≻b≻c≻d) coopererebbe se sapesse che il giocatore-colonna coopererebbe se la disutilità (α) derivante dalla disuguaglianza vantaggiosa fosse sufficientemente grande, cioè se α>(a – b) / (a - d). Vediamolo nella tabella 3.3: M. BOVI Pag. 12 Se la disuguaglianza α>(a–b)/(a-d) si verifica (e potrebbe poiché b>d => il secondo membro è necessariamente minore di uno), allora il gioco risultante non è più un dilemma del prigioniero, ma un Assurance Game e allora esisterà qualche valore critico p*∈(0, 1) tale che se Riga crede che Colonna defezionerà con probabilità minore di p*, allora la sua risposta ottima è cooperare. Abbiamo visto che ci sono tanti scenari quanti sono i possibili parametri della funzione di “Fehr-Schimdt”. Ci si può dunque chiedere: Come si stimano questi parametri? In un esperimento Loewenstein, Thompson, e Baserman (1989) hanno creato vari scenari che avevano in comune la divisione di una certa cifra. Le situazioni differivano nella relazione personale tra i partecipanti (negativa=antipatia e simili, neutrale, positiva) e nella natura dell’interazione (affari vs interazioni non economiche). Risultati dell’esperimento: M. BOVI Pag. 13 L’ineguaglianza svantaggiosa è fortemente sgradita, a prescindere dalla natura della relazione personale o della transazione/interazione. L’ineguaglianza vantaggiosa è sgradita al 58% dei soggetti nella transazione non economica, ma è preferita dalla maggioranza nella transazione economica (essendo sgradita solo al 27%). La natura della relazione interpersonale è rilevante: nella situazione di relazione positiva o neutrale il 53% non gradisce l’ineguaglianza vantaggiosa, mentre nella situazione di relazione negativa è sgradita solo al 36%. Importanza dell’esperimento: o Fornisce la prova diretta dell’avversione all’ineguaglianza o E’ coerente con il punto di vista che sostiene che i comportamenti siano condizionati dalle proprie credenze (positive o negative) riguardo alle altre persone e che siano specifici alla situazione (economica o non economica). L’Uomo Reciprocante Le preferenze equanimi sono definite sui risultati, le preferenze reciprocanti dipendono anche dalle credenze riguardanti l’intenzione o il tipo di individuo con cui si sta trattando. Occorre dunque rendere più popolosa “l’isola dei reciprocanti”. La seguente funzione (eq. 3.4) incorpora l’interesse personale, l’altruismo e la reciprocità. L’utilità di i dipende dal proprio payoff e da quello degli altri (j=1,…,n): ij = peso attribuito da i al payoff di j = come il payoff di j influenza Ui M. BOVI Pag. 14 aj ∈[−1,1] = valutazione che i attribuisce alla buona volontà (=altruismo) di j ai ∈[−1,1] = livello incondizionato(~genetico) di attitudine di i verso gli altri. L’attitudine può essere buona(=altruismo) o cattiva(=dispetto). Limitare a i nell’intervallo [−1,1] implica che nessun agente considera gli altri più di se stesso (né in senso positivo né in senso negativo). λi ≥ 0 = misura in cui i condiziona le sue valutazioni dei payoff degli altri sulla base delle sue credenze sulla natura degli altri: non te lo meriti perché so che sei dispettoso; te lo meriti perché so che sei altruista. L’agente i vuole massimizzare Ui ed è utile puntualizzare alcuni casi notevoli: Se ai>0 => i è altruista: tiene conto, cioè, anche del benessere altrui (cioè dei vari j) Se ai=0 => i è auto interessato: non considera – i.e. è neutrale verso - gli altri (i.e. j) Se ai <0 => i è dispettoso: pur di danneggiare gli altri, sceglie di danneggiarsi. M. BOVI Pag. 15 Se ai = λi = 0 => i è il solito walrasiano-R.Crusoè: ij = 0 per ∀i,j => Ui = πi Se ai = 0 e λi > 0 => i è un reciprocante non altruista: se gli altri sono neutrali (esclusivamente auto-interessati), lo è anche lui. Però il suo comportamento è reciprocante, i.e. non è incondizionato: cambia in presenza di (sue credenze circa la) bontà/malevolenza negli altri. Cioè, il suo comportamento è fz. di λi e aj. Matematicamente: bij=(ai + λiaj)/(1+λi) => bij=(λiaj)/(1+λi). Se λi = 0 e ai ≠ 0, => i è un altruista, o malevolo, incondizionato: Altruismo (ai>0) o malevolenza (ai<0) dipendono dal segno di ai. Sostituendo i valori ipotizzati, infatti, si ha che: ij=ai (perché deve essere ai ≠ 0?). Due ultime osservazioni: 1) dij/dλi ha lo stesso segno di (aj − ai): dij/dλi = Detto a parole: se l’altro (j) è più generoso di me (a j > ai), allora sono contento se gli va bene. Cioè, il suo payoff fa aumentare la mia utilità (segno positivo). Stesso dicasi, mutatis mutandis, se j è meno generoso di i (aj < ai). M. BOVI Pag. 16 2) Se aj = ai, allora ij=ai per qualsiasi livello di reciprocità: Ui = πi + aijπj Per memoria: ij = peso attribuito da i al payoff di j = come il payoff di j influenza Ui ai = livello incondizionato(~genetico) di attitudine di i verso gli altri. Come la funzione per l’avversione all’ineguaglianza, anche questa funzione di utilità fondata sulla reciprocità può essere utilizzata per spiegare sia comportamenti generosi che punitivi. L’analisi, comunque, è notevolmente più complicata. Il problema è la presenza di reciprocità che implica maggiori feedback nella rete delle relazioni sociali. Nella maggioranza delle interazioni sociali abbiamo qualche precedente idea riguardante la natura (es. altruista o meno) degli altri, congettura fondata sulla conoscenza del loro precedente comportamento. Abbiamo, altresì, suggerimenti fondati su altri fatti che li riguardano (incluso il loro stato di “insider” o di “outsider” nell’interazione) e sulla situazione stessa. Insomma, abbiamo delle esperienze di vita di cui, se siamo reciprocanti, teniamo conto quando ci comportiamo. E questo vale per tutti gli abitanti dell'isola dei reciprocanti. Per esempio, se un individuo è un reciprocante e crede che gli altri siano altruisti, può impegnarsi nella generosità condizionata. Tuttavia, se la propria generosità non viene ricambiata, l’individuo può aggiornare (in negativo) le sue convinzioni riguardanti i tipi degli altri e impegnarsi in una punizione o nell’abbandono della generosità (questo comportamento è stato verificato dai giochi sui “beni pubblici” che faremo in seguito). Dunque, i comportamenti possono essere sia dipendenti dal percorso (path-dependent) che specifici alla situazione: una situazione che induce a credere che gli altri sono altruisti può favorire livelli alti e sostenibili di generosità, mentre gli stessi individui, interagendo in un’altra situazione possono impegnarsi in punizioni odiose e reciprocamente costose. Ricordate tutte le varianti dell’UG? M. BOVI Pag. 17 La natura path-dependent e specifica alla situazione dei comportamenti può spiegare perché il gioco dei soggetti è così influenzato da cambiamenti nei protocolli sperimentali che sarebbero irrilevanti se il modello convenzionale fosse corretto. Potrebbe anche essere illuminante sul perché, in pratica, si rilevano così grandi differenze nei comportamenti. Le funzioni appena presentate, che tengono conto dell’avversione all’ineguaglianza e che sono fondate sulla reciprocità, sono passi importanti verso la costruzione di una concezione più adeguata del comportamento. Ma non basta. People are different. Anzi, rectius, come spero di avervi sottolineato a sufficienza, people are complex. Perciò, gli argomenti standard della funzione di utilità devono essere estesi, non sostituiti, dall’interesse degli individui per gli altri. Ecco qualche numero (stimato): i reciprocanti sono tra il 40 e il 66%, i walrasiani sono tra il 20 e il 30%. Esperimenti hanno distinto tre principali tipi di persone: I santi (22%) preferiscono coerentemente l’uguaglianza e non gradiscono ricevere payoff più alti rispetto all’altra parte anche quando sono in una relazione negativa con l’avversario. I leali (39%) non gradiscono ricevere payoff più alti in una relazione neutrale o positiva, ma cercano l’ineguaglianza vantaggiosa se si trovano in relazioni negative. Gli spietati (29%) coerentemente preferiscono risultare in vantaggio rispetto all’altra parte indipendentemente dal tipo delle relazioni che hanno con loro. Dunque, people are complex e le funzioni di utilità devono tener conto tener conto della loro/nostra eterogeneità. Questo compito è essenziale perché l’eterogeneità fa la differenza nei risultati, ma è impegnativo perché gli effetti non vengono M. BOVI Pag. 18 adeguatamente catturati da un processo che richiede semplicemente di considerare la media (PERCHE' LA MEDIA NON E’ MOLTO INDICATIVA IN QUESTO CASO?). In generale, il risultato dell’interazione tra una popolazione che è composta, per dire, da un egual numero di santi e di spietati non sarà la media dei risultati di due popolazioni con un solo tipo, perché piccole differenze nella distribuzione dei tipi in una popolazione possono avere ampi effetti su come ciascuno si comporta. Inoltre, differenze apparentemente piccole nelle istituzioni possono generare grosse differenze nei risultati. Come noto, un Dilemma del Prigioniero giocato tra due giocatori auto-interessati finisce col risultato non cooperativo. Però, che cosa succede, se un walrasiano gioca con un reciprocante? Supponiamo che il tipo (la natura) dei giocatori sia conosciuto da entrambi. Se il gioco è simultaneo, il reciprocante, sapendo che l’altro defezionerà, farà lo stesso. Il risultato sarà quindi, come prima, la defezione reciproca. Se il giocatore auto-interessato muove per primo, saprà che il reciprocante risponderà ad una sua qualsiasi azione con una identica, restringendo così i possibili risultati a {coopera, coopera} o {defeziona, defeziona}. Il giocatore auto-interessato quindi fa i suoi calcoli e coopererà: la soluzione cooperativa sarà un risultato sostenibile. Oltre all’eterogeneità, si deve spiegare anche l’adattabilità degli individui. Nell’Ultimatum Game, infatti, risulta spesso un comportamento “cangiante”: Se comando io allora mi comporto egoisticamente e non mi aspetto di essere punito. M. BOVI Pag. 19 Se comandano gli altri voglio che essi si comportino altruisticamente e, se non lo fanno, allora li punisco. Infine, è meno probabile che le preferenze siano un dato esogeno rispetto all’eventualità che esse dipendano dall’esperienza personale. Questa nostra Adattabilità e Apprendimento tramite esperienza implica che è probabile che le popolazioni che per periodi prolungati sperimentano differenti istituzioni e strutture di interazione sociale mostrino comportamenti difformi. Ciò, ovviamente, è così perché i vincoli e gli incentivi che si hanno sono differenti. Ma è così anche perché la struttura dell’interazione sociale influenza l’evoluzione i) del repertorio comportamentale, ii) del modo in cui le situazioni suggeriscono i comportamenti e iii) del modo in cui i risultati sono valutati. Poiché il funzionamento delle istituzioni dipende dalle preferenze degli individui coinvolti, sarà anche vero che le istituzioni sono endogene rispetto alle preferenze. Bowles espone il processo risultante, chiamato coevoluzione delle preferenze e delle istituzioni, dal capitolo 11 al capitolo 13. Non è materia d’esame: non avete nessun altro incentivo che la vostra curiosità (Come andrà a finire...?). Il progresso nella direzione di fondamenti più adeguati per la Scienza Economica deve tenere conto di questi aspetti dell’essere umano. Le nuove teorie economiche devono affrontare tra l’altro, anche queste due sfide. La prima riguarda lo status normativo delle preferenze. Le preferenze devono spiegare i comportamenti (preferisco ergo agisco), ma non possono svolgere anche il lavoro di valutazione dei risultati. La ragione è che alcune comuni motivazioni del comportamento – debolezza di volontà, rancore e le varie manie che abbiamo – spesso inducono dei comportamenti che producono risultati intollerabili. La seconda sfida sorge in quanto le prove sperimentali e di altro tipo che indicano l’importanza delle preferenze sociali sollevano un problema evolutivo difficile da spiegare. Se tra di noi ci sono equanimi, reciprocanti,...allora ci dobbiamo domandare: come abbiamo acquisito queste preferenze sociali? M. BOVI Pag. 20 Voglio dire, la nostra generosità verso qualcuno a noi legato da una relazione di parentela è facilmente spiegabile: pensate ai rapporti genitori-figli. Ma come abbiamo fatto ad evolvere in animali che hanno comportamenti non egoistici – sopportiamo costi senza voler benefici (cf. colonna di sinistra nella tabella 3.2) - anche verso chi non è un parente? Ricordate homo homine lupus? La spiegazione è difficile poiché se pensiamo che esiste un processo evolutivo facile, ad es. “monotòno e lineare”, allora nel lungo periodo dobbiamo aspettarci che uno solo dei tipi umani dovrebbe sopravvivere a scapito di tutti gli altri. Il candidato che dovrebbe estinguere tutti gli altri è il walrasiano: costui è l'unico che, con razionalità e senza indugi, massimizza il proprio payoff facendo errori minimi (si comporta normativamente). Invero, questa è una delle difese degli economisti standard: se devo fare una teoria comportamentale è meglio concentrarsi sul “tipo vincente”. Siccome, invece, nel mondo persiste una certa eterogeneità nel genere umano (people are different), allora la spiegazione semplice non funge. Bisogna capire come possano coesistere nel tempo persone con fini e modus operandi così differenti e, talvolta, incompatibili. Similmente, anche le teorie delle “scelte umane” sollevano problemi evolutivi: Chi sconta in modo iperbolico, chi agisce in modo dinamicamente incoerente, chi sopravvaluta gli eventi con basse probabilità chi è avverso alle perdite chi usa regole del pollice e commette errori sistematici otterrà payoff sistematicamente più bassi rispetto all'uomo walrasiano. Come sopravvivere in una competizione in cui al massimo si può pareggiare? M. BOVI Pag. 21 Questi interrogativi evolutivi sollevati dai risultati di Kanheman, Tverski e altri hanno ricevuto meno attenzione rispetto al problema delle preferenze sociali e non li esamineremo oltre. Però, ricordiamocelo per l'esame. In ogni caso, dovrebbe essere ormai chiaro che nella nostra analisi delle preferenze e dei comportamenti siamo arrivati ad un punto critico: parliamo sempre più spesso di preferenze sociali, di istituzioni e di interazioni. L’isola di R. Crusoé da cui eravamo partiti è diventata un posto socialmente molto complesso, abitato non solo da Walrasiani ma, anche, da Post Walrasiani: a questo punto diventa inevitabile quantomeno accennare alla Teoria dei Giochi. Come vi risulterà evidente dopo aver STUDIATO il libro di S. Bowles, infatti, il Gioco, i.e. le interazioni sociali, è uno strumento cruciale nell’analisi delle Istituzioni (Cap. I) dei Comportamenti (Cap. III) M. BOVI Pag. 22