IL WIENER KREIS (Circolo di Vienna)
Il Wiener Kreis, Circolo di Vienna, costituito da filosofi e scienziati dopo la Prima Guerra
Mondiale, rappresenta un tentativo di riproporre una concezione razionale e scientifica del mondo,
dopo la grande ventata di irrazionalismo che ha percorso l’Europa tra i due secoli, e che ha prodotto
la tragedia della Grande Guerra.
Tuttavia nei primi vent’anni del Novecento ci sono stati anche progressi enormi nel campo della
fisica (vere e proprie rivoluzioni, dal punto di vista concettuale) con la teoria della relatività di
Einstein e con la Meccanica Quantistica.
La filosofia del Circolo di Vienna può essere quindi considerata una ripresa e una continuazione
del Positivismo ottocentesco, una ripresa che però tiene conto dei progressi intervenuti nella scienza
e che vuole abbandonare gli aspetti più dogmatici del positivismo.
Rimane, del positivismo, l’atteggiamento rigorosamente scientista e antimetafisico (la scienza,
fondata sull’esperienza, è l’unica conoscenza valida). Per questo la filosofia del Circolo di Vienna
è stata denominata “Neopositivismo logico” o “Neoempirismo logico”.
Precursore del Circolo di Vienna fu il filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein, con il suo Tractatus
Logico-philosophicus (pubblicato nel 1922).
Nel 1929 il Circolo di Vienna espresse i suoi principi filosofici in un manifesto intitolato “La
concezione scientifica del mondo”, redatto da Otto Neurath, Rudolf Carnap e Hans Hanh.
I principi esposti nel manifesto sono i seguenti:
1) il principio di verificazione costituisce il criterio di distinzione fra proposizioni sensate e
proposizioni insensate.
2) quindi sono sensate solo le proposizioni passibili di verifica empirica fattuale (una proposizione è
sensata, ha un significato, solo se esprime uno stato di fatto sperimentabile, se poi questo dato di
fatto esiste è vera, se non esiste è falsa)
3) Matematica e logica sono solo complessi di tautologie, e sono convenzionali (non dicono nulla
sul mondo).
4) la metafisica, l’etica e la religione sono un insieme di questioni apparenti: non sono né vere, né
false, sono semplicemente prive di senso (non possiamo verificare sperimentalmente se Dio esiste,
oppure se la Giustizia sia superiore all’ingiustizia; queste proposizioni perciò sono prive di senso;
invece la proposizione “la velocità della luce è 1000 km/sec” è sensata perché può essere verificata
sperimentalmente, è falsa ma è sensata)
5) la filosofia si riduce ad attività chiarificatrice del linguaggio.
KARL RAIMUND POPPER
(nato a Vienna 1902 – da famiglia di origini ebraiche; il padre, avvocato, liberale e massone,
possedeva una biblioteca di 10.000 volumi. Karl da ragazzo aderisce all’ideologia marxista e
partecipa a manifestazioni comuniste. Nel 1928 si laurea in filosofia e nel 1934 pubblica “Logica
della scoperta scientifica”, con cui si oppone al neopositivismo del Circolo di Vienna. Emigra in
Nuova Zelanda nel 1937 quando Hitler sta per invadere l’Austria; dopo la Seconda Guerra
Mondiale vive in Inghilterra, muore nel 1994).
OPERE EPISTEMOLOGICHE (di filosofia della scienza):
1934 Logica della scoperta scientifica
1963 Congetture e confutazioni
1972 Conoscenza oggettiva
OPERE DI FILOSOFIA POLITICA
1944 Miseria dello storicismo
1945 La società aperta e i suoi nemici
1
PREMESSA:
IL REALISMO CRITICO; LA SCIENZA CONTRO LO SCIENTISMO
LA filosofia di Popper è stata chiamata “Realismo critico”: ciò significa che il compito principale
del filosofo è “investigare criticamente le cose che tanti altri accettano per evidenti”. La criticità
del pensiero, per Popper, significa anzitutto la consapevolezza che noi impariamo veramente e
continuamente solo quando partiamo dai nostri errori, e che proprio per questo la conoscenza sarà
sempre un progetto aperto, un passo che va da un errore ad un altro errore, giacché non si potrà mai
dire di essere arrivati a qualcosa di assolutamente vero (almeno nel campo della scienza), ma solo di
verosimile, e quindi sempre passibile di ulteriore smentita.
Questo atteggiamento è inteso da Popper non tanto in un senso relativista, ma come contestazione di
ogni pretesa dogmatica che nasca dall’illusione di onnipotenza del nostro pensiero: “quel che è
davvero importante è la convinzione socratica che noi sappiamo molto poco o, come Socrate dice,
che noi non sappiamo niente (…). L’atteggiamento socratico mi pare sommamente importante
proprio ai nostri giorni. Sono dell’avviso che sia particolarmente importante che gli intellettuali
abbandonino ogni tipo di arroganza intellettuale”. Quanto più dunque lo scienziato sviluppa le
sue ricerche, tanto più egli è costretto – dall’interno stesso del suo lavoro - ad abbandonare ogni
ideologia scientista, cioè quella posizione che ritiene la scienza il luogo della verità più certa e
definitiva sul mondo. Questo naturalmente non vuol dire affatto una messa in discussione della
validità e dell'efficacia della conoscenza scientifica, ma semplicemente che essa costituisce un
tentativo di approssimazione, continuamente esposto alla verifica critica e più radicalmente alla
possibilità e necessità di essere sostituita da un spiegazione più adeguata, cioè più approssimata al
vero.
“Non si può designare nessuno dei grandi scienziati come scientista. Tutti i grandi scienziati furono
critici e cauti nei confronti della scienza. Furono ben consapevoli di quanto poco noi conosciamo.
È difficile, per esempio, accusare di scientismo Henri Poincaré. Newton, che fu uno dei più grandi
uomini e probabilmente il maggiore di tutti gli scienziati, ha descritto sé stesso come un ragazzino
che raccoglie sassolini e conchiglie sulla spiaggia del mare, mentre davanti a lui si estende una
regione ignota, il mare. Io credo che tutti gli scienziati autentici abbiano considerato sé stessi come
Newton: sapevano che non sappiamo nulla, e che anche nel campo già coltivato della scienza tutto
è incerto. [...] Ciò che vorrei sottolineare è che la scienza è opera dell'uomo. E come opera
dell'uomo la scienza è fallibile. Ora, appunto, è la consapevolezza della fallibilità della scienza che
distingue lo scienziato dallo scientista. Se lo scientismo è qualcosa, esso è la fede cieca e
dogmatica nella scienza. Ma questa fede cieca nella scienza è estranea allo scienziato autentico.
L’accusa di scientismo vale, quindi, forse per certe idee popolari che circolano sulla scienza, ma
non la si può rivolgere agli scienziati. Il "sapere" scientifico non è conoscenza certa: è solo un
sapere congetturale.” [K.R. Popper, Il futuro è aperto, Simposio viennese 1983]
L’EPISTEMOLOGIA DI POPPER
1) l’induzione non produce, né giustifica le teorie scientifiche! Secondo una tradizione di
pensiero che da Francis Bacon arriva a John Stuart Mill e a Carnap (Circolo di Vienna), la scienza
procede induttivamente, inferendo le proprie leggi a partire esclusivamente da osservazioni che si
ripetono; questa inferenza logica, fondata sull’alto numero di conferme necessarie per l’ammissione
di una teoria, pare assicurare la verificabilità della teoria stessa (quest’idea sembrerebbe confermata
dall’impressionante successo di teorie fisiche quali la meccanica newtoniana, che per più di due
secoli parve in grado di spiegare e prevedere qualsiasi fenomeno osservabile). A questa concezione
tradizionale Popper obietta che l’osservazione ripetuta dei fenomeni (induzione per enumerazione)
non consente generalizzazioni, non consente di trarre conclusioni certe, né di formulare leggi
scientifiche assolutamente “vere”. Popper fa l’esempio dell’Aspirina: “Consideriamo il successo di
2
una medicina come l’aspirina. Non è stato stabilito mille volte che essa è di giovamento e, se presa
in dosi moderate, assolutamente innocua? Io dico di No, chi può dire che non sia possibile scoprire
un giorno che l’aspirina ha seri effetti collaterali di un tipo che fino ad oggi non è mai nemmeno
stato preso in considerazione?” (Congetture e confutazioni, prefazione). Insomma un milione di
conferme fattuali di una teoria non può fornirci la certezza che non si verifichi un nuovo fatto che
smentisce la teoria.
Del resto è la stessa storia della scienza a mostrare che le scoperte scientifiche non avvengono per
induzione, bensì attraverso la genesi di nuove idee ed intuizioni da sottoporre poi a controllo
sperimentale. In altri termini, la teoria precede l’osservazione. Popper porta l’esempio di Keplero:
quando egli formulò le sue leggi sulle orbite dei pianeti non partì dalle osservazioni astronomiche,
bensì dall’idea a priori che le traiettorie potessero essere pensate come delle curve di tipo diverso e,
confrontando poi la sua ipotesi con i dati sperimentali, giunse alla scoperta delle orbite ellittiche.
Anche Einstein affermava di non lavorare induttivamente, ma a partire da intuizioni matematiche,
che lo colpivano per la loro semplicità e bellezza, e dalle quali egli deduceva i diversi fatti
osservabili. Anche gli scopritori della struttura a doppia elica del DNA, Watson, Crick e Wilkins,
dicevano essere partiti nella raffigurazione delle molecole dalla “più grande bellezza possibile”, e di
averle controllate successivamente attraverso esami microscopici.
Quindi l’inferenza induttiva da fatti singolari ad asserzioni universali non è giustificata, e
l’induzione non è utile né per la genesi e scoperta delle leggi scientifiche, né per la giustificazione
della loro validità.
2) L’osservazione pura non esiste! E’ falsa l’idea che la scienza nasca da un’osservazione grazie
a cui la natura si rispecchia in una mente, perché la mente non è una “tabula rasa”: l’osservazione è
sempre guidata da aspettative, pregiudizi, interessi, c’è sempre una conoscenza innata (fin dalla
nascita l’uomo è dotato di aspettazioni nei confronti della realtà: ha una memoria biologica e
culturale).
Quando la nostra aspettazione viene delusa o il nostro pregiudizio viene smentito nasce il problema
che ci spinge a correggere la nostra conoscenza precedente.
3) la scienza non nasce da osservazioni ma da problemi!
Per risolvere i problemi formuliamo ipotesi, immaginiamo ipotesi e congetture; per questo occorre
una facoltà estremamente cara a Popper: la creatività!
Una cosa è la genesi delle teorie
scientifiche, un’altra cosa la giustificazione. Le teorie scientifiche possono nascere dalle fonti e
dalle idee più svariate.
Il processo quindi è:
PREGIUDIZI > SMENTITE > PROBLEMI >
RICERCA DI UNA TEORIA IPOTETICA (che corregge o sostituisce i pregiudizi)
CAPACE DI RISOLVERE I PROBLEMI, CIOE’ DI EVITARE SMENTITE.
4) Una teoria è scientifica se è falsificabile = se è possibile estrarre da essa conseguenze
controllabili (che possono essere confermate o falsificate dai fatti). Un esempio di ciò è fornito
dall’esperimento che venne realizzato nel 1919, quando un gruppo di scienziati misurò la minuscola
deviazione dei raggi luminosi ad opera della massa solare, durante un’eclissi totale. Era la prova
cruciale, cui Einstein voleva sottoporre la sua teoria della relatività generale: se tale deviazione non
si fosse verificata, egli stesso avrebbe dichiarato l’invalidità della teoria e la necessità di rigettarla.
La teoria della relatività generale era scientifica perché era possibile sottoporla a una prova che
avrebbe potuto falsificarla.
5) Ma la conferma non è una verificazione della teoria (= non rende vera la teoria):
N.B.! miliardi di conferme non dimostrano la verità di una teoria, perché potrebbe sempre saltar
fuori il fatto nuovo che la smentisce; mentre un solo fatto che smentisce la teoria falsifica la teoria.
L’obiettivo dello scienziato non è la verifica ma la falsificazione (e “la ricerca non ha mai fine”)
6) La conseguenza è che ogni teoria scientifica è verosimile (non è vera in assoluto, non è “certa”,
perché potrebbe sempre essere falsificata, non possiamo mai verificare tutte le conseguenze di una
teoria). E’ verosimile perché finora non ha ricevuto smentite.
3
Ma il fatto che non si possa mai essere certi della verità di una teoria non significa affatto che non
esista una verità oggettiva, e che si sia condannati all’irrazionalismo o allo scetticismo. La scienza,
secondo Popper, aspira alla verità, e spesso la raggiunge: il fatto è però che solo “raramente, o mai
possiamo essere del tutto certi di averla raggiunta”, così come “un uomo può scalare una
montagna nella nebbia, e può non essere certo di avere raggiunto la vetta, ma può averla
effettivamente raggiunta, e raggiungere la vetta può non essere impossibile”. L’obiettivo della
scienza è dunque la verità, non la certezza; anzi Popper afferma che “negare che esista qualcosa
come la verità oggettiva è una forma del malessere del nostro tempo”. Non possiamo negarla, ma
possiamo solo approssimarci ad essa. In questa approssimazione alla verità consiste il progresso
della scienza
7) E’ possibile valutare e confrontare le teorie scientifiche: infatti noi non possiamo dire se una
teoria è vera, ma possiamo dire se una teoria è più verosimile di un’altra: se è più precisa, se spiega
più fatti, se unifica problemi, ecc.
8) La conoscenza non scientifica: Il criterio di Falsificabilità, diversamente dal principio di
verificazione del neopositivismo, non è un criterio di senso, ma di distinzione tra proposizioni
scientifiche e proposizioni non scientifiche.
Infatti dire che un asserto non è scientifico non significa affatto che esso non abbia senso, come
pretendevano i neopositivisti, i quali pertanto rigettavano la metafisica in quanto non verificabile.
Popper, al contrario rivaluta nettamente il ruolo della metafisica.
Le teorie metafisiche non sono falsificabili (perché non è possibile immaginare dei fatti che le
smentiscano: p.e. non ci sarà mai una smentita fattuale dell’immortalità dell’anima), quindi le teorie
metafisiche non sono scientifiche, ma non per questo sono prive di significato.
Anzi, ci sono idee metafisiche che pongono problemi estremamente interessanti e fecondi, che
favoriscono la ricerca scientifica, che generano teorie scientifiche (p.e. l’atomismo, il
pitagorismo…). Perciò anche le teorie metafisiche, sebbene non siano falsificabili, possono essere
valutate razionalmente, perché non sono isolate, si riallacciano ad altre situazioni, hanno certe
conseguenze ecc.
Questo significa, inoltre, che il reale non è identificabile tout court con ciò che è controllabile
scientificamente.
Oltre alla metafisica, Popper annovera tra le teorie non scientifiche anche due dottrine che pure
ambivano allo status di scienze, vale a dire il marxismo e la psicoanalisi. Ai suoi occhi infatti
ambedue cercano solo delle facili conferme ed eludono qualsiasi tentativo di confutazione e
smentita. La psicanalisi infatti a chi cerca di confutarla risponde che lo fa perché rimuove o censura
qualcosa. Il marxismo invece è una teoria che implica conseguenze sperimentabili, ma tali
conseguenze non si sono verificate nella Rivoluzione marxista russa, e pertanto il marxismo è già
stato “falsificato”, cioè confutato, sebbene molti marxisti rifiutino di riconoscerlo.
FILOSOFIA POLITICA
MISERIA DELLO STORICISMO (1944)
Popper critica lo Storicismo (posizione filosofica rinvenibile in Hegel, in Marx, in Comte ecc. ecc.):
lo Storicismo è caratterizzato da queste tesi:
1) esistono leggi di sviluppo della storia umana
2) possiamo cogliere queste leggi e quindi fare predizioni sulla storia umana
3) La storia è necessaria e quindi tutto ciò che succede è giustificato
Per Popper invece non esistono leggi della storia, ma solo tendenze che non vincolano la libertà
umana. Perciò non è possibile fare previsioni; inoltre la storia non ha un senso e un fine e non
giustifica nulla.
Lo storicismo è il fondamento teorico del totalitarismo, infatti chi pensa di conoscere le leggi e il
senso ultimo della storia pretende di imporre la sua concezione della storia e non può riconoscere o
ammettere una libertà umana che contraddica tale concezione.
4
LA SOCIETA’ APERTA E I SUOI NEMICI (1945)
La “società chiusa” è quella in cui l’individuo è schiacciato sotto il giogo dell’obbedienza a
un’autorità non criticabile e della subordinazione alla collettività; l’ideologia della società chiusa è
l’ OLISMO, ovvero l’idea che la società sia qualcosa di più della semplice somma dei suoi membri
e, in quanto tale, vada studiata e interpretata come un tutto unico. Nella “società chiusa” il
progresso viene affidato alla pianificazione centrale e all’estensione dello Stato piuttosto che
all’iniziativa libera degli individui.
La “società aperta”, al contrario, è quella in cui viene esercitata una discussione razionale e una
critica costruttiva riguardo a chi detiene il potere e alle forme di organizzazione sociale, sulla base
di quel requisito fondamentale che è la libertà dei cittadini: la “società aperta” valorizza la libertà
dei singoli e dei gruppi in vista di continue riforme.
1) La società aperta è democratica, e questo significa che ha istituzioni che permettono ai
governati di criticare e sostituire i governanti senza uso della violenza .
(c’è una analogia tra la società aperta e la teoria scientifica: come la teoria scientifica è quella che si
espone alla confutazione, così la società aperta è quella in cui il potere si espone alla critica e alla
sconfitta).
2) Bisogna affermare che esistono solo due forme di governo: democrazia e tirannide. La
democrazia non viene idealizzata come un sistema politico perfetto; piuttosto la democrazia va vista
come un campo di battaglia pacifica per l’attuazione di riforme. Ma prima di tutto bisogna
difendere la democrazia stessa ed essere consapevoli che esistono nella società tendenze
antidemocratiche. Da ciò deriva la necessità che le costituzioni e le leggi che costituiscono i
fondamenti della società democratica non possano essere messi in discussione o incrinati da
qualsiasi deliberazione legislativa.
3) Giustizia e libertà sono i valori più alti di una società, ma bisogna privilegiare la libertà, perché
con la libertà è sempre possibile cercare una maggior giustizia, ma senza libertà non ci sarà mai
giustizia.
4) Popper critica, come nemici della società aperta, Platone nell’antichità , Hegel e Marx nel mondo
moderno. Platone infatti tratteggiò, come Stato ideale, una società rigidamente classista e
antiegualitaria, con a capo un’élite di filosofi che si pone come inconfutabile e inamovibile in virtù
della propria sapienza. Hegel aveva giustificato la Prussia del suo tempo in base a una vera e
propria divinizzazione dello Stato. Marx, infine, se pur ha avuto il merito di prendere a cuore le
condizioni di fame, miseria, oppressione e sfruttamento delle masse proletarie, non ha compreso
tuttavia che il suo sogno utopistico di portare un paradiso egualitario sulla Terra si sarebbe
trasformato in un inferno: nel socialismo realizzato, infatti, l’ideale non è che tutti gli uomini
raggiungano condizioni uguali per la competizione, ma che essi raggiungano uguali condizioni di
vita e in ultimo dei destini uguali; e questo li porta inevitabilmente a cedere allo Stato la loro libertà,
diventandone schiavi.
5