anabolizzanti e responsabilità

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29.03.2007 CORTE d’APPELLO di Milano – ( la responsabilità del medico per
aver prescritto farmaci poi utilizzati come anabolizzanti ).
§ - il medico prescrittore nell'esporre la sua tesi difensiva, deduceva e cercava di provare (per
la verità, senza riuscirci) di aver prescritto il farmaco per suo uso personale, dopo aver
eseguito una visita cardiologica ed aver verificato gli esami del sangue, essendo ben
consapevole del fatto che, per escludere la propria responsabilità, occorresse la prova di una
effettiva e personale prescrizione medica. Tale prova non veniva fornita dal sanitario, che, tra
l’altro ammetteva di aver predisposto le ricette "per amicizia", pur non essendo medico di base
del destinatario della prescrizione, né un medico sportivo, precisando "... l'ha chiesto a me, io
sono un medico e l'ho fatto... probabilmente il suo medico non era disposto a fare quella
prescrizione; io l'ho fatta".
Il medico non precisava la destinazione effettiva del farmaco di cui alle n. 8 sue ricette, come
non emergeva, in alcun modo, la necessità del destinatario della prescrizione di disporre di
quel farmaco per una patologia personale, peraltro, non esattamente accertata.
A quanto sopra, può aggiungersi che, se si volesse dar credito alla versione difensiva del
sanitario imputato di aver prescritto il medicinale per una patologia, non comunicata per un
invocato segreto professionale, le n. 8 ricette contengono prescrizioni molto ravvicinate nel
tempo, con date molto vicine, prive di indicazioni sulle dosi da assumere nel breve arco di
tempo, intercorrente tra una e l'altra prescrizione. [ Avv. Ennio Grassini –
www.dirittosanitario.net ]
Corte d’Appello di Milano, Sezione II Penale, Sent. del 22 febbraio 2007
OMISSIS
Svolgimento del processo
Con sentenza emessa in data 20.10.05 (dep. 19.11.05) il Tribunale di Como, composizione
monocratica, condannava D.S.M. alla pena di mesi 7 recl. Euro 200 multa (pena sospesa) per il
reato di cui all'art. 445 c.p., per avere agevolato, in concorso, la condotta illecita di G.C.,
prescrivendogli farmaci che questi, poi, somministrava per scopi anabolizzanti in modo
pericoloso per la salute.
La contestazione era relativa a medicinali non guasti o scaduti, ma certamente somministrati in
modo pericoloso per la salute, per finalità non corrispondenti ad esigenze mediche o
terapeutiche. In Como fino ad ottobre 2002. La D.S. veniva assolta dal diverso reato di cui
all'art. 443 c.p., alla stessa originariamente contestato, non avendo la stessa conoscenza di
medicinali guasti, scaduti, mal conservati, distribuiti dal R., in rapporto con G. L'operazione
posta in essere dalla G.d.F. di Como riguardava l'importazione di medicinali anabolizzanti, in
parte vietati in Italia, provenienti dalla Spagna, con successiva diffusione in Liguria e nella
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provincia di Como, con destinazione ai frequentatori delle palestre in Savona e Como.
L'indagine, dopo perquisizioni, sequestri, pedinamenti, si concludeva con il sequestro, presso
la farmacia S. di Como, in data 2.7.02, di n. 8 ricette a firma dr.ssa D.S., ciascuna per n. 5
scatole di D.
L'istruttoria e le deposizioni testimoniali consentivano di accertare che G.C. curava la
distribuzione a Como dei farmaci ricevuti, cedendoli e somministrandoli tra coloro che egli
allenava e altresì all'interno delle palestre. Pastiglie e fiale venivano consegnate prive di
confezione e foglietto illustrativo agli acquirenti, frequentatori delle palestre, con indicazioni
non terapeutiche sull'utilizzo, ai fini dell'aumento della massa muscolare e miglioramento delle
prestazioni atletiche, con un fine diverso dalla cura di una specifica patologia.
La consulenza del PM attestava che alcuni medicinali presentavano effetti collaterali tossici,
divenendo pericolosi per la salute.
L'imputata frequentava la palestra B. del G., ove si allenava ed assumeva farmaci
anabolizzanti per una maggiore efficienza fisica ed era a conoscenza, come dalla stessa
dichiarato, che atleti di quel settore usano medicinali a scopo anabolizzante per accrescere la
massa muscolare e migliorare le prestazioni.
L'imputata era a conoscenza del commercio, svolto dal G., di prodotti anabolizzanti
somministrati in modo pericoloso per la salute, non corrispondenti a patologie, ma unicamente
per prestazioni sportive.
L'imputata, qualificatasi specialista in Igiene e medicina preventiva presso la ASL, asseriva di
avere prescritto il farmaco predetto al G. per suo uso personale, dopo averlo visitato dal punto
di vista cardiologico ed aver verificato gli esami del sangue. Dalla esperita istruttoria non
emergeva che G. necessitasse del prodotto D. per una patologia personale.
A ciò si aggiungeva la reiterazione delle prescrizioni mediche in favore di G., predisposte dalla
D.S., avendo le due amiche del G., impiegate nella farmacia S. di Como, dichiarato che G. si
recava settimanalmente in farmacia per acquistare altri medicinali, presentando ricette a firma
D.S. Doveva, pertanto, ritenersi evidente il coinvolgimento stabile della D.S. nell'agevolare
l'approvvigionamento del G. di farmaci che venivano da questi venduti in palestra fuori da
ogni controllo medico e per fini non terapeutici. La posizione della D.S. e la sua penale
responsabilità venivano valutate con particolare riferimento alla sua competenza professionale
di medico, consapevole degli effetti pericolosi e dannosi dei medicinali su organismi sani, sia
con riferimento ad effetti collaterali, sia all'uso non conforme a quello terapeutico, sia alla
somministrazione incontrollata e gestita da un preparatore atletico senza competenze mediche.
Con atto depositato in data 30.12.05 proponevano appello i difensori della imputata, rilevando:
a) Assoluzione, anche ai sensi dell'art. 530 cpv c.p., per non aver commesso il fatto.
Mancanza di prova circa il concorso della D.S. nella attività di commercio; completamente
estranea al traffico di medicinali è risultata l'imputata, la quale entra nella indagine quale
presunta assuntrice di farmaci dopanti, con sentenza di non luogo a procedere emessa dal GUP
in data 4.6.04. In nessuna delle intercettazioni telefoniche la D.S. riceve ordinativi di
medicinali dal suo istruttore G. La D.S., nel periodo 10.12.00 - aprile 2001, si limitava a
prescrivere il farmaco D. al suo istruttore G., senza avere indicato i motivi, richiamandosi al
segreto professionale e limitandosi a precisare di aver visitato preventivamente il G. e di aver
visionato i suoi esami del sangue. Peraltro nella istruttoria (deposizione P. e consulente R.)
risultava che per impotenza e traumi muscolari, da cui era affetto il G., era prescritto il
medicinale D. Le dosi prescritte risultavano compatibili con la terapia personale del G., il
quale, chiamato a riferire sulla circostanza, quale imputato di reato connesso, si avvaleva della
facoltà di non rispondere. Diversamente da quanto ritenuto in sentenza, alla luce della
deposizione delle farmaciste, nessun altro farmaco dopante veniva prescritto dalla D.S. al G.
Anche alla luce della deposizione del capitano P., non esistevano altre ricette a firma della
D.S., diverse dalle n. 8 rinvenute nella Farmacia S. relative al farmaco D., prescritto al G. per
suo uso personale.
Il reato di cui all'art. 445 c.p., pur riferendosi a "chiunque", intende richiamare solo colui che
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esercita, anche abusivamente, il commercio di sostanze medicinali. Nella giurisprudenza di
legittimità e di merito, per il reato di cui all'art. 445 c.p. si parla di reato proprio, ipotesi
speciale di frode in commercio. Quand'anche la D.S. avesse prescritto il farmaco al G. al fine
di incrementare la massa muscolare, ciò non realizzerebbe il reato, poiché il farmaco risulta
prescritto per l'uso del G. e risulta irrilevante il pensiero espresso dalla imputata, che il G.
potesse commerciare sostanze dopanti.
b) Applicarsi il minimo edittale della pena: la determinazione finale di mesi 7 recl. deve
ritenersi eccessiva, essendo state concesse le attenuanti generiche. La pretesa attività illecita
della D.S. sarebbe comunque minima nell'ambito della complessiva indagine; l'aumento per la
continuazione appare eccessivo.
c) Dichiararsi la nullità del decreto di autorizzazione delle intercettazioni telefoniche, dei
decreti di proroga, per carenza di motivazione - dichiarare la inutilizzabilità delle
intercettazioni telefoniche: come già eccepito in sede di atti preliminari al dibattimento,
difettano i presupposti di legge.
d) dichiarare la inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall'appellante in data 6.6.02 in sede di
sommarie informazioni testimoniali: essendo le intercettazioni telefoniche iniziate il 1° aprile
2002, essendo la D.S. stata sottoposta a pedinamento nell'aprile 2002, la stessa, sentita in sede
di sommarie informazioni testimoniali, rivestiva sicuramente la posizione di indagata, con
conseguente inutilizzabilità, ex art. 64 c.p.p., delle sue dichiarazioni, senza i prescritti avvisi ed
in assenza del difensore.
Motivi della decisione
Ritiene la Corte che la sentenza di primo grado debba essere confermata. a) Rinnovazione
della istruttoria dibattimentale ex art. 603 c.p.p.: nella odierna udienza 15.2.07 la difesa
appellante richiedeva la acquisizione di documenti e, quindi, a tal fine, la rimessione in
istruttoria, deducendo, ai sensi dell'art. 603 comma 2° c.p.p., l'esistenza di nuove prove
sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, senza che la richiesta fosse,
ovviamente, presente nell'atto di appello o in sede di motivi nuovi ex art. 585 comma 4° c.p.p.
Si tratta, in ultima analisi, delle dichiarazioni rese da G.C., in data 23.3.06, nell'ambito di altro
procedimento, che lo vedeva coimputato della medesima odierna D.S.M.
In tali dichiarazioni G. forniva la sua ulteriore versione, in ordine ai fatti contestati, in questa
sede, alla D.S., consistenti nel concorso nella somministrazione di medicinali pericolosi per la
salute pubblica. Dal momento che l'attività contestata alla D.S., nel giudizio di primo grado,
nel quale interveniva condanna, era realizzata in concorso con il G., le dichiarazioni di
quest'ultimo sono state sempre indirizzate a fornire una certa copertura processuale alla
coimputata.
Prova di ciò è costituita indirettamente dalle contestazioni, sollevate nel corso del giudizio di
primo grado, risultanti dai relativi verbali, in ordine alle modalità di audizione del G., se in
veste di imputato di reato connesso ex art. 210 c.p.p. o di persona giudicata con sentenza
irrevocabile ex art. 197 bis c.p.p. Rimane il fatto che il G., in quella sede, nella udienza del
22.4.05, si avvaleva della facoltà di non rispondere, confermando la particolarità della sua
posizione e della sua deposizione, oggettivamente non attendibile e, quindi, non decisiva ai
fini dell'odierno giudizio.
Dal momento che sussistono altri elementi, diversi dalle dichiarazioni rese da G., dai quali
desumere la penale responsabilità della odierna imputata, la richiesta di rinnovazione
istruttoria non può essere accolta, non ricorrendone i presupposti, vale a dire non ricorrendo
l'ipotesi "se il giudice ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti" ex art. 603
comma 1 ° c.p.p.
b) Assoluzione, anche ai sensi dell'art. 530 cpv c.p., per non aver commesso il fatto Mancanza
di prova circa il concorso della D.S. nella attività di commercio: deduce il difensore appellante
che la D.S. è risultata completamente estranea al traffico di medicinali, entrando nella indagine
quale presunta assuntrice di farmaci dopanti, con successiva sentenza di non luogo a procedere
emessa, nei suoi confronti, dal GUP Tribunale Como in data 4.6.04.
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Deduce il difensore appellante che, in nessuna delle intercettazioni telefoniche, la D.S.
riceveva ordinativi di medicinali dal suo istruttore G.
L'argomento principale a sostegno della tesi difensiva della D.S., nel periodo 10.12.00 - aprile
2001, consiste nell'individuare una condotta rivolta a prescrivere il farmaco D. al suo istruttore
G., richiamandosi al segreto professionale e, quindi, non indicando le ragioni di quelle
prescrizioni, limitandosi a precisare di aver visitato preventivamente il G. e di aver visionato i
suoi esami del sangue.
Deduce ancora il difensore appellante che, nella istruttoria (deposizione P. e consulente R.)
risultava che per impotenza e traumi muscolari, da cui era affetto il G., era prescritto il
medicinale D. Le dosi prescritte, secondo il difensore appellante, risultavano compatibili con
la terapia personale del G., il quale, chiamato a riferire sulla circostanza, quale imputato di
reato connesso, si avvaleva della facoltà di non rispondere. Diversamente da quanto ritenuto in
sentenza, alla luce della deposizione delle farmaciste, nessun altro farmaco dopante veniva
prescritto dalla D.S. al G. I rilievi difensivi non possono essere condivisi.
I fatti risultano pacifici, nel senso che anche la difesa ammette una condotta della D.S. rivolta
a prescrivere il farmaco D. al suo istruttore G., senza avere indicato i motivi della prescrizione,
richiamandosi al segreto professionale ("l'uso preferirei non specificarlo - verb. ud. 19.7.05) e
limitandosi a precisare di aver visitato preventivamente il G. e di aver visionato i suoi esami
del sangue.
Le dichiarazioni della D.S. appaiono influenzate da esclusivi intenti difensivi, mirando la
stessa a dimostrare che i medicinali prescritti al G. seguivano una specifica visita medica ed
erano parte di una precisa terapia.
La esperita istruttoria evidenziava che G. curava la distribuzione a Como dei farmaci ricevuti
da R., che numerosi testi dichiaravano di aver ricevuto ed assunto medicinali consegnati da G.,
il quale non si limitava a vendere anabolizzanti nelle palestre, ma forniva agli acquirenti
precisi consigli sulle modalità di assunzione. Non possono sussistere dubbi sulla ricorrenza,
per il G., del reato di cui all'art. 445 c.p., con riferimento a quei medicinali, sia pur non guasti
o scaduti, ma sicuramente somministrati in modo pericoloso per la salute e per finalità non
corrispondenti ad esigenze mediche e terapeutiche.
Tale pericolosa somministrazione non costituisce certo reato proprio, come dimostrato dall'uso
della espressione chiunque e non intende perseguire il solo farmacista, addetto alla materiale
distribuzione/somministrazione dei farmaci.
Non può condividersi l'affermazione difensiva, secondo cui il reato di cui all'art. 445 c.p., pur
riferendosi a "chiunque", intenderebbe richiamare solo colui che esercita, anche abusivamente,
il commercio di sostanze medicinali.
Non può neppure condividersi l'affermazione difensiva, secondo cui, nella giurisprudenza di
legittimità e di merito, per il reato di cui all'art. 445 c.p. si parla di reato proprio, ipotesi
speciale di frode in commercio, dal momento che, in tali termini, si esprimeva una datata
giurisprudenza, che rispecchiava diverse dinamiche e diverse concezioni, proprie di tempi
passati ("l'art. 445 c.p. prevede una speciale frode nell'esercizio del commercio, che assume
una particolare gravità in quanto racchiude un pericolo per la salute pubblica" - Cass. 17.1.40
in RP 1940, 241). Il mutamento dei costumi, l'introduzione e l'uso di particolari medicinali, le
sostanze dopanti spesso usate nella attività sportiva hanno provocato una inevitabile
interpretazione estensiva della norma, che finisce per comprendere e disciplinare la
somministrazione, ad opera di chiunque, non necessariamente inserito nell'ambito del
commercio, di medicinali in modo pericoloso per la salute.
Trattasi, come è noto, di reato di pericolo e non di danno, non richiedendosi, pertanto, che le
sostanze medicinali si siano manifestate, in concreto, nocive per la salute pubblica, essendo,
invece, sufficiente, che abbiano in sé l'attitudine a produrre danno. Tale potenzialità deve
desumersi dalle parole del consulente R. (verb. ud 22.4.05), il quale, dopo aver indicato, per il
farmaco D., la normale dose di una compressa al giorno, riferiva che, in caso di superamento,
poteva giungersi alla infertilità ed al blocco della spermatogenesi. La consulente tecnica R.
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confermava la pericolosità dei farmaci, se assunti in assenza di controllo medico e di controllo
nei dosaggi.
Si consideri, altresì, la circostanza che il correo G. veniva condannato per il reato ex art. 445
c.p., per avere svolto una fiorente attività in tema di abusiva ed illecita somministrazione di
farmaci pericolosi di varia e diversa provenienza, oltre a quelli prescritti dalla D.S. Risulta,
pertanto, accertata la illecita attività del G., il quale consigliava, somministrava farmaci, senza
alcuna prescrizione medica, dimostrando spesso una competenza, in tema di sostanze
anabolizzanti, molto più specifica di quella della D.S.
Quest'ultima risponde del reato ascrittole, a titolo di concorso con il G., sotto forma di
agevolazione della sua illecita attività, relativamente a farmaci, nella specie D., non destinati
espressamente allo stesso G., ma alla somministrazione e distribuzione a terze persone.
La D.S., come evidenziato nella appellata sentenza e come ammesso dalla stessa, frequentava
la palestra B. del G., ove si allenava per gare di body building, assumendo anch'essa farmaci
anabolizzanti per una maggiore efficienza fisica. La stessa era, pertanto, a conoscenza che
atleti e sportivi del settore assumevano farmaci anabolizzanti per accrescere la massa
muscolare, come dichiarato dalla stessa ed avendone anche fatto uso personale.
La D.S. era, inoltre, a conoscenza del fatto che G. facesse commercio di anabolizzanti,
somministrandoli e distribuendoli in modo pericoloso per la salute (non essendo un medico),
come si desume dalle sue dichiarazioni, quando affermava che, "... pur non avendo mai visto
G. consegnare prodotti ai frequentatori della palestra, potevo immaginare che egli fornisse
sostanze dopanti anche ad altre persone, avendo precisato potevo immaginare che desse,
somministrasse, regalasse o cedesse" (ff. 767).
Risulta pacifico, anche alla luce della deposizione del teste P., che non esistevano altre ricette
a firma della D.S., diverse dalle n. 8 ricette rinvenute nella Farmacia S., relative al farmaco D.,
prescritto al G. In tali ricette, acquisite in copia e rinvenute nel Luglio 2002, presso la farmacia
S. di Como, tutte a firma D.S., quest'ultima prescriveva, in ciascuna, al G., n. 5 scatole di D.,
farmaco, a dire della imputata, utilizzato per la cura di diverse patologie (carcinoma
mammario, gravi ustioni, problemi catabolici inguaribili, patologie muscolari).
La D.S., nell'esporre la sua tesi difensiva, ha dedotto e cercato di provare (per la verità, senza
riuscirci) di aver prescritto il farmaco al G. per suo uso personale, dopo averlo visitato dal
punto di vista cardiologico ed aver verificato gli esami del sangue", essendo la stessa ben
consapevole del fatto che, per escludere la propria responsabilità, occorresse la prova di una
effettiva e personale prescrizione medica. Tale prova non risulta fornita dalla D.S., la quale
ammetteva (f. 770) di aver predisposto le ricette "per amicizia", pur non essendo il suo medico
di base, né un medico sportivo, precisando "... l'ha chiesto a me, io sono un medico e l'ho
fatto... probabilmente il suo medico non era disposto a fare quella prescrizione; io l'ho fatta".
La D.S. non precisava la destinazione effettiva del farmaco di cui alle n. 8 sue ricette, come
non emergeva, in alcun modo, la necessità del G. di disporre di quel farmaco D. per una
patologia personale, peraltro non esattamente accertata.
A ciò si aggiunga che, se si volesse dar credito alla versione difensiva della imputata di aver
prescritto il medicinale per una patologia, non comunicata per un invocato segreto
professionale, le n. 8 ricette contengono prescrizioni molto ravvicinate nel tempo, con date
molto vicine, prive di indicazioni sulle dosi da assumere nel breve arco di tempo, intercorrente
tra una e l'altra prescrizione.
Il consulente R. riferiva che il farmaco D. poteva essere usato "sia per ipogonadismo sia per
problemi di struttura fisica e quindi per malati". Come premesso, indicava la dose in una
compressa al giorno, confermando la necessità di una somministrazione equilibrata e
controllata. Risultava provato, mediante la deposizione delle due farmaciste, amiche del G.,
che lo stesso si recava settimanalmente in Farmacia per acquistare vari tipi di medicinali,
presentando le ricette compilate e firmate dalla D.S.
La Corte osserva
- che difetta la corrispondenza tra le prescrizioni effettuate dalla D.S. e le asserite patologie del
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G.; - che le n. 8 ricette, contestate alla D.S., contenendo la indicazione del farmaco ed il
quantitativo 5 scatole, risultano, altresì, prive di ogni indicazione relativa alla terapia, alla
somministrazione ed alle dosi da assumere, per una patologia, comunque non accertata e non
indicata. Si deve ritenere realizzato, in tal modo, il contestato reato di concorso nella
somministrazione di medicinali di cui all'art. 445 c.p.
b) Applicarsi il minimo edittale della pena: la determinazione finale di mesi 7 recl. deve
ritenersi, secondo il difensore appellante, eccessiva, essendo state concesse le attenuanti
generiche. La pretesa attività illecita della D.S. sarebbe, secondo il difensore appellante,
comunque, minima nell'ambito della complessiva indagine; l'aumento per la continuazione
sarebbe eccessivo. Il motivo non può essere accolto. Nella appellata sentenza vengono indicati
i motivi per i quali veniva determinata la pena base in mesi 7 gg. 15 recl. (comunque a fronte
di una pena edittale minima di mesi 6 recl.):
("particolare competenza professionale di medico, particolarmente consapevole degli effetti
pericolosi e dannosi che possono avere i medicinali su organismi sani, sia con riferimento agli
effetti collaterali, sia all'uso non conforme a quello terapeutico previsto, che alla
somministrazione incontrollata e gestita da un preparatore atletico senza competenza in
medicina"). Non si ravvisano sussistere motivi sufficienti per determinare la pena nel minimo
edittale, rivestendo, al riguardo, specifica e negativa valenza la qualifica della imputata di
medico ASL, specialista in Igiene e Medicina preventiva. Non può ritenersi eccessivo
l'aumento di mesi 1 recl. a titolo di continuazione, trattandosi di più condotte poste in essere in
un ristretto arco di tempo, quindi teoricamente più pericolose.
c) Dichiararsi la nullità del decreto di autorizzazione delle intercettazioni telefoniche, dei
decreti di proroga, per carenza di motivazione - dichiarare la inutilizzabilità delle
intercettazioni telefoniche: come già eccepito in sede di atti preliminari al dibattimento,
difettano i presupposti di legge. Il motivo non può essere accolto. In primo luogo deve
rilevarsi come il reato in esame (art. 443 c.p.) non consentirebbe, ex art. 266 c.p.p., la
effettuazione di intercettazioni telefoniche, trattandosi ovviamente di atti acquisiti da altro
procedimento, nel quale il predetto mezzo di indagine era previsto e consentito. Non risulta,
pertanto, praticabile la richiesta declaratoria di nullità dei relativi decreti autorizzativi,
trattandosi di indagini esperite in altro procedimento.
Quanto alla richiesta declaratoria di inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, oltre a non
essere indicato sotto quale profilo dovrebbe adottarsi una tale decisione, deve osservarsi che la
odierna motivazione ha fatto riferimento a fonti di prova diverse dalle intercettazioni e che,
pertanto, la sollevata eccezione non presenta alcun rilievo determinante o rilevante.
d) dichiarare la inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall'appellante in data 6.6.02 in sede di
sommarie informazioni testimoniali: essendo le intercettazioni telefoniche iniziate il 1° aprile
2002, essendo la D.S. stata sottoposta a pedinamento nell'aprile 2002, la stessa, sentita in sede
di sommarie informazioni testimoniali, rivestiva sicuramente la posizione di indagata, con
conseguente inutilizzabilità, ex art. 64 c.p.p., delle sue dichiarazioni, senza i prescritti avvisi ed
in assenza del difensore. Il motivo non è fondato né rilevante.
L'imputata ha deposto, nel corso del dibattimento di primo grado, rendendo il previsto esame
(verb. ud. 19.7.05), senza che si facesse alcun riferimento alle dichiarazioni, in precedenza
dalla stessa rese, in data 6.6.02, in sede di sommarie informazioni testimoniali, al fine di
rilevarne discrasie o divergenze. Peraltro, essendosi la prova formata nel giudizio di primo
grado, con una approfondita ed esauriente istruttoria, non è rilevante o determinante la
richiesta declaratoria di inutilizzabilità di un atto di cui non si è fatto alcun uso processuale,
nell'ambito di entrambi i giudizi di primo e secondo grado.
La sentenza di primo grado deve, pertanto, essere confermata, con conseguente condanna alle
spese dell'ulteriore grado di giudizio.
P.Q.M.
Visti gli artt. 592, 605 c.p.p. CONFERMA
la sentenza del Tribunale di Como emessa in data 20.10.05 nei confronti di D.S.M. dalla stessa
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appellata
CONDANNA
l'appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado.
Così deciso in Milano il 15 febbraio 2007. Depositata in Cancelleria il 22 febbraio 2007.
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