WES e disturbi dello spettro autistico / Disturbi Specifici

Trimestrale | Poste Italiane SpA – Sped. Abb. Post. DL 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, DCB Roma – Aut. GIPA/C/RM/26/2013 del 28/06/2013 – ISSN 2385-0736 | Un fascicolo 25 euro
16.1
WES e disturbi dello spettro autistico / Disturbi Specifici
Apprendimento e pediatra di famiglia / Alimentazione
Rivista ufficiale
di Formazione continua
della Società Italiana di Pediatria
| Vol. 16 | n. 1 |
gennaio–marzo 2015
complementare lattante, indicazioni SIGENP/SIAIP
Emilia-Romagna / Sindrome metabolica: ripensare
i criteri diagnostici? / Osteomielite acuta in età pediatrica
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In copertina
“Enfant avec echarpe rouge”
Édouard Vuillard, 1891,
olio su cartone
National gallery of Art, Washington DC
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gennaio–marzo 2015
All’interno
Clarissa, 7 anni
(pag. 6) ‘Mamma in mongolfiera
(a san Valentino)’
collage e pennarelli su carta
24x28 cm
(pag. 10) ‘Papà’ (part.)
pastelli su carta, 21x30;
(pag. 31) ‘La mucca Milonga’ (part.)
pastelli su carta, 19x10 cm
(pag. 37) ‘I colori della pelle’,
pastelli su carta, 18x10 cm
[ Editoriale ]
[
Alimentazione & Nutrizione
Indicazioni congiunte SIGENP/
SIAIP Emilia-Romagna
sull’alimentazione complementare
del lattante sano, nato a termine
Luciana Indinnimeo
Tra i più importanti temi
sull’alimentazione,
alcuni dovranno essere seguiti
con molta attenzione
da noi pediatri: gli alimenti
geneticamente modificati (OGM),
la nutrigenomica
e i functional food > 5
[
Tutto su
]
Whole Exome Sequencing (WES)
nei disturbi dello spettro autistico
Caterina D’Ardia, Marina Digilio,
Gabriel Levi
L’identificazione delle vie patogenetiche
alle quali appartengono
i geni implicati potrà avere
implicazioni diagnostiche
e terapeutiche > 7
[
come si fa / 1
]
“Dottore, mio figlio non impara
a leggere”. I Disturbi Specifici
dell’Apprendimento (DSA)
e il pediatra di famiglia
Roberta Maggio, Francesca Cucinotta,
Davide Vecchio, Giovanni Moceri,
Massimo Ciuffo, Marco Lamberti,
Eva Germanò, Antonella Gagliano,
Giovanni Corsello, Dante Ferrara
Gli strumenti di identificazione
dei soggetti con DSA,
i principali fattori di rischio
e i segni critici, gli strumenti utili
per una precoce identificazione > 10
evidenze
]
Patrizia Alvisi, Sandra Brusa,
Stefano Alboresi, Sergio Amarri,
Paolo Bottau, Giovanni Cavagni,
Barbara Corradini, Linda Landi,
Leonardo Loroni, Miris Marani,
Maria Irene Osti, Carlotta Povesi Dascola,
Luca Valeriani, Carlo Agostoni
Alcuni suggerimenti sulle modalità
di divezzamento, cercando
di “demedicalizzare” questo passaggio
naturale della vita del bambino > 18
[
come si fa / 2
]
La sindrome metabolica
in età pediatrica: è tempo
di ripensare i criteri diagnostici?
Claudia Della Corte, Chiara Castellano,
Federica Prono, Antonella Mosca,
Valerio Nobili
Alla luce dell’ampliamento osservato
nello scenario clinico della sindrome
metabolica, appare necessario procedere
ad una rivalutazione
degli attuali criteri diagnostici > 31
[
come si fa / 3
]
Osteomielite acuta in età pediatrica
Anna Fedi, Sandra Trapani, Donatella
Lasagni, Tommaso Bondi, Massimo Resti
La prognosi dell’OA è oggi molto
buona: mortalità inferiore all’1%
nei Paesi sviluppati e complicanze
piuttosto rare, pur con il rischio
di disabilità a lungo termine > 37
[ Quiz ]
Test di autovalutazione > 45
Édouard Vuillard nacque nel 1868 a Saône-et-Loire, figlio di un ufficiale coloniale
in pensione, ma si trasferì presto con la famiglia a Parigi, dove crebbe in condizioni
economiche modeste. Nel 1885 lasciò il liceo per frequentare con il suo più caro amico
Ker-Xavier Roussel lo studio del pittore Diogène Maillart, dove apprese i primi rudimenti
della pittura. Dopo aver deciso di intraprendere la carriera artistica e non quella militare
che suo padre si attendeva da lui, nel giugno del 1887 – al terzo tentativo – fu ammesso
all’École des Beaux-Arts. Nel 1889 Maurice Denis lo convinse ad unirsi ad un piccolo gruppo
dissidente dell’Académie Julian, che realizzava delle opere improntate al simbolismo
e alla spiritualità, i “Nabis”: con lui i pittori Félix Vallotton, Pierre Bonnard, Paul Sérusier,
Henri-Gabriel Ibels, Paul Ranson, Aristide Maillol, Jan Verkade, il poeta Cazalis
e il musicista Pierre Hermant. La prima mostra di sue opere al Salon des Indépendants arrivò
nel 1901. Nel corso della sua carriera, Vuillard dipinse centinaia di scene di vita parigina.
Amava ripetere: “Io non dipingo ritratti. Dipingo persone negli ambienti
che le circondano” e infatti la sua abilità sta nel trasformare banali scene quotidiane
in tableaux di grande intensità emotiva. Nel 1940 Vuillard fu costretto a lasciare Parigi
per l’invasione nazista, ma durante la fuga morì presso La Baule, in Bretagna,
mentre attendeva un imbarco. È sepolto nel Cimitero dei Batignolles, a Parigi.
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Finito di stampare nel mese di febbraio 2015
Gian Paolo Salvioli
[ l’ e d i t o r i a l e ]
per quanto riguarda l’alimentazione
potenzialmente siamo influenzabili
almeno 200 volte al giorno. Non a
caso la pubblicità degli alimenti è
così presente nei media e quello alimentare è il settore commerciale che
investe di più nella promozione dei
propri prodotti. Tra i più importanti
temi sull’alimentazione, alcuni dovranno essere seguiti con molta attenzione da noi pediatri: gli alimenti
geneticamente modificati (OGM),
la nutrigenomica e i functional food, vale a dire i cibi che assumono lo
status di quasi-farmaco.
Gli OGM hanno enormi potenzialità, ma la ricerca deve fare
ancora passi avanti perché possano
essere utilizzati su vasta scala senza
più dubbi né preoccupazioni per la
salute umana e per l’ambiente. La
tecnica dell’ingegneria transgenica è
nuova e abbastanza diversa dalle colture convenzionali, perché trasferisce
solo pochi geni alla volta e tra specie
poco o per niente simili.
La nutrigenomica è lo studio
dell’interazione tra ciò che mangia-
mo e il nostro patrimonio genetico.
È oggi possibile valutare quali influenze, positive o negative possono
avere alcuni nutrienti sul DNA delle
nostre cellule, basta pensare agli studi
in atto sulle relazioni tra diete eccessivamente ricche in grassi e il rischio
di alcuni tumori.
Gli alimenti funzionali o functional food sono modificati in modo tale
da aggiungervi un fattore favorevole
alla salute, per esempio l’acido folico
nelle donne in gravidanza che riduce
il rischio di difetti del tubo neurale
nel nascituro. Particolarmente interessanti i probiotici, microrganismi
vivi ingeriti come parte di alimenti
o con integratori (caso classico: lo
yogurt) che promuovono la crescita
di batteri già presenti nell’intestino
o assunti in contemporanea.
Siamo di fronte a prospettive
molto importanti per la nostra professione. I progressi possono essere enormi ma anche rischiosi, potremmo
pagare le conseguenze di incidenti o
errori di valutazione in modi che non
possiamo nemmeno immaginare. Ma
l’errore più grave sarebbe rifiutare o
accettare ciecamente queste nuove
tecnologie, da valutare invece con
attenzione e con saggezza, senza
pregiudiziali ideologiche
.
5
“L
asciate che il vostro cibo
sia la vostra medicina”. Così Ippocrate, il padre della Medicina, descriveva il suo pensiero sul
rapporto tra ciò che mangiamo e
la salute. Ritengo che ancora oggi
queste parole siano le più adatte
quando parliamo di alimentazione
e nutrizione. Alimentazione è sinonimo di fornitura all’organismo di
fonti di energia necessarie alla sua
sopravvivenza nonché di tutte quelle sostanze, macro e micromolecole,
indispensabili per il mantenimento
e lo sviluppo delle strutture vitali.
Il concetto di nutrizione è strettamente biologico: indica il complesso di processi e funzioni che
consentono la digestione e l’assimilazione degli alimenti, ma anche
gli scambi materiali ed energetici a
livello dell’organismo in generale e
a livello di singole cellule. Oggi esistono studi e informazioni approfondite su molti aspetti della nutrizione, ma il vero problema è quello
delle abitudini alimentari dannose,
difficili da modificare nonostante se
ne conoscano le conseguenze.
È stato dimostrato che ogni giorno prendiamo circa 200 decisioni
che riguardano il cibo, sulla base di
stimoli interni ma soprattutto di segnali esterni. Ciò sta a significare che
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015
di Luciana Indinnimeo
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Alimentazione
& nutrizione
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6
Caso clinico Titolo articolo anche lungo
[ tutto
su
]
Whole Exome Sequencing (WES)
nei Disturbi dello Spettro Autistico
L’identificazione delle vie patogenetiche alle quali appartengono i geni implicati
potrà avere implicazioni diagnostiche e terapeutiche.
Introduzione
I
l metodo si basa sul sequenziamento delle porzioni codificanti del genoma in uno o più soggetti
affetti dalla patologia.4 Nella Tabella 1 è schematizzata
la procedura metodologica della tecnica utilizzata per
l’identificazione di geni-malattia. Il sequenziamento
dell’esoma con le moderne metodiche permette di ottener circa il 95% delle sequenze codificanti di un individuo e di rilevare con elevata accuratezza migliaia di
variazioni di basi nucleotidiche. Tali variazioni vengono
denominate polimorfismi a singolo nucleotide (SNP,
Tabella 1.
Metodologia per l’identificazione di geni-malattia
con Whole-Exome-Sequencing (WES)
1.
Reclutamento di pazienti affetti dalla patologia in oggetto
2.
Esecuzione di prelievo ematico e estrazione del DNA
3.
Sequenziamento dell’esoma
4.
Identificazione di varianti codificanti
5.
Analisi bioinformatica, confronto delle variazioni riscontrate
con quelle riportate nei databases
6.
Esclusioni delle varianti comuni non patogenetiche
7.
Selezione di geni candidati
8.
Validazione funzionale delle mutazioni diagnosticate
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015
Cos’è il Whole Exome Sequencing (WES)?
7
I
Disturbi dello Spettro Autistico
single nucleotide polymorphism) quando si
Caterina D’Ardia
Marina Digilio
(Autism Spectrum Disorders, ASD) sono
verificano con una certa frequenza all’interno
Gabriel Levi
definiti dalla presenza di deficit nell’intedi una popolazione e varianti a singolo nucleDipartimento di Pediatria
razione sociale e nella comunicazione sociale, e Neuropsichiatria
otide (SNV, single nucleotide variant) quando
Infantile
“Sapienza”
–
insieme alla presenza di pattern di comportasono identificate sporadicamente. Al fine di
Università di Roma
mento, interessi o attività ristretti e ripetitivi.
restringere il numero di variazioni tra le quali
Il quadro sintomatologico è variabile a seconda del livello può essere inclusa quella patogenetica, si utilizzano opdi sviluppo e dell’età. La prevalenza è di circa 60/10000 portuni filtri. L’operazione di filtro è basata sul confronto
(0,6%, rapporto maschi:femmine di 3:1)1. L’eziologia degli delle variazioni riscontrate nello studio con quelle riporASD è prevalentemente non nota, ma numerose evidenze tate nei database dbSNP, progetto HapMap, 1000 Gesono indicative per una patologia “multifattoriale” con una nome project ‒ disponibili online ‒ e con risultati otteforte base di predisposizione genetica2,3. L’identificazione nuti nelle casistiche di individui sani analizzati mediante
di nuovi geni-malattia si è rivoluzionata grazie alla dispo- la stessa tecnica. Nel momento in cui sono identificate
nibilità di tecniche molecolari di ultima generazione che in soggetti affetti dalla patologia in studio specifiche
consentono il sequenziamento dell’intero genoma (WGS, varianti ritenute potenzialmente patogenetiche perché
“Whole Genome Sequencing”). Il sequenziamento dell’e- in interessanti specifici “geni candidati”, queste vengono
soma (WES, “Whole Exome Sequencing”) studia invece successivamente ricercate su altri soggetti affetti dalla
le sole porzioni codificanti del genoma e costituisce un stessa malattia appartenenti ad altre famiglie. Mediante
approccio più semplice rispetto al sequenziamento dell’in- studi funzionali viene tentata a questo punto la validatero genoma, in quanto le regioni codificanti rappresentano zione patogenetica delle mutazioni diagnosticate. Dal
l’1% del genoma umano4 e contengono circa l’85% delle lato pratico è da considerare che in alcuni casi può essere
mutazioni patologiche note.
difficile giungere a conclusioni dopo aver effettuato un
solo WES, per cui possono venire utilizzati in modo
Tutto su Whole Exome Sequencing (WES) nei Disturbi dello Spettro Autistico
Tabella 2.
Revisione degli studi di WES effettuati in pazienti con DSA e geni nei quali sono state identificate mutazioni
Autori
(voce bibliografica)
Numero
pazienti studiati
Geni candidati
O’Roak et al., 2011 (5)
20
FOXP1, GRIN2B, SCN1A, LAMC3, CNTNAP2
Sanders et al., 2012 (6)
238
SCN2A, CHD8 e NTNG1
Neale et al., 2012 (8)
175
CHD8, KATNL2
Iossifov et al., 2012 (9)
343
CTTNBP2, AUTS1, RIMS1, DYRK1A, ZFYVE26, DST, ANK2, FMRP-associated genes
Bi et al., 2012 (10)
20
ANK3
Charour et al., 2012 (11)
16
UBE3B, CTCK1, NCKAP5L, ZNF18
integrato i metodi classici di mappatura (la mappatura
per omozigosità e l’analisi di linkage).
WES, autismo e primi studi
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015
8
I
l WES viene applicato per la prima volta allo
studio delle cause genetiche dell’autismo nel 2011, dal
gruppo di O’Roak et al 5, seguito da numerosi altri studi6‑11
(vedi Tabella 2). O’Roak et al 5 hanno utilizzato la tecnica di WES al fine di identificare e verificare mutazioni
de novo (ovvero insorte nelle linee germinali parentali o
nell’embrione) che conferiscano un aumentato rischio
di sviluppare un ASD. Sono state individuate varianti
de novo all’interno di porzioni del genoma codificanti
per quattro diversi geni (FOXP1, GRIN2B, SCN1A e
LAMC3): tali geni sono coinvolti nello sviluppo di ritardo mentale isolato e ritardo mentale con presenza di
tratti autistici ed epilessia, dato che supporta l’ipotesi
dell’esistenza di un’architettura genetica comune tra le
diverse patologie del neurosviluppo.
Sanders et al 6 hanno mostrato un’aumentata incidenza
del tasso delle SNV de novo negli individui con autismo
rispetto ai loro fratelli non affetti e mutazioni de novo
in geni che svolgono il loro ruolo a livello cerebrale. In
particolare, il gene SCN2A già descritto in passato come eziologicamente correlato ad alcune forme di epilessia è risultato essere un gene di suscettibilità anche per
gli ASD, così come altri due geni candidati (CHD8 e
NTNG1). O’Roak et al 7 hanno inoltre evidenziato che
le mutazioni de novo in geni candidati per gli ASD originano nella maggior parte dei casi dalla linea germinale
paterna e risultano correlate positivamente all’età paterna.
Neale et al 8, sempre attraverso la tecnica del WES, hanno
rilevato che il tasso di mutazione nelle famiglie con ASD
è lievemente più alto rispetto a quello previsto. Tuttavia,
data la penetranza incompleta, una mutazione da sola
può costituire un fattore di rischio ma può non essere
sufficiente a causare la patologia. Anche Iossifov et al 9
hanno effettuato il sequenziamento esomico, proponendosi di comprendere meglio se le diverse mutazioni de
novo abbiano incidenza diversa negli affetti rispetto ai non
affetti. Il sequenziamento esomico ha infine permesso loro
di affermare, relativamente ai risultati, che le mutazioni
de novo missense (codificanti per differenti aminoacidi)
non sembrano apparire in maggior numero negli affetti
rispetto ai non affetti, e quindi non sembrano contribuire in maniera significativa allo sviluppo di autismo.
Le mutazioni gene-disrupting (mutazioni di stop o che
determinino perdita o acquisto di funzione o interessino
un sito di splicing), invece, appaiono essere due volte più
frequenti negli affetti rispetto ai non affetti.
Lo studio di Bi et al 10 ha identificato una nuova mutazione de novo missense in ANK3, gene codificante per
una proteina appartenente alla famiglia delle anchirine e
quindi mediatrice dell’interazione tra proteine integrali
di membrana e citoscheletro. ANK3 è maggiormente
presente a livello del sistema nervoso centrale ed è stato
L’esistenza di una predisposizione genetica ai Disturbi dello Spettro
Autistico è stata ormai dimostrata, così come la presenza
di una ricca eterogeneità dal punto di vista dell’eziologia genetica.
Tutto su Whole Exome Sequencing (WES) nei Disturbi dello Spettro Autistico
Attraverso l’adozione del WES
sono stati identificati
alcuni geni eziologicamente
correlati con l’autismo
e in futuro questa tecnica
potrà contribuire
alla caratterizzazione
delle complesse basi genetiche
degli ASD.
Bibliografia
Conclusioni
I
n conclusione, gli studi finora effettuati hanno identificato probabilmente solo alcuni dei geni implicati negli ASD (FOXP1, GRIN2B, SCN1A, LAMC3,
CNTNAP2, SCN2A, NTNG1, CHD8, KATNL2,
ANK3, UBE3B, CTCK1, NCKAP5L, ZNF18,
DYRK1A, TBR1, PTEN, TBL1XR1). La disponibilità
di database più esaustivi e completi rispetto a quelli disponibili oggi renderà questo approccio più rapido e più idoneo ad identificare geni-malattia. L’identificazione delle
vie patogenetiche alle quali appartengono i geni implicati
potrà avere implicazioni diagnostiche e terapeutiche
.
Gli autori dichiarano
di non avere nessun
conflitto di interesse.
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015
9
inoltre associato ad altri disturbi come il disturbo bipolare
e la schizofrenia11. Gli autori propongono un suo ruolo
nel determinare un’aumentata suscettibilità nei confronti
dell’autismo. Charour et al 12 utilizzano il WES al fine di
individuare la presenza di mutazioni recessive in omozigosi candidate a svolgere un ruolo nel determinare lo
sviluppo dell’autismo. Essi individuano la presenza di
mutazioni recessive in omozigosi coinvolgenti quattro geni candidati (UBE3B, CTCK1, NCKAP5L e ZNF18).
Molto recentemente O’Roak et al 13 hanno considerato
che il WES ha consentito l’identificazione di numerose
mutazioni geniche de novo, ma in realtà sono pochi i geni
ricorrenti mutati nei pazienti con ASD. Dallo studio è
emerso che mutazioni ricorrenti in 6 geni (CHD8, DYRK1A, GRIN2B, TBR1, PTEN, e TBL1XR1) possono
essere eziologicamente correlate con l’1% circa degli ASD
di tipo sporadico.
1. Fombonne E. Epidemiology of pervasive developmental
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13. O’Roack BJ, Vives L, Fu W et al. Multiplex Targeted
Sequencing Identifies Recurrently Mutated Genes in
Autism Spectrum Disorders. Science 2012;338:1619-22.
[ Come si fa ]
“Dottore, mio figlio
non impara a leggere”.
I Disturbi Specifici
dell’Apprendimento
(DSA) e il pediatra
di famiglia
Gli strumenti di identificazione
dei soggetti con DSA, i principali fattori
di rischio e i segni critici, gli strumenti utili
per una precoce identificazione.
Introduzione
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015
10
S
i parla di Disturbo Specifico di Apprendimento (DSA) quando sono presenti delle difficoltà isolate e circoscritte nella lettura (Dislessia)
e/o nella scrittura (Disortografia) e/o nel calcolo (Discalculia) nonostante la presenza di adeguate capacità
cognitive e opportunità scolastiche. Tali difficoltà hanno
carattere evolutivo e persistente, presentandosi con diversa espressività clinica nelle varie fasi dello sviluppo. La
prevalenza mondiale del disturbo si attesta tra il 5 e il 15%
(DSM 5, 2013). L’incidenza è maggiore nei maschi, con un
rapporto M/F stimato intorno a 2:1, 3:1 (DSM 5, 2013). In
Italia la stima di prevalenza dei DSA fra i bambini in età
scolare oscilla fra il 3 e il 5% (Cornoldi, 2007).
Roberta Maggio1
Francesca Cucinotta1
Davide Vecchio2
Giovanni Moceri2
Massimo Ciuffo1
Marco Lamberti1
Eva Germanò1
Antonella Gagliano1
Giovanni Corsello2
Dante Ferrara2
UC Neuropsichiatria Infantile – Dipartimento di Scienze
pediatriche, ginecologiche, microbiologiche e biomediche,
Università degli Studi di Messina
2
Scuola di Specializzazione in Pediatria –
Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute
e Materno-Infantile, Università degli Studi di Palermo
1
È
ad oggi condivisa l’origine neurobiologica del
disturbo, che presenta un’importante componente
ereditaria. Diversi loci sono stati implicati nella dislessia,
in particolare sui cromosomi 6, 15 e 18 (Meng et al, 2011),
seppure nessuna mutazione funzionale sia stata ancora
identificata. Le principali ipotesi eziologiche possono
essere ricondotte all’ipotesi linguistica che riguarda un
deficit della processazione fonologica (Ramus, 2003), all’ipotesi del deficit dei meccanismi sensoriali non linguistici
(Stein e Walsh, 1997) e all’ipotesi di un deficit cerebellare
dell’automatizzazione (Nicolson et al, 2001).
Il DSA è dunque un carattere ereditabile che determina nel soggetto condizioni che ostacolano l’acquisizione e lo sviluppo di alcune abilità. Non dipende
quindi da problemi psicologici, da pigrizia o poca motivazione. Il disturbo tende a persistere nel tempo, anche
se la compromissione funzionale dei vari sottosistemi
ha andamenti diversi: in età adulta può essere compensato o addirittura recuperato. I DSA hanno infine un
importante impatto sia a livello individuale (frequente abbassamento del livello curriculare conseguito e/o
prematuro abbandono scolastico), sia a livello sociale
(riduzione della realizzazione delle potenzialità sociali e
lavorative dell’individuo). La precocità e la tempestività
degli interventi appaiono sempre più spesso in letteratura tra i fattori prognostici positivi. Il pediatra di famiglia
rappresenta dunque una figura centrale e determinate
nel riconoscimento precoce delle difficoltà scolastiche e
nell’attivazione di un percorso diagnostico e di recupero.
Caso clinico
M
aria giungeva alla nostra osservazione
all’età di 6 anni e mezzo, su segnalazione del pediatra di famiglia per la presenza di difficoltà scolastiche.
Dall’anamnesi non emergevano problemi significativi
pre-perinatali e lo sviluppo psicomotorio era regolare.
All’ingresso nella scuola materna aveva mostrato buone
capacità di apprendimento e di socializzazione. Tuttavia
aveva presentato, sin dall’inizio della scolarizzazione,
difficoltà nell’apprendimento delle lettere dell’alfabeto,
nel riconoscimento dei suoni che compongono le parole
e nella letto-scrittura. Al momento dell’osservazione,
aveva concluso la frequenza della prima classe elementare con un profitto modesto. Si mostrava all’osservazione serena e collaborante. Dal colloquio con i genitori
emergeva una tendenza a manifestare ansia e disagio
prima di recarsi a scuola e faticabilità e lentezza nel
portare a termine le attività scolastiche di lettura e grafiche. Il livello cognitivo, le funzioni esecutive, attentive
e visuo-spaziali risultavano nella norma. La bambina
mostrava di possedere un linguaggio strutturato ed un
bagaglio lessicale espanso tanto nella produzione che
nella comprensione; si apprezzavano tuttavia lievi imperfezioni fono-articolatorie e una lentezza nel recupero
lessicale. Si notava infine un lieve impaccio motorio
(difficoltà a saltare, stare in equilibrio, usare le forbici,
allacciare le stringhe delle scarpe, etc.). Riguardo alle
abilità scolastiche, si registrava lentezza nella lettura
(tempi di lettura al di sotto della seconda deviazione
standard). La scrittura era caratterizzata da tratto impreciso e irregolare e disortografia. Commetteva errori
di sostituzione, omissione e aggiunta di lettere (fonologici) e di trasformazione di parole per anticipazione
(non fonologici). Conclusioni diagnostiche: significativo
ritardo dell’apprendimento della lettura e della scrittura
in soggetto con funzionamento cognitivo adeguato e
lieve ritardo nello sviluppo della coordinazione motoria
generale e nel consolidamento delle abilità linguistiche.
Veniva indicato training di potenziamento bisettimanale
con attenzione all’incremento della velocità di lettura
e all’acquisizione delle competenze metafonologiche e
fonologiche in produzione scritta.
Torna all’osservazione all’età di 8 anni, in terza elementare. Pur presentando ancora significative difficoltà nella
transcodifica, la bambina ha migliorato la produzione
scritta e la velocità di lettura. Rimane ancora sotto la
media in relazione alla classe frequentata per velocità e
correttezza di lettura e scrittura. Non mostra problemi nel
comprendere il significato dei testi che legge. Al di sotto
della media appaiono anche le abilità di enumerazione
anterograda, di recupero di fatti numerici, di calcolo a
mente e scritto. Diagnosi e relativi codici ICD 10: disturbo specifico dell’apprendimento (dislessia-disortografia–
discalculia) F 81.3. Si indica un training di potenziamento
delle strategie di apprendimento, che la avvii anche all’uso
degli strumenti compensativi. Si raccomanda alla scuola
di fare riferimento alla legge n°170 dell’08-10-2010 che
tutela i soggetti con DSA, e di informare l’insegnante
referente per la Dislessia. Si richiede inoltre alla scuola
di procedere alla stesura di un PDP (Piano Didattico
Personalizzato).
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015
Basi neurobiologiche
11
Come si fa “Dottore, mio figlio non impara a leggere”. I Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) e il pediatra di famiglia
Come si fa “Dottore, mio figlio non impara a leggere”. I Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) e il pediatra di famiglia
Classificazione e descrizione dei DSA
I
l DSM IV, manuale diagnostico e statistico
dei disturbi mentali (APA, 1994), a seconda del dominio dell’apprendimento interessato, distingueva:
F81.0 Disturbo della Lettura [315.00]
F81.2 Disturbo del Calcolo [315.1]
F81.8 Disturbo dell’Espressione Scritta [315.2]
F81.9 Disturbo dell’Apprendimento Non Altrimenti Specificato [315.9]
Il DSM 5 (APA 2013) al contrario non individua diversi specifici disturbi all’interno di un unico cluster, ma
sottolinea l’unicità del disturbo nonostante la diversa
compromissione funzionale dei vari sottosistemi. Invariati rimangono quindi i criteri diagnostici di significativa
e specifica compromissione funzionale, discrepanza con
il livello cognitivo e con l’età del paziente, e persistenza
di tali difficoltà nel corso dello sviluppo non attribuibili
ad altre patologie o condizioni sociali. È possibile porre
diagnosi di disturbi della letto-scrittura sin dal completamento del 2° anno della scuola primaria, dal momento
che questa età coincide con la conclusione del ciclo dell’istruzione forTabella 1.
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AreaPediatrica | Vol. 15 | n. 4 | ottobre-dicembre 2014
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Tabella di refertazione
DDE-2
male del codice scritto. Per quanto riguarda il disturbo
del calcolo, l’età minima per la diagnosi coincide invece
con il completamento della 3a elementare. Clinicamente, il bambino con Dislessia Evolutiva mostra difficoltà
a riconoscere le lettere, a fissare le corrispondenze fra i
segni grafici e i suoni ed automatizzarle; la lettura ad alta
voce appare lenta e faticosa, con frequenti sostituzioni
di lettere simili o omofone (d-b, f-v). Se sono presenti
Disgrafia o Disortografia si presenterà per la prima un
tracciato difforme rispetto alle convenzioni della scrittura, con spazio insufficiente tra le parole, irregolarità nei
collegamenti, forma e dimensione delle lettere variabile
e irregolare, etc.; per la seconda invece si individueranno
errori fonologici (sostituzione, omissione, aggiunta di
grafema) e inesatta rappresentazione ortografica delle
omofone non omografe (lama/l’ama, anno/hanno). Infine,
nel caso della Discalculia, sarà possibile rilevare difficoltà nell’automatizzazione delle procedure del conteggio,
di transcodifica numerica, recupero dei fatti aritmetici e
nell’esecuzione di calcoli.
Come si fa “Dottore, mio figlio non impara a leggere”. I Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) e il pediatra di famiglia
Frequentemente il profilo neuropsicologico evidenzia
la coesistenza di altre condizioni disfunzionali,
con un una prevalenza che si attesta intorno al 58,3% dei DSA.
DSA presentano un alto tasso di comorbilità
con altre disabilità neuropsicologiche e/o psico-comportamentali. Frequentemente, infatti, il profilo neuropsicologico evidenzia la coesistenza di altre condizioni
disfunzionali con un una prevalenza che si attesta intorno al 58,3% dei DSA (DSM 5, 2013). Le più frequenti
sono il Disturbo Specifico del Linguaggio, il Disturbo
da Deficit d’Attenzione e Iperattività e il Disturbo di
Coordinazione Motoria (Gagliano et al, 2007; Stella et al,
2009). Se non precocemente identificati, i DSA possono
rappresentare un disturbo altamente invalidante poiché
il quadro si complica di sovente con la presenza di condizioni psicopatologiche associate, come disturbi d’ansia,
dell’umore e fobia scolare (Willcutt & Pennington, 2000).
L’insorgenza di disturbi psicologici è solitamente di tipo
secondario, legata cioè a un mancato riconoscimento del
disturbo o a un riconoscimento tardivo. Tipici in tal senso
sono i problemi emotivi, la demoralizzazione, le difficoltà
di relazione con i coetanei e la bassa autostima. Talora il
percorso accademico ed esistenziale si aggrava con sentimenti di disistima di sé ed helplessness (incapacità di
fronteggiare le difficoltà, ridotto senso di autoefficacia)
al punto da favorire l’abbandono scolastico, l’insorgenza
di un disturbo della condotta e difficoltà in età adulta
nel lavoro o nell’adattamento sociale. La precocità e la
tempestività degli interventi vengono identificati tra i
fattori prognostici positivi (Consensus Conference 2010).
Diversi autori hanno sottolineato l’efficacia degli interventi riabilitativi in età precoce nella riduzione dell’entità
del disturbo e dei rischi psicopatologici secondari, agendo
sull’outcome complessivo (psichiatrico e sociale) a lungo
termine.
In tale ottica si colloca l’intervento del pediatra che, in
quanto osservatore privilegiato, può cogliere gli indicatori
di rischio alla luce dei dati anamnestici, ed individuare i
segnali di difficoltà riportati dalla famiglia, indirizzando
il paziente agli approfondimenti specialistici di cui ha
bisogno (Consensus Conference 2010).
L
e ricerche degli ultimi anni hanno sottolineato due principali fattori di rischio prescolare specifici per lo sviluppo di DSA: la familiarità e la presenza
di un ritardo o di un deficit del linguaggio (Lyytinen et
al, 2004; Snowling et al, 2000). Altri indicatori predittivi per il disturbo dell’apprendimento sono le difficoltà
nelle competenze motorio-prassiche (impaccio motorio
e disprassia) e visuo-spaziali (destra-sinistra; sopra-sotto; ieri-domani; orologio). Nel bambino tra i 3–5 anni è
possibile riconoscere vari indici predittivi, come i deficit
della consapevolezza fonologica e del linguaggio orale
(difficoltà nel riconoscere i suoni che compongono una
parola) e le iniziali difficoltà di transcodifica (Stella &
Apolito, 2004). In Italia è stato stimato che il 30–40% dei
bambini con disturbo del linguaggio ricevono in seguito
una diagnosi di Dislessia (Snowling et al, 2005). Altri
segni clinici tipici delle difficoltà dell’apprendimento che
si presentano precocemente sono: difficoltà ad apprendere
l’alfabeto, a ricordare il nome degli oggetti, nell’analisi e
sintesi sillabica, nel riconoscere i suoni che compongono
una parola, a ricordare gli elenchi in sequenza, lentezza
nell’ampliamento del vocabolario, scarsa fluenza verbale.
Esistono inoltre fattori di rischio aspecifici che bisogna
tenere presente quali il basso peso alla nascita e/o la prematurità, l’esposizione al fumo materno in gravidanza.
13
I
Segni clinici precoci
Iter diagnostico
È
possibile porre diagnosi di DSA attraverso
l’attivazione di pratiche cliniche condivise con l’utilizzo di protocolli di valutazione basati su prove standardizzate a livello nazionale. L’adozione di criteri diagnostici evidence based può contribuire a distinguere i
DSA dalle altre difficoltà curriculari aspecifiche, connesse
di solito a fattori relativi al contesto familiare, ambientale
e culturale dello studente. La diagnosi nosografica deve
essere effettuata all’interno di un’equipe multidisciplinare
costituita da neuropsichiatra infantile, psicologo e logopedista ed eventualmente integrata da altri professionisti
AreaPediatrica | Vol. 15 | n. 4 | ottobre-dicembre 2014
Comorbilità e outcome
Come si fa “Dottore, mio figlio non impara a leggere”. I Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) e il pediatra di famiglia
sanitari e modulabile in base alle fasce di età. Sarà successivamente compito dello specialista NPI valutare gli
aspetti eziologici e la presenza di eventuali comorbilità.
Il protocollo diagnostico prevede:
1. visita specialistica:
raccolta anamnesi mirata a valutare la presenza
di fattori di rischio specifici o aspecifici (cambiamento di comportamento nel periodo scolastico
rispetto alle vacanze, disturbi fisici collegati alla
frequenza scolastica);
esame somatico obiettivo;
esame neurologico;
2. valutazione clinica multidisciplinare:
valutazione cognitiva attraverso test specifici (scala Wechsler- WISC-IV; Matrici Progressive di
Raven), mentre per bambini e ragazzi di madrelingua non italiana o per bambini con disturbi del
linguaggio, si utilizzano test monocomponenziali
(Leiter R);
valutazione delle abilità logico-matematiche: calcolo, elaborazione numerica e competenze aritmetiche (ABCA test per le abilità di calcolo aritmetico; BDE Batteria per la valutazione della
discalculia evolutiva);
valutazione delle abilità di lettura e scrittura: la
diagnosi è basata sulla misurazione di rapidità e
correttezza della decodifica. I principali test utilizzati in Italia sono le Prove MT, usate anche
come test di screening, la DDE-2 Batteria per
la valutazione della dislessia e della disortografia
evolutiva-2 e la Batteria per la valutazione della
scrittura di Tressoldi & Cornoldi.
Sono state prodotte di recente delle tabelle cartacee di
refertazione della DDE-2 (Tabella 1) capaci di assicurare
esattezza delle procedure e di trasformare i dati numerici
in curve grafiche, diminuendo il rischio di commettere
errori e il tempo che l’operatore impiega per la refertazione. Queste tabelle rappresentano uno strumento semplice
ma efficace a rendere più rapida e corretta la refertazione
della batteria (Ciuffo et al, 2013). Oltre al processo diagnostico, per rendere più agevole e precoce l’identificazione
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AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015
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dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) risulta
indispensabile disporre di mezzi utili a porre in risalto
specifici fattori di rischio e segni critici. Una prassi utile al
raggiungimento di un ampio numero di soggetti è quella
dello screening.
Screening precoce DSA
L
a Consensus Conference sui DSA (2010) afferma l’importanza di effettuare screening sui DSA
come “ricerca-azione”, condotti dagli insegnanti e dai
professionisti della salute. I test di screening permettono di valutare, tramite prove strutturate, le specifiche
abilità di lettura, scrittura e calcolo ma anche gli aspetti disfunzionali neuropsicologici come indicatori della
presenza del disturbo. Infatti, misurare soltanto le abilità
di letto-scrittura dell’alunno può condurre facilmente a
falsi positivi (ansia da prestazione, carenze didattiche o
culturali, etc.) oppure, soprattutto nelle forme lievi o in
soggetti che hanno ben compensato il disturbo, ad avere
dei falsi negativi.
Per essere efficace un test di screening deve essere
semplice, rapido da somministrare e poco costoso. Queste
caratteristiche rendono facile la sua impiegabilità e replicabilità nel corso degli anni. I test che prevedono molte
prove ed una somministrazione individuale hanno un
grado di validità estremamente elevato, ma molto spesso
vengono proposti solo una tantum poiché l’investimento
di risorse umane è molto dispendioso. I risultati si avvicinano molto a quelli ottenuti con il test diagnostico,
mentre, nel caso del test singolo di screening, il risultato è
sempre l’indicazione di un livello di rischio. Gli screening
possono effettuarsi o utilizzando prove strutturate che
indagano specifiche abilità, oppure mediante la somministrazione di questionari osservativi. Nel primo caso,
le prove vanno somministrate e valutate da personale
esperto e vengono indagate le abilità di lettura, scrittura
e calcolo e le competenze a queste correlate. Tuttavia non
è sempre possibile utilizzare tale procedura, sia per limiti
pratici che deontologici. In alternativa può risultare utile
Per essere efficace un test di screening
deve essere semplice, rapido da somministrare e poco costoso,
impiegabile e replicabile nel corso degli anni.
Come si fa “Dottore, mio figlio non impara a leggere”. I Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) e il pediatra di famiglia
S
ono costituiti da liste di domande sul comportamento rivolte agli adulti di riferimento (genitori,
insegnanti) per identificare particolari problematiche. I
questionari risultano essere meno specifici, rispetto a prove
strutturate, ma hanno il vantaggio di raccogliere informazioni più globali. Nella pratica clinica consentono di raccogliere informazioni sui bambini in modo rapido ed efficace
e di rendere quanto più possibile obiettiva ed uniforme la
valutazione di comportamenti e sintomi disfunzionali. Tali
prove rappresentano uno strumento di primo screening più
agile ed economico rispetto a prove strutturate somministrate direttamente agli alunni. La figura di riferimento
per attivare il percorso diagnostico e l’attività di recupero è
quella del pediatra di famiglia che può raccogliere i segnali
d’allarme inviati dai genitori e/o dalla scuola ed effettua-
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Questionari osservativi
re un primo screening sulle abilità di
base utile a decidere se inviare o meno
il bambino alla valutazione specialistica. Negli ultimi anni, grazie a una
campagna di informazione sulle caratteristiche dei DSA,
c’è una crescente richiesta tanto da parte degli insegnanti
che dei pediatri di strumenti attendibili che rilevino, con
un buon grado di affidabilità, la presenza di indicatori di
rischio di DSA.
Tra questi abbiamo:
IPDA (Terreni et al, 2003): si avvale, per la prima
fase di screening, di un questionario osservativo
composto da 43 item suddivisi in due sessioni, abilità generali (aspetti comportamentali, motricità,
metacognizione etc.) e abilità specifiche (pre-alfabetizzazione, pre-matematica); compilato dagli
insegnanti dell’ultimo anno della scuola materna.
RSR-DSA (Cappa et al, 2013) questionario osservativo per la rilevazione di difficoltà e disturbi.
Organizzato sotto forma di 2 diverse check-list
(per genitori e insegnanti), per rilevare situazioni
a rischio di DSA, si avvale di domande dirette a
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015
nella pratica clinica utilizzare questionari che esplorano
gli atteggiamenti e le performance del soggetto e forniscono una descrizione delle sue difficoltà.
Tabella 2.
Versione informatica
del questionario
osservativo
per la rilevazione
di difficoltà e disturbi
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015
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Come si fa “Dottore, mio figlio non impara a leggere”. I Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) e il pediatra di famiglia
identificare indicatori comportamentali predittivi di DSA. Il questionario RSR-DSA consta di
circa 53 domande, raggruppate in 9 diverse aree
di competenza, in modo da descrivere le capacità
scolastiche del soggetto con particolare riferimento
alle abilità di lettura, scrittura e calcolo e da fornire
alcune informazioni sulle abilità neuropsicologiche di base (aree di linguaggio, attentivo-mnestica,
motorio-prassica, visuo-percettiva), sul comportamento e sull’esperienza affettiva correlata all’apprendimento. Il questionario è diversificato per 4
fasce di scolari: primo ciclo della scuola primaria
(classi 1e e 2e), secondo ciclo della scuola primaria
(classi 3e, 4e e 5e), scuola secondaria di primo grado
e scuola secondaria di secondo grado. Nella versione informatica il punteggio complessivo viene
scomposto in nove sub-punteggi (Tabella 2) che
descrivono le diverse aree di competenza.
Il questionario RSR-DSA è uno strumento in grado
di ottenere informazioni da fonti multiple (insegnanti e
genitori) utili al clinico come supporto o completamento
dell’indagine diagnostica. Inoltre consente di avere una
rappresentazione grafica immediata delle aree di forza e
di quelle di debolezza, che può essere di aiuto al clinico
nel definire la batteria di test da proporre al bambino. Gli
elementi dell’osservazione, evidenziati dai grafici, permetteranno anche ai servizi specialistici di individuare le aree
critiche meritevoli di attenzione e per le quali può essere
utile fornire indicazioni per il recupero. Il questionario
non può e non vuole avere valenza diagnostica e può essere utile agli insegnanti per sottolineare eventuali carenze
da colmare con interventi didattici di recupero e potenziamento e per mettere a punto strategie adeguate alle
caratteristiche di ogni allievo. Occorre però precisare che
il rilievo di un punteggio di rischio non necessariamente
è legato alla presenza di un vero e proprio disturbo destinato a persistere nel tempo. Come in tutti gli screening, è
piuttosto un indicatore della presenza di una prestazione
atipica, che merita attenzione e può suggerire l’opportunità di avviare un lavoro di potenziamento mirato al
superamento della difficoltà.
Prove strutturate
P
er vagliare le abilità scolastiche di base tramite strumenti che esplorino le competenze di lettura, scrittura e calcolo, ritroviamo strumenti di facile e
rapida applicabilità come:
(Molin et al, 2007): fornisce un quadro dei
·BIN
primi apprendimenti matematici in bambini di
4–6 anni.
AC-MT 6-11 e 11-14 (Cornoldi et al, 2002; Cornoldi e Cazzola, 2003): constano di una parte collettiva con una valutazione generale delle abilità di
calcolo e di una parte individuale con un’analisi più
approfondita delle specifiche componenti (calcolo
a mente, scritto, enumerazione e recupero di fatti
numerici). Usati anche in fase diagnostica.
Discalculia Test (Lucangeli et al, 2009): mirato a
identificare i soggetti a rischio con dei programmi
che si avvalgono di prove computerizzate per la
valutazione delle abilità di calcolo in ragazzi dalla
terza elementare alla terza media, con prove specifiche riguardanti senso del numero, fatti numerici,
dettato di numeri, calcolo a mente.
S.P.I.L.L.O. (Stella et al, 2011): è un software che
consente di verificare in un solo minuto le abilità di
lettura dei bambini della scuola primaria di primo
grado (dalla 1a alla 5a).
Quando questo programma restituisce, per un
determinato alunno, un codice di “richiesta di
intervento immediato” si consiglia un approfondimento specialistico. Se invece restituisce la
prestazione dell’alunno in termini di “richiesta di
attenzione” l’insegnante assegnerà attività suppletive di lettura ai genitori e verificherà in seguito
nuovamente il livello di abilità, inviando l’alunno
all’approfondimento specialistico qualora venga
confermato il “giudizio di richiesta di attenzione”.
I punti di forza di S.P.I.L.L.O. sono la facilità
d’uso, la rapidità di somministrazione e l’accuratezza della valutazione.
Prove PRCR-2 (Cornoldi et al, 2009): utilizzate per
l’identificazione precoce ci permettono di indagare
gli specifici precursori cognitivi dell’abilità di lettura
e scrittura, relativa sia agli aspetti visivi sia quelli legati
all’elaborazione fonologica delle parole. La somministrazione può essere sia individuale che collettiva.
SPEED (Savelli et al, 2013) tale strumento per
l’individuazione precoce consente di valutare nei
bambini dell’ultimo anno della scuola dell’infanzia
lo sviluppo della conoscenza delle lettere (prove
di riconoscimento, denominazione e scrittura di
lettere), che è considerato tra i migliori predittori
del successivo apprendimento della letto-scrittura.
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Come si fa “Dottore, mio figlio non impara a leggere”. I Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) e il pediatra di famiglia
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Conclusioni
I
n Italia non è ancora garantita un’appropriata
individuazione dei DSA. Dai rilievi della letteratura
appare evidente come un precoce riconoscimento di tali
disturbi migliori l’outcome globale del paziente e ne renda
più efficace il trattamento, evitando ricadute negative sul
percorso scolastico, sulla strutturazione della personalità
e sui rapporti sociali. Per poter individuare tempestivamente tali problematiche appare indispensabile il ruolo
del pediatra di famiglia. Nel corso dei periodici bilanci di
salute infatti, direttamente o su segnalazione da parte dei
genitori e/o degli insegnanti, potrà indagare su probabili
problematiche scolastiche permettendo l’attivazione di
un percorso diagnostico e di recupero precoce. Questo
può avvenire facilmente grazie all’utilizzo di questionari
e strumenti di screening, che, nella pratica clinica, consentono di raccogliere informazioni sui bambini in modo
rapido ed efficace, e rendere il più possibile obbiettiva la
valutazione di comportamenti e sintomi disfunzionali
.
Gli autori dichiarano di non avere
nessun conflitto di interesse.
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17
P
er valutare la presenza di difficoltà nell’ambito dei bilanci di salute in età scolare, il pediatra di
famiglia dovrebbe chiedere ai genitori come sta procedendo l’acquisizione degli apprendimenti scolastici e, qualora
gli venissero esposte delle difficoltà, dovrebbe procedere
ad un approfondimento delle possibili ragioni che li sostengono. Quando sono presenti elementi suggestivi di
una scarsa performance scolastica e/o di un vissuto molto
negativo della scuola, gli strumenti di screening di più
rapidi ed efficaci attualmente disponibili sono:
S.P.I.L.L.O. (Stella et al, 2011): con una semplice
lettura del brano, il software permette l’identificazione dei pazienti a rischio che necessitano di un
approfondimento diagnostico.
RSR-DSA (Cappa et al, 2013): questionario osservativo che fornisce rapidamente diverse informazioni utili sulle abilità neuropsicologiche di base
(aree di linguaggio, attentivo-mnestica, motorioprassica, visuo-percettiva).
Questi strumenti, avendo caratteristiche diverse, sono
da considerarsi complementari. Il primo è una prova di
lettura che coinvolge direttamente il bambino. Ha pertanto ha il pregio di essere rapido, diretto, altamente sensibile e specifico nell’identificare i soggetti a rischio per
disturbo di lettura. Il secondo, essendo un questionario da
somministrare a insegnanti e genitori, non coinvolge di-
rettamente il pediatra per l’applicazione; è meno specifico
per il disturbo di lettura ma ha il vantaggio di esplorare
contemporaneamente diverse competenze.
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015
Applicazione pratica
nell’ambulatorio del pediatra
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I
l divezzamento ‒ o introduzione dell’alimentazione
complementare ‒ è una fase
della crescita particolare ed importante sia per la famiglia che per il
lattante, che può avere un ruolo
significativo sulla salute futura del
bambino. È esperienza comune
rilevare una disomogeneità nelle
modalità di divezzamento. In particolare, alquanto differenti paiono
essere il timing di inizio e di introduzione degli alimenti, la tipologia
degli alimenti proposti, le modalità
di preparazione degli stessi e così
via. Si passa infatti da chi propone
l’assaggio di qualsivoglia alimento
in qualsiasi momento a chi segue un
rigido (e antico) calendario di introduzione. D’altro canto è importante
sottolineare che l’introduzione di cibi solidi è una naturale attitudine del
lattante, forse troppo “medicalizzata”
negli anni passati.
Questo documento, scritto congiuntamente da esponenti di Società Italiana di Gastroenterologia,
Epatologia e Nutrizione Pediatrica
(SIGENP) e Società Italiana di Allergologia e Immunologia Pediatrica (SIAIP) dell’Emilia-Romagna,
operanti sia in ospedale che nel
territorio, con il supporto di esperti
di nutrizione appartenenti alla Società Italiana di Nutrizione Pediatrica (SINUPE) ed alla European
Society for Pediatric Gastroente-
[ evidenze ]
Indicazioni congiunte
Sigenp/Siaip
Emilia-Romagna
sull’alimentazione
complementare del lattante
sano, nato a termine
Alcuni suggerimenti sulle modalità di divezzamento,
cercando di “demedicalizzare” questo passaggio naturale
della vita del bambino.
Evidenze Indicazioni congiunte Sigenp/Siaip Emilia-Romagna sull’alimentazione complementare del lattante sano, nato a termine
rology, Hepatology and Nutrition
(ESPGHAN), si propone a partire
dai dati della letteratura di fornire
alcuni suggerimenti sulle modalità
di divezzamento, cercando di “demedicalizzare” questo passaggio naturale della vita del bambino.
Il divezzamento è il periodo in
cui il lattante introduce nella dieta
alimenti diversi dal latte con concomitante graduale riduzione dell’assunzione di latte (sia materno che
formulato) per arrivare alla progressiva acquisizione del modello dietetico caratteristico della famiglia di
appartenenza. Questa definizione si
basa su quella proposta dall’ European Food Safety Authority (EFSA)1
e dall’European Society for Pediatric
Gastroenterology, Hepatology and
Nutrition (ESPGHAN)2.
L’inizio ed il progressivo completamento del divezzamento sono il risultato di un ben orchestrato numero
di fattori che consentono al lattante
di alimentarsi in modo sempre più
autonomo e completo3:
acquisizione di fondamentali tappe dello sviluppo neuromotorio;
sviluppo del senso del gusto e delle inclinazioni personali;
maturazione della funzionalità
renale e gastrointestinale4,5
implementazione qualitativa e
quantitativa dell’apporto nutrizionale;
·
·
·
·
di fattori culturali e
· interazione
socioeconomici con tradizioni
locali e familiari1.
In un recente studio multicentrico europeo (coinvolti cinque Paesi: Belgio, Germania, Italia, Polonia,
Spagna) effettuato per valutare la
relazione tra l’intake proteico e la
crescita, è stata considerata anche
l’età media di divezzamento fotografando, in parte, le abitudini del
nostro continente6,7. I dati mostrano
come, complessivamente, circa un
quarto dei bambini cominci il divezzamento entro il quarto mese di
vita e a 6 mesi almeno il 90% ha già
assunto alimenti solidi. Lo studio
evidenzia anche come l’età media
del divezzamento sia più precoce nei
bambini con allattamento artificiale
rispetto a quelli allattati al seno. In
particolare, al quarto mese di vita ha
cominciato il divezzamento il 37,2%
dei bambini allattati artificialmente
contro il 17,2% dei bambini allattati al seno; a 6 mesi il 96,2% contro
l’87,1%.
L’epoca di introduzione di cibi
solidi, secondo le indicazioni della
letteratura internazionale1,2 si attesta
fra la diciassettesima e la ventiseiesima settimana (4°–6° mese compiuto) di vita. La scelta del momento
in cui iniziare il divezzamento dovrà
essere dettata, non solo da esigenze
nutrizionali, ma anche dalla “matu-
Hanno collaborato:
Baldi F., Bellini F., Belluzzi A., Bendandi B.,
Bergamini M., Biserna L., Borghi A.,
Caffarelli C., Calamelli E., Calzone L., Capra L.,
Dal Pozzo D., Dondi A., Giovannini L., Iaia M.,
Lambertini A., Malaventura C., Mainetti M.,
Marastoni E., Pecorari L., Pecorari R., Preti P.,
Ricci G., Timoncini G., Venturoli V., Vieni G.
rità neurologica” e dall’interesse che
il bambino mostrerà nei confronti
del cibo1,2. Per ciò che riguarda il
bambino allattato esclusivamente
al seno, l’EFSA sostiene che: “(…)
il latte materno è nutrizionalmente
adeguato fino a 6 mesi nella maggioranza dei casi, ma talvolta è necessaria l’introduzione di cibi solidi
prima dei 6 mesi in supporto al latte
materno per garantire un adeguato
sviluppo ed un’adeguata crescita”.
In questo documento verrà discusso il ruolo che l’introduzione di
alimenti diversi dal latte possono
avere in rapporto alle malattie allergiche (parte I), al diabete mellito
tipo 1, alla celiachia ed alla sindrome
metabolica (parte II) e si forniranno
indicazioni circa i fabbisogni del lattante ed alcuni suggerimenti di carattere pratico (parte III). In appendice
verrà affrontato e discusso anche il
tema dell’autodivezzamento.
19
UOC Pediatria – Ospedale Maggiore, Azienda USL Bologna
UOC Pediatria e Neonatologia – Ospedale di Imola, Azienda USL Imola
3
Pediatra di famiglia, Azienda USL Bologna
4
UOC Pediatria – Arcispedale S. Maria Nuova, Azienda USL-IRCCSReggio Emilia
5
Responsabile Centro Allergologico Europeo – Centro Diagnostico
Europeo Dalla Rosa Prati, Parma
6
UOC Dietologia e nutrizione clinica – Ospedale Maggiore-Bellaria,
Azienda USL Bologna
7
Pediatra – Ospedale privato Accreditato S. Francesco, Ravenna
8
Pediatra libera professionista, Cesena
9
Clinica Pediatrica – Azienda Ospedaliera Universitaria di Parma
10
Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità – Fondazione IRCCS
Cà Grande – Ospedale Maggiore, Milano
1
2
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015
Patrizia Alvisi1
Sandra Brusa2
Stefano Alboresi3
Sergio Amarri4
Paolo Bottau2
Giovanni Cavagni5
Barbara Corradini6
Linda Landi2
Leonardo Loroni7
Miris Marani8
Maria Irene Osti2
Carlotta Povesi Dascola9
Luca Valeriani6
Carlo Agostoni10
Evidenze Indicazioni congiunte Sigenp/Siaip Emilia-Romagna sull’alimentazione complementare del lattante sano, nato a termine
•••
I dati della letteratura
sul ruolo dell’introduzione
dei cibi solidi tra
la diciassettesima e
la ventiseiesima settimana
di vita nel favorire
lo sviluppo della tolleranza
sono contrastanti.
pa rte i
Alimentazione
complementare
ed allergia
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015
20
I
l progressivo aumento della
frequenza delle malattie allergiche, specialmente tra i bambini del
mondo occidentale, è un dato ormai universalmente riconosciuto8,9.
L’allergia alimentare attualmente
interessa il 2–10% della popolazione
generale10, il 3–8% in età pediatrica11.
Le cause di questo fenomeno sono
ancora oggi poco chiare; è probabile
che questo dato sia il risultato di una
combinazione tra predisposizione
genetica, fattori ambientali, cambiamenti nello stile di vita e abitudini
alimentari8. In particolare è possibile
che la dieta nei primi mesi di vita
possa essere un fattore importante
nello sviluppo delle malattie allergiche12. Sulla base di queste valutazioni e di alcuni studi pubblicati
negli anni ’9013,14,15,16, alcune Società
scientifiche hanno formulato raccomandazioni sul divezzamento:
l’American Academy of Pediatrics
(AAP) dava indicazione, nei bambini a rischio di allergia, di iniziare il
divezzamento dopo il sesto mese di
vita, di introdurre il latte dopo l’anno,
l’uovo dopo i due anni, le arachidi,
la frutta a guscio e il pesce dopo i
tre anni17,18. Queste indicazioni sono
state ribadite anche in un Position
paper dell’American College of Asthma Allergy and Immunology19.
Nel 2004 anche l’European Academy
of Allergy and Clinical Immunology
(EAACI) forniva raccomandazioni
simili20. Queste indicazioni si basavano su una presunta “immaturità”
dell’immunità mucosale gastrointestinale dei lattanti, che favorirebbe
la sensibilizzazione verso allergeni
alimentari, entrati troppo precocemente a contatto con la mucosa21–23.
Recenti acquisizioni su modelli
animali hanno ipotizzato come la
tolleranza agli alimenti possa essere
regolata/guidata da una precoce e regolare esposizione a queste specifiche
proteine durante una “finestra critica”
che pare aprirsi verso quattro mesi di
vita per chiudersi a sei16. Sono state
pubblicate in letteratura numerose
ricerche che evidenziano come l’introduzione tardiva degli alimenti,
non riduca la frequenza delle malattie e della sensibilizzazione allergica e possa, al contrario, aumentare
il rischio di atopia24–28. Uno studio
di coorte finlandese pubblicato nel
201329 conferma questi dati mostrando come l’introduzione di cereali entro i cinque mesi e mezzo, di pesce
entro i nove mesi e di uovo entro gli
undici mesi rispetto ad introduzioni
più tardive riduca il rischio di asma,
rinite allergica e sensibilizzazione
atopica a cinque anni di vita. Se da
una parte questi dati suggeriscono
che l’inserimento tardivo (dopo i 6
mesi) degli alimenti nella dieta del
lattante non sia utile per prevenire
le allergie, d’altra parte l’introduzione precoce (prima dei quattro mesi)
rimane controversa e non ci sono
evidenze scientifiche sufficienti per
promuovere, nella pratica quotidiana,
una deliberata esposizione precoce ai
più comuni alimenti allergizzanti11,17.
Questo dato è confermato da un recente studio prospettico inglese che
conferma come l’introduzione dei cibi solidi dopo le 17 settimane di vita
sia associato ad un minor rischio di
allergia alimentare30. Pare importante
sottolineare che i dati attualmente
disponibili in letteratura indicano
che iniziare il divezzamento contemporaneamente all’assunzione di latte
materno possa favorire l’acquisizione
della tolleranza alimentare, riducendo l’insorgenza di allergie3,17, 29,30,31.
Concludendo, le più recenti indicazioni di AAP, SP-EAACI, ESPGHAN ed EFSA sulla relazione
tra divezzamento ed allergia confermano che non esistono evidenze
scientifiche che possano giustificare
la ritardata introduzione degli alimenti solidi ‒ anche di quelli riconosciuti come maggiormente allergizzanti ‒ al fine di prevenire le
malattie allergiche.
Evidenze Indicazioni congiunte Sigenp/Siaip Emilia-Romagna sull’alimentazione complementare del lattante sano, nato a termine
•••
Alimentazione
complementare
e malattia celiaca,
diabete mellito tipo 1,
sindrome metabolica
Malattia celiaca (MC)
e Diabete mellito tipo 1
(T1DM)
L’
alimentazione complemen
tare non dovrebbe essere iniziata per nessun lattante prima del 4°
mese e oltre il 6° mese, inclusi bambini ad elevato rischio di malattia
atopica o di celiachia31. Precedenti
studi osservazionali parevano suggerire che la introduzione di glutine tra
il 4° e il 6° mese potesse ridurre il rischio di malattia celiaca27.
In particolare le raccomandazioni ESPGHAN
2008 indicavano di evitare tanto la
introduzione precoce (<17 settimane)
quanto quella tardiva (>26 settimane) del glutine, cercando di sfruttare
la finestra di tolleranza immunitaria
indicata da studi americani2. Veniva
altresì raccomandato di introdurre il
glutine gradualmente mentre il lattante era ancora allattato al seno. La
maggior parte degli studi sembravano indicare un ruolo protettivo del
latte materno tanto per la MC che
per il T1DM all’epoca dell’introduzione del glutine. Per la MC non è
chiaro se si tratti di protezione per-
sistente o di ritardo nella comparsa
dei sintomi. Nessun lavoro, infatti,
dimostra effetti protettivi a lungo
termine o dipendente dalla durata
dell’allattamento materno, così come
documentato anche recentemente da
uno studio SIGENP ed uno europeo32–36. Lo studio Prevent CD ha
dimostrato che non vi è alcun vantaggio nell’introdurre piccole quantità di
glutine alla sedicesima settimana di
vita. Lattanti ad alto rischio di MC
per famigliarità e genetica, suddivisi
in due gruppi, ricevevano dalla sedicesima settimana per 8 settimane rispettivamente 100 mg/die di glutine
o placebo. All’età di 3 anni l’incidenza
di MC nei 2 gruppi era sovrapponibile:
5,9% nel gruppo 1 e 4,5% nel
gruppo 2 (P=0,47). Neppure la durata
dell’allattamento al seno modificava
l’ incidenza di MC32. Il secondo studio, il CELIPREV, documenta come
anche l’introduzione tardiva non riduca il rischio di MC34.
Due gruppi
di bambini a rischio per famigliarità
ricevevano glutine rispettivamente a
partire dal 6° mese e dal 12° mese. A
5 anni di età il 16% dei bambini di
entrambi i gruppi aveva ricevuto diagnosi di MC. Nessuna ulteriore differenza si rilevava a 8 e 10 anni. Unica
differenza significativa riguardava il
periodo di insorgenza della malattia:
il gruppo che aveva introdotto il glutine a 6 mesi aveva una diagnosi in
età più precoce (26 versus 34 mesi)33.
Sul rischio di sviluppare T1DM in
relazione all’epoca di introduzione
del glutine il consenso nella comunità scientifica non è unanime37–39.
Nell’update dello studio prospettico
BABYDIAB il rischio di insorgenza
di T1DM non era aumentato se il
glutine era stato introdotto nei primi
3 mesi di vita o dopo il 6° mese40.
Anche l’introduzione precoce nei
primi 4 mesi di latte vaccino, frutta
e succhi di frutta, verdura, sembra
indicare un aumento del rischio di
sviluppare la comparsa di autoanticorpi T1DM, ma sono risultati scarsi
e frammentari, cosi come non ben
definito è il ruolo, forse protettivo,
della vitamina D41.
In conclusione in base ai dati
recenti della letteratura sembra non
esserci più né un’epoca ideale per
l’introduzione del glutine né una
quantità di glutine raccomandata e
neppure l’allattamento materno sarebbe protettivo in relazione all’insorgenza di MC. Discutibili sono
anche i dati relativi alla correlazione
fra introduzione dell’ alimentazione
complementare, con particolare riguardo al glutine, ed insorgenza di
T1DM.
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015
PARTE II
21
Non ci sono evidenze
che la ritardata
introduzione di alimenti
solidi oltre il 6°-8° mese
di vita sia nei bambini
a rischio di atopia (bambini
con genitori o fratelli affetti
da malattie allergiche)
sia in quelli non a rischio
possa prevenire l’allergia.
Evidenze Indicazioni congiunte Sigenp/Siaip Emilia-Romagna sull’alimentazione complementare del lattante sano, nato a termine
Sindrome metabolica
C
on l’espressione “Sindrome
metabolica” si identifica una
condizione clinica ad alto rischio
cardiovascolare per la presenza di
multipli fattori quali l’ipertensione
arteriosa, l’obesità viscerale, uno stato di insulinoresistenza, la dislipidemia. Almeno 3 milioni di adulti nel
mondo occidentale muoiono ogni
anno come conseguenza del sovrappeso o dell’obesità. Inoltre, circa il
50% delle malattie diabetiche, il 25%
delle malattie cardiache ischemiche
e tra il 7 e il 14% di certi tumori sono attribuibili al sovrappeso e all’obesità42. Sia l’allattamento al seno
che l’alimentazione complementare
possono avere conseguenze dirette
o tardive sulla salute. Modelli nutrizionali diversi durante le prime
fasi della vita possono incidere sullo
sviluppo futuro, sul metabolismo e
la salute di una persona. Il progetto EARNEST (Early Nutrition
programming-long term followup of Efficacy and Safety Trials),
dall’aprile 2005 all’ottobre 2010, ha
coinvolto 16 Paesi europei, allo scopo di indagare gli effetti del “programming metabolico” sulla salute
nelle età successive della vita43. Il
“programming metabolico” è stato
definito come l’induzione, il blocco
o l’alterato sviluppo di una struttura
somatica o di un sistema fisiologico
da parte di uno stimolo o un insulto
precoce, che interviene in un periodo “sensibile” della vita (quale può
essere la gravidanza, l’allattamento
o il divezzamento), con conseguenze a lungo termine. In altri termini,
pare che l’ambiente nutrizionale
possa interagire con la predisposizione genetica individuale per programmare metabolismo e sviluppo
futuri. Il rischio di malattie come
l’obesità, il diabete, l’ipertensione e
le malattie cardiovascolari sembra
essere determinato dal rischio genetico, dallo stile di vita in età adulta
e dal programming metabolico precoce. A fronte dell’ampia letteratura
sull’allattamento al seno, a tutt’oggi
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015
22
Schemi alimentari giornalieri svezzamento
Bambino di circa 8 kg
Le giornate alimentari sono
state impostate su un fabbisogno calorico giornaliero
pari a c.a. 630 Kcal e un fabbisogno proteico giornaliero
di c.a. 11gr/die. Di seguito sono proposti schemi alimentari con alimenti o ricette
tipiche emiliano-romagnole
per bambini allattati con
latte materno (2 poppate al
giorno) e per bambini che assumono latte adattato tipo 2
(400 cc al giorno).
Note:
- gli schemi proposti sono
da considerare come razione giornaliera e sono
impostati per il singolo
bambino;
- gli ingredienti indicati
s’intendono al crudo e al
netto degli scarti;
- le indicazioni sulle quantità in grammi degli alimenti sono indicative.
Quantità giornaliera indicativa di nutrienti che rimane da assumere con alimenti
solidi, considerando che il
bambino prenda 400 cc di
latte adattato tipo 2:
6 gr di proteine, 17 gr di
lipidi, 47 gr di glucidi
1 Con passatelli /
2 Con crema di fagioli
3 Con minestra
(40 gr.):
· Passatelli
–20 gr. pangrattato
di fagioli o lentic· Crema
chie:
del Paradiso:
· Minestra
–10 gr. di Parmigiano
zuppa imperiale
·
·
·
·
–10 gr. Parmigiano Reggiano grattugiato
–10 gr. di uovo
–odore di noce moscata o scorza di limone
(come da ricetta tradizionale)
–brodo q.b.
Sostituendo pangrattato
con semolino è possibile
utilizzare gli stessi ingredienti per preparare
laZuppa Imperiale
20-30 gr. di verdure
passate
60 gr. di patate schiacciate o in purea o in passato di verdura
10 gr. di olio extravergine di oliva (quantità
giornaliera)
200 gr. di frutta fresca
(frullato di uno o più tipi
di frutta, frutta grattugiata/schiacciata o centrifugata, in macedonia
a piccoli pezzetti) senza
aggiunta di zucchero
o lenticchie
·
·
·
·
–15 gr. di fagioli o lenticchie secchi
–15 gr di crema di riso/
crema di cereali/crema di mais e tapioca/
semolino/pastina (tipo
“sabbiolina”)
–5 gr. di Parmigiano
Reggiano grattugiato
–5 gr. di olio extravergine di oliva
–brodo q.b.
20-30 gr. di verdure
passate
50 gr. di patate schiacciate o in purea o in passato
di verdura
5 gr. di olio extravergine
di oliva
200 gr. di frutta fresca
(frullato di uno o più tipi
di frutta, frutta grattugiata/schiacciata o centrifugata, in macedonia
a piccoli pezzetti) senza
aggiunta di zucchero
del paradiso
·
·
·
·
·
Reggiano grattugiato
–10 gr. di uovo
–brodo q.b.
20-30 gr. di verdure
passate
20 gr di crema di riso/
crema di cereali/crema di
mais e tapioca/semolino/
pastina (tipo “sabbiolina”)
50 gr. di patate schiacciate o in purea o in passato
di verdura
10 gr. di olio extravergine
di oliva (quantità giornaliera)
200 gr. di frutta fresca
(frullato di uno o più tipi
di frutta, frutta grattugiata/schiacciata o centrifugata, in macedonia
a piccoli pezzetti) senza
aggiunta di zucchero
Evidenze Indicazioni congiunte Sigenp/Siaip Emilia-Romagna sull’alimentazione complementare del lattante sano, nato a termine
4 Con pancotto
5 Con crema di patate
· Pancotto:
–35 gr. di pane grat-
di patate:
e stracchino:
· Crema
· Polenta
–40 gr. di patate frullate
–25 gr. di farina di mais
all’emiliana
·
·
·
·
tugiato (o pane ammorbidito in acqua e
frullato)
–10 gr. di uovo
–5 gr. di Parmigiano
Reggiano grattugiato
–5 gr. di olio extravergine di oliva
–brodo q.b.
20-30 gr. di verdure
passate
30 gr. di patate schiacciate o in purea o in passato
di verdura
5 gr. di olio extravergine
di oliva
200 gr. di frutta fresca
(frullato di uno o più tipi
di frutta, frutta grattugiata/schiacciata o centrifugata, in macedonia
a piccoli pezzetti) senza
aggiunta di zucchero
e trota
·
·
·
·
·
–15 gr. di pangrattato/
crema di riso/crema di
cereali/crema di mais e
tapioca/semolino/pastina (tipo “sabbiolina”)
–5 gr. di Parmigiano
Reggiano grattugiato
–5 gr. di olio extravergine di oliva
–brodo q.b.
20-30 gr. di verdure
passate
30 gr. di patate schiacciate o in purea o in passato
di verdura
20 gr di trota frullata o
omogeneizzata
5 gr. di olio extravergine
di oliva
200 gr. di frutta fresca
(frullato di uno o più tipi
di frutta, frutta grattugiata/schiacciata o centrifugata, in macedonia
a piccoli pezzetti) senza
aggiunta di zucchero
6 Con polenta
e stracchino
·
·
·
·
–15 gr di stracchino
–5 gr. di olio extravergine di oliva
20-30 gr. di verdure
passate
30 gr. di patate schiacciate o in purea o in passato
di verdura
5 gr. di olio extravergine
di oliva
200 gr. di frutta fresca
(frullato di uno o più tipi
di frutta, frutta grattugiata/schiacciata o centrifugata, in macedonia
a piccoli pezzetti) senza
aggiunta di zucchero
7 Con crema di riso
e zucca e carne di maiale
di riso e zucca:
· Crema
–20 gr. di crema di riso
·
·
·
·
–40 gr. di zucca
–5 gr. di Parmigiano
Reggiano grattugiato
–5 gr. di olio extravergine di oliva
–brodo q.b.
15 gr di carne di maiale
magro frullata o omogeneizzata
50 gr. di patate schiacciate o in purea o in passato
di verdura
5 gr. di olio extravergine
di oliva
200 gr. di frutta fresca
(frullato di uno o più tipi
di frutta, frutta grattugiata
23
Dati recenti di letteratura
non confermano
le raccomandazioni
ESPGHAN secondo cui
l’introduzione del glutine
fra la 17esima e la 26esima
settimana mentre
il lattante è ancora
allattato al seno avrebbe
un ruolo protettivo
sull’insorgenza
di celiachia, diabete
mellito tipo 1
ed allergia al grano.
ni studi osservazionali longitudinali
suggeriscono che una precoce introduzione di cibi complementari può
aumentare il rischio di sovrappeso/
obesità nel bambino e nell’adulto e
il rischio può essere inferiore nell’allattato al seno rispetto all’allattato
con formula44. Tuttavia una review
sistematica di Moorcroft del 2011
non ha trovato una chiara associazione tra l’epoca di introduzione dei
cibi solidi e l’obesità futura45, risultato confermato anche dall’EFSA e
dall’ESPGHAN. Inoltre non c’è evidenza che l’età di introduzione dei
cibi complementari abbia un effetto
sul rischio di diabete tipo 242, di malattia coronarica e di ipertensione46.
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015
•••
è stata data meno attenzione al periodo del divezzamento e a verificare
se questo periodo sia associato ad
outcome tardivi di salute e sviluppo.
Inoltre le attuali conoscenze circa gli
effetti sulla salute dell’introduzione
dei cibi complementari sono basate
soprattutto su studi osservazionali,
raramente su RCT, e pertanto sono
necessari ulteriori studi di maggior
forza metodologica43,44. Sulla base
delle evidenze attualmente disponibili è impossibile determinare
con esattezza l’età alla quale i rischi
dell’inizio del divezzamento sono
ridotti o aumentati per gli effetti a
lungo termine (obesità, diabete tipo
2 e malattie cardiovascolari). Alcu-
Evidenze Indicazioni congiunte Sigenp/Siaip Emilia-Romagna sull’alimentazione complementare del lattante sano, nato a termine
•••
L’eccesso di assunzione
di energia rimane
il primo fattore
da prevenire per evitare
lo sviluppo di sovrappeso
(si raccomanda utilizzo
delle curve di crescita
dell’OMS per allattato
al seno).
Intake proteico
e sindrome metabolica
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015
24
I
dati della letteratura finra in nostro possesso suggeriscono che fra i 6 e i 24 mesi superare
il limite del 15% di energia assunta
con le proteine può portare in alcuni
soggetti a fenomeni di early-adiposity-rebound, favorendo lo sviluppo
di obesità futura. In tali soggetti le
proteine in eccesso assunte con la
dieta stimolerebbero la secrezione
di insulina e IGF1, responsabili sia
dell’adipogenesi che della differenziazione degli adipociti47. Uno studio di Hoppe su bambini prepuberi
sani, sottoposti ad un carico proteico
molto elevato in un periodo limitato,
suggerisce che soprattutto le proteine assunte con il latte e non con la
carne stimolerebbero la secrezione di
insulina e l’insulinoresistenza, che è il
principale meccanismo patogenetico
della sindrome metabolica. Un’osservazione generica è che raramente le
assunzioni di singoli nutrienti vengono corrette per l’assunzione di energia, che rimane il primo fattore
determinante per la deposizione del
grasso. In generale, sostituire cibi ipercalorici ed iperproteici con cibi
a minore densità energetica (cereali, verdura e frutta) rimane un approccio valido per ridurre il rischio
di obesità: a tal riguardo uno studio
condotto a Nottingham suggerisce
che il baby-led weaning avrebbe un
impatto positivo sulle preferenze alimentari del bambino nelle prime
età della vita verso i carboidrati, che
potrebbe proteggere dal rischio di
obesità futura49. Riguardo alla relazione tra intake proteico durante lo
svezzamento e ipertensione e rischio
cardiovascolare nelle età successive,
non è al momento disponibile alcuna
conclusione definitiva, così come non
è possibile fare specifiche raccomandazioni per la composizione dei cibi
complementari in relazione al rischio
di malattie cardiovascolari nelle età
successive50.
Intake lipidico
e sindrome metabolica
R
iguardo all’intake lipidico
durante il divezzamento, non
si è trovata associazione alcuna tra
apporto di grassi e adiposità nelle
età successive, mentre è stata trovata
una significativa associazione dopo i
2 anni. Pertanto l’intake di grassi non
dovrebbe essere ristretto nei primi 2
anni di vita50. Rolland Cachera ha
identificato in un pattern dietetico
iperproteico ed ipolipidico di lattanti
provenienti dai paesi più sviluppati
una possibile concausa del fenomeno
dell’early-adiposity-rebound51. Accanto alla riduzione delle proteine
nella dieta, anche l’incremento percentuale dei grassi, in particolare insaturi, va considerato un importante
step nella prevenzione del sovrappeso
e dell’obesità52.
Bevande zuccherate
e sindrome metabolica
S
ono definiti EPL (Energy
Providing Liquids) i succhi di
frutta (100% frutta), le bevande alla
frutta, i succhi di verdura e altre bevande zuccherate (soft drink, acqua
zuccherata con o senza aromi, tè i-
stantaneo zuccherato). Non c’è alcun
beneficio nutrizionale nel somministrare EPL a lattanti nei primi mesi di vita: un eccessivo consumo di
bevande zuccherate e il conseguente
incremento dell’intake calorico si associa ad obesità nell’infanzia. L’AAP
raccomanda che i lattanti <6 mesi di
età non facciano uso di succhi di
frutta. Frutta intera o passata o omogenizzata è più appropriata per il
bambino che inizia il divezzamento
fino all’anno di età e i bambini di 1–6
anni dovrebbero limitare il consumo
di succhi di frutta a 120–180ml al dì.
Il consumo di bevande zuccherate
come la soda e le bevande alla frutta
dovrebbe essere sconsigliato42,53,54.
Long chain n-3
polyunsaturated fatty acids
(LCPUFA)
e sindrome metabolica
I
n letteratura ci sono ricerche limitate sul ruolo degli
LCPUFA durante il divezzamento e
gli effetti a lungo termine sulla salute
cardiovascolare. Uno studio danese
ha dimostrato che lattanti sani che
ricevevano supplementi di olio di pesce avevano una pressione arteriosa
più bassa e questi risultati sono stati
confermati dallo studio si follow-up
di Forsyth e collaboratori55,56.
Sale e sindrome metabolica
M
olti studi suggeriscono
che un precoce intake di sale
può condurre allo sviluppo di una preferenza per il gusto salato, con conseguente intake di sale persistentemente
elevato anche nelle età successive, che
può portare ad aumentare la pressione
arteriosa. Tuttavia ulteriori studi sono
necessari42.
Evidenze Indicazioni congiunte Sigenp/Siaip Emilia-Romagna sull’alimentazione complementare del lattante sano, nato a termine
I fabbisogni: energia,
macronutrienti, fibre, acqua,
micronutrienti e vitamine
L
e raccomandazioni internazionali forniscono indicazioni
precise sulla necessità e sulla adeguatezza dell’allattamento al seno esclusivo fino ai 6 mesi di vita del lattante. Infatti i fabbisogni nutrizionali,
compreso quello dei micronutrienti,
sono garantiti dal latte materno, ad
eccezione della vitamina D e vitamina
K. Dopo tale periodo, il latte materno
non è più in grado di fornire sufficiente apporto di calorie, proteine, zinco,
ferro e vitamine liposolubili (vitamina
A e D), necessari a garantire una crescita adeguata del lattante1,2. Gli apporti consigliati e riportati di seguito
per l’età compresa fra 6–12 mesi sono
stati ricavati dal documento di sintesi LARN (Livelli di Assunzione di
•••
L’eccessivo intake proteico
(latte, carne e formaggi)
durante il divezzamento
è stato correlato al rischio
di sovrappeso/obesità
nelle età successive,
mentre l’incremento
percentuale dei grassi
può contribuire
alla prevenzione.
L’
apporto quotidiano di
energia in termini di calorie totali
raccomandate è di 70–75 Kcal/Kg/die.
Tale apporto deve essere correttamente
ripartito fra i diversi macronutrienti sia
in termini di quantità che di qualità.
È fondamentale cercare di rispettare
il più possibile tale apporto energetico quotidiano, in quanto la tendenza
attuale è quella di abbondare con le
calorie introdotte quotidianamente.
Carboidrati
L’
apporto quotidiano raccomandato è variabile fra il
45–60% delle calorie totali. Si consiglia di prediligere fonti alimentari
amidacee se possibile a basso indice
glicemico e soprattutto va limitato
l’apporto di zuccheri semplici (per
esempio succhi di frutta zucchero e
dolcificanti in genere). In particolare gli alimenti amidacei da preferire
sono i più semplici: pane, pasta, riso,
altri cereali minori (quali mais, avena,
orzo, farro, e così via) oltre alle patate.
Fibre
L’
apporto quotidiano raccomandato non è precisamente
quantizzato nel bambino di età compresa fra 6–12 mesi. Nel bambino di
età 1–3 anni, l’assunzione consigliata
è di 10 g/die. Di seguito riportiamo il
contenuto di fibre di alcuni vegetali.
Basso
Medio
Alto
Patata
Carota
Piselli
Bietola
Zucchina
Fagiolini
Lattuga
Spinaci
Lipidi
L’
apporto raccomandato è
del 40% delle calorie totali e
non deve essere inferiore al 25%. Dal
punto di vista qualitativo deve essere
limitato il consumo di grassi saturi
(presenti soprattutto negli alimenti
di origine animale) privilegiando
quelli insaturi, polinsaturi e monoinsaturi contenuti principalmente
negli alimenti di origine vegetale e
nel pesce. In particolare la quota di
grassi saturi dovrebbe essere <10%
dell’energia totale. Alcuni acidi
grassi polinsaturi sono definiti “essenziali” (acido linoleico, precursore della famiglia degli ω-6 e l’acido
α-linolenico precursore della famiglia degli ω-3) in quanto devono
essere introdotti con l’alimentazione non potendo essere sintetizzati
dall’uomo. Gli acidi grassi polinsaturi a lunga catena (LCPUFA) devono essere presenti nella dieta con
un apporto consigliato di 250 mg/
die. Le fonti alimentari sono rappresentate da: semi e oli vegetali (olio
extravergine di oliva) per gli acidi
grassi della serie ω-6, pesci marini
(sgombro, acciughe, salmone, tonno
e così via) e oli di pesce per gli acidi grassi della serie ω-3. L’apporto
minimo di olio extravergine di oliva
consigliato è di: 10 grammi al dì.
Protidi
L’
apporto quotidiano raccomandato è di circa il 10% delle
calorie totali; l’assunzione consigliata
è di 1,1 g/Kg/die (assunzione racco-
25
Energia
parte i II
Contenuto in fibre di alcuni vegetali
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015
Riferimento di Nutrienti ed energia
per la popolazione italiana) revisionato nel 201457 e dal documento EFSA
2013 (European Food Safety Authotity)58. Tali fabbisogni devono servire
solo come suggerimento al pediatra,
nel caso in cui si rendesse necessario
una valutazione degli apporti nutrizionali più precisa.
Evidenze Indicazioni congiunte Sigenp/Siaip Emilia-Romagna sull’alimentazione complementare del lattante sano, nato a termine
•••
Nel primo anno di vita
aggiungere sale al cibo
è inappropriato,
in relazione al possibile
rischio ipertensivo
nelle età successive.
mandata media 11 gr/die per l’età di
6 mesi). L’apporto proteico è stato
ridotto negli anni perché più alti
quantitativi sarebbero in grado di
predisporre il bambino all’insorgenza
di obesità. Si segnala come mantenere la quota proteica pari al 10% delle calorie totali, sia particolarmente
difficoltoso, in quanto già con il latte
(200 ml) circa il 30–40% dell’apporto
proteico quotidiano è coperto.
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015
26
Apporto proteico di alcuni alimenti – 1
Qualità di carne
gr proteine/porzione
di 20–30 gr
Faraona petto
5,2–7,7
Tacchino fesa
4,8–7,2
Pollo petto
4,7–7
Maiale bistecca
4,3–6,4
Filetto di vitello/
vitellone/bovino adulto
4,1–6,2
Pollo intero
(senza pelle)
3,9–5,8
Coniglio/cavallo
4–6
Merluzzo/sogliola
3,4–5,1
Apporto proteico di alcuni alimenti – 2
Alimento
Quantità
Grammi
proteine
Liomanzo
100 gr/10 gr 50/5
Omogeneizzato
manzo
120 gr/100
gr/80 gr
7,4/6,2/5
Pesce fresco
100 gr
19
Legumi freschi
100 gr
7
Legumi secchi
100 gr
24
Latte formulato
tipo 2
100 ml
1,4–1,5
Latte vaccino
100 ml
3,3
Secondo l’ESPGHAN, sarebbe
consigliabile non introdurre latte
vaccino prima del 12° mese di vita,
in quanto povero di ferro e forse in
grado di provocare microemorragie
intestinali che vanno via via diminuendo con l’aumentare dell’età.
Tuttavia questa raccomandazione
non trova unanimità nella comunità
scientifica e pone grossi interrogativi
per l’aggravio economico che comporta l’acquisto di latte formulato fino all’anno di età per famiglie poco
abbienti.
Liquidi
L’
apporto quotidiano di liquidi raccomandato è di 800
ml/die circa. Il fabbisogno è sotto
anno di vita maggiore rispetto all’età
successive e può essere calcolato attorno a 100 ml/Kg/die
Vitamine e sali minerali
V
itamina D: è consigliato un
apporto giornaliero di 400 UI.
Solo il 10% del fabbisogno è introdotto con la dieta. Il 90% è sintetizzato dall’effetto dei raggi UVB sul
precursore presente sulla cute.
Attualmente si consiglia una
supplementazione di 400 UI/die
almeno fino all’anno di vita. Alimenti contenenti la vitamina D
sono l’olio di fegato di merluzzo e i
pesci grassi, tra le carni solo il fegato
ne contiene oltre il livello di tracce
e tra i derivati del latte solo il burro
e i formaggi particolarmente grassi
ed infine le uova.
Calcio: è consigliato un apporto
giornaliero di 260 mg. Si ritiene che
la deficienza cronica di calcio nella
fase di accrescimento corporeo possa determinare una ridotta densità
minerale dell’osso rispetto al picco
di massa ossea (maturità scheletrica).
Alimenti contenenti calcio sono: latte e derivati che contribuiscono per
più del 65% del fabbisogno totale di
calcio, i vegetali che rappresentano
circa il 12% dell’assunzione, i cereali
che contribuiscono per l’8,5%, mentre
le carni ed il pesce per il 6,5% . È difficile stimare la quota rappresentata
dal calcio dell’acqua da bere poiché il
contenuto delle acque potabili e delle
acque minerali è molto variabile. Il
latte formulato di tipo 2 contiene 230
mg di calcio/100 ml, mentre il latte di
proseguimento 70 mg/100 ml.
Sodio: è consigliato un apporto
giornaliero di 0,4 gr. Le evidenze di
una diretta correlazione tra il consumo di sodio ed ipertensione arteriosa
sono ancora incerte nei bambini. Si
consiglia di non aggiungere sale ai
pasti, in quanto alcuni alimenti utilizzati dalle prime epoche del divezzamento hanno già un contenuto di
sodio sufficiente a coprire il fabbisogno giornaliero.
Ferro: è consigliato un apporto
giornaliero di 7 mg. Lattanti allattati esclusivamente al seno che non
ricevono supplementazione o non
modificano l’alimentazione sono a
rischio di deficienza di ferro durante
il secondo semestre di vita. Discrete
quantità di ferro sono presenti tanto
in alimenti di origine animale (carne
e pesce) che tra quelli di origine vegetale (legumi, indivia, radicchio verde,
spinaci). Il ferro eme presente nelle
•••
L’eccessivo consumo
di bevande zuccherate
ed il conseguente aumento
dell’intake calorico
è associato ad obesità
nell’infanzia.
Il consumo di bevande
zuccherate dovrebbe
essere sconsigliato.
Evidenze Indicazioni congiunte Sigenp/Siaip Emilia-Romagna sull’alimentazione complementare del lattante sano, nato a termine
•••
Consigli pratici
L’introduzione di LCPUFA
(olio di oliva e pesce)
può avere un effetto
positivo sulla pressione
arteriosa nelle età
successive.
Rispettare
l’intake calorico quotidiano
(70–75 Kcal/kg/die).
Fare attenzione
all’apporto proteico (formaggi
e carne), ricordando che 2 pasti
di latte (200–300 ml) coprono
circa il 30–40% del fabbisogno
proteico quotidiano.
Non salare gli alimenti.
L’epoca di introduzione dei cibi solidi dovrebbe essere stabilita
individualmente, sulla base delle
competenze acquisite e dell’interesse del bambino (valutati insieme ai
genitori) tenendo in considerazione
il contesto famigliare. L’inizio di introduzione degli alimenti solidi al sesto mese rimane un goal desiderabile
anche nelle società occidentali e nei
bambini allattatati esclusivamente
al seno, anche se può essere opportuno l’introduzione di cibi solidi in
supporto al latte materno prima di
tale età. Si suggerisce comunque di
introdurre i cibi complementari non
prima del 4 ° mese compiuto e non
dopo il 6° mese compiuto.
Il bambino dovrebbe introdurre nuovi alimenti mentre è allattato al seno.
Non è consigliabile ritardare
l’introduzione degli alimenti potenzialmente allergizzanti allo scopo
di prevenire lo sviluppo di malattie
allergiche; al momento attuale non
esiste un’epoca ideale per introdurre
il glutine in relazione all’insorgenza
di MC e DM1, quindi il glutine potrà
essere assunto dal bambino a discrezione della famiglia.
È consigliabile incoraggiare la
condivisione del momento del pasto
e soddisfare la curiosità alimentare
almeno fino all’anno di vita
con vitamina D.
Prediligere:
amidacei
· gliaglialimenti
zuccheri semplici,
limitando il più possibile
l’assunzione di succhi di frutta
e snack dolci;
di grassi vegetali
· l’assunzione
rispetto ai grassi animali,
ed in particolare meglio
introdurre olio extravergine di
oliva anziché burro
o margarina;
di pesce (almeno
· il2 consumo
volte/settimana) sulla carne;
di frutta e verdura
· il(seconsumo
possibile 4 porzioni/die).
emoproteine del pesce e della carne
viene assorbito circa al 25%, mentre
la percentuale di ferro non-eme assorbita varia dal 2 al 13%. Alcuni esempi di alimenti contenenti ferro sono:
carne bovina1,9mg/100 gr; merluzzo
0,7mg/100 ml; spinaci 2,9 mg/100 ml.
Negli ultimi anni comunque cominciano ad essere messe in discussione le
supplementazioni marziali, in quanto sembrerebbero correlate ad un aumentata incidenza di infezioni.
·
·
·
·
e le richieste del bambino con piccoli assaggi. Proporre cibi tritati, a
pezzetti o finger food solo quando il
bambino ha maturato le necessarie
competenze posturali ed oromotorie.
La dieta del bambino sarà
tanto migliore quanto più la famiglia
seguirà un’alimentazione corretta e
bilanciata facendo attenzione all’apporto calorico e proteico. È fondamentale quindi fornire ai genitori
indicazioni per una dieta nutrizionalmente equilibrata ed incoraggiarli
a riconoscere e rispettare la capacità
di autoregolazione del bambino. Promuovere il consumo quotidiano di
frutta e verdura.
Le modalità di divezzamento
devono privilegiare le abitudini famigliari, etniche, regionali considerando i fabbisogni nutrizionali del
bambino (LARN).
In conclusione è d’obbligo affermare che sulla base della tipologia
di studi disponibili non è possibile
dedurre il numero di bambini necessari di un effetto misurabile a distanza per un determinato modello
di introduzione degli alimenti. Tale
considerazione spinge ad essere più
prudenti nell’indicare con certezza
i modelli più vantaggiosi
·
·
.
27
Considerazioni
conclusive
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015
Supplementare
Evidenze Indicazioni congiunte Sigenp/Siaip Emilia-Romagna sull’alimentazione complementare del lattante sano, nato a termine
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015
28
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Evidenze Indicazioni congiunte Sigenp/Siaip Emilia-Romagna sull’alimentazione complementare del lattante sano, nato a termine
APPENDICE
Considerazioni su
Baby Led Weaning
(BLW)
e Autosvezzamento
·
·
29
I
l BLW è un approccio alternativo alla Alimentazione Complementare del lattante che
enfatizza la capacità del bambino di autoalimentarsi
con cibo tenuto in mano piuttosto che attraverso
somministrazione di alimenti cremosi al cucchiaino
da parte dell’adulto1,2.
Una definizione italiana del BLW è l’autosvezzamento proposto da Lucio Piermarini:consiste nel
proporre al lattante il cibo della famiglia tritato e
spezzettato3,4.
Entrambi gli approcci prevedono consensualmente l’allattamento al seno a richiesta, l’inizio
di alimentazione complementare al 6° mese e la
condivisione con la famiglia del tempo del pasto
Le implicazioni positive di questo approccio
sono svariate: il valore sociale della condivisione del
pasto, la promozione della autonomia del bambino,
il risparmio di tempo e denaro per i famigliari e,
forse, l’autoeducazione della famiglia ad uno stile
alimentare piu sano. Un unico lavoro (anglosassone) tuttavia avrebbe dimostrato che le famiglie
non modificano, verso uno stile più sano, le loro
abitudini alimentari5.
La scarsità di ricerca su BLW e autosvezzamentofavorisce tuttora il persistere di perplessità
fra i pediatri.
Rischio di inadeguatezza dell’intake di ferro
a fronte di copiosa letteratura sui rapporti
tra deficit di ferro e sviluppo cognitivo6. Le
famiglie che aderiscono al BLW propongono inizialmente al bambino vegetali cotti
a vapore che non costituiscono sorgente di
ferro assorbibile1.
Rischio di apporto eccessivo di NaCl. Il
rapporto tra intake di sodio e ipertensione
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015
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Journal 2013;11(1):3005.
Evidenze Indicazioni congiunte Sigenp/Siaip Emilia-Romagna sull’alimentazione complementare del lattante sano, nato a termine
nell’adulto è dimostrato fin dai primi mesi di
vita7. E’ stato anche ipotizzato un rapporto tra
intake eccessivo di NaCl e patologie autoimmuni8.
Rischio di apporto calorico insufficiente: un
unico lavoro anglosassone che ha confrontato 92
lattanti BLW e 63 lattanti svezzati al cucchiaino
convenzionalmente avrebbe riscontrato nei 2
gruppi una aumentata incidenza rispettivamente di sottopeso e di sovrappeso9.
Rischio di aspirazione per la possibilità che il
lattante non abbia ancora maturato la necessaria
coordinazione tra respirazione, masticazione e
deglutizione.
Il 30% di un campione di 199 lattanti neozelandesi
ha avuto almeno un episodio di soffocamento con
assunzione di cibo intero (mela). E’ possibile che questa percentuale elevata sia dovuta alla difficoltà delle
famiglie a distinguere tra soffocamento (choking) e
conati di vomito (gagging)10.
È evidente inoltre che la necessità di competenze
posturali e oro motorie non consente questo tipo di
approccio prima del 6° mese.
Significativamente le madri paiono capaci di operare sintesi efficaci che includono i vantaggi di
entrambi gli approcci: uno studio neozelandese rileva
che, nonostante molti genitori ritengano di seguire il
BLW, ben pochi in realtà lo seguono rigorosamente
(8%) mentre la maggior parte sceglie un approccio
flessibile che prevede tanto la proposta di alimenti
della famiglia ritenuti idonei, quanto la somministrazione di alimenti cremosi al cucchiaio che assicurino
l’intake di ferro o l’apporto calorico in talune circostanze (es. malattia)10.
·
L
a popolarità tra le famiglie di approcci
alternativi allo svezzamento e le diversità etniche
e culturali rendono necessarie ricerche ulteriori sul
campo per valutarne la adeguatezza nutrizionale.
Nell’attesa, la sintesi tra le due modalità verosimilmente già operata spontaneamente da molte famiglie, permette di cogliere le implicazioni positive
della condivisione del pasto, assicurando nel contempo
al piccolo bambino la adeguatezza nutrizionale, e la
attenzione che si deve prestare al momento nel quale
il lattante manifesta la propria “voglia” di sperimentare
nuovi alimenti
.
Gli autori dichiarano
di non avere
nessun conflitto
di interesse.
Carlo Agostoni dichiara
di aver ricevuto fees
per conferenze
e presentazioni
in tema di nutrizione
pediatrica, ma non
in relazione
a prodotti specifici.
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015
30
·
Conclusione
Bibliografia
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[ come
s i fa
]
La sindrome metabolica in età pediatrica:
è tempo di ripensare i criteri diagnostici?
L’
obesità e le sue complicanze metaboliche
obesità viscerale, ipertensione arteriosa, che si associa ad un
sono diventate una delle principali emergenze
aumentato rischio di patologia cardiovascolare. Sebbene la
sanitarie del XXI secolo. L’aumento epidemico
patogenesi della sindrome metabolica non sia ancora comdell’obesità infantile osservato negli ultimi venti anni ha
pletamente nota, le evidenze attualmente disponibili ideninfatti determinato la comparsa – anche in età
tificano nell’insulino-resistenza e nella eccessiva
Claudia Della Corte
pediatrica – di patologie prima ad appannagproduzione di acidi grassi liberi le componenti
Chiara Castellano
gio esclusivo dell’età adulta, quali ad esempio la
chiavi della sua insorgenza1. Nonostante la sua
Federica Prono
Antonella Mosca
crescente prevalenza nella popolazione pediasindrome metabolica (SM) e il diabete mellito
Valerio Nobili
trica, ad oggi non è disponibile una definizione
tipo 2 (DM2). La sindrome metabolica, descritta
Struttura Semplice
Malattie
unanime di SM in questa fascia di età. Negli
per la prima volta da Reaven alla fine degli anni
Epato-Metaboliche
ultimi anni diversi score diagnostici sono stati
’80, rappresenta un cluster di alterazioni metaOspedale Pediatrico
boliche quali insulino-resistenza, dislipidemia, “Bambino Gesù”, Roma proposti dalle varie Società scientifiche al fine
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015
Introduzione
31
Alla luce dell’ampliamento osservato nello scenario clinico della sindrome metabolica,
appare necessario procedere ad una rivalutazione degli attuali criteri diagnostici.
Come si fa La sindrome metabolica in età pediatrica: è tempo di ripensare ai criteri diagnostici?
Vecchio scenario
della Sindrome metabolica
Comportamenti scorretti
Nuovo scenario
della Sindrome metabolica
Comportamenti scorretti
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015
32
Obesità
Background genetico
Fetal programming
Obesità viscerale
Insulino-resistenza/TDM
Insulino-resistenza/TDM
Dislipidemia
Dislipidemia
Ipertensione
Ipertensione
NAFLD
OSAS
Stato protrombotico/
proinfiammatorio
Rischio cardiovascolare
Rischio cardiovascolare
Sindrome metabolica
Sindrome metabolica
di costituire un sistema di diagnosi oggettivo e unico per
la SM in età pediatrica2. La maggior parte di questi score
prevedeva però la trasposizione dei criteri utilizzati per gli
adulti nei bambini, risultando dunque insoddisfacenti ed
imprecisi. Il limite principale dell’applicabilità di questi
score è rappresentato dal fatto che molti dei parametri
valutati (body mass index [BMI], circonferenza vita [CV],
pressione arteriosa, profilo lipidico) sono variabili continue,
dipendenti dall’età. Nella Tabella 1 sono riportate le tre
definizioni più comunemente utilizzate per la diagnosi di
sindrome metabolica in età pediatrica. Come ampiamente
riportato in letteratura, la prevalenza della SM, sebbene
indiscutibilmente in aumento, in età pediatrica varia considerevolmente sulla base del tipo di score utilizzato per la
diagnosi e del tipo di popolazione valutata, con stime che
oscillano dal 2,2 al 9,4% nella stessa popolazione a seconda
del sistema diagnostico utilizzato2. Inoltre, numerosi studi
hanno dimostrato come la sindrome metabolica sia oramai
da considerarsi una malattia sistemica, che colpisce diversi
organi ed apparati in aggiunta ai suoi ben noti bersagli,
modificando dunque l’attuale scenario di questa malattia
(Fig. 1). Infatti, altre condizioni patologiche, come la steatosi epatica, le apnee del sonno, uno stato pro-trombotico
e pro-infiammatorio, l’iperuricemia, la disvitaminosi D, la
Iperuricemia
Ipovitaminosi D
PCOS
policistosi ovarica, sono state considerate comunque manifestazioni della sindrome metabolica, rendendo la sua diagnosi ancor più difficile e ponendo importanti dubbi sulla
completezza degli attuali criteri utilizzati per la sua diagnosi. Proprio in questa ottica, scopo di questa mini-review è
quello di riconsiderare gli attuali criteri diagnostici della
sindrome metabolica, ponendo l’attenzione sulle recenti
evidenze di coinvolgimento di altri organi nella patogenesi
e nel quadro clinico stesso della sindrome metabolica.
Steatosi epatica
(Non-Alcoholic Fatty Liver Disease – nafld)
C
on “Non-alcoholic fatty liver disease”
(NAFLD) si fa riferimento ad uno spettro di patologia epatica che va dal semplice accumulo di grasso negli
epatociti (la steatosi epatica semplice, o NAFL) a vari
gradi di infiammazione e fibrosi fino alla cirrosi epatica
(Non-Alcoholic SteatoHepatitis – NASH)3. Nell’ultimo decennio molti passi avanti sono stati fatti nella
comprensione della patogenesi, delle implicazioni cliniche e del trattamento della steatosi epatica nei bambini.
Sfortunatamente, a causa della scarsità di dati circa il suo
Come si fa La sindrome metabolica in età pediatrica: è tempo di ripensare ai criteri diagnostici?
La sindrome metabolica rappresenta una patologia emergente
in età pediatrica caratterizzata da un cluster di alterazioni
metaboliche in grado di aumentare il rischio di sviluppare
patologie cardiovascolari e diabete mellito di tipo 2.
follow up a lungo termine, la prognosi della NAFLD in
età pediatrica non è ancora totalmente nota4. Per quanto concerne i meccanismi patogenetici che portano allo
sviluppo della steatosi epatica in età pediatrica, molteplici
fattori metabolici, principalmente l’insulino-resistenza,
l’obesità viscerale e la dislipidemia, interagiscono tra loro
creando un network di alterazioni metaboliche coinvolte
nello sviluppo e nella progressione del danno epatico. È
semplice notare come esista dunque una forte sovrapposizione tra i principali fattori patogenetici coinvolti nella
insorgenza della SM e quelli coinvolti nella NAFLD,
sulla base dei quali oramai la steatosi epatica è ampiamente considerata la manifestazione epatica della sindrome
metabolica. Inoltre, i dati attualmente disponibili sembrano dimostrare non soltanto una stretta relazione tra
NAFLD e SM, ma un vero e proprio ruolo chiave svolto
dal grasso epatico ectopico nella insorgenza della SM4.
Dal punto di vista clinico, molteplici studi hanno descritto
una associazione tra NAFLD e SM e di recente uno studio caso-controllo condotto su 300 bambini con eccesso
ponderale (150 sottoposti ad agobiopsia epatica vs 150
non sottoposti ad agobiopsia epatica) ha riportato che la
presenza di componenti della SM è in grado di aumentare
di 5 volte il rischio (odds ratio) di steatosi epatica5. Inoltre,
254 bambini arruolati nel Nonalcoholic Steatohepatitis
Clinical Research Network (NASH CNR) sono stati
inclusi in uno studio retrospettivo che ha confermato non
soltanto una maggiore prevalenza della SM nei pazienti
con NAFLD rispetto alla popolazione generale, ma anche
una significativa associazione del grasso viscerale e della
insulino-resistenza con la severità istologica del danno
epatico, e principalmente con la fibrosi epatica6.
Tutti questi dati rinforzano l’attuale idea che la NAFLD rappresenti una delle componenti della sindrome
metabolica e suggeriscono il possibile ruolo della NAFLD
nello sviluppo di complicanze metaboliche, anche a lungo
termine. A tal proposito recentemente alcuni studi hanno riportato una associazione tra la steatosi epatica ed
alterazioni cardiovascolari strutturali o funzionali, quali
anomalie strutturali del ventricolo sinistro ed alterato
Tabella 1. Criteri per la diagnosi di sindrome metabolica in età pediatrica
Spesso precoce
National Cholesterol Education
Program/Adult Trial Panel III°
American Heart Association
(AHA)^
Età
10 – 16 anni
> 16 anni
12–19 anni
12–19 anni
Circonferenza
addominale
≥ 90° percentile
Nei caucasici ≥ 90 cm
≥ 90° percentile per età e sesso
≥ 90° percentile per età,
sesso ed etnia
Trigliceridi
≥ 150 mg/dl (≥ 1,7 mmol/l)
≥ 150 mg/dL (1.7 mmol/L)
o terapia con farmaci
ipolipemizzanti
> 110 mg/dl (1.24 mmol/L)
≥ 110 mg/dl (1.24 mmol/L)
HDLcolesterolo
< 40 mg/dl (≤1,3 mmol/l)
< 40 mg/dL (1.03 mmol/L)
nei maschi
< 50 mg/dL (1.29 mmol/L)
nelle femmine o terapia
con farmaci ipolipemizzanti
< 40 mg/dL (1.03 mmol/L)
≤ 10° percentile per sesso
ed etnia
Glicemia a
digiuno
> 100 mg/dl (5.6 mmol/L)
> 100 mg/dl (5.6 mmol/L)
o DM2
> 110 mg/dl (6.1 mmol/L)
≥ 100 mg/dl (5.6 mmol/L)
Pressione
arteriosa (PA)
PA sistolica ≥ 130 mmHg PA
diastolica ≥ 85 mmHg
PA sistolica ≥ 130 or PA
diastolica ≥ 85 mm Hg
o trattamento per
una ipertensione
precedentemente diagnosticata
PA sistolica o diastolica > 90°
percentile (specifico
per età, sesso ed altezza)
≥ 90 percentile per età,
sesso ed altezza
Note:
HDL – lipoproteine ad alta densità
DM2 – diabete mellito tipo 2
* Per la diagnosi di SM, 3 dei 5 criteri devono essere presenti
^ Per la diagnosi di SM, devono essere presenti l’obesità viscerale e 2 dei 4 criteri
° Per la diagnosi di SM devono essere presenti almeno 3 criteri.
33
Criteri diagnostici per SM
International Diabetes
Foundation (IDF)*
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015
Parametri
Come si fa La sindrome metabolica in età pediatrica: è tempo di ripensare ai criteri diagnostici?
metabolismo energetico cardiaco, indipendentemente da
altre condizioni di rischio cardiovascolare e da altri fattori
di rischio metabolici. Fintini et al hanno recentemente
descritto la presenza di un precoce danno cardiaco, valutato ecocardiograficamente in termini di ipertrofia del
ventricolo sinistro e di dilatazione dell’atrio sinistro in
bambini affetti da NAFLD, dimostrando anche come
la severità del danno cardiaco correli con la severità istologica della malattia epatica7. Concordemente a tali
dati, Pacifico et al hanno recentemente analizzato in una
review gli studi pediatrici attualmente disponibili su tale
argomento, confermando che bambini obesi affetti da
steatosi epatica presentano più frequentemente segni di
disfunzione sisto-diastolica del ventricolo sinistro rispetto
a pazienti obesi senza steatosi epatica e che i pazienti
con patologia epatica più avanzata (NASH) hanno una
più grave disfunzione cardiaca8. Alla luce dello stretto
“interplay” clinico-patogenetico tra NAFLD e SM e del
ruolo svolto dalla steatosi epatica nell’aumento del rischio
cardiovascolare, appare chiaro come la NAFLD/NASH
debba essere considerata una componente chiave della
sindrome metabolica, imponendo un attento screening
metabolico in tutti i pazienti affetti da NAFLD e, di
converso, un approfondimento per NAFLD nei pazienti
con sindrome metabolica diagnosticata.
Apnee ostruttive del sonno (OSAS)
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015
34
L
a sindrome delle apnee ostruttive del sonno
(OSAS) è caratterizzata da episodi di ipossia cronica
intermittente con frammentazione del sonno, che, negli
adulti, vengono considerati come la manifestazione respiratoria della sindrome metabolica. Infatti, in accordo
con le indicazioni della International Diabetes Federation
(IDF), gli adulti con OSAS dovrebbero essere screenati
per patologie cardiovascolari e, di contro, una valutazione
per apnee/ipopnee del sonno dovrebbe essere effettuata
in tutti gli adulti con diabete e sindrome metabolica9. In
concomitanza con l’epidemia di obesità in età infantile,
è stato registrato un sensibile incremento della prevalenza delle OSAS nei bambini/adolescenti, tale che per
ogni aumento di 1 kg/mq di BMI al di sopra della media
prevista è descritto un aumento del rischio di OSAS del
12%10. Dati recenti dimostrano che le OSAS si associano
ad un pattern di alterazioni vascolari e metaboliche, simile
a quello secondario all’obesità, dovuto alla produzione
di radicali liberi dell’ossigeno (reactive oxygen species –
ROS), causata dall’ipossiemia cronica. Tale ipossiemia
cronica è dunque in grado di aumentare gli effetti deleteri
del tessuto adiposo sulla infiammazione sistemica e sulle
componenti metaboliche associate a patologia vascolare e
diabete, esacerbando dunque le complicanze metaboliche
obesità-relate11. Infatti è stato riportato che i bambini
affetti da OSAS presentano livelli più alti di pressione arteriosa, di proteina C reattiva, di insulinemia, così
come anche una maggiore prevalenza di ipertrofia del
ventricolo sinistro, dimostrando che le OSAS aumentano
considerevolmente il rischio di sviluppare severe complicanze croniche cardiovascolari e metaboliche. Inoltre
recentemente Nobili et al hanno dimostrato una stretta
associazione tra OSAS e presenza e severità della NASH
in un gruppo di pazienti pediatrici con steatosi epatica,
indipendentemente dal grado di insulino-resistenza e
dal grasso viscerale12. Dati emergenti in letteratura descrivono una interessante correlazione tra la patogenesi
delle OSAS e della NASH, basata sulla induzione da
parte dell’ambiente ipossico di accumulo di trigliceridi a
livello epatico con conseguente progressione del danno
verso l’infiammazione e la fibrosi. Sulla base delle recenti
evidenze circa la relazione tra OSAS e NASH è stato
raccomandato che i pazienti pediatrici affetti da steatosi
epatica siano valutati anche per possibili apnee del sonno.
Tale associazione apre inoltre un intrigante scenario sulle
possibilità di intervento terapeutico sulle alterazioni metaboliche ed epatiche mediante la correzione delle apnee
del sonno (trattamento ventilatorio notturno). Tuttavia,
sono necessari ulteriori studi in questo campo emergente
al fine di meglio definire il reale impatto della correzione
dell’ipossiemia cronica sui parametri metabolici e istologici della NAFLD e della sindrome metabolica.
Iperuricemia
S
ebbene i livelli di acido urico non siano stati
inclusi negli attuali criteri diagnostici della sindrome
metabolica, numerosi studi hanno già da tempo dimostrato una stretta associazione tra i livelli di uricemia e la
sindrome metabolica o le sue componenti. In particolare,
è stato riportato che l’iperuricemia si associa ad un aumentato rischio di patologia cardiovascolare e renale in
età adulta13. La patogenesi della associazione tra acido
urico e sindrome metabolica non è ancora completamente
nota, ma sembra che l’insulino-resistenza giochi un ruolo
principale. Infatti, l’iperinsulinismo induce un aumento del
riassorbimento di sodio ed acido urico a livello del tubulo
renale, spiegando almeno in parte tale associazione. In
Come si fa La sindrome metabolica in età pediatrica: è tempo di ripensare ai criteri diagnostici?
Ipovitaminosi d
N
ell’ultima decade numerosi studi hanno
dimostrato la presenza di una relazione tra bassi
livelli sierici di vitamina D e lo sviluppo di SM e malattie
cardiovascolari. È stato descritto il ruolo indispensabile
della vitamina D per il corretto funzionamento di molti organi e tessuti a prescindere dall’omeostasi calcica16.
Molte evidenze hanno riportato una associazione inversa
tra accumulo di adipe e bassi livelli di vitamina D, dovuti
non soltanto al sequestro di questa vitamina liposolubile
nel tessuto adiposo, ma anche all’effetto negativo delle
adipocitochine prodotte dagli adipociti (ad esempio la
leptina) sulla sintesi della forma attiva della vitamina
D16. Ed infatti, l’ipovitaminosi D è stata correlata ad
un aumentato rischio di sindrome metabolica, ipertensione arteriosa, diabete mellito, infarto del miocardio e
malattie cardiovascolari in generale. Alla luce di tali osservazioni, uno dei trattamenti emergenti dell’obesità e
della sindrome metabolica è proprio rappresentato dalla
somministrazione orale di vitamina D, volto a correggere il deficit registrato. Gli studi al momento disponibili
sembrerebbero dimostrare un effetto positivo della somministrazione di vitamina D sulle principali componenti
della sindrome metabolica, quali dislipidemia, ipertensione arteriosa ed insulino-resistenza17. Inoltre, recenti
evidenze suggeriscono che bassi livelli di vitamina D3
sono associati alla insorgenza della NAFLD ed alla sua
gravità, indipendentemente da altri fattori metabolici
presenti. Sebbene il meccanismo molecolare alla base di
questa associazione non sia ancora completamente noto,
è stato dimostrato che la forma attiva della vitamina D
(1α-25-diidrossi-vitamina D3) sia in grado di modulare
il pathway infiammatorio, di sopprimere la proliferazione
dei fibroblasti e la conseguente produzione di collagene.
In questa ottica è attualmente in corso in Italia il primo trial pediatrico basato sull’utilizzo della vitamina D
nella NASH pediatrica (Trial gov, NCT02098317) i cui
risultati definitivi sono attesi per il 2015. In conclusione,
gli elementi finora disponibili sembrano dimostrare un
effetto positivo della supplementazione di vitamina D
sulle componenti della sindrome metabolica nei bambini
ma altri studi sono necessari per identificare il dosaggio
ottimale ed il timing del trattamento.
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015
aggiunta, l’iperuricemia limita a sua volta la biodisponibilità dell’ossido nitrico, essenziale per l’azione dell’insulina.
Pertanto, l’acido urico sembra essere esso stesso coinvolto
nella patogenesi della insulino-resistenza, creando dunque
un circolo vizioso associato con l’insorgenza della diverse
componenti della SM13. Ad oggi, pochi sono i dati disponibili su questa correlazione nei pazienti pediatrici, sia per
la difficile definizione di SM, a cui si è già fatta menzione,
sia per i valori di riferimento età dipendenti dell’acido
urico. Recentemente, in un gruppo di 148 bambini ispanici
con eccesso ponderale è stata descritta una prevalenza di
iperuricemia del 53% e nel gruppo di pazienti con iperuricemia sono stati rilevati peggiori parametri metabolici,
quali più elevata circonferenza addominale, maggiori livelli
di pressione arteriosa ed insulino-resistenza (HOMAIR). In questo studio il cut-off di acido urico associato
ad un peggioramento dei parametri metabolici è stato
5,4 mg/dl14. In accordo con questi dati, studi successivi
hanno riportato altre evidenze in merito alla esistenza
di una associazione tra iperuricemia e SM. Pacifico et al
hanno dimostrato non soltanto la presenza di una associazione tra iperuricemia e SM ma anche una associazione
tra iperuricemia ed aterosclerosi carotidea15. Dati recenti
suggeriscono infatti un importante effetto pro-aterogenico
dell’acido urico dovuto all’aumento dello stress ossidativo,
della disfunzione endoteliale, dell’infiammazione legati
alla stessa iperuricemia13. Alla luce di tali dati, appare dunque evidente come l’iperuricemia dovrebbe essere considerata all’interno dello scenario della sindrome metabolica
come un fattore di rischio indipendente nel determinare
un aumento del rischio di patologia cardiovascolare anche
in età pediatrica.
35
Al momento, sono disponibili in letteratura differenti score
per la diagnosi di sindrome metabolica in età pediatrica,
nessuno tuttavia unanimemente accettato,
con conseguente discrepanza nella identificazione di tali pazienti.
Come si fa La sindrome metabolica in età pediatrica: è tempo di ripensare ai criteri diagnostici?
Conclusioni
N
ell’ultima decade, in seguito alla epidemia
di obesità pediatrica, è stato osservato un importante aumento nella prevalenza della SM in bambini ed
adolescenti. A causa della relativamente recente insorgenza della SM in età pediatrica, studi di follow up a
lungo termine non sono disponibili. Tuttavia, è ragionevole attendersi che le alterazioni metaboliche osservate in
bambini con eccesso ponderale avranno una drammatica
ripercussione sulla loro salute in età giovanile-adulta, con
conseguente peggioramento della aspettativa e della qualità di vita delle attuali generazioni pediatriche. Come
precedentemente riportato, ad oggi la sindrome metabolica non è ancora stata univocamente definita in età
pediatrica. Tuttavia, le recenti ricerche nel campo hanno
dimostrato come oramai esistano altre manifestazioni
cliniche della sindrome metabolica, non precedentemente considerate tra i suoi criteri diagnostici, ma ad essa
strettamente connesse sia in termini di patogenesi che
di prognosi. L’inclusione di tali condizioni nella diagnosi della SM appare dunque importante anche al fine di
identificare in maniera più completa i pazienti a rischio,
consentendone una più ampia valutazione. Le più recenti
linee guida, infatti, raccomandano di screenare i pazienti
affetti da sindrome metabolica anche per altre condizioni,
come la NAFLD e le OSAS. Nella nostra opinione, alla
luce degli stretti rapporti patogenetici di queste condizioni morbose tra loro e con la SM, tutte le attuali definizioni
proposte per la diagnosi sindrome metabolica risultano
non completamente soddisfacenti, in quanto non tengono
conto di componenti cruciali di tale patologia. È dunque
necessaria una accurata revisione degli attuali criteri diagnostici della SM, che includa anche queste condizioni
emergenti, di per se stesse in grado di aumentare sensibilmente il rischio cardiovascolare. La definizione di nuovi
criteri diagnostici permetterebbe inoltre di chiarire meglio, dal punto di vista epidemiologico, le reali dimensioni
del problema “sindrome metabolica” in età pediatrica,
consentendo finalmente di uniformare i criteri di valutazione utilizzati nei singoli pazienti. Inoltre, la creazione
di un sistema diagnostico più preciso permetterebbe di
rivalutare in maniera adeguata la popolazione pediatrica,
consentendo dunque di identificare quel sottogruppo di
pazienti a più elevato rischio di complicanze metaboliche
e cardiovascolari e meritevole pertanto di un trattamento
intensivo e precoce al fine di prevenire o rallentare lo
sviluppo di complicanze in epoche precoci della vita
.
Gli autori
dichiarano
di non avere
nessun conflitto
di interesse.
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015
36
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Caso clinico Titolo articolo anche lungo
[ come
s i fa
]
Osteomielite acuta in età pediatrica
L’
osteomielite è un’infezione batterica
dell’osso e/o del midollo generalmente localizzata a livello della metafisi. Il quadro clinico si
caratterizza per la presenza di almeno un dato tra febbre
(T> 37,5°C), leucocitosi (GB> 13000/ml), aumento della
VES (>20mm/h) ed emocoltura positiva, associata ad una
o più delle seguenti: presenza di segni locali di flogosi,
positività della scintigrafia ossea con 99mTc, alterazioni
indicative di osteomielite alla RX, TC o RMN1. Le osteomieliti possono essere distinte in acute, subacute o
croniche. La forma acuta, più frequente in età pediatrica,
è caratterizzata dall’insorgenza acuta di febbre e dolore
osseo che, in caso di coinvolgimento degli arti inferiori o
superiori, può determinare zoppia e/o non uso dell’arto.
L’incidenza di OA nei bambini dei Paesi sviluppati si
aggira intorno a 1:5000 casi/anno, con una frequenza doppia nei maschi rispetto alle femmiAnna Fedi
ne (M:F=2:1); questo si può in parte
Sandra Trapani
attribuire alla maggior incidenza di
Donatella Lasagni
Tommaso Bondi
traumi nel sesso maschile. In generaMassimo Resti
le le osteomieliti sono più frequenti
Dipartimento
di Pediatria – Università
nei bambini più piccoli, in rapido
di Firenze e Azienda
accrescimento osseo, con picco di
Ospedaliero-Universitaria
incidenza intorno a 3 anni. Circa la
Meyer, Firenze
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015
Definizione ed epidemiologia
37
La prognosi dell’OA è oggi molto buona: mortalità inferiore all’1% nei Paesi sviluppati
e complicanze piuttosto rare, pur con il rischio di disabilità a lungo termine.
Come si fa Osteomielite acuta in età pediatrica
Tabella 1. Microrganismi isolati da pazienti con osteomielite
e loro associazione clinica
Associazione clinica più frequente
Microrganismo
Microrganismo più frequente in Staphylococcus aureus (meticillino –
ogni tipo di osteomielite
sensibile o resistente)
Infezione associata alla presenza Stafilococchi coagulasi-negativi o
di corpi estranei
Propionibacterium spp.
Forme associate a infezioni
nosocomiali
Enterobacteriaceae, Pseudomonas
aeruginosa, Candida spp.
Associazione con morsi/punture/ Streptococchi e/o batteri anaerobi
ferite, piede diabetico o ulcere
da decubito
Drepanocitosi
Salmonella spp., S. aureus, o
Streptococcus pneumoniae
Infezione da HIV
Bartonella henselae o Bartonella
quintana
Morsi umani o animale
Pasteurella multocida o Eikenella
corrodens
Pazienti immunocompromessi
Aspergillus spp., Candida albicans, o
Mycobacteria spp.
Popolazioni ad elevata
prevalenza di tubercolosi
Mycobacterium tuberculosis
Popolazioni in cui alcuni
patogeni sono endemici
Brucella spp., Coxiella burnetii,
funghi che si trovano in specifiche
aree geografiche (coccidiodomicosi,
blastomicosi, istoplasmosi)
Modificata da Lew DP, Waldvogel FA. Osteomyelitis. Lancet 2004;364:369-379
Tabella 2. Meccanismi patogenetici dell’osteomielite acuta
in età pediatrica
Via ematogena
focolai infettivi distanti (cute, vie respiratorie
e urinarie, etc.), colonizzazione cateteri
intravascolari
Contaminazione diretta
o per continuità
traumi di entità più o meno rilevante e
microtraumi ripetuti, lesioni causate da ferite
profonde e penetranti, punture e morsi di
animali, procedure terapeutiche (es:
vaccinazioni), diagnostiche (es: prelievi di
routine) o chirurgiche e manovre invasive in
generale
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015
38
Contaminazione indiretta processo infettivo dei tessuti molli circostanti
o per contiguità
(cellulite, sinusite, mastoidite, etc.)
metà dei casi si verifica al di sotto dei 5 anni e, di queste, il
25% in bambini al di sotto di un anno2,3. L’osteomielite del
bambino più piccolo, spesso acuta, per cause anatomiche e
di vascolarizzazione dell’epifisi può complicarsi con artrite
settica, infezioni dei tessuti molli e pseudoparalisi delle
estremità coinvolte. Inoltre nei neonati e nei lattanti l’OA
può più spesso essere multifocale4.
Eziopatogenesi
A
tutte le età, l’agente eziologico più frequente è Staphylococcus aureus seguito da Streptococco
β emolitico di gruppo A (SβEGA) e Haemophilus influenzae tipo b (Hib), che riveste un ruolo maggiore nei Paesi
economicamente meno sviluppati, dove il vaccino non è
disponibile. La percentuale di emocolture e colture ossee
positive varia dal 20% al 90% e S. aureus è generalmente
responsabile di oltre l’80–90% di questi casi. L’epidemiologia dell’OA si è recentemente modificata, per l’aumentata
incidenza di forme causate da S.aureus meticillino-resistente
acquisito in comunità (CA-MRSA), che si caratterizzano
per interessamento osseo multifocale, decorso più aggressivo
e maggior frequenza di complicanze3. CA-MRSA causa
circa il 10% delle osteomieliti nella maggior parte dei Paesi,
ma sta assumendo crescente importanza negli USA, dove è
responsabile di circa il 40-50% dei casi di OA . Altri agenti
eziologici sono: Streptococcus pneumoniae (soprattutto sotto
i 2 anni di età), Pseudomonas aeruginosa (bambini immunocompromessi o forme di OA del piede, da ferite penetranti),
enterobatteri Gram-negativi, streptococchi di gruppo B e
più raramente Kingella kingae, Bartonella henselae e Brucella
melitensis nelle forme a localizzazione vertebrale, Salmonella
spp (pazienti con drepanocitosi), Candida spp e Aspergillus spp (bambini immunocompromessi e neonati), Yersinia
enterocolitica nei talassemici e Mycobacterium tubercolosis,
raro nei Paesi economicamente più sviluppati, ma ancora
frequente in quelli meno sviluppati, soprattutto dopo la
rapida diffusione dell’infezione da HIV. M. tuberculosis ha
un elevato tropismo per la colonna vertebrale (nel 50% dei
casi si localizza in tale sede) e per la sinovia, ma interessa anche segmenti ossei al di fuori delle scheletro assiale2.
Un’eziologia polimicrobica è più comune nei bambini con
OA da traumi o da infezioni dei tessuti molli contigui (Tabella 1). La patogenesi dell’OA è ampiamente conosciuta; la
diffusione dell’infezione all’osso avviene attraverso tre vie:
ematogena, più frequente nel neonato e nel bambino con normale assetto immunitario;
continuità o contaminazione diretta, più comune
nei bambini più grandi e negli adulti;
·
·
L’OA è una patologia in aumento negli ultimi anni, specie in età
pediatrica. Talora diagnosticata con ritardo, dovrebbe considerarsi
una “urgenza clinica”, dal momento che un suo tempestivo
riconoscimento e un’adeguata terapia antibiotica ne determinano
la guarigione, evitando cronicizzazione e complicanze.
Come si fa Osteomielite acuta in età pediatrica
Localizzazione e sintomatologia
L
e più frequenti localizzazioni sono femore e
tibia (⅔ dei casi), seguiti dagli arti superiori (20%)
che, insieme al calcagno costituiscono le seconde sedi per
frequenza; cranio, bacino e rachide costituiscono il restante
10%. L’osteomielite pelvica non è molto comune e si riscontra in circa il 2–11% dei casi e in bambini più grandi
(> 7 anni). La localizzazione è in genere unica, ma sono
possibili focolai multipli in caso di grave processo setticemico. La sede è in genere la metafisi. Nei bambini con
anemia falciforme, sono invece tipicamente interessate le
diafisi delle ossa lunghe, probabilmente come conseguenza
di precedenti infarti ossei associati a impilamento dei globuli rossi e vasocclusione. Può concomitare artrite dell’articolazione adiacente che può essere sterile (se la metafisi
ossea, sede primaria di infezione, è extra-articolare come
in caso di OA di tibia e femore) oppure settica (in caso
di metafisi intra-articolare, come accade se è interessata
l’anca). La OA si presenta con insorgenza acuta di dolore
osseo molto vivo alla digitopressione, zoppia e/o non uso
dell’arto interessato, calore e rossore sovrastante se il pus
ha perforato il periostio, febbre di tipo settico; non sempre
però quest’ultima è presente fin dall’inizio con tali caratteristiche. Il dolore spontaneo o evocato è presente dal 65%
al 100% dei casi. La limitazione funzionale si verifica nel
50% circa dei bambini, mentre la pseudoparalisi in percentuale variabile dal 52% all’84%. I segni locali di flogosi
possono o meno essere presenti all’esordio: la tumefazione
è riferita dal 54% al 79% dei casi; il calore e l’iperemia nel
Diagnosi
L
a diagnosi di osteomielite, principalmente
clinica, si pone in presenza di due dei seguenti aspetti: segni clinici (febbre, dolorabilità localizzata, eritema,
edema); aspirazione di materiale purulento dall’osso; emocoltura o coltura ossea positiva; evidenza di osteomielite a RX, scintigrafia o RMN. L’emocoltura dovrebbe
essere sempre richiesta in caso di dolore osseo e febbre;
se positiva permette di individuare l’agente eziologico
responsabile e confermare la diagnosi. L’esame colturale
su aspirato o biopsia ossea consente una diagnosi definitiva in caso di OA ematogena. Nei casi in cui entrambe
queste metodiche forniscono risultato negativo, un esame istologico su biopsia ossea può rilevare le alterazioni infiammatorie tipiche dell’osteomielite. Si sottolinea
inoltre come le metodiche di biologia molecolare quali
la Polymerase Chain Reaction (PCR), rendano possibile
l’identificazione del genoma batterico su sangue periferico
39
più raramente responsabile dello sviluppo di OA.
In relazione ai tre diversi meccanismi patogenetici,
numerosi sono i possibili fattori di rischio: focolai infettivi
distanti (cute, vie respiratorie e urinarie), traumi più o
meno rilevanti e microtraumi ripetuti (in circa ⅓ dei casi),
ferite profonde e penetranti, punture o morsi di animali,
particolari manipolazioni chirurgiche, procedure terapeutiche (vaccinazioni) e diagnostiche (puntura lombare,
prelievi di routine, puntura dal tallone per esami di screening, etc.), processi infettivi dei tessuti molli circostanti
(cellulite, sinusite, mastoidite, etc). Un rischio maggiore
è associato anche alla concomitanza di patologie quali
diabete mellito, emoglobinopatie come anemia falciforme,
malattie granulomatose croniche e stati di immunodeficienza congenita e acquisita (Tabella 2).
27–68% e nel 16–82% dei casi rispettivamente. Anche per
la febbre, le percentuali variano dal 40% al 93%. Questo
sottolinea come, anche in apiressia, sia possibile il sospetto
diagnostico di OA1‑4. È importante sottolineare, però, che
le manifestazioni cliniche differiscono in base all’età del
paziente e al sito di infezione. L’OA nel neonato si manifesta tipicamente 2–8 settimane dopo la nascita con esordio
subdolo: il neonato può presentarsi apparentemente in
buone condizioni generali senza segni/sintomi sistemici,
con solo tumefazione locale o ridotta mobilità dell’arto interessato (pseudoparalisi); questo è legato principalmente
allo scarso sviluppo del suo sistema immunitario, incapace
di montare un’adeguata risposta immune5. Nel lattante i
sintomi sistemici possono invece prevalere su quelli locali
ed il quadro clinico è più simile alla sepsi.
Le osteomieliti a sede vertebrale e pelvica, benché rare,
pongono particolari difficoltà diagnostiche. L’osteomielite
vertebrale, più frequente a sede lombosacrale e nei bambini
di oltre 8 anni, può infatti essere inizialmente asintomatica
anche per 3–4 mesi, per poi presentarsi acutamente con la
comparsa di febbre e dolore sordo e costante alla schiena5.
Per le osteomieliti pelviche, invece, la difficoltà risiede nella tardiva diagnosi definitiva. La sintomatologia (febbre,
zoppia e dolore localizzato ad anche, glutei, inguine) suggerisce in prima battuta un’artrite settica dell’anca, molto
più frequente dell’osteomielite pelvica. L’esame obiettivo
rivela insorgenza di dolore associato alla mobilizzazione
dell’anca, ma il range di movimento è conservato.
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015
o contaminazione indiretta da un focolaio
· contiguità
infettivo adiacente, che costituisce il meccanismo
Come si fa Osteomielite acuta in età pediatrica
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015
40
Figura 1a. RX bacino e femore destro in paziente
con quadro di osteomielite acuta da S. aureus a
carico del femore destro e piomiosite dell’arto
inferiore destro.
Figura 1b. RX arto inferiore destro in paziente con
quadro di osteomielite acuta da S. aureus a carico
del femore destro e piomiosite dell’arto inferiore
destro.
Figura 1c. Particolare RX femore distale e ginocchio destro in paziente con quadro di osteomielite acuta da S. aureus a carico del femore destro e
piomiosite dell’arto inferiore destro.
o su materiale infetto, anche in cado
di esame colturale negativo. L’identificazione dell’agente patogeno, con
una qualsiasi delle metodiche sopra
citate, è possibile complessivamente nel 5–60% dei casi.
Gli esami ematochimici, pur aspecifici, sono comunque
molto utili al momento del sospetto clinico e della diagnosi iniziale. La conta dei GB non è un indice molto
sensibile, risultando spesso normale; un loro aumento
non è quindi da considerarsi un indicatore affidabile.
L’emocromo con formula deve comunque sempre essere
eseguito, dato che la leucemia è fra le patologie da porre
in diagnosi differenziale. Nelle diverse casistiche VES e
PCR risultano aumentate in percentuali variabili6,7. La
PCR aumenta nell’arco di 24–48 ore dall’esordio e torna
a valori normali dopo una settimana di adeguata terapia;
la sua rapida cinetica è utile per monitorare la risposta al
trattamento e predire il decorso della malattia con una
sensibilità maggiore rispetto a VES e conta dei GB. La
VES invece aumenta più lentamente e ritorna ai valori
normali in circa 3-4 settimane. Un lavoro di Lorrot sul
ruolo dei marker di flogosi nelle infezioni osteoarticolari,
riporta un aumento della VES e della PCR nell’80% dei
casi o più, rispettivamente6. I risultati di Georgens si discostano poco dai suddetti, mentre quelli di Peltola et al,
mostrano percentuali maggiori: aumento della PCR nel
95% dei casi e della VES nel 94%. Quest’ultimo lavoro
ribadisce il ruolo preponderante della PCR, ma sottolinea
che l’incremento combinato di PCR e VES fornisce una
sensibilità assai elevata (pari al 98%) nella diagnosi di
infezioni osteoarticolari7. Pertanto,
in un quadro di febbre e dolore osseo, l’aumento di uno o di entrambi
questi parametri rappresenta un forte
elemento di sospetto. Di recente anche la procalcitonina
(PCT) è stata proposta come marker utile nel predire
severe infezioni, ma la sua sensibilità in caso di infezioni
osteoarticolari sembra essere bassa6. La diagnosi definitiva di OA si ottiene con gli esami strumentali, utili per
definire sede ed estensione di malattia e rilevare l’eventuale presenza di raccolte purulente o il coinvolgimento
di strutture adiacenti come spazio epidurale, fisi ed epifisi
o articolazioni. In tutti i pazienti con sintomi localizzati
per sospetta OA è raccomandata l’esecuzione di una RX
standard all’esordio, con cui è possibile escludere la presenza di fratture o malignità, condizioni che ne mimano
la sintomatologia3,8. Essa, nella maggior parte dei casi, è
normale e può restare tale per i primi 10–20 giorni. Sono
infatti necessari almeno 3 giorni dopo la colonizzazione
batterica dell’osso per osservare le prime alterazioni a carico dei tessuti molli, almeno una settimana per visualizzare
la tumefazione dei muscoli e dei tessuti sottocutanei e l’obliterazione dei piani fasciali e fino a due settimane perché
si apprezzino scollamento periostale, neoformazione ossea
e lesioni litiche (anomalie specifiche dell’OA): prima che
queste ultime si rendano visibili oltre il 50% della matrice ossea deve essere erosa (Fig. 1a, b, c). La percentuale
di RX patologiche all’esordio riportata in letteratura è
molto variabile e, solo in alcuni lavori, sovrapponibile.
La presenza di risultati così contrastanti può essere at-
Come si fa Osteomielite acuta in età pediatrica
microcircolazione ossea da parte del pus in presenza di
un ascesso. Un quadro scintigrafico “freddo”, da valutare
con attenzione, solitamente è indicativo di malattia più
avanzata o aggressiva, che richiede trattamento più intensivo. La specificità della scintigrafia oscilla fra il 70% e
il 85%1–3 e la quota relativamente elevata di falsi positivi è
legata alla difficoltà nel differenziare l’OA da una flogosi
dei tessuti molli o delle articolazioni adiacenti; la specificità è inoltre ridotta in presenza di recenti traumi, recenti
interventi chirurgici, diabete, protesi. L’introduzione di
metodiche multifase (bifasica o trifasica) ne ha migliorato
la specificità. La scintigrafia trifasica con 99mTc nella OA
mostra un aumento di uptake nelle prime due fasi (fase
angiografica e del blood pool), seguito da un ulteriore
incremento focale di uptake a livello del segmento osseo
interessato (fase osteotropa). Una scintigrafia positiva
nelle tre fasi indica la presenza di osteomielite con una
sensibilità elevata, che oscilla dal 73% al 100%8.
La scintigrafia risulta una tecnica vantaggiosa:
si positivizza precocemente (di solito nelle prime
48 ore dall’esordio);
i risultati sono disponibili rapidamente;
ha un’elevata sensibilità;
è relativamente poco costosa;
di rado richiede la sedazione del piccolo paziente;
consente di visualizzare l’intero scheletro.
Quest’ultimo aspetto è molto utile nei bambini più
grandi in cui si sospetti un’osteomielite cronica multifocale e nei neonati, che spesso hanno localizzazioni multiple
di malattia. Gli svantaggi sono, invece, la bassa sensibilità
nelle forme neonatali (<30%), la bassa sensibilità e specificità nelle forme pelviche e vertebrali e la necessità di
dosi di radiazioni relativamente elevate9.
La RMN è attualmente la migliore indagine strumentale, in termini di sensibilità e specificità, nei pazienti in
cui segni e sintomi siano ben localizzati; se, al contrario,
le manifestazioni cliniche non consentono una precisa
localizzazione, è preferibile in prima istanza l’esecuzione
della scintigrafia ossea total-body. La RM ha il vantaggio
di avere sia elevata sensibilità (82–100%) che specificità
(75–96%). Unici svantaggi sono i costi elevati e i lunghi
tempi di esecuzione che possono richiedere la sedazione.
La diagnosi si pone in presenza di due dei seguenti aspetti:
segni clinici (febbre, dolorabilità localizzata, eritema, edema);
emocoltura o coltura ossea positiva; aspirazione di materiale
purulento dall’osso; evidenza di osteomielite all’imaging diagnostico.
41
·
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AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015
tribuita alla sua scarsa sensibilità, rispetto alle altre tecniche diagnostiche. L’ecografia, per quanto non invasiva,
è una tecnica operatore-dipendente; in mani esperte le
modificazioni in corso di OA si rendono evidenti non
prima di 48 ore dall’inizio dell’infezione, tempo comunque inferiore a quello della RX. È particolarmente utile
nel mostrare il grado di interessamento di tessuti molli
e muscolari, la presenza di raccolte fluide sottoperiostali
e l’eventuale concomitanza di artrite settica. Nei bambini con drepanocitosi l’ecografia, in grado di distinguere
la flogosi da un infarto osseo, dovrebbe essere eseguita
come primo esame strumentale. Alterazioni ecografiche
precoci e indicative di OA comprendono la tumefazione
dei tessuti molli juxtacorticali associata a sollevamento o
ispessimento del periostio; un’aumentata reazione periostale con successiva formazione di raccolte sottoperiostali
(nei ⅔ dei casi) e, più raramente, di un ascesso periostale;
infine si rendono evidenti brecce ed erosioni corticali9.
Non esiste opinione concorde sulla reale utilità di questa
metodica nell’iter diagnostico dell’OA; numerosi lavori
mostrano la sua scarsa utilità in questo campo, accanto
ad altri che ne documentano una sensibilità e specificità
elevate. Scintigrafia e RMN risultano essere le metodiche
più accurate all’esordio di malattia. Per la scintigrafia,
la maggior parte dei Centri utilizza fosfati o fosfonati,
come il metilene difosfonato, marcati con tecnezio 99-m
(99mTc-MDP); questi composti formano legami covalenti
con i cristalli di idrossiapatite, mentre fluiscono all’interno dell’osso. L’uptake è aumentato in caso di aumentato
flusso sanguigno, infiammazione e attività osteoblastica
alterata. A causa dell’aumentata vascolarizzazione della
regione metafisaria, nei neonati e nei bambini più piccoli, sono necessarie immagini di alta qualità e risoluzione per differenziare l’aumentato uptake fisiologico da
quello patologico. La sensibilità di questa tecnica nella
diagnosi di OA oscilla fra il 60% e il 95%3,8. Oltre il 90%
delle scintigrafie ossee positive mostra immagini “calde”
da incrementato uptake del radiofarmaco causato da un
aumento dell’attività osteblastica e dall’iperemia dell’osso
e dei tessuti molli. Le aree “fredde” (da ridotto uptake),
meno comunemente indicative di OA, sono invece dovute
all’ischemia focale, provocata dalla compressione della
Come si fa Osteomielite acuta in età pediatrica
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015
42
A tutte le età, l’agente eziologico più frequente è lo Staphylococcus
aureus. Numerosi altri patogeni devono essere considerati però
qualora dall’anamnesi emergano fattori o patologie predisponenti
allo sviluppo di OA.
La ipointensità del midollo osseo nelle immagini T1pesate (legata a infezione e infiammazione attiva) rappresenta l’alterazione più suggestiva di OAE, con sensibilità
prossima al 100%8. Il reale vantaggio della RMN consiste
nella sua capacità di fornire informazioni anatomiche
molto dettagliate, delineando il coinvolgimento dei tessuti
molli (raccolte fluide, ascessi, tenosinoviti), muscolari e
delle strutture articolari1. È inoltre molto utile in contesti
particolari: nei neonati e nei bambini piccoli permette di
definire con precisione il coinvolgimento cartilagineo (incluse le regioni di accrescimento osseo); nelle osteomieliti
vertebrali e pelviche, individua precocemente la formazione di un eventuale ascesso; nei casi che necessitano di
chirurgia guida gli interventi stessi; permette la diagnosi
nei casi di forte sospetto, con scintigrafia ossea negativa8.
La TC fornisce immagini dell’osso e dei tessuti molli
circostanti ad elevata risoluzione spaziale e di contrasto;
può fornire una dettagliata rappresentazione della zona
corticale e della sua distruzione, della reazione periostale
e delle alterazioni dei tessuti molli. Ha però un ruolo limitato nella diagnosi di OA nel neonato e nel bambino
in generale; è utilizzata primariamente con lo scopo di
delineare con precisione l’estensione del processo flogistico,
soprattutto in zone anatomicamente complesse quali l’articolazione sacro-iliaca e la colonna vertebrale. La sensibilità
e la specificità della TC nella diagnosi di OA non sono note
con precisione, ma risultano certamente inferiori a quelle
della RM. Il suo utilizzo dovrebbe quindi essere limitato a
particolari circostanze e non dovrebbe far parte dell’usuale
iter diagnostico8.
Approccio terapeutico
L
a terapia dell’OA si basa principalmente
sull’utilizzo di antibiotici per via endovenosa, da
somministrare il più precocemente possibile, in quanto
la prognosi dipende essenzialmente dalla rapidità con
cui viene instaurata la terapia. La scelta della terapia
antibatterica è inizialmente empirica, basata sull’età del
paziente e sul più probabile patogeno in causa, tenendo
conto sia del potere battericida del farmaco, sia della sua
capacità di penetrazione nell’osso. Attualmente si ricorre
con sempre maggiore frequenza all’associazione di due
antibiotici ad attività sinergica. L’utilizzo di approcci
terapeutici peculiari e di farmaci antibatterici per coprire
microrganismi Gram-negativi o inusuali dovrebbe essere
riservato a particolari categorie di pazienti come neonati,
immunocompromessi, bambini con drepanocitosi, con
ferite penetranti del piede e fratture scomposte, soggetti
provenienti da zone ad elevata prevalenza di CA-MRSA
o a copertura vaccinale bassa o nulla per Hib. Nel trattamento empirico iniziale, rimanendo lo S. aureus l’agente
eziologico più frequente, si raccomanda l’impiego di una
penicillina anti-stafilococcica semisintetica, penicillinasi-resistente (es: oxacillina). La clindamicina costituisce
un’alternativa per i pazienti allergici alle beta-lattamine;
oltre alla buona attività anti-stafilococcica, la clindamicina ha un’ampia attività anche contro gli anaerobi e può
essere utile in caso di infezioni da ferite penetranti o da
fratture scomposte. L’utilizzo delle cefalosporine di terza
generazione da sole non è considerato sufficiente, data
la loro scarsa copertura per S. aureus, ma trova un’applicazione in associazione alla penicillina. Nelle OA
sostenute da CA-MRSA, la scelta terapeutica iniziale
è controversa e si basa sui pattern locali di suscettibilità;
le opzioni terapeutiche più accreditate sono: teicoplanina, clindamicina come singola terapia; l’aggiunta di
gentamicina a una penicillina β-lattamasi-resistente;
vancomicina (non da tutti raccomandata per il rischio
di emergenza di organismi resistenti); linezolid10.
Condizioni particolari impongono modificazioni all’uso empirico degli antibiotici. Nei pazienti con drepanocitosi, i batteri enterici Gram-negativi (Salmonella) sono
comuni patogeni al pari di S.aureus; le cefalosporine ad
ampio spettro quali il cefotaxime e il ceftriaxone devono
essere aggiunte agli anti-stafilococcici. Per i pazienti immunocompromessi è consigliabile instaurare sempre una
terapia combinata: vancomicina e ceftazidime o piperacillina-clavulanato e un aminoglicoside sono le associazioni
più spesso riportate in letteratura. In seguito all’identificazione dell’agente eziologico, la terapia antibatterica
può essere modificata sulla base dell’antibiogramma. Se il
patogeno non è identificato ma le condizioni del paziente
Come si fa Osteomielite acuta in età pediatrica
la scelta dei pazienti da candidare alla terapia sequenziale
deve essere quindi fatta con attenzione13,14.
Il trattamento chirurgico dell’OA non è ancora stato
oggetto di studi prospettici randomizzati, pertanto non
è attualmente codificato un approccio standardizzato.
Quando si ottiene un aspirato sottoperiostale o metafisario francamente purulento, è generalmente indicata
una procedura di drenaggio chirurgico. Un debridement
chirurgico può essere indicato anche in caso di ferite penetranti, presenza di osso necrotico, o in caso di fallimento
della terapia antibiotica.
Conclusioni
OA risulta essere una patologia di grande
interesse e in aumento negli ultimi anni, specie in
età pediatrica. Tale condizione è talora diagnosticata con
ritardo; è invece da considerarsi una vera e propria “urgenza
clinica”, dal momento che un suo tempestivo riconoscimento e quindi un’adeguata terapia antibiotica ne determinano la guarigione, evitando sia la cronicizzazione che le
complicanze (deformità scheletriche, arresto della crescita e
lesione delle cartilagini articolari). La diagnosi delle patologie muscolo-scheletriche è essenzialmente clinica, basata
su anamnesi e su un’attenta valutazione della sintomatologia generale e dell’obiettività locale. Le manifestazioni
cliniche all’esordio di un quadro di OA, riportate nelle
diverse casistiche in letteratura, sono pressoché sovrapponibili sottolineando come la presenza di dolore, limitazione
funzionale/zoppia e segni locali di flogosi costituiscano un
importante elemento di sospetto. La febbre, pur essendo un importante segno clinico riscontrato in molti casi,
può tuttavia non essere presente. Gli esami di laboratorio
non sono specifici: gli indici di flogosi hanno una buona
sensibilità, ma una bassa specificità e possono, in alcuni
casi, risultare normali. Perciò solo la combinazione di segni
clinici (febbre, dolore, limitazione funzionale) e di VES e
PCR aumentate rendono fortemente sospetta una forma
settica. Dalla nostra analisi della letteratura emerge che,
pur rimanendo la RX standard, l’esame di prima istanza
con cui escludere rapidamente altre condizioni cliniche che
possono mimare la sintomatologia della OA è la RM, in
grado di fornire nella quasi totalità dei pazienti la conferma
precoce del sospetto diagnostico. Anche la scintigrafia si è
rivelata un’indagine sensibile che fornisce indicazioni utili,
specie in situazioni particolari. In conclusione, pur essendo
gli esami di laboratorio e strumentali un utile supporto per
la diagnosi e il monitoraggio del processo infettivo, il gold
43
L’
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015
migliorano, si prosegue la terapia antibiotica intrapresa; al
contrario, in assenza di riduzione della PCR o di miglioramento clinico entro 48–72 ore si impone una revisione
della scelta terapeutica e deve essere valutata la possibilità di una aspirazione, biopsia o intervento chirurgico,
così come di una patologia non infettiva. Pertanto, nei
primi giorni di terapia parenterale, la valutazione delle
condizioni cliniche resta lo strumento più importante per
stimare la risposta alla terapia, associata alla valutazione
dei parametri di laboratorio – conta dei globuli bianchi,
VES, PCR6,7. Tradizionalmente, la terapia parenterale viene
eseguita per un periodo di 4–6 settimane. Attualmente
in letteratura non c’è unanime consenso a proposito della via di somministrazione e della durata adeguata della
terapia antibiotica per l’OA nei bambini, passando dai 3
giorni di Cole11 ai 21–50 di Dich e Nelson12. Nei bambini
sono stati da tempo suggeriti trattamenti più brevi e con
una terapia sequenziale parenterale-orale. Alcuni studi
osservazionali datati mostrano un’associazione fra breve
durata della terapia antibiotica (inferiore a tre settimane)
e peggiore outcome o ricadute più frequenti12. Al contrario, altri studi dimostrano come si ottenga una completa
guarigione con assenza di fallimenti terapeutici, dopo una
terapia endovenosa di breve durata seguita da un ciclo di
terapia antibiotica orale per 3–4 settimane13 e come non si
riscontrino differenze nel tasso complessivo di guarigioni
dopo 6 mesi di follow-up fra gruppi di pazienti trattati
con terapia antibiotica parenterale di breve e lunga durata
prima della transizione alla terapia orale. Sebbene si sia
cercato di dimostrare, con risultati incoraggianti, l’efficacia e
la sicurezza di una terapia endovenosa di breve durata (3–7
giorni), è importante sottolineare che non sono stati mai
condotti trial randomizzati controllati né studi comparativi
e che i dati a nostra disposizione derivano solo da studi
osservazionali o retrospettivi. Pertanto un trattamento della
durata di 4–6 settimane è considerato ancora lo standard
terapeutico14. La maggior parte degli autori concorda nel
sostenere che la durata del trattamento deve essere individualizzata e che la decisione di iniziare la terapia orale
dovrebbe essere presa sulla base delle condizioni del singolo
paziente, dopo attenta valutazione del miglioramento di
segni clinici e di laboratorio. I pazienti con presentazione
atipica di malattia, immunocompromessi o con patologie sottostanti, con infezioni fungine o micobatteriche,
con indizi di cronicità, complicanze o risposta ritardata
alla terapia, sono sottoposti a un trattamento parenterale
e orale di maggiore durata e ad uno stretto follow-up, per
evitare l’insorgere di complicanze. Viste le conseguenze che
possono derivare da un eventuale fallimento terapeutico,
Come si fa Osteomielite acuta in età pediatrica
standard per la diagnosi di forme settiche osteo-articolari
si fonda sul sospetto clinico del pediatra di fronte ad un
bambino con dolore osseo.
Caso Clinico
F.
6 anni, si reca dal curante per febbre e dolore
alla gamba sinistra da 3 giorni. Negati traumi; non
segni locali di flogosi. Viene prescritta terapia antibiotica,
antiinfiammatoria e steroidea.
Successivamente scompare la febbre ma aumenta il
dolore, anche notturno e compaiono iperemia cutanea
e tumefazione sotto il ginocchio sinistro per cui viene
condotta al PS dove esegue:
esami ematici: VES 75 mm/h; PCR 4,48 mg/dl;
RX gamba: rarefazione alla metafisi prossimale
della tibia sinistra;
ecografia ginocchio: falda fluida e imbibizione dei
tessuti molli.
La paziente viene ricoverata. All’ingresso è febbrile; l’esame articolare mostra area calda, arrossata, tumefatta, dolente alla palpazione a livello del 3° prossimale tibia sinistra.
Nel sospetto di osteomielite si inizia terapia con ceftriaxone
e oxacillina. L’emocoltura è positiva per Staphylococcus aureus. Nei primi giorni l’area di flogosi si estende, la febbre
persiste e la PCR incrementa (11 mg/dL). Per tale motivo si sostituisce oxacillina con vancocina. La RM della
gamba mostra estesa disomogenea alterazione di segnale
al terzo prossimale tibia sinistra con aree più ipointense
nelle immagini T1-pesate con più sfumata iperintensità
estesa alla fisi; reazione periostale con interposizione di
materiale purulento che si estende anteriormente ai tessuti
AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015
44
·
·
·
Bibliografia
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neonates and older children. Eur J Radiol
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molli con distruzione della corticale; alterazione di segnale
delle strutture muscolari e cutaneo-sottocutaneo adiacenti
(reperti compatibili con osteomielite acuta con reazione periostale e raccolta ascessualizzata anteriormente in sede extraossea). Viene effettuato intervento di toilette chirurgica.
La ricerca di genoma batterico (mediante PCR) e l’esame
colturale su materiale prelevato sono positivi per S. aureus.
Data la positività della ricerca di tossina Leucocidina Panton Valentine viene aggiunta clindamicina, con successivo
sfebbramento, progressivo miglioramento dei segni locali di
flogosi, riduzione del dolore e ripresa dei movimenti della
gamba. Per comparsa di rash durante infusione di vancocina, l’allergologo consiglia infusione lenta del farmaco e
somministrazione di antistaminico. Dopo una settimana,
per la ricomparsa di rash pruriginoso, si reintroduce oxacillina in associazione a rifampicina, in accordo con l’allergologo. Viene inoltre intrapreso programma fisioterapico
riabilitativo con ripresa della deambulazione con canadesi
con sfioro a terra. Dopo 3 settimane F. sta bene: non dolore
né segni di flogosi a livello della gamba, indici di flogosi
negativi; la RX mostra ancora disomogenea composizione
ossea metadiafisaria prossimale della tibia e apposizione
periostea. La bambina viene dimessa con rifampicina per
15 giorni, deambulazione con canadesi e programma di
follow-up pediatrico, ortopedico e fisioterapico per 6 mesi.
Al controllo dopo 3 mesi F. non ha più presentato dolore,
ha ripreso a deambulare autonomamente, gli esami ematici
sono negativi e la RM evidenzia significativa evoluzione
riparativa del focolaio osteomielitico; a 6 mesi la RX è
pressoché normalizzata
6. Lorrot M, Fitoussi F, Faye A et al.
Marqueurs de l’inflammation et infection
ostéoarticulaire [Laboratory studies in pediatric
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Gli autori dichiarano di non avere
nessun conflitto di interesse.
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osteomyelitis of childhood: prospective,
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Pediatr Infect Dis J 2010;29(12):1123-8.
14. Weichert S, Shalarand M, Clarke NMP
et al. Acute haematogenous osteomyelitis
in children: is there any evidence for how
long we should treat? Curr Opin Infect Dis
2008;21(3):258-62.
[quiz]
Test
di autovalutazione
1. Che si intende per
sequenziamento dell’esoma
(WES, “Whole Exome
Sequencing”)?
A.È una tecnica che consente il
sequenziamento dell’intero genoma
umano.
B. Il sequenziamento dell’esoma (WES)
studia le porzioni codificanti del
genoma, che rappresentano l’1%
del genoma umano.
C. È una tecnica valida solo per i
Disturbi dello Spettro Autistico.
D. È attualmente utilizzata per
individuare mutazioni genetiche
dominanti.
2. Il Disturbo Specifico di
Apprendimento è caratterizzato
da:
A.difficoltà isolate e circoscritte nella
lettura (Dislessia) e/o nella scrittura
(Disortografia) e/o nel calcolo
(Discalculia);
B. problemi psicologici, pigrizia o poca
motivazione;
C. prevalenza maggiore nel sesso
femminile;
D.remissione spontanea alla pubertà
per cui non è necessario alcun
intervento specifico.
3. Quale di queste affermazioni
non è corretta:
A.non ci sono evidenze che la
ritardata introduzione di alimenti
solidi oltre il 6°-8° mese di vita possa
prevenire l’allergia;
B. non ci sono evidenze sufficienti per
promuovere una esposizione precoce
ai più comuni alimenti allergizzanti;
C. se possibile il bambino deve essere
allattato al seno durante il periodo
dell’introduzione degli alimenti
solidi;
D.l’introduzione tardiva del glutine
riduce il rischio di malattia celiaca.
4. Tra i 6-12 mesi, l’apporto
raccomandato di lipidi rispetto
alle calorie totali è:
A. il 50%;
B. il 40%;
C. < 25%;
D.<10%.
5. Quale di queste affermazioni
non è corretta:
A.tra i 6–12 mesi l’assunzione
consigliata di proteine è di 1,1 g/Kg/
die;
B. l’apporto proteico è stato
aumentato con gli anni per ridurre
l’apporto di carboidrati;
C. la quota proteica deve essere pari al
10% delle calorie totali;
D.400 ml di latte forniscono circa il
50-60% dell’apporto proteico
quotidiano.
6. La Non-alcoholic fatty liver
disease (NAFLD) è caratterizzata
da una serie di condizioni,
eccetto:
A.accumulo di grasso negli epatociti;
B. assenza di infiammazione e fibrosi
C. Manifestazione epatica della
Sindrome Metabolica
D.L’insulino-resistenza, l’obesità
viscerale e la dislipidemia,
contribuiscono allo sviluppo
e alla progressione della NAFLD.
D.“Non-alcoholic fatty liver disease”
che attraverso meccanismi
infiammatori contribuisce al deficit
di vitamina D.
8. Le apnee ostruttive del sonno
(OSAS):
A.sono caratterizzate da episodi di
ipossia cronica intermittente con
frammentazione del sonno;
B. negli adulti, vengono considerate
come la manifestazione respiratoria
della sindrome metabolica;
C. si associano ad un pattern di
alterazioni vascolari e metaboliche
simile a quello secondario
all’obesità, dovuto alla produzione
di radicali liberi dell’ossigeno per
l’ipossiemia cronica;
D.non determinano alcuna alterazione
metabolica nei bambini/adolescenti.
9. L’Osteomielite acuta (OA)
in età pediatrica:
A.è un’infezione batterica dell’osso
e/o del midollo generalmente
localizzata a livello della metafisi;
B. nella forma acuta è caratterizzata
dall’insorgenza di febbre e dolore
osseo e segni locali di flogosi che
possono determinare zoppia e/o
non uso dell’arto;
C. è più frequente nei bambini più
grandi;
D.nel bambino più piccolo, per cause
anatomiche e di vascolarizzazione
dell’epifisi, può complicarsi con
artrite settica e infezioni dei tessuti
molli.
10. L’esame strumentale più
utile per la diagnosi di OA è:
A.ecografia;
B. RX;
C. RMN;
D.TC.
7. La vitamina D presenta livelli
bassi nei soggetti obesi per
le seguenti cause, tranne una.
Indicare quale tra:
A.sequestro della vitamina D
liposolubile nel tessuto adiposo;
B. riduzione della sintesi della forma
attiva della vitamina D ad opera
degli adipociti;
C. alterato assorbimento della
vitamina D;
Le risposte esatte
saranno pubblicate
sul prossimo numero
della rivista.
Quiz Test di autovalutazione
Le risposte
del numero
precedente
1. L’esecuzione di tecniche non
farmacologiche durante l’esecuzione di una procedura diagnostica/terapeutica, permette di: ridurre ansia, stress, percezione del
dolore.
Risposta corretta: B
La letteratura scientifica indica che la
preparazione del bambino deve comprendere informazioni sulla tempistica
e il contenuto della procedura. Potrebbe
essere utile una comunicazione verbale
associata ad ausili visivi tipo cartoon,
vignette o fotografie.
2. La soluzione di saccarosio/glu-
cosio viene somministrata: 2 minuti prima, durante e dopo la procedura.
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Risposta corretta: B
La soluzione di saccarosio/ glucosio viene
raccomandata sia nel neonato pretermine con succhiotto max 12% (0,2-0,3 ml)
che nel neonato a termine al 24% (12ml) due minuti prima della procedura,
durante e dopo, sulla lingua. È raccomandata per la puntura al tallone, le
vaccinazioni, la puntura arteriosa, la
puntura lombare.
3. I parametri per valutare il dolore fisico in un bambino con patologia non guaribile sono tutti i
seguenti tranne uno. Indicare quale: meccanismi di percezione.
Risposta corretta: A
Il dolore fisico in un bambino affetto da
patologie inguaribili, è definito “dolore
totale”. Un sistema che comprende i parametri necessari per valutare il dolore
fisico è rappresentato dal PQRST (acronimo di Provocazione, Qualità, iRradiazione, Severità, Tempo).
4. Quale dei seguenti è uno svan-
taggio nell’uso del paracetamolo?
L’insignificante effetto antinfiammatorio.
Risposta corretta: B
In ambito pediatrico, la prescrizione di
paracetamolo è soprattutto secondaria
agli effetti antipiretici, mentre scarse
sono le indicazioni in ambito antalgico.
L’indicazione è rivolta soprattutto al dolore lieve-moderato di diversa origine.
5. Quali sono le differenze di
misurazione della pressione nel bambino rispetto all’adulto? L’altezza
del bracciale dello sfigmomanometro deve essere pari al 40% della circonferenza del braccio nel suo
punto medio.
Risposta corretta: B
La modalità di misurazione della pressione nel bambino è sovrapponibile a
quella dell’adulto, con due specifici aspetti. L’altezza del bracciale dello sfigmomanometro deve essere pari al 40%
della circonferenza del braccio nel suo
punto medio. Bracciali piccoli sovrastimano, quelli grandi sottostimano. L’altro
aspetto è che la pressione diastolica è
definita dalla scomparsa del battito. Le
metodiche oscillometriche automatiche,
con pochissime eccezioni, non sono ancora state validate per l’età pediatrica.
6. Si definisce iperteso un bambino quando presenta: in almeno tre
rilevazioni in occasioni diverse,
una media di valori sistolici e/o
diastolici maggiori o uguali al 95°
percentile per sesso, età e percentile di statura.
Risposta corretta: C
Si definisce iperteso un bambino che, ad
almeno tre rilevazioni in occasioni diverse, ha una media di valori sistolici e/o
diastolici maggiori o uguali al 95° percentile per sesso, età e percentile di statura. Si parla di pressione normale alta
se i valori sono superiori o uguali al 90°
percentile ma inferiori al 95°. La Società
Europea dell’Ipertensione Arteriosa propone di utilizzare i valori di riferimento
degli USA, perché l’ampio campione americano permette di considerare contemporaneamente età, sesso e statura.
7. Nell’approccio psicoterapico ad
orientamento cognitivo comportamentale su cosa è prioritario
porre attenzione? Gli antecedenti
del comportamento problema.
Risposta corretta: A
Lavorare inizialmente sugli antecedenti
del comportamento problema significa
identificare sia le contingenze ambientale positive, sia quelle negative che incrementano o decrementano la frequenza di tali comportamenti e successivamente modificarli nel tentativo di far
diminuire i comportamenti “problema”
e far aumentare quelli di tipo adattivo.
8. Quale sintomo target ha la psicofarmacoterapia con antipsicotici
atipici nei Disturbi Dirompenti?
Aggressività.
Risposta corretta: C
Gli antipsicotici atipici, in particolare
quelli di nuova generazione, si sono dimostrati efficaci nel trattamento dei
sintomi impulsivi e aggressivi in età evolutiva. Tale efficacia, gravata da un minore rischio di effetti collaterali extrapiramidali, deriva dal profilo recettoriale
di tale classe di farmaciI neurolettici di
nuova generazione sono antagonisti
serotonino-dopaminergici con proprietà
antagonistiche dei recettori A2 della serotonina e D2 della dopamina. Il loro
differente controllo serotoninergico del
rilascio della dopamina è alla base della
minore incidenza di effetti collaterali di
tipo
9. Nella dermatite atopica (DA),
quale indagine rappresenta il gold
standard per la rilevazione della
sensibilizzazione agli alimenti?
Test di provocazione orale per alimenti.
Risposta corretta: D
Il miglioramento di sintomi cutanei dopo una dieta di eliminazione è insufficiente per dimostrare il ruolo di un determinato alimento nelle riacutizzazioni
della DA. Il challenge alimentare rappresenta l’unica metodica di riferimento per
la diagnosi. Il test di provocazione orale
non è necessario nel caso il bambino abbia manifestato una pregressa reazione
anafilattica.
10. Quale delle seguenti affermazioni non è corretta? La positività degli SPT è un criterio indispensabile per la diagnosi di DA.
Risposta corretta: A
Nonostante la positività degli SPT sia annoverata tra i criteri minori identificati di
Hanifin e Rajka per la diagnosi di DA, non
c’è alcuna evidenza che la positività degli
SPT sia utile per la diagnosi.
VNR
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D
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di riproduzione delle cellule. L’effetto benefico si ottiene con l’assunzione giornaliera di 250 mg di DHA.
Modalità d’uso
Si consiglia l’assunzione del contenuto di 2 capsule spremibili al giorno preferibilmente durante i
pasti.
L’utilizzo delle capsule spremibili è particolarmente adatto ai bambini.
Il contenuto può essere aggiunto ad alimenti anche tiepidi semisolidi come: succhi di frutta,
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Tagliare la punta della capsula e spremere
il contenuto in un cucchiaino
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