Trimestrale | Poste Italiane SpA – Sped. Abb. Post. DL 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, DCB Roma – Aut. GIPA/C/RM/26/2013 del 28/06/2013 – ISSN 2385-0736 | Un fascicolo 25 euro 16.1 WES e disturbi dello spettro autistico / Disturbi Specifici Apprendimento e pediatra di famiglia / Alimentazione Rivista ufficiale di Formazione continua della Società Italiana di Pediatria | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 complementare lattante, indicazioni SIGENP/SIAIP Emilia-Romagna / Sindrome metabolica: ripensare i criteri diagnostici? / Osteomielite acuta in età pediatrica Rivista ufficiale di Formazione continua della Società Italiana di Pediatria Notizie amministrative Abbonamento L’abbonamento decorre dal gennaio al dicembre. 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In copertina “Enfant avec echarpe rouge” Édouard Vuillard, 1891, olio su cartone National gallery of Art, Washington DC Rivista ufficiale di Formazione continua della Società Italiana di Pediatria Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 All’interno Clarissa, 7 anni (pag. 6) ‘Mamma in mongolfiera (a san Valentino)’ collage e pennarelli su carta 24x28 cm (pag. 10) ‘Papà’ (part.) pastelli su carta, 21x30; (pag. 31) ‘La mucca Milonga’ (part.) pastelli su carta, 19x10 cm (pag. 37) ‘I colori della pelle’, pastelli su carta, 18x10 cm [ Editoriale ] [ Alimentazione & Nutrizione Indicazioni congiunte SIGENP/ SIAIP Emilia-Romagna sull’alimentazione complementare del lattante sano, nato a termine Luciana Indinnimeo Tra i più importanti temi sull’alimentazione, alcuni dovranno essere seguiti con molta attenzione da noi pediatri: gli alimenti geneticamente modificati (OGM), la nutrigenomica e i functional food > 5 [ Tutto su ] Whole Exome Sequencing (WES) nei disturbi dello spettro autistico Caterina D’Ardia, Marina Digilio, Gabriel Levi L’identificazione delle vie patogenetiche alle quali appartengono i geni implicati potrà avere implicazioni diagnostiche e terapeutiche > 7 [ come si fa / 1 ] “Dottore, mio figlio non impara a leggere”. I Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) e il pediatra di famiglia Roberta Maggio, Francesca Cucinotta, Davide Vecchio, Giovanni Moceri, Massimo Ciuffo, Marco Lamberti, Eva Germanò, Antonella Gagliano, Giovanni Corsello, Dante Ferrara Gli strumenti di identificazione dei soggetti con DSA, i principali fattori di rischio e i segni critici, gli strumenti utili per una precoce identificazione > 10 evidenze ] Patrizia Alvisi, Sandra Brusa, Stefano Alboresi, Sergio Amarri, Paolo Bottau, Giovanni Cavagni, Barbara Corradini, Linda Landi, Leonardo Loroni, Miris Marani, Maria Irene Osti, Carlotta Povesi Dascola, Luca Valeriani, Carlo Agostoni Alcuni suggerimenti sulle modalità di divezzamento, cercando di “demedicalizzare” questo passaggio naturale della vita del bambino > 18 [ come si fa / 2 ] La sindrome metabolica in età pediatrica: è tempo di ripensare i criteri diagnostici? Claudia Della Corte, Chiara Castellano, Federica Prono, Antonella Mosca, Valerio Nobili Alla luce dell’ampliamento osservato nello scenario clinico della sindrome metabolica, appare necessario procedere ad una rivalutazione degli attuali criteri diagnostici > 31 [ come si fa / 3 ] Osteomielite acuta in età pediatrica Anna Fedi, Sandra Trapani, Donatella Lasagni, Tommaso Bondi, Massimo Resti La prognosi dell’OA è oggi molto buona: mortalità inferiore all’1% nei Paesi sviluppati e complicanze piuttosto rare, pur con il rischio di disabilità a lungo termine > 37 [ Quiz ] Test di autovalutazione > 45 Édouard Vuillard nacque nel 1868 a Saône-et-Loire, figlio di un ufficiale coloniale in pensione, ma si trasferì presto con la famiglia a Parigi, dove crebbe in condizioni economiche modeste. Nel 1885 lasciò il liceo per frequentare con il suo più caro amico Ker-Xavier Roussel lo studio del pittore Diogène Maillart, dove apprese i primi rudimenti della pittura. Dopo aver deciso di intraprendere la carriera artistica e non quella militare che suo padre si attendeva da lui, nel giugno del 1887 – al terzo tentativo – fu ammesso all’École des Beaux-Arts. Nel 1889 Maurice Denis lo convinse ad unirsi ad un piccolo gruppo dissidente dell’Académie Julian, che realizzava delle opere improntate al simbolismo e alla spiritualità, i “Nabis”: con lui i pittori Félix Vallotton, Pierre Bonnard, Paul Sérusier, Henri-Gabriel Ibels, Paul Ranson, Aristide Maillol, Jan Verkade, il poeta Cazalis e il musicista Pierre Hermant. La prima mostra di sue opere al Salon des Indépendants arrivò nel 1901. Nel corso della sua carriera, Vuillard dipinse centinaia di scene di vita parigina. Amava ripetere: “Io non dipingo ritratti. Dipingo persone negli ambienti che le circondano” e infatti la sua abilità sta nel trasformare banali scene quotidiane in tableaux di grande intensità emotiva. Nel 1940 Vuillard fu costretto a lasciare Parigi per l’invasione nazista, ma durante la fuga morì presso La Baule, in Bretagna, mentre attendeva un imbarco. È sepolto nel Cimitero dei Batignolles, a Parigi. Rivista ufficiale di Formazione continua della Società Italiana di Pediatria Direttore Scientifico Società Italiana di Pediatria Luciana Indinnimeo Professore Aggregato di Pediatria Dipartimento di Pediatria e NPI Università di Roma “Sapienza” via Libero Temolo, 4 - 20126 Milano tel. 02.45498282, fax 06.45498199 cell. 340.4244544 e-mail: [email protected] e-mail: [email protected] Presidente Comitato Editoriale Giovanni Corsello Sandra Brusa Maria Elisabetta Di Cosimo Dante Ferrara Pietro Ferrara Luciana Indinnimeo Rocco Russo Annamaria Staiano Pier Angelo Tovo Renato Vitiello Ufficio Editoriale David Frati Il Pensiero Scientifico Editore via S. Giovanni Valdarno, 8 - 00138 Roma e-mail: [email protected] Direttore Responsabile Luca De Fiore Vice Presidenti Luigi Greco Alberto Villani Tesoriere Rino Agostiniani Consiglieri Fabio Cardinale Antonio Correra Liviana Da Dalt Domenico Minasi Andrea Pession Consiglieri junior Massimo Barbagallo Elvira Verduci Delegato Sezioni Regionali SIP ISSN 2385-0736 Valerio Flacco Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 311 Delegato Consulta Nazionale del 5 maggio 2000 Costantino Romagnoli Delegato Conferenza Gruppi di Studio Progetto grafico e impaginazione Chiara Caproni immagini&immagine - Roma Stampa Arti Grafiche Tris via delle Case Rosse, 23 - 00131 Roma Finito di stampare nel mese di febbraio 2015 Gian Paolo Salvioli [ l’ e d i t o r i a l e ] per quanto riguarda l’alimentazione potenzialmente siamo influenzabili almeno 200 volte al giorno. Non a caso la pubblicità degli alimenti è così presente nei media e quello alimentare è il settore commerciale che investe di più nella promozione dei propri prodotti. Tra i più importanti temi sull’alimentazione, alcuni dovranno essere seguiti con molta attenzione da noi pediatri: gli alimenti geneticamente modificati (OGM), la nutrigenomica e i functional food, vale a dire i cibi che assumono lo status di quasi-farmaco. Gli OGM hanno enormi potenzialità, ma la ricerca deve fare ancora passi avanti perché possano essere utilizzati su vasta scala senza più dubbi né preoccupazioni per la salute umana e per l’ambiente. La tecnica dell’ingegneria transgenica è nuova e abbastanza diversa dalle colture convenzionali, perché trasferisce solo pochi geni alla volta e tra specie poco o per niente simili. La nutrigenomica è lo studio dell’interazione tra ciò che mangia- mo e il nostro patrimonio genetico. È oggi possibile valutare quali influenze, positive o negative possono avere alcuni nutrienti sul DNA delle nostre cellule, basta pensare agli studi in atto sulle relazioni tra diete eccessivamente ricche in grassi e il rischio di alcuni tumori. Gli alimenti funzionali o functional food sono modificati in modo tale da aggiungervi un fattore favorevole alla salute, per esempio l’acido folico nelle donne in gravidanza che riduce il rischio di difetti del tubo neurale nel nascituro. Particolarmente interessanti i probiotici, microrganismi vivi ingeriti come parte di alimenti o con integratori (caso classico: lo yogurt) che promuovono la crescita di batteri già presenti nell’intestino o assunti in contemporanea. Siamo di fronte a prospettive molto importanti per la nostra professione. I progressi possono essere enormi ma anche rischiosi, potremmo pagare le conseguenze di incidenti o errori di valutazione in modi che non possiamo nemmeno immaginare. Ma l’errore più grave sarebbe rifiutare o accettare ciecamente queste nuove tecnologie, da valutare invece con attenzione e con saggezza, senza pregiudiziali ideologiche . 5 “L asciate che il vostro cibo sia la vostra medicina”. Così Ippocrate, il padre della Medicina, descriveva il suo pensiero sul rapporto tra ciò che mangiamo e la salute. Ritengo che ancora oggi queste parole siano le più adatte quando parliamo di alimentazione e nutrizione. Alimentazione è sinonimo di fornitura all’organismo di fonti di energia necessarie alla sua sopravvivenza nonché di tutte quelle sostanze, macro e micromolecole, indispensabili per il mantenimento e lo sviluppo delle strutture vitali. Il concetto di nutrizione è strettamente biologico: indica il complesso di processi e funzioni che consentono la digestione e l’assimilazione degli alimenti, ma anche gli scambi materiali ed energetici a livello dell’organismo in generale e a livello di singole cellule. Oggi esistono studi e informazioni approfondite su molti aspetti della nutrizione, ma il vero problema è quello delle abitudini alimentari dannose, difficili da modificare nonostante se ne conoscano le conseguenze. È stato dimostrato che ogni giorno prendiamo circa 200 decisioni che riguardano il cibo, sulla base di stimoli interni ma soprattutto di segnali esterni. Ciò sta a significare che AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 di Luciana Indinnimeo [email protected] Alimentazione & nutrizione AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 6 Caso clinico Titolo articolo anche lungo [ tutto su ] Whole Exome Sequencing (WES) nei Disturbi dello Spettro Autistico L’identificazione delle vie patogenetiche alle quali appartengono i geni implicati potrà avere implicazioni diagnostiche e terapeutiche. Introduzione I l metodo si basa sul sequenziamento delle porzioni codificanti del genoma in uno o più soggetti affetti dalla patologia.4 Nella Tabella 1 è schematizzata la procedura metodologica della tecnica utilizzata per l’identificazione di geni-malattia. Il sequenziamento dell’esoma con le moderne metodiche permette di ottener circa il 95% delle sequenze codificanti di un individuo e di rilevare con elevata accuratezza migliaia di variazioni di basi nucleotidiche. Tali variazioni vengono denominate polimorfismi a singolo nucleotide (SNP, Tabella 1. Metodologia per l’identificazione di geni-malattia con Whole-Exome-Sequencing (WES) 1. Reclutamento di pazienti affetti dalla patologia in oggetto 2. Esecuzione di prelievo ematico e estrazione del DNA 3. Sequenziamento dell’esoma 4. Identificazione di varianti codificanti 5. Analisi bioinformatica, confronto delle variazioni riscontrate con quelle riportate nei databases 6. Esclusioni delle varianti comuni non patogenetiche 7. Selezione di geni candidati 8. Validazione funzionale delle mutazioni diagnosticate AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 Cos’è il Whole Exome Sequencing (WES)? 7 I Disturbi dello Spettro Autistico single nucleotide polymorphism) quando si Caterina D’Ardia Marina Digilio (Autism Spectrum Disorders, ASD) sono verificano con una certa frequenza all’interno Gabriel Levi definiti dalla presenza di deficit nell’intedi una popolazione e varianti a singolo nucleDipartimento di Pediatria razione sociale e nella comunicazione sociale, e Neuropsichiatria otide (SNV, single nucleotide variant) quando Infantile “Sapienza” – insieme alla presenza di pattern di comportasono identificate sporadicamente. Al fine di Università di Roma mento, interessi o attività ristretti e ripetitivi. restringere il numero di variazioni tra le quali Il quadro sintomatologico è variabile a seconda del livello può essere inclusa quella patogenetica, si utilizzano opdi sviluppo e dell’età. La prevalenza è di circa 60/10000 portuni filtri. L’operazione di filtro è basata sul confronto (0,6%, rapporto maschi:femmine di 3:1)1. L’eziologia degli delle variazioni riscontrate nello studio con quelle riporASD è prevalentemente non nota, ma numerose evidenze tate nei database dbSNP, progetto HapMap, 1000 Gesono indicative per una patologia “multifattoriale” con una nome project ‒ disponibili online ‒ e con risultati otteforte base di predisposizione genetica2,3. L’identificazione nuti nelle casistiche di individui sani analizzati mediante di nuovi geni-malattia si è rivoluzionata grazie alla dispo- la stessa tecnica. Nel momento in cui sono identificate nibilità di tecniche molecolari di ultima generazione che in soggetti affetti dalla patologia in studio specifiche consentono il sequenziamento dell’intero genoma (WGS, varianti ritenute potenzialmente patogenetiche perché “Whole Genome Sequencing”). Il sequenziamento dell’e- in interessanti specifici “geni candidati”, queste vengono soma (WES, “Whole Exome Sequencing”) studia invece successivamente ricercate su altri soggetti affetti dalla le sole porzioni codificanti del genoma e costituisce un stessa malattia appartenenti ad altre famiglie. Mediante approccio più semplice rispetto al sequenziamento dell’in- studi funzionali viene tentata a questo punto la validatero genoma, in quanto le regioni codificanti rappresentano zione patogenetica delle mutazioni diagnosticate. Dal l’1% del genoma umano4 e contengono circa l’85% delle lato pratico è da considerare che in alcuni casi può essere mutazioni patologiche note. difficile giungere a conclusioni dopo aver effettuato un solo WES, per cui possono venire utilizzati in modo Tutto su Whole Exome Sequencing (WES) nei Disturbi dello Spettro Autistico Tabella 2. Revisione degli studi di WES effettuati in pazienti con DSA e geni nei quali sono state identificate mutazioni Autori (voce bibliografica) Numero pazienti studiati Geni candidati O’Roak et al., 2011 (5) 20 FOXP1, GRIN2B, SCN1A, LAMC3, CNTNAP2 Sanders et al., 2012 (6) 238 SCN2A, CHD8 e NTNG1 Neale et al., 2012 (8) 175 CHD8, KATNL2 Iossifov et al., 2012 (9) 343 CTTNBP2, AUTS1, RIMS1, DYRK1A, ZFYVE26, DST, ANK2, FMRP-associated genes Bi et al., 2012 (10) 20 ANK3 Charour et al., 2012 (11) 16 UBE3B, CTCK1, NCKAP5L, ZNF18 integrato i metodi classici di mappatura (la mappatura per omozigosità e l’analisi di linkage). WES, autismo e primi studi AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 8 I l WES viene applicato per la prima volta allo studio delle cause genetiche dell’autismo nel 2011, dal gruppo di O’Roak et al 5, seguito da numerosi altri studi6‑11 (vedi Tabella 2). O’Roak et al 5 hanno utilizzato la tecnica di WES al fine di identificare e verificare mutazioni de novo (ovvero insorte nelle linee germinali parentali o nell’embrione) che conferiscano un aumentato rischio di sviluppare un ASD. Sono state individuate varianti de novo all’interno di porzioni del genoma codificanti per quattro diversi geni (FOXP1, GRIN2B, SCN1A e LAMC3): tali geni sono coinvolti nello sviluppo di ritardo mentale isolato e ritardo mentale con presenza di tratti autistici ed epilessia, dato che supporta l’ipotesi dell’esistenza di un’architettura genetica comune tra le diverse patologie del neurosviluppo. Sanders et al 6 hanno mostrato un’aumentata incidenza del tasso delle SNV de novo negli individui con autismo rispetto ai loro fratelli non affetti e mutazioni de novo in geni che svolgono il loro ruolo a livello cerebrale. In particolare, il gene SCN2A già descritto in passato come eziologicamente correlato ad alcune forme di epilessia è risultato essere un gene di suscettibilità anche per gli ASD, così come altri due geni candidati (CHD8 e NTNG1). O’Roak et al 7 hanno inoltre evidenziato che le mutazioni de novo in geni candidati per gli ASD originano nella maggior parte dei casi dalla linea germinale paterna e risultano correlate positivamente all’età paterna. Neale et al 8, sempre attraverso la tecnica del WES, hanno rilevato che il tasso di mutazione nelle famiglie con ASD è lievemente più alto rispetto a quello previsto. Tuttavia, data la penetranza incompleta, una mutazione da sola può costituire un fattore di rischio ma può non essere sufficiente a causare la patologia. Anche Iossifov et al 9 hanno effettuato il sequenziamento esomico, proponendosi di comprendere meglio se le diverse mutazioni de novo abbiano incidenza diversa negli affetti rispetto ai non affetti. Il sequenziamento esomico ha infine permesso loro di affermare, relativamente ai risultati, che le mutazioni de novo missense (codificanti per differenti aminoacidi) non sembrano apparire in maggior numero negli affetti rispetto ai non affetti, e quindi non sembrano contribuire in maniera significativa allo sviluppo di autismo. Le mutazioni gene-disrupting (mutazioni di stop o che determinino perdita o acquisto di funzione o interessino un sito di splicing), invece, appaiono essere due volte più frequenti negli affetti rispetto ai non affetti. Lo studio di Bi et al 10 ha identificato una nuova mutazione de novo missense in ANK3, gene codificante per una proteina appartenente alla famiglia delle anchirine e quindi mediatrice dell’interazione tra proteine integrali di membrana e citoscheletro. ANK3 è maggiormente presente a livello del sistema nervoso centrale ed è stato L’esistenza di una predisposizione genetica ai Disturbi dello Spettro Autistico è stata ormai dimostrata, così come la presenza di una ricca eterogeneità dal punto di vista dell’eziologia genetica. Tutto su Whole Exome Sequencing (WES) nei Disturbi dello Spettro Autistico Attraverso l’adozione del WES sono stati identificati alcuni geni eziologicamente correlati con l’autismo e in futuro questa tecnica potrà contribuire alla caratterizzazione delle complesse basi genetiche degli ASD. Bibliografia Conclusioni I n conclusione, gli studi finora effettuati hanno identificato probabilmente solo alcuni dei geni implicati negli ASD (FOXP1, GRIN2B, SCN1A, LAMC3, CNTNAP2, SCN2A, NTNG1, CHD8, KATNL2, ANK3, UBE3B, CTCK1, NCKAP5L, ZNF18, DYRK1A, TBR1, PTEN, TBL1XR1). La disponibilità di database più esaustivi e completi rispetto a quelli disponibili oggi renderà questo approccio più rapido e più idoneo ad identificare geni-malattia. L’identificazione delle vie patogenetiche alle quali appartengono i geni implicati potrà avere implicazioni diagnostiche e terapeutiche . Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse. AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 9 inoltre associato ad altri disturbi come il disturbo bipolare e la schizofrenia11. Gli autori propongono un suo ruolo nel determinare un’aumentata suscettibilità nei confronti dell’autismo. Charour et al 12 utilizzano il WES al fine di individuare la presenza di mutazioni recessive in omozigosi candidate a svolgere un ruolo nel determinare lo sviluppo dell’autismo. Essi individuano la presenza di mutazioni recessive in omozigosi coinvolgenti quattro geni candidati (UBE3B, CTCK1, NCKAP5L e ZNF18). Molto recentemente O’Roak et al 13 hanno considerato che il WES ha consentito l’identificazione di numerose mutazioni geniche de novo, ma in realtà sono pochi i geni ricorrenti mutati nei pazienti con ASD. Dallo studio è emerso che mutazioni ricorrenti in 6 geni (CHD8, DYRK1A, GRIN2B, TBR1, PTEN, e TBL1XR1) possono essere eziologicamente correlate con l’1% circa degli ASD di tipo sporadico. 1. Fombonne E. Epidemiology of pervasive developmental disorders. Pediatr Res 2009;65:591-8. 2. Geschwind DH. Genetics of autism spectrum disorders. Trends Cogn Sci 2011;15:409-16. 3. Hallmayer J, Cleveland S, Torres A et al. Genetic heritability and shared environmental factors among twin pairs with autism. Arch Gen Psychiatry 2011;68:1095-102. 4. Ng SB, Buckingham KJ, Lee C et al. Exome sequencing identifies the cause of a mendelian disorder. Nat Genet 2010;42:30-5. 5. O’Roak BJ, Deriziotis P, Lee C et al. Exome sequencing in sporadic autism spectrum disorders identifies severe de novo mutations. Nat Genet 2011;43:585-9. 6. Sanders SJ, Murtha MT, Gupta AR et al. De novo mutations revealed by whole-exome sequencing are strongly associated with autism. Nature 2012;485:237-41. 7. O’Roak BJ, Vives L, Girirajan S et al. Sporadic autism exomes reveal a highly interconnected protein network of de novo mutations. Nature 2012;85:246-50. 8. Neale BM, Kou Y, Liu L et al. Patterns and rates of exonic de novo mutations in autism spectrum disorders. Nature 2012;485:242-5. 9. Iossifov I, Ronemus M, Levy D et al. De novo gene disruptions in children on the autistic spectrum. Neuron 2012;74:285-99. 10. Bi C, Wu J, Jiang T et al. Mutations of ANK3 identified by exome sequencing are associated with autism susceptibility. Hum Mutat 2012;33:1635-8. 11. Chahrour MH, Yu TW, Lim ET et al. Whole-exome sequencing and homozygosity analysis implicate depolarization-regulated neuronal genes in autism. PLoS Genet 2012;8:e1002635. 12. O’Dushlaine C, Kenny E, Heron E et al. Molecular pathways involved in neuronal cell adhesion and membrane scaffolding contribute to schizophrenia and bipolar disorder susceptibility. Mol Psychiatry 2011;16:286-92. 13. O’Roack BJ, Vives L, Fu W et al. Multiplex Targeted Sequencing Identifies Recurrently Mutated Genes in Autism Spectrum Disorders. Science 2012;338:1619-22. [ Come si fa ] “Dottore, mio figlio non impara a leggere”. I Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) e il pediatra di famiglia Gli strumenti di identificazione dei soggetti con DSA, i principali fattori di rischio e i segni critici, gli strumenti utili per una precoce identificazione. Introduzione AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 10 S i parla di Disturbo Specifico di Apprendimento (DSA) quando sono presenti delle difficoltà isolate e circoscritte nella lettura (Dislessia) e/o nella scrittura (Disortografia) e/o nel calcolo (Discalculia) nonostante la presenza di adeguate capacità cognitive e opportunità scolastiche. Tali difficoltà hanno carattere evolutivo e persistente, presentandosi con diversa espressività clinica nelle varie fasi dello sviluppo. La prevalenza mondiale del disturbo si attesta tra il 5 e il 15% (DSM 5, 2013). L’incidenza è maggiore nei maschi, con un rapporto M/F stimato intorno a 2:1, 3:1 (DSM 5, 2013). In Italia la stima di prevalenza dei DSA fra i bambini in età scolare oscilla fra il 3 e il 5% (Cornoldi, 2007). Roberta Maggio1 Francesca Cucinotta1 Davide Vecchio2 Giovanni Moceri2 Massimo Ciuffo1 Marco Lamberti1 Eva Germanò1 Antonella Gagliano1 Giovanni Corsello2 Dante Ferrara2 UC Neuropsichiatria Infantile – Dipartimento di Scienze pediatriche, ginecologiche, microbiologiche e biomediche, Università degli Studi di Messina 2 Scuola di Specializzazione in Pediatria – Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute e Materno-Infantile, Università degli Studi di Palermo 1 È ad oggi condivisa l’origine neurobiologica del disturbo, che presenta un’importante componente ereditaria. Diversi loci sono stati implicati nella dislessia, in particolare sui cromosomi 6, 15 e 18 (Meng et al, 2011), seppure nessuna mutazione funzionale sia stata ancora identificata. Le principali ipotesi eziologiche possono essere ricondotte all’ipotesi linguistica che riguarda un deficit della processazione fonologica (Ramus, 2003), all’ipotesi del deficit dei meccanismi sensoriali non linguistici (Stein e Walsh, 1997) e all’ipotesi di un deficit cerebellare dell’automatizzazione (Nicolson et al, 2001). Il DSA è dunque un carattere ereditabile che determina nel soggetto condizioni che ostacolano l’acquisizione e lo sviluppo di alcune abilità. Non dipende quindi da problemi psicologici, da pigrizia o poca motivazione. Il disturbo tende a persistere nel tempo, anche se la compromissione funzionale dei vari sottosistemi ha andamenti diversi: in età adulta può essere compensato o addirittura recuperato. I DSA hanno infine un importante impatto sia a livello individuale (frequente abbassamento del livello curriculare conseguito e/o prematuro abbandono scolastico), sia a livello sociale (riduzione della realizzazione delle potenzialità sociali e lavorative dell’individuo). La precocità e la tempestività degli interventi appaiono sempre più spesso in letteratura tra i fattori prognostici positivi. Il pediatra di famiglia rappresenta dunque una figura centrale e determinate nel riconoscimento precoce delle difficoltà scolastiche e nell’attivazione di un percorso diagnostico e di recupero. Caso clinico M aria giungeva alla nostra osservazione all’età di 6 anni e mezzo, su segnalazione del pediatra di famiglia per la presenza di difficoltà scolastiche. Dall’anamnesi non emergevano problemi significativi pre-perinatali e lo sviluppo psicomotorio era regolare. All’ingresso nella scuola materna aveva mostrato buone capacità di apprendimento e di socializzazione. Tuttavia aveva presentato, sin dall’inizio della scolarizzazione, difficoltà nell’apprendimento delle lettere dell’alfabeto, nel riconoscimento dei suoni che compongono le parole e nella letto-scrittura. Al momento dell’osservazione, aveva concluso la frequenza della prima classe elementare con un profitto modesto. Si mostrava all’osservazione serena e collaborante. Dal colloquio con i genitori emergeva una tendenza a manifestare ansia e disagio prima di recarsi a scuola e faticabilità e lentezza nel portare a termine le attività scolastiche di lettura e grafiche. Il livello cognitivo, le funzioni esecutive, attentive e visuo-spaziali risultavano nella norma. La bambina mostrava di possedere un linguaggio strutturato ed un bagaglio lessicale espanso tanto nella produzione che nella comprensione; si apprezzavano tuttavia lievi imperfezioni fono-articolatorie e una lentezza nel recupero lessicale. Si notava infine un lieve impaccio motorio (difficoltà a saltare, stare in equilibrio, usare le forbici, allacciare le stringhe delle scarpe, etc.). Riguardo alle abilità scolastiche, si registrava lentezza nella lettura (tempi di lettura al di sotto della seconda deviazione standard). La scrittura era caratterizzata da tratto impreciso e irregolare e disortografia. Commetteva errori di sostituzione, omissione e aggiunta di lettere (fonologici) e di trasformazione di parole per anticipazione (non fonologici). Conclusioni diagnostiche: significativo ritardo dell’apprendimento della lettura e della scrittura in soggetto con funzionamento cognitivo adeguato e lieve ritardo nello sviluppo della coordinazione motoria generale e nel consolidamento delle abilità linguistiche. Veniva indicato training di potenziamento bisettimanale con attenzione all’incremento della velocità di lettura e all’acquisizione delle competenze metafonologiche e fonologiche in produzione scritta. Torna all’osservazione all’età di 8 anni, in terza elementare. Pur presentando ancora significative difficoltà nella transcodifica, la bambina ha migliorato la produzione scritta e la velocità di lettura. Rimane ancora sotto la media in relazione alla classe frequentata per velocità e correttezza di lettura e scrittura. Non mostra problemi nel comprendere il significato dei testi che legge. Al di sotto della media appaiono anche le abilità di enumerazione anterograda, di recupero di fatti numerici, di calcolo a mente e scritto. Diagnosi e relativi codici ICD 10: disturbo specifico dell’apprendimento (dislessia-disortografia– discalculia) F 81.3. Si indica un training di potenziamento delle strategie di apprendimento, che la avvii anche all’uso degli strumenti compensativi. Si raccomanda alla scuola di fare riferimento alla legge n°170 dell’08-10-2010 che tutela i soggetti con DSA, e di informare l’insegnante referente per la Dislessia. Si richiede inoltre alla scuola di procedere alla stesura di un PDP (Piano Didattico Personalizzato). AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 Basi neurobiologiche 11 Come si fa “Dottore, mio figlio non impara a leggere”. I Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) e il pediatra di famiglia Come si fa “Dottore, mio figlio non impara a leggere”. I Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) e il pediatra di famiglia Classificazione e descrizione dei DSA I l DSM IV, manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (APA, 1994), a seconda del dominio dell’apprendimento interessato, distingueva: F81.0 Disturbo della Lettura [315.00] F81.2 Disturbo del Calcolo [315.1] F81.8 Disturbo dell’Espressione Scritta [315.2] F81.9 Disturbo dell’Apprendimento Non Altrimenti Specificato [315.9] Il DSM 5 (APA 2013) al contrario non individua diversi specifici disturbi all’interno di un unico cluster, ma sottolinea l’unicità del disturbo nonostante la diversa compromissione funzionale dei vari sottosistemi. Invariati rimangono quindi i criteri diagnostici di significativa e specifica compromissione funzionale, discrepanza con il livello cognitivo e con l’età del paziente, e persistenza di tali difficoltà nel corso dello sviluppo non attribuibili ad altre patologie o condizioni sociali. È possibile porre diagnosi di disturbi della letto-scrittura sin dal completamento del 2° anno della scuola primaria, dal momento che questa età coincide con la conclusione del ciclo dell’istruzione forTabella 1. · · · · AreaPediatrica | Vol. 15 | n. 4 | ottobre-dicembre 2014 12 Tabella di refertazione DDE-2 male del codice scritto. Per quanto riguarda il disturbo del calcolo, l’età minima per la diagnosi coincide invece con il completamento della 3a elementare. Clinicamente, il bambino con Dislessia Evolutiva mostra difficoltà a riconoscere le lettere, a fissare le corrispondenze fra i segni grafici e i suoni ed automatizzarle; la lettura ad alta voce appare lenta e faticosa, con frequenti sostituzioni di lettere simili o omofone (d-b, f-v). Se sono presenti Disgrafia o Disortografia si presenterà per la prima un tracciato difforme rispetto alle convenzioni della scrittura, con spazio insufficiente tra le parole, irregolarità nei collegamenti, forma e dimensione delle lettere variabile e irregolare, etc.; per la seconda invece si individueranno errori fonologici (sostituzione, omissione, aggiunta di grafema) e inesatta rappresentazione ortografica delle omofone non omografe (lama/l’ama, anno/hanno). Infine, nel caso della Discalculia, sarà possibile rilevare difficoltà nell’automatizzazione delle procedure del conteggio, di transcodifica numerica, recupero dei fatti aritmetici e nell’esecuzione di calcoli. Come si fa “Dottore, mio figlio non impara a leggere”. I Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) e il pediatra di famiglia Frequentemente il profilo neuropsicologico evidenzia la coesistenza di altre condizioni disfunzionali, con un una prevalenza che si attesta intorno al 58,3% dei DSA. DSA presentano un alto tasso di comorbilità con altre disabilità neuropsicologiche e/o psico-comportamentali. Frequentemente, infatti, il profilo neuropsicologico evidenzia la coesistenza di altre condizioni disfunzionali con un una prevalenza che si attesta intorno al 58,3% dei DSA (DSM 5, 2013). Le più frequenti sono il Disturbo Specifico del Linguaggio, il Disturbo da Deficit d’Attenzione e Iperattività e il Disturbo di Coordinazione Motoria (Gagliano et al, 2007; Stella et al, 2009). Se non precocemente identificati, i DSA possono rappresentare un disturbo altamente invalidante poiché il quadro si complica di sovente con la presenza di condizioni psicopatologiche associate, come disturbi d’ansia, dell’umore e fobia scolare (Willcutt & Pennington, 2000). L’insorgenza di disturbi psicologici è solitamente di tipo secondario, legata cioè a un mancato riconoscimento del disturbo o a un riconoscimento tardivo. Tipici in tal senso sono i problemi emotivi, la demoralizzazione, le difficoltà di relazione con i coetanei e la bassa autostima. Talora il percorso accademico ed esistenziale si aggrava con sentimenti di disistima di sé ed helplessness (incapacità di fronteggiare le difficoltà, ridotto senso di autoefficacia) al punto da favorire l’abbandono scolastico, l’insorgenza di un disturbo della condotta e difficoltà in età adulta nel lavoro o nell’adattamento sociale. La precocità e la tempestività degli interventi vengono identificati tra i fattori prognostici positivi (Consensus Conference 2010). Diversi autori hanno sottolineato l’efficacia degli interventi riabilitativi in età precoce nella riduzione dell’entità del disturbo e dei rischi psicopatologici secondari, agendo sull’outcome complessivo (psichiatrico e sociale) a lungo termine. In tale ottica si colloca l’intervento del pediatra che, in quanto osservatore privilegiato, può cogliere gli indicatori di rischio alla luce dei dati anamnestici, ed individuare i segnali di difficoltà riportati dalla famiglia, indirizzando il paziente agli approfondimenti specialistici di cui ha bisogno (Consensus Conference 2010). L e ricerche degli ultimi anni hanno sottolineato due principali fattori di rischio prescolare specifici per lo sviluppo di DSA: la familiarità e la presenza di un ritardo o di un deficit del linguaggio (Lyytinen et al, 2004; Snowling et al, 2000). Altri indicatori predittivi per il disturbo dell’apprendimento sono le difficoltà nelle competenze motorio-prassiche (impaccio motorio e disprassia) e visuo-spaziali (destra-sinistra; sopra-sotto; ieri-domani; orologio). Nel bambino tra i 3–5 anni è possibile riconoscere vari indici predittivi, come i deficit della consapevolezza fonologica e del linguaggio orale (difficoltà nel riconoscere i suoni che compongono una parola) e le iniziali difficoltà di transcodifica (Stella & Apolito, 2004). In Italia è stato stimato che il 30–40% dei bambini con disturbo del linguaggio ricevono in seguito una diagnosi di Dislessia (Snowling et al, 2005). Altri segni clinici tipici delle difficoltà dell’apprendimento che si presentano precocemente sono: difficoltà ad apprendere l’alfabeto, a ricordare il nome degli oggetti, nell’analisi e sintesi sillabica, nel riconoscere i suoni che compongono una parola, a ricordare gli elenchi in sequenza, lentezza nell’ampliamento del vocabolario, scarsa fluenza verbale. Esistono inoltre fattori di rischio aspecifici che bisogna tenere presente quali il basso peso alla nascita e/o la prematurità, l’esposizione al fumo materno in gravidanza. 13 I Segni clinici precoci Iter diagnostico È possibile porre diagnosi di DSA attraverso l’attivazione di pratiche cliniche condivise con l’utilizzo di protocolli di valutazione basati su prove standardizzate a livello nazionale. L’adozione di criteri diagnostici evidence based può contribuire a distinguere i DSA dalle altre difficoltà curriculari aspecifiche, connesse di solito a fattori relativi al contesto familiare, ambientale e culturale dello studente. La diagnosi nosografica deve essere effettuata all’interno di un’equipe multidisciplinare costituita da neuropsichiatra infantile, psicologo e logopedista ed eventualmente integrata da altri professionisti AreaPediatrica | Vol. 15 | n. 4 | ottobre-dicembre 2014 Comorbilità e outcome Come si fa “Dottore, mio figlio non impara a leggere”. I Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) e il pediatra di famiglia sanitari e modulabile in base alle fasce di età. Sarà successivamente compito dello specialista NPI valutare gli aspetti eziologici e la presenza di eventuali comorbilità. Il protocollo diagnostico prevede: 1. visita specialistica: raccolta anamnesi mirata a valutare la presenza di fattori di rischio specifici o aspecifici (cambiamento di comportamento nel periodo scolastico rispetto alle vacanze, disturbi fisici collegati alla frequenza scolastica); esame somatico obiettivo; esame neurologico; 2. valutazione clinica multidisciplinare: valutazione cognitiva attraverso test specifici (scala Wechsler- WISC-IV; Matrici Progressive di Raven), mentre per bambini e ragazzi di madrelingua non italiana o per bambini con disturbi del linguaggio, si utilizzano test monocomponenziali (Leiter R); valutazione delle abilità logico-matematiche: calcolo, elaborazione numerica e competenze aritmetiche (ABCA test per le abilità di calcolo aritmetico; BDE Batteria per la valutazione della discalculia evolutiva); valutazione delle abilità di lettura e scrittura: la diagnosi è basata sulla misurazione di rapidità e correttezza della decodifica. I principali test utilizzati in Italia sono le Prove MT, usate anche come test di screening, la DDE-2 Batteria per la valutazione della dislessia e della disortografia evolutiva-2 e la Batteria per la valutazione della scrittura di Tressoldi & Cornoldi. Sono state prodotte di recente delle tabelle cartacee di refertazione della DDE-2 (Tabella 1) capaci di assicurare esattezza delle procedure e di trasformare i dati numerici in curve grafiche, diminuendo il rischio di commettere errori e il tempo che l’operatore impiega per la refertazione. Queste tabelle rappresentano uno strumento semplice ma efficace a rendere più rapida e corretta la refertazione della batteria (Ciuffo et al, 2013). Oltre al processo diagnostico, per rendere più agevole e precoce l’identificazione · · · · · AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 14 · dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) risulta indispensabile disporre di mezzi utili a porre in risalto specifici fattori di rischio e segni critici. Una prassi utile al raggiungimento di un ampio numero di soggetti è quella dello screening. Screening precoce DSA L a Consensus Conference sui DSA (2010) afferma l’importanza di effettuare screening sui DSA come “ricerca-azione”, condotti dagli insegnanti e dai professionisti della salute. I test di screening permettono di valutare, tramite prove strutturate, le specifiche abilità di lettura, scrittura e calcolo ma anche gli aspetti disfunzionali neuropsicologici come indicatori della presenza del disturbo. Infatti, misurare soltanto le abilità di letto-scrittura dell’alunno può condurre facilmente a falsi positivi (ansia da prestazione, carenze didattiche o culturali, etc.) oppure, soprattutto nelle forme lievi o in soggetti che hanno ben compensato il disturbo, ad avere dei falsi negativi. Per essere efficace un test di screening deve essere semplice, rapido da somministrare e poco costoso. Queste caratteristiche rendono facile la sua impiegabilità e replicabilità nel corso degli anni. I test che prevedono molte prove ed una somministrazione individuale hanno un grado di validità estremamente elevato, ma molto spesso vengono proposti solo una tantum poiché l’investimento di risorse umane è molto dispendioso. I risultati si avvicinano molto a quelli ottenuti con il test diagnostico, mentre, nel caso del test singolo di screening, il risultato è sempre l’indicazione di un livello di rischio. Gli screening possono effettuarsi o utilizzando prove strutturate che indagano specifiche abilità, oppure mediante la somministrazione di questionari osservativi. Nel primo caso, le prove vanno somministrate e valutate da personale esperto e vengono indagate le abilità di lettura, scrittura e calcolo e le competenze a queste correlate. Tuttavia non è sempre possibile utilizzare tale procedura, sia per limiti pratici che deontologici. In alternativa può risultare utile Per essere efficace un test di screening deve essere semplice, rapido da somministrare e poco costoso, impiegabile e replicabile nel corso degli anni. Come si fa “Dottore, mio figlio non impara a leggere”. I Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) e il pediatra di famiglia S ono costituiti da liste di domande sul comportamento rivolte agli adulti di riferimento (genitori, insegnanti) per identificare particolari problematiche. I questionari risultano essere meno specifici, rispetto a prove strutturate, ma hanno il vantaggio di raccogliere informazioni più globali. Nella pratica clinica consentono di raccogliere informazioni sui bambini in modo rapido ed efficace e di rendere quanto più possibile obiettiva ed uniforme la valutazione di comportamenti e sintomi disfunzionali. Tali prove rappresentano uno strumento di primo screening più agile ed economico rispetto a prove strutturate somministrate direttamente agli alunni. La figura di riferimento per attivare il percorso diagnostico e l’attività di recupero è quella del pediatra di famiglia che può raccogliere i segnali d’allarme inviati dai genitori e/o dalla scuola ed effettua- · · 15 Questionari osservativi re un primo screening sulle abilità di base utile a decidere se inviare o meno il bambino alla valutazione specialistica. Negli ultimi anni, grazie a una campagna di informazione sulle caratteristiche dei DSA, c’è una crescente richiesta tanto da parte degli insegnanti che dei pediatri di strumenti attendibili che rilevino, con un buon grado di affidabilità, la presenza di indicatori di rischio di DSA. Tra questi abbiamo: IPDA (Terreni et al, 2003): si avvale, per la prima fase di screening, di un questionario osservativo composto da 43 item suddivisi in due sessioni, abilità generali (aspetti comportamentali, motricità, metacognizione etc.) e abilità specifiche (pre-alfabetizzazione, pre-matematica); compilato dagli insegnanti dell’ultimo anno della scuola materna. RSR-DSA (Cappa et al, 2013) questionario osservativo per la rilevazione di difficoltà e disturbi. Organizzato sotto forma di 2 diverse check-list (per genitori e insegnanti), per rilevare situazioni a rischio di DSA, si avvale di domande dirette a AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 nella pratica clinica utilizzare questionari che esplorano gli atteggiamenti e le performance del soggetto e forniscono una descrizione delle sue difficoltà. Tabella 2. Versione informatica del questionario osservativo per la rilevazione di difficoltà e disturbi AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 16 Come si fa “Dottore, mio figlio non impara a leggere”. I Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) e il pediatra di famiglia identificare indicatori comportamentali predittivi di DSA. Il questionario RSR-DSA consta di circa 53 domande, raggruppate in 9 diverse aree di competenza, in modo da descrivere le capacità scolastiche del soggetto con particolare riferimento alle abilità di lettura, scrittura e calcolo e da fornire alcune informazioni sulle abilità neuropsicologiche di base (aree di linguaggio, attentivo-mnestica, motorio-prassica, visuo-percettiva), sul comportamento e sull’esperienza affettiva correlata all’apprendimento. Il questionario è diversificato per 4 fasce di scolari: primo ciclo della scuola primaria (classi 1e e 2e), secondo ciclo della scuola primaria (classi 3e, 4e e 5e), scuola secondaria di primo grado e scuola secondaria di secondo grado. Nella versione informatica il punteggio complessivo viene scomposto in nove sub-punteggi (Tabella 2) che descrivono le diverse aree di competenza. Il questionario RSR-DSA è uno strumento in grado di ottenere informazioni da fonti multiple (insegnanti e genitori) utili al clinico come supporto o completamento dell’indagine diagnostica. Inoltre consente di avere una rappresentazione grafica immediata delle aree di forza e di quelle di debolezza, che può essere di aiuto al clinico nel definire la batteria di test da proporre al bambino. Gli elementi dell’osservazione, evidenziati dai grafici, permetteranno anche ai servizi specialistici di individuare le aree critiche meritevoli di attenzione e per le quali può essere utile fornire indicazioni per il recupero. Il questionario non può e non vuole avere valenza diagnostica e può essere utile agli insegnanti per sottolineare eventuali carenze da colmare con interventi didattici di recupero e potenziamento e per mettere a punto strategie adeguate alle caratteristiche di ogni allievo. Occorre però precisare che il rilievo di un punteggio di rischio non necessariamente è legato alla presenza di un vero e proprio disturbo destinato a persistere nel tempo. Come in tutti gli screening, è piuttosto un indicatore della presenza di una prestazione atipica, che merita attenzione e può suggerire l’opportunità di avviare un lavoro di potenziamento mirato al superamento della difficoltà. Prove strutturate P er vagliare le abilità scolastiche di base tramite strumenti che esplorino le competenze di lettura, scrittura e calcolo, ritroviamo strumenti di facile e rapida applicabilità come: (Molin et al, 2007): fornisce un quadro dei ·BIN primi apprendimenti matematici in bambini di 4–6 anni. AC-MT 6-11 e 11-14 (Cornoldi et al, 2002; Cornoldi e Cazzola, 2003): constano di una parte collettiva con una valutazione generale delle abilità di calcolo e di una parte individuale con un’analisi più approfondita delle specifiche componenti (calcolo a mente, scritto, enumerazione e recupero di fatti numerici). Usati anche in fase diagnostica. Discalculia Test (Lucangeli et al, 2009): mirato a identificare i soggetti a rischio con dei programmi che si avvalgono di prove computerizzate per la valutazione delle abilità di calcolo in ragazzi dalla terza elementare alla terza media, con prove specifiche riguardanti senso del numero, fatti numerici, dettato di numeri, calcolo a mente. S.P.I.L.L.O. (Stella et al, 2011): è un software che consente di verificare in un solo minuto le abilità di lettura dei bambini della scuola primaria di primo grado (dalla 1a alla 5a). Quando questo programma restituisce, per un determinato alunno, un codice di “richiesta di intervento immediato” si consiglia un approfondimento specialistico. Se invece restituisce la prestazione dell’alunno in termini di “richiesta di attenzione” l’insegnante assegnerà attività suppletive di lettura ai genitori e verificherà in seguito nuovamente il livello di abilità, inviando l’alunno all’approfondimento specialistico qualora venga confermato il “giudizio di richiesta di attenzione”. I punti di forza di S.P.I.L.L.O. sono la facilità d’uso, la rapidità di somministrazione e l’accuratezza della valutazione. Prove PRCR-2 (Cornoldi et al, 2009): utilizzate per l’identificazione precoce ci permettono di indagare gli specifici precursori cognitivi dell’abilità di lettura e scrittura, relativa sia agli aspetti visivi sia quelli legati all’elaborazione fonologica delle parole. La somministrazione può essere sia individuale che collettiva. SPEED (Savelli et al, 2013) tale strumento per l’individuazione precoce consente di valutare nei bambini dell’ultimo anno della scuola dell’infanzia lo sviluppo della conoscenza delle lettere (prove di riconoscimento, denominazione e scrittura di lettere), che è considerato tra i migliori predittori del successivo apprendimento della letto-scrittura. · · · · · Come si fa “Dottore, mio figlio non impara a leggere”. I Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) e il pediatra di famiglia · · Bibliografia · · · · Cornoldi C. Difficoltà e disturbi dell’apprendimento. Bologna: Il Mulino, 2007. Cornoldi C, Cazzola C. Test AC-MT 11-14 di valutazione dell’abilità di calcolo e problem solving. Trento: Erickson, 2003. Cornoldi C, Lucangeli D, Bellina M. Test AC-MT 6-11 di valutazione dell’abilità di calcolo. Trento: Erickson, 2002. Gagliano A, Germanò E, Calarese T, Magazù A, Grosso R, Siracusano RM, Cedro C. La comorbidità nella dislessia: studio di un campione di soggetti in età evolutiva con disturbo di lettura. Dislessia 2007;4(1):27-45. Lucangeli D, Tressoldi PE, Molin A, Poli S, Zorzi M. Discalculia Test. Trento: Erickson, 2009. Lyytinen H, Aro M et al. The development of children at familial risk for dyslexia: Birth to early school age. Annals of Dyslexia 2004;54(2):184-220. Meng H, Powers NR, Tang L, Cope NA, Zhang PX, Fuleihan R, Gibson C, Page GP, Gruen JR. A dyslexia-associated variant in DCDC2 changes gene expression. Behav Gen 2011;41(1):58-66. Molin A, Poli S, Lucangeli D. BIN Batteria per la valutazione dell’intelligenza numerica in bambini dai 4 ai 6 anni. Trento: Erickson, 2007. Nicolson RI, Fawcett AJ, Dean P. Developmental dyslexia: the cerebellar deficit hypothesis. Trends Neurosci 2001;24:508-511. · · · · · Conclusioni I n Italia non è ancora garantita un’appropriata individuazione dei DSA. Dai rilievi della letteratura appare evidente come un precoce riconoscimento di tali disturbi migliori l’outcome globale del paziente e ne renda più efficace il trattamento, evitando ricadute negative sul percorso scolastico, sulla strutturazione della personalità e sui rapporti sociali. Per poter individuare tempestivamente tali problematiche appare indispensabile il ruolo del pediatra di famiglia. Nel corso dei periodici bilanci di salute infatti, direttamente o su segnalazione da parte dei genitori e/o degli insegnanti, potrà indagare su probabili problematiche scolastiche permettendo l’attivazione di un percorso diagnostico e di recupero precoce. Questo può avvenire facilmente grazie all’utilizzo di questionari e strumenti di screening, che, nella pratica clinica, consentono di raccogliere informazioni sui bambini in modo rapido ed efficace, e rendere il più possibile obbiettiva la valutazione di comportamenti e sintomi disfunzionali . Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse. · · Ramus F. Developmental dyslexia: specific phonological deficit or general sensorimotor dysfunction? Cur Opin Neurobiol 2003;13: 212-218. Savelli E, Franceschi S, Fioravanti B. SPEED Screening Precolare Età Evolutiva- Test per l’identificazione precoce delle difficoltà di apprendimento della letto-scrittura nella scuola dell’infanzia. Trento: Erickson, 2013. Snowling M, Bishop DVM, Stothard SE. Is pre-school language impairment a risk factor for dyslexia in adolescent? J Child Psychol Psychiatry 2000;41(5):587-600. Stein J, Walsh V. To see but not to read: the magnocellular theory of dyslexia. Trends Neurosci 1997;20:147-152. Stella G et al. SPILLO Strumento Per Identificazione Lentezza Lettura Orale. Bologna: Anastasis e Giunti OS, 2011. http://spillo-scuola.anastasis.it Stella G, Franceschi S, Savelli E. Disturbi associati nella dislessia evolutiva. Uno studio preliminare. Dislessia 2009;6(1):31-48. Stella G, Apolito A. Lo screening precoce nella scuola elementare. Dislessia 2004;1(1):111-118. Terreni A, Tretti ML, Corcella PR, Cornoldi C, Tressoldi P. IPDA, Questionario osservativo per l’identificazione precoce delle difficoltà di apprendimento. Trento: Erickson, 2003. Willcutt EG, Pennington BF. Psychiatric comorbidity in children and adolescents with reading disability. J Child Psychol Psychiatry 2000;41(8):1039-48. · · · · · · · 17 P er valutare la presenza di difficoltà nell’ambito dei bilanci di salute in età scolare, il pediatra di famiglia dovrebbe chiedere ai genitori come sta procedendo l’acquisizione degli apprendimenti scolastici e, qualora gli venissero esposte delle difficoltà, dovrebbe procedere ad un approfondimento delle possibili ragioni che li sostengono. Quando sono presenti elementi suggestivi di una scarsa performance scolastica e/o di un vissuto molto negativo della scuola, gli strumenti di screening di più rapidi ed efficaci attualmente disponibili sono: S.P.I.L.L.O. (Stella et al, 2011): con una semplice lettura del brano, il software permette l’identificazione dei pazienti a rischio che necessitano di un approfondimento diagnostico. RSR-DSA (Cappa et al, 2013): questionario osservativo che fornisce rapidamente diverse informazioni utili sulle abilità neuropsicologiche di base (aree di linguaggio, attentivo-mnestica, motorioprassica, visuo-percettiva). Questi strumenti, avendo caratteristiche diverse, sono da considerarsi complementari. Il primo è una prova di lettura che coinvolge direttamente il bambino. Ha pertanto ha il pregio di essere rapido, diretto, altamente sensibile e specifico nell’identificare i soggetti a rischio per disturbo di lettura. Il secondo, essendo un questionario da somministrare a insegnanti e genitori, non coinvolge di- rettamente il pediatra per l’applicazione; è meno specifico per il disturbo di lettura ma ha il vantaggio di esplorare contemporaneamente diverse competenze. AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 Applicazione pratica nell’ambulatorio del pediatra AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 18 I l divezzamento ‒ o introduzione dell’alimentazione complementare ‒ è una fase della crescita particolare ed importante sia per la famiglia che per il lattante, che può avere un ruolo significativo sulla salute futura del bambino. È esperienza comune rilevare una disomogeneità nelle modalità di divezzamento. In particolare, alquanto differenti paiono essere il timing di inizio e di introduzione degli alimenti, la tipologia degli alimenti proposti, le modalità di preparazione degli stessi e così via. Si passa infatti da chi propone l’assaggio di qualsivoglia alimento in qualsiasi momento a chi segue un rigido (e antico) calendario di introduzione. D’altro canto è importante sottolineare che l’introduzione di cibi solidi è una naturale attitudine del lattante, forse troppo “medicalizzata” negli anni passati. Questo documento, scritto congiuntamente da esponenti di Società Italiana di Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica (SIGENP) e Società Italiana di Allergologia e Immunologia Pediatrica (SIAIP) dell’Emilia-Romagna, operanti sia in ospedale che nel territorio, con il supporto di esperti di nutrizione appartenenti alla Società Italiana di Nutrizione Pediatrica (SINUPE) ed alla European Society for Pediatric Gastroente- [ evidenze ] Indicazioni congiunte Sigenp/Siaip Emilia-Romagna sull’alimentazione complementare del lattante sano, nato a termine Alcuni suggerimenti sulle modalità di divezzamento, cercando di “demedicalizzare” questo passaggio naturale della vita del bambino. Evidenze Indicazioni congiunte Sigenp/Siaip Emilia-Romagna sull’alimentazione complementare del lattante sano, nato a termine rology, Hepatology and Nutrition (ESPGHAN), si propone a partire dai dati della letteratura di fornire alcuni suggerimenti sulle modalità di divezzamento, cercando di “demedicalizzare” questo passaggio naturale della vita del bambino. Il divezzamento è il periodo in cui il lattante introduce nella dieta alimenti diversi dal latte con concomitante graduale riduzione dell’assunzione di latte (sia materno che formulato) per arrivare alla progressiva acquisizione del modello dietetico caratteristico della famiglia di appartenenza. Questa definizione si basa su quella proposta dall’ European Food Safety Authority (EFSA)1 e dall’European Society for Pediatric Gastroenterology, Hepatology and Nutrition (ESPGHAN)2. L’inizio ed il progressivo completamento del divezzamento sono il risultato di un ben orchestrato numero di fattori che consentono al lattante di alimentarsi in modo sempre più autonomo e completo3: acquisizione di fondamentali tappe dello sviluppo neuromotorio; sviluppo del senso del gusto e delle inclinazioni personali; maturazione della funzionalità renale e gastrointestinale4,5 implementazione qualitativa e quantitativa dell’apporto nutrizionale; · · · · di fattori culturali e · interazione socioeconomici con tradizioni locali e familiari1. In un recente studio multicentrico europeo (coinvolti cinque Paesi: Belgio, Germania, Italia, Polonia, Spagna) effettuato per valutare la relazione tra l’intake proteico e la crescita, è stata considerata anche l’età media di divezzamento fotografando, in parte, le abitudini del nostro continente6,7. I dati mostrano come, complessivamente, circa un quarto dei bambini cominci il divezzamento entro il quarto mese di vita e a 6 mesi almeno il 90% ha già assunto alimenti solidi. Lo studio evidenzia anche come l’età media del divezzamento sia più precoce nei bambini con allattamento artificiale rispetto a quelli allattati al seno. In particolare, al quarto mese di vita ha cominciato il divezzamento il 37,2% dei bambini allattati artificialmente contro il 17,2% dei bambini allattati al seno; a 6 mesi il 96,2% contro l’87,1%. L’epoca di introduzione di cibi solidi, secondo le indicazioni della letteratura internazionale1,2 si attesta fra la diciassettesima e la ventiseiesima settimana (4°–6° mese compiuto) di vita. La scelta del momento in cui iniziare il divezzamento dovrà essere dettata, non solo da esigenze nutrizionali, ma anche dalla “matu- Hanno collaborato: Baldi F., Bellini F., Belluzzi A., Bendandi B., Bergamini M., Biserna L., Borghi A., Caffarelli C., Calamelli E., Calzone L., Capra L., Dal Pozzo D., Dondi A., Giovannini L., Iaia M., Lambertini A., Malaventura C., Mainetti M., Marastoni E., Pecorari L., Pecorari R., Preti P., Ricci G., Timoncini G., Venturoli V., Vieni G. rità neurologica” e dall’interesse che il bambino mostrerà nei confronti del cibo1,2. Per ciò che riguarda il bambino allattato esclusivamente al seno, l’EFSA sostiene che: “(…) il latte materno è nutrizionalmente adeguato fino a 6 mesi nella maggioranza dei casi, ma talvolta è necessaria l’introduzione di cibi solidi prima dei 6 mesi in supporto al latte materno per garantire un adeguato sviluppo ed un’adeguata crescita”. In questo documento verrà discusso il ruolo che l’introduzione di alimenti diversi dal latte possono avere in rapporto alle malattie allergiche (parte I), al diabete mellito tipo 1, alla celiachia ed alla sindrome metabolica (parte II) e si forniranno indicazioni circa i fabbisogni del lattante ed alcuni suggerimenti di carattere pratico (parte III). In appendice verrà affrontato e discusso anche il tema dell’autodivezzamento. 19 UOC Pediatria – Ospedale Maggiore, Azienda USL Bologna UOC Pediatria e Neonatologia – Ospedale di Imola, Azienda USL Imola 3 Pediatra di famiglia, Azienda USL Bologna 4 UOC Pediatria – Arcispedale S. Maria Nuova, Azienda USL-IRCCSReggio Emilia 5 Responsabile Centro Allergologico Europeo – Centro Diagnostico Europeo Dalla Rosa Prati, Parma 6 UOC Dietologia e nutrizione clinica – Ospedale Maggiore-Bellaria, Azienda USL Bologna 7 Pediatra – Ospedale privato Accreditato S. Francesco, Ravenna 8 Pediatra libera professionista, Cesena 9 Clinica Pediatrica – Azienda Ospedaliera Universitaria di Parma 10 Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità – Fondazione IRCCS Cà Grande – Ospedale Maggiore, Milano 1 2 AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 Patrizia Alvisi1 Sandra Brusa2 Stefano Alboresi3 Sergio Amarri4 Paolo Bottau2 Giovanni Cavagni5 Barbara Corradini6 Linda Landi2 Leonardo Loroni7 Miris Marani8 Maria Irene Osti2 Carlotta Povesi Dascola9 Luca Valeriani6 Carlo Agostoni10 Evidenze Indicazioni congiunte Sigenp/Siaip Emilia-Romagna sull’alimentazione complementare del lattante sano, nato a termine ••• I dati della letteratura sul ruolo dell’introduzione dei cibi solidi tra la diciassettesima e la ventiseiesima settimana di vita nel favorire lo sviluppo della tolleranza sono contrastanti. pa rte i Alimentazione complementare ed allergia AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 20 I l progressivo aumento della frequenza delle malattie allergiche, specialmente tra i bambini del mondo occidentale, è un dato ormai universalmente riconosciuto8,9. L’allergia alimentare attualmente interessa il 2–10% della popolazione generale10, il 3–8% in età pediatrica11. Le cause di questo fenomeno sono ancora oggi poco chiare; è probabile che questo dato sia il risultato di una combinazione tra predisposizione genetica, fattori ambientali, cambiamenti nello stile di vita e abitudini alimentari8. In particolare è possibile che la dieta nei primi mesi di vita possa essere un fattore importante nello sviluppo delle malattie allergiche12. Sulla base di queste valutazioni e di alcuni studi pubblicati negli anni ’9013,14,15,16, alcune Società scientifiche hanno formulato raccomandazioni sul divezzamento: l’American Academy of Pediatrics (AAP) dava indicazione, nei bambini a rischio di allergia, di iniziare il divezzamento dopo il sesto mese di vita, di introdurre il latte dopo l’anno, l’uovo dopo i due anni, le arachidi, la frutta a guscio e il pesce dopo i tre anni17,18. Queste indicazioni sono state ribadite anche in un Position paper dell’American College of Asthma Allergy and Immunology19. Nel 2004 anche l’European Academy of Allergy and Clinical Immunology (EAACI) forniva raccomandazioni simili20. Queste indicazioni si basavano su una presunta “immaturità” dell’immunità mucosale gastrointestinale dei lattanti, che favorirebbe la sensibilizzazione verso allergeni alimentari, entrati troppo precocemente a contatto con la mucosa21–23. Recenti acquisizioni su modelli animali hanno ipotizzato come la tolleranza agli alimenti possa essere regolata/guidata da una precoce e regolare esposizione a queste specifiche proteine durante una “finestra critica” che pare aprirsi verso quattro mesi di vita per chiudersi a sei16. Sono state pubblicate in letteratura numerose ricerche che evidenziano come l’introduzione tardiva degli alimenti, non riduca la frequenza delle malattie e della sensibilizzazione allergica e possa, al contrario, aumentare il rischio di atopia24–28. Uno studio di coorte finlandese pubblicato nel 201329 conferma questi dati mostrando come l’introduzione di cereali entro i cinque mesi e mezzo, di pesce entro i nove mesi e di uovo entro gli undici mesi rispetto ad introduzioni più tardive riduca il rischio di asma, rinite allergica e sensibilizzazione atopica a cinque anni di vita. Se da una parte questi dati suggeriscono che l’inserimento tardivo (dopo i 6 mesi) degli alimenti nella dieta del lattante non sia utile per prevenire le allergie, d’altra parte l’introduzione precoce (prima dei quattro mesi) rimane controversa e non ci sono evidenze scientifiche sufficienti per promuovere, nella pratica quotidiana, una deliberata esposizione precoce ai più comuni alimenti allergizzanti11,17. Questo dato è confermato da un recente studio prospettico inglese che conferma come l’introduzione dei cibi solidi dopo le 17 settimane di vita sia associato ad un minor rischio di allergia alimentare30. Pare importante sottolineare che i dati attualmente disponibili in letteratura indicano che iniziare il divezzamento contemporaneamente all’assunzione di latte materno possa favorire l’acquisizione della tolleranza alimentare, riducendo l’insorgenza di allergie3,17, 29,30,31. Concludendo, le più recenti indicazioni di AAP, SP-EAACI, ESPGHAN ed EFSA sulla relazione tra divezzamento ed allergia confermano che non esistono evidenze scientifiche che possano giustificare la ritardata introduzione degli alimenti solidi ‒ anche di quelli riconosciuti come maggiormente allergizzanti ‒ al fine di prevenire le malattie allergiche. Evidenze Indicazioni congiunte Sigenp/Siaip Emilia-Romagna sull’alimentazione complementare del lattante sano, nato a termine ••• Alimentazione complementare e malattia celiaca, diabete mellito tipo 1, sindrome metabolica Malattia celiaca (MC) e Diabete mellito tipo 1 (T1DM) L’ alimentazione complemen tare non dovrebbe essere iniziata per nessun lattante prima del 4° mese e oltre il 6° mese, inclusi bambini ad elevato rischio di malattia atopica o di celiachia31. Precedenti studi osservazionali parevano suggerire che la introduzione di glutine tra il 4° e il 6° mese potesse ridurre il rischio di malattia celiaca27. In particolare le raccomandazioni ESPGHAN 2008 indicavano di evitare tanto la introduzione precoce (<17 settimane) quanto quella tardiva (>26 settimane) del glutine, cercando di sfruttare la finestra di tolleranza immunitaria indicata da studi americani2. Veniva altresì raccomandato di introdurre il glutine gradualmente mentre il lattante era ancora allattato al seno. La maggior parte degli studi sembravano indicare un ruolo protettivo del latte materno tanto per la MC che per il T1DM all’epoca dell’introduzione del glutine. Per la MC non è chiaro se si tratti di protezione per- sistente o di ritardo nella comparsa dei sintomi. Nessun lavoro, infatti, dimostra effetti protettivi a lungo termine o dipendente dalla durata dell’allattamento materno, così come documentato anche recentemente da uno studio SIGENP ed uno europeo32–36. Lo studio Prevent CD ha dimostrato che non vi è alcun vantaggio nell’introdurre piccole quantità di glutine alla sedicesima settimana di vita. Lattanti ad alto rischio di MC per famigliarità e genetica, suddivisi in due gruppi, ricevevano dalla sedicesima settimana per 8 settimane rispettivamente 100 mg/die di glutine o placebo. All’età di 3 anni l’incidenza di MC nei 2 gruppi era sovrapponibile: 5,9% nel gruppo 1 e 4,5% nel gruppo 2 (P=0,47). Neppure la durata dell’allattamento al seno modificava l’ incidenza di MC32. Il secondo studio, il CELIPREV, documenta come anche l’introduzione tardiva non riduca il rischio di MC34. Due gruppi di bambini a rischio per famigliarità ricevevano glutine rispettivamente a partire dal 6° mese e dal 12° mese. A 5 anni di età il 16% dei bambini di entrambi i gruppi aveva ricevuto diagnosi di MC. Nessuna ulteriore differenza si rilevava a 8 e 10 anni. Unica differenza significativa riguardava il periodo di insorgenza della malattia: il gruppo che aveva introdotto il glutine a 6 mesi aveva una diagnosi in età più precoce (26 versus 34 mesi)33. Sul rischio di sviluppare T1DM in relazione all’epoca di introduzione del glutine il consenso nella comunità scientifica non è unanime37–39. Nell’update dello studio prospettico BABYDIAB il rischio di insorgenza di T1DM non era aumentato se il glutine era stato introdotto nei primi 3 mesi di vita o dopo il 6° mese40. Anche l’introduzione precoce nei primi 4 mesi di latte vaccino, frutta e succhi di frutta, verdura, sembra indicare un aumento del rischio di sviluppare la comparsa di autoanticorpi T1DM, ma sono risultati scarsi e frammentari, cosi come non ben definito è il ruolo, forse protettivo, della vitamina D41. In conclusione in base ai dati recenti della letteratura sembra non esserci più né un’epoca ideale per l’introduzione del glutine né una quantità di glutine raccomandata e neppure l’allattamento materno sarebbe protettivo in relazione all’insorgenza di MC. Discutibili sono anche i dati relativi alla correlazione fra introduzione dell’ alimentazione complementare, con particolare riguardo al glutine, ed insorgenza di T1DM. AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 PARTE II 21 Non ci sono evidenze che la ritardata introduzione di alimenti solidi oltre il 6°-8° mese di vita sia nei bambini a rischio di atopia (bambini con genitori o fratelli affetti da malattie allergiche) sia in quelli non a rischio possa prevenire l’allergia. Evidenze Indicazioni congiunte Sigenp/Siaip Emilia-Romagna sull’alimentazione complementare del lattante sano, nato a termine Sindrome metabolica C on l’espressione “Sindrome metabolica” si identifica una condizione clinica ad alto rischio cardiovascolare per la presenza di multipli fattori quali l’ipertensione arteriosa, l’obesità viscerale, uno stato di insulinoresistenza, la dislipidemia. Almeno 3 milioni di adulti nel mondo occidentale muoiono ogni anno come conseguenza del sovrappeso o dell’obesità. Inoltre, circa il 50% delle malattie diabetiche, il 25% delle malattie cardiache ischemiche e tra il 7 e il 14% di certi tumori sono attribuibili al sovrappeso e all’obesità42. Sia l’allattamento al seno che l’alimentazione complementare possono avere conseguenze dirette o tardive sulla salute. Modelli nutrizionali diversi durante le prime fasi della vita possono incidere sullo sviluppo futuro, sul metabolismo e la salute di una persona. Il progetto EARNEST (Early Nutrition programming-long term followup of Efficacy and Safety Trials), dall’aprile 2005 all’ottobre 2010, ha coinvolto 16 Paesi europei, allo scopo di indagare gli effetti del “programming metabolico” sulla salute nelle età successive della vita43. Il “programming metabolico” è stato definito come l’induzione, il blocco o l’alterato sviluppo di una struttura somatica o di un sistema fisiologico da parte di uno stimolo o un insulto precoce, che interviene in un periodo “sensibile” della vita (quale può essere la gravidanza, l’allattamento o il divezzamento), con conseguenze a lungo termine. In altri termini, pare che l’ambiente nutrizionale possa interagire con la predisposizione genetica individuale per programmare metabolismo e sviluppo futuri. Il rischio di malattie come l’obesità, il diabete, l’ipertensione e le malattie cardiovascolari sembra essere determinato dal rischio genetico, dallo stile di vita in età adulta e dal programming metabolico precoce. A fronte dell’ampia letteratura sull’allattamento al seno, a tutt’oggi AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 22 Schemi alimentari giornalieri svezzamento Bambino di circa 8 kg Le giornate alimentari sono state impostate su un fabbisogno calorico giornaliero pari a c.a. 630 Kcal e un fabbisogno proteico giornaliero di c.a. 11gr/die. Di seguito sono proposti schemi alimentari con alimenti o ricette tipiche emiliano-romagnole per bambini allattati con latte materno (2 poppate al giorno) e per bambini che assumono latte adattato tipo 2 (400 cc al giorno). Note: - gli schemi proposti sono da considerare come razione giornaliera e sono impostati per il singolo bambino; - gli ingredienti indicati s’intendono al crudo e al netto degli scarti; - le indicazioni sulle quantità in grammi degli alimenti sono indicative. Quantità giornaliera indicativa di nutrienti che rimane da assumere con alimenti solidi, considerando che il bambino prenda 400 cc di latte adattato tipo 2: 6 gr di proteine, 17 gr di lipidi, 47 gr di glucidi 1 Con passatelli / 2 Con crema di fagioli 3 Con minestra (40 gr.): · Passatelli –20 gr. pangrattato di fagioli o lentic· Crema chie: del Paradiso: · Minestra –10 gr. di Parmigiano zuppa imperiale · · · · –10 gr. Parmigiano Reggiano grattugiato –10 gr. di uovo –odore di noce moscata o scorza di limone (come da ricetta tradizionale) –brodo q.b. Sostituendo pangrattato con semolino è possibile utilizzare gli stessi ingredienti per preparare laZuppa Imperiale 20-30 gr. di verdure passate 60 gr. di patate schiacciate o in purea o in passato di verdura 10 gr. di olio extravergine di oliva (quantità giornaliera) 200 gr. di frutta fresca (frullato di uno o più tipi di frutta, frutta grattugiata/schiacciata o centrifugata, in macedonia a piccoli pezzetti) senza aggiunta di zucchero o lenticchie · · · · –15 gr. di fagioli o lenticchie secchi –15 gr di crema di riso/ crema di cereali/crema di mais e tapioca/ semolino/pastina (tipo “sabbiolina”) –5 gr. di Parmigiano Reggiano grattugiato –5 gr. di olio extravergine di oliva –brodo q.b. 20-30 gr. di verdure passate 50 gr. di patate schiacciate o in purea o in passato di verdura 5 gr. di olio extravergine di oliva 200 gr. di frutta fresca (frullato di uno o più tipi di frutta, frutta grattugiata/schiacciata o centrifugata, in macedonia a piccoli pezzetti) senza aggiunta di zucchero del paradiso · · · · · Reggiano grattugiato –10 gr. di uovo –brodo q.b. 20-30 gr. di verdure passate 20 gr di crema di riso/ crema di cereali/crema di mais e tapioca/semolino/ pastina (tipo “sabbiolina”) 50 gr. di patate schiacciate o in purea o in passato di verdura 10 gr. di olio extravergine di oliva (quantità giornaliera) 200 gr. di frutta fresca (frullato di uno o più tipi di frutta, frutta grattugiata/schiacciata o centrifugata, in macedonia a piccoli pezzetti) senza aggiunta di zucchero Evidenze Indicazioni congiunte Sigenp/Siaip Emilia-Romagna sull’alimentazione complementare del lattante sano, nato a termine 4 Con pancotto 5 Con crema di patate · Pancotto: –35 gr. di pane grat- di patate: e stracchino: · Crema · Polenta –40 gr. di patate frullate –25 gr. di farina di mais all’emiliana · · · · tugiato (o pane ammorbidito in acqua e frullato) –10 gr. di uovo –5 gr. di Parmigiano Reggiano grattugiato –5 gr. di olio extravergine di oliva –brodo q.b. 20-30 gr. di verdure passate 30 gr. di patate schiacciate o in purea o in passato di verdura 5 gr. di olio extravergine di oliva 200 gr. di frutta fresca (frullato di uno o più tipi di frutta, frutta grattugiata/schiacciata o centrifugata, in macedonia a piccoli pezzetti) senza aggiunta di zucchero e trota · · · · · –15 gr. di pangrattato/ crema di riso/crema di cereali/crema di mais e tapioca/semolino/pastina (tipo “sabbiolina”) –5 gr. di Parmigiano Reggiano grattugiato –5 gr. di olio extravergine di oliva –brodo q.b. 20-30 gr. di verdure passate 30 gr. di patate schiacciate o in purea o in passato di verdura 20 gr di trota frullata o omogeneizzata 5 gr. di olio extravergine di oliva 200 gr. di frutta fresca (frullato di uno o più tipi di frutta, frutta grattugiata/schiacciata o centrifugata, in macedonia a piccoli pezzetti) senza aggiunta di zucchero 6 Con polenta e stracchino · · · · –15 gr di stracchino –5 gr. di olio extravergine di oliva 20-30 gr. di verdure passate 30 gr. di patate schiacciate o in purea o in passato di verdura 5 gr. di olio extravergine di oliva 200 gr. di frutta fresca (frullato di uno o più tipi di frutta, frutta grattugiata/schiacciata o centrifugata, in macedonia a piccoli pezzetti) senza aggiunta di zucchero 7 Con crema di riso e zucca e carne di maiale di riso e zucca: · Crema –20 gr. di crema di riso · · · · –40 gr. di zucca –5 gr. di Parmigiano Reggiano grattugiato –5 gr. di olio extravergine di oliva –brodo q.b. 15 gr di carne di maiale magro frullata o omogeneizzata 50 gr. di patate schiacciate o in purea o in passato di verdura 5 gr. di olio extravergine di oliva 200 gr. di frutta fresca (frullato di uno o più tipi di frutta, frutta grattugiata 23 Dati recenti di letteratura non confermano le raccomandazioni ESPGHAN secondo cui l’introduzione del glutine fra la 17esima e la 26esima settimana mentre il lattante è ancora allattato al seno avrebbe un ruolo protettivo sull’insorgenza di celiachia, diabete mellito tipo 1 ed allergia al grano. ni studi osservazionali longitudinali suggeriscono che una precoce introduzione di cibi complementari può aumentare il rischio di sovrappeso/ obesità nel bambino e nell’adulto e il rischio può essere inferiore nell’allattato al seno rispetto all’allattato con formula44. Tuttavia una review sistematica di Moorcroft del 2011 non ha trovato una chiara associazione tra l’epoca di introduzione dei cibi solidi e l’obesità futura45, risultato confermato anche dall’EFSA e dall’ESPGHAN. Inoltre non c’è evidenza che l’età di introduzione dei cibi complementari abbia un effetto sul rischio di diabete tipo 242, di malattia coronarica e di ipertensione46. AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 ••• è stata data meno attenzione al periodo del divezzamento e a verificare se questo periodo sia associato ad outcome tardivi di salute e sviluppo. Inoltre le attuali conoscenze circa gli effetti sulla salute dell’introduzione dei cibi complementari sono basate soprattutto su studi osservazionali, raramente su RCT, e pertanto sono necessari ulteriori studi di maggior forza metodologica43,44. Sulla base delle evidenze attualmente disponibili è impossibile determinare con esattezza l’età alla quale i rischi dell’inizio del divezzamento sono ridotti o aumentati per gli effetti a lungo termine (obesità, diabete tipo 2 e malattie cardiovascolari). Alcu- Evidenze Indicazioni congiunte Sigenp/Siaip Emilia-Romagna sull’alimentazione complementare del lattante sano, nato a termine ••• L’eccesso di assunzione di energia rimane il primo fattore da prevenire per evitare lo sviluppo di sovrappeso (si raccomanda utilizzo delle curve di crescita dell’OMS per allattato al seno). Intake proteico e sindrome metabolica AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 24 I dati della letteratura finra in nostro possesso suggeriscono che fra i 6 e i 24 mesi superare il limite del 15% di energia assunta con le proteine può portare in alcuni soggetti a fenomeni di early-adiposity-rebound, favorendo lo sviluppo di obesità futura. In tali soggetti le proteine in eccesso assunte con la dieta stimolerebbero la secrezione di insulina e IGF1, responsabili sia dell’adipogenesi che della differenziazione degli adipociti47. Uno studio di Hoppe su bambini prepuberi sani, sottoposti ad un carico proteico molto elevato in un periodo limitato, suggerisce che soprattutto le proteine assunte con il latte e non con la carne stimolerebbero la secrezione di insulina e l’insulinoresistenza, che è il principale meccanismo patogenetico della sindrome metabolica. Un’osservazione generica è che raramente le assunzioni di singoli nutrienti vengono corrette per l’assunzione di energia, che rimane il primo fattore determinante per la deposizione del grasso. In generale, sostituire cibi ipercalorici ed iperproteici con cibi a minore densità energetica (cereali, verdura e frutta) rimane un approccio valido per ridurre il rischio di obesità: a tal riguardo uno studio condotto a Nottingham suggerisce che il baby-led weaning avrebbe un impatto positivo sulle preferenze alimentari del bambino nelle prime età della vita verso i carboidrati, che potrebbe proteggere dal rischio di obesità futura49. Riguardo alla relazione tra intake proteico durante lo svezzamento e ipertensione e rischio cardiovascolare nelle età successive, non è al momento disponibile alcuna conclusione definitiva, così come non è possibile fare specifiche raccomandazioni per la composizione dei cibi complementari in relazione al rischio di malattie cardiovascolari nelle età successive50. Intake lipidico e sindrome metabolica R iguardo all’intake lipidico durante il divezzamento, non si è trovata associazione alcuna tra apporto di grassi e adiposità nelle età successive, mentre è stata trovata una significativa associazione dopo i 2 anni. Pertanto l’intake di grassi non dovrebbe essere ristretto nei primi 2 anni di vita50. Rolland Cachera ha identificato in un pattern dietetico iperproteico ed ipolipidico di lattanti provenienti dai paesi più sviluppati una possibile concausa del fenomeno dell’early-adiposity-rebound51. Accanto alla riduzione delle proteine nella dieta, anche l’incremento percentuale dei grassi, in particolare insaturi, va considerato un importante step nella prevenzione del sovrappeso e dell’obesità52. Bevande zuccherate e sindrome metabolica S ono definiti EPL (Energy Providing Liquids) i succhi di frutta (100% frutta), le bevande alla frutta, i succhi di verdura e altre bevande zuccherate (soft drink, acqua zuccherata con o senza aromi, tè i- stantaneo zuccherato). Non c’è alcun beneficio nutrizionale nel somministrare EPL a lattanti nei primi mesi di vita: un eccessivo consumo di bevande zuccherate e il conseguente incremento dell’intake calorico si associa ad obesità nell’infanzia. L’AAP raccomanda che i lattanti <6 mesi di età non facciano uso di succhi di frutta. Frutta intera o passata o omogenizzata è più appropriata per il bambino che inizia il divezzamento fino all’anno di età e i bambini di 1–6 anni dovrebbero limitare il consumo di succhi di frutta a 120–180ml al dì. Il consumo di bevande zuccherate come la soda e le bevande alla frutta dovrebbe essere sconsigliato42,53,54. Long chain n-3 polyunsaturated fatty acids (LCPUFA) e sindrome metabolica I n letteratura ci sono ricerche limitate sul ruolo degli LCPUFA durante il divezzamento e gli effetti a lungo termine sulla salute cardiovascolare. Uno studio danese ha dimostrato che lattanti sani che ricevevano supplementi di olio di pesce avevano una pressione arteriosa più bassa e questi risultati sono stati confermati dallo studio si follow-up di Forsyth e collaboratori55,56. Sale e sindrome metabolica M olti studi suggeriscono che un precoce intake di sale può condurre allo sviluppo di una preferenza per il gusto salato, con conseguente intake di sale persistentemente elevato anche nelle età successive, che può portare ad aumentare la pressione arteriosa. Tuttavia ulteriori studi sono necessari42. Evidenze Indicazioni congiunte Sigenp/Siaip Emilia-Romagna sull’alimentazione complementare del lattante sano, nato a termine I fabbisogni: energia, macronutrienti, fibre, acqua, micronutrienti e vitamine L e raccomandazioni internazionali forniscono indicazioni precise sulla necessità e sulla adeguatezza dell’allattamento al seno esclusivo fino ai 6 mesi di vita del lattante. Infatti i fabbisogni nutrizionali, compreso quello dei micronutrienti, sono garantiti dal latte materno, ad eccezione della vitamina D e vitamina K. Dopo tale periodo, il latte materno non è più in grado di fornire sufficiente apporto di calorie, proteine, zinco, ferro e vitamine liposolubili (vitamina A e D), necessari a garantire una crescita adeguata del lattante1,2. Gli apporti consigliati e riportati di seguito per l’età compresa fra 6–12 mesi sono stati ricavati dal documento di sintesi LARN (Livelli di Assunzione di ••• L’eccessivo intake proteico (latte, carne e formaggi) durante il divezzamento è stato correlato al rischio di sovrappeso/obesità nelle età successive, mentre l’incremento percentuale dei grassi può contribuire alla prevenzione. L’ apporto quotidiano di energia in termini di calorie totali raccomandate è di 70–75 Kcal/Kg/die. Tale apporto deve essere correttamente ripartito fra i diversi macronutrienti sia in termini di quantità che di qualità. È fondamentale cercare di rispettare il più possibile tale apporto energetico quotidiano, in quanto la tendenza attuale è quella di abbondare con le calorie introdotte quotidianamente. Carboidrati L’ apporto quotidiano raccomandato è variabile fra il 45–60% delle calorie totali. Si consiglia di prediligere fonti alimentari amidacee se possibile a basso indice glicemico e soprattutto va limitato l’apporto di zuccheri semplici (per esempio succhi di frutta zucchero e dolcificanti in genere). In particolare gli alimenti amidacei da preferire sono i più semplici: pane, pasta, riso, altri cereali minori (quali mais, avena, orzo, farro, e così via) oltre alle patate. Fibre L’ apporto quotidiano raccomandato non è precisamente quantizzato nel bambino di età compresa fra 6–12 mesi. Nel bambino di età 1–3 anni, l’assunzione consigliata è di 10 g/die. Di seguito riportiamo il contenuto di fibre di alcuni vegetali. Basso Medio Alto Patata Carota Piselli Bietola Zucchina Fagiolini Lattuga Spinaci Lipidi L’ apporto raccomandato è del 40% delle calorie totali e non deve essere inferiore al 25%. Dal punto di vista qualitativo deve essere limitato il consumo di grassi saturi (presenti soprattutto negli alimenti di origine animale) privilegiando quelli insaturi, polinsaturi e monoinsaturi contenuti principalmente negli alimenti di origine vegetale e nel pesce. In particolare la quota di grassi saturi dovrebbe essere <10% dell’energia totale. Alcuni acidi grassi polinsaturi sono definiti “essenziali” (acido linoleico, precursore della famiglia degli ω-6 e l’acido α-linolenico precursore della famiglia degli ω-3) in quanto devono essere introdotti con l’alimentazione non potendo essere sintetizzati dall’uomo. Gli acidi grassi polinsaturi a lunga catena (LCPUFA) devono essere presenti nella dieta con un apporto consigliato di 250 mg/ die. Le fonti alimentari sono rappresentate da: semi e oli vegetali (olio extravergine di oliva) per gli acidi grassi della serie ω-6, pesci marini (sgombro, acciughe, salmone, tonno e così via) e oli di pesce per gli acidi grassi della serie ω-3. L’apporto minimo di olio extravergine di oliva consigliato è di: 10 grammi al dì. Protidi L’ apporto quotidiano raccomandato è di circa il 10% delle calorie totali; l’assunzione consigliata è di 1,1 g/Kg/die (assunzione racco- 25 Energia parte i II Contenuto in fibre di alcuni vegetali AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana) revisionato nel 201457 e dal documento EFSA 2013 (European Food Safety Authotity)58. Tali fabbisogni devono servire solo come suggerimento al pediatra, nel caso in cui si rendesse necessario una valutazione degli apporti nutrizionali più precisa. Evidenze Indicazioni congiunte Sigenp/Siaip Emilia-Romagna sull’alimentazione complementare del lattante sano, nato a termine ••• Nel primo anno di vita aggiungere sale al cibo è inappropriato, in relazione al possibile rischio ipertensivo nelle età successive. mandata media 11 gr/die per l’età di 6 mesi). L’apporto proteico è stato ridotto negli anni perché più alti quantitativi sarebbero in grado di predisporre il bambino all’insorgenza di obesità. Si segnala come mantenere la quota proteica pari al 10% delle calorie totali, sia particolarmente difficoltoso, in quanto già con il latte (200 ml) circa il 30–40% dell’apporto proteico quotidiano è coperto. AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 26 Apporto proteico di alcuni alimenti – 1 Qualità di carne gr proteine/porzione di 20–30 gr Faraona petto 5,2–7,7 Tacchino fesa 4,8–7,2 Pollo petto 4,7–7 Maiale bistecca 4,3–6,4 Filetto di vitello/ vitellone/bovino adulto 4,1–6,2 Pollo intero (senza pelle) 3,9–5,8 Coniglio/cavallo 4–6 Merluzzo/sogliola 3,4–5,1 Apporto proteico di alcuni alimenti – 2 Alimento Quantità Grammi proteine Liomanzo 100 gr/10 gr 50/5 Omogeneizzato manzo 120 gr/100 gr/80 gr 7,4/6,2/5 Pesce fresco 100 gr 19 Legumi freschi 100 gr 7 Legumi secchi 100 gr 24 Latte formulato tipo 2 100 ml 1,4–1,5 Latte vaccino 100 ml 3,3 Secondo l’ESPGHAN, sarebbe consigliabile non introdurre latte vaccino prima del 12° mese di vita, in quanto povero di ferro e forse in grado di provocare microemorragie intestinali che vanno via via diminuendo con l’aumentare dell’età. Tuttavia questa raccomandazione non trova unanimità nella comunità scientifica e pone grossi interrogativi per l’aggravio economico che comporta l’acquisto di latte formulato fino all’anno di età per famiglie poco abbienti. Liquidi L’ apporto quotidiano di liquidi raccomandato è di 800 ml/die circa. Il fabbisogno è sotto anno di vita maggiore rispetto all’età successive e può essere calcolato attorno a 100 ml/Kg/die Vitamine e sali minerali V itamina D: è consigliato un apporto giornaliero di 400 UI. Solo il 10% del fabbisogno è introdotto con la dieta. Il 90% è sintetizzato dall’effetto dei raggi UVB sul precursore presente sulla cute. Attualmente si consiglia una supplementazione di 400 UI/die almeno fino all’anno di vita. Alimenti contenenti la vitamina D sono l’olio di fegato di merluzzo e i pesci grassi, tra le carni solo il fegato ne contiene oltre il livello di tracce e tra i derivati del latte solo il burro e i formaggi particolarmente grassi ed infine le uova. Calcio: è consigliato un apporto giornaliero di 260 mg. Si ritiene che la deficienza cronica di calcio nella fase di accrescimento corporeo possa determinare una ridotta densità minerale dell’osso rispetto al picco di massa ossea (maturità scheletrica). Alimenti contenenti calcio sono: latte e derivati che contribuiscono per più del 65% del fabbisogno totale di calcio, i vegetali che rappresentano circa il 12% dell’assunzione, i cereali che contribuiscono per l’8,5%, mentre le carni ed il pesce per il 6,5% . È difficile stimare la quota rappresentata dal calcio dell’acqua da bere poiché il contenuto delle acque potabili e delle acque minerali è molto variabile. Il latte formulato di tipo 2 contiene 230 mg di calcio/100 ml, mentre il latte di proseguimento 70 mg/100 ml. Sodio: è consigliato un apporto giornaliero di 0,4 gr. Le evidenze di una diretta correlazione tra il consumo di sodio ed ipertensione arteriosa sono ancora incerte nei bambini. Si consiglia di non aggiungere sale ai pasti, in quanto alcuni alimenti utilizzati dalle prime epoche del divezzamento hanno già un contenuto di sodio sufficiente a coprire il fabbisogno giornaliero. Ferro: è consigliato un apporto giornaliero di 7 mg. Lattanti allattati esclusivamente al seno che non ricevono supplementazione o non modificano l’alimentazione sono a rischio di deficienza di ferro durante il secondo semestre di vita. Discrete quantità di ferro sono presenti tanto in alimenti di origine animale (carne e pesce) che tra quelli di origine vegetale (legumi, indivia, radicchio verde, spinaci). Il ferro eme presente nelle ••• L’eccessivo consumo di bevande zuccherate ed il conseguente aumento dell’intake calorico è associato ad obesità nell’infanzia. Il consumo di bevande zuccherate dovrebbe essere sconsigliato. Evidenze Indicazioni congiunte Sigenp/Siaip Emilia-Romagna sull’alimentazione complementare del lattante sano, nato a termine ••• Consigli pratici L’introduzione di LCPUFA (olio di oliva e pesce) può avere un effetto positivo sulla pressione arteriosa nelle età successive. Rispettare l’intake calorico quotidiano (70–75 Kcal/kg/die). Fare attenzione all’apporto proteico (formaggi e carne), ricordando che 2 pasti di latte (200–300 ml) coprono circa il 30–40% del fabbisogno proteico quotidiano. Non salare gli alimenti. L’epoca di introduzione dei cibi solidi dovrebbe essere stabilita individualmente, sulla base delle competenze acquisite e dell’interesse del bambino (valutati insieme ai genitori) tenendo in considerazione il contesto famigliare. L’inizio di introduzione degli alimenti solidi al sesto mese rimane un goal desiderabile anche nelle società occidentali e nei bambini allattatati esclusivamente al seno, anche se può essere opportuno l’introduzione di cibi solidi in supporto al latte materno prima di tale età. Si suggerisce comunque di introdurre i cibi complementari non prima del 4 ° mese compiuto e non dopo il 6° mese compiuto. Il bambino dovrebbe introdurre nuovi alimenti mentre è allattato al seno. Non è consigliabile ritardare l’introduzione degli alimenti potenzialmente allergizzanti allo scopo di prevenire lo sviluppo di malattie allergiche; al momento attuale non esiste un’epoca ideale per introdurre il glutine in relazione all’insorgenza di MC e DM1, quindi il glutine potrà essere assunto dal bambino a discrezione della famiglia. È consigliabile incoraggiare la condivisione del momento del pasto e soddisfare la curiosità alimentare almeno fino all’anno di vita con vitamina D. Prediligere: amidacei · gliaglialimenti zuccheri semplici, limitando il più possibile l’assunzione di succhi di frutta e snack dolci; di grassi vegetali · l’assunzione rispetto ai grassi animali, ed in particolare meglio introdurre olio extravergine di oliva anziché burro o margarina; di pesce (almeno · il2 consumo volte/settimana) sulla carne; di frutta e verdura · il(seconsumo possibile 4 porzioni/die). emoproteine del pesce e della carne viene assorbito circa al 25%, mentre la percentuale di ferro non-eme assorbita varia dal 2 al 13%. Alcuni esempi di alimenti contenenti ferro sono: carne bovina1,9mg/100 gr; merluzzo 0,7mg/100 ml; spinaci 2,9 mg/100 ml. Negli ultimi anni comunque cominciano ad essere messe in discussione le supplementazioni marziali, in quanto sembrerebbero correlate ad un aumentata incidenza di infezioni. · · · · e le richieste del bambino con piccoli assaggi. Proporre cibi tritati, a pezzetti o finger food solo quando il bambino ha maturato le necessarie competenze posturali ed oromotorie. La dieta del bambino sarà tanto migliore quanto più la famiglia seguirà un’alimentazione corretta e bilanciata facendo attenzione all’apporto calorico e proteico. È fondamentale quindi fornire ai genitori indicazioni per una dieta nutrizionalmente equilibrata ed incoraggiarli a riconoscere e rispettare la capacità di autoregolazione del bambino. Promuovere il consumo quotidiano di frutta e verdura. Le modalità di divezzamento devono privilegiare le abitudini famigliari, etniche, regionali considerando i fabbisogni nutrizionali del bambino (LARN). In conclusione è d’obbligo affermare che sulla base della tipologia di studi disponibili non è possibile dedurre il numero di bambini necessari di un effetto misurabile a distanza per un determinato modello di introduzione degli alimenti. Tale considerazione spinge ad essere più prudenti nell’indicare con certezza i modelli più vantaggiosi · · . 27 Considerazioni conclusive AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 Supplementare Evidenze Indicazioni congiunte Sigenp/Siaip Emilia-Romagna sull’alimentazione complementare del lattante sano, nato a termine AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 28 Bibliografia 1. EFSA Panel on Dietetic Products, Nutrition and Allergies (NDA). Scientific Opinion on the appropriate age for introduction of complementary feeding of infants. EFSA Journal 2009;7(12):1423-61. 2. Agostoni C, Decsi T, Fewtrell M et al for ESPGHAN committee on Nutrition. Complementary Feeding: A Commentary by the ESPGHAN Committee on Nutrition. JPGN 2008;46:99-110. 3. Koplin JJ et al. Optimal time for solid introduction - why are the guidelines always changing? Clinical et Experimental Allergy 2013;43:826-34. 4. Naylor AJ, Maorrow A. 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Veena SR, Krishnavenia GV, Willsb AK, Hillb JC, Karata Evidenze Indicazioni congiunte Sigenp/Siaip Emilia-Romagna sull’alimentazione complementare del lattante sano, nato a termine APPENDICE Considerazioni su Baby Led Weaning (BLW) e Autosvezzamento · · 29 I l BLW è un approccio alternativo alla Alimentazione Complementare del lattante che enfatizza la capacità del bambino di autoalimentarsi con cibo tenuto in mano piuttosto che attraverso somministrazione di alimenti cremosi al cucchiaino da parte dell’adulto1,2. Una definizione italiana del BLW è l’autosvezzamento proposto da Lucio Piermarini:consiste nel proporre al lattante il cibo della famiglia tritato e spezzettato3,4. Entrambi gli approcci prevedono consensualmente l’allattamento al seno a richiesta, l’inizio di alimentazione complementare al 6° mese e la condivisione con la famiglia del tempo del pasto Le implicazioni positive di questo approccio sono svariate: il valore sociale della condivisione del pasto, la promozione della autonomia del bambino, il risparmio di tempo e denaro per i famigliari e, forse, l’autoeducazione della famiglia ad uno stile alimentare piu sano. Un unico lavoro (anglosassone) tuttavia avrebbe dimostrato che le famiglie non modificano, verso uno stile più sano, le loro abitudini alimentari5. La scarsità di ricerca su BLW e autosvezzamentofavorisce tuttora il persistere di perplessità fra i pediatri. Rischio di inadeguatezza dell’intake di ferro a fronte di copiosa letteratura sui rapporti tra deficit di ferro e sviluppo cognitivo6. Le famiglie che aderiscono al BLW propongono inizialmente al bambino vegetali cotti a vapore che non costituiscono sorgente di ferro assorbibile1. Rischio di apporto eccessivo di NaCl. Il rapporto tra intake di sodio e ipertensione AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 SC. Glucose Tolerance and Insulin Resistance in Indian Children: Relationship to Infant feeding Pattern. Diabetologia 2011;54(10):2533–2537. 40. Beyerlein A, Chmiel R, Hummel S, Winkler C, Bonifacio E, Ziegler AG. Timing of gluten introduction and islet autoimmunity in young children: update results from the BABYDIET study. Diabetes care 2014;37:3194-5. 41. Virtanen SM, Nevalainen J et al. Food consumption and advanced b cell autoimmunity in young children with HLAconferred susceptibility to type 1 diabetes: a nested case-control design. Am J Clin Nutr 2012;95:471–8. 42. Koletzko B, Brands B, Demmelmair H. 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Scientific opinion on dietary reference values for energy, EFSA panel on dietetic products, nutrition and allergies (NDA). EFSA Journal 2013;11(1):3005. Evidenze Indicazioni congiunte Sigenp/Siaip Emilia-Romagna sull’alimentazione complementare del lattante sano, nato a termine nell’adulto è dimostrato fin dai primi mesi di vita7. E’ stato anche ipotizzato un rapporto tra intake eccessivo di NaCl e patologie autoimmuni8. Rischio di apporto calorico insufficiente: un unico lavoro anglosassone che ha confrontato 92 lattanti BLW e 63 lattanti svezzati al cucchiaino convenzionalmente avrebbe riscontrato nei 2 gruppi una aumentata incidenza rispettivamente di sottopeso e di sovrappeso9. Rischio di aspirazione per la possibilità che il lattante non abbia ancora maturato la necessaria coordinazione tra respirazione, masticazione e deglutizione. Il 30% di un campione di 199 lattanti neozelandesi ha avuto almeno un episodio di soffocamento con assunzione di cibo intero (mela). E’ possibile che questa percentuale elevata sia dovuta alla difficoltà delle famiglie a distinguere tra soffocamento (choking) e conati di vomito (gagging)10. È evidente inoltre che la necessità di competenze posturali e oro motorie non consente questo tipo di approccio prima del 6° mese. Significativamente le madri paiono capaci di operare sintesi efficaci che includono i vantaggi di entrambi gli approcci: uno studio neozelandese rileva che, nonostante molti genitori ritengano di seguire il BLW, ben pochi in realtà lo seguono rigorosamente (8%) mentre la maggior parte sceglie un approccio flessibile che prevede tanto la proposta di alimenti della famiglia ritenuti idonei, quanto la somministrazione di alimenti cremosi al cucchiaio che assicurino l’intake di ferro o l’apporto calorico in talune circostanze (es. malattia)10. · L a popolarità tra le famiglie di approcci alternativi allo svezzamento e le diversità etniche e culturali rendono necessarie ricerche ulteriori sul campo per valutarne la adeguatezza nutrizionale. Nell’attesa, la sintesi tra le due modalità verosimilmente già operata spontaneamente da molte famiglie, permette di cogliere le implicazioni positive della condivisione del pasto, assicurando nel contempo al piccolo bambino la adeguatezza nutrizionale, e la attenzione che si deve prestare al momento nel quale il lattante manifesta la propria “voglia” di sperimentare nuovi alimenti . Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse. Carlo Agostoni dichiara di aver ricevuto fees per conferenze e presentazioni in tema di nutrizione pediatrica, ma non in relazione a prodotti specifici. AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 30 · Conclusione Bibliografia 1. Cameron SL et al. How feasible is Baby led Weaning as an approach to Infant feeding? A Review of the evidence. Nutrients 2012 nov 2; 4 (11): 1575-609 2. Cameron SL et al. Healthcare professionals’ and mothers’knowledge of, attitudes to and experiences with Baby-Led Weaning: a content analysis study. 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Associations between complementary feeding practices and health-related behaviours in a survey of New Zealand families. BMJ Open 2012; 26: 2 (6): e 0001547 [ come s i fa ] La sindrome metabolica in età pediatrica: è tempo di ripensare i criteri diagnostici? L’ obesità e le sue complicanze metaboliche obesità viscerale, ipertensione arteriosa, che si associa ad un sono diventate una delle principali emergenze aumentato rischio di patologia cardiovascolare. Sebbene la sanitarie del XXI secolo. L’aumento epidemico patogenesi della sindrome metabolica non sia ancora comdell’obesità infantile osservato negli ultimi venti anni ha pletamente nota, le evidenze attualmente disponibili ideninfatti determinato la comparsa – anche in età tificano nell’insulino-resistenza e nella eccessiva Claudia Della Corte pediatrica – di patologie prima ad appannagproduzione di acidi grassi liberi le componenti Chiara Castellano gio esclusivo dell’età adulta, quali ad esempio la chiavi della sua insorgenza1. Nonostante la sua Federica Prono Antonella Mosca crescente prevalenza nella popolazione pediasindrome metabolica (SM) e il diabete mellito Valerio Nobili trica, ad oggi non è disponibile una definizione tipo 2 (DM2). La sindrome metabolica, descritta Struttura Semplice Malattie unanime di SM in questa fascia di età. Negli per la prima volta da Reaven alla fine degli anni Epato-Metaboliche ultimi anni diversi score diagnostici sono stati ’80, rappresenta un cluster di alterazioni metaOspedale Pediatrico boliche quali insulino-resistenza, dislipidemia, “Bambino Gesù”, Roma proposti dalle varie Società scientifiche al fine AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 Introduzione 31 Alla luce dell’ampliamento osservato nello scenario clinico della sindrome metabolica, appare necessario procedere ad una rivalutazione degli attuali criteri diagnostici. Come si fa La sindrome metabolica in età pediatrica: è tempo di ripensare ai criteri diagnostici? Vecchio scenario della Sindrome metabolica Comportamenti scorretti Nuovo scenario della Sindrome metabolica Comportamenti scorretti AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 32 Obesità Background genetico Fetal programming Obesità viscerale Insulino-resistenza/TDM Insulino-resistenza/TDM Dislipidemia Dislipidemia Ipertensione Ipertensione NAFLD OSAS Stato protrombotico/ proinfiammatorio Rischio cardiovascolare Rischio cardiovascolare Sindrome metabolica Sindrome metabolica di costituire un sistema di diagnosi oggettivo e unico per la SM in età pediatrica2. La maggior parte di questi score prevedeva però la trasposizione dei criteri utilizzati per gli adulti nei bambini, risultando dunque insoddisfacenti ed imprecisi. Il limite principale dell’applicabilità di questi score è rappresentato dal fatto che molti dei parametri valutati (body mass index [BMI], circonferenza vita [CV], pressione arteriosa, profilo lipidico) sono variabili continue, dipendenti dall’età. Nella Tabella 1 sono riportate le tre definizioni più comunemente utilizzate per la diagnosi di sindrome metabolica in età pediatrica. Come ampiamente riportato in letteratura, la prevalenza della SM, sebbene indiscutibilmente in aumento, in età pediatrica varia considerevolmente sulla base del tipo di score utilizzato per la diagnosi e del tipo di popolazione valutata, con stime che oscillano dal 2,2 al 9,4% nella stessa popolazione a seconda del sistema diagnostico utilizzato2. Inoltre, numerosi studi hanno dimostrato come la sindrome metabolica sia oramai da considerarsi una malattia sistemica, che colpisce diversi organi ed apparati in aggiunta ai suoi ben noti bersagli, modificando dunque l’attuale scenario di questa malattia (Fig. 1). Infatti, altre condizioni patologiche, come la steatosi epatica, le apnee del sonno, uno stato pro-trombotico e pro-infiammatorio, l’iperuricemia, la disvitaminosi D, la Iperuricemia Ipovitaminosi D PCOS policistosi ovarica, sono state considerate comunque manifestazioni della sindrome metabolica, rendendo la sua diagnosi ancor più difficile e ponendo importanti dubbi sulla completezza degli attuali criteri utilizzati per la sua diagnosi. Proprio in questa ottica, scopo di questa mini-review è quello di riconsiderare gli attuali criteri diagnostici della sindrome metabolica, ponendo l’attenzione sulle recenti evidenze di coinvolgimento di altri organi nella patogenesi e nel quadro clinico stesso della sindrome metabolica. Steatosi epatica (Non-Alcoholic Fatty Liver Disease – nafld) C on “Non-alcoholic fatty liver disease” (NAFLD) si fa riferimento ad uno spettro di patologia epatica che va dal semplice accumulo di grasso negli epatociti (la steatosi epatica semplice, o NAFL) a vari gradi di infiammazione e fibrosi fino alla cirrosi epatica (Non-Alcoholic SteatoHepatitis – NASH)3. Nell’ultimo decennio molti passi avanti sono stati fatti nella comprensione della patogenesi, delle implicazioni cliniche e del trattamento della steatosi epatica nei bambini. Sfortunatamente, a causa della scarsità di dati circa il suo Come si fa La sindrome metabolica in età pediatrica: è tempo di ripensare ai criteri diagnostici? La sindrome metabolica rappresenta una patologia emergente in età pediatrica caratterizzata da un cluster di alterazioni metaboliche in grado di aumentare il rischio di sviluppare patologie cardiovascolari e diabete mellito di tipo 2. follow up a lungo termine, la prognosi della NAFLD in età pediatrica non è ancora totalmente nota4. Per quanto concerne i meccanismi patogenetici che portano allo sviluppo della steatosi epatica in età pediatrica, molteplici fattori metabolici, principalmente l’insulino-resistenza, l’obesità viscerale e la dislipidemia, interagiscono tra loro creando un network di alterazioni metaboliche coinvolte nello sviluppo e nella progressione del danno epatico. È semplice notare come esista dunque una forte sovrapposizione tra i principali fattori patogenetici coinvolti nella insorgenza della SM e quelli coinvolti nella NAFLD, sulla base dei quali oramai la steatosi epatica è ampiamente considerata la manifestazione epatica della sindrome metabolica. Inoltre, i dati attualmente disponibili sembrano dimostrare non soltanto una stretta relazione tra NAFLD e SM, ma un vero e proprio ruolo chiave svolto dal grasso epatico ectopico nella insorgenza della SM4. Dal punto di vista clinico, molteplici studi hanno descritto una associazione tra NAFLD e SM e di recente uno studio caso-controllo condotto su 300 bambini con eccesso ponderale (150 sottoposti ad agobiopsia epatica vs 150 non sottoposti ad agobiopsia epatica) ha riportato che la presenza di componenti della SM è in grado di aumentare di 5 volte il rischio (odds ratio) di steatosi epatica5. Inoltre, 254 bambini arruolati nel Nonalcoholic Steatohepatitis Clinical Research Network (NASH CNR) sono stati inclusi in uno studio retrospettivo che ha confermato non soltanto una maggiore prevalenza della SM nei pazienti con NAFLD rispetto alla popolazione generale, ma anche una significativa associazione del grasso viscerale e della insulino-resistenza con la severità istologica del danno epatico, e principalmente con la fibrosi epatica6. Tutti questi dati rinforzano l’attuale idea che la NAFLD rappresenti una delle componenti della sindrome metabolica e suggeriscono il possibile ruolo della NAFLD nello sviluppo di complicanze metaboliche, anche a lungo termine. A tal proposito recentemente alcuni studi hanno riportato una associazione tra la steatosi epatica ed alterazioni cardiovascolari strutturali o funzionali, quali anomalie strutturali del ventricolo sinistro ed alterato Tabella 1. Criteri per la diagnosi di sindrome metabolica in età pediatrica Spesso precoce National Cholesterol Education Program/Adult Trial Panel III° American Heart Association (AHA)^ Età 10 – 16 anni > 16 anni 12–19 anni 12–19 anni Circonferenza addominale ≥ 90° percentile Nei caucasici ≥ 90 cm ≥ 90° percentile per età e sesso ≥ 90° percentile per età, sesso ed etnia Trigliceridi ≥ 150 mg/dl (≥ 1,7 mmol/l) ≥ 150 mg/dL (1.7 mmol/L) o terapia con farmaci ipolipemizzanti > 110 mg/dl (1.24 mmol/L) ≥ 110 mg/dl (1.24 mmol/L) HDLcolesterolo < 40 mg/dl (≤1,3 mmol/l) < 40 mg/dL (1.03 mmol/L) nei maschi < 50 mg/dL (1.29 mmol/L) nelle femmine o terapia con farmaci ipolipemizzanti < 40 mg/dL (1.03 mmol/L) ≤ 10° percentile per sesso ed etnia Glicemia a digiuno > 100 mg/dl (5.6 mmol/L) > 100 mg/dl (5.6 mmol/L) o DM2 > 110 mg/dl (6.1 mmol/L) ≥ 100 mg/dl (5.6 mmol/L) Pressione arteriosa (PA) PA sistolica ≥ 130 mmHg PA diastolica ≥ 85 mmHg PA sistolica ≥ 130 or PA diastolica ≥ 85 mm Hg o trattamento per una ipertensione precedentemente diagnosticata PA sistolica o diastolica > 90° percentile (specifico per età, sesso ed altezza) ≥ 90 percentile per età, sesso ed altezza Note: HDL – lipoproteine ad alta densità DM2 – diabete mellito tipo 2 * Per la diagnosi di SM, 3 dei 5 criteri devono essere presenti ^ Per la diagnosi di SM, devono essere presenti l’obesità viscerale e 2 dei 4 criteri ° Per la diagnosi di SM devono essere presenti almeno 3 criteri. 33 Criteri diagnostici per SM International Diabetes Foundation (IDF)* AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 Parametri Come si fa La sindrome metabolica in età pediatrica: è tempo di ripensare ai criteri diagnostici? metabolismo energetico cardiaco, indipendentemente da altre condizioni di rischio cardiovascolare e da altri fattori di rischio metabolici. Fintini et al hanno recentemente descritto la presenza di un precoce danno cardiaco, valutato ecocardiograficamente in termini di ipertrofia del ventricolo sinistro e di dilatazione dell’atrio sinistro in bambini affetti da NAFLD, dimostrando anche come la severità del danno cardiaco correli con la severità istologica della malattia epatica7. Concordemente a tali dati, Pacifico et al hanno recentemente analizzato in una review gli studi pediatrici attualmente disponibili su tale argomento, confermando che bambini obesi affetti da steatosi epatica presentano più frequentemente segni di disfunzione sisto-diastolica del ventricolo sinistro rispetto a pazienti obesi senza steatosi epatica e che i pazienti con patologia epatica più avanzata (NASH) hanno una più grave disfunzione cardiaca8. Alla luce dello stretto “interplay” clinico-patogenetico tra NAFLD e SM e del ruolo svolto dalla steatosi epatica nell’aumento del rischio cardiovascolare, appare chiaro come la NAFLD/NASH debba essere considerata una componente chiave della sindrome metabolica, imponendo un attento screening metabolico in tutti i pazienti affetti da NAFLD e, di converso, un approfondimento per NAFLD nei pazienti con sindrome metabolica diagnosticata. Apnee ostruttive del sonno (OSAS) AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 34 L a sindrome delle apnee ostruttive del sonno (OSAS) è caratterizzata da episodi di ipossia cronica intermittente con frammentazione del sonno, che, negli adulti, vengono considerati come la manifestazione respiratoria della sindrome metabolica. Infatti, in accordo con le indicazioni della International Diabetes Federation (IDF), gli adulti con OSAS dovrebbero essere screenati per patologie cardiovascolari e, di contro, una valutazione per apnee/ipopnee del sonno dovrebbe essere effettuata in tutti gli adulti con diabete e sindrome metabolica9. In concomitanza con l’epidemia di obesità in età infantile, è stato registrato un sensibile incremento della prevalenza delle OSAS nei bambini/adolescenti, tale che per ogni aumento di 1 kg/mq di BMI al di sopra della media prevista è descritto un aumento del rischio di OSAS del 12%10. Dati recenti dimostrano che le OSAS si associano ad un pattern di alterazioni vascolari e metaboliche, simile a quello secondario all’obesità, dovuto alla produzione di radicali liberi dell’ossigeno (reactive oxygen species – ROS), causata dall’ipossiemia cronica. Tale ipossiemia cronica è dunque in grado di aumentare gli effetti deleteri del tessuto adiposo sulla infiammazione sistemica e sulle componenti metaboliche associate a patologia vascolare e diabete, esacerbando dunque le complicanze metaboliche obesità-relate11. Infatti è stato riportato che i bambini affetti da OSAS presentano livelli più alti di pressione arteriosa, di proteina C reattiva, di insulinemia, così come anche una maggiore prevalenza di ipertrofia del ventricolo sinistro, dimostrando che le OSAS aumentano considerevolmente il rischio di sviluppare severe complicanze croniche cardiovascolari e metaboliche. Inoltre recentemente Nobili et al hanno dimostrato una stretta associazione tra OSAS e presenza e severità della NASH in un gruppo di pazienti pediatrici con steatosi epatica, indipendentemente dal grado di insulino-resistenza e dal grasso viscerale12. Dati emergenti in letteratura descrivono una interessante correlazione tra la patogenesi delle OSAS e della NASH, basata sulla induzione da parte dell’ambiente ipossico di accumulo di trigliceridi a livello epatico con conseguente progressione del danno verso l’infiammazione e la fibrosi. Sulla base delle recenti evidenze circa la relazione tra OSAS e NASH è stato raccomandato che i pazienti pediatrici affetti da steatosi epatica siano valutati anche per possibili apnee del sonno. Tale associazione apre inoltre un intrigante scenario sulle possibilità di intervento terapeutico sulle alterazioni metaboliche ed epatiche mediante la correzione delle apnee del sonno (trattamento ventilatorio notturno). Tuttavia, sono necessari ulteriori studi in questo campo emergente al fine di meglio definire il reale impatto della correzione dell’ipossiemia cronica sui parametri metabolici e istologici della NAFLD e della sindrome metabolica. Iperuricemia S ebbene i livelli di acido urico non siano stati inclusi negli attuali criteri diagnostici della sindrome metabolica, numerosi studi hanno già da tempo dimostrato una stretta associazione tra i livelli di uricemia e la sindrome metabolica o le sue componenti. In particolare, è stato riportato che l’iperuricemia si associa ad un aumentato rischio di patologia cardiovascolare e renale in età adulta13. La patogenesi della associazione tra acido urico e sindrome metabolica non è ancora completamente nota, ma sembra che l’insulino-resistenza giochi un ruolo principale. Infatti, l’iperinsulinismo induce un aumento del riassorbimento di sodio ed acido urico a livello del tubulo renale, spiegando almeno in parte tale associazione. In Come si fa La sindrome metabolica in età pediatrica: è tempo di ripensare ai criteri diagnostici? Ipovitaminosi d N ell’ultima decade numerosi studi hanno dimostrato la presenza di una relazione tra bassi livelli sierici di vitamina D e lo sviluppo di SM e malattie cardiovascolari. È stato descritto il ruolo indispensabile della vitamina D per il corretto funzionamento di molti organi e tessuti a prescindere dall’omeostasi calcica16. Molte evidenze hanno riportato una associazione inversa tra accumulo di adipe e bassi livelli di vitamina D, dovuti non soltanto al sequestro di questa vitamina liposolubile nel tessuto adiposo, ma anche all’effetto negativo delle adipocitochine prodotte dagli adipociti (ad esempio la leptina) sulla sintesi della forma attiva della vitamina D16. Ed infatti, l’ipovitaminosi D è stata correlata ad un aumentato rischio di sindrome metabolica, ipertensione arteriosa, diabete mellito, infarto del miocardio e malattie cardiovascolari in generale. Alla luce di tali osservazioni, uno dei trattamenti emergenti dell’obesità e della sindrome metabolica è proprio rappresentato dalla somministrazione orale di vitamina D, volto a correggere il deficit registrato. Gli studi al momento disponibili sembrerebbero dimostrare un effetto positivo della somministrazione di vitamina D sulle principali componenti della sindrome metabolica, quali dislipidemia, ipertensione arteriosa ed insulino-resistenza17. Inoltre, recenti evidenze suggeriscono che bassi livelli di vitamina D3 sono associati alla insorgenza della NAFLD ed alla sua gravità, indipendentemente da altri fattori metabolici presenti. Sebbene il meccanismo molecolare alla base di questa associazione non sia ancora completamente noto, è stato dimostrato che la forma attiva della vitamina D (1α-25-diidrossi-vitamina D3) sia in grado di modulare il pathway infiammatorio, di sopprimere la proliferazione dei fibroblasti e la conseguente produzione di collagene. In questa ottica è attualmente in corso in Italia il primo trial pediatrico basato sull’utilizzo della vitamina D nella NASH pediatrica (Trial gov, NCT02098317) i cui risultati definitivi sono attesi per il 2015. In conclusione, gli elementi finora disponibili sembrano dimostrare un effetto positivo della supplementazione di vitamina D sulle componenti della sindrome metabolica nei bambini ma altri studi sono necessari per identificare il dosaggio ottimale ed il timing del trattamento. AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 aggiunta, l’iperuricemia limita a sua volta la biodisponibilità dell’ossido nitrico, essenziale per l’azione dell’insulina. Pertanto, l’acido urico sembra essere esso stesso coinvolto nella patogenesi della insulino-resistenza, creando dunque un circolo vizioso associato con l’insorgenza della diverse componenti della SM13. Ad oggi, pochi sono i dati disponibili su questa correlazione nei pazienti pediatrici, sia per la difficile definizione di SM, a cui si è già fatta menzione, sia per i valori di riferimento età dipendenti dell’acido urico. Recentemente, in un gruppo di 148 bambini ispanici con eccesso ponderale è stata descritta una prevalenza di iperuricemia del 53% e nel gruppo di pazienti con iperuricemia sono stati rilevati peggiori parametri metabolici, quali più elevata circonferenza addominale, maggiori livelli di pressione arteriosa ed insulino-resistenza (HOMAIR). In questo studio il cut-off di acido urico associato ad un peggioramento dei parametri metabolici è stato 5,4 mg/dl14. In accordo con questi dati, studi successivi hanno riportato altre evidenze in merito alla esistenza di una associazione tra iperuricemia e SM. Pacifico et al hanno dimostrato non soltanto la presenza di una associazione tra iperuricemia e SM ma anche una associazione tra iperuricemia ed aterosclerosi carotidea15. Dati recenti suggeriscono infatti un importante effetto pro-aterogenico dell’acido urico dovuto all’aumento dello stress ossidativo, della disfunzione endoteliale, dell’infiammazione legati alla stessa iperuricemia13. Alla luce di tali dati, appare dunque evidente come l’iperuricemia dovrebbe essere considerata all’interno dello scenario della sindrome metabolica come un fattore di rischio indipendente nel determinare un aumento del rischio di patologia cardiovascolare anche in età pediatrica. 35 Al momento, sono disponibili in letteratura differenti score per la diagnosi di sindrome metabolica in età pediatrica, nessuno tuttavia unanimemente accettato, con conseguente discrepanza nella identificazione di tali pazienti. Come si fa La sindrome metabolica in età pediatrica: è tempo di ripensare ai criteri diagnostici? Conclusioni N ell’ultima decade, in seguito alla epidemia di obesità pediatrica, è stato osservato un importante aumento nella prevalenza della SM in bambini ed adolescenti. A causa della relativamente recente insorgenza della SM in età pediatrica, studi di follow up a lungo termine non sono disponibili. Tuttavia, è ragionevole attendersi che le alterazioni metaboliche osservate in bambini con eccesso ponderale avranno una drammatica ripercussione sulla loro salute in età giovanile-adulta, con conseguente peggioramento della aspettativa e della qualità di vita delle attuali generazioni pediatriche. Come precedentemente riportato, ad oggi la sindrome metabolica non è ancora stata univocamente definita in età pediatrica. Tuttavia, le recenti ricerche nel campo hanno dimostrato come oramai esistano altre manifestazioni cliniche della sindrome metabolica, non precedentemente considerate tra i suoi criteri diagnostici, ma ad essa strettamente connesse sia in termini di patogenesi che di prognosi. L’inclusione di tali condizioni nella diagnosi della SM appare dunque importante anche al fine di identificare in maniera più completa i pazienti a rischio, consentendone una più ampia valutazione. Le più recenti linee guida, infatti, raccomandano di screenare i pazienti affetti da sindrome metabolica anche per altre condizioni, come la NAFLD e le OSAS. Nella nostra opinione, alla luce degli stretti rapporti patogenetici di queste condizioni morbose tra loro e con la SM, tutte le attuali definizioni proposte per la diagnosi sindrome metabolica risultano non completamente soddisfacenti, in quanto non tengono conto di componenti cruciali di tale patologia. È dunque necessaria una accurata revisione degli attuali criteri diagnostici della SM, che includa anche queste condizioni emergenti, di per se stesse in grado di aumentare sensibilmente il rischio cardiovascolare. La definizione di nuovi criteri diagnostici permetterebbe inoltre di chiarire meglio, dal punto di vista epidemiologico, le reali dimensioni del problema “sindrome metabolica” in età pediatrica, consentendo finalmente di uniformare i criteri di valutazione utilizzati nei singoli pazienti. Inoltre, la creazione di un sistema diagnostico più preciso permetterebbe di rivalutare in maniera adeguata la popolazione pediatrica, consentendo dunque di identificare quel sottogruppo di pazienti a più elevato rischio di complicanze metaboliche e cardiovascolari e meritevole pertanto di un trattamento intensivo e precoce al fine di prevenire o rallentare lo sviluppo di complicanze in epoche precoci della vita . Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse. AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 36 Bibliografia 1. Biro FM et al. Childhood obesity and adult morbidities. Am J Clin Nutr 2010;91(5):1499S-505S. 2. Kassi E et al. Metabolic syndrome: definitions and controversies. BMC Med 2011;9:48. 3. Brunt EM. Nonalcoholic fatty liver disease: what the pathologist can tell the clinician. Dig Dis 2012;30 Suppl 1:61-8. 4. Alisi A et al. Pediatric nonalcoholic fatty liver disease. Curr Opin Gastroenterol 2013;29(3):279-84. 5. Kelishadi R et al. Association of the components of the metabolic syndrome with nonalcoholic fatty liver disease among normal weight, overweight and obese children and adolescents. Diabetol Metab Syndr 2009;1:29. 6. Patton HM et al. Association between metabolic syndrome and liver histology among children with nonalcoholic fatty liver disease. Am J Gastroenterol. 2010;105:2093-102. 7. Fintini D et al. Early left ventricular abnormality/dysfunction in obese children affected by NAFLD. 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Il quadro clinico si caratterizza per la presenza di almeno un dato tra febbre (T> 37,5°C), leucocitosi (GB> 13000/ml), aumento della VES (>20mm/h) ed emocoltura positiva, associata ad una o più delle seguenti: presenza di segni locali di flogosi, positività della scintigrafia ossea con 99mTc, alterazioni indicative di osteomielite alla RX, TC o RMN1. Le osteomieliti possono essere distinte in acute, subacute o croniche. La forma acuta, più frequente in età pediatrica, è caratterizzata dall’insorgenza acuta di febbre e dolore osseo che, in caso di coinvolgimento degli arti inferiori o superiori, può determinare zoppia e/o non uso dell’arto. L’incidenza di OA nei bambini dei Paesi sviluppati si aggira intorno a 1:5000 casi/anno, con una frequenza doppia nei maschi rispetto alle femmiAnna Fedi ne (M:F=2:1); questo si può in parte Sandra Trapani attribuire alla maggior incidenza di Donatella Lasagni Tommaso Bondi traumi nel sesso maschile. In generaMassimo Resti le le osteomieliti sono più frequenti Dipartimento di Pediatria – Università nei bambini più piccoli, in rapido di Firenze e Azienda accrescimento osseo, con picco di Ospedaliero-Universitaria incidenza intorno a 3 anni. Circa la Meyer, Firenze AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 Definizione ed epidemiologia 37 La prognosi dell’OA è oggi molto buona: mortalità inferiore all’1% nei Paesi sviluppati e complicanze piuttosto rare, pur con il rischio di disabilità a lungo termine. Come si fa Osteomielite acuta in età pediatrica Tabella 1. Microrganismi isolati da pazienti con osteomielite e loro associazione clinica Associazione clinica più frequente Microrganismo Microrganismo più frequente in Staphylococcus aureus (meticillino – ogni tipo di osteomielite sensibile o resistente) Infezione associata alla presenza Stafilococchi coagulasi-negativi o di corpi estranei Propionibacterium spp. Forme associate a infezioni nosocomiali Enterobacteriaceae, Pseudomonas aeruginosa, Candida spp. Associazione con morsi/punture/ Streptococchi e/o batteri anaerobi ferite, piede diabetico o ulcere da decubito Drepanocitosi Salmonella spp., S. aureus, o Streptococcus pneumoniae Infezione da HIV Bartonella henselae o Bartonella quintana Morsi umani o animale Pasteurella multocida o Eikenella corrodens Pazienti immunocompromessi Aspergillus spp., Candida albicans, o Mycobacteria spp. Popolazioni ad elevata prevalenza di tubercolosi Mycobacterium tuberculosis Popolazioni in cui alcuni patogeni sono endemici Brucella spp., Coxiella burnetii, funghi che si trovano in specifiche aree geografiche (coccidiodomicosi, blastomicosi, istoplasmosi) Modificata da Lew DP, Waldvogel FA. Osteomyelitis. Lancet 2004;364:369-379 Tabella 2. Meccanismi patogenetici dell’osteomielite acuta in età pediatrica Via ematogena focolai infettivi distanti (cute, vie respiratorie e urinarie, etc.), colonizzazione cateteri intravascolari Contaminazione diretta o per continuità traumi di entità più o meno rilevante e microtraumi ripetuti, lesioni causate da ferite profonde e penetranti, punture e morsi di animali, procedure terapeutiche (es: vaccinazioni), diagnostiche (es: prelievi di routine) o chirurgiche e manovre invasive in generale AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 38 Contaminazione indiretta processo infettivo dei tessuti molli circostanti o per contiguità (cellulite, sinusite, mastoidite, etc.) metà dei casi si verifica al di sotto dei 5 anni e, di queste, il 25% in bambini al di sotto di un anno2,3. L’osteomielite del bambino più piccolo, spesso acuta, per cause anatomiche e di vascolarizzazione dell’epifisi può complicarsi con artrite settica, infezioni dei tessuti molli e pseudoparalisi delle estremità coinvolte. Inoltre nei neonati e nei lattanti l’OA può più spesso essere multifocale4. Eziopatogenesi A tutte le età, l’agente eziologico più frequente è Staphylococcus aureus seguito da Streptococco β emolitico di gruppo A (SβEGA) e Haemophilus influenzae tipo b (Hib), che riveste un ruolo maggiore nei Paesi economicamente meno sviluppati, dove il vaccino non è disponibile. La percentuale di emocolture e colture ossee positive varia dal 20% al 90% e S. aureus è generalmente responsabile di oltre l’80–90% di questi casi. L’epidemiologia dell’OA si è recentemente modificata, per l’aumentata incidenza di forme causate da S.aureus meticillino-resistente acquisito in comunità (CA-MRSA), che si caratterizzano per interessamento osseo multifocale, decorso più aggressivo e maggior frequenza di complicanze3. CA-MRSA causa circa il 10% delle osteomieliti nella maggior parte dei Paesi, ma sta assumendo crescente importanza negli USA, dove è responsabile di circa il 40-50% dei casi di OA . Altri agenti eziologici sono: Streptococcus pneumoniae (soprattutto sotto i 2 anni di età), Pseudomonas aeruginosa (bambini immunocompromessi o forme di OA del piede, da ferite penetranti), enterobatteri Gram-negativi, streptococchi di gruppo B e più raramente Kingella kingae, Bartonella henselae e Brucella melitensis nelle forme a localizzazione vertebrale, Salmonella spp (pazienti con drepanocitosi), Candida spp e Aspergillus spp (bambini immunocompromessi e neonati), Yersinia enterocolitica nei talassemici e Mycobacterium tubercolosis, raro nei Paesi economicamente più sviluppati, ma ancora frequente in quelli meno sviluppati, soprattutto dopo la rapida diffusione dell’infezione da HIV. M. tuberculosis ha un elevato tropismo per la colonna vertebrale (nel 50% dei casi si localizza in tale sede) e per la sinovia, ma interessa anche segmenti ossei al di fuori delle scheletro assiale2. Un’eziologia polimicrobica è più comune nei bambini con OA da traumi o da infezioni dei tessuti molli contigui (Tabella 1). La patogenesi dell’OA è ampiamente conosciuta; la diffusione dell’infezione all’osso avviene attraverso tre vie: ematogena, più frequente nel neonato e nel bambino con normale assetto immunitario; continuità o contaminazione diretta, più comune nei bambini più grandi e negli adulti; · · L’OA è una patologia in aumento negli ultimi anni, specie in età pediatrica. Talora diagnosticata con ritardo, dovrebbe considerarsi una “urgenza clinica”, dal momento che un suo tempestivo riconoscimento e un’adeguata terapia antibiotica ne determinano la guarigione, evitando cronicizzazione e complicanze. Come si fa Osteomielite acuta in età pediatrica Localizzazione e sintomatologia L e più frequenti localizzazioni sono femore e tibia (⅔ dei casi), seguiti dagli arti superiori (20%) che, insieme al calcagno costituiscono le seconde sedi per frequenza; cranio, bacino e rachide costituiscono il restante 10%. L’osteomielite pelvica non è molto comune e si riscontra in circa il 2–11% dei casi e in bambini più grandi (> 7 anni). La localizzazione è in genere unica, ma sono possibili focolai multipli in caso di grave processo setticemico. La sede è in genere la metafisi. Nei bambini con anemia falciforme, sono invece tipicamente interessate le diafisi delle ossa lunghe, probabilmente come conseguenza di precedenti infarti ossei associati a impilamento dei globuli rossi e vasocclusione. Può concomitare artrite dell’articolazione adiacente che può essere sterile (se la metafisi ossea, sede primaria di infezione, è extra-articolare come in caso di OA di tibia e femore) oppure settica (in caso di metafisi intra-articolare, come accade se è interessata l’anca). La OA si presenta con insorgenza acuta di dolore osseo molto vivo alla digitopressione, zoppia e/o non uso dell’arto interessato, calore e rossore sovrastante se il pus ha perforato il periostio, febbre di tipo settico; non sempre però quest’ultima è presente fin dall’inizio con tali caratteristiche. Il dolore spontaneo o evocato è presente dal 65% al 100% dei casi. La limitazione funzionale si verifica nel 50% circa dei bambini, mentre la pseudoparalisi in percentuale variabile dal 52% all’84%. I segni locali di flogosi possono o meno essere presenti all’esordio: la tumefazione è riferita dal 54% al 79% dei casi; il calore e l’iperemia nel Diagnosi L a diagnosi di osteomielite, principalmente clinica, si pone in presenza di due dei seguenti aspetti: segni clinici (febbre, dolorabilità localizzata, eritema, edema); aspirazione di materiale purulento dall’osso; emocoltura o coltura ossea positiva; evidenza di osteomielite a RX, scintigrafia o RMN. L’emocoltura dovrebbe essere sempre richiesta in caso di dolore osseo e febbre; se positiva permette di individuare l’agente eziologico responsabile e confermare la diagnosi. L’esame colturale su aspirato o biopsia ossea consente una diagnosi definitiva in caso di OA ematogena. Nei casi in cui entrambe queste metodiche forniscono risultato negativo, un esame istologico su biopsia ossea può rilevare le alterazioni infiammatorie tipiche dell’osteomielite. Si sottolinea inoltre come le metodiche di biologia molecolare quali la Polymerase Chain Reaction (PCR), rendano possibile l’identificazione del genoma batterico su sangue periferico 39 più raramente responsabile dello sviluppo di OA. In relazione ai tre diversi meccanismi patogenetici, numerosi sono i possibili fattori di rischio: focolai infettivi distanti (cute, vie respiratorie e urinarie), traumi più o meno rilevanti e microtraumi ripetuti (in circa ⅓ dei casi), ferite profonde e penetranti, punture o morsi di animali, particolari manipolazioni chirurgiche, procedure terapeutiche (vaccinazioni) e diagnostiche (puntura lombare, prelievi di routine, puntura dal tallone per esami di screening, etc.), processi infettivi dei tessuti molli circostanti (cellulite, sinusite, mastoidite, etc). Un rischio maggiore è associato anche alla concomitanza di patologie quali diabete mellito, emoglobinopatie come anemia falciforme, malattie granulomatose croniche e stati di immunodeficienza congenita e acquisita (Tabella 2). 27–68% e nel 16–82% dei casi rispettivamente. Anche per la febbre, le percentuali variano dal 40% al 93%. Questo sottolinea come, anche in apiressia, sia possibile il sospetto diagnostico di OA1‑4. È importante sottolineare, però, che le manifestazioni cliniche differiscono in base all’età del paziente e al sito di infezione. L’OA nel neonato si manifesta tipicamente 2–8 settimane dopo la nascita con esordio subdolo: il neonato può presentarsi apparentemente in buone condizioni generali senza segni/sintomi sistemici, con solo tumefazione locale o ridotta mobilità dell’arto interessato (pseudoparalisi); questo è legato principalmente allo scarso sviluppo del suo sistema immunitario, incapace di montare un’adeguata risposta immune5. Nel lattante i sintomi sistemici possono invece prevalere su quelli locali ed il quadro clinico è più simile alla sepsi. Le osteomieliti a sede vertebrale e pelvica, benché rare, pongono particolari difficoltà diagnostiche. L’osteomielite vertebrale, più frequente a sede lombosacrale e nei bambini di oltre 8 anni, può infatti essere inizialmente asintomatica anche per 3–4 mesi, per poi presentarsi acutamente con la comparsa di febbre e dolore sordo e costante alla schiena5. Per le osteomieliti pelviche, invece, la difficoltà risiede nella tardiva diagnosi definitiva. La sintomatologia (febbre, zoppia e dolore localizzato ad anche, glutei, inguine) suggerisce in prima battuta un’artrite settica dell’anca, molto più frequente dell’osteomielite pelvica. L’esame obiettivo rivela insorgenza di dolore associato alla mobilizzazione dell’anca, ma il range di movimento è conservato. AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 o contaminazione indiretta da un focolaio · contiguità infettivo adiacente, che costituisce il meccanismo Come si fa Osteomielite acuta in età pediatrica AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 40 Figura 1a. RX bacino e femore destro in paziente con quadro di osteomielite acuta da S. aureus a carico del femore destro e piomiosite dell’arto inferiore destro. Figura 1b. RX arto inferiore destro in paziente con quadro di osteomielite acuta da S. aureus a carico del femore destro e piomiosite dell’arto inferiore destro. Figura 1c. Particolare RX femore distale e ginocchio destro in paziente con quadro di osteomielite acuta da S. aureus a carico del femore destro e piomiosite dell’arto inferiore destro. o su materiale infetto, anche in cado di esame colturale negativo. L’identificazione dell’agente patogeno, con una qualsiasi delle metodiche sopra citate, è possibile complessivamente nel 5–60% dei casi. Gli esami ematochimici, pur aspecifici, sono comunque molto utili al momento del sospetto clinico e della diagnosi iniziale. La conta dei GB non è un indice molto sensibile, risultando spesso normale; un loro aumento non è quindi da considerarsi un indicatore affidabile. L’emocromo con formula deve comunque sempre essere eseguito, dato che la leucemia è fra le patologie da porre in diagnosi differenziale. Nelle diverse casistiche VES e PCR risultano aumentate in percentuali variabili6,7. La PCR aumenta nell’arco di 24–48 ore dall’esordio e torna a valori normali dopo una settimana di adeguata terapia; la sua rapida cinetica è utile per monitorare la risposta al trattamento e predire il decorso della malattia con una sensibilità maggiore rispetto a VES e conta dei GB. La VES invece aumenta più lentamente e ritorna ai valori normali in circa 3-4 settimane. Un lavoro di Lorrot sul ruolo dei marker di flogosi nelle infezioni osteoarticolari, riporta un aumento della VES e della PCR nell’80% dei casi o più, rispettivamente6. I risultati di Georgens si discostano poco dai suddetti, mentre quelli di Peltola et al, mostrano percentuali maggiori: aumento della PCR nel 95% dei casi e della VES nel 94%. Quest’ultimo lavoro ribadisce il ruolo preponderante della PCR, ma sottolinea che l’incremento combinato di PCR e VES fornisce una sensibilità assai elevata (pari al 98%) nella diagnosi di infezioni osteoarticolari7. Pertanto, in un quadro di febbre e dolore osseo, l’aumento di uno o di entrambi questi parametri rappresenta un forte elemento di sospetto. Di recente anche la procalcitonina (PCT) è stata proposta come marker utile nel predire severe infezioni, ma la sua sensibilità in caso di infezioni osteoarticolari sembra essere bassa6. La diagnosi definitiva di OA si ottiene con gli esami strumentali, utili per definire sede ed estensione di malattia e rilevare l’eventuale presenza di raccolte purulente o il coinvolgimento di strutture adiacenti come spazio epidurale, fisi ed epifisi o articolazioni. In tutti i pazienti con sintomi localizzati per sospetta OA è raccomandata l’esecuzione di una RX standard all’esordio, con cui è possibile escludere la presenza di fratture o malignità, condizioni che ne mimano la sintomatologia3,8. Essa, nella maggior parte dei casi, è normale e può restare tale per i primi 10–20 giorni. Sono infatti necessari almeno 3 giorni dopo la colonizzazione batterica dell’osso per osservare le prime alterazioni a carico dei tessuti molli, almeno una settimana per visualizzare la tumefazione dei muscoli e dei tessuti sottocutanei e l’obliterazione dei piani fasciali e fino a due settimane perché si apprezzino scollamento periostale, neoformazione ossea e lesioni litiche (anomalie specifiche dell’OA): prima che queste ultime si rendano visibili oltre il 50% della matrice ossea deve essere erosa (Fig. 1a, b, c). La percentuale di RX patologiche all’esordio riportata in letteratura è molto variabile e, solo in alcuni lavori, sovrapponibile. La presenza di risultati così contrastanti può essere at- Come si fa Osteomielite acuta in età pediatrica microcircolazione ossea da parte del pus in presenza di un ascesso. Un quadro scintigrafico “freddo”, da valutare con attenzione, solitamente è indicativo di malattia più avanzata o aggressiva, che richiede trattamento più intensivo. La specificità della scintigrafia oscilla fra il 70% e il 85%1–3 e la quota relativamente elevata di falsi positivi è legata alla difficoltà nel differenziare l’OA da una flogosi dei tessuti molli o delle articolazioni adiacenti; la specificità è inoltre ridotta in presenza di recenti traumi, recenti interventi chirurgici, diabete, protesi. L’introduzione di metodiche multifase (bifasica o trifasica) ne ha migliorato la specificità. La scintigrafia trifasica con 99mTc nella OA mostra un aumento di uptake nelle prime due fasi (fase angiografica e del blood pool), seguito da un ulteriore incremento focale di uptake a livello del segmento osseo interessato (fase osteotropa). Una scintigrafia positiva nelle tre fasi indica la presenza di osteomielite con una sensibilità elevata, che oscilla dal 73% al 100%8. La scintigrafia risulta una tecnica vantaggiosa: si positivizza precocemente (di solito nelle prime 48 ore dall’esordio); i risultati sono disponibili rapidamente; ha un’elevata sensibilità; è relativamente poco costosa; di rado richiede la sedazione del piccolo paziente; consente di visualizzare l’intero scheletro. Quest’ultimo aspetto è molto utile nei bambini più grandi in cui si sospetti un’osteomielite cronica multifocale e nei neonati, che spesso hanno localizzazioni multiple di malattia. Gli svantaggi sono, invece, la bassa sensibilità nelle forme neonatali (<30%), la bassa sensibilità e specificità nelle forme pelviche e vertebrali e la necessità di dosi di radiazioni relativamente elevate9. La RMN è attualmente la migliore indagine strumentale, in termini di sensibilità e specificità, nei pazienti in cui segni e sintomi siano ben localizzati; se, al contrario, le manifestazioni cliniche non consentono una precisa localizzazione, è preferibile in prima istanza l’esecuzione della scintigrafia ossea total-body. La RM ha il vantaggio di avere sia elevata sensibilità (82–100%) che specificità (75–96%). Unici svantaggi sono i costi elevati e i lunghi tempi di esecuzione che possono richiedere la sedazione. La diagnosi si pone in presenza di due dei seguenti aspetti: segni clinici (febbre, dolorabilità localizzata, eritema, edema); emocoltura o coltura ossea positiva; aspirazione di materiale purulento dall’osso; evidenza di osteomielite all’imaging diagnostico. 41 · · · · · · AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 tribuita alla sua scarsa sensibilità, rispetto alle altre tecniche diagnostiche. L’ecografia, per quanto non invasiva, è una tecnica operatore-dipendente; in mani esperte le modificazioni in corso di OA si rendono evidenti non prima di 48 ore dall’inizio dell’infezione, tempo comunque inferiore a quello della RX. È particolarmente utile nel mostrare il grado di interessamento di tessuti molli e muscolari, la presenza di raccolte fluide sottoperiostali e l’eventuale concomitanza di artrite settica. Nei bambini con drepanocitosi l’ecografia, in grado di distinguere la flogosi da un infarto osseo, dovrebbe essere eseguita come primo esame strumentale. Alterazioni ecografiche precoci e indicative di OA comprendono la tumefazione dei tessuti molli juxtacorticali associata a sollevamento o ispessimento del periostio; un’aumentata reazione periostale con successiva formazione di raccolte sottoperiostali (nei ⅔ dei casi) e, più raramente, di un ascesso periostale; infine si rendono evidenti brecce ed erosioni corticali9. Non esiste opinione concorde sulla reale utilità di questa metodica nell’iter diagnostico dell’OA; numerosi lavori mostrano la sua scarsa utilità in questo campo, accanto ad altri che ne documentano una sensibilità e specificità elevate. Scintigrafia e RMN risultano essere le metodiche più accurate all’esordio di malattia. Per la scintigrafia, la maggior parte dei Centri utilizza fosfati o fosfonati, come il metilene difosfonato, marcati con tecnezio 99-m (99mTc-MDP); questi composti formano legami covalenti con i cristalli di idrossiapatite, mentre fluiscono all’interno dell’osso. L’uptake è aumentato in caso di aumentato flusso sanguigno, infiammazione e attività osteoblastica alterata. A causa dell’aumentata vascolarizzazione della regione metafisaria, nei neonati e nei bambini più piccoli, sono necessarie immagini di alta qualità e risoluzione per differenziare l’aumentato uptake fisiologico da quello patologico. La sensibilità di questa tecnica nella diagnosi di OA oscilla fra il 60% e il 95%3,8. Oltre il 90% delle scintigrafie ossee positive mostra immagini “calde” da incrementato uptake del radiofarmaco causato da un aumento dell’attività osteblastica e dall’iperemia dell’osso e dei tessuti molli. Le aree “fredde” (da ridotto uptake), meno comunemente indicative di OA, sono invece dovute all’ischemia focale, provocata dalla compressione della Come si fa Osteomielite acuta in età pediatrica AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 42 A tutte le età, l’agente eziologico più frequente è lo Staphylococcus aureus. Numerosi altri patogeni devono essere considerati però qualora dall’anamnesi emergano fattori o patologie predisponenti allo sviluppo di OA. La ipointensità del midollo osseo nelle immagini T1pesate (legata a infezione e infiammazione attiva) rappresenta l’alterazione più suggestiva di OAE, con sensibilità prossima al 100%8. Il reale vantaggio della RMN consiste nella sua capacità di fornire informazioni anatomiche molto dettagliate, delineando il coinvolgimento dei tessuti molli (raccolte fluide, ascessi, tenosinoviti), muscolari e delle strutture articolari1. È inoltre molto utile in contesti particolari: nei neonati e nei bambini piccoli permette di definire con precisione il coinvolgimento cartilagineo (incluse le regioni di accrescimento osseo); nelle osteomieliti vertebrali e pelviche, individua precocemente la formazione di un eventuale ascesso; nei casi che necessitano di chirurgia guida gli interventi stessi; permette la diagnosi nei casi di forte sospetto, con scintigrafia ossea negativa8. La TC fornisce immagini dell’osso e dei tessuti molli circostanti ad elevata risoluzione spaziale e di contrasto; può fornire una dettagliata rappresentazione della zona corticale e della sua distruzione, della reazione periostale e delle alterazioni dei tessuti molli. Ha però un ruolo limitato nella diagnosi di OA nel neonato e nel bambino in generale; è utilizzata primariamente con lo scopo di delineare con precisione l’estensione del processo flogistico, soprattutto in zone anatomicamente complesse quali l’articolazione sacro-iliaca e la colonna vertebrale. La sensibilità e la specificità della TC nella diagnosi di OA non sono note con precisione, ma risultano certamente inferiori a quelle della RM. Il suo utilizzo dovrebbe quindi essere limitato a particolari circostanze e non dovrebbe far parte dell’usuale iter diagnostico8. Approccio terapeutico L a terapia dell’OA si basa principalmente sull’utilizzo di antibiotici per via endovenosa, da somministrare il più precocemente possibile, in quanto la prognosi dipende essenzialmente dalla rapidità con cui viene instaurata la terapia. La scelta della terapia antibatterica è inizialmente empirica, basata sull’età del paziente e sul più probabile patogeno in causa, tenendo conto sia del potere battericida del farmaco, sia della sua capacità di penetrazione nell’osso. Attualmente si ricorre con sempre maggiore frequenza all’associazione di due antibiotici ad attività sinergica. L’utilizzo di approcci terapeutici peculiari e di farmaci antibatterici per coprire microrganismi Gram-negativi o inusuali dovrebbe essere riservato a particolari categorie di pazienti come neonati, immunocompromessi, bambini con drepanocitosi, con ferite penetranti del piede e fratture scomposte, soggetti provenienti da zone ad elevata prevalenza di CA-MRSA o a copertura vaccinale bassa o nulla per Hib. Nel trattamento empirico iniziale, rimanendo lo S. aureus l’agente eziologico più frequente, si raccomanda l’impiego di una penicillina anti-stafilococcica semisintetica, penicillinasi-resistente (es: oxacillina). La clindamicina costituisce un’alternativa per i pazienti allergici alle beta-lattamine; oltre alla buona attività anti-stafilococcica, la clindamicina ha un’ampia attività anche contro gli anaerobi e può essere utile in caso di infezioni da ferite penetranti o da fratture scomposte. L’utilizzo delle cefalosporine di terza generazione da sole non è considerato sufficiente, data la loro scarsa copertura per S. aureus, ma trova un’applicazione in associazione alla penicillina. Nelle OA sostenute da CA-MRSA, la scelta terapeutica iniziale è controversa e si basa sui pattern locali di suscettibilità; le opzioni terapeutiche più accreditate sono: teicoplanina, clindamicina come singola terapia; l’aggiunta di gentamicina a una penicillina β-lattamasi-resistente; vancomicina (non da tutti raccomandata per il rischio di emergenza di organismi resistenti); linezolid10. Condizioni particolari impongono modificazioni all’uso empirico degli antibiotici. Nei pazienti con drepanocitosi, i batteri enterici Gram-negativi (Salmonella) sono comuni patogeni al pari di S.aureus; le cefalosporine ad ampio spettro quali il cefotaxime e il ceftriaxone devono essere aggiunte agli anti-stafilococcici. Per i pazienti immunocompromessi è consigliabile instaurare sempre una terapia combinata: vancomicina e ceftazidime o piperacillina-clavulanato e un aminoglicoside sono le associazioni più spesso riportate in letteratura. In seguito all’identificazione dell’agente eziologico, la terapia antibatterica può essere modificata sulla base dell’antibiogramma. Se il patogeno non è identificato ma le condizioni del paziente Come si fa Osteomielite acuta in età pediatrica la scelta dei pazienti da candidare alla terapia sequenziale deve essere quindi fatta con attenzione13,14. Il trattamento chirurgico dell’OA non è ancora stato oggetto di studi prospettici randomizzati, pertanto non è attualmente codificato un approccio standardizzato. Quando si ottiene un aspirato sottoperiostale o metafisario francamente purulento, è generalmente indicata una procedura di drenaggio chirurgico. Un debridement chirurgico può essere indicato anche in caso di ferite penetranti, presenza di osso necrotico, o in caso di fallimento della terapia antibiotica. Conclusioni OA risulta essere una patologia di grande interesse e in aumento negli ultimi anni, specie in età pediatrica. Tale condizione è talora diagnosticata con ritardo; è invece da considerarsi una vera e propria “urgenza clinica”, dal momento che un suo tempestivo riconoscimento e quindi un’adeguata terapia antibiotica ne determinano la guarigione, evitando sia la cronicizzazione che le complicanze (deformità scheletriche, arresto della crescita e lesione delle cartilagini articolari). La diagnosi delle patologie muscolo-scheletriche è essenzialmente clinica, basata su anamnesi e su un’attenta valutazione della sintomatologia generale e dell’obiettività locale. Le manifestazioni cliniche all’esordio di un quadro di OA, riportate nelle diverse casistiche in letteratura, sono pressoché sovrapponibili sottolineando come la presenza di dolore, limitazione funzionale/zoppia e segni locali di flogosi costituiscano un importante elemento di sospetto. La febbre, pur essendo un importante segno clinico riscontrato in molti casi, può tuttavia non essere presente. Gli esami di laboratorio non sono specifici: gli indici di flogosi hanno una buona sensibilità, ma una bassa specificità e possono, in alcuni casi, risultare normali. Perciò solo la combinazione di segni clinici (febbre, dolore, limitazione funzionale) e di VES e PCR aumentate rendono fortemente sospetta una forma settica. Dalla nostra analisi della letteratura emerge che, pur rimanendo la RX standard, l’esame di prima istanza con cui escludere rapidamente altre condizioni cliniche che possono mimare la sintomatologia della OA è la RM, in grado di fornire nella quasi totalità dei pazienti la conferma precoce del sospetto diagnostico. Anche la scintigrafia si è rivelata un’indagine sensibile che fornisce indicazioni utili, specie in situazioni particolari. In conclusione, pur essendo gli esami di laboratorio e strumentali un utile supporto per la diagnosi e il monitoraggio del processo infettivo, il gold 43 L’ AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 migliorano, si prosegue la terapia antibiotica intrapresa; al contrario, in assenza di riduzione della PCR o di miglioramento clinico entro 48–72 ore si impone una revisione della scelta terapeutica e deve essere valutata la possibilità di una aspirazione, biopsia o intervento chirurgico, così come di una patologia non infettiva. Pertanto, nei primi giorni di terapia parenterale, la valutazione delle condizioni cliniche resta lo strumento più importante per stimare la risposta alla terapia, associata alla valutazione dei parametri di laboratorio – conta dei globuli bianchi, VES, PCR6,7. Tradizionalmente, la terapia parenterale viene eseguita per un periodo di 4–6 settimane. Attualmente in letteratura non c’è unanime consenso a proposito della via di somministrazione e della durata adeguata della terapia antibiotica per l’OA nei bambini, passando dai 3 giorni di Cole11 ai 21–50 di Dich e Nelson12. Nei bambini sono stati da tempo suggeriti trattamenti più brevi e con una terapia sequenziale parenterale-orale. Alcuni studi osservazionali datati mostrano un’associazione fra breve durata della terapia antibiotica (inferiore a tre settimane) e peggiore outcome o ricadute più frequenti12. Al contrario, altri studi dimostrano come si ottenga una completa guarigione con assenza di fallimenti terapeutici, dopo una terapia endovenosa di breve durata seguita da un ciclo di terapia antibiotica orale per 3–4 settimane13 e come non si riscontrino differenze nel tasso complessivo di guarigioni dopo 6 mesi di follow-up fra gruppi di pazienti trattati con terapia antibiotica parenterale di breve e lunga durata prima della transizione alla terapia orale. Sebbene si sia cercato di dimostrare, con risultati incoraggianti, l’efficacia e la sicurezza di una terapia endovenosa di breve durata (3–7 giorni), è importante sottolineare che non sono stati mai condotti trial randomizzati controllati né studi comparativi e che i dati a nostra disposizione derivano solo da studi osservazionali o retrospettivi. Pertanto un trattamento della durata di 4–6 settimane è considerato ancora lo standard terapeutico14. La maggior parte degli autori concorda nel sostenere che la durata del trattamento deve essere individualizzata e che la decisione di iniziare la terapia orale dovrebbe essere presa sulla base delle condizioni del singolo paziente, dopo attenta valutazione del miglioramento di segni clinici e di laboratorio. I pazienti con presentazione atipica di malattia, immunocompromessi o con patologie sottostanti, con infezioni fungine o micobatteriche, con indizi di cronicità, complicanze o risposta ritardata alla terapia, sono sottoposti a un trattamento parenterale e orale di maggiore durata e ad uno stretto follow-up, per evitare l’insorgere di complicanze. Viste le conseguenze che possono derivare da un eventuale fallimento terapeutico, Come si fa Osteomielite acuta in età pediatrica standard per la diagnosi di forme settiche osteo-articolari si fonda sul sospetto clinico del pediatra di fronte ad un bambino con dolore osseo. Caso Clinico F. 6 anni, si reca dal curante per febbre e dolore alla gamba sinistra da 3 giorni. Negati traumi; non segni locali di flogosi. Viene prescritta terapia antibiotica, antiinfiammatoria e steroidea. Successivamente scompare la febbre ma aumenta il dolore, anche notturno e compaiono iperemia cutanea e tumefazione sotto il ginocchio sinistro per cui viene condotta al PS dove esegue: esami ematici: VES 75 mm/h; PCR 4,48 mg/dl; RX gamba: rarefazione alla metafisi prossimale della tibia sinistra; ecografia ginocchio: falda fluida e imbibizione dei tessuti molli. La paziente viene ricoverata. All’ingresso è febbrile; l’esame articolare mostra area calda, arrossata, tumefatta, dolente alla palpazione a livello del 3° prossimale tibia sinistra. Nel sospetto di osteomielite si inizia terapia con ceftriaxone e oxacillina. L’emocoltura è positiva per Staphylococcus aureus. Nei primi giorni l’area di flogosi si estende, la febbre persiste e la PCR incrementa (11 mg/dL). Per tale motivo si sostituisce oxacillina con vancocina. La RM della gamba mostra estesa disomogenea alterazione di segnale al terzo prossimale tibia sinistra con aree più ipointense nelle immagini T1-pesate con più sfumata iperintensità estesa alla fisi; reazione periostale con interposizione di materiale purulento che si estende anteriormente ai tessuti AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 44 · · · Bibliografia 1. Goergens ED, McEvoy A, Watson M et al. Acute osteomyelitis and septic arthritis in children. J Paediatr Child Health 2005;41:59-62. 2. Steer AC, Carapetis JR. Acute hematogenous osteomyelitis in children. Recognition and Management. Pediatr Drugs 2004;6(6):333-346. 3. Karmazyn B. Imaging approach to acute hematogenous osteomyelitis in children: an update. Semin Ultrasound CT MRI 2010;31:100-106. 4. Kaplan SL. Osteomyelitis in Children. Infect Dis Clin N Am 2005;19:787-797. 5. Offiah AC. Acute osteomyelitis, septic arthrits and discitis: differences between neonates and older children. Eur J Radiol 2006;60(2):221-32. molli con distruzione della corticale; alterazione di segnale delle strutture muscolari e cutaneo-sottocutaneo adiacenti (reperti compatibili con osteomielite acuta con reazione periostale e raccolta ascessualizzata anteriormente in sede extraossea). Viene effettuato intervento di toilette chirurgica. La ricerca di genoma batterico (mediante PCR) e l’esame colturale su materiale prelevato sono positivi per S. aureus. Data la positività della ricerca di tossina Leucocidina Panton Valentine viene aggiunta clindamicina, con successivo sfebbramento, progressivo miglioramento dei segni locali di flogosi, riduzione del dolore e ripresa dei movimenti della gamba. Per comparsa di rash durante infusione di vancocina, l’allergologo consiglia infusione lenta del farmaco e somministrazione di antistaminico. Dopo una settimana, per la ricomparsa di rash pruriginoso, si reintroduce oxacillina in associazione a rifampicina, in accordo con l’allergologo. Viene inoltre intrapreso programma fisioterapico riabilitativo con ripresa della deambulazione con canadesi con sfioro a terra. Dopo 3 settimane F. sta bene: non dolore né segni di flogosi a livello della gamba, indici di flogosi negativi; la RX mostra ancora disomogenea composizione ossea metadiafisaria prossimale della tibia e apposizione periostea. La bambina viene dimessa con rifampicina per 15 giorni, deambulazione con canadesi e programma di follow-up pediatrico, ortopedico e fisioterapico per 6 mesi. Al controllo dopo 3 mesi F. non ha più presentato dolore, ha ripreso a deambulare autonomamente, gli esami ematici sono negativi e la RM evidenzia significativa evoluzione riparativa del focolaio osteomielitico; a 6 mesi la RX è pressoché normalizzata 6. Lorrot M, Fitoussi F, Faye A et al. Marqueurs de l’inflammation et infection ostéoarticulaire [Laboratory studies in pediatric bone and joint infections]. Arch Pediatr 2007;14:S86-90. 7. Azam Q, Ahmad I, Abbas M et al. Ultrasound and colour Doppler sonography in acute osteomyelitis in children. Acta Orthop Belg 2005;71:590-596. 8. Blickman JG, van Die CE, de Rooy JW. Current imaging concepts in pediatric osteomyelitis. Eur Radiol 2004;14:55-64. 9. Jaramillo D, Treves ST, Kasser JR et al. Osteomyelitis and septic arthritis in children: appropriate use of imaging to guide treatment. AJR Am J Roentgenol 1995;165:399-403. 10. Saphyakhajon P, Joshi AY, Huskins WC et al. Empiric antibiotic therapy for acute osteoarticular infections with suspected . Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse. methicillin-resistant Staphylococcus aureus or Kingella. Pediatr Infect Dis J 2008;27(8):765-7. 11. Cole WG, Dalziel RE, Leitl S. Treatment of acute osteomyelitis in childhood. 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È attualmente utilizzata per individuare mutazioni genetiche dominanti. 2. Il Disturbo Specifico di Apprendimento è caratterizzato da: A.difficoltà isolate e circoscritte nella lettura (Dislessia) e/o nella scrittura (Disortografia) e/o nel calcolo (Discalculia); B. problemi psicologici, pigrizia o poca motivazione; C. prevalenza maggiore nel sesso femminile; D.remissione spontanea alla pubertà per cui non è necessario alcun intervento specifico. 3. Quale di queste affermazioni non è corretta: A.non ci sono evidenze che la ritardata introduzione di alimenti solidi oltre il 6°-8° mese di vita possa prevenire l’allergia; B. non ci sono evidenze sufficienti per promuovere una esposizione precoce ai più comuni alimenti allergizzanti; C. se possibile il bambino deve essere allattato al seno durante il periodo dell’introduzione degli alimenti solidi; D.l’introduzione tardiva del glutine riduce il rischio di malattia celiaca. 4. Tra i 6-12 mesi, l’apporto raccomandato di lipidi rispetto alle calorie totali è: A. il 50%; B. il 40%; C. < 25%; D.<10%. 5. Quale di queste affermazioni non è corretta: A.tra i 6–12 mesi l’assunzione consigliata di proteine è di 1,1 g/Kg/ die; B. l’apporto proteico è stato aumentato con gli anni per ridurre l’apporto di carboidrati; C. la quota proteica deve essere pari al 10% delle calorie totali; D.400 ml di latte forniscono circa il 50-60% dell’apporto proteico quotidiano. 6. La Non-alcoholic fatty liver disease (NAFLD) è caratterizzata da una serie di condizioni, eccetto: A.accumulo di grasso negli epatociti; B. assenza di infiammazione e fibrosi C. Manifestazione epatica della Sindrome Metabolica D.L’insulino-resistenza, l’obesità viscerale e la dislipidemia, contribuiscono allo sviluppo e alla progressione della NAFLD. D.“Non-alcoholic fatty liver disease” che attraverso meccanismi infiammatori contribuisce al deficit di vitamina D. 8. Le apnee ostruttive del sonno (OSAS): A.sono caratterizzate da episodi di ipossia cronica intermittente con frammentazione del sonno; B. negli adulti, vengono considerate come la manifestazione respiratoria della sindrome metabolica; C. si associano ad un pattern di alterazioni vascolari e metaboliche simile a quello secondario all’obesità, dovuto alla produzione di radicali liberi dell’ossigeno per l’ipossiemia cronica; D.non determinano alcuna alterazione metabolica nei bambini/adolescenti. 9. L’Osteomielite acuta (OA) in età pediatrica: A.è un’infezione batterica dell’osso e/o del midollo generalmente localizzata a livello della metafisi; B. nella forma acuta è caratterizzata dall’insorgenza di febbre e dolore osseo e segni locali di flogosi che possono determinare zoppia e/o non uso dell’arto; C. è più frequente nei bambini più grandi; D.nel bambino più piccolo, per cause anatomiche e di vascolarizzazione dell’epifisi, può complicarsi con artrite settica e infezioni dei tessuti molli. 10. L’esame strumentale più utile per la diagnosi di OA è: A.ecografia; B. RX; C. RMN; D.TC. 7. La vitamina D presenta livelli bassi nei soggetti obesi per le seguenti cause, tranne una. Indicare quale tra: A.sequestro della vitamina D liposolubile nel tessuto adiposo; B. riduzione della sintesi della forma attiva della vitamina D ad opera degli adipociti; C. alterato assorbimento della vitamina D; Le risposte esatte saranno pubblicate sul prossimo numero della rivista. Quiz Test di autovalutazione Le risposte del numero precedente 1. L’esecuzione di tecniche non farmacologiche durante l’esecuzione di una procedura diagnostica/terapeutica, permette di: ridurre ansia, stress, percezione del dolore. Risposta corretta: B La letteratura scientifica indica che la preparazione del bambino deve comprendere informazioni sulla tempistica e il contenuto della procedura. Potrebbe essere utile una comunicazione verbale associata ad ausili visivi tipo cartoon, vignette o fotografie. 2. La soluzione di saccarosio/glu- cosio viene somministrata: 2 minuti prima, durante e dopo la procedura. AreaPediatrica | Vol. 16 | n. 1 | gennaio–marzo 2015 46 Risposta corretta: B La soluzione di saccarosio/ glucosio viene raccomandata sia nel neonato pretermine con succhiotto max 12% (0,2-0,3 ml) che nel neonato a termine al 24% (12ml) due minuti prima della procedura, durante e dopo, sulla lingua. È raccomandata per la puntura al tallone, le vaccinazioni, la puntura arteriosa, la puntura lombare. 3. I parametri per valutare il dolore fisico in un bambino con patologia non guaribile sono tutti i seguenti tranne uno. Indicare quale: meccanismi di percezione. Risposta corretta: A Il dolore fisico in un bambino affetto da patologie inguaribili, è definito “dolore totale”. Un sistema che comprende i parametri necessari per valutare il dolore fisico è rappresentato dal PQRST (acronimo di Provocazione, Qualità, iRradiazione, Severità, Tempo). 4. Quale dei seguenti è uno svan- taggio nell’uso del paracetamolo? L’insignificante effetto antinfiammatorio. Risposta corretta: B In ambito pediatrico, la prescrizione di paracetamolo è soprattutto secondaria agli effetti antipiretici, mentre scarse sono le indicazioni in ambito antalgico. L’indicazione è rivolta soprattutto al dolore lieve-moderato di diversa origine. 5. Quali sono le differenze di misurazione della pressione nel bambino rispetto all’adulto? L’altezza del bracciale dello sfigmomanometro deve essere pari al 40% della circonferenza del braccio nel suo punto medio. Risposta corretta: B La modalità di misurazione della pressione nel bambino è sovrapponibile a quella dell’adulto, con due specifici aspetti. L’altezza del bracciale dello sfigmomanometro deve essere pari al 40% della circonferenza del braccio nel suo punto medio. Bracciali piccoli sovrastimano, quelli grandi sottostimano. L’altro aspetto è che la pressione diastolica è definita dalla scomparsa del battito. Le metodiche oscillometriche automatiche, con pochissime eccezioni, non sono ancora state validate per l’età pediatrica. 6. Si definisce iperteso un bambino quando presenta: in almeno tre rilevazioni in occasioni diverse, una media di valori sistolici e/o diastolici maggiori o uguali al 95° percentile per sesso, età e percentile di statura. Risposta corretta: C Si definisce iperteso un bambino che, ad almeno tre rilevazioni in occasioni diverse, ha una media di valori sistolici e/o diastolici maggiori o uguali al 95° percentile per sesso, età e percentile di statura. Si parla di pressione normale alta se i valori sono superiori o uguali al 90° percentile ma inferiori al 95°. La Società Europea dell’Ipertensione Arteriosa propone di utilizzare i valori di riferimento degli USA, perché l’ampio campione americano permette di considerare contemporaneamente età, sesso e statura. 7. Nell’approccio psicoterapico ad orientamento cognitivo comportamentale su cosa è prioritario porre attenzione? Gli antecedenti del comportamento problema. Risposta corretta: A Lavorare inizialmente sugli antecedenti del comportamento problema significa identificare sia le contingenze ambientale positive, sia quelle negative che incrementano o decrementano la frequenza di tali comportamenti e successivamente modificarli nel tentativo di far diminuire i comportamenti “problema” e far aumentare quelli di tipo adattivo. 8. Quale sintomo target ha la psicofarmacoterapia con antipsicotici atipici nei Disturbi Dirompenti? Aggressività. Risposta corretta: C Gli antipsicotici atipici, in particolare quelli di nuova generazione, si sono dimostrati efficaci nel trattamento dei sintomi impulsivi e aggressivi in età evolutiva. Tale efficacia, gravata da un minore rischio di effetti collaterali extrapiramidali, deriva dal profilo recettoriale di tale classe di farmaciI neurolettici di nuova generazione sono antagonisti serotonino-dopaminergici con proprietà antagonistiche dei recettori A2 della serotonina e D2 della dopamina. Il loro differente controllo serotoninergico del rilascio della dopamina è alla base della minore incidenza di effetti collaterali di tipo 9. Nella dermatite atopica (DA), quale indagine rappresenta il gold standard per la rilevazione della sensibilizzazione agli alimenti? Test di provocazione orale per alimenti. Risposta corretta: D Il miglioramento di sintomi cutanei dopo una dieta di eliminazione è insufficiente per dimostrare il ruolo di un determinato alimento nelle riacutizzazioni della DA. Il challenge alimentare rappresenta l’unica metodica di riferimento per la diagnosi. Il test di provocazione orale non è necessario nel caso il bambino abbia manifestato una pregressa reazione anafilattica. 10. Quale delle seguenti affermazioni non è corretta? La positività degli SPT è un criterio indispensabile per la diagnosi di DA. Risposta corretta: A Nonostante la positività degli SPT sia annoverata tra i criteri minori identificati di Hanifin e Rajka per la diagnosi di DA, non c’è alcuna evidenza che la positività degli SPT sia utile per la diagnosi. VNR VNR: V��ori n�tri��i �i ri�erimento D A base di acidi grassi Omega-3 estratti dal Krill e Vitamina D3 Capsule spremibili Confezione Scatola da 30 capsule spremibili Krilling® D è un integratore alimentare a base di DHA, Vitamina D3 e Vitamina E. Il DHA, sostanza appartenente alla famiglia degli acidi grassi Omega-3, contribuisce al mantenimento della normale funzione cerebrale. La Vitamina E svolge una funzione antiossidante favorendo la protezione delle cellule dai radicali liberi. La Vitamina D contribuisce alla normale funzione del sistema immunitario ed interviene nel processo di riproduzione delle cellule. L’effetto benefico si ottiene con l’assunzione giornaliera di 250 mg di DHA. Modalità d’uso Si consiglia l’assunzione del contenuto di 2 capsule spremibili al giorno preferibilmente durante i pasti. L’utilizzo delle capsule spremibili è particolarmente adatto ai bambini. Il contenuto può essere aggiunto ad alimenti anche tiepidi semisolidi come: succhi di frutta, omogeneizzati, pappe, frutta grattugiata, ecc. Tagliare la punta della capsula e spremere il contenuto in un cucchiaino solo 0,55 ml Informazioni nutrizionali DHA (Olio di Krill e di pesce) Vitamina D3 Vitamina E Per 2 capsule 250 mg 10 mcg % VNR (2 cps) 15 mg 200% 125% Non contiene glutine e lattosio Costo di una capsula € 0,65