I rapporti associativi di lavoro

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Percorso B Il diritto del lavoro
I rapporti associativi di lavoro
Il rapporto di lavoro subordinato ed il vincolo associativo
In alcuni rapporti associativi è rinvenibile la situazione in cui il socio o l’associato si
trovano ad eseguire un’attività di lavoro: è il caso del socio d’opera nelle società di persone,
dell’associato nell’associazione in partecipazione e del socio lavoratore nelle cooperative di
lavoro.
La peculiarità di tali ipotesi è che, mentre nel rapporto di lavoro subordinato l’attività
lavorativa è eseguita in ragione di un contratto di scambio, articolato in due obbligazioni principali o controprestazioni (la prestazione del lavoratore e la corresponsione della
retribuzione del datore), nei rapporti di tipo associativo lo svolgimento di un’attività
lavorativa è di regola una conseguenza stessa del vincolo associativo.
Le caratteristiche del rapporto associativo fanno sì che vengano a mancare quegli elementi indispensabili per l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato (eterodirezione ed
estraneità all’organizzazione e al profitto derivante dall’attività) e per l’applicazione della relativa disciplina.
Il socio d’opera e l’associazione in partecipazione
Il socio d’opera è colui che nella società di persone conferisce, anziché beni, la propria
opera lavorativa. Egli si obbliga a prestare lavoro in favore della società, non per ricevere in cambio la retribuzione, ma perché partecipa allo scopo societario ed è titolare degli
stessi poteri di amministrazione e decisione degli altri soci.
In tal caso, il rapporto di lavoro del socio ha fondamento nel contratto di società e non
in un contratto di lavoro subordinato di cui mancano gli elementi qualificanti.
Nell’associazione in partecipazione (artt. 2549-2554 c.c.) l’associante attribuisce all’associato la partecipazione agli utili dell’impresa o di singoli affari, come corrispettivo di un
certo apporto che può consistere in una somma di danaro, nel godimento di un bene, ma
anche nello svolgimento di una prestazione di lavoro.
In tale ipotesi, l’attività prestata dall’associato non configura una prestazione di lavoro subordinato. La prestazione dell’associato è da ricondurre alla natura di contratto di
scambio dell’associazione in partecipazione, proprio come per il contratto di lavoro subordinato, ma da esso totalmente distinta.
In primo luogo, l’associato non è obbligato a prestare la propria collaborazione sotto la
direzione dell’associante.
Inoltre, l’associato, anche se non ha la titolarità dell’affare, che resta in capo esclusivamente all’associante, può esercitare un controllo circa il suo andamento (art. 2552, co. 1,
c.c.); l’associato partecipa effettivamente all’attività d’impresa, ricevendo adeguate erogazioni. L’associato sopporta il rischio d’impresa, elemento che, di per sé, è sufficiente ad
escludere la sussistenza del lavoro subordinato.
Tuttavia, può accadere — negli ultimi anni il fenomeno ha assunto dimensioni di un
certo peso — che la veste giuridica dell’associazione in partecipazione sia utilizzata per
dissimulare rapporti di lavoro subordinato. Per accertare la reale natura della prestazione di lavoro resa nell’ambito dell’associazione in partecipazione, la riforma Fornero
(L. 92/2012) ha introdotto una significativa limitazione operativa: quando nell’associazione c’è apporto di lavoro, il numero degli associati impegnati in una medesima attività non può essere superiore a 3, indipendentemente dal numero degli associanti (art.
2549, co. 2, c.c.). La violazione di tale limitazione comporta che il rapporto con tutti gli
associati il cui apporto consiste anche in una prestazione di lavoro si considera lavoro
subordinato a tempo indeterminato.
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La limitazione numerica non vale se gli associati sono legati all’associante da rapporto coniugale, di parentela entro il terzo grado o di affinità entro il secondo. Il limite non si applica,
inoltre, alle imprese a scopo mutualistico, agli associati individuati mediante elezione dall’organo assembleare, il cui contratto sia certificato, nonché in relazione al rapporto fra produttori e artisti, interpreti, esecutori, volto alla realizzazione di registrazioni sonore, audiovisive
o di sequenze di immagini in movimento (art. 7, co. 5, D.L. 76/2013 conv. in L. 99/2013).
In caso, invece, di accertamento di falsi rapporti di associazione in partecipazione, in
quanto carenti dell’effettiva partecipazione dell’associato agli utili dell’impresa o dell’affare, tali rapporti si presumono rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato
(art.1, co. 30, L. 92/2012). Tale pesante sanzione si applica anche quando l’apporto di
lavoro conferito dall’associato non è connotato da competenze teoriche o da capacità
tecnico-pratiche di elevato livello.
La presunzione di subordinazione ha però carattere relativo in quanto l’associante/datore
di lavoro può fornire prova contraria.
Il socio lavoratore nelle cooperative
Le società cooperative sono costituite allo scopo di svolgere un’attività economica organizzata in impresa attraverso l’utilizzazione del lavoro dei soci.
Con la loro attività lavorativa i soci contribuiscono al raggiungimento degli scopi sociali,
ma nel contempo sono titolari del diritto alla partecipazione agli utili dell’impresa.
Il socio ha poteri gestionali, mediante la partecipazione alla formazione degli organi sociali, alla definizione della struttura di direzione e conduzione della cooperativa, alle
decisioni concernenti le scelte strategiche, deve contribuire alla formazione del capitale
sociale, partecipando al rischio d’impresa, e deve mettere a disposizione le proprie capacità professionali anche in relazione al tipo e allo stato dell’attività svolta, nonché alla
quantità delle prestazioni di lavoro disponibili per la cooperativa stessa.
Tale fattispecie è disciplinata dalla L. 3-4-2001, n. 142 con cui si è provveduto alla
«revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla
posizione del socio lavoratore».
Tra socio lavoratore e cooperativa si instaura un rapporto di tipo associativo dal quale
deriva, tuttavia, un ulteriore rapporto, connesso all’attività prestata dal socio e con cui
egli contribuisce al raggiungimento degli scopi sociali (art. 1 L. 142/2001).
Il rapporto di lavoro tra socio lavoratore e cooperativa deve essere concordato e formalizzato all’atto dell’adesione, o successivamente, e può assumere la forma della subordinazione o del lavoro autonomo, compresi i rapporti di collaborazione coordinata non
occasionale.
Il rapporto di lavoro sarà quindi disciplinato dalla normativa applicabile alla tipologia
(autonoma, subordinata, di collaborazione) prescelta, secondo una valutazione di compatibilità con la posizione di socio che il lavoratore riveste.
Si configurano infatti due tipi di rapporti, quello associativo e quello di lavoro che è strumentale rispetto al primo. Dal rapporto associativo derivano poi, al socio lavoratore, i
tipici poteri e doveri dello status di socio di cooperativa, quale il potere gestionale.
Quando il rapporto di lavoro tra il socio lavoratore e la cooperativa ha natura subordinata si applica, anche se non integralmente, la disciplina propria del lavoro subordinato
di cui al codice civile e alla legislazione sociale.
In particolare ai soci lavoratori con rapporto di lavoro subordinato:
• si applica lo Statuto dei Lavoratori (L. 300/1970), ma l’esercizio dei diritti sindacali
(Titolo III St.Lav.) deve avvenire con le modalità individuate in sede di appositi accor2
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di collettivi tra le associazioni nazionali del movimento cooperativo e le organizzazioni sindacali dei lavoratori che tengano conto del suddetto principio di compatibilità
(circ. Min. Lav. 10/2004);
• le società cooperative sono tenute a corrispondere un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore
ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale
del settore o della categoria affine;
• si applicano anche tutte le disposizioni in materia di igiene e sicurezza del lavoro e
altri istituti quali TFR, ferie etc. Il regolamento interno della cooperativa può stabilire
però anche deroghe peggiorative rispetto alle condizioni di lavoro spettanti in base alla
disciplina legislativa (con l’unica eccezione dei trattamenti economici minimi) (art. 6
L. 142/2001).
La parziale applicazione degli istituti del lavoro subordinato deriva dall’esigenza di salvaguardare la posizione di «socio» del lavoratore. Ciò è evidente se si considera che in
materia di estinzione del rapporto di lavoro è previsto che:
• se si ha recesso o esclusione del socio dalla cooperativa si estingue automaticamente
anche il rapporto di lavoro, sia esso di natura subordinata, autonoma o di collaborazione.
La preminenza del vincolo associativo, nel caso in cui si tratti di lavoro subordinato,
esclude l’applicazione delle garanzie contro i licenziamenti illegittimi (art. 18 L.
300/1970);
• se si estingue il rapporto di lavoro con il socio, il rapporto associativo invece non decade automaticamente.
In tal caso, se il rapporto di lavoro ha natura subordinata, all’eventuale atto di licenziamento da parte della cooperativa potranno applicarsi le garanzie contro i licenziamenti illegittimi (art. 18 L. 300/1970).
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