Schiuma spazio-temporale: prime informazioni sperimentali

Roma, 11/03/2015
COMUNICATO STAMPA
Schiuma spazio-temporale: prime informazioni sperimentali
Si restringe l’identikit dell’affascinante scenario ipotizzato dalle teorie
quantistiche per descrivere la struttura microscopica dello spazio-tempo.
I risultati della ricerca, ottenuti grazie ad osservazioni del telescopio Fermi,
sono pubblicati sulla rivista Nature Physics
Pensare lo spazio-tempo come una schiuma. È quanto hanno fatto i fisici per conciliare due
teorie rivoluzionarie della fisica moderna: la teoria generale della relatività che spiega la
gravitazione su larga scala e la teoria quantistica che disciplina il comportamento degli
elementi più piccoli della meccanica dell'universo, come le particelle microscopiche studiate
al CERN di Ginevra.
Per decenni è stato impossibile esplorare sperimentalmente l’ipotesi di questo affascinante
scenario perché gli effetti del fenomeno, essendo generati a scale di lunghezza
estremamente piccole (dell’ordine di 10-35 metri), sono difficilissimi da rilevare.
La ricerca condotta dal fisico della Sapienza Giovanni Amelino Camelia in collaborazione
con gli astrofisici Vlasios Vasileiou (Universitè Montpellier), Jonathan Granot (University of
Israel) e Tsvi Piran (University of Jerusalem), rappresenta finalmente un primo passo nella
esplorazione sperimentale della schiuma spazio-temporale.
Il lavoro, pubblicato nell’ultimo numero della prestigiosa rivista Nature Physics, ha utilizzato i
dati ottenuti dal telescopio spaziale Fermi, un telescopio finanziato principalmente dalla
NASA a cui collaborano anche le agenzie spaziali di Italia, Francia, Giappone e Svezia.
Lo studio mostra che alcune osservazioni condotte dal telescopio Fermi forniscono
indirettamente informazioni sulle proprietà di propagazione dei fotoni (particelle di luce) e
quindi sulla possibilità che queste proprietà possano essere influenzate dalla schiuma
spaziotemporale.
“Ci è stato possibile raggiungere livelli di precisione inattesi - spiega Amelino-Camelia –
perché i tempi lunghissimi di propagazione dalle sorgenti astrofisiche osservate dal
telescopio Fermi, tempi di miliardi di anni, di fatto amplificano gli effetti piccolissimi della
schiuma spaziotemporale, portando a un effetto complessivo che è potenzialmente
osservabile”.
Gli esiti dell’analisi hanno dimostrato l’infondatezza di alcuni modelli formulati dai fisici
quantistici per tentare di spiegare la struttura di schiuma spazio-temporale. “Il fatto che per la
Sapienza Università di Roma
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prima volta dati sperimentali ci dicano qualcosa di significativo sulla schiuma – continua
Amelino Camelia - anche semplicemente per escludere ciò che essa non è, rappresenta un
passo molto significativo nell’esplorazione di questo scenario”.
Finora i modelli teorici più accreditati hanno ipotizzato che, su scale microscopiche, la
schiuma spazio-temporale presenti una struttura geometrica granulare. Tale granularità ha
implicazioni importanti per le particelle fondamentali ma non lascia tracce osservabili sul
moto di corpi macroscopici, quali ad esempio i pianeti e gli altri corpi celesti. Infatti per il
movimento dei corpi massivi è comunque possibile basarsi sull’assunzione di “fluidità” (in
gergo tecnico “continuità”) della geometria spazio-temporale che caratterizza la teoria della
relatività Einsteiniana.
Da un punto di vista osservativo, la situazione è paragonabile a quella di un secchio
all’interno del quale è presente della sabbia. Guardando da lontano si possono apprezzare
solo le caratteristiche più macroscopiche di ciò che si osserva, e quindi non si coglie la
composizione granulare del contenuto del secchio che appare come un fluido indistinto. Più
ci si avvicina al secchio, più i granelli diventano distinguibili.
Ma, se per il secchio di sabbia è facile stimare quali livelli di precisione siano necessari per
stabilire la struttura granulare del contenuto, quando si è interessati alla schiuma spaziotemporale la questione è più complessa: la grandezza degli effetti dipende non solo dalla
piccolezza dei “granelli di spazio-tempo” ma anche da altre proprietà fisiche della schiuma
spaziotemporale. Uscendo dalla metafora, misure di precisione sempre più avanzate sulla
propagazione di particelle microscopiche potrebbero svelare manifestazioni della granularità
dello spazio-tempo.
È per questo motivo che il percorso verso la scoperta della schiuma spaziotemporale dovrà
necessariamente progredire per stadi successivi: la ricerca pubblicata su Nature Physics ha
dimostrato che il minimo livello di precisione ipoteticamente richiesto per questi studi è stato
raggiunto. L’esclusione di alcuni modelli teorici e la messa a punto di una potente strategia
di analisi dei dati fa ben sperare che in un futuro non lontano si arrivi alla individuazione
della corretta descrizione della schiuma spazio-temporale.
Info:
Giovanni Amelino Camelia
[email protected]
schiuma Ansa
Primo zoom sullo spazio-tempo,possibile osservarne la'trama'
Grazie al telescopio spaziale Fermi
(ANSA) - ROMA, 16 MAR - Primo zoom sullo spazio-tempo: dopo
decenni di teorie, per la prima volta diventa possibile riuscire
ad osservare la struttura microscopica che lo costituisce e che
i fisici quantistici chiamano 'schiuma'. A compiere questo passo
senza precedenti e considerato finora impossibile, è il gruppo
di Giovanni Amelino Camelia, dell'università Sapienza di Roma.
Pubblicato sulla rivista Nature Physics, il risultato è stato
raggiunto grazie ai dati del telescopio spaziale Fermi della
Nasa, al quale l'Italia partecipa con Agenzia Spaziale Italiana
(Asi), Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) e Istituto
Nazionale di Fisica Nucleare (Infn). La ricerca è stata condotta
in collaborazione con Vlasios Vasileiou, dell'università
francese di Montpellier, Jonathan Granot, dell'università di
Israele, e Tsvi Piran, dell'università di Gerusalemme.
''Fino a 15 anni fa riuscire ad osservare la trama dello
spazio-tempo sembrava impossibile, ora dimostriamo che si può
fare'', spiega Amelino Camelia, indicato dal periodico americano
Discover fra i sei possibili nuovi Einstein per aver elaborato
una variante della teoria della relatività. Dopo aver lavorato
negli Stati Uniti, nell'università di Boston e nel Massachusetts
Institute of Technology (Mi), e nell'università britannica di
Oxford, è tornato in Italia grazie al programma sul rientro dei
cervelli e insegna Gravità quantistica alla Sapienza.
I ricercatori hanno 'letto' in modo nuovi i dati raccolti nel
2009 dal telescopio Fermi ed hanno capito che la propagazione
delle particelle di luce, i fotoni, può essere influenzata dalla
schiuma dello spazio-tempo.
Non si sa quando si riuscirà a 'vedere' direttamente la trama
dello spazio-tempo, ma quando questo avverrà l'impatto avrà una
portata storica. ''Sarà la chiave - osserva il ricercatore -per
capire come far lavorare insieme le due teorie di riferimento
della fisica moderna: quella della relatività, che spiega la
gravitazione su larga scala, e la fisica quantistica, che studia
il mondo dell'infinitamente piccolo''. Due teorie che sono i
pilastri della fisica moderna, ma che nessuno è mai riuscito a
conciliare. (ANSA).
1agina p
Agenzia ANSA
Canale Scienza&Tecnica
Primo zoom sullo spazio-tempo
Dopo decenni, diventa possibile osservarne la'trama'
16 marzo, 18:54
Primo zoom sullo spazio-tempo: dopo decenni di teorie, per la prima volta diventa possibile riuscire
ad osservare la struttura microscopica che lo costituisce e che i fisici quantistici chiamano
'schiuma'. A compiere questo passo senza precedenti e considerato finora impossibile, è il gruppo
di Giovanni Amelino Camelia, dell'università Sapienza di Roma.
Pubblicato sulla rivista Nature Physics, il risultato è stato raggiunto grazie ai dati del telescopio
spaziale Fermi della Nasa, al quale l'Italia partecipa con Agenzia Spaziale Italiana (Asi), Istituto
Nazionale di Astrofisica (Inaf) e Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn). La ricerca è stata
condotta in collaborazione con Vlasios Vasileiou, dell'università francese di Montpellier, Jonathan
Granot, dell'università di Israele, e Tsvi Piran, dell'università di Gerusalemme.
''Fino a 15 anni fa riuscire ad osservare la trama dello spazio-tempo sembrava impossibile, ora
dimostriamo che si può fare'', spiega Amelino Camelia, indicato dal periodico americano Discover
fra i sei possibili nuovi Einstein per aver elaborato una variante della teoria della relatività. Dopo
aver lavorato negli Stati Uniti, nell'università di Boston e nel Massachusetts Institute of Technology
(Mi), e nell'università britannica di Oxford, è tornato in Italia grazie al programma sul rientro dei
cervelli e insegna Gravità quantistica alla Sapienza.
I ricercatori hanno 'letto' in modo nuovi i dati raccolti nel 2009 dal telescopio Fermi ed hanno capito
che la propagazione delle particelle di luce, i fotoni, può essere influenzata dalla schiuma dello
spazio-tempo.
Non si sa quando si riuscirà a 'vedere' direttamente la trama dello spazio-tempo, ma quando
questo avverrà l'impatto avrà una portata storica. ''Sarà la chiave - osserva il ricercatore -per
capire come far lavorare insieme le due teorie di riferimento della fisica moderna: quella della
relatività, che spiega la gravitazione su larga scala, e la fisica quantistica, che studia il mondo
dell'infinitamente piccolo''. Due teorie che sono i pilastri della fisica moderna, ma che nessuno è
mai riuscito a conciliare.
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Fisica, primo zoom sullo spaziotempo: possibile osservarne la
"trama"
E' la struttura microscopica che lo costituisce e che i fisici quantistici
chiamano "schiuma". Vsta grazie al telescopio spaziale Fermi
16 marzo 2015
ROMA - Primo zoom sullo spazio-tempo: dopo decenni di teorie, per la prima volta diventa
possibile riuscire ad osservare la struttura microscopica che lo costituisce e che i fisici
quantistici chiamano 'schiuma'. A compiere questo passo senza precedenti e considerato
finora impossibile, è il gruppo di Giovanni Amelino Camelia, dell'università Sapienza di
Roma.
Pubblicato sulla rivista Nature Physics, il risultato è stato raggiunto grazie ai dati del
telescopio spaziale Fermi della Nasa, al quale l'Italia partecipa con Agenzia Spaziale
Italiana (Asi), Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) e Istituto Nazionale di Fisica Nucleare
(Infn). La ricerca è stata condotta in collaborazione con Vlasios Vasileiou, dell'università
francese di Montpellier, Jonathan Granot, dell'università di Israele, e Tsvi Piran,
dell'università di Gerusalemme.
"Fino a 15 anni fa riuscire ad osservare la trama dello spazio-tempo sembrava impossibile,
ora dimostriamo che si può fare", spiega Amelino Camelia, indicato dal periodico
americano Discover fra i sei possibili nuovi Einstein per aver elaborato una variante della
teoria della relatività. Dopo aver lavorato negli Stati Uniti, nell'università di Boston e nel
Massachusetts Institute of Technology (Mi), e nell'università britannica di Oxford, è tornato
in Italia grazie al programma sul rientro dei cervelli e insegna Gravità quantistica alla
Sapienza.
I ricercatori hanno 'letto' in modo nuovi i dati raccolti nel 2009 dal telescopio Fermi ed
hanno capito che la propagazione delle particelle di luce, i fotoni, può essere influenzata
dalla schiuma dello spazio-tempo.
Non si sa quando si riuscirà a 'vedere' direttamente la trama dello spazio-tempo, ma
quando questo avverrà l'impatto avrà una portata storica. "Sarà la chiave - osserva il
ricercatore -per capire come far lavorare insieme le due teorie di riferimento della fisica
moderna: quella della relatività, che spiega la gravitazione su larga scala, e la fisica
quantistica, che studia il mondo dell'infinitamente piccolo". Due teorie che sono i pilastri
della fisica moderna, ma che nessuno è mai riuscito a conciliare.
18 marzo 2015
Verso una verifica sperimentale della
schiuma spazio-temporale?
(Cortesia Sapienza Università di Roma)
I fotoni che provengono dagli angoli più remoti dell'universo catturati dal telescopio Fermi
della NASA possono essere studiati per confermare la validità della teoria della schiuma
spazio-temporale, elaborata per coniugare relatività generale e meccanica quantistica. Lo
afferma uno studio teorico, secondo cui la precisione delle osservazioni è già sufficiente
per escludere alcune varianti della teoria(red)
Le osservazioni del telescopio spaziale Fermi della NASA forniscono un valido metodo per verificare
sperimentalmente la teoria della schiuma spazio-temporale, elaborata per coniugare la relatività generale di
Albert Einstein con la meccanica quantistica. Lo afferma uno studio teorico pubblicato su “Nature Physics” da
Giovanni Amelino Camelia della "Sapienza" Università di Roma e colleghi.
La relatività generale, di cui quest'anno ricorre il centenario, e la meccanica quantistica sono due grandi teorie che
hanno avuto grande successo nel descrivere fenomeni fisici, e in effetti sono state verificate sperimentalmente più
e più volte. C'è tuttavia una grande difficoltà nel conciliarle tra loro, o meglio nell'elaborare una teoria più ampia
che le comprenda entrambe.
Le difficoltà nascono innanzitutto per la differenze di scale dimensionali: la relatività generale descrive le
interazioni gravitazionali tra i corpi macroscopici e che si svolgono su grandi distanze, mentre la teoria quantistica
riguarda oggetti microscopici, per esempio gli atomi.
Una delle proposte più affascinanti che cerca di mettere d'accordo relatività generale e meccanica quantistica è
quella della cosiddetta schiuma spazio-temporale. Lo spazio-tempo, cioè l'insieme delle tre dimensioni spaziali e
di quella temporale, è l'ente fisico-geometrico descritto dalla teoria della relatività generale come una specie di
tessuto che permea tutto l'universo.
Ogni massa deforma questo tessuto come farebbe una palla da biliardo o un qualsiasi corpo posato su un lenzuolo
fissato ai quattro estremi. Una biglia posata sul lenzuolo, cadrebbe inevitabilmente verso la concavità, finendo a
ridosso della palla da biliardo: con lo stesso principio si spiega l'attrazione gravitazionale tra corpi dotati di massa.
Illustrazione dei fotoni che dagli angoli remoti del cosmo raggiungono il telescopio spaziale Fermi (Cortesia
"Sapienza" Università di Roma)
Proseguendo con questa analogia, è possibile pensare che qualunque tessuto visto abbastanza da lontano appaia
perfettamente liscio. Avvicinandosi invece si può capire che è dotato di una struttura fine alle scale dimensionali
più piccole. La teoria della schiuma, in termini generali, fa proprio questo: postula che il tessuto dello spaziotempo abbiamo una struttura "porosa" alle scale più piccole, anche dell'ordine di 10 elevato alla meno 35 metri.
Ma proprio le scale estremamente ridotte hanno rappresentato un limite insormontabile per tutti i tentativi di
trovare una conferma sperimentale alla teoria della schiuma spazio-temporale. Ora però Amelino Camelia e
colleghi hanno scoperto che c'è un modo per verificarla ed è basato su alcune osservazioni astronomiche
effettuate con il telescopio spaziale Fermi: a interessare gli autori dello studio è in particolare un lampo di raggi
gamma catturato nel 2009.
"I tempi lunghissimi di propagazione dalle sorgenti astrofisiche osservate dal telescopio Fermi, tempi di miliardi
di anni, di fatto amplificano gli effetti piccolissimi della schiuma spazio-temporale, portando a un effetto
complessivo che è potenzialmente osservabile”, ha spiegato Amelino Camelia.
Il livello di precisione delle misure di Fermi è già sufficiente per escludere alcune varianti della teoria della
schiuma spazio-temporale, ma il risultato più importante è aver stabilito un metodo di analisi dei dati di Fermi che
potrà essere affinato via via. Proseguendo su questo cammino, le osservazioni del cosmo potrebbero fornire
indicazioni "in positivo" su qual è la variante corretta della teoria.
"Il fatto che per la prima volta dati sperimentali ci dicano qualcosa di significativo sulla schiuma anche
semplicemente per escludere ciò che essa non è, rappresenta un passo significativo nell’esplorazione di questo
scenario”, ha concluso Amelino Camelia.
Uno sguardo nella “schiuma” dello spazio-tempo
0
di Sandro Iannaccone | Pubblicato il 18 Marzo 2015
Ha appena compiuto cento anni, ma non ha neanche una ruga. La teoria della relatività
generale, formulata nel 1916 da Albert Einstein, continua incessantemente a pompare nuova linfa
nella fisica, aprendo gli orizzonti a nuovi modelli teorici e richiedendo conferme
sperimentali sempre più accurate. L’ultima novità, in ordine di tempo, è quella appena pubblicata
su Nature Physics da un’équipe di scienziati di cui fa parte anche il nostro Giovanni AmelinoCamelia, fisico teorico della Sapienza Università di Roma, editorialista di Wired e già indicato
dal periodico americano Discover come uno dei possibili novelli Einstein per la sua teoria
della relatività doppiamente speciale.
Amelino-Camelia, in collaborazione con Vlaios Vasileiou, dell’università francese di
Montpellier, Johnathan Granot, dell’università di Israele e Tsvi Piran, dell’università di
Gerusalemme, ha analizzato i dati provenienti dal Fermi Gamma-Ray Space
Telescope della Nasa per capire come la struttura dello spazio-tempoinfluenzi le velocità
dei fotoni provenienti da esplosioni cosmiche molto distanti.
Si tratta di una questione abbastanza delicata, che investe i due pilastri della fisica moderna,
la relatività generale, per l’appunto, e la meccanica quantistica, entrambe ampiamente verificate
a livello sperimentale. Per comprendere il lavoro degli scienziati, è necessario fare un piccolo passo
indietro. La prima teoria spiega il comportamento della gravità, descrivendola in termini di una
sorta di deformazione dello spazio-tempo, la struttura quadridimensionale in cui siamo immersi. La
seconda, invece, contiene le leggi fisiche che regolano il comportamento di onde eparticelle su
scale spaziali microscopiche.
Semplificando all’estremo, potremo dire che le due teorie si occupano, rispettivamente,
dell’enormemente grande e dell’enormemente piccolo. Separatamente, meccanica quantistica e
relatività generale funzionano alla perfezione. Il problema è che, quando i fisici provano a inserirle
in un unico quadro, le teorie non combaciano. In altre parole, usando un linguaggio caro agli
scienziati, non è ancora possibile quantizzare la gravità.
Una delle strade attualmente più promettenti per conciliare le due teorie prevede l’esistenza di una
sorta di schiuma di spazio-tempo: si tratta di una predizione comune a parecchi modelli teorici,
secondo la quale su scale microscopiche lo spazio non sarebbe continuo, ma avrebbe, per l’appunto,
una struttura schiumosa. “Si tratta di un concetto complesso”, ha spiegato Amelino-Camelia, “ma
un’analogia può forse aiutarci a intuirlo. Consideriamo per esempio la nostra attuale descrizione
geometrica dello spazio-tempo: ricorda un po’ la geometria di un telo ideale. Un telo che risponde
alle sollecitazioni piegandosi, diventando più teso, restando però liscio, caratterizzato da una
geometria continua. Ebbene, noi ci aspettiamo che questa sia solo una prima approssimazione,
un’immagine rozza. In una descrizione microscopia più accurata, quel telo dovrebbe essere in un
certo senso poroso, come una schiuma. E con porosità la cui grana cambia rapidamente e
drammaticamente quando le distanze si fanno corte”.
Il problema è che la dimensione degli elementi che comporrebbero tale schiuma è troppo piccola
per poter essere misurata direttamente. Per accedervi in modo indiretto si potrebbe, per esempio,
cercare di capire se e come le particelle elementare (i fotoni, per esempio) interagiscono con la
schiuma. Esattamente ciò che ha fatto l’équipe di Amelino-Camelia, analizzando gli effetti della
schiuma sulla propagazione di fotoni lontani – quelli che provengono dai cosiddetti gamma ray
bursts, violentissime esplosioni in galassie distanti. Effetti che, continua il fisico, sono
estremamente piccoli e dunque, a loro volta, difficili da misurare.
“Ci aspettiamo che una delle implicazioni della schiuma”, ci racconta lo scienziato, “sia che
la legge di propagazione dei fotoni riceverebbe un nuovo contributo di fluttuazione statistica:
fotoni emessi simultaneamente raggiungerebbero il rilevatore non simultaneamente, con differenza
nei tempi di arrivo governata da una legge di fluttuazione statistica/casuale”. Che vuol dire? Le
particelle di luce, in linea di principio, dovrebbero muoversi tutte alla stessa velocità.
Ma se l’Universo è davvero fatto di una schiuma infinitesima e irregolare, quest’ultima potrebbe
modificare traiettorie e velocità dei fotoni, che quindi non arriverebbero simultaneamente sulla
Terra, ma a tempi diversi. “Ci sono diversi modelli teorici che studiano la propagazione dei fotoni:
noi ne abbiamo testato uno che assume che l’effetto della ‘schiuma’ cresca al crescere dell’energia
di due fotoni identici emessi simultaneamente”.
Lo scenario, come avrete capito, non è dei più semplici. Grazie all’analisi dei dati che arrivano dal
telescopio Fermi, gli scienziati sono riusciti a escludere i modelli di schiuma più ottimistici, cioè
quelli che prevedevano fluttuazioni deboli (ma non troppo) nelle velocità dei fotoni. Un risultato
solo apparentemente “negativo”, precisa ancora Amelino-Camelia, che rappresenta invece una
tappa fondamentale per la ricerca nel campo. Finora, infatti, era sperimentalmente impossibile
verificare le teorie più ottimistiche: la sfida è stata ora superata e si può cominciare a pensare a
come attaccare i modelli più pessimistici, quelli che prevedono fluttuazioni ancora più
impercettibili.
“Fino a 15 anni fa”, sottolinea Amelino-Camelia, “riuscire a osservare la trama dello spazio-tempo
sembrava impossibile, ora abbiamo dimostrato che si può fare”. Quello che abbiamo capito,
sostanzialmente, è che la schiuma è ancora più impalpabile di quanto pensassimo. Una cosa,
comunque, è certa, secondo lo scienziato: quando riusciremo a osservare, direttamente o
indirettamente, la trama dello spazio-tempo, avremo finalmente in mano la chiave per capire come
conciliare meccanica quantistica e relatività generale. Un risultato niente male.
Credits immagine: Nasa/Sapienza Università di Roma
Il primo sguardo nella trama
dello spazio-tempo
Un’équipe internazionale di scienziati, tra cui il fisico italiano
Giovanni Amelino-Camelia, ha analizzato le traiettorie di fotoni
lontanissimi per scoprire la struttura più intima dell’Universo
(Immagine: Nasa/Sapienza Università di Roma)
Ha appena compiuto cento anni, ma non ha neanche una ruga. Lateoria della
relatività generale, formulata nel 1916 da Albert Einstein, continua
incessantemente a pompare nuova linfa nella fisica, aprendo gli orizzonti a
nuovi modelli teorici e richiedendo conferme sperimentali sempre più accurate.
L’ultima novità, in ordine di tempo, è quella appena pubblicata su Nature
Physics da un’équipe di scienziati di cui fa parte anche il nostro Giovanni
Amelino-Camelia, fisico teorico della Sapienza Università di
Roma,editorialista di Wired e già indicato dal periodico americano
Discover come uno dei possibili novelli Einstein per la sua teoria della relatività
doppiamente speciale.
Amelino-Camelia, in collaborazione con Vlaios Vasileiou, dell’università
francese di Montpellier, Johnathan Granot, dell’università di Israele e Tsvi
Piran, dell’università di Gerusalemme, ha analizzato i dati provenienti dal Fermi
Gamma-Ray Space Telescope della Nasa per capire come la struttura
dellospazio-tempo influenzi le velocità dei fotoni provenienti da esplosioni
cosmiche molto distanti.
Si tratta di una questione abbastanza delicata, che investe i due pilastri della fisica
moderna, la relatività generale, per l’appunto, e la meccanica quantistica,
entrambe ampiamente verificate a livello sperimentale. Per comprendere il lavoro
degli scienziati, è necessario fare un piccolo passo indietro. La prima teoria spiega
il comportamento della gravità, descrivendola in termini di una sorta
di deformazione dello spazio-tempo, la struttura quadridimensionale in cui siamo
immersi. La seconda, invece, contiene le leggi fisiche che regolano
il comportamento di onde e particelle su scale spaziali microscopiche.
Semplificando all’estremo, potremo dire che le due teorie si occupano,
rispettivamente, dell’enormemente grande e dell’enormemente piccolo.
Separatamente, meccanica quantistica e relatività generale funzionano alla
perfezione. Il problema è che, quando i fisici provano a inserirle in un unico
quadro, le teorie non combaciano. In altre parole, usando un linguaggio caro agli
scienziati, non è ancora possibile quantizzare la gravità.
Una delle strade attualmente più promettenti per conciliare le due teorie prevede
l’esistenza di una sorta di schiuma di spazio-tempo: si tratta di una predizione
comune a parecchi modelli teorici, secondo la quale su scale microscopiche lo
spazio non sarebbe continuo, ma avrebbe, per l’appunto, una
struttura schiumosa. “Si tratta di un concetto complesso”, ha spiegato AmelinoCamelia,“ma un’analogia può forse aiutarci a intuirlo. Consideriamo per
esempio la nostra attuale descrizione geometrica dello spazio-tempo: ricorda un
po’ la geometria di un telo ideale. Un telo che risponde alle sollecitazioni
piegandosi, diventando più teso, restando però liscio, caratterizzato da una
geometria continua. Ebbene, noi ci aspettiamo che questa sia solo una prima
approssimazione, un’immagine rozza. In una descrizione microscopia più
accurata, quel telo dovrebbe essere in un certo senso poroso, come una schiuma.
E con porosità la cui grana cambia rapidamente e drammaticamente quando le
distanze si fanno corte”.
Il problema è che la dimensione degli elementi che comporrebbero tale schiuma è
troppo piccola per poter essere misurata direttamente. Per accedervi in modo
indiretto si potrebbe, per esempio, cercare di capire se e come le particelle
elementare (i fotoni, per esempio) interagiscono con la schiuma. Esattamente ciò
che ha fatto l’équipe di Amelino-Camelia, analizzando gli effetti della schiuma
sulla propagazione di fotoni lontani – quelli che provengono dai cosiddetti gamma
ray bursts, violentissime esplosioni in galassie distanti. Effetti che, continua il
fisico, sono estremamente piccoli e dunque, a loro volta, difficili da misurare.
“Ci aspettiamo che una delle implicazioni della schiuma”, ci racconta lo
scienziato, “sia che la legge di propagazione dei fotoni riceverebbe un nuovo
contributo di fluttuazione statistica: fotoni emessi simultaneamente
raggiungerebbero il rilevatore non simultaneamente, con differenza nei tempi di
arrivo governata da una legge di fluttuazione statistica/casuale”. Che vuol dire?
Le particelle di luce, in linea di principio, dovrebbero muoversi tutte alla stessa
velocità.
Ma se l’Universo è davvero fatto di una schiuma infinitesima e irregolare,
quest’ultima potrebbe modificare traiettorie e velocità dei fotoni, che quindi non
arriverebbero simultaneamente sulla Terra, ma a tempi diversi. “Ci sono diversi
modelli teorici che studiano la propagazione dei fotoni: noi ne abbiamo testato
uno che assume che l’effetto della ‘schiuma’ cresca al crescere dell’energia di due
fotoni identici emessi simultaneamente”.
Lo scenario, come avrete capito, non è dei più semplici. Grazie all’analisi dei dati
che arrivano dal telescopio Fermi, gli scienziati sono riusciti a escludere i modelli
di schiuma più ottimistici, cioè quelli che prevedevano fluttuazioni deboli (ma
non troppo) nelle velocità dei fotoni. Un risultato solo apparentemente “negativo”,
precisa ancora Amelino-Camelia, che rappresenta invece una tappa fondamentale
per la ricerca nel campo. Finora, infatti, era sperimentalmente impossibile
verificare le teorie più ottimistiche: la sfida è stata ora superata e si può cominciare
a pensare a come attaccare i modelli più pessimistici, quelli che prevedono
fluttuazioni ancora più impercettibili.
“Fino a 15 anni fa”, sottolinea Amelino-Camelia, “riuscire a osservare la trama
dello spazio-tempo sembrava impossibile, ora abbiamo dimostrato che si può
fare”. Quello che abbiamo capito, sostanzialmente, è che la schiuma è ancora
più impalpabile di quanto pensassimo. Una cosa, comunque, è certa, secondo lo
scienziato: quando riusciremo a osservare, direttamente o indirettamente,
la trama dello spazio-tempo, avremo finalmente in mano la chiave per capire
come conciliare meccanica quantistica e relatività generale. Un risultato niente
male.
Lampi gamma sulla schiuma quantistica
Calcolati grazie all’osservazione di un GRB con il satellite Fermi, escono su Nature Physics i primi vincoli mai
ottenuti sulle variazioni stocastiche della velocità della luce indotte dalla schiuma spaziotemporale. Giovanni
Amelino-Camelia: «È un risultato significativo: dimostra che questa ricerca si può fare»
di Marco Malaspina
lunedì 16 marzo 2015 @ 17:16
Rappresentazione artistica d’un lampo di raggi gamma. Crediti: NASA/Swift/Mary Pat Hrybyk-Keith
e John Jone
Era il 10 maggio del 2009 quando alcuni fotoni provenienti dagli abissi del tempo, dopo un viaggio
durato circa sette miliardi di anni, andarono a concludere la loro avventura schiantandosi contro i
rivelatori per raggi gamma a bordo del satellite Fermi della NASA, in orbita attorno alla Terra. Luogo di
provenienza delle impalpabili particelle, il GRB090510: un lampo di raggi gamma – dunque uno dei
fenomeni più violenti dell’universo, big bang a parte – molto distante (a redshift 0.903, per dirla con i
cosmologi), nonché uno fra i più brillanti mai rilevati.
Particelle impalpabili, dicevamo, ma pur sempre testimoni – solo a saperle interrogare – di cose che noi
umani non potremmo neanche immaginare. Cose come la schiuma quantistica, quell’altrettanto
impalpabile porosità del vuoto spaziotemporale all’interno della quale, suggeriscono alcuni modelli, le
fondamenta stesse della fisica – dalla relatività generale alla simmetria di Lorentz – cominciano a
traballare. Ebbene, fra coloro che le sanno interrogare, e che sanno quali domande porre a questi
fotoni viaggiatori, c’è Giovanni Amelino-Camelia.
Tra i primi al mondo a ipotizzare la presenza d’un effetto misurabile della quantizzazione dello
spaziotempo sulle particelle relativistiche (in un lavoro pubblicato su Nature nel 1998 dal titolo “Tests of
quantum gravity from observations of big gamma-ray bursts”), Amelino-Camelia è oggi professore al
dipartimento di fisica dell’Università di Roma “La Sapienza”. Ed è fra i coautori d’uno studio, pubblicato
sull’ultimo numero di Nature Physics, nel quale per la prima volta, grazie proprio all’osservazione
compiuta da Fermi dei fotoni prodotti dal lampo gamma GRB090510, viene posto un limite inferiore alla
scala energetica alla quale deve presentarsi, se la schiuma quantistica davvero esiste, uno degli effetti
dovuti alla sua fuzziness: la perturbazione della velocità della luce nel vuoto. Altrettanto rilevante,
questo limite inferiore risulta piuttosto elevato: 2.8 volte l’energia di Planck. Un valore sufficiente a
escludere alcuni modelli. E per comprendere qualcosa di più sulla rilevanza di questo risultato, Media
INAF ha intervistato lo stesso Amelino-Camelia.
Professor Amelino-Camelia, partiamo dalla responsabile dei risultati descritti nel vostro studio:
che cos’è, questa “schiuma”?
«Con schiuma spaziotempolare si denomina la descrizione fondamentale dello spaziotempo, quella che
dovrà emergere dall’unificazione fra meccanica quantistica e descrizione generale relativistica dei
fenomeni gravitazionali. Si tratta di un concetto complesso, ma un’analogia può forse aiutarci a intuirlo.
Consideriamo per esempio la nostra attuale descrizione geometrica dello spaziotempo: ricorda un po’
la geometria di un telo ideale. Un telo che risponde alle sollecitazioni piegandosi, divenendo più teso,
restando però “liscio”, caratterizzato da una geometria continua, fluida. Ebbene, noi ci aspettiamo che
questa sia solo una prima approssimazione, un’immagine rozza. In una descrizione microscopica più
accurata, quel telo dovrebbe essere in un certo senso poroso, come un schiuma. E con porosità la cui
grana cambia rapidamente e drammaticamente quando le distanze si fanno corte».
In che modo fenomeni come i lampi di raggi gamma possono dirci se questa schiuma è realtà?
«L’immagine della geometria dello spaziotempo che ho appena suggerito descrive uno scenario che
comporta inevitabilmente alcune conseguenze sul modo in cui si propagano le particelle, visto che la
loro propagazione deve conformarsi, è ovvio, alle proprietà dello spaziotempo in cui si propagano. Ora,
quelli che ci attendiamo sono effetti piccolissimi: per la propagazione su distanze terrestri, per esempio,
non è possibile che questi effetti si accumulino a livello osservabile. Ma se la propagazione avviene su
distanze cosmologiche, com’è appunto il caso dei lampi di raggi gamma, l’effetto cumulativo potrebbe
essere osservabile».
E lo è?
«Le previsioni su quanto la schiuma spaziotemporale condizioni la propagazione di particelle su
distanze cosmologiche hanno forte dipendenza dai diversi modelli ai quali si rifanno. C’è quindi una
gamma di predizioni, da quelle dei modelli più ottimistici (che contemplano effetti comunque ridottissimi
ma meno deboli che in altri modelli) via via, a scendere, a quelle dei modelli più pessimistici, che
dunque prevedono effetti ancora più deboli. Fino a oggi non si era mai riusciti a raggiungere nemmeno
la sensibilità necessaria a mettere alla prova i modelli più ottimistici, quindi l’intero programma di ricerca
era in limbo».
Giovanni Amelino-Camelia
Ora cosa cambia, con il risultato descritto nel vostro articolo?
«La nostra analisi sblocca la situazione: abbiamo sviluppato una strategia di analisi dei dati del
telescopio Fermi che consente d’escludere i modelli di schiuma spaziotemporale più ottimistici. Un
risultato quindi “negativo”, nel senso che falsifica alcuni modelli, ma che rappresenta non di meno una
tappa importante, una milestone: mostra che questa ricerca si può fare. In altre parole, abbiamo fatto
compiere a questo programma di ricerca il primo passo. Ora finalmente si può avviare il meccanismo
salutare della scienza, con successivi miglioramenti della qualità dei dati e raffinamenti delle tecniche di
analisi che porteranno, prima o poi, alla scoperta della schiuma spaziotemporale».
Tutto grazie a un lampo gamma… ma allargando lo sguardo anche ad altre sorgenti oltre ai
GRB, oppure ad altri strumenti oltre a Fermi, quali sono concretamente i passi che ci attendono,
le prospettive più interessanti per lo studio della struttura quantistica dello spaziotempo
attraverso osservazioni astrofisiche e cosmologiche?
«Per questo genere di studi, l’ideale sono proprio telescopi spaziali come Fermi, ma anche la
realizzazione di un osservatorio terrestre come il CTA, il Cherenkov Telescope Array, apre prospettive
interessanti. Certo, un nuovo telescopio di “tipo Fermi”, anche se dovesse migliorare ad esempio solo
di un fattore 3 in sensibilità e ampiezza del range d’energie rilevabili, potrebbe fare davvero la
differenza per questo programma di ricerca: potremmo essere ad un passo da una scoperta
d’importanza fondamentale, che rischiamo di mancare se non viene realizzato, in qualche forma, una
sorta di “telescopio Fermi upgraded”, potenziato. Con il CTA si aprono comunque prospettive
interessanti: avremo dati su fotoni d’energie più elevate rispetto a quelli rilevati da Fermi, e questo aiuta
gli obiettivi dello studio della schiuma spaziotemporale. Anche se, tipicamente, saranno dati derivati da
sorgenti relativamente più vicine rispetto ai gamma-ray bursts più lontani osservati da Fermi. Insomma,
con il CTA ci sarà da gestire una situazione un po’ di compromesso, occorrerà vedere se l’accesso a
energie più alte sarà sufficiente a compensare il minor accumulo d’effetti lungo la propagazione».
Scienza: primo zoom sullo spazio-tempo, adesso è possibile osservarne la
“trama”
lunedì 16 marzo 2015, 17:48 di Peppe Caridi
Primo zoom sullo spazio-tempo: dopo decenni di teorie, per la prima volta diventa possibile riuscire
ad osservare la struttura microscopica che lo costituisce e che i fisici quantistici chiamano ‘schiuma’.
A compiere questo passo senza precedenti e considerato finora impossibile, è il gruppo di Giovanni
Amelino Camelia, dell’università Sapienza di Roma. Pubblicato sulla rivista Nature Physics, il
risultato è stato raggiunto grazie ai dati del telescopio spaziale Fermi della Nasa, al quale l’Italia
partecipa con Agenzia Spaziale Italiana (Asi), Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) e Istituto
Nazionale di Fisica Nucleare (Infn). La ricerca e’ stata condotta in collaborazione con Vlasios
Vasileiou, dell’università francese di Montpellier, Jonathan Granot, dell’università di Israele, e Tsvi
Piran, dell’università di Gerusalemme. ”Fino a 15 anni fa riuscire ad osservare la trama dello spaziotempo sembrava impossibile, ora dimostriamo che si può fare”, spiega Amelino Camelia, indicato
dal periodico americano Discover fra i sei possibili nuovi Einstein per aver elaborato una variante
della teoria della relatività. Dopo aver lavorato negli Stati Uniti, nell’università di Boston e nel
Massachusetts Institute of Technology (Mi), e nell’università britannica di Oxford, e’ tornato in Italia
grazie al programma sul rientro dei cervelli e insegna Gravità quantistica alla Sapienza. I ricercatori
hanno ‘letto’ in modo nuovi i dati raccolti nel 2009 dal telescopio Fermi ed hanno capito che la
propagazione delle particelle di luce, i fotoni, può essere influenzata dalla schiuma dello spaziotempo. Non si sa quando si riuscirà a ‘vedere’ direttamente la trama dello spazio-tempo, ma quando
questo avverrà l’impatto avrà una portata storica. ”Sarà la chiave – osserva il ricercatore -per capire
come far lavorare insieme le due teorie di riferimento della fisica moderna: quella della relatività,
che spiega la gravitazione su larga scala, e la fisica quantistica, che studia il mondo dell’infinitamente
piccolo”. Due teorie che sono i pilastri della fisica moderna, ma che nessuno e’ mai riuscito a
conciliare.