PREMESSA ALLA OTTAVA EDIZIONE Anche nel periodo di tempo intercorso tra la settima edizione del manuale e la presente la giurisprudenza ha continuato nell’opera di interpretazione del Codice, alla luce dei principi costituzionali e degli interventi della Corte di Giustizia e dell’Unione Europea. Il legislatore ha messo mano in più occasioni al Codice del Processo anche in modo non sistematico (l’innovazione più incisiva è stata introdotta dal nuovo Codice dei Contratti Pubblici approvato con il d.lgs. n. 50 del 2016). Il processo avanti la Corte dei Conti è stato, poi, integralmente riordinato in forza della delega attribuita al Governo dalla Legge Madia (legge n. 124 del 2015) con il d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174, che ha approvato il codice della giustizia contabile. Per tutte queste ragioni si è imposta la necessità di una nuova edizione del Manuale. XVIII PREMESSA ALLA SESTA EDIZIONE CAPITOLO I I RICORSI AMMINISTRATIVI SOMMARIO: 1. I caratteri e la funzione. – 2. L’ambito del ricorso gerarchico. – 3. La proposizione del ricorso gerarchico. – 4. La decisione del ricorso. – 5. Il silenzio sul ricorso gerarchico. – 6. I rapporti fra ricorso gerarchico e ricorso giurisdizionale. – 7. I gradi del ricorso gerarchico. NORMATIVA DI RIFERIMENTO: § 1. Legge 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 20. – § 2. D.p.r. 24 novembre 1971, n. 1199, art. 1. – § 4. D.p.r. 24 novembre 1971, n. 1199, art. 3; legge 6 dicembre 1971, n. 1034. – § 7. D.p.r. 24 novembre 1971, n. 1199. 1. I caratteri e la funzione. Nei confronti degli atti e dei comportamenti dell’amministrazione che si assumano lesivi di interessi legittimi e di diritti soggettivi, è riconosciuta, in via generale, agli interessati la possibilità di ricorrere, innanzitutto, alla stessa pubblica amministrazione. La facoltà degli interessati corrisponde ad un interesse della stessa parte pubblica, che, attraverso la decisione su questi ricorsi, risolve in via interna il problema di legittimità o di legalità della propria azione, evitando l’intervento del giudice ed ottenendo di definire in tempi più rapidi la controversia. Si tratta di una attività, perciò, che l’amministrazione svolge da un lato nel suo proprio interesse, dall’altro nell’interesse degli amministrati e della collettività al servizio della quale è istituita. L’attività di decisione dei ricorsi amministrativi, per questa ragione, è ricompresa nell’ambito della cosiddetta autotutela, e cioè della facoltà riconosciuta all’amministrazione di farsi giustizia da sé, e cioè di intervenire autonomamente sui propri atti, indipendentemente dalla rilevanza esterna dei medesimi; la decisione sui ricorsi gerarchici, contemporaneamente, fa parte dell’attività giustiziale dell’amministrazione, e cioè dell’attività attraverso la quale la parte pubblica 2 CAPITOLO I svolge una funzione nell’obiettivo interesse della collettività, curando che i propri provvedimenti e i propri comportamenti siano conformi al diritto. Per questa sua caratteristica, l’attività di decisione dei ricorsi amministrativi è, per la pubblica amministrazione, doverosa, e nell’ambito di decisione di detti ricorsi l’amministrazione è tenuta a provvedere rispettando le scelte degli interessati e cioè tenendo conto dei motivi da questi dedotti. Allorché decida sui ricorsi, l’amministrazione deve, ove li ritenga fondati, annullare i propri provvedimenti o modificare i propri comportamenti, senza che occorra, in questo caso, alcun’altra valutazione in ordine al pubblico interesse all’annullamento o alla modificazione del comportamento. Il pubblico interesse ad una operazione di questo genere, infatti, è stato valutato una volta per tutte dal legislatore nell’istituire questi rimedi. All’origine del nostro attuale sistema di giustizia amministrativa, allorché è stata istituita la IV Sezione del Consiglio di Stato, il ricorso alla autorità amministrativa era obbligatorio, costituiva, cioè, una condizione di ammissibilità per il ricorso al giudice: questo ricorso era possibile soltanto se erano stati esperiti i ricorsi gerarchici previsti dall’ordinamento o se il provvedimento non era suscettibile di impugnazione in sede gerarchica, vuoi perché emanato da un organo senza superiore gerarchico, vuoi perché esonerato dall’assoggettamento a ricorsi gerarchici da parte dell’ordinamento. In quella impostazione, il rimedio in via amministrativa era considerato indispensabile proprio per consentire all’amministrazione in primo luogo di risolvere al proprio interno la controversia. Soltanto nei confronti della decisione definitiva dell’amministrazione era possibile il ricorso al giudice. Senonché, nell’esperienza concreta, il ricorso amministrativo si è dimostrato, nella gran parte dei casi, un rimedio privo di effettivo significato: l’amministrazione, una volta compiuta la propria scelta ed adottato il provvedimento, non ha interesse a rivederlo o non è in grado di operare una rivalutazione delle proprie determinazioni. Nella gran parte dei casi, perciò, il ricorso gerarchico non veniva deciso, e l’obbligatorietà del suo previo esperimento aveva come unico effetto quello di impedire il ricorso al giudice amministrativo. È stato proprio per questa ragione che la giurisprudenza del Consiglio di Stato prima e il legislatore poi hanno disciplinato il silenzio-rigetto, e cioè il procedimento al termine del quale è possibile al ricorrente far constare che l’amministrazione non ha deciso sul ricorso gerarchico, con il risultato di consentire comunque il ricorso in sede giurisdizionale. La legge istitutiva dei T.A.R. ha completato questo percorso, escludendo, con disposizione di carattere generale, che il ricorso al giudice debba essere necessariamente preceduto da un ricorso amministrativo; il Codice I RICORSI AMMINISTRATIVI 3 del processo ha confermato implicitamente la scelta, non affrontando nemmeno più il problema. Il numero elevato dei ricorsi proposti al giudice amministrativo, i tempi tutto sommato lunghi di definizione dei medesimi e la pendenza di un consistente arretrato hanno comportato, peraltro, anche di recente una specifica attenzione alle soluzioni alternative delle controversie: e ciò sulla scorta di una Raccomandazione del Consiglio d’Europa in data 5 settembre 2001, che ha segnalato l’opportunità di valorizzare le cosiddette A.D.R. (Alternative Dispute Resolutions). In linea con queste previsioni, per esempio, il Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture approvato con d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 ha previsto tre modelli di soluzione alternativa delle controversie: l’accordo bonario tra la stazione appaltante e l’appaltatore, la transazione e l’arbitrato; nello stesso senso dispone il Codice dei contratti pubblici approvato con il d.lgs. 19 aprile 2016, n. 50, che ha sostituito il precedente, e che ha anzi arricchito le possibilità di soluzione stragiudiziale con l’intervento di nuovi organi consultivi. In quest’ottica, si è proposto di rivitalizzare l’istituto del ricorso amministrativo, che, pur non essendo un sistema alternativo di risoluzione delle controversie, posto che è affidato alla decisione unilaterale dell’amministrazione, può essere uno strumento riconducibile a quel settore, quanto meno in un’ottica deflattiva del contenzioso. Così, è stata riproposta all’attenzione del legislatore l’idea di rivitalizzare il ruolo dei ricorsi gerarchici, rendendoli in qualche misura una fase preliminare indispensabile per l’accesso al giudice (e, d’altro canto, nel giudizio avanti i giudici civili in funzione di giudici del lavoro il tentativo obbligatorio di conciliazione avanti gli uffici provinciali del lavoro era sostanzialmente un qualcosa di analogo: dal 2010, il tentativo è stato reso facoltativo). L’istituto della mediazione, introdotto con riferimento alle controversie civili, ha lo stesso scopo. Di per sé, l’idea non può essere scartata, in quanto l’amministrazione ha un interesse alla definizione in proprio delle controversie: ma è anche vero che se, sino ad ora, il meccanismo non ha in nessun modo funzionato, appare in qualche misura utopistico immaginare che possa risultare lo strumento idoneo alla soluzione di tutti i mali. I ricorsi amministrativi si possono distinguere in ricorso gerarchico, ricorso gerarchico improprio, opposizione e ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, che è un gravame più articolato e, ormai, assai simile al ricorso giurisdizionale. Poiché il ricorso gerarchico improprio e il ricorso in opposizione sono assai simili al ricorso gerarchico, verranno trattati unitamente a questo; trattazione separata, invece, richiede il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. 4 CAPITOLO I 2. L’ambito del ricorso gerarchico. Il ricorso gerarchico è un rimedio di carattere generale, ammesso, perciò, nei confronti di tutti gli atti amministrativi non definitivi, emanati, cioè, da organi rispetto ai quali sussista un superiore gerarchico e in ipotesi nelle quali l’ordinamento espressamente non escluda la possibilità di gravame. In questi termini dispone l’art. 1 del d.p.r. 24 novembre 1971, n. 1199, che ha riorganizzato la disciplina della materia. Il ricorso gerarchico è altresì possibile nei confronti di atti emanati da organi rispetto ai quali non sia individuabile un superiore gerarchico, ma soltanto nelle ipotesi espressamente previste dalla legge: si tratta del ricorso gerarchico improprio, anch’esso previsto dall’art. 1 del d.p.r. prima citato, nei confronti di atti amministrativi dei ministri, di enti pubblici o di organi collegiali, e cioè di organi rispetto ai quali non è normalmente individuabile un superiore gerarchico. Nelle ipotesi espressamente previste dalla legge, è altresì possibile il ricorso in opposizione, e cioè il ricorso proposto allo stesso organo che ha emanato il provvedimento: si deve trattare, però, di ipotesi espressamente previste dalla legge, perché, diversamente, il ricorso allo stesso organo che ha emanato il provvedimento non può che essere qualificato come reclamo, e cioè come un atto che è idoneo a sollecitare l’iniziativa d’ufficio dell’organo ma che non consente a colui che l’ha proposto di pretendere di per sé una risposta. Mentre i ricorsi, anche il ricorso in opposizione, fanno sorgere nell’amministrazione il dovere di provvedere, il reclamo semplicemente sollecita un potere d’ufficio, che può, perciò, essere esercitato o meno in relazione ai vari profili di pubblico interesse. 3. La proposizione del ricorso gerarchico. Il ricorso gerarchico è proponibile entro un termine di carattere generale, che è il termine di trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento, o dalla sua notificazione o dalla piena conoscenza del medesimo, e cioè dal momento nel quale l’interessato ha conoscenza del dispositivo del provvedimento. I ricorsi gerarchici impropri e i ricorsi in opposizione hanno, viceversa, termini fissati dalle singole disposizioni che li prevedono, spesso in misura inferiore a quella di trenta giorni, al fine di consentire all’amministrazione di conoscere sollecitamente se vi sono reazioni al suo provvedimento. I RICORSI AMMINISTRATIVI 5 Il ricorso può essere inoltrato attraverso una pluralità di procedimenti, il che rende la proposizione del medesimo piuttosto agevole. Ed infatti, il ricorso può essere presentato direttamente all’organo che ha emanato il provvedimento impugnato o al superiore gerarchico dell’organo medesimo, indicato nel provvedimento; può essere notificato allo stesso organo, a mezzo di ufficiale giudiziario; può essere inoltrato a mezzo del servizio postale con raccomandata con avviso di ricevimento. Tutte queste attività possono essere compiute direttamente dal ricorrente, eccezion fatta per la notificazione che deve essere effettuata dall’ufficiale giudiziario. Se il ricorso è presentato direttamente all’organo amministrativo, questo ne rilascia ricevuta; se è notificato, l’ufficiale giudiziario ne fa relazione; se è inoltrato a mezzo posta, la prova dell’inoltro è l’avviso di ricevimento. Nel caso in cui il ricorso venga inoltrato a mezzo posta, vale come data di presentazione la data di spedizione della raccomandata. Il legislatore si è preoccupato di agevolare il ricorrente, che può essere il privato cittadino direttamente, posto che per la proposizione del ricorso amministrativo non è richiesto il patrocinio di un avvocato. E così, se il ricorso è stato tempestivamente proposto a un organo diverso da quello che sarebbe competente, ma appartenente alla medesima amministrazione, il ricorso non viene dichiarato irricevibile, ma viene trasmesso d’ufficio all’organo competente. Il ricorso deve contenere l’indicazione del provvedimento nei confronti del quale si ricorre, l’indicazione dei motivi di ricorso rispetto ai quali si chiede l’annullamento del provvedimento e la sottoscrizione da parte del ricorrente. Va precisato che il ricorso amministrativo può essere proposto sia a tutela di un interesse legittimo che a tutela di un diritto soggettivo: in quest’ultimo caso, non essendovi, in ipotesi, un provvedimento impugnabile, non vi è un termine per ricorrere vero e proprio, essendo l’azione proponibile comunque entro il termine di prescrizione del diritto. 4. La decisione del ricorso. La decisione del ricorso avviene dopo una fase istruttoria. Innanzitutto, posto che il ricorso non deve essere notificato a cura del ricorrente ai controinteressati, il medesimo viene comunicato agli stessi a cura dell’autorità alla quale il ricorso è stato proposto. I soggetti ai quali il ricorso è stato proposto possono, entro i venti giorni dal ricevimento della comunicazione, presentare all’organo decidente memorie e documenti. 6 CAPITOLO I Di per sé, questi atti non vengono trasmessi al ricorrente, al quale è però riconosciuta la facoltà di accedere agli atti del procedimento e perciò di ottenerne copia. L’organo decidente può disporre gli accertamenti istruttori che ritiene opportuni. Può, altresì, esaminare una istanza cautelare, proposta dal ricorrente o nel ricorso o con un altro atto presentato con le stesse modalità. La sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato, che è il provvedimento cautelare tipico, può essere anche disposta dallo stesso organo decidente in via autonoma. In entrambi i casi, l’elemento al quale l’organo decidente deve fare riferimento è definito dall’art. 3 del d.p.r. n. 1199 del 1971 come “gravi motivi” e cioè con una espressione sintetica che non pare però ragionevolmente diversa da quella utilizzata dalla legge istitutiva dei T.A.R. e dal Codice, che richiedono la sussistenza di danni gravi ed irreparabili. Perché si adotti il provvedimento di sospensione occorre, cioè, che vi siano delle ragioni gravi che giustifichino un intervento anticipato rispetto alla decisione del ricorso. La decisione del ricorso deve essere contenuta in un atto motivato, che deve esaminare tutti i motivi del ricorso, a meno che non ne individui qualcuno che possa essere considerato assorbente rispetto agli altri: un motivo può essere considerato assorbente allorché il suo accoglimento comporti di per sé l’annullamento del provvedimento impugnato in modo satisfattivo per il ricorrente. La decisione, una volta emessa, deve essere comunicata all’organo o all’ente che ha emanato l’atto impugnato, al ricorrente e agli altri interessati ai quali sia stato comunicato il ricorso, e ciò deve avvenire o in via amministrativa o mediante notificazione o mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Nella decisione, l’organo decidente, se riconosce che il ricorso non poteva essere proposto, ad esempio perché il provvedimento era da ritenere definitivo, lo dichiara inammissibile; se ravvisa nell’atto introduttivo una irregolarità sanabile, assegna al ricorrente il termine per la regolarizzazione. Se il ricorrente provvede alla regolarizzazione, il ricorso procede nel suo iter; diversamente, verrà dichiarato improcedibile. Se l’organo ritiene il ricorso infondato, lo respinge. Se lo ritiene fondato, lo accoglie, e annulla l’atto impugnato. Se il motivo dedotto era un vizio di incompetenza, all’annullamento dell’atto consegue la rimessione dell’affare all’autorità competente. Se il motivo di accoglimento è diverso, e i motivi di ricorso possono investire sia la legittimità che il merito del provvedimento, lo annulla o lo riforma, e cioè lo modifica. Diversamente, se è il caso, lo rimette all’autorità competente perché provveda. I RICORSI AMMINISTRATIVI 7 5. Il silenzio sul ricorso gerarchico. Come si è detto, è estremamente frequente che l’autorità investita dal ricorso gerarchico non lo decida: in questo caso, decorsi novanta giorni dalla proposizione del ricorso senza che nulla sia accaduto, si ritiene formato il silenzio-rigetto, in esito al quale si consente al ricorrente che aveva proposto ricorso in via gerarchica di riproporre l’impugnazione del medesimo provvedimento già contestato in sede gerarchica avanti il giudice amministrativo. Il silenzio sul ricorso gerarchico non è considerato, perciò, un provvedimento impugnabile, ma, semplicemente, un elemento che consente al ricorrente di rivolgersi al giudice amministrativo. Il ricorso al T.A.R. avverso il provvedimento già inutilmente contestato in sede gerarchica va proposto nei sessanta giorni successivi alla formazione del silenzio-rigetto. Poiché si tratta, semplicemente, della riproposizione del medesimo gravame, non possono essere dedotti motivi nuovi rispetto a quelli proposti nel ricorso gerarchico. Se nel ricorso gerarchico erano stati proposti anche dei motivi di merito, i medesimi non possono essere più riproposti in sede giurisdizionale, a meno che, in quell’ipotesi, il giudice amministrativo non abbia una giurisdizione estesa al merito. La giurisprudenza consente, in questo caso, al ricorrente di diffidare l’amministrazione a provvedere, onde avere una decisione sul ricorso gerarchico, e di impugnare il silenzio-rifiuto su codesta diffida, onde ottenere dal giudice amministrativo che dichiari l’obbligo dell’amministrazione di pronunciarsi. Problema non ancora affrontato è se si debba fare applicazione della disciplina del Codice del processo, che non richiede la notificazione della diffida: poiché questa è, ormai, la disciplina del silenzio inadempimento, la risposta deve essere positiva. Se l’amministrazione provvede decorsi i termini di decisione del ricorso gerarchico, nei confronti di questa decisione sono proponibili dei rimedi. Se la decisione è una decisione di rigetto, la medesima è considerata una decisione irrilevante per il ricorrente che abbia già proposto ricorso in sede giurisdizionale, con la conseguenza che il ricorrente non è tenuto a impugnarla nuovamente. Se, peraltro, il ricorrente non ha proposto ricorso in sede giurisdizionale, nei confronti di questa decisione è possibile un nuovo ricorso, e poiché la decisione assorbe il provvedimento impugnato in via gerarchica, questo nuovo ricorso sarà comunque ammissibile anche se non è stato impugnato il silenzio-rigetto. Se la decisione ha accolto il ricorso gerarchico, invece, l’impugnazione 8 CAPITOLO I sarà possibile da parte dei controinteressati, i quali potranno far valere, tra gli altri vizi, l’intervenuta decorrenza del termine per decidere. 6. I rapporti fra ricorso gerarchico e ricorso giurisdizionale. Già s’è detto che il ricorso gerarchico non è obbligatorio nei confronti del provvedimento amministrativo, essendo proponibile un immediato ricorso al giudice. Parimenti, se è stato proposto ricorso gerarchico, il ricorrente può, in qualunque momento, ove si sia in termini, abbandonare la via amministrativa e rivolgersi al giudice amministrativo. È così possibile che, impugnato in via gerarchica un provvedimento entro i trenta giorni, entro i sessanta giorni il ricorso venga riproposto al giudice amministrativo: in questo caso, si intende che il ricorso gerarchico venga abbandonato e che il ricorrente non abbia più interesse alla sua definizione. Peraltro, l’amministrazione può, autonomamente, decidere il ricorso, che pure è stato proposto alla sua attenzione. Se nei confronti del ricorso sul provvedimento impugnato in via gerarchica sono stati già proposti altri ricorsi in sede giurisdizionale, l’amministrazione ne deve dare comunicazione al ricorrente in via gerarchica il quale può, entro trenta giorni, promuovere anch’egli ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale. 7. I gradi del ricorso gerarchico. La disciplina di semplificazione dei ricorsi gerarchici contenuta nel decreto n. 1199 del 1971 ha consentito al cittadino di esperire un solo grado di ricorso amministrativo. E cioè, quali che siano i superiori gerarchici dell’autorità che ha emanato il provvedimento impugnato, il ricorso è possibile soltanto nei confronti dell’autorità immediatamente superiore, senza che sia più consentito di percorrere i vari gradi della scala gerarchica, come accadeva, viceversa, nell’ordinamento precedente. CAPITOLO II IL RICORSO STRAORDINARIO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA SOMMARIO: 1. I caratteri e la funzione. – 2. Gli atti impugnabili e le posizioni tutelate. – 3. I rapporti fra il ricorso straordinario ed il ricorso giurisdizionale: l’alternatività. – 4. Il procedimento del ricorso straordinario. – 5. La decisione del ricorso. – 6. L’impugnazione della decisione del ricorso straordinario. – 7. Il ricorso al Presidente della Regione Sicilia. NORMATIVA DI RIFERIMENTO: § 2. D.p.r. 24 novembre 1971, n. 1199, art. 8; legge 18 giugno 2009, n. 69, art. 69; Codice, artt. 7 e 128. – § 3. D.p.r. 24 novembre 1971, n. 1199, art. 10; Codice, art. 48. – § 5. Legge 21 luglio 2000, n. 205, art. 3. – § 6. Art. 395 c.p.c. 1. I caratteri e la funzione. Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica formalmente è un rimedio amministrativo, in quanto è un ricorso che viene proposto ad una autorità amministrativa, che lo decide in tale sua qualità. Si tratta di un rimedio che trova la sua origine nei poteri riconosciuti al sovrano di intervenire, al di fuori di ogni ordine amministrativo e giurisdizionale, per risolvere le questioni propostegli dai cittadini. Progressivamente, l’istituto è stato assoggettato ad una particolare disciplina, con la individuazione di termini per la sua proposizione, all’origine assenti, e con la progressiva eliminazione del ruolo decisorio effettivo del Capo dello Stato. Come si vedrà, oggi, il ricorso straordinario è in sostanza deciso dal Consiglio di Stato. Il Codice del processo richiama in più disposizioni il ricorso straordinario, che è pertanto confermato. La natura amministrativa del ricorso ha, in passato, indotto la Corte costituzionale ad escludere la possibilità in sede di decisione del ricorso straordinario di sollevare questioni di legittimità costituzionale. Quest’orientamento, però, è ormai superato dal disposto dell’art. 69 della legge 18 giu- 10 CAPITOLO II gno 2009, n. 69, che ha ammesso la possibilità per il Consiglio di Stato di sollevare la questione di legittimità costituzionale, in sede di espressione del parere. A sua volta, la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha ritenuto che nel ricorso straordinario sia possibile disporre il rinvio pregiudiziale ad essa Corte delle questioni relative all’interpretazione del Trattato: e ciò in considerazione del carattere alternativo al rimedio giurisdizionale del ricorso straordinario. Nei confronti della decisione del ricorso, come si vedrà, è possibile anche il ricorso in Cassazione per questioni di giurisdizione, sempre che il problema sia stato sollevato nel procedimento di decisione del ricorso straordinario, come si dirà. Oggi, il ricorso straordinario continua ad essere un rimedio di tipo amministrativo, non giurisdizionale; ma per quanto detto, e tenuto conto che la decisione, nei fatti, è rimessa ad un organo terzo ed imparziale, e cioè al Consiglio di Stato, lo si può ritenere un rimedio giustiziale. La compatibilità del ricorso straordinario con il sistema di tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione, della quale periodicamente si dubita, è stata anche di recente confermata dalla Corte costituzionale, che ha ritenuto che si tratti di uno strumento rimesso alla libera scelta delle parti: Corte cost. 19 dicembre 2006, n. 432, e che ha riconosciuto, anzi, la sua progressiva assimilazione al ricorso giurisdizionale, qualificandolo come rimedio giustiziale: Corte cost., 2 aprile 2014, n. 73. Il rimedio ha mantenuto un suo significato, in quanto è proponibile entro un termine che è più ampio di quello previsto per il ricorso in sede giurisdizionale, è proponibile senza necessità di patrocinio legale, e gode della notorietà che gli deriva dal fatto di essere formalmente riferito alla decisione del Capo dello Stato. Ancora oggi, perciò, è utilizzato, sia nell’ipotesi in cui non si sia più in termini per un ricorso giurisdizionale, sia nell’ipotesi in cui la modestia della questione sconsigli di affrontare i costi del giudizio amministrativo. 2. Gli atti impugnabili e le posizioni tutelate. Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica può essere proposto nei confronti di tutti gli atti amministrativi, ma con la precisazione che deve trattarsi di atti amministrativi definitivi: in questi termini dispone l’art. 8 del d.p.r. 24 novembre 1971, n. 1199. IL RICORSO STRAORDINARIO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 11 Sono, perciò, impugnabili davanti al Presidente della Repubblica gli atti di tutte le autorità, statali, regionali, locali (eccezion fatta per gli atti della provincia autonoma di Bolzano, a sensi delle norme di attuazione dello Statuto speciale), delle autorità indipendenti, degli enti istituzionali e del c.d. parastato. Con espresso riferimento all’impugnazione degli atti delle autorità indipendenti, la proponibilità del ricorso straordinario è stata riconosciuta da Cons. Stato, Comm. spec., 29 maggio 1998, n. 988/97, in Cons. Stato, 1998, I, 1483. Si deve trattare, però, di atti adottati da organi nei confronti dei quali non siano individuabili superiori gerarchici. Oggi, il ricorso straordinario è proponibile anche nei confronti degli atti dei dirigenti generali dello Stato, poiché è venuta meno la possibilità di ricorso gerarchico al Ministro: Cons. Stato, Sez. II, 30 settembre 1998, n. 1273/98, in Giornale dir. amm., 1999, 67. L’atto definitivo, infatti, è tale, già lo si è visto, o perché emanato da un soggetto che non ha su di sé un superiore gerarchico, o perché emanato in un’ipotesi nella quale lo stesso ordinamento esclude che vi sia un superiore gerarchico in grado di intervenire, o perché emanato da un organo che per la sua collocazione implicitamente non può riconoscere un superiore gerarchico. Il Codice, all’art. 128, esclude espressamente che in materia di contenzioso elettorale sia possibile esperire il ricorso straordinario: la ragione dell’esclusione sta nel fatto che il rito elettorale, che è un rito speciale, è strutturato in modo da garantire una decisione estremamente celere, che non sarebbe compatibile con la tempistica ordinaria anche soltanto di proposizione del ricorso straordinario. Per le stesse ragioni, all’art. 120 è esclusa la possibilità di impugnare con ricorso straordinario gli atti dei procedimenti per l’aggiudicazione dei contratti. Con il ricorso straordinario è possibile agire, oltre che a tutela di interessi legittimi, anche a tutela di diritti soggettivi; in questo secondo caso, l’art. 7 del Codice limita la deducibilità alle controversie attribuite alla giurisdizione amministrativa. Nel ricorso straordinario non possono, perciò, essere impugnati atti di gestione del personale pubblico: Cons. Stato, Sez. II, 22 maggio 2012, n. 4529/2011 o atti del Garante privacy: Cons. Stato, Sez. I, 29 agosto 2012, n. 170/2011. Con orientamento innovativo, Cons. giust. amm. sic., Sez. riun., 19 febbraio 2008, n. 12 CAPITOLO II 409/2007 ha ammesso che nel ricorso straordinario sia possibile anche proporre una domanda di risarcimento dei danni: hanno però escluso che con il ricorso straordinario possa essere formulata una domanda di condanna al pagamento di somme di denaro od anche una domanda di condanna al risarcimento del danno Cons. Stato, Sez. I, 6 dicembre 2006, n. 3994/2006; Sez. II, 15 novembre 2006, n. 1592/2006; Sez. II, 27 febbraio 2008, n. 4825/2005; Sez. II, 15 ottobre 2014, n. 2563/2013; l’orientamento può trovare fondamento nell’ultimo comma dell’art. 30 del Codice che attribuisce esclusivamente al giudice amministrativo la possibilità di conoscere della domanda risarcitoria. Nel ricorso straordinario possono essere formulati soltanto motivi di legittimità, e non motivi di merito, così come previsto dall’art. 8 del d.p.r. n. 1199 del 1971. 3. I rapporti fra il ricorso straordinario ed il ricorso giurisdizionale: l’alternatività. Il ricorso straordinario è alternativo rispetto al ricorso giurisdizionale: ciò significa che una volta che sia stato proposto un ricorso giurisdizionale, non è possibile il ricorso straordinario da parte dello stesso interessato. La ragione della alternatività sta nella inopportunità di immaginare un possibile conflitto di decisioni fra l’autorità giurisdizionale e formalmente il Presidente della Repubblica sulla medesima questione. L’alternatività è decisa a favore del ricorso giurisdizionale, per la prevalenza della tutela in sede giurisdizionale, che è riconosciuta costituzionalmente. Il ricorso straordinario è un rimedio ammissibile nel nostro ordinamento, proprio perché frutto di una scelta del cittadino, che pur a fronte della garanzia costituzionale della giurisdizione, preferisce rivolgersi all’autorità amministrativa. Se vi è però un conflitto fra le due esigenze, prevale comunque la tutela in sede giurisdizionale. Nei confronti del ricorrente, la proposizione del ricorso giurisdizionale che impedisce la proposizione del ricorso straordinario coincide con il perfezionamento della fattispecie costitutiva del rapporto processuale: occorre, cioè, che il ricorso giurisdizionale non sia soltanto stato notificato, ma sia stato anche depositato. Se il ricorso giurisdizionale è stato soltanto notificato e non depositato, il medesimo non impedisce che vi sia la proposizione del ricorso straordinario. La stessa ragione regolamenta la trasposizione in sede giurisdizionale del ricorso a fronte della opposizione dei controinteressati. La tutela in sede giurisdizionale, infatti, è sia la tutela della azione, sia la tutela del diritto di difesa: così come deve essere riconosciuta la possibilità IL RICORSO STRAORDINARIO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 13 per il cittadino di scegliere la via giurisdizionale o la via amministrativa, nel ricorso, così deve essere riconosciuta la possibilità per il cittadino resistente di scegliere la via giurisdizionale o la via amministrativa nel controricorso. Questa stessa facoltà è riconosciuta all’amministrazione, allorché si tratti di un ente pubblico diverso dallo Stato. Il meccanismo è disciplinato dall’art. 10 del d.p.r. n. 1199 del 1971, ripreso dall’art. 48 del Codice del processo, con qualche modificazione. Una volta ricevuta la notificazione del ricorso straordinario, i controinteressati, entro il termine di sessanta giorni da quella notificazione, possono richiedere, con un atto notificato al ricorrente e all’organo che ha emanato l’atto impugnato, che il ricorso sia deciso in sede giurisdizionale. In questo caso, il ricorrente se intende insistere nella sua azione, è tenuto a depositare nella segreteria del giudice amministrativo competente, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento dell’atto di opposizione, l’atto di costituzione in giudizio, notificandolo all’organo che ha emanato l’atto impugnato e ai controinteressati. In questo modo, le controparti potranno costituirsi avanti il giudice amministrativo adito, il quale definirà la controversia, che non potrà più essere definita in sede straordinaria. Se in sede straordinaria è stata accordata la tutela cautelare, a’ sensi dell’art. 48 del Codice la medesima mantiene efficacia fino a sessanta giorni dopo il deposito dell’atto di costituzione avanti al T.A.R. (al quale può essere richiesta nuova tutela cautelare). Il Collegio giudicante, qualora riconosca che l’opposizione era inammissibile, restituisce gli atti al Ministero per la decisione. Il mancato esercizio della facoltà di scelta preclude ai controinteressati ai quali sia stato notificato il ricorso straordinario di contestare la decisione di accoglimento del ricorso straordinario medesimo, salvo che per vizi di forma o di procedimento. 4. Il procedimento del ricorso straordinario. Il ricorso straordinario deve essere proposto entro il termine di centoventi giorni dalla notificazione, comunicazione o piena conoscenza del provvedimento da impugnare. Il ricorso può essere proposto anche al fine di tutelare i diritti soggettivi, e perciò, in questo caso, senza necessità di rispetto del termine di decadenza, ma entro il termine di prescrizione. Al ricorso straordinario, così come al ricorso amministrativo, non si applica la sospensione feriale dei termini. 14 CAPITOLO II Il ricorso, entro il termine prefissato, deve essere notificato ad uno almeno dei controinteressati e presentato, con la prova dell’eseguita notificazione, all’organo che ha emanato l’atto o al Ministero competente all’istruttoria, direttamente, o mediante notificazione o mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Nel primo caso, l’ufficio che riceve il ricorso ne rilascia ricevuta, mentre, quando il ricorso è inviato a mezzo posta, la data di spedizione vale quale data di presentazione. Consegue a quanto detto che la modalità di presentazione del ricorso straordinario è duplice: la notificazione al controinteressato deve avvenire nelle forme previste per il ricorso in sede giurisdizionale, mentre l’inoltro al Ministero o all’autorità amministrativa deve avvenire mediante le forme previste per l’inoltro del ricorso gerarchico. Entrambi gli adempimenti devono peraltro essere posti in essere entro lo stesso termine. Il ricorso straordinario deve essere notificato, oltre che al controinteressato, anche all’ente pubblico non statale che abbia emanato il provvedimento: detto ente pubblico è stato equiparato al controinteressato dalla Corte costituzionale. Va, peraltro, precisato che questa notificazione non è ritenuta necessaria se il ricorso è presentato all’autorità non statale: in questo caso, infatti, l’autorità medesima ne ha una conoscenza ufficiale. Così, Cons. Stato, Sez. II, 24 settembre 1997, n. 2542/96, in Cons. Stato, 1998, I, 139. L’organo che riceve il ricorso, lo deve immediatamente trasmettere al Ministero competente, con le proprie deduzioni. I controinteressati dispongono di un termine di sessanta giorni per presentare al Ministero che istruisce l’affare deduzioni e documenti; entro lo stesso termine, i controinteressati possono proporre ricorso incidentale. Anche per il ricorso straordinario, come per il ricorso gerarchico, non è previsto che il ricorrente debba avere conoscenza degli atti delle controparti, ma è riconosciuta la facoltà di accesso, onde ottenere copia dei medesimi. Il ricorso viene istruito dal Ministero competente, che deve provvedere all’istruttoria entro centoventi giorni dalla scadenza del termine assegnato ai controinteressati per la presentazione delle deduzioni. Terminata l’istruttoria, ed eventualmente integrato il contraddittorio con la notificazione del ricorso a tutte le controparti, se il medesimo non è stato notificato immediatamente a tutti i controinteressati, il gravame deve essere trasmesso al Consiglio di Stato per il parere. È consentito al ricorrente, trascorsi centoventi giorni, chiedere con atto notificato al Ministero competente se il ricorso sia stato trasmesso al Consiglio di Stato. In caso di risposta negativa o di mancata risposta entro trenta IL RICORSO STRAORDINARIO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 15 giorni, lo stesso ricorrente può depositare direttamente copia del ricorso presso il Consiglio di Stato, al fine di accelerare la decisione. I ricorsi relativi ad atti per i quali non sia individuabile uno specifico collegamento con le competenze di un determinato Ministero debbono essere istruiti dalla Presidenza del Consiglio. 5. La decisione del ricorso. La decisione del ricorso straordinario appartiene normalmente alla funzione consultiva del Consiglio di Stato; in passato, l’opinione del Consiglio di Stato poteva essere superata, con un procedimento aggravato, dall’autorità politica, ora, come si vedrà, non più. Va, innanzitutto, ricordato che anche nel ricorso straordinario è possibile la presentazione della istanza cautelare. La giurisprudenza ha ritenuto che la sospensione dell’esecuzione del provvedimento possa essere richiesta da parte del ricorrente, nel ricorso o con un altro atto successivo introdotto con le stesse modalità e debba essere decisa con decreto del Ministro competente all’istruzione dell’affare, previo parere del Consiglio di Stato. La scelta di questa modalità, da parte del Consiglio di Stato, è stata giustificata dalla necessità di rispettare il ruolo del Consiglio di Stato quale organo consultivo e al contempo di evitare di richiedere un decreto presidenziale per l’inevitabile allungamento dei tempi che ciò comporterebbe. La scelta giurisprudenziale è stata formalizzata dalla legge n. 205 del 2000. La decisione definitiva del ricorso avviene, invece, con decreto del Presidente della Repubblica, emanato su proposta del Ministro competente, sentito il parere del Consiglio di Stato. Ed infatti, concluso l’iter istruttorio, il parere sul ricorso straordinario è espresso dalla sezione del Consiglio di Stato o dalla commissione speciale del medesimo consesso alla quale il ricorso è assegnato. La sezione o la commissione speciale possono rimettere il ricorso all’adunanza generale del Consiglio di Stato, se rilevano che il punto di diritto sottoposto al loro esame ha dato luogo o può dar luogo a contrasti giurisprudenziali: la remissione può avvenire sia per risolvere contrasti già verificatisi che per evitare il sorgere di contrasti possibili. Lo stesso presidente del Consiglio di Stato può deferire direttamente all’adunanza generale qualunque ricorso prima dell’espressione del parere da parte di sezioni singole, allorché ravvisi la necessità di risolvere questioni di carattere generale di particolare importanza. 16 CAPITOLO II In tutti questi casi, l’adunanza generale esprime il parere su un preavviso della sezione o della commissione speciale alla quale il ricorso è assegnato. La commissione, perciò, deve comunque formulare una propria valutazione. La sezione che deve esprimere il parere può, innanzitutto, effettuare essa stessa una attività istruttoria. Se, infatti, la commissione rileva che l’istruttoria è incompleta o che i fatti affermati nell’atto impugnato sono in contraddizione rispetto ai documenti acquisiti, può richiedere al Ministero competente chiarimenti o documenti od ordinare lo svolgimento di verificazioni, autorizzando le parti ad assistervi e a produrre nuovi documenti, con le stesse forme, cioè, che verranno utilizzate dal giudice amministrativo. La stessa sezione, se riconosce che il contraddittorio non è integro e che il ricorso non è stato notificato a tutti i controinteressati, può disporne l’integrazione ordinando la notificazione al ricorrente. Se l’istruttoria è completa e il contraddittorio è integro, la sezione può esprimere un parere di vario genere: a) parere per la dichiarazione di inammissibilità, se riconosce che il ricorso non poteva essere proposto, salva la facoltà di assegnare un breve termine al ricorrente per presentare ricorso all’organo competente, se il ricorso è stato proposto nei confronti di un atto non definitivo e l’errore può essere ritenuto scusabile; b) parere per l’assegnazione al ricorrente di un termine per la regolarizzazione, se ravvisa una irregolarità sanabile, con la conseguenza che, se il ricorrente provvede, il ricorso procede, se il ricorrente non provvede, il ricorso viene dichiarato improcedibile; c) parere per la reiezione, se riconosce il ricorso infondato; d) parere per l’accoglimento del ricorso e per la remissione degli atti all’organo competente, se riconosce che è fondato il motivo di incompetenza dedotto; e) parere per l’accoglimento salvi gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione, si riconosce il ricorso fondato per altri motivi di legittimità; f) come si è già ricordato, a’ sensi dell’art. 69 della legge n. 69 del 2009 nel procedimento di decisione del ricorso straordinario il Consiglio di Stato può sollevare una questione di legittimità costituzionale. Stabilisce questa disposizione che qualora il ricorso non possa essere deciso indipendentemente dalla risoluzione di una questione di legittimità costituzionale, che non risulti manifestamente infondata, la Sezione sospende l’espressione del parere e ordina alla Segreteria la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, pronunciando una ordinanza motivata di rimessione; g) nello stesso senso procede se ritiene di sollevare una questione pregiudiziale avanti la Corte di giustizia UE. IL RICORSO STRAORDINARIO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 17 Acquisito il parere del Consiglio di Stato, il Ministro competente per l’istruttoria propone al Presidente della Repubblica il decreto di decisione del ricorso in conformità del parere. La decisione del Presidente della Repubblica deve essere, perciò, conforme a detto parere. La disciplina tradizionale del ricorso straordinario, da ultimo ripresa nel d.p.r. n. 1999 del 1971, prevedeva che il Ministro competente, se riteneva di non aderire al parere del Consiglio di Stato, poteva proporre al Consiglio dei Ministri una decisione difforme; questa possibilità veniva ammessa per il carattere amministrativo del rimedio ed in considerazione della sua natura extra ordinem. L’effetto della scelta ministeriale era quello di trasporre il ricorso dalla sfera amministrativa alla sfera degli atti di alta amministrazione, rispetto ai quali non è possibile un sindacato in sede giurisdizionale, trattandosi di una scelta di carattere politico. In questo caso, il decreto del Presidente della Repubblica doveva essere conforme alla deliberazione del Consiglio dei Ministri. Si è trattato, però, di una possibilità mai utilizzata (secondo taluno, si ricorda un solo caso di suo esercizio). La legge n. 69 del 2009, all’art. 69, ha peraltro eliminato questa possibilità, imponendo sempre al Ministro competente di proporre al Presidente della Repubblica la decisione del ricorso in conformità del parere del Consiglio di Stato. E ciò al fine di rafforzare la natura giustiziale del rimedio. La decisione di accoglimento del ricorso ha l’effetto di annullare il provvedimento impugnato, nell’ipotesi in cui sia stata esperita un’azione di annullamento o di accertare il diritto contestato, con forza, peraltro, di provvedimento amministrativo. L’annullamento degli atti ha normalmente efficacia soltanto tra le parti, ma se l’atto annullato ha natura regolamentare o normativa, ha un effetto ovviamente erga omnes, così come lo aveva l’atto oggetto dell’annullamento. Per questa ragione, la decisione del ricorso straordinario deve essere pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale nel caso in cui abbia ad oggetto un regolamento statale, e nell’albo degli enti locali nel caso in cui abbia ad oggetto dei regolamenti di questi ultimi. 6. L’impugnazione della decisione del ricorso straordinario. Il decreto del Presidente della Repubblica che decide sul ricorso straordinario non può essere impugnato per ciò che concerne il merito, e cioè l’oggetto della decisione, contenuta nel parere del Consiglio di Stato. L’impossibilità di impugnazione è una conseguenza della alternatività 18 CAPITOLO II del rimedio, che discende da una scelta effettuata da tutte le parti in causa. La possibilità di impugnazione esiste, invece, nell’ipotesi in cui vi siano dei vizi successivi all’espressione del parere da parte del Consiglio di Stato, nella fase amministrativa. L’impugnazione è altresì possibile, senza alcuna limitazione, da parte dei soggetti che erano stati pretermessi nel procedimento del ricorso straordinario, perché ad essi il ricorso medesimo non è stato notificato: in questo caso, questi soggetti possono dedurre le censure formali e di merito che riterranno opportune. Nei confronti della decisione del ricorso straordinario è possibile il ricorso per revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c. Per l’esecuzione della decisione del ricorso straordinario può essere esperito un giudizio di ottemperanza da proporre al Consiglio di Stato: in questo senso si sono espresse sia le Sezioni Unite della Corte di Cassazione che del Consiglio di Stato, con un orientamento innovativo fondato sul Codice e sulle nuove caratteristiche del ricorso straordinario che si sono ricordate. Per le stesse ragioni, la giurisprudenza ha ammesso avverso la decisione del ricorso straordinario il ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione per questioni di giurisdizione. La Corte di Cassazione, Sez. un. civ., 14 maggio 2014, n. 10414 ha però precisato che il ricorso per questioni di giurisdizione può essere proposto soltanto se nel corso del procedimento di ricorso straordinario la questione di giurisdizione è stata sollevata ed affrontata, in analogia a quanto previsto dall’art. 9 del Codice del processo per i giudizi amministrativi. 7. Il ricorso al Presidente della Regione Sicilia. Una impugnazione sostanzialmente analoga a quella prevista avanti al Presidente della Repubblica può essere proposta al Presidente della Regione siciliana soltanto nei confronti degli atti amministrativi regionali. Deve trattarsi perciò o di atti emanati direttamente da organi regionali, o di atti emanati da organi dipendenti o controllati dall’amministrazione regionale, nell’esercizio di una potestà amministrativa propria di quella regione. Il ricorso viene deciso dal Presidente della Regione, su proposta dell’Assessore competente, previo parere del Consiglio di Giustizia amministrativa. Anche in questo caso, il Presidente della Regione può discostarsi dal parere del Consiglio di giustizia amministrativa, su richiesta dell’Assessore, ma previa deliberazione della Giunta regionale. CAPITOLO III LA GIURISDIZIONE ORDINARIA NEI CONFRONTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE SOMMARIO: 1. Il riparto di giurisdizione. – 2. La disapplicazione del provvedimento amministrativo. – 3. Le azioni proponibili avanti il giudice ordinario. – 4. Il contenzioso in materia di impiego con la pubblica amministrazione. – 5. Il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato. NORMATIVA DI RIFERIMENTO: § 1. Legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, art. 2. – § 2. Legge 31 marzo 1889, n. 5992, art. 3; legge 7 agosto 1990, n. 241 (modificata da legge 11 febbraio 2005, n. 15), art. 21 octies; Codice, art. 7. – § 3. Art. 2932 c.c. – § 4. D.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29; d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80. – § 5. Legge 18 giugno 2009, n. 69, art. 55. 1. Il riparto di giurisdizione. Nel nostro ordinamento al giudice ordinario è stata attribuita giurisdizione nei confronti della pubblica amministrazione dalla legge abolitrice del contenzioso amministrativo del 1865: anzi, quella legge intendeva attribuire al giudice ordinario in via esclusiva il potere giurisdizionale nei confronti della parte pubblica. Allora, l’attenzione del legislatore era appuntata sulle posizioni soggettive di maggior rilievo, che interessavano tra l’altro i cittadini dotati di piena capacità soggettiva anche di diritto pubblico, e perciò la giurisdizione del giudice ordinario venne attribuita con riferimento alla tutela delle posizioni soggettive di diritto, tanto di diritto pubblico quanto di diritto privato. L’intenzione del legislatore era quella di attribuire una tutela giurisdizionale completa, e, perciò, la giurisdizione ordinaria venne individuata comunque potesse essere stata utilizzata la potestà pubblica, e cioè anche nei casi in cui fosse stato emanato un provvedimento amministrativo. Peraltro, l’evoluzione successiva della giurisprudenza, in un primo tempo favorita dal fatto che l’autorità competente a risolvere i problemi di giu- 20 CAPITOLO III risdizione era il Consiglio di Stato, in un secondo tempo favorita dall’orientamento assunto in modo costante dalla Corte di Cassazione, è stata però condizionata dalla sottolineatura del ruolo del provvedimento amministrativo. Si è fatta strada l’idea, cioè, che il provvedimento amministrativo, nell’ipotesi in cui intervenga e sia espressione di un potere dell’amministrazione che in effetti esiste, sia comunque idoneo ad incidere sulla posizione giuridica di diritto soggettivo, degradandola in interesse legittimo: e così, per esempio, se interviene un decreto di espropriazione, ancorché in ipotesi emanato da autorità relativamente incompetente (il Prefetto in luogo del Ministro, per esempio), il provvedimento è idoneo a far perdere al privato il diritto di proprietà e a far sorgere in capo al medesimo soggetto l’interesse legittimo alla regolarità della attività della pubblica amministrazione. In questa situazione, essendo venuto meno il diritto soggettivo, non vi è più la situazione legittimante che consente il ricorso al giudice ordinario. Questa impostazione è stata seguita dalla giurisprudenza con assoluto rigore, eccezion fatta per le ipotesi nelle quali l’attività dell’amministrazione possa considerarsi compiuta in assenza di titolo, e cioè in carenza di potere: se l’amministrazione è carente di potere, il provvedimento eventualmente adottato è nullo, e non è perciò in grado di degradare la posizione soggettiva del privato. L’emanazione di un provvedimento in carenza di potere non è, peraltro, una fattispecie frequente, in quanto, di norma, l’amministrazione il potere lo possiede allorché interviene (e così, la giurisprudenza ha individuato alcune ipotesi limite, talvolta relativamente convincenti: in materia di espropriazione, per esempio, è ritenuto emanato in carenza di potere il decreto di espropriazione adottato sulla base di una dichiarazione di pubblica utilità che non contenga l’indicazione dei termini di inizio e compimento delle espropriazioni e dei lavori, in quanto l’indicazione di quei termini sarebbe indispensabile per la degradazione del diritto soggettivo del privato: ma la disciplina è stata modificata dal Testo unico approvato con d.p.r. 8 giugno 2001, n. 327). L’orientamento anzidetto fa sì che in rare ipotesi, nella realtà, si possa individuare come sussistente la giurisdizione ordinaria nei confronti dell’amministrazione, allorché venga emanato un provvedimento amministrativo: il provvedimento, infatti, nel momento stesso in cui interviene normalmente elimina la posizione soggettiva che legittimerebbe il ricorso al giudice ordinario. Sulla base del medesimo orientamento, la giurisprudenza ha altresì costruito la figura dell’atto amministrativo in senso materiale, e cioè del com- LA GIURISDIZIONE ORDINARIA NEI CONFRONTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE 21 portamento dell’amministrazione che, ancorché non formalizzato in un vero e proprio provvedimento, sia però facilmente riconducibile all’esercizio di un potere esistente nell’ordinamento: e così, per esempio, si ritiene che sussista un atto amministrativo materiale nell’attività dell’amministrazione che compie opere di manutenzione della viabilità pubblica, anche allorché il compimento di queste opere, in assenza di un provvedimento vero e proprio, venga a intaccare la proprietà privata dei confinanti con la strada (il fatto che si tratti di un atto amministrativo in senso materiale impedisce, in questi casi, al soggetto leso da questa attività di manutenzione di ottenere l’interruzione dell’attività amministrativa, consentendogli soltanto di avanzare pretese indennitarie). Con il concetto di atto amministrativo materiale, la giurisprudenza ha interpretato, applicato e in qualche caso esteso il limite che la legge abolitrice del contenzioso comunque poneva in relazione alla possibilità per il giudice ordinario di intervenire sul provvedimento amministrativo: ed infatti, la legge sul contenzioso, se da un lato attribuiva al giudice ordinario la giurisdizione in caso di lesione dei diritti soggettivi pubblici o privati anche nell’ipotesi di emanazione di un provvedimento amministrativo, dall’altro però impediva espressamente al giudice ordinario di poter intervenire sul provvedimento annullandolo o modificandolo. La giurisprudenza ha ritenuto che questo divieto le impedisca di intervenire sulla attività amministrativa vera e propria, in ogni ipotesi nella quale questa attività amministrativa sia riconducibile ad un potere ed abbia perciò le caratteristiche tipiche della sovraordinazione. Sovraordinazione che si accompagna alla sussistenza non di un diritto soggettivo ma di un interesse legittimo. Le ipotesi nelle quali la giurisdizione del giudice ordinario è rimasta perciò effettivamente esistente nei confronti della pubblica amministrazione sono risultate assai limitate. Un settore nel quale il problema si è recentemente riproposto è relativo alla disciplina dell’accesso alle professioni di nuova configurazione; e così, si ritiene che, per quanto concerne gli psicologi, mentre al giudice ordinario spetta valutare la sussistenza dei requisiti per l’iscrizione all’albo professionale, al giudice amministrativo spetta giudicare sulla legittimità del procedimento relativo agli esami di Stato di abilitazione: Cons. Stato, Ad. plen., 5 luglio 1999, n. 18, in Guida al diritto, n. 33/1999, 112. L’unica ipotesi normalmente verificabile è quella nella quale la controversia coinvolga due privati e richieda soltanto in via incidentale un esame dell’atto amministrativo o l’ipotesi nella quale l’azione venga promossa nei confronti della pubblica amministrazione deducendosi la nullità del provvedimento. 22 CAPITOLO III L’effetto di degradazione non è, invece, riconosciuto esistente nell’ipotesi in cui il cittadino faccia valere dei diritti fondamentali, e cioè dei diritti che gli sono riconosciuti dalla Carta costituzionale e rispetto ai quali non è possibile per l’amministrazione alcun potere di disposizione: tipico diritto fondamentale azionabile anche nei confronti dell’amministrazione è il diritto alla salute. E così, si è riconosciuto che il cittadino possa agire nei confronti della pubblica amministrazione per ottenere la rimozione di una attività o di un’opera pubblica lesiva del suo diritto alla salute, indipendentemente dal fatto che l’amministrazione, per avviare l’attività o per realizzare l’opera abbia adottato dei provvedimenti. Questi provvedimenti, infatti, sono irrilevanti laddove si fa valere la capacità oppositiva del diritto alla salute. Peraltro, la stessa configurazione del diritto fondamentale è controversa, laddove il diritto fondamentale venga azionato non per respingere l’amministrazione al di fuori della sfera giuridica del cittadino, ma per pretendere una prestazione. In questi casi, infatti, molto spesso la giurisprudenza ritiene che la pretesa alla prestazione non sia una pretesa avente una consistenza di diritto soggettivo perfetto, ma sia invece una pretesa avente la consistenza di interesse legittimo, essendo necessario contemperare l’esigenza di carattere pubblico con l’esigenza del privato. E così, proprio in materia sanitaria, si ritiene che la pretesa del cittadino alla prestazione sanitaria nei confronti della pubblica amministrazione non abbia consistenza di diritto assoluto, ma invece in realtà di interesse legittimo o di diritto soggettivo finanziariamente condizionato e perciò non perfetto, con la conseguenza che in questi casi la posizione non è affidata al giudice ordinario ma è affidata al giudice amministrativo. Il riparto di giurisdizione così come ricostruito, è fondato sul disposto della legge del 1865: il medesimo, peraltro, risulta confermato dalla Carta costituzionale, che ha attribuito giurisdizione nei confronti dell’amministrazione sia al giudice ordinario che al giudice amministrativo, tendenzialmente ripartendo la giurisdizione sulla base della posizione soggettiva, e perciò riconoscendo l’esistenza della giurisdizione ordinaria allorché si faccia questione della lesione di un diritto soggettivo e della giurisdizione amministrativa allorché si faccia questione della lesione di un interesse legittimo. La Costituzione, all’art. 103, ha previsto che vi possano essere delle ipotesi nelle quali il legislatore attribuisca al giudice amministrativo la cognizione della lesione anche di diritti soggettivi (possibilità, questa, che la Corte costituzionale ha ammesso soltanto allorché vi sia un intreccio inestricabile con il potere amministrativo); non ha invece previsto la possibilità che sia affidata al giudice ordinario la cognizione di interessi legittimi, LA GIURISDIZIONE ORDINARIA NEI CONFRONTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE 23 pur rimettendo, all’art. 113, alla scelta del legislatore ordinario l’individuazione dell’autorità giudiziaria competente all’annullamento dei provvedimenti amministrativi. La dizione della Carta costituzionale, sul punto non preclusiva, ha consentito perciò al legislatore di atteggiare in vario modo la tutela nei confronti della pubblica amministrazione in determinati settori (i limiti costituzionali alla libertà di scelta del legislatore sono stati di recente esaminati dalla Corte costituzionale: la questione sarà trattata allorché si illustrerà la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo). E così, tradizionalmente, è affidata al giudice ordinario la tutela giurisdizionale nei confronti degli atti degli ordini professionali che incidono sulla posizione degli iscritti, talvolta mediante l’esercizio di poteri che sarebbero da qualificare come veri e propri poteri pubblicistici, quali ad esempio i poteri disciplinari: l’attribuzione della giurisdizione al giudice ordinario, con conseguente possibilità di annullamento del provvedimento amministrativo disciplinare, è giustificata sulla base di una tradizione storica e della volontà di riconoscere una particolare autonomia a determinate attività professionali. Analogamente, e via via con una previsione normativa sempre più estesa, è stata attribuita al giudice ordinario la tutela nei confronti delle sanzioni amministrative, intendendosi come tali soprattutto le sanzioni amministrative di carattere pecuniario, che sono considerate di per sé afflittive; diversa è la giurisdizione per ciò che concerne le sanzioni amministrative ripristinatorie, e cioè quegli atti che, pur ovviamente arrecando un detrimento al cittadino sanzionato, si prefiggono come scopo diretto il ripristino della legalità violata. Sanzioni amministrative afflittive sono le sanzioni pecuniarie in senso proprio, e cioè quelle che impongono il pagamento di una somma di denaro a seguito dell’accertamento di una responsabilità; sanzioni amministrative ripristinatorie sono quelle che, invece, impongono la demolizione dell’opera abusivamente eseguita od anche la perdita della proprietà del terreno interessato dalla costruzione abusiva. In questi termini, Cons. Stato, Sez. IV, 4 febbraio 1999, n. 112, in Guida al diritto, n. 12/1999, 91, relativa ad una sanzione afflittiva applicata al titolare di una farmacia. Per tutte le sanzioni amministrative pecuniarie vi è, in linea di massima, la sussistenza della giurisdizione ordinaria (un’importante deroga a questa regola è il caso dell’edilizia e dell’urbanistica, nella quale sussiste giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo). Allorché ha giurisdizione in materia sanzionatoria, il giudice ordinario non incontra alcun limite nel- 24 CAPITOLO III l’esercizio dei suoi poteri nei confronti della pubblica amministrazione, facendosi sempre questione di diritto soggettivo e, non residuando all’amministrazione alcun potere discrezionale in senso proprio. L’amministrazione stessa deve infatti semplicemente applicare la legge, anche allorché si trovi di fronte ad una possibilità di scelta, che le è attribuita, però, soltanto in quanto interprete della norma e non in quanto soggetto incaricato di contemperare vari interessi pubblici. Il riparto della giurisdizione, così come definito dall’orientamento progressivo della giurisprudenza, anche costituzionale, è stato confermato dal Codice, che, all’art. 7, ha definito la giurisdizione amministrativa in modo tale da salvaguardare nei termini prima illustrati la giurisdizione del giudice ordinario. 2. La disapplicazione del provvedimento amministrativo. La legge abolitrice del contenzioso amministrativo, come si è detto, agli artt. 4 e 5 ha escluso la possibilità per il giudice ordinario di annullare il provvedimento amministrativo, ma gli ha anche imposto di non applicare provvedimenti amministrativi contrastanti con le leggi o i regolamenti. Dal combinarsi di queste due regole, l’una positiva, l’altra negativa, discende l’individuazione in capo al giudice ordinario del potere di disapplicazione del provvedimento amministrativo illegittimo. Ed infatti, se allorché il provvedimento amministrativo è da ritenere nullo, e cioè emanato in carenza di potere, il giudice ordinario deve semplicemente prendere atto di questa situazione e della inidoneità del provvedimento amministrativo a sortire qualsivoglia effetto dal punto di vista giuridico, se il provvedimento amministrativo è illegittimo, e cioè adottato in violazione delle norme che disciplinano l’attività della pubblica amministrazione, il giudice ordinario non ne può fare applicazione al caso concreto. In questo caso, il giudice ordinario non potrà annullare il provvedimento e quindi adottare una pronunzia valida erga omnes, ma potrà soltanto disapplicare il provvedimento, e cioè non applicarlo nel caso deciso. Resta inteso, a questo punto, che il medesimo provvedimento potrà, però, essere applicato da parte di un altro giudice il quale, eventualmente, non giunga alle stesse conclusioni del primo in ordine alla legittimità del provvedimento in questione. Il potere di disapplicazione è un potere che il giudice ordinario deve esercitare, allorché la rilevanza di un provvedimento amministrativo venga sottoposta al suo esame, ma sempre che sussista comunque la situazione LA GIURISDIZIONE ORDINARIA NEI CONFRONTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE 25 legittimante la proposizione dell’azione davanti a lui, e cioè la situazione di diritto soggettivo. E così, se il provvedimento amministrativo incide direttamente sulla posizione del cittadino fatta valere in giudizio, la disapplicazione non sarà possibile, in quanto, in questo caso, il cittadino non potrà vantare di norma un diritto soggettivo proprio per l’effetto di degradazione tipico del provvedimento amministrativo: non sarà possibile in questo caso né un’azione diretta nei confronti dell’amministrazione né un’azione che voglia pretendere un annullamento mascherato. Ad esempio, se l’amministrazione adotta un provvedimento di espropriazione, non sarà possibile al cittadino contestare davanti al giudice ordinario un comportamento dell’amministrazione che vuole apprendere il bene chiedendo la disapplicazione del provvedimento amministrativo di espropriazione: in questo caso, infatti, il cittadino non è più titolare del diritto soggettivo di proprietà, in quanto il decreto di espropriazione lo ha degradato all’interesse legittimo, e la richiesta di disapplicazione non ha più a fondamento la posizione legittimante. Diversa è l’ipotesi in cui, invece, il provvedimento amministrativo costituisca soltanto un antecedente logico della pretesa vantata: e così, se un privato agisce nei confronti del vicino per contestare la correttezza del suo comportamento nella realizzazione di una costruzione, il giudice ordinario potrà conoscere della fondatezza di questa pretesa che attiene al diritto di proprietà nei confronti di un privato al limite disapplicando il provvedimento amministrativo che consenta al convenuto di realizzare l’immobile in violazione della disciplina urbanistica. In questo caso, infatti, la posizione dedotta in giudizio da parte del confinante nei confronti del soggetto che costruisce è una posizione di diritto soggettivo, il diritto di proprietà, e questa posizione non è in nessun modo incisa dal provvedimento amministrativo che non ha un effetto sul diritto soggettivo del confinante, ma ha effetto soltanto nei confronti dell’interesse legittimo di colui che richiede il provvedimento favorevole (è irrilevante che il confinante possa pretendere avanti il giudice amministrativo l’annullamento della concessione edilizia rilasciata illegittimamente a un terzo, in quanto, in questo caso, il confinante fa valere una posizione diversa, che è la posizione di interesse legittimo rispetto al corretto esercizio da parte dell’amministrazione dei propri poteri di vigilanza sull’attività edilizia). Così, se il soggetto esercente un servizio di pubblica utilità chiede al cittadino il pagamento del corrispettivo del servizio, fissato in una tariffa determinata autoritativamente, secondo la giurisprudenza più recente il cittadino potrà chiedere al giudice ordinario la disapplicazione della tariffa e 26 CAPITOLO III perciò il rigetto della domanda, in quanto, in questo caso, rispetto alla determinazione della tariffa la posizione vantata è una posizione di diritto soggettivo. In questo senso, relativamente alle tariffe per la somministrazione dell’energia elettrica, Cass., Sez. un., 23 aprile 1999, n. 253, in Guida al diritto, n. 25/1999, 54. Consegue a quanto detto che l’esercizio del potere di disapplicazione è assai ridotto. Piuttosto, l’impossibilità di annullare il provvedimento amministrativo e il concetto, al quale si è già fatto riferimento, di atto amministrativo materiale hanno indotto il giudice ordinario a autolimitare nettamente la possibilità di adottare nei confronti della pubblica amministrazione pronunce che abbiano un contenuto condannatorio ad un facere specifico: si è detto, infatti, che se il giudice ordinario condanna l’amministrazione ad un facere specifico, in realtà, in questo modo, la costringe ad adottare un provvedimento, e viene, cioè, ad incidere su delle sue facoltà pubblicistiche rispetto alle quali deve, invece, rimanere estraneo. La giurisprudenza, in ciò per il vero accompagnata anche da scelte del legislatore, è invece incerta per ciò che concerne il tipo di illegittimità che il giudice ordinario può rilevare nel provvedimento amministrativo: si afferma che il giudice ordinario può certamente rilevare i vizi attinenti la competenza, ed i vizi di violazione di legge, mentre vi sono dei dubbi in ordine alla rilevabilità del vizio di eccesso di potere, che, secondo taluno, sarebbe soltanto riscontrabile nell’ipotesi in cui si contesti l’esistenza dei presupposti di fatto previsti dalla norma per l’emanazione di un determinato provvedimento (il limite sarebbe perciò quello dell’eccesso di potere per sviamento). L’orientamento della giurisprudenza, si è detto, è in parte sostenuto dal legislatore, che rende talvolta irrilevanti determinati profili di eccesso di potere: si pensi, per esempio, alla disciplina attuale del reato di abuso d’ufficio, che è riscontrabile soltanto nel caso in cui l’atto risulti viziato da incompetenza o violazione di legge, e non invece da eccesso di potere. Quest’orientamento, peraltro, non è condivisibile, in quanto i vizi di legittimità del provvedimento amministrativo sono i tre vizi fissati dalla legge del 1889 (oggi confermati dalla legge n. 15 del 2005), senza che tra i medesimi si possa individuare alcuna distinzione. E così, il giudice ordinario potrà, perciò, sindacare tutti i profili dell’eccesso di potere, secondo quella che è la ricostruzione dei medesimi che la giurisprudenza amministrativa ha ormai consolidato. LA GIURISDIZIONE ORDINARIA NEI CONFRONTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE 27 3. Le azioni proponibili avanti il giudice ordinario. Sulla base degli elementi già sopra individuati, risulta agevole definire quali sono le azioni proponibili nei confronti della pubblica amministrazione avanti il giudice ordinario. Sono innanzitutto proponibili le azioni di accertamento, posto che, in questo caso, l’accertamento del diritto è possibile se sussiste la posizione di diritto soggettivo e se vi è interesse ad un vero accertamento, senza che l’accertamento in alcun modo possa interferire con l’esercizio di poteri autoritativi. L’ambito delle azioni di accertamento avanti al giudice ordinario è stato accresciuto dal riconoscimento compiuto dalla Corte di Cassazione della possibilità di ottenere il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno anche nell’ipotesi di lesione di una posizione di interesse legittimo. Ha ritenuto la Corte di Cassazione che, vertendosi in una fattispecie di danno extra-contrattuale, non rilevi la posizione soggettiva originaria vantata dal danneggiato ma l’ingiustizia del danno. In ossequio a questo orientamento, sono state individuate possibili azioni di accertamento, e di conseguente condanna, onde ottenere il risarcimento dei danni in ipotesi di diniego di provvedimenti favorevoli. L’orientamento della Corte di Cassazione è stato inaugurato dalla sentenza delle Sez. un., 22 luglio 1999, n. 500, in Giornale dir. amm., 1999, n. 843; in questo senso è stata attribuita alla giurisdizione ordinaria la domanda di risarcimento avanzata nei confronti della pubblica amministrazione dal titolare di un allevamento di pesci in relazione ai danni arrecati al medesimo dagli uccelli appartenenti a specie protette, anche se la determinazione delle somme disponibili per il risarcimento doveva essere effettuata dall’Ente parco mediante una determinazione discrezionale inserita nel proprio bilancio (rispetto alla quale era ipotizzabile una posizione di interesse legittimo): Cass., Sez. un., 24 settembre 2004, n. 19200, in Giornale dir. amm., 2004, n. 287. La materia è stata successivamente oggetto di interventi del legislatore e della Corte costituzionale. Il legislatore, infatti, come si vedrà più avanti (allorché si tratterà della giurisdizione esclusiva), ha riconosciuto al giudice amministrativo il potere di condannare al risarcimento dei danni non soltanto nel caso in cui sia titolare di una giurisdizione esclusiva, ma anche nell’ipotesi di giurisdizione generale di legittimità, allorché il danno sia una conseguenza ulteriore del provvedimento illegittimo impugnato avanti lo stesso giudice amministrativo. 28 CAPITOLO III L’orientamento del legislatore è stato fatto salvo dalla Corte costituzionale e, di conseguenza, si sono ridotte notevolmente le possibilità per il giudice ordinario di pronunziare condanne al risarcimento dei danni nell’ipotesi di lesione di interesse legittimo. La Corte di Cassazione, con le ordinanze 23 marzo 2011, n. 6596 e 6594, in Urbanistica e appalti, 2011, 915, ha ritenuto che rientri nella giurisdizione ordinaria la domanda del cittadino che pretende il risarcimento della lesione del diritto all’affidamento sulla legittimità del provvedimento amministrativo favorevole successivamente annullato. Non sono, invece, normalmente ammissibili azioni costitutive, e cioè azioni tendenti a costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici con la pubblica amministrazione, in quanto di norma i rapporti con la pubblica amministrazione sono configurabili all’interno dell’esercizio del potere, che si manifesta con provvedimenti rispetto ai quali al giudice ordinario è inibita qualsivoglia possibilità di intervento. L’affermazione è una affermazione tradizionale, che non vale soltanto in quelle limitate ipotesi nelle quali leggi speciali consentono l’adozione di provvedimenti (si pensi alle leggi in tema di giurisdizione sulle sanzioni amministrative, alle leggi in tema di contenzioso relativo all’attività professionale, alle leggi dello stato civile o alle leggi relative alla formazione delle liste elettorali). Peraltro, in una linea di tendenziale privatizzazione, non si potrebbe più giustificare una affermazione di questo genere, allorché l’amministrazione operi come un soggetto privato, e cioè senza l’esercizio di poteri autoritativi. Se, infatti, si continuasse a negare la possibilità di azioni costitutive, in questo modo si sottrarrebbe al cittadino qualsivoglia possibilità di tutela, non essendo immaginabile una giurisdizione del giudice amministrativo nei confronti di una attività privatistica. Oggi, la giurisprudenza ammette la proposizione nei confronti della pubblica amministrazione soltanto di una azione costitutiva, e cioè della azione tendente ad ottenere l’adempimento coattivo del contratto preliminare di diritto privato a sensi dell’art. 2932 c.c.: in questo caso, infatti, proprio perché si tratta di una attività di tipo privatistico, l’intervento con una sentenza costitutiva del giudice ordinario è ritenuto ammissibile. La conclusione raggiunta in questo caso può essere utilmente richiamata a fondamento di quanto prima s’è detto sulla possibilità di azione costitutiva nei confronti dell’attività di diritto privato dell’amministrazione.