Newsl.N.2 su lettura digitale 25-4-15

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NEWSLETTER “ALLA RICERCA DELLA VERITA’ “ N.2 25/4/15
a cura di Ileana Mortari
Dal “Corriere della Sera” 8 febbraio 2015
La lettura digitale ci cambierà?
Le nuove tecnologie potrebbero ridurre le nostre capacità di attenzione e di
comprensione dei testi, trasformando anche il modo di intendere il sapere.
Ormai ci interessa come e dove trovare un’informazione, piuttosto che
ricordarla. C’è da chiedersi cosa ne sarebbe delle nostre conoscenze se mancasse
la corrente.
di Alice Vigna
Oggi possiamo avere a disposizione, oltre a librerie colme di volumi, anche e-reader e tablet in
grado di contenere centinaia di testi: un sistema di conservazione e lettura dei testi comodo ed
economico. Ma siamo sicuri che la lettura su uno schermo (così come la scrittura, visto che gli
appunti su tablet sono ormai più diffusi dei bloc-notes) non stia alterando il nostro modo di
ragionare e il modo di funzionare del nostro cervello? Se lo chiede la rivista New Scientist ,
elencando recenti studi che avanzano diverse perplessità sugli effetti cerebrali della rivoluzione
digitale.
Negli anni 70 ci domandavamo che cosa ne sarebbe stato delle nostre abilità matematiche con
l’arrivo delle calcolatrici, ora le implicazioni della tecnologia paiono ben più profonde: la
trasformazione radicale delle abitudini di lettura e scrittura sembra infatti minare abilità cerebrali
come l’attenzione o la capacità di comprensione, stando alle ricerche di Anne Mangen,
dell’Università di Stavanger, in Norvegia.
“Abbiamo chiesto a un gruppo di volontari di leggere lo stesso testo su un e-reader o su carta”
racconta Mangen. Chi ha letto il libro cartaceo ricordava meglio la trama e riusciva più facilmente a
mettere gli eventi nella giusta sequenza. L’effetto potrebbe essere correlato con la necessità di
tenere il filo di ciò che leggiamo: su carta abbiamo molti indizi fisici ad aiutarci, ad esempio
possiamo ricordare che un fatto si è compiuto quando eravamo quasi all’inizio o a circa metà del
volume. Il testo elettronico invece ci fa perdere di più tra le sue righe: non percepiamo quanto
manca alla fine o a che punto siamo, il testo appare sempre uguale». Tutto ciò in qualche modo
confonde e forse ci priva di un po’ di coinvolgimento nei confronti dei fatti narrati, almeno stando a
un’altra ricerca della Mangen secondo cui leggere su carta aumenta l’empatia del lettore nei
confronti dei personaggi e della storia.
C’è di più: la lettura online ci sta rendendo incapaci di attenzione a lungo termine, e forse impedirà
alle nuove generazioni di godere di romanzi come “I fratelli Karamazov”: banner, video e link
distraggono e minano la capacità di concentrazione che serve per una lettura profonda, l’unica che
consenta di seguire trame complesse. Il libro di carta (ma anche la scrittura a mano, vedi sotto)
sembra per il momento vincente. Ma sottolinea Mangen: «Per guidare le scelte del futuro, ad
esempio per capire se introdurre a tappeto i tablet a scuola sia davvero opportuno, servono dati più
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precisi». E proprio per dare risposte esaurienti la studiosa guida il progetto The Evolution of
Reading in the Age of Digitisation , appena avviato in 25 Paesi dell’Unione europea.
Tuttavia il nostro cervello e la qualità delle nostre conoscenze stanno cambiando probabilmente non
solo a causa dei supporti usati per leggere o scrivere: oggi vogliamo sapere come e dove possiamo
trovare un’informazione, piuttosto che cercare di ricordarla. “La tecnologia ha modificato il nostro
modo di intendere il sapere, perché consente di accedere ai dati in ogni momento” sottolinea Naomi
Baron, di cui è in pubblicazione negli Usa il volume Words on screen: the fate of reading in a
digital world (Le parole sullo schermo: il destino della lettura in un mondo digitale). Ma che
accadrebbe se andasse via la corrente e non avessimo Internet, tablet o smartphone funzionanti?
Sapremmo qualcosa o no?».
La natura della conoscenza è cambiata con l’arrivo della scrittura; sta succedendo lo stesso
con web, tablet e smartphone.
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Scrivere con carta e penna attiva più neuroni rispetto a usare
la tastiera
Utilizzare il computer non rinforza le aree cerebrali che permettono di
riconoscere la forma delle lettere e ci fanno associare suoni e parole
di Alice Vigna
L’uso di computer, tablet e smartphone per leggere e scrivere non cambia solo capacità del cervello
come l’attenzione o la concentrazione: anche l’attività e le connessioni cerebrali si modificano. Nei
bambini si è dimostrato, ad esempio, che scrivere una lettera a mano attiva determinate aree del
cervello, mentre digitarla su una tastiera non fa altrettanto.
Digitare una lettera non permette di comprenderne davvero la forma
Prendere la penna, inoltre, “accende” aree motorie cerebrali attivate anche dalla lettura, in una
sinergia positiva provata da esperimenti condotti da Karin James dell’Università di Bloomington,
nell’Indiana. Secondo James «negli adulti le zone che si attivano leggendo sono le stesse che
vediamo accendersi nei bambini quando osservano una singola lettera che hanno imparato a
scrivere a mano; nei piccoli che sanno solo digitarla su tastiera ciò non accade». Ovvero: la scrittura
su un foglio “insegna” a leggere meglio, perché contribuisce a rinforzare le aree del cervello dove si
riconosce la forma delle lettere o in cui si associano i suoni alle parole. La conferma arriva dalla
Cina, dove si utilizza sempre di più il sistema “pinyin” di trascrizione del cinese sulle tastiere
QWERTY: abbandonando gli ideogrammi scritti a mano, le diagnosi di dislessia e altre difficoltà di
lettura sono in continua crescita. «Digitare una lettera non permette di comprenderne davvero la
forma e le possibili variazioni che non ne alterano il significato, come invece accade quando si
impara a scriverla a mano», spiega James.
Le modifiche nel cervello di chi usa le nuove tecnologie
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Le nuove tecnologie inoltre sembrano capaci di modificare il cervello e il modo in cui funziona
anche perché rendono necessario sviluppare maggiormente aree che in passato non si usavano
altrettanto spesso: lo dimostra una ricerca dell’Istituto di neuroinformatica dell’Università di
Zurigo, messa a punto per capire come l’uso dello smartphone possa influenzare l’attività cerebrale.
Alcuni volontari, di cui 27 proprietari di un telefonino di nuova generazione e 11 con un cellulare
vecchio stile, sono stati sottoposti a elettroencefalogramma mentre utilizzavano i loro apparecchi,
così da registrare che cosa accadeva nella corteccia cerebrale quando muovevano pollice, indice o
dito medio della mano destra: i dati raccolti indicano chiaramente che le aree di “rappresentazione
cerebrale” di queste dita sono molto diverse fra chi utilizza smartphone o telefoni standard.
“Ogni parte del nostro corpo ha un corrispettivo nella corteccia somatosensoriale cerebrale, in
un’area dove vengono gestite le informazioni che vanno e vengono da quella singola zona”, spiega
il coordinatore della ricerca, Arko Ghosh. Queste aree sono flessibili e l’ampiezza cambia in base
all’uso che facciamo della parte del corpo corrispondente. Il nostro esperimento dimostra che il
cervello è molto plastico: quanto più i volontari avevano usato lo smartphone nei dieci giorni
precedenti, tanto più grande e attiva era l’area cerebrale “dedicata” al pollice (il dito più usato per
digitare sugli schermi dei nuovi cellulari, ndr )”.
Il risultato potrebbe sembrare simile a quanto è stato verificato nei violinisti, in cui è noto che l’area
della corteccia somatosensoriale che rappresenta le dita è più grande rispetto a quella di chi non
suona lo strumento. «In realtà nei violinisti l’ampiezza e attività di queste zone dipende dall’età a
cui si è iniziato a suonare, mentre nel caso degli smartphone il tempo trascorso dall’acquisto non
conta: la correlazione è fra l’attivazione cerebrale e l’uso recente del telefono - osserva il
neuroscienziato -. La tecnologia digitale modifica perciò giorno per giorno la gestione delle
informazioni sensoriali da parte del cervello, con un’intensità sorprendente».
In pratica, se al violino servono anni per indurre le aree del cervello dedicate al controllo delle dita
ad “allargarsi”, lo smartphone modifica in brevissimo tempo le connessioni delle zone che servono
a gestire la maggiore attività dei pollici sullo schermo.