Buchi neri e informazione

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L’informazione che cade nei buchi neri è persa?
Michele Nardelli
“I buchi neri non hanno peli”. Con questa affermazione il fisico John Wheeler
puntualizzò una proprietà molto importante dell’orizzonte degli eventi di un buco
nero (ricordiamo che l’orizzonte degli eventi è una superficie di là della quale nulla
può sfuggire alla singolarità di un buco nero). Con il termine “peli” intendeva
caratteristiche osservabili come “gobbe” o altre irregolarità. L’orizzonte di un buco
nero è liscio come una palla da biliardo, anzi molto di più. Quando si forma un buco
nero, l’orizzonte si stabilizza rapidamente nella forma di una sfera perfettamente
regolare e liscia ed a parte la massa e la velocità di rotazione, ogni buco nero è uguale
a qualunque altro.
Aggiunger un bit (unità fondamentale di informazione) di informazione fa crescere la
superficie dell’orizzonte degli eventi di un buco nero di un’unità di Planck di area,
cioè di una lunghezza di Planck al quadrato. Immaginiamo di costruire il buco nero
un bit alla volta. Ogni volta che aggiungiamo un bit di informazione l’area
dell’orizzonte degli eventi aumenta di un’unità di Planck. Quando il buco nero è
finito, l’area del suo orizzonte sarà uguale al numero totale di bit di informazione
nascosti nel buco nero. Quindi il fisico Jacob Bekenstein arrivò al seguente risultato:
l’entropia (misura dell’informazione nascosta) di un buco nero, misurata in bit, è
proporzionale all’area del suo orizzonte degli eventi misurata in unità di Planck.
L’intuizione più grande del celebre fisico Stephen Hawking è che i buchi neri non
solo hanno un’entropia, come ipotizzato correttamente da Bekenstein, ma anche una
temperatura.
Usando la matematica della teoria quantistica dei campi, Hawking calcolò che la
perturbazione delle fluttuazioni del vuoto causata dalla presenza del buco nero fa sì
che vengano emessi fotoni, esattamente come se il buco nero fosse un corpo nero
caldo. Questi fotoni vengono chiamati radiazione di Hawking. Hawking riuscì a
calcolare esattamente la temperatura e, procedendo a ritroso, l’entropia del buco nero.
Bekenstein si era limitato ad affermare che l’entropia era proporzionale all’area
dell’orizzonte degli eventi misurata in unità di Planck. Stando ai calcoli di Hawking,
l’entropia di un buco nero è esattamente un quarto dell’area dell’orizzonte misurata in
unità di Planck. La formula ricavata da Hawking per la temperatura di un buco nero è
la seguente:
T=
1
c 3h
×
16π 2 GMk
dove c = 3 × 10 8 (velocità della luce), G = 6,7 × 10 −11 (costante gravitazionale di
Newton), h = 7 × 10 −34 (costante di Planck) e k = 1,4 × 10 −23 (costante di Boltzmann).
Nella formula di Hawking la massa del buco nero è a denominatore. Questo significa
che più grande è la massa più il buco nero è freddo e, viceversa, più piccola è la
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massa più il buco nero è caldo. Proviamo ad applicare la formula al caso di una stella
con una massa cinque volte più grande del Sole che si contrae formando un buco
nero. La sua massa, in chilogrammi, sarebbe:
M = 10 31 .
Attraverso la formula di Hawking troviamo che la temperatura del buco nero è di
circa 10-8 gradi Kelvin (K), che è una temperatura molto bassa.
Quando un buco nero emette radiazione di Hawking ed evapora, man mano che la
massa decresce ed il buco nero si contrae, la temperatura aumenta. Con il passare del
tempo il buco nero diviene caldo. Arrivato alla massa di Planck avrà una temperatura
di 1032 gradi. È interessante notare che l’unica volta che un qualunque punto
dell’universo è mai stato vicino a temperature del genere è stata all’inizio del Big
Bang. Il calcolo di Hawking che dimostrava l’evaporazione dei buchi neri, fu l’inizio
di una grande rivoluzione scientifica che avrebbe riguardato le questioni più
profonde: la natura dello spazio e del tempo, il significato delle particelle elementari
ed il mistero dell’origine dell’universo.
Cosa accade all’informazione caduta in precedenza nel buco nero quando questo
evapora? L. Susskind e G. ‘t Hooft erano sicuri che ciascun bit di informazione è
trasferito nei fotoni e nelle altre particelle che portano via l’energia del buco nero. In
altre parole, l’informazione è “immagazzinata” nelle tante particelle che costituiscono
la radiazione di Hawking. Inoltre essi erano giunti ad un’altra importante
conclusione: il mondo tridimensionale dell’esperienza comune – l’universo pieno di
galassie, stelle e pianeti – è un ologramma, un’immagine della realtà codificata su
una lontana superficie bidimensionale. Questa nuova legge della fisica, chiamata
principio olografico, afferma che tutto ciò che è contenuto in una data regione
spaziale può essere descritto da bit di informazione confinati sul bordo della regione
stessa. Il mondo sarebbe quindi diviso in pixel, e tutta l’informazione è
immagazzinata sul confine dello spazio.
Partiamo da una regione di spazio sferica, individuata da un immaginario bordo
matematico. La regione contiene della materia. La cosa più pesante che si può far
entrare nella regione è un buco nero il cui orizzonte coincida con il bordo. Esiste un
limite sul numero di bit di informazione contenuti nella materia?
Immaginiamo adesso un “guscio” sferico materiale, fatto quindi di vera materia, che
contenga l’intera regione. Essendo fatto di materia, il guscio ha una massa ed esso
può essere compresso fino ad entrare perfettamente nella sfera. Aggiustando la massa
del guscio, con questo procedimento possiamo arrivare ad avere un orizzonte degli
eventi che coincida perfettamente con il bordo della regione sferica di partenza.
La materia con cui siamo partiti aveva una certa quantità iniziale di entropia –
informazione nascosta – di cui non abbiamo specificato il valore. Ma non c’è alcun
dubbio sull’entropia finale; è l’entropia del buco nero, cioè la sua area espressa in
unità di Planck. Per il secondo principio della termodinamica, l’entropia del nostro
sistema non può che aumentare. Dunque l’entropia del buco nero finale deve essere
maggiore di quella della materia originaria. Mettendo insieme il tutto, abbiamo
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dimostrato il seguente fatto: il massimo numero di bit di informazione che possono
stare in una data regione spaziale è uguale al numero di pixel planckiani in cui si può
suddividere l’area della superficie di confine. Implicitamente ciò significa che esiste
una “descrizione al contorno” di tutto ciò che ha luogo dentro la regione di spazio
considerata: la superficie del confine è un ologramma dell’interno tridimensionale.
Naturalmente ciò di cui si sta parlando non è un normale ologramma ma un foglio di
pixel planckiani. Inoltre questo nuovo tipo di ologramma può cambiare nel tempo e si
tratta di un “ologramma quantistico”. Esso tremola e balugina con l’indeterminazione
di un sistema quantistico, in modo che anche l’immagine tridimensionale abbia i
tremori quantistici. Tutto è fatto di bit che si muovono secondo complicati moti
quantistici, ma se guardiamo questi bit nel dettaglio scopriamo che sono situati
lontano da noi, ai confini più remoti dello spazio.
La teoria delle stringhe è intrinsecamente una teoria olografica che descrive un
universo “a pixel”.
Le stringhe fortemente eccitate sono in media più grandi delle loro controparti allo
stato fondamentale; l’energia supplementare le sbatacchia e le stira facendole
allungare. Se si potesse bombardare una stringa con sufficiente energia, questa si
“gonfierebbe” fino a divenire una specie di matassa intricata e violentemente
fluttuante. E non c’è limite alle dimensioni che potrebbe raggiungere: con altra
energia, la stringa potrebbe essere eccitata e dilatata fino ad assumere qualunque
diametro. C’è tuttavia un modo in cui queste stringhe immensamente eccitate si
realizzano in natura: i buchi neri, anche quelli giganteschi che si trovano al centro
delle galassie. Questi, secondo l’interpretazione fatta dalla teoria delle stringhe, sono
enormi, ingarbugliate stringhe “monster”.
Le stringhe emettono ed assorbono altre stringhe. Prendiamo il caso delle stringhe
chiuse. Oltre a tremare con un moto di punto zero, una stringa quantistica può
dividersi in due. La stringa ondeggia formando una sorta di increspatura fino a
quando non appare un’appendice. La stringa è ora pronta per dividersi, emettendo
una piccola parte di sé stessa. Anche l’opposto è possibile: una piccola stringa che ne
incontra una più grande può venire assorbita con il processo inverso.
I gravitoni (i quanti della gravità) sono piccoli anelli di stringa che sciamano attorno
alle stringhe più grandi e formano un condensato che riproduce molto fedelmente gli
effetti di un campo gravitazionale.
I teorici delle stringhe sostengono che “la bella, elegante, coerente e solida
matematica della teoria delle stringhe conduce al sorprendente, incredibile, fantastico
fatto delle forze gravitazionali, e dunque deve essere vera”. La teoria delle stringhe è
un laboratorio matematico coerente in cui è possibile mettere alla prova varie idee su
come coniugare gravità e meccanica quantistica. La teoria delle stringhe è la migliore
guida matematica che abbiamo per orientarci verso i principi ultimi della gravità
quantistica.
Dato l’emergere della gravità nella teoria delle stringhe, è possibile supporre che
raggruppando un numero sufficiente di stringhe massive si formi un buco nero.
Cominciamo con il pensare che una particella sia un microscopico elastico di gomma
non molto più grande di una lunghezza di Planck. Un elastico, se viene pizzicato,
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comincerà ad ondeggiare e vibrare; se non ci fosse attrito tra i vari segmenti di
gomma, la vibrazione andrebbe avanti in eterno. Fornire energia ad una stringa la fa
oscillare ancor più violentemente, talvolta al punto da farla somigliare ad una
gigantesca matassa violentemente fluttuante. Queste oscillazioni sono dette
fluttuazioni termiche, ed aggiungono “vera” energia alla stringa. Ma non
dimentichiamo i tremori quantistici. Anche se ad un sistema togliamo tutta la sua
energia, lasciandolo nello stato fondamentale, i tremori non spariscono
completamente.
Adesso immaginiamo un aereo (chiamiamolo l’”aeroplano di Alice”) dotato di un
nuovo tipo di elica “composita”: all’estremità di ogni pala d’elica è situato un nuovo
mozzo con attaccate nuove pale “di secondo livello”. Queste ruotano molto più
velocemente di quelle originali – diciamo dieci volte tanto. Quando si cominciano a
vedere le pale di primo livello, quelle di secondo livello sono ancora invisibili. Se
l’elica continua a rallentare, ad un certo punto compaiono anche le pale di secondo
livello; ancora una volta, la struttura sembra ingrandirsi. Un terzo livello di pale è
attaccato alle estremità delle pale di secondo livello, e ruota dieci volte più veloce di
queste ultime. Ci vorrà dunque un ulteriore rallentamento, ma dopo un certo tempo
l’elica composita sembrerà di nuovo allargarsi su un’area ancora maggiore. L’aereo
di Alice non si ferma a tre livelli: la successione delle sue eliche prosegue
indefinitamente e, man mano che queste rallentano, una parte sempre più grande
dell’insieme diviene visibile, crescendo fino a proporzioni enormi. Ma a meno che
l’elica non si fermi del tutto, ad un dato istante se ne può vedere solo un numero
finito di livelli.
Mandiamo adesso Alice con il suo aeroplano diritta dentro un buco nero. Che cosa
vedrà Bob (l’osservatore esterno)? All’esterno il propulsore sembrerà rallentare: ad
un certo punto apparirà l’elica di primo livello, e successivamente una porzione
sempre maggiore dell’intero macchinario che, di livello in livello, si allargherà fino a
ricoprire l’intero orizzonte degli eventi. Ma cosa vedrebbe Alice, viaggiando assieme
all’elica? Niente di particolarmente insolito. Se guardasse verso l’elica, questa
continuerebbe ad essere troppo veloce perché lei o la sua videocamera possano
percepirla. Vedrebbe quello che vediamo noi quando guardiamo un’elica girare
velocemente, ossia solo il mozzo centrale.
Immaginiamo adesso che, mentre cade verso l’orizzonte degli eventi, Alice tenga lo
sguardo fisso su un atomo vicino che sta anch’esso precipitando. L’atomo ha un
aspetto perfettamente normale, anche quando oltrepassa l’orizzonte. I suoi elettroni
continuano a girare attorno al nucleo al solito passo, e l’atomo nel suo complesso non
sembra più grande di un qualunque altro atomo.
Bob (l’osservatore esterno), invece, vede l’atomo rallentare man mano che si avvicina
all’orizzonte; allo stesso tempo le fluttuazioni termiche lo smembrano completamente
e lo spalmano su una superficie di area crescente. L’atomo sembra somigliare ad un
aeroplano di Alice in miniatura. (Notiamo con grande interesse come tale
rappresentazione – l’aereo di alice ad eliche “composite” e l’atomo che si
avvicina all’orizzonte degli eventi – siano delle forme frattali, basata quindi sul
numero aureo Φ = ( 5 + 1) / 2 ).
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Le particelle descritte dalla teoria delle stringhe – gli anelli di corda elastica in linea
di principio minuscoli – sono esattamente come le eliche composite. Una particella
elementare sembra quasi puntiforme: pensiamola come il mozzo dell’elica. Ora
aumentiamo la velocità dell’otturatore di una ipotetica macchina fotografica fino ad
ottenere un tempo di posa di poco superiore alla durata di Planck. L’immagine
comincia a mostrarci che la particella è in realtà una cordicella. Aumentiamo
ulteriormente la velocità dell’otturatore. Quel che vediamo è che ogni porzione della
stringa fluttua e vibra, di modo che la nuova immagine appare più ingarbugliata ed
estesa. Ma tale processo si ripete: ogni “ricciolo”, ogni “curva” della stringa si rivela
composto di altri “riccioli” e ghirigori che oscillano ogni volta più rapidamente.
(Anche qui notiamo la caratteristica a “frattale” insita in tale rappresentazione,
e quindi la connessione con il numero aureo Φ ).
Che cosa vede Bob (l’osservatore esterno) quando guarda una particella di questo
tipo cadere verso l’orizzonte degli eventi? All’inizio il moto oscillatorio è troppo
rapido per essere visibile, e l’unica cosa visibile è il minuscolo “mozzo” al centro.
Ma ben presto la natura particolare del tempo in prossimità dell’orizzonte comincia a
farsi sentire, e il moto della stringa appare sempre più rallentato. Bob vede porzioni
sempre più estese della struttura oscillante esattamente come accadeva con l’elica
composita di Alice. Man mano che il tempo passa, diventano visibili oscillazioni
sempre più rapide, e la stringa sembra allargarsi e spandersi sull’intera superficie
dell’orizzonte degli eventi. E se invece stiamo cadendo assieme alla particella? In
questo caso il tempo si comporta normalmente. La fluttuazioni ad alta frequenza
rimangono ad alta frequenza, ben al di fuori della portata della nostra macchina
fotografica: come nel caso dell’aereo di Alice, vediamo soltanto la minuscola parte
centrale.
L’“immagine” fornita dalla teoria delle stringhe assomiglia di più all’aeroplano di
Alice. Man mano che le cose rallentano, diventa visibile una quantità sempre
maggiore di “eliche”; queste occupano una regione di spazio sempre più vasta, di
modo che l’intera struttura complessa si espande. È inoltre importante ricordare che
le stringhe, come qualunque altra cosa, hanno anch’esse i tremori quantistici, ma a
modo loro. Come l’aereo di Alice, le stringhe vibrano a molte frequenze diverse e la
maggior parte delle vibrazioni sono troppo rapide per essere rivelabili.
Secondo la proposta di G. ‘t Hooft: lo spettro di particelle non finisce alla massa di
Planck. Continua con masse indefinitamente grandi che prendono la forma di buchi
neri. I buchi neri, come accade per le particelle ordinarie, possono assumere solo
valori discreti di massa. Questi valori permessi diventano tuttavia talmente densi e
fitti, al di sopra della massa di Planck, da costituire praticamente una banda sfumata.
Secondo la congettura di ‘t Hooft, molto probabilmente lo spettro delle eccitazioni di
stringa sfuma in quello dei buchi neri più o meno in corrispondenza della massa di
Planck, ma senza una separazione netta.
Supponiamo adesso che il fotone sia una cordicella e “scuotiamolo” o “colpiamolo”
con altre stringhe. Proprio come un piccolo elastico, il fotone comincerebbe a
“vibrare”, “ruotare” ed “allungarsi”. Se gli si fornisce abbastanza energia, comincerà
a somigliare ad un gigantesco “garbuglio”, un “gomitolo” di filo. In questo caso non
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si tratta di tremori quantistici, ma di tremori termici. Queste cordicelle aggrovigliate
ed eccitate somigliano molto a buchi neri: questi, infatti, possono essere in realtà
nient’altro che giganteschi gomitoli di spago (stringa) casualmente intrecciati.
La massa di una stringa lunga ed intricata può diminuire per azione della gravità e
non risultare più proporzionale alla lunghezza, una volta che si tiene conto
correttamente degli effetti gravitazionali. Il gigantesco gomitolo di corda può
contrarsi in una sfera sempre più compatta: il gomitolo rimpicciolito avrebbe anche
una massa più piccola di quella di partenza.
Quindi, la massa ed il raggio del gomitolo cambiano, ma che ne è dell’entropia?
L’entropia è precisamente ciò che non varia. Se un sistema viene modificato
lentamente, la sua energia può cambiare (in genere cambia), ma la sua entropia
rimane esattamente la stessa. Questo teorema, basilare tanto in meccanica classica
quanto in meccanica quantistica, si chiama teorema adiabatico.
Prendiamo un grosso garbuglio di stringhe e cominciamo con annullare la gravità.
Senza gravità la stringa non somiglia ad un buco nero, ma ha un’entropia ed una
massa. Ora aumentiamo lentamente l’intensità della forza di gravità. I vari segmenti
di stringa iniziano ad attrarsi vicendevolmente, ed il gomitolo di stringa si comprime.
Continuiamo ad aumentare la gravità finchè la stringa diventa tanto compatta da
formare un buco nero: la massa ed il raggio si sono ridotti, ma l’entropia è rimasta
invariata. Contraendosi e trasformandosi in un buco nero il gomitolo di stringa
cambia massa esattamente nel modo giusto, portando entropia e massa nella giusta
relazione: entropia ∝ massa2 (l’entropia è proporzionale al quadrato della massa di
un buco nero).
L’immagine dell’orizzonte degli eventi che emerge è quindi un groviglio di stringa
appiattito sull’orizzonte della gravità. Ma le fluttuazioni quantiche fanno sì che
alcune porzioni di stringa sporgano un poco, e questi pezzettini rappresentano gli
atomi d’orizzonte. Un osservatore esterno vedrebbe pezzetti di stringa, ciascuno con
le due estremità saldamente fissate all’orizzonte. Nel linguaggio della teoria delle
stringhe, gli atomi d’orizzonte sono stringhe aperte (dotate di estremità) attaccate ad
una sorta di membrana. Questi pezzetti di stringa possono sganciarsi dall’orizzonte, e
questo spiegherebbe l’irraggiamento e l’evaporazione di un buco nero. Quindi John
Wheeler si sbagliava: i buchi neri sono ricoperti di peli, cioè caratteristiche
osservabili come “gobbe” o altre irregolarità (in questo caso i pezzettini di stringa
attaccati alla membrana).
Le stringhe fondamentali possono attraversarsi a vicenda. Quando le stringhe si
toccano può anche accadere che, invece di attraversarsi, le due stringhe possono
“ricombinarsi”. Quale delle due possibilità si verifica quando si incrociano le
stringhe? A volte una, a volte l’altra. Le stringhe potrebbero attraversarsi il 90% dei
casi, e ricombinarsi il rimanente 10%. La probabilità di ricombinazione è detta
costante di accoppiamento delle stringhe.
Adesso concentriamoci su una piccola porzione di stringa sporgente dall’orizzonte di
un buco nero. Il segmento di stringa è ritorto, e due pezzi stanno per incrociarsi: il
90% delle volte si attraverseranno senza che accada nulla, ma nel 10% dei casi la
stringa si ricombina. Quando questo accade, si verifica un fenomeno nuovo: si libera
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un piccolo anello di stringa. Quel pezzettino di stringa chiusa è una particella (un
fotone, un gravitone, o una qualunque altra particella). Essendo all’esterno del buco
nero, ha la possibilità di sfuggire; quando questo accade, il buco nero perde un po’ di
energia. Ecco come la teoria delle stringhe spiega la radiazione di Hawking.
La parola brana è un’invenzione della teoria delle stringhe; tale termine deriva da
membrana, parola di uso comune con cui si indica una superficie bidimensionale che
si può deformare e stirare. Una D-brana (dove D sta per Dirichlet) non è una brana
qualsiasi, ma ha una proprietà molto speciale, cioè il fatto che su di essa possono
giacere le estremità delle stringhe fondamentali. Prendiamo il caso di una D0-brana.
La D significa che si tratta di una D-brana, lo zero significa che non ha dimensioni.
Una D0-brana è quindi una particella su cui possono terminare le stringhe
fondamentali. Le D1-brane sono spesso chiamate D-stringhe. Questo perché la D1brana, essendo filiforme, è essa stessa una specie di stringa, anche se non deve essere
confusa con le stringhe fondamentali. Tipicamente le D-stringhe sono molto più
pesanti delle stringhe fondamentali. Esistono potenti simmetrie matematiche,
chiamate dualità, che collegano le stringhe fondamentali alle D-stringhe. Queste
dualità rivestono ruoli importanti in molti settori della matematica pura. Le D2-brane
sono membrane simili a fogli di gomma, a parte il fatto che su di esse possono
terminare le stringhe fondamentali.
Nel 1996 i due teorici di stringa Cumrun Vafa ed Andrew Strominger, combinando
stringhe e D-brane riuscirono a costruire un buco nero estremale con un orizzonte
degli eventi di grandi dimensioni ed inequivocabilmente classico. In quanto oggetto
macroscopico classico, l’orizzonte avrebbe risentito in maniera trascurabile delle
fluttuazioni quantistiche. La teoria delle stringhe avrebbe fatto bene a trovare la
quantità di informazione nascosta implicata dalla formula di Hawking, senza ambigui
fattori o segni di proporzionalità. Il punto di partenza era un certo numero di D5brane espanse in cinque delle sei direzioni compatte dello spazio. Immerse in queste
D5-brane i due fisici avvolsero un gran numero di D1-brane attorno ad una delle
direzioni compatte. Quindi aggiunsero stringhe con entrambe le estremità attaccate
alle D-brane. Ancora una volta, i pezzetti di stringa aperti rappresentavano gli atomi
d’orizzonte che contengono l’entropia. Strominger a Vafa per prima cosa annullarono
la gravità e le altre forze. Senza queste è possibile calcolare esattamente quanta
entropia è immagazzinata nelle fluttuazioni delle stringhe aperte. Il passo successivo
fu quello di risolvere le equazioni di campo di Einstein per questo tipo di buco nero
estremale. Strominger e Vafa trovarono che l’area dell’orizzonte e l’entropia non
erano semplicemente proporzionali: l’informazione nascosta nei fili guizzanti
attaccati alle brane concordava esattamente con la formula di Hawking.
Gli altri due teorici di stringa Callan e Maldacena, riuscirono ad usare la teoria delle
stringhe per calcolare il tasso di evaporazione dei buchi neri quasi estremali. La
spiegazione fornita dalla teoria delle stringhe al processo di evaporazione è
affascinante. Quando due increspature che si muovono in direzioni opposte si
scontrano, formano una singola increspatura più grande. Una volta che questa si è
formata, nulla le impedisce di staccarsi (ecco l’evaporazione in termini di stringhe).
Callan e Maldacena avevano calcolato in dettaglio il tasso di evaporazione ed il loro
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risultato era perfettamente in accordo con il metodo di Hawking. Ma c’era una
differenza fondamentale: Callan e Maldacena avevano usato soltanto i metodi
convenzionali della meccanica quantistica e, come è noto, la meccanica quantistica
ha un elemento di aleatorietà intrinseca, ma proibisce la perdita di informazione.
Pertanto non vi era alcuna possibilità che si perdesse informazione durante il
processo di evaporazione. L’entropia di un buco nero si poteva spiegare con
l’informazione immagazzinata in increspature di stringhe: i buchi neri potevano
essere visti come “contenitori” in grado di immagazzinare informazione recuperabile.
Lo spazio AdS (Anti de Sitter) è curvo e la curvatura è negativa. La famosa incisione
di Escher Limite del cerchio IV (vedi immagine in alto) è una “mappa” di uno spazio
a curvatura negativa che mostra esattamente come apparirebbe una fetta
bidimensionale di uno spazio AdS. Come si può notare, le figure si alternano senza
fine, sfumando in un bordo frattale infinito (anche qui, quindi, è presente il numero
aureo Φ ). Ora aggiungiamo il tempo e mettiamo tutto insieme in una figura che
rappresenta uno spazio anti de Sitter. Mettiamo il tempo lungo l’asse verticale.
Ciascuna sezione orizzontale rappresenta lo spazio ordinario ad un particolare istante.
L’Ads si può quindi pensare come un’infinita sequenza di sottili fettine di spazio che,
impilate una sull’altra, formano un continuo spaziotemporale di forma cilindrica.
Immaginiamo adesso di zoomare su una regione prossima al bordo della figura in alto
e di farne un ingrandimento tale da far apparire il bordo quasi rettilineo. Se
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semplifichiamo l’immagine sostituendo le figure scure con quadrati, l’immagine
diventa una specie di reticolo fatto di quadrati sempre più piccoli man mano che ci si
avvicina al bordo frattale infinito. Possiamo immaginare l’AdS come un “muro”
infinito di mattoni quadrati: scendendo lungo il muro, ad ogni nuovo strato la
larghezza dei mattoni raddoppia.
Nel 1997, il teorico delle stringhe Maldacena sostenne che due mondi matematici che
sembrano del tutto diversi sono in realtà esattamente uguali. Uno ha quattro
dimensioni spaziali ed una temporale (4 + 1), mentre l’altro è (3 + 1)-dimensionale,
come il mondo a cui siamo abituati. Maldacena affermò che la QCD (cromodinamica
quantistica, una teoria dei campi) piatta è “duale” ad un universo anti de Sitter (3 +
1)-dimensionale. Inoltre, in questo mondo tridimensionale materia ed energia
esercitano forze gravitazionali: in altre parole, un mondo a (2 + 1) dimensioni che
include la QCD ma non la gravità è equivalente ad un universo a (3 + 1) dimensioni
con gravità. Come può essere? Tutto sta nella distorsione dello spazio anti de Sitter,
che fa sembrare gli oggetti vicini al bordo più piccoli di quelli nelle regioni più
interne dello spazio. Le descrizioni duali di Maldacena erano una realizzazione del
principio olografico: tutto ciò che accade all’interno dello spazio anti de Sitter “è un
ologramma, un’immagine della realtà codificata su una lontana superficie
bidimensionale”. Un mondo tridimensionale con gravità è equivalente ad un
ologramma quantistico situato sul bordo dello spazio stesso. Il fisico teorico Edward
Witten collegò la scoperta di Maldacena al principio olografico scrivendo il suo
articolo “spazi anti de Sitter ed olografia”.
Lo spazio anti de Sitter è come una “lattina di minestrone”. Le sezioni orizzontali
della lattina rappresentano lo spazio, mentre l’asse verticale rappresenta il tempo.
L’etichetta all’esterno della lattina è il bordo, mentre l’interno rappresenta lo spaziotempo vero e proprio. Lo spazio AdS puro è una lattina vuota, che può essere resa più
interessante riempiendola di “minestrone” – ossia materia ed energia. Witten spiegò
che, ammassando abbastanza materia ed energia nella lattina, è possibile creare un
buco nero. L’esistenza di un buco nero nel “minestrone” deve avere un equivalente
sull’ologramma al bordo, ma che cosa? Nella sua “teoria di bordo” Witten sostiene
che il buco nero nel “minestrone” è equivalente ad un “fluido caldo” di particelle
elementari – essenzialmente gluoni. Ora, la teoria dei campi è un caso particolare di
meccanica quantistica, ed in meccanica quantistica l’informazione non viene mai
distrutta. I teorici delle stringhe capirono immediatamente che Maldacena e Witten
avevano dimostrato senza ombra di dubbio che non è possibile far sparire
informazione dietro l’orizzonte di un buco nero.
Maldacena aveva scoperto che due diverse teorie matematiche sono in realtà la stessa
– sono teorie “duali”. Una è la teoria delle stringhe, con tanto di gravitoni e buchi
neri, seppure in uno spazio anti de Sitter (4 + 1)-dimensionale. Tutto ciò che accade
nello spazio AdS è completamente descrivibile per mezzo di una teoria che ha una
dimensione spaziale in meno. Dato che Maldacena è partito da quattro dimensioni
spaziali, la teoria olografica duale ne ha soltanto tre. Il duale olografico è
matematicamente molto simile alla cromodinamica quantistica (QCD), la teoria dei
quark, degli adroni e dei nuclei.
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Quindi:
Gravità quantistica in AdS ↔ QCD.
L’interesse maggiore del risultato di Maldacena era il fatto che confermasse il
principio olografico e gettasse luce sul funzionamento della gravità quantistica.
Riprendiamo in considerazione l’AdS, visto da un punto molto vicino al bordo:
chiameremo questo bordo UV-brana. La UV-brana è quindi una superficie vicina al
bordo. (Ritorniamo nuovamente all’immagine dell’AdS come un “muro” infinito di
mattoni quadrati: scendendo lungo il muro, ad ogni nuovo strato la larghezza dei
mattoni raddoppia. Ricordiamo, inoltre, che il bordo è un “bordo frattale infinito”).
Immaginiamo di allontanarci dalla UV-brana e dirigerci verso l’interno dove i
quadrati si allargano e gli orologi rallentano indefinitamente. Gli oggetti che in
prossimità della UV-brana sono piccoli e veloci diventano grandi e lenti quando ci
addentriamo nello spazio AdS. Ma l’AdS non è la cosa più adatta per descrivere la
QCD. Chiamiamo questo spazio anti de Sitter modificato Q-spazio. Come l’AdS, il
Q-spazio ha una UV-brana dove le cose rimpiccioliscono ed accelerano ma,
diversamente dall’AdS, possiede anche un secondo bordo, chiamato IR-brana. La IRbrana è una specie di barriera impenetrabile dove i quadrati raggiungono la loro
estensione massima. Immaginiamo di mettere una stringa quantistica in un Q-spazio,
dapprima in prossimità della UV-brana. Essa apparirà minuscola – forse con diametro
paragonabile alla lunghezza di Planck – e rapidamente vibrante. Ma se la stessa
particella (stringa) viene spostata verso la IR-brana sembrerà ingrandirsi, come se
fosse proiettata su uno schermo che si allontana. Ora prendiamo in considerazione le
vibrazioni. Queste costituiscono una sorta di “orologio” che, accelererà avvicinandosi
all’UV-brana, e rallenterà quando si muove verso la IR-brana. Una stringa in
vicinanza della IR-brana non solo apparirà come un’enorme gigantografia della
propria versione miniaturizzata UV, ma oscillerà anche molto più lentamente di
quest’ultima. Se le particelle ultrapiccole (alla scala di Planck) della teoria delle
stringhe “vivono” in prossimità della UV-brana e le loro versioni ingigantite – gli
adroni (particelle strettamente parenti del nucleo atomico: protoni, neutroni, mesoni e
glueball. Gli adroni sono costituiti da quark e gluoni) – vivono nei pressi della IRbrana, quanto distano esattamente le une dalle altre? Secondo la figura prima
riportata, per andare dagli oggetti planckiani agli adroni bisogna scendere di circa 66
quadrati. Ma ricordando che ogni “gradino” è alto il doppio del precedente,
raddoppiare 66 volte corrisponde grosso modo ad un’espansione di un fattore 1020.
Il punto di vista più eccitante, è che le stringhe nucleari e quelle fondamentali sono
davvero gli stessi oggetti, visti attraverso una “lente” che ne distorce l’immagine e ne
rallenta il moto. Secondo questo modo di vedere, quando una particella (o stringa) si
trova in vicinanza della UV-brana appare piccola, energetica e rapidamente
oscillante: ha l’aspetto di una stringa fondamentale, si comporta come una stringa
fondamentale, dunque deve essere una stringa fondamentale. Una stringa chiusa
situata in prossimità della UV-brana, ad esempio, sarebbe un gravitone. (Notiamo
che una stringa chiusa ha grosso modo una forma “circolare”, quindi in essa è
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insito π che per la semplice relazione arccosφ = 0,2879π è connesso con il numero
aureo. Inoltre le vibrazioni emettono “frequenze” in ottimo accordo con gli
esponenti del numero aureo). Ma la stessa stringa, se si avvicina alla IR-brana,
rallenta e si espande. Da tutti i punti di vista si comporta come una glueball (adrone
costitutito solo da gluoni). In questa interpretazione il gravitone e la glueball sono
esattamente lo stesso oggetto, situato in punti diversi del fascio di brane. (Quindi, un
bosone – il gravitone – ed un fermione – la glueball – sono in corrispondenza
biunivoca, cioè dall’uno si ottiene l’altro e viceversa, secondo la relazione
fondamentale del modello Palumbo-Nardelli (P-N):
1
1
R


− ∫ d 26 x g −
− g µρ g νσ Tr (Gµν Gρσ ) f (φ ) − g µν ∂ µ φ∂ν φ  =
2
 16πG 8

∞

1
1 ~ 2 κ2
2 
1/ 2
= ∫ 2 ∫ d 10 x(− G ) e −2Φ  R + 4∂ µ Φ∂ µ Φ − H 3 − 102 Trν F2  .
2κ 10
2
g10


0
( )
Anche questa interpretazione, quindi, rafforza e convalida il modello P-N che
lega le stringhe bosoniche a quelle fermioniche, e la connessione con il numero
aureo, insito in tale formula ).
Immaginiamo una coppia di gravitoni (stringhe vicine alla UV-brana) in procinto di
entrare in collisione. Se hanno energia sufficiente, quando si incontrano nei pressi
della UV-brana si formerà un piccolo buco nero: un ammasso di energia incollato alla
UV-brana. I bit di informazione che ne costituiscono l’orizzonte degli eventi hanno
dimensioni planckiane. Ma pensiamo ora di sostituire i due gravitoni con due nuclei
(in prossimità della IR-brana) e di farli collidere. Qui si fa sentire la potenza della
dualità. Da una parte possiamo immaginare la versione quadridimensionale del
processo, in cui due oggetti collidono e formano un buco nero. Questa volta il buco
nero sarà vicino alla IR-brana e di dimensioni maggiori di quello che si era formato
nei pressi della UV-brana. Ma possiamo vedere il processo anche dal punto di vista
tridimensionale. In questo caso, due adroni o due nuclei collidono e formano un
ammasso di quark e gluoni. L’energia della collisione sta insieme e forma una specie
di goccia di fluido definito brodo caldo di quark. Esso ha alcune proprietà di fluidità
molto sorprendenti che ricordano, guarda caso, l’orizzonte degli eventi di un buco
nero. Si è scoperto che la viscosità del brodo caldo di quark è incredibilmente bassa.
(A rigore, ad essere piccola è la viscosità divisa per l’entropia del fluido). Il brodo di
quark è il fluido meno viscoso conosciuto dalla scienza. Ora, esiste in natura qualcosa
di viscosità così bassa da rivaleggiare con il brodo di quark? Esiste. L’orizzonte degli
eventi di un buco nero, quando viene perturbato, si comporta come un fluido. Per
esempio, se un buco nero piccolo cade in un buco nero più grande, crea un
rigonfiamento temporaneo sull’orizzonte. Il rigonfiamento poi si espande sulla
superficie proprio come accade nel caso di un fluido viscoso. Quando i teorici delle
stringhe cominciarono a sospettare un legame tra i buchi neri e le collisioni nucleari
(le implicazioni del principio olografico sulle proprietà viscose del brodo di quark) si
resero conto che il brodo di quark è la cosa che più somiglia all’orizzonte degli eventi
di un buco nero. Che ne è alla fine della goccia di fluido? Come per un buco nero,
anch’essa finisce con l’evaporare in una varietà di particelle tra cui nucleoni, mesoni,
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elettroni e neutrini. Ricordando che in meccanica quantistica l’informazione non
viene mai distrutta, non vi è più alcun dubbio che non è possibile far sparire
informazione dietro l’orizzonte di un buco nero. Il buco nero, quindi, evapora in una
varietà di particelle, ma l’informazione “si conserva” pur se in un'altra forma. La
viscosità e l’evaporazione sono solo due delle tante proprietà che il brodo di quark ha
in comune con l’orizzonte degli eventi.
La gravità trova il suo pieno compimento nei buchi neri. I buchi neri non sono
semplicemente stelle molto dense: sono piuttosto giganteschi serbatoi di
informazione, in cui i bit sono fittamente stipati. È di questo che si occupa in ultima
analisi la gravità quantistica: informazione ed entropia fittamente stipate.
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