L’ambiente in Europa:
Seconda valutazione
Capitolo 2. Cambiamento climatico
European Environment Agency
37 Cambiamento climatico
2. Cambiamento climatico
Conclusioni
Dal 1900 le temperature medie annuali in Europa hanno fatto registrare un aumento di 0,3 - 0,6°C. I
modelli climatici fanno prevedere ulteriori aumenti rispetto ai livelli del 1990 pari a circa 2°C entro il
2100, con incrementi più sensibili nell'Europa settentrionale che in quella meridionale. Fra le
potenziali conseguenze si segnalano l’innalzamento del livello del mare, l'aumento di frequenza e
intensità di tempeste, inondazioni e siccità, nonché variazioni della flora, della fauna e della
produttività alimentare. La gravità di tali ripercussioni dipenderà in parte dalla misura in cui
verranno attuati interventi di adeguamento nei prossimi anni e decenni.
Al fine di assicurare che i futuri aumenti della temperatura non superino 0,1°C ogni dieci anni e che i
livelli del mare non si innalzino di oltre 2 cm ogni decennio (limiti provvisori ipotizzati per la
sostenibilità) sarebbe necessario che i paesi industrializzati riducessero, entro il 2010, le emissioni di
gas a effetto serra (anidride carbonica, metano, protossido di azoto e vari composti alogenati) di
almeno il 30-55% rispetto ai livelli del 1990.
Tali riduzioni superano di gran lunga l'impegno assunto dai paesi industrializzati nella terza
conferenza di Kyoto dei partecipanti alla convenzione quadro sul cambiamento climatico (United
Nations Framework Convention on Climate Change, UNFCCC) nel dicembre 1997, di ridurre dell’8%
le emissioni dei gas a effetto serra, nella maggior parte dei paesi europei, entro il 2010, rispetto ai livelli
del 1990. Alcuni dei PECO si sono impegnati a diminuire le emissioni dei gas a effetto serra di
percentuali comprese fra il 5% e l'8% entro il 2010 rispetto ai valori del 1990, mentre la Federazione
russa e l’Ucraina hanno assunto l’impegno di stabilizzare le proprie emissioni ai livelli del 1990.
Resta ancora incerto se l’UE raggiungerà l’obiettivo iniziale della UNFCCC, fissato nel 1992, di
stabilizzare le emissioni di anidride carbonica (il principale gas a effetto serra) ai livelli del 1990 entro
il 2000, visto che per l'anno 2000 si prevede un aumento fino al 5% rispetto ai livelli del 1990. Inoltre,
in contrasto con l’obiettivo fissato a Kyoto di una riduzione dell’8% delle emissioni di gas a effetto
serra entro il 2010 (per un "paniere" di sei gas, fra cui l'anidride carbonica), le più recenti stime della
CE, basate sull'andamento attuale (pre-Kyoto), indicano un aumento dell'8% delle emissioni di
anidride carbonica fra il 1990 e il 2010, con un incremento massimo (pari al 39%) nel settore dei
trasporti.
Benché non sia stata ancora accolta la proposta relativa all'introduzione di una delle misure
fondamentali a livello comunitario, ossia una tassa energia/CO2, alcuni paesi dell'Europa occidentale
(Austria, Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia) hanno già adottato misure fiscali di
questo tipo. Inoltre, vi è la possibilità di attuare altri tipi di misure tese a ridurre le emissioni di CO2,
alcune delle quali sono in via di adozione da parte di vari paesi europei e dell'UE: programmi a favore
dell'efficienza energetica, diffusione degli impianti di cogenerazione, passaggio dall'uso del carbone
all'impiego di gas naturale e/o legna come combustibile, misure a favore del trasporto multimodale e
interventi che favoriscono l'assorbimento del carbonio (aumentando la zona di assorbimento) tramite
la forestazione.
Il consumo energetico, in cui predomina l'impiego dei combustibili fossili, costituisce il fattore
determinante nelle emissioni di anidride carbonica. In Europa occidentale, le emissioni di anidride
carbonica derivanti da combustibili fossili sono scese del 3% fra il 1990 e il 1995 a causa della
recessione economica, della ristrutturazione dell'industria in Germania e del passaggio dal carbone al
gas naturale per la produzione di elettricità. I prezzi dell'energia in Europa occidentale nel corso degli
ultimi 10 anni sono rimasti stabili e piuttosto bassi rispetto all'andamento tradizionale, fornendo
quindi scarso incentivo a migliorare l'efficienza. L'intensità di energia (pari al consumo energetico
finale per unità di PIL) è scesa solo dell'1% all'anno dal 1980.
I modelli di consumo energetico sono cambiati notevolmente fra il 1980 e il 1995. Il consumo energetico
ha fatto registrare un incremento del 44% nel settore dei trasporti, una riduzione dell'8% nel settore
industriale, mentre il consumo di altri combustibili è aumentato del 7%. Questi dati riflettono
principalmente la crescita del trasporto su gomma e l'abbandono dell'industria pesante ad alta
intensità di energia. In totale i consumi di energia sono aumentati del 10% fra il 1985 e il 1995.
38 L'ambiente in Europa
Il contributo dell'energia nucleare all'approvvigionamento energetico totale in Europa occidentale è
passato dal 5% al 15% fra il 1980 e il 1994. La Svezia e la Francia dipendono dall'energia nucleare per
circa il 40% del loro fabbisogno energetico totale.
In Europa orientale, le emissioni di anidride carbonica dovute all'impiego di combustibili fossili sono
scese del 19% fra il 1990 e il 1995, soprattutto a causa della ristrutturazione economica. Nello stesso
periodo, il consumo energetico nel settore dei trasporti ha subito un calo pari al 3% nei PECO e al
48% negli NSI. Il consumo energetico nel settore industriale si è ridotto del 28% nei PECO e del 38%
negli NSI. I valori dell'intensità di energia nei PECO sono di circa tre volte superiori rispetto a quelli
dell'Europa occidentale e quelli degli NSI probabilmente di cinque volte superiori. Vi sono pertanto
notevoli possibilità di intervenire a favore del risparmio energetico. Stime basate sull'andamento
attuale prevedono che nel 2010 il consumo energetico sarà diminuito dell'11% rispetto al 1990 negli
NSI e aumentato del 4% rispetto al 1990 nei PECO.
Il contributo dell'energia nucleare all'approvvigionamento energetico totale è passato dal 2% al 6%
negli NSI e nall'1% al 5% nei PECO fra il 1980 e il 1994. In Bulgaria, Lituania e Slovenia, l'energia
nucleare copre circa un quarto del fabbisogno energetico totale.
Le emissioni di gas metano nei PECO e negli NSI sono scese del 40% fra il 1980 e il 1995. È tuttavia
possibile ridurre ulteriormente i livelli in tutta Europa, intervenendo in particolare nei sistemi di
distribuzione del gas e dell'estrazione del carbone. Si potrebbe inoltre riuscire a ottenere un
abbattimento delle emissioni di protossido di azoto da parte dell'industria e la riduzione dell'impiego di
fertilizzanti inorganici in tutta Europa.
Le emissioni di CFC hanno subito un rapido calo rispetto ai livelli massimi, a seguito della progressiva
cessazione della produzione e dell'uso di queste sostanze. Sono tuttavia in aumento l'impiego e
l'emissione dei loro sostituti, gli HCFC, (che sono anch'essi gas a effetto serra), come anche quelli di
gas a effetto serra identificati in tempi relativamente recenti, quali l'SF6, gli HFC e i PFC, che fanno
parte del "paniere" di gas per i quali a Kyoto sono stati stabiliti obiettivi di riduzione delle emissioni.
2.1. Introduzione
È ormai ampiamente riconosciuto che i cambiamenti climatici costituiscono una grave minaccia potenziale
per l'ambiente di tutto il mondo. Il problema viene attualmente affrontato tramite la convenzione quadro delle
Nazioni Unite sul cambiamento climatico (UNFCCC) e, più recentemente, alla terza conferenza dei
partecipanti, svoltasi a Kyoto nel dicembre 1997. Il cambiamento del clima è stato identificato dall'UE come
uno dei temi ambientali fondamentali da affrontare nell'ambito del Quinto programma d'azione a favore
dell’ambiente.
Il clima è fortemente influenzato dalle variazioni nelle concentrazioni atmosferiche di numerosi gas che
catturano le radiazioni infrarosse dalla superficie della Terra ("effetto serra"). Il vapore acqueo e l'anidride
carbonica (CO2) nell'atmosfera danno origine a un effetto serra naturale, senza il quale la superficie della
terra sarebbe all'incirca di 33°C più fredda di quanto è attualmente (IPCC, 1990). Altri gas importanti che
contribuiscono all'effetto serra sono il metano (CH4), il protossido di azoto (N2O) e i composti alogenati quali
i CFC e i perfluorocarburi (PFC).
Negli ultimi cento anni circa, le attività umane hanno provocato l'aumento delle concentrazioni atmosferiche
dei gas a effetto serra e di altri inquinanti. Nello stesso periodo è stato osservato un forte aumento, rispetto ai
valori tradizionali, delle temperature medie globali. Sebbene non si sappia con certezza quanto di questo
riscaldamento possa essere attribuito ai gas a effetto serra, è dimostrato che le attività umane stanno causando
un incremento dell'effetto serra, vale a dire del riscaldamento globale (IPCC 1996a).
L'impiego dei combustibili fossili è la causa principale dell'incremento dell'effetto serra. Altre attività che
contribuiscono sono l'agricoltura e i cambiamenti di destinazione d'uso dei terreni, fra cui la deforestazione,
certi processi industriali come la produzione del cemento, il conferimento dei rifiuti in discarica, nonché la
refrigerazione, la produzione delle schiume espanse e l'uso dei solventi.
Si prevede che i cambiamenti climatici derivanti dall'incremento dell'effetto serra abbiano conseguenze
diffuse, causando:
• innalzamento del livello del mare e possibile inondazione delle zone basse;
• scioglimento dei ghiacciai e del ghiaccio marino;
• cambiamenti nei regimi pluviometrici con ripercussioni per inondazioni e siccità;
39 Cambiamento climatico
• cambiamenti nell'incidenza degli estremi climatici, soprattutto gli estremi delle alte temperature.
Questi effetti dei cambiamenti climatici avrebbero conseguenze sugli ecosistemi, sulla salute umana, su
settori economici fondamentali come l'agricoltura, nonché sulle risorse idriche.
La gravità delle possibili ripercussioni è incerta, sebbene negli ultimi anni la comunità scientifica
internazionale abbia fatto notevoli progressi nella comprensione dei rapporti fra, ad esempio, emissioni di gas
a effetto serra, concentrazioni atmosferiche, temperatura e costi economici dei cambiamenti climatici. Il
Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti del clima (IPCC) ha valutato le possibili conseguenze del
continuo incremento, ad opera dell'uomo, delle concentrazioni dei gas a effetto serra, sulla base di una serie
di ipotesi, per il periodo fino al 2100. Tali ipotesi comprendono stime basate sull'andamento attuale fino a
scenari che ipotizzano una crescita modesta e, in particolare, un passaggio consistente all'uso di fonti di
energia non fossile e a forti aumenti dell'efficienza energetica.
I risultati degli studi dell'IPCC (IPCC, 1996a) presentano dati ad ampia escursione con, ad esempio,
incrementi della temperatura media globale di 1°C - 3,5°C entro il 2100. Restano incerti molti aspetti dei
cambiamenti climatici, soprattutto su scala regionale e locale. La ricerca europea ha contribuito a ridurre le
incertezze, ma sono necessarie ulteriori ricerche, ad esempio per migliorare i modelli climatici su scala
regionale.
Sebbene vi sia incertezza sull'entità dei cambiamenti climatici che potrebbero essere considerati sostenibili,
nel complesso le conclusioni generali indicano che è essenziale un'azione politica per arginare le emissioni
dei gas a effetto serra e tenere sotto controllo il riscaldamento globale. Si riconosce inoltre che è importante
accertare fino a che punto l'adeguamento possa ridurre al minimo le conseguenze dannose dei cambiamenti
climatici. I tempi dell'azione politica sono una questione fondamentale, poiché vi è un grande ritardo
temporale fra la riduzione dell'emissione dei gas a effetto serra e la stabilizzazione delle concentrazioni
atmosferiche.
Il presente capitolo contiene i dati e l'analisi di alcuni degli indicatori dei cambiamenti climatici, delle
emissioni e delle concentrazioni dei gas a effetto serra e del consumo energetico come fattori scatenanti
fondamentali dei cambiamenti climatici. Il capitolo si conclude con un riepilogo dello stato delle politiche
riguardanti l'Europa.
2.2. Indicazioni e conseguenze dei cambiamenti climatici
Temperatura
La temperatura media dell'aria di superficie è aumentata a livello mondiale dello 0,3°C - 0,6°C circa dalla
fine del secolo XIX (IPCC, 1996b). Nel 1997 (l'anno più caldo registrato in tutto il mondo), la temperatura
media globale di superficie è stata di 0,43°C più alta della media del periodo 1961-1990. La figura 2.1 mostra
le temperature medie mondiali di superficie dal 1900 paragonate con la media del periodo 1961-1990.
La tendenza generale per l'Europa (figura 2.2) è simile alla tendenza mondiale e il periodo più caldo
corrisponde agli anni Novanta del nostro secolo. Le variazioni da un anno all'altro in Europa sono maggiori
rispetto a quelle registrate a livello mondiale perché la media della serie temporale è calcolata su una zona
più ristretta.
L'IPCC calcola che entro il 2100 la temperatura media a livello mondiale sarà di 2°C più alta che nel 1990 (il
margine di incertezza è di 1°C - 3,5°C), ma a livello regionale potrebbero esservi variazioni maggiori. In
Europa, i modelli climatici indicano che gli aumenti medi della temperatura saranno simili a quelli stimati a
livello mondiale, con un riscaldamento maggiore alle latitudini settentrionali rispetto a quelle meridionali.
Livello del mare
Il riscaldamento globale provoca un innalzamento della temperatura degli oceani, quindi la loro espansione, e
accelera lo scioglimento dei ghiacciai e del ghiaccio marino. I cambiamenti climatici possono pertanto
influire sul livello del mare, che attualmente sta salendo: infatti, negli ultimi 100 anni esso è aumentato di 1025 cm, gamma che rispecchia le differenze nelle varie parti del mondo. Non risulta che il tasso di
innalzamento stia cambiando. Sebbene non si sappia quando abbia avuto inizio l'attuale accelerazione, il
tasso di incremento è significativamente più alto di quello registrato in media nelle ultime migliaia di anni
(IPCC, 1996b).
Le stime dei modelli dell'IPCC indicano che entro il 2100 il livello del mare potrebbe trovarsi a 50 cm
(margine d’incertezza 15-95 cm) al di sopra dei livelli odierni (IPCC, 1996b). Vi è ancora una notevole
incertezza circa l’affidabilità dei risultati ottenuti con le simulazioni tramite modelli, in particolare per quanto
riguarda l’incidenza e il comportamento delle calotte polari (IPCC, 1996b).
L'innalzamento del livello del mare potrebbe avere numerose conseguenze, fra cui:
• inondazione e spostamento delle zone umide e delle terre basse;
• aumento della salinità degli estuari;
• danneggiamento degli acquiferi di acqua dolce.
40 L'ambiente in Europa
Figura 2.1 Temperatura media a livello mondiale, 1900-1997
Deviazione annuale dalla temperatura media annuale del periodo 1961-1990
media normale
Curva di Gauss modificata
Fonte: OMM
Figura 2.2 Temperatura media europea, 1900-1996
Deviazione annuale dalla temperatura media annuale del periodo 1961-1990
media normale
Curva di Gauss modificata
Fonte: ECSN European Climate Support Network
41 Cambiamento climatico
Le aree maggiormente a rischio sarebbero i delta di marea, le pianure costiere, le spiagge di sabbia, le isole di
barriera, le zone umide sulle coste e gli estuari. Le aree maggiormente a rischio in Europa sono le coste di
Paesi Bassi, Germania, Stati baltici, Ucraina, Russia e alcuni delta del Mediterraneo (IPCC, 1997).
Nel 1990, circa 30 milioni di persone in Europa vivevano sotto il livello dell’onda di tempesta millenaria; un
innalzamento di un metro del livello medio del mare farebbe salire questa cifra a circa 40 milioni (IPCC,
1997). Si calcola inoltre che un simile aumento del livello del mare ridurrebbe in Europa del 45% l'area di
stagni salmastri e del 35% quella di altre aree intertidali. Altre pressioni su queste aree accrescerebbero
l'impatto complessivo, con conseguenze potenzialmente gravi per la biodiversità e soprattutto per le
popolazioni di uccelli (IPCC, 1997).
I cambiamenti climatici potrebbero colpire le zone costiere anche in modi diversi dall'innalzamento del
livello del mare. Nei Paesi Bassi, ad esempio, un incremento del 10% dell'intensità delle tempeste, delle quali
è importantissima l'intensità di picco, associato a cambiamenti nella direzione del vento, potrebbe causare più
danni di un innalzamento di 60 cm del livello del mare (Bijlsma et al., 1996, Peerbolte et al., 1991).
Possibili risposte al pericolo dell'innalzamento del livello del mare, applicabili anche in combinazione, sono:
• ritiro controllato - abbandonare terra ed edifici e reinsediarsi più all'interno;
• adeguamento - adattarsi al pericolo ma continuare a usare le zone interessate;
• protezione - difesa delle zone vulnerabili.
Il costo dell'adeguamento e della protezione contro un innalzamento di un metro del livello del mare è stato
calcolato in USD 12,3 miliardi per i Paesi Bassi, USD 1,4 miliardi per la Polonia e USD 23,5 miliardi per la
Germania (stime in USD del 1990) (Bijlsma et al., 1996).
Sono stati eseguiti studi approfonditi sugli effetti e i costi del danno e dell'adeguamento nel Regno Unito (UK
CCIRG, 1996). Circa il 40% dell'industria manifatturiera del Regno Unito si trova sulla costa o vicino a essa.
In Inghilterra e Galles, il 31% della costa è urbanizzato, con 26 milioni di persone che abitano in agglomerati
urbani costieri, mentre l'8% dei terreni agricoli buoni ("gradi 1-3") si trovano a meno di cinque metri sopra il
livello del mare e sono quindi esposti alle inondazioni costiere (Whittle 1990). Di questi, 198 000 ha
costituiscono il 57% dei terreni agricoli migliori ("grado 1") dell'Inghilterra e del Galles. Benché questi
terreni siano più protetti, resta comunque la possibilità di inondazione in condizioni estreme, e la superficie
freatica più elevata peggiorerebbe il drenaggio e renderebbe i terreni più salini, con conseguente riduzione
della produttività agricola. È possibile prevedere effetti simili anche in altri luoghi.
Sebbene non sia stato calcolato il costo della protezione del Regno Uniti nel suo complesso, si calcola che per
proteggere un'area come l'East Anglia contro un innalzamento di 80 cm (che causerebbe danni per USD 2,3
miliardi) occorra un investimento di USD 800 milioni.
Precipitazioni
I tassi e la distribuzione delle precipitazioni in Europa si sono modificati nel corso del secolo. L'ampia
variabilità naturale rende tuttavia difficile individuare tendenze chiare. Le precipitazioni sono generalmente
aumentate nella metà settentrionale dell'Europa e sono diminuite al sud. Dal 1900, le precipitazioni nella
Scandinavia settentrionale sono aumentate di circa il 5% al secolo e in altre zone dell'Europa settentrionale si
registrano aumenti di circa il 2% al secolo (IPCC, 1996b). Le zone meridionali dell'Italia e della Grecia
presentano decrementi di circa il 5% al secolo. In Scozia, uno studio dei valori registrati dal 1757 al 1992 ha
evidenziato incrementi significativi nelle precipitazioni annuali, soprattutto a partire dalla fine degli anni
Settanta del nostro secolo, mentre le piogge estive sono diminuite (Smith, 1995).
Tutti i modelli dei cambiamenti climatici indicano che vi sarà un aumento delle precipitazioni medie a livello
mondiale, con incrementi in Europa inferiori alla media complessiva. Sebbene le precipitazioni abbiano un
forte impatto diretto sulle piante, l’umidità del suolo può avere maggiore importanza per tenere sotto
controllo la loro crescita e la loro sopravvivenza. Il riscaldamento globale incide sull'umidità del suolo
aumentando l'evaporazione e provocando cambiamenti nel deflusso superficiale; la simulazione mediante
modelli matematici di questi processi suggerisce che l'umidità del suolo in Europa potrebbe diminuire.
Idrologia e risorse idriche
I ghiacciai delle Alpi hanno iniziato a ritirarsi a partire dalla metà del XIX secolo (Haeberli e Hoelzle 1995),
cosa che ha influito soprattutto sui quadri stagionali della portata dei fiumi. Tuttavia, nello stesso periodo,
l'uomo ha influenzato sempre di più il ciclo idrologico, rendendo meno individuabile l'influsso dei
cambiamenti climatici. Negli ultimi decenni, la portata dei fiumi nell'Europa settentrionale è aumentata
(McMichael et al., 1996), coerentemente con l'aumento osservato nelle precipitazioni (Dai et al., 1997).
42 L'ambiente in Europa
È probabile che l’evoluzione del clima aumenti gli stress idrici nelle zone dell'Europa che sono già sensibili
dal punto di vista idrologico: la regione del Mediterraneo, le Alpi, la Scandinavia settentrionale, le zone
costiere e l'Europa centrorientale (IPCC, 1997).
Nei prossimi 100 anni il riscaldamento globale potrebbe causare una perdita del 95% della massa dei
ghiacciai delle Alpi (Haeberli e Hoelzele, 1995). Inoltre, ogni aumento di 1°C della temperatura locale
sposterebbe di 150 metri verso l'alto la linea della neve. Tali cambiamenti influirebbero sul deflusso e sulla
portata dei fiumi, sia per i tempi che per i volumi di acqua. È difficile valutare le conseguenti variazioni del
ciclo idrologico, che comprendono un possibile aumento della frequenza e della gravità delle inondazioni e
l’eventuale deterioramento della qualità dell'acqua a causa dell'intrusione di acqua salata negli acquiferi
costieri e di una riduzione della portata dei fiumi. La qualità dell'acqua subirà danni maggiori dove la salinità
costituisce già un problema a causa dell'eccessivo sfruttamento degli acquiferi (IPCC, 1997).
Ecosistemi, agricoltura e silvicoltura
È difficile prevedere come reagiscano in generale gli ecosistemi ai cambiamenti di temperatura, di
precipitazioni e umidità del suolo, alle variazioni dei tassi di anidride carbonica nell'atmosfera e di altri fattori
che si modificano con il clima. Inoltre, gli effetti dei cambiamenti climatici sulla flora e sulla fauna naturali
nonché sull'agricoltura e la silvicoltura in Europa saranno complessi. Non vi sono dati chiari che consentano
di collegare le alterazioni del passato ai cambiamenti climatici e qualunque stima può essere solo
approssimativa e soggetta ad ampia incertezza.
La conseguenza principale che si prevede per le singole specie selvatiche è una variazione della loro
distribuzione geografica (Huntley, 1991). Un aumento di 1°C della temperatura media annuale equivale a uno
spostamento verso nord di 200-300 km o a un aumento di altitudine di 150-200 m.
In Europa, un incremento di temperatura di 2°C in 50 anni causerebbe uno spostamento verso nord delle zone
climatiche a un tasso più veloce della capacità di migrazione di molte specie di piante. Inoltre, nelle zone
montagnose, le piante verrebbero costrette a spostarsi verso l'alto, ma non è detto che vi sia spazio per
accoglierle. In molte parti d'Europa le possibilità di migrazione sarebbero limitate a causa dell'intensità di
sfruttamento dei terreni.
Il cambiamento climatico potrebbe avere vari effetti sull'agricoltura e la silvicoltura, incidendo su fasce
climatiche, stagioni di crescita e produttività. Una maggior variabilità climatica potrebbe rendere alcune
colture più esposte ad eventi quali le gelate tardive. Alcuni studi mostrano che il riscaldamento globale può
avere come risultato un aumento della produzione agricola in gran parte dell'Europa (Peris et al., 1996).
Possono tuttavia moltiplicarsi alcuni parassiti e malattie (UK CCIRG, 1991).
I possibili effetti dannosi del cambiamento climatico potrebbero essere ridotti al minimo dall'adeguamento, in
vari modi diversi (IPCC, 1997). La flora e la fauna naturali potrebbero essere rese meno vulnerabili
riducendo altri fattori di stress o permettendo loro di migrare. L'agricoltura potrebbe adeguarsi variando le
date di semina o usando varietà che impiegano più tempo a maturare. Potrebbero essere usate anche piante da
raccolto provenienti da climi più miti. Per la silvicoltura le opzioni potrebbero comprendere una lotta più
energica contro incendi, parassiti e malattie, nonché la riforestazione.
2.3. Concentrazioni dei gas a effetto serra e loro contributo al riscaldamento globale
Il contributo dei gas a effetto serra al riscaldamento globale, e quindi il loro effetto su livello del mare,
precipitazioni ed ecosistemi, dipende dalla loro concentrazione nell'atmosfera, dal tempo di permanenza
nell'atmosfera e dalla loro efficacia nel catturare le radiazioni. Per esempio, sebbene siano presenti
Tabella 2.1 Gas a effetto serra – fonti e contributo al riscaldamento globale
Gas
CO2
Principali fonti di origine antropica
Consumo energetico, deforestazione e cambiamento della
Contributo (%)
65
CH4
Composti alogenati
N2O
destinazione d'uso del suolo, produzione del cemento
Produzione e consumo di energia, zootecnia, risaie, rifiuti,
discariche, combustione di biomasse, scarichi domestici
Produzione industriale, refrigerazione, aerosol, produzione
delle schiume espanse, solventi
Terreni fertilizzati, disboscamento, produzione di acidi,
combustione di biomasse, combustione di combustibili fossili
20
10
5
43 Cambiamento climatico
nell'atmosfera solo in concentrazioni molto basse, i CFC sono importanti perché il loro tempo di permanenza
è normalmente di circa 100 anni e ogni molecola ha un effetto serra varie migliaia di volte maggiore di una
molecola di anidride carbonica. Per paragonare l'impatto di gas diversi si impiega spesso il potenziale di
riscaldamento globale (GWP, global warming potential) rispetto alla CO2, attribuendo a CO2 un valore di 1. I
valori del GWP dipendono molto dall'orizzonte temporale preso in considerazione. Esempi di valori di GWP
su un periodo di 100 anni sono 21 per CH4, 310 per N2O e molte migliaia per numerosi composti alogenati
(IPCC, 1996b). Per le emissioni che prendono in considerazione i valori GWP, le unità vengono definite
"equivalenti di CO2".
La tabella 2.1 illustra gli attuali contributi percentuali al riscaldamento globale dei principali gas a effetto
serra di origine antropica e le loro fonti primarie (descritte in maggiore dettaglio nel paragrafo 2.4).
Oltre ai gas citati nella tabella 2.1, anche l'ozono troposferico (O3) può aumentare il riscaldamento globale.
L'IPCC calcola che, al momento attuale, esso aggiunga un ulteriore 16% all'effetto di riscaldamento totale
causato dai principali gas a effetto serra di origine antropica emessi fino ad ora.
Gli aerosol formati da piccole particelle o goccioline, emessi direttamente (aerosol primari) o formati
nell'atmosfera da SO2, NOx e ammoniaca (aerosol secondari), possono avere un effetto raffreddante, sia
direttamente, tramite diffusione della luce del sole, che indirettamente tramite alterazioni delle proprietà delle
nuvole. L'entità di tale effetto è incerta. L'IPCC, nella sua modellizzazione, ipotizza che fino ad ora gli
aerosol abbiano neutralizzato circa il 50% del riscaldamento totale causato dai principali gas a effetto serra.
Tuttavia, diversamente dai principali gas a effetto serra, questi aerosol hanno una vita breve nell'atmosfera e
pertanto non possono distribuirsi su tutto il pianeta. Il loro effetto, dunque, è regionale e di breve durata e si
verifica soprattutto su regioni come l'Europa, gli USA e la Cina. In Europa però le emissioni di SO2 e NOx, e
quindi la produzione di aerosol secondari, stanno diminuendo (cfr. capitolo 4, paragrafo 4.5), cosicché
l'effetto raffreddante degli aerosol in Europa potrebbe essere meno importante che in altre regioni, ad
esempio la Cina.
L'ampia variazione della vita media nell'atmosfera dei gas a effetto serra significa che le scale temporali del
loro contributo al riscaldamento globale possono variare da 20 a molte migliaia di anni. Vi è un notevole
ritardo temporale fra la riduzione dell'emissione e la stabilizzazione della concentrazione atmosferica. Una
volta che il cambiamento climatico si è manifestato, sarà necessario molto tempo perché abbiano effetto le
azioni intraprese per invertirlo.
Figura 2.3 Concentrazioni di CO2, 1958-95
Schauinsland (Germania)
Mauna Loa (Hawaii)
Fonte: Thoning et al., 1994, Fricke & Wallasch, 1994
44 L'ambiente in Europa
Figura 2.4 Concentrazioni di CH4, 1983-96
Mauna Loa (Hawaii)
Mace Head (Irlanda)
Fonte: Dlugokencky et al. 1993, Prinn et al. 1983, Prinn et al. 1997
Figura 2.5 Concentrazioni di N2O, 1978-96
Point Matatula (Isole Samoa americane)
Adrigole (Irlanda)
Mace Head (Irlanda)
Fonte: Prinn et al. 1983, Prinn et al. 1990,
Prinn et al. 1997.
45 Cambiamento climatico
Le concentrazioni atmosferiche di CO2, CH 4 e N2O sono aumentate in modo significativo dai tempi
preindustriali. Le concentrazioni atmosferiche dei composti alogenati, che non si trovano in natura, sono
aumentate rapidamente negli ultimi decenni, da quando si è diffuso l'impiego di tali composti (cfr. capitolo 3,
figura 3.4). Sono in diminuzione le concentrazioni di halon, clorofluorocarburi (CFC), 1,1,1-tricloroetano e
tetracloruro di carbonio.
La concentrazione di anidride carbonica è aumentata del 30% rispetto al livello preindustriale di circa 280
ppmv arrivando a 358 ppmv nel 1995 e sta crescendo a un tasso di circa 1,5 ppmv all'anno. La figura 2.3
indica le concentrazioni medie registrate a Mauna Loa, nelle Hawaii e sul monte Schauinsland in Germania.
Il sito di Mauna Loa è remoto e poco interessato da fonti locali e pertanto fornisce buone stime delle
concentrazioni medie globali. Le variazioni stagionali sono dovute all'assorbimento di carbonio da parte delle
piante durante la stagione della crescita.
Nel 1995 la concentrazione media globale di metano, circa 1720 ppbv, corrispondeva all'incirca a due volte e
mezza la concentrazione preindustriale di circa 700 ppbv e sta attualmente crescendo al ritmo di circa 8 ppbv
all'anno. La figura 2.4 presenta i risultati delle misurazioni effettuate a Mauna Loa e in un sito in Irlanda. Le
concentrazioni in Irlanda, più alte, rispecchiano maggiori emissioni regionali.
Nel 1995 la concentrazione atmosferica media di protossido di azoto, pari a circa 312 ppbv, era più o meno
del 15% superiore al livello preindustriale. L'attuale tasso di crescita è di circa 0,5 ppbv all'anno. La figura
2.5 mostra i risultati delle misurazioni a Point Matatula (Samoa Americane) e in Irlanda.
Sostanze correlate ed effetti in altri ambiti
Alcuni gas a effetto serra e altre sostanze che favoriscono l'effetto serra possono avere conseguenze
ambientali diverse dal riscaldamento globale. Molte di queste conseguenze sono descritte in altri capitoli e
pertanto non verranno discusse in questa sede. Tuttavia, è possibile che questi problemi siano collegati fra
loro e che gli interventi tesi a combatterne uno abbiano effetti potenzialmente benefici o dannosi per gli altri.
Per esempio:
• la riduzione delle emissioni di CFC tesa a diminuire la distruzione dell'ozono stratosferico riduce anche il
riscaldamento globale diretto dovuto a questi gas (ma non il raffreddamento indiretto causato dalla
distruzione dell'ozono stratosferico);
• la riduzione delle emissioni di metano tesa a diminuire il riscaldamento globale riduce anche i livelli di
riferimento dell'ozono troposferico;
Figura 2.6 Emissioni di CO2 a livello mondiale
Oceania
America settentrionale
Medio Oriente
Estremo Oriente
Asia a pianificazione centralizzata
America centrale e meridionale
Africa
Europa orientale
Europa occidentale
Fonte: Marland & Boden, 1997
46 L'ambiente in Europa
• la riduzione delle emissioni di SO2, NOx e ammoniaca farà diminuire l'acidificazione. Un effetto
secondario, però, sarà il calo del livello di aerosol di solfati e nitrati, che hanno un effetto raffreddante a
livello regionale;
• la riduzione dell'emissione di fumo da combustibili fossili (fuliggine), una sostanza che favorisce l'effetto
serra, porta al contenimento sia del riscaldamento globale che dell'inquinamento atmosferico urbano.
2.4. Tendenze nelle emissioni di gas a effetto serra
Anidride carbonica
La maggior fonte di origine antropica di anidride carbonica è l’utilizzo di combustibili fossili per la
produzione di elettricità, direttamente per produrre calore, nei trasporti e nell'industria. Altre fonti importanti
sono i cambiamenti di destinazione d'uso dei terreni e la produzione di cemento. I sistemi naturali emettono e
assorbono grandi quantità di CO2 all'interno del ciclo naturale del carbonio, tramite la fotosintesi e la
respirazione. Normalmente tali processi sono in equilibrio e pertanto non danno origine a una emissione
netta. Le attività umane possono turbare questi sistemi e dar luogo a una emissione netta (ad esempio
distruggendo una foresta) o a un assorbimento netto (ad esempio permettendo a una nuova foresta di
crescere).
A livello planetario, le fonti principali sono il consumo di combustibili fossili (77%), i processi industriali
come la produzione di cemento (2%) e il cambiamento della destinazione d'uso dei terreni (21%). In Europa,
il contributo di queste fonti è diverso: ai combustibili fossili si deve il 98% delle emissioni e ai processi
industriali il 2%, mentre il cambiamento della destinazione d'uso dei terreni potrebbe addirittura costituire un
fattore di assorbimento, per il 13% circa delle emissioni di CO2. Le stime delle emissioni derivanti dal
cambiamento della destinazione d'uso dei terreni sono molto meno certe di quelle relative ad altre fonti. La
figura 2.6 riporta le emissioni a livello mondiale (derivanti solo dal consumo di combustibili fossili e dalla
produzione di cemento) a partire dal 1950. Attualmente, l'Europa è responsabile del 29% della combustione
di origine antropica e delle emissioni industriali di CO2.
La figura 2.7 indica in maggiore dettaglio le tendenze relative alle emissioni totali di CO2 in Europa dal 1980.
Il significativo calo delle emissioni nell'Europa centrorientale e negli NSI (20% fra il 1990 e il 1995) è
dovuto alla ristrutturazione economica.
Il 3% di riduzione delle emissioni registrato in Europa occidentale fra il 1990 e il 1995 è da attribuirsi
soprattutto alla diminuzione dei tassi di crescita industriale ed economico, alla ristrutturazione dell'industria
in Germania e al passaggio dal carbone al gas naturale per la produzione di elettricità.
Figura 2.7 Emissioni di CO2 in Europa, 1980-94
milioni di tonnellate
Nuovi Stati Indipendenti
Europa centrorientale
Europa occidentale
Fonte: AEA-ETC/AE, 1997
Figura 2.8 Emissioni pro capite di CO2 in Europa nel 1994
Nuovi Stati Indipendenti
Europa centrorientale
Europa occidentale
Lussemburgo
Danimarca
Belgio
Finlandia
Paesi Bassi
Germania
Regno Unito
Irlanda
Norvegia
Islanda
Grecia
Austria
Liechtenstein
Svezia
Italia
Francia
Svizzera
Spagna
Portogallo
Estonia
Malta
Repubblica ceca
Polonia
Bulgaria
Repubblica slovacca
Slovenia
Ungheria
Lituania
Lettonia
Romania
ERIM
Croazia
Turchia
Bosnia e Erzegovina
Albania
Federazione russa
Ucraina
Bielorussia
Azerbaigian
Moldavia
Georgia
Armenia
Migliaia di tonnellate pro capite
Fonte: AEA-ETC/AE, 1997
47 Cambiamento climatico
Le emissioni di CO2 pro capite sono indicate nella figura 2.8. Le variazioni fra i vari paesi sono più o meno
simili per ognuno dei tre gruppi (il Lussemburgo evidenzia un alto valore di emissioni pro capite perché ha
una piccola popolazione e un'importante industria siderurgica e il combustibile è relativamente poco costoso).
Costituiscono un’indicazione importante delle probabili tendenze future in materia di emissioni i confronti
che tengono conto delle differenze di ricchezza. La figura 2.9 mostra le emissioni di CO2 per unità di PIL nel
1994. Ad eccezione di alcuni Stati dell'ex Iugoslavia e dell'Albania, le emissioni per unità di PIL in Europa
centrorientale (3,3 tonnellate/$) e nei Nuovi Stati Indipendenti (2,4 tonnellate/$) sono notevolmente più alte
che in Europa occidentale (0,55 tonnellate/$). Ciò riflette l'inefficienza dell'impiego dell'energia e la
preponderanza dell'industria pesante ad alta intensità di energia nell'Europa orientale.
In Europa occidentale, a partire dal 1990, il settore maggiormente responsabile delle emissioni è quello
energetico e soprattutto la produzione di elettricità (figura 2.10). Le emissioni di origine industriale sono
diminuite mentre sono aumentate quelle derivanti dai trasporti, tanto che i due settori presentano ormai dati
grosso modo equiparabili. Le principali differenze fra Europa occidentale ed Europa centrorientale sono
costituite dal contributo inferiore dei trasporti e dal contributo superiore dell'industria e del settore energetico
nei PECO. Fra il 1990 e il 1995, in Europa centrorientale sono diminuite le emissioni provenienti da tutti i
settori. Tuttavia si può prevedere che quelle derivanti dal trasporto su gomma aumenteranno in modo simile a
ciò che accade in Europa occidentale.
Metano
Le emissioni di origine antropica di gas metano sono pari a 375 milioni di tonnellate all'anno nel mondo
intero, attribuibili per circa il 27% all'uso di combustibile fossile. Le emissioni europee costituiscono circa
l'11% del totale. Le fonti principali sono le perdite dalle reti di distribuzione del gas naturale, l'estrazione del
carbone e l'agricoltura, in particolare l'allevamento dei ruminanti e le risaie. Anche le fonti naturali come le
zone umide sono significative e possono contribuire all'incirca per il 20% delle emissioni globali (IPCC,
1996b).
La figura 2.11 indica le tendenze delle emissioni in Europa dal 1980. I dati sono meno precisi di quelli
riguardanti le emissioni di CO2, in quanto le fonti agricole principali sono più difficilmente quantificabili. I
dati per l'Europa orientale sono meno precisi di quelli per l'Europa occidentale e i dati precedenti al 1990
possono non essere compatibili con i dati successivi.
Figura 2.9 Emissioni di CO2 per unità di PIL nel 1994
Nuovi Stati Indipendenti
Europa centrorientale
Europa occidentale
Lussemburgo
Danimarca
Belgio
Finlandia
Paesi Bassi
Germania
Regno Unito
Irlanda
Norvegia
Islanda
Grecia
Austria
Liechtenstein
Svezia
Italia
Francia
Svizzera
Spagna
Portogallo
Estonia
Malta
Repubblica ceca
Polonia
Bulgaria
Repubblica slovacca
Slovenia
Ungheria
Lituania
Lettonia
Romania
ERIM
Croazia
Turchia
Bosnia e Erzegovina
Albania
Federazione russa
Ucraina
Bielorussia
Azerbaigian
Moldavia
Georgia
Armenia
kg per USD
Nota: in USD del 1994
Fonte: AEA-ETC/AE, 1997
Figura 2.10 Emissioni di CO2 per settore
Europa occidentale
Europa centrorientale
altri
settore domestico
trasporti
industria
energia
Fonte: AEA-ETC/AE, 1997
48 L'ambiente in Europa
La figura 2.12 mostra come siano cambiati fra il 1980 e il 1995 i contributi percentuali alle emissioni di
metano da parte di vari settori. La proporzione delle emissioni attribuibili ai diversi settori non è variata in
modo sensibile dal 1980. Le emissioni relative alla produzione di energia derivano in primo luogo dalle
miniere di carbone e da perdite dei sistemi di distribuzione del gas. Lo smaltimento dei rifiuti, qui incluso
nell'industria, è una grossa fonte di emissioni provenienti dalle discariche. Una fonte rilevante è anche
l'agricoltura, nella quale il maggior contributo viene dal metano prodotto dallo stallatico.
Protossido di azoto
Le emissioni di N2O di origine antropica variano a livello mondiale fra 3 e 8 milioni di tonnellate all'anno.
L'incertezza dei dati deriva dalle lacune nella nostra comprensione dei processi interessati e di come variano
nel mondo. A livello globale, le emissioni più rilevanti derivano dai terreni agricoli fertilizzati. Consistenti
emissioni industriali derivano da processi specifici, quali la produzione dell'acido adipico (nell’ambito della
produzione del nylon) e dell'acido nitrico (che in alcuni paesi, soprattutto in Europa, può essere rilevante). Le
emissioni dalla combustione dei combustibili fossili sono scarse.
La figura 2.13 mostra le tendenze delle emissioni in Europa dal 1980. Come per il metano, i dati sono meno
precisi che per le emissioni di CO2, in quanto le fonti agricole principali sono meno facilmente quantificabili.
In Europa centrorientale sono diminuite le emissioni di protossidi di azoto dovute all'agricoltura, grazie alla
riduzione dell'uso dei fertilizzanti (figura 2.14). In misura minore sono diminuite anche le emissioni
industriali, soprattutto derivanti dalla produzione di acido nitrico e nylon, a seguito della ristrutturazione
economica. In Europa occidentale le emissioni industriali sono lievemente diminuite, mentre quelle derivanti
dall'agricoltura sono rimaste stabili. Sono aumentate le emissioni derivanti dai trasporti su gomma in Europa
occidentale. L'aumento è dovuto, più che alla crescita del traffico, all'introduzione dei catalizzatori a tre vie,
che riducono notevolmente le emissioni degli ossidi di azoto, del monossido di carbonio e degli idrocarburi,
ma danno origine a emissioni, seppur ridotte, di protossido di azoto.
Gas alogenati
Le tendenze delle emissioni di gas alogenati, come i CFC, sono trattate nel capitolo 3. Mentre le emissioni di
CFC stanno scendendo rapidamente man mano che tali sostanze vengono gradualmente eliminate in base al
Protocollo di Montreal (cfr. capitolo 3), sono in aumento le emissioni dei gas sostitutivi, in particolare gli
HCFC e gli HFC, entrambi gas a effetto serra. Altri gas a effetto serra potenzialmente importanti come i
perfluorocarburi (ad esempio CF4 e C2F6) e l'esafluoruro di zolfo (SF6) vengono emessi solo in piccole
quantità e pertanto hanno un impatto minimo sul riscaldamento globale. I dati sulle emissioni di questi gas
sono troppo limitati per permettere di individuare delle tendenze, ma se le emissioni continuano ad aumentare
è possibile che acquistino importanza data la loro lunga vita media nell'atmosfera e il loro ampio potenziale
di riscaldamento globale. Le tendenze delle concentrazioni atmosferiche di alcuni di questi gas sono riportate
nella figura 3.4.
Figura 2.11 Emissioni di CH4 in Europa, 1980-95
milioni di tonnellate
Nuovi Stati Indipendenti
Europa centrorientale
Europa occidentale
Fonte: AEA-ETC/AE, 1997
Figura 2.12 Emissioni di CH4 per settore
Altri
settore domestico
agricoltura
trasporti
industria
energia
Europa occidentale
Europa centrorientale
Fonte: AEA-ETC/AE, 1997
Cambiamento climatico 49
Riepilogo delle emissioni di gas a effetto serra in Europa
La Figura 2.15 mostra, in termini di equivalenti di CO2, le emissioni di CO2, CH4 e N2O dell'Europa
occidentale e dell'Europa centrorientale, sia in assoluto che pro capite. Mentre le emissioni totali dell'Europa
centrorientale sono inferiori a quelle dell'Europa occidentale, le emissioni pro capite sono di livello simile.
In totale, nel 1994 le emissioni europee hanno costituito circa il 30% ( margine di incertezza 24-38%) del
contributo totale di origine antropica al riscaldamento globale, ipotizzando un orizzonte temporale di 100
anni per il calcolo degli equivalenti di CO2.
2.5. Cause
L'uso dell'energia, l'agricoltura, lo smaltimento dei rifiuti e le attività industriali sono le cause principali dei
cambiamenti climatici. Il problema cruciale è la stabilizzazione delle concentrazioni di anidride carbonica e
la chiave per ottenerla è la riduzione del consumo di combustibili fossili. Probabilmente è possibile ridurre le
emissioni di metano tramite misure come l'aumento del riciclaggio dei rifiuti (invece del conferimento in
discarica) e la riduzione delle perdite dalle condutture. I CFC sono in via di eliminazione graduale, ma è in
aumento l'uso di sostituti rispettosi dell'ozono, alcuni dei quali sono gas a effetto serra (cfr. capitolo 3,
paragrafo 3.4). Poiché gli sviluppi nell'uso dei combustibili fossili sono fondamentali per il problema dei
cambiamenti climatici, il presente capitolo si concentra sull'energia e l'efficienza energetica. Le informazioni
sulle emissioni legate ai trasporti si trovano nel capitolo 4, paragrafo 4.6.
2.5.1. Consumo di energia - il fattore dominante
Il consumo mondiale dell'energia è aumentato a un tasso senza precedenti per la maggior parte di questo
secolo e, nonostante il crescente ricorso a fonti rinnovabili e nucleari negli ultimi decenni, i combustibili
fossili forniscono tuttora oltre il 90% del fabbisogno di energia del mondo (UNEP, 1994). Dal 1990, la
crescita della domanda di energia nel mondo è rallentata, soprattutto a causa del minor consumo in Europa
orientale.
La figura 2.16 mostra la crescita graduale del consumo finale di energia (energia utilizzata dai consumatori,
escludendo le perdite nella produzione e nella distribuzione) in Europa occidentale, con un aumento totale del
10% fra il 1985 e il 1995. Il consumo di energia è sceso del 18% nei PECO e del 26% negli NSI fra il 1990 e
il 1995, mentre nel complesso dell’Europa la diminuzione è stata dell'11% nello stesso periodo.
La figura 2.17 mostra l’evoluzione del consumo finale di energia in Europa nei diversi settori fra il 1980 e il
1995. La maggior variazione in Europa occidentale ha riguardato il settore dei trasporti, dove il consumo
energetico è aumentato del 44%. Nello stesso periodo, il consumo industriale è sceso dell'8% e l'uso di altri
combustibili è cresciuto del 7%. La tendenza è dovuta soprattutto alla crescita del trasporto su strada e
all'abbandono dell'industria pesante ad alta intensità di energia.
In Europa centrorientale, dal 1990 il consumo di energia è sceso del 3% nei trasporti, del 28% nell'industria e
del 15% in altri settori. Negli NSI, i cambiamenti sono stati più marcati, con diminuzioni del 48% nei
trasporti, del 38% nell'industria e del 30% per altri usi. Alcune delle variazioni negli NSI possono essere
dovute a differenze
Figura 2.13 Emissioni di N2O in Europa, 1990-94
milioni di tonnellate
Europa centrorientale
Europa occidentale
Nota: Europa occidentale, Spagna esclusa, PECO: Bulgaria, Croazia, Repubblica ceca, Ungheria, Romania e
Slovacchia solamente
Fonte: AEA-ETC/AE, 1997
Figura 2.14 Emissioni di N2O per settore
Altri
settore domestico
agricoltura
trasporti
industria
energia
Europa occidentale
PECO
Fonte: AEA-ETC/AE, 1997
50 L'ambiente in Europa
nelle definizioni usate, ma la forte diminuzione del consumo totale di energia in questi paesi è reale e
rispecchia i cambiamenti economici successivi al 1990.
La figura 2.18 mostra le variazioni dei contributi percentuali che i diversi tipi di combustibili danno
all'approvvigionamento di energia primaria per tutti gli scopi, compresa la produzione di energia. Nel
complesso, si è verificato uno spostamento dal carbone e dal petrolio verso il gas naturale, l’energia nucleare
e le fonti rinnovabili. Il gas naturale emette meno CO2 del carbone o del petrolio per unità di energia
prodotta, mentre l’energia nucleare e le fonti rinnovabili non ne emettono del tutto, durante l’utilizzo. Questo
cambiamento ha determinato dunque la riduzione delle emissioni di CO2. La variazione più evidente, nonché
quella più importante per i cambiamenti climatici, è la riduzione del contributo percentuale di carbone e
petrolio alla fornitura di energia primaria in Europa occidentale fra il 1980 e il 1995, periodo in cui il carbone
è sceso dal 24% al 22% e il petrolio dal 52% al 44%. Fra il 1980 e il 1994 l’impiego di energia nucleare è
triplicato in Europa occidentale e negli NSI, ed è sestuplicato in Europa centrorientale. In Belgio, Svizzera,
Lituania, Bulgaria e Slovenia l'energia nucleare fornisce oltre il 20% del consumo totale (lordo) di energia e
in Francia e Svezia, oltre il 40%.
2.5.2. Prezzi dell'energia
La domanda di energia, le quote relative dei combustibili e gli investimenti per la conservazione dell'energia
e per il risparmio energetico sono fortemente influenzati dal prezzo. Nei paesi sviluppati vi è un forte
rapporto inversamente proporzionale fra il consumo e i prezzi dell'energia. Nella figura 2.19 sono riportati i
movimenti dei prezzi dell'energia a partire dal 1978. Il prezzo del petrolio greggio può essere utilizzato come
un buon indice dei prezzi dell'energia in generale, in quanto il prezzo di altre fonti di energia come il gas
naturale, i derivati del petrolio e il carbone è generalmente agganciato al prezzo del petrolio. Il consumo di
energia è inoltre influenzato da fattori quali la competitività internazionale, che richiede riduzioni dei costi di
produzione nell'industria.
2.5.3. Efficienza energetica
Quando l'energia costa poco vi sono meno incentivi ad aumentare l'efficienza con la quale viene usata, anche
se sono disponibili metodi elementari per farlo. Non esiste un indicatore semplice per l'efficienza energetica a
livello nazionale o europeo, ma l'intensità di energia (consumo di energia per unità di PIL) è correlata
all'efficienza energetica, per quanto sia anche influenzata in modo significativo da fattori quali la sostituzione
dell’energia con forza lavoro e dalla struttura dell'economia.
La figura 2.20 mostra l’evoluzione dell’intensità energetica in Europa dal 1986. In Europa occidentale, il
graduale declino dell'intensità di energia, dell'1% in media all'anno, è l'effetto combinato del lieve aumento
del consumo di energia (cfr. figura 2.16) e dell'incremento lievemente più rapido del PIL. Durante questo
periodo vi è stato un certo incremento dell'efficienza energetica, oltre a cambiamenti strutturali consistenti
nel passaggio da industrie tradizionali ad alta intensità di assorbimento di energia a industrie di servizi a
minore intensità di energia. Tuttavia, i dati più recenti indicano che il tasso di riduzione dell'intensità di
energia è in accelerazione. Molte delle misure economicamente più vantaggiose per conseguire tale scopo
infatti sono già state attuate (OCSE/AIE, 1996 e 1997),
Figura 2.15 Emissioni europee di gas a effetto serra espresse in equivalenti di CO2, 1994
tonnellate di equivalente di CO2
tonnellate di equivalente di CO2 pro capite
Fonte: AEA-ETC/AE, 1997
Figura 2.16 Consumo di energia in Europa, 1980-95
milioni di tep
Europa occidentale
NSI
Europa centrorientale
Fonte: Eurostat, AIE
Cambiamento climatico 51
e, nella maggior parte dei paesi, è ormai avvenuta la ristrutturazione economica, consistente nel passaggio
dalle industrie ad alta intensità di energia a quelle dei servizi.
I valori di intensità energetica in Europa orientale sono maggiori per diverse ragioni, fra cui la relativa
inefficienza della produzione di energia, l'uso intensivo dell'energia a causa di prezzi da sempre bassi, un
valore aggiunto della produzione economica generalmente modesto e una consistente percentuale di industrie
ad alto assorbimento di energia. In Europa centrorientale l'intensità di energia sta diminuendo, mentre negli
NSI è aumentata fino al 1992 circa, per poi restare più o meno stabile. La differenza fra i PECO e gli NSI è
dovuta al maggior decremento del PIL negli NSI a partire dal 1990. Il consumo totale di energia pro capite è
simile a quello dell’Europa occidentale ma il PIL è molto inferiore. Di conseguenza, nell'Europa
centrorientale l’intensità di energia è circa quattro volte maggiore e negli NSI sei volte maggiore che in
Europa occidentale. Le variazioni da paese a paese in Europa centrorientale e negli NSI sono molto più
ampie di quelle in Europa occidentale. E’ evidente che in Europa orientale molto resta ancora da fare per
ridurre ulteriormente l'intensità di energia.
Sono molti i modi per aumentare l'efficienza energetica mediante migliorie tecniche, come l'introduzione di
veicoli ed elettrodomestici a minor consumo di combustibile e un miglior isolamento termico degli edifici.
Una tale evoluzione non porta necessariamente a risparmi complessivi di energia. Per esempio, un aumento
dell'efficienza delle automobili (in termini di km/litro) può essere annullato da un maggior uso del mezzo e
può perfino indurre a usare di più l'automobile visto che il costo per chilometro scende.
Sebbene in generale l'intensità di energia in Europa occidentale sia in decremento, questa tendenza è
controbilanciata dalle tendenze di alcuni settori ad alto consumo energetico, soprattutto dei tre settori chiave
illustrati di seguito (AIE, 1997). Per l'Europa centrorientale e gli NSI, i dati disponibili sono scarsamente
paragonabili.
Automobili private
Dal 1980 in Europa (Federazione russa esclusa) il numero di proprietari di auto è aumentato del 40% circa. Il
consumo medio di carburante nello stesso periodo è rimasto sostanzialmente invariato, a circa 8-10 litri di
equivalente di benzina per 100 km. È tuttavia aumentata leggermente la percorrenza annuale complessiva. La
gente viaggia di più, contribuendo all'aumento delle emissioni di gas a effetto serra e abbandonando mezzi di
trasporto più efficienti (camminare, bicicletta, autobus, treno) in favore delle auto. La conseguenza è un
aumento delle emissioni di CO2 derivanti dai viaggi privati in tutti i paesi monitorati dall'AIE e un uso di
energia da parte delle automobili più che raddoppiato in Europa dal 1973. Se ne può concludere che, nel
complesso, nel corso degli ultimi 20 anni l'efficienza energetica del traffico privato si è ridotta.
Figura 2.17 Uso dell'energia per settore in Europa, 1980-95
Consumo di energia nell'industria
Consumo di energia nei trasporti
Consumo di energia in altri settori
milioni di tep
Europa occidentale
NSI
PECO
Fonte: Eurostat, AIE
52 L'ambiente in Europa
Settore domestico
In Europa occidentale le case stanno diventando più grandi, in termini di superficie per abitante. Sono sempre
di più le case fornite di riscaldamento centralizzato, una fonte primaria di consumo di energia da parte dei
privati (figura 2.21). È probabile che si sia ormai vicini al livello di saturazione. I possessori di lavastoviglie,
un indice che denota il possesso di elettrodomestici in genere, sono notevolmente aumentati da quasi zero a
una media di un nucleo familiare su quattro.
Sul settore privato si sono concentrate più politiche di risparmio energetico che in altri settori. Nella maggior
parte dei paesi si è registrato un calo nel rapporto fra l'uso di energia per il riscaldamento e la superficie
abitata nel periodo considerato, a causa dei prezzi più elevati dell'energia, del maggior isolamento degli
edifici esistenti e di normative più rigide per quelli nuovi. Sebbene si usino più elettrodomestici, essi tendono
a essere a più alta efficienza energetica.
Nel complesso, i miglioramenti tecnologici o comunque tesi a una maggior efficienza energetica realizzati
nei paesi dell'Europa occidentale sembrano essere stati controbilanciati dalla maggior percentuale di case con
riscaldamento centralizzato ed elettrodomestici.
Industria manifatturiera
Un tempo l'industria manifatturiera era il maggior consumatore di energia in Europa, ma la sua quota è
diminuita costantemente. Nella maggior parte dei paesi dell'Europa occidentale la produzione industriale è
cresciuta, ma vi sono ampie variazioni fra singoli paesi e settori industriali (cfr. sottoparagrafo 1.3.2). La
figura 2.22 mostra che l'intensità di energia nella maggior parte dei settori industriali in Europa occidentale è
in diminuzione. L'effetto netto dell'aumento della produzione e delle riduzioni dell'intensità di energia è stato
un piccolo aumento complessivo del consumo totale di energia.
2.6. Politiche e obiettivi politici
2.6.1. Obiettivi politici
I governi di tutto il mondo hanno risposto alle preoccupazioni circa il cambiamento climatico espresse alla
conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo del 1992 (tenutasi a Rio de Janeiro), adottando la
convenzione quadro sul cambiamento climatico (UNFCCC). Hanno già ratificato la convenzione oltre 160
paesi o gruppi di paesi, compresi la Comunità europea e tutti i 15 Stati membri, nonché la maggior parte
degli altri paesi europei. I paesi sviluppati (elencati nell'Allegato I della convenzione) hanno assunto
l'impegno
Figura 2.18 Approvvigionamento di energia primaria in Europa per tipo di combustibile, 1980, 1990 e
1995
Carbone
petrolio greggio
gas naturale
nucleare
idrica
altro
Fonte: Eurostat, AIE
Figura 2.19 OCSE - Indici europei dei prezzi reali dell'energia per gli utenti finali
derivati del petrolio
gas naturale
petrolio greggio
carbone
Nota: i prezzi comprendono le tasse e sono al netto di sconti
Fonte: OCSE
Cambiamento climatico 53
di riportare le proprie emissioni di gas a effetto serra (non inclusi nel Protocollo di Montreal) ai livelli del
1990 entro il 2000.
La terza sessione della conferenza delle parti aderenti all'UNFCCC si è tenuta a Kyoto (Giappone) nel
dicembre 1997. Nel marzo 1997 il Consiglio dei ministri dell'Ambiente dell'UE ha proposto, come posizione
negoziale pre-Kyoto, la riduzione entro il 2010, da parte dei paesi industrializzati, delle emissioni di gas a
effetto serra ad un livello inferiore del 15% a quello del 1990 (CE, 1997a e 1997b). L'obiettivo è basato sulla
riduzione combinata dei principali gas a effetto serra (CO2, CH4, N2O) tenendo conto del loro potenziale di
riscaldamento globale in 100 anni. Ad alcuni Stati membri dell'UE verrebbe concesso di aumentare le proprie
emissioni, perché tale incremento sarebbe controbilanciato dalle riduzioni in altri Stati membri.
A Kyoto, i paesi sviluppati (Allegato I) hanno concordato di ridurre le proprie emissioni di sei gas a effetto
serra: CO2, CH4, N2O, HFC, PFC e SF6 complessivamente del 5% rispetto ai livelli del 1990 (UNFCCC,
1997b). La riduzione complessiva delle emissioni di questi sei gas a effetto serra, espresse in equivalenti di
CO2 dovrebbe avvenire nel periodo dal 2008 al 2012. Le parti hanno assunto impegni differenziati di
riduzione (tabella 2.2). L'UE nel suo complesso si è impegnata a ridurre le emissioni dell'8%. I paesi
dell'Europa centrorientale si sono impegnati a realizzare riduzioni fra il 5% e l'8%, mentre la Federazione
russa e l'Ucraina si sono impegnate a stabilizzare le proprie emissioni ai livelli del 1990. Ogni partecipante
deve compiere progressi dimostrabili nell'attuazione dei propri impegni entro il 2005.
Le future conferenze UNFCCC, in particolare quella di Buenos Aires nel novembre 1998, dovranno definire
in maggiore dettaglio alcune questioni importanti:
• come definire e verificare i dati su assorbimento e accumulo dell'anidride carbonica. Le variazioni nette
nell’assorbimento e nell’accumulo potrebbero essere usate allo scopo di soddisfare gli impegni di riduzione
delle emissioni, quando derivano da "cambiamenti di destinazione d'uso del suolo indotti direttamente
dall’uomo e attività di silvicoltura, limitatamente alla forestazione, riforestazione e deforestazione dal 1990";
• linee guida per eseguire verifiche e stendere relazioni, nonché in materia di responsabilità e di negoziato
sulle emissioni e per l'attuazione congiunta fra i paesi dell'Allegato I;
• definizioni e dispositivi organizzativi e finanziari per attuare il proposto "meccanismo per uno sviluppo
pulito"
Figura 2.20 Intensità di energia, 1986-95
tep/milioni di USD
NSI
PECO
Europa occidentale
Fonte: Eurostat, AIE
Figura 2.21 Percentuale di abitazioni con riscaldamento centralizzato
Svezia
Danimarca
Finlandia
Germania
Francia
Regno Unito
Italia
Fonte: Eurostat, AIE
Figura 2.22 Intensità di energia nell'industria manifatturiera, 1971-91
metalli ferrosi
carta e polpa di legno
metalli non ferrosi
minerali non metallici
sostanze chimiche
cibo e bevande
altri prodotti industriali
Fonte: Statistiche nazionali dell'energia e dell'industria analizzate dal Lawrence Berkeley National
Laboratory relative a Danimarca, Finlandia, Francia, ex Germania occidentale, Italia, Svezia e Regno Unito.
54 L'ambiente in Europa
per aiutare i paesi non figuranti nell'Allegato I a raggiungere uno sviluppo sostenibile, compresa la possibilità
per i paesi dell'Allegato I di utilizzare le riduzioni derivanti da progetti realizzati in paesi non elencati
nell'Allegato I come crediti ai fini del raggiungimento dei loro obiettivi di riduzione.
2.6.2. Politiche e misure
Le politiche e le misure europee, a livello comunitario e nazionale, sono riassunte nel riquadro 2.1.
Benché non sia stata accolta la proposta di introdurre a livello dell'UE una tassa su energia/anidride
carbonica, alcuni paesi hanno già introdotto tasse di questo tipo (Danimarca, Finlandia, Svezia, Austria, Paesi
Bassi e Norvegia). Uno studio recente sull'efficacia delle tasse ambientali (AEA, 1996) ha concluso che per
le tasse sull'anidride carbonica passate in rassegna (Svezia e Norvegia) sono stati osservati benefici, come un
certo calo delle emissioni in Norvegia, ma che tali effetti necessitano di uno studio ulteriore e più
approfondito. In generale, i prezzi dell'energia sono troppo bassi per costituire un incentivo a ridurre il
consumo energetico per automobili e riscaldamento domestico.
2.7. Progressi e prospettive
2.7.1. Progressi da qui al 2000
Come già detto nel paragrafo 2.4, dal 1990 al 1995 le emissioni di CO2 in Europa occidentale sono diminuite
del 3% circa, soprattutto per il temporaneo rallentamento della crescita economica, oltre che a seguito della
ristrutturazione dell'industria in Germania e della realizzazione di centrali elettriche alimentate a gas naturale.
Tuttavia, si nutrono dubbi sulla possibilità di realizzare l'obiettivo del Quinto programma di azione a favore
dell’ambiente, ossia quello di stabilizzare le emissioni di CO2 nel 2000 ai livelli del 1990, come suggerito
dagli studi dell'UE (CE, 1996a e 1996b). Per riuscire nell’intento sarebbe necessario realizzare il massimo
potenziale delle misure nazionali riferite dagli Stati membri. Molte di queste misure però avranno un impatto
solo dopo il 2000. Se i prezzi dell'energia resteranno bassi e la crescita del PIL sarà più veloce di quanto si
prevede attualmente, nel 2000 le emissioni potrebbero superare i livelli del 1990 addirittura del 5%.
Diversamente dall'Europa occidentale, dal 1990 l’Europa orientale ha registrato una significativa
diminuzione delle emissioni di gas a effetto serra. È improbabile che il consumo di energia in questa parte
dell’Europa superi i livelli del 1990, anche entro il 2010 (UNECE, 1996). Inoltre, è probabile che si passi a
combustibili che emettono quantità inferiori di gas a effetto serra (IIASA, 1997). Ma anche senza tale
cambiamento e senza tali riduzioni dell'intensità energetica, si calcola che nel 2000 le emissioni saranno del
22% inferiori ai valori del 1990.
2.7.2. Situazione ipotizzata da qui al 2010 sulla base dell’andamento attuale
La situazione ipotizzata dalla Commissione per il periodo dal 1990 al 2010 (CE, 1997c) in base
all'andamento attuale presuppone l'assenza di nuove politiche e misure tese a ridurre le emissioni di CO2, una
crescita del 2% all'anno del PIL e una diminuzione dell’intensità di energia dell'1,3% all'anno. Questi
parametri porterebbero a un aumento delle emissioni di CO2 dell'8% fra il 1990 e il 2010. L'incremento
maggiore riguarderebbe il settore dei trasporti (+39%) seguito dal settore dell'energia (produzione di
elettricità e calore) (+12%). Solo il settore industriale presenterebbe un decremento delle emissioni (-15%).
In base alle informazioni nazionali presentate all'UNFCCC (1997a), nel 2010 le politiche attuali, secondo
calcoli basati sull’andamento attuale, provocherebbero emissioni ancora maggiori rispetto al 1990 in
Norvegia (+33%) e in Islanda (+35%).
I calcoli per alcuni NSI selezionati (Bielorussia, Repubblica di Moldavia, Federazione russa e Ucraina)
indicano che nel 2010 il consumo di energia sarà dell'11% inferiore al 1990 (UNECE, 1996) e il PIL subirà
un calo del 10%. In una stima alternativa (IIASA 1997), che presuppone che l'intensità di energia in questi
paesi scenda al livello di quella dell'Europa occidentale, il consumo di energia nel 2010 potrebbe essere del
27% inferiore al 1990. Anche se questa ipotesi può non essere realistica, essa indica però i potenziali risparmi
di energia e di emissioni di gas a effetto serra che è possibile ottenere in questi paesi.
La situazione in Europa centrorientale è diversa. Nel 2010 il PIL potrebbe essere del 31% più alto che nel
1990, con consumi di energia incrementati solo del 4% (UNECE, 1996).
Tabella 2.2 Obiettivi delle emissioni fissati dal Protocollo dell'UNFCCC di Kyoto
Paese
Impegno quantificato di limitazione o riduzione delle emissioni (in percentuale sull'anno di riferimento)
UE (Comunità europea) e ognuno dei suoi Stati membri 92
PECO e NSI
Bulgaria, Repubblica ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Repubblica slovacca, Slovenia 92
Croazia 95
Ungheria, Polonia 94
Federazione russa 100
Ucraina 100
Altri paesi europei
Islanda 110
Liechtenstein, Svizzera 92
Norvegia 101
Cambiamento climatico 55
L’ipotesi IIASA (convergenza dell'intensità di energia con l'Europa occidentale) mostra un aumento del
consumo di energia pari appena all'1% in questo periodo.
2.7.3. Percorsi sostenibili da qui al 2010
Se entro il 2010 va raggiunta la stabilizzazione delle concentrazioni di CO2 nell'atmosfera ai livelli del 1990,
le emissioni annue di gas a effetto serra di origine antropica a livello planetario andrebbero ridotte
immediatamente del 50% - 70% e ancora di più successivamente (IPCC, 1996b).
L'obiettivo dell'articolo 2 dell'UNFCCC è una concentrazione atmosferica che impedisca un'interferenza
pericolosa dell’uomo nel sistema climatico, pur consentendo uno sviluppo economico sostenibile (IPCC,
1996a). I limiti provvisori proposti, che soddisfano questo obiettivo sono: un aumento della temperatura di
0,1°C ogni dieci anni (Krause et al., 1989), un innalzamento di 2 cm del livello del mare ogni dieci anni
(Rijsberman e Swart, 1990) e un aumento massimo della temperatura media globale di 1°C rispetto ai livelli
del 1990 (Vellinga e Swart, 1991). Incrementi superiori a questi limiti potrebbero costituire rischi gravi e
forse irreversibili per gli ecosistemi, la produzione alimentare e le zone costiere vulnerabili (paragrafo 2.2).
Per restare entro questi limiti sarà necessario un accordo su:
• Distribuzione delle emissioni totali di CO2, CH4 e N2O di origine antropica fra i paesi industrializzati (paesi
Riquadro 2.1: Politiche e misure
Anidride carbonica
Azioni UE:
Decisione 93/389/CEE del Consiglio, del 24 giugno 1993, su un meccanismo di controllo delle emissioni di
CO2 e di altri gas a effetto serra nella Comunità.
Efficienza energetica (UE):
• Programma SAVE per incentivare l'efficienza energetica;
• Direttive sull'efficienza energetica (caldaie per acqua calda, etichettatura degli elettrodomestici e dei
frigoriferi);
• Comunicazione su una strategia per limitare la CO2 derivante dalle automobili (obiettivo 5 l/100 km di
consumo di carburante per le auto a benzina e 4,5 l/100 km per le auto diesel);
• nuova tecnologia energetica pulita ed efficiente: programmi JOULE-THERMIE (R&S e attività di
dimostrazione);
• promozione delle energie rinnovabili (ALTENER).
Misure nazionali nei paesi UE e non-UE (esempi):
• accordi volontari/negoziati con il settore industriale ed energetico;
• tassa energia/CO2;
• impianti di cogenerazione (industria, residenziali);
• passaggio dal carbone al gas naturale e/o legna come combustibile (industria, settore energetico);
• misure sulla mobilità e il comportamento alla guida (ad esempio, pagamento di pedaggi);
• (ri-) forestazione.
Metano
Azioni dell'UE:
• comunicazione su una strategia per ridurre le emissioni di metano (misure potenziali: miglioramento della
gestione dello stallatico, proposta di direttiva sul conferimento in discarica e la necessità di controllare le
emissioni di metano dai rifiuti biodegradabili e sulla riduzione delle perdite derivanti dall'estrazione e dalla
distribuzione del gas naturale);
• la riforma della PAC causerà una diminuzione del numero dei capi di bestiame e un calo delle emissioni di
metano.
Misure nazionali nei paesi UE e non-UE (esempi):
• riduzione del conferimento in discarica dei rifiuti tramite prevenzione, riciclaggio e aumento
dell'incenerimento;
• riduzione del metano derivante dall'industria carbonifera (applicando le migliori tecnologie disponibili).
Protossido di azoto
Azione dell’UE:
La riforma della PAC provocherà una riduzione della produzione di stallatico e dell'uso dei fertilizzanti
inorganici e dello stallatico e pertanto un calo delle emissioni di protossido di azoto.
Misure nazionali nei paesi UE e non-UE (esempi):
• misure tecniche per alcuni processi di produzione industriale.
56 L'ambiente in Europa
elencati nell'Allegato I dell'UNFCCC), cui sono imputabili emissioni pari a 5,8 Gt C (in equivalenti di CO2)
nell'anno di riferimento 1990 (55% delle emissioni totali), e i paesi in via di sviluppo (paesi non elencati
nell'Allegato I), responsabili di 4,4 Gt C (45%). In base al mandato di Berlino dell'UNFCCC, i paesi non
elencati nell'Allegato I non hanno ancora l’obbligo di tenere sotto controllo le loro emissioni.
• I tempi di attuazione delle azioni tese a mitigare i cambiamenti climatici.
Oltre alle riduzioni delle emissioni complessive e ai loro tempi di attuazione, sarà necessario sviluppare
strategie per ogni singolo gas a effetto serra. Entro il 2010 i CFC dovrebbero essere stati già eliminati in base
al Protocollo di Montreal, ma è possibile che alcuni dei loro sostituti richiedano ulteriori interventi (cfr.
capitolo 3). Sebbene il più importante gas a effetto serra sia la CO2, anche moderate riduzioni delle emissioni
di metano o protossido di azoto possono avere effetti relativamente ampi, dato il loro forte potenziale di
riscaldamento globale. Ridurre le emissioni di questi gas potrebbe essere tecnicamente ed economicamente
più semplice che ridurre le emissioni di CO2 e presenterebbe altri vantaggi, in quanto essi contribuiscono
anche alla formazione dell'ozono troposferico (smog estivo).
Corridoi di emissioni
L'IPCC ha formulato una serie di scenari delle emissioni, basati su ipotesi riguardanti la crescita demografica,
la destinazione d'uso della terra, l’evoluzione tecnologica, la disponibilità di energia e i tipi di combustibile
impiegati, ma senza indicare specifiche politiche di riduzione delle emissioni. Le emissioni mondiali di
origine antropica, espresse in equivalenti di CO2 , nelle situazioni ipotizzate dall'IPCC vanno nel 2010 da
11,5 a 15,3 Gt C (6,2 - 8,3 Gt C per i paesi industrializzati e 5,3 - 7,0 Gt C per i paesi non industrializzati). Il
valore superiore presuppone una crescita economica e demografica relativamente alta e una forte dipendenza
dai combustibili fossili. Il valore inferiore presuppone una bassa crescita demografica, uno sviluppo
economico e tecnologico favorevole, l'arresto della deforestazione, un maggiore ricorso all'energia
rinnovabile e il pieno rispetto del Protocollo di Montreal (Leggett et al., 1992).
Le fasce di emissioni consentite a livello mondiale possono essere stabilite utilizzando il concetto di "corridoi
di emissioni " (Alcamo e Kreileman, 1996). La larghezza di questi corridoi dipende dal livello degli obiettivi
di protezione del clima a lungo termine per il quale si opta e specifica le fasce di emissioni consentite. La
tabella 2.3 mostra i corridoi di emissioni fino al 2010 per l'obiettivo UE di un aumento massimo della
temperatura di 1,5°C fra il 1990 e il 2100, ipotizzando un tasso massimo di riduzione delle emissioni annuali
del 2%. Le cifre indicate si riferiscono rispettivamente ad un aumento di 0,1°C per decennio e di 0,15°C per
decennio. Nel primo caso (più severo), il limite superiore del corridoio di emissioni nel 2010 è di 9,5 Gt C (in
equivalenti di CO2).
Presupponendo che i paesi non compresi nell'Allegato I continuino ad aumentare le loro emissioni in linea
con l’ipotesi dell'IPCC sopra descritta (cioè a 5,3 - 7,0 Gt C nel 2010), nel 2010 le emissioni dei paesi
industrializzati (Allegato 1) dovrebbero scendere a 2,5 - 4,2 Gt C, rispetto al livello di 5,8 Gt C nel 1990: una
riduzione del 30% - 55% circa. Tale riduzione porterebbe a un decremento delle emissioni medie di CO2 pro
capite in Europa occidentale da 8,8 tonnellate nel 1990 a 5,8 - 3,7 tonnellate circa nel 2010 (anche calcolando
una certa crescita della popolazione). Per valutare questi dati alla luce di un contesto mondiale, si consideri
che l’attuale media mondiale di emissioni di CO2 pro capite derivanti da combustibili fossili è di 4 tonnellate
(1,8 tonnellate nei paesi non industrializzati).
Il caso meno rigido, ma non sostenibile, di un aumento di temperatura di 0,15°C per decennio è stato
aggiunto allo scopo di mostrare che i limiti di sostenibilità per i tre principali indicatori di protezione del
clima (aumento massimo della temperatura di 0,1°C per decennio, innalzamento massimo del livello del mare
di 2 cm per decennio e aumento massimo della temperatura media globale di 1°C rispetto ai livelli del 1990)
hanno un effetto importante sull’obbligo di riduzione delle emissioni dei paesi dell'Allegato I e pertanto
importanti implicazioni per le loro politiche. Applicando invece la stessa ipotesi IPCC al parametro più
severo, di un aumento di temperatura di 0,1°C per decennio, i paesi inclusi nell'Allegato I potrebbero attuare
una riduzione limitata delle emissioni o addirittura aumentarle leggermente.
Tabella 2.3 Emissioni massime consentite, in equivalenti di CO2 , per i paesi dell'Allegato I nel 2010
Tasso scelto di aumento della temperatura nel periodo 1990-2100a
Corridoio di emissioni mondiali nel 2010
Emissioni massime consentite nei paesi dell'Allegato I nel 2010b
(°C/decennio)
(Gt C in equiv. di CO2)
(indice 1990=100)
Note:
Compreso il superamento (inevitabile) dell'aumento di temperatura fra il 1990 e il 2010. Un aumento di
temperatura di 0,1°C per decennio potrebbe essere considerato come un rischio limitato di ripercussioni. Un
aumento di 0,15°C per decennio è notevolmente al di sopra di tale livello. La fascia presenta, per i paesi non
elencati nell'Allegato I, emissioni di base, ossia 5,3 - 7,0 Gt C (in equivalenti di CO2) nel 2010 e comprende
solo il limite superiore del corridoio di emissioni (colonna 2).
Fonte: RIVM
57 Cambiamento climatico
Ciò dimostra che la definizione di limiti sostenibili per i tre principali indicatori della protezione del clima ha
un effetto importante sulle riduzioni delle emissioni imposte ai paesi elencati nell'Allegato I e pertanto ha
importanti implicazioni per le loro politiche.
Tempi di attuazione delle azioni
I tempi di attuazione delle azioni tese a ridurre il rischio di cambiamento climatico nei paesi industrializzati
sono attualmente oggetto di dibattito. Secondo alcuni, rallentare l'azione fornisce più tempo per creare una
base scientifica più solida e consente di tagliare i costi delle misure di riduzione delle emissioni grazie allo
sviluppo di tecnologie migliori (e probabilmente meno costose). Un rallentamento è consigliato anche in
considerazione dei tempi necessari per sensibilizzare l’opinione pubblica e per mettere a punto e realizzare
azioni politiche, nonché in considerazione della rotazione annua relativamente limitata dei beni strumentali.
D'altro canto, la lunga vita media atmosferica dei gas a effetto serra significa che i ritardi nell'introduzione
delle politiche di riduzione renderanno sicuramente necessari interventi più radicali in una fase successiva. Se
non si interviene e si permette alle concentrazioni di gas a effetto serra di continuare ad aumentare, sarà
maggiore anche il rischio di un impatto irreversibile sugli ecosistemi e la società.
Le conseguenze di tale ritardo possono essere valutate con l'uso dei corridoi di emissioni. Se i livelli massimi
previsti per il 2010 sono all'interno del corridoio, fino al 2100 vi è almeno una ipotesi accettabile di emissioni
che soddisfa gli obiettivi di protezione del clima selezionati. Un ritardo nell'azione causerebbe
l'avvicinamento a livelli di emissioni più alti nel 2010, mentre seguendo il principio di precauzione si
raggiungerebbero livelli più bassi. Le conseguenze possono essere valutate alla luce dei possibili corridoi di
emissioni oltre il 2010. Livelli inferiori di emissioni nel 2010 darebbero alle prossime generazioni più
opportunità di scegliere corridoi di emissioni accettabili per il futuro, mentre livelli più alti nel 2010
costringerebbero le generazioni future (comprese quelle dei paesi non elencati nell'Allegato I) a seguire una
via di riduzioni molto radicali per poter soddisfare gli obiettivi di protezione del clima prefissati.
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