Indonesia: un Balicelebes con sosta reggae alle Gili

TACCUINO DI VIAGGIO | Namibia
cercando qualcosa da mangiare
nelle spazzature, Silvana non si fida e
preferisce cambiare strada. Ceniamo
e poi andiamo in fondo al camp
dove si può comodamente vedere
una pozza proprio al di là della
recinzione ed ecco: un rinoceronte
si sta abbeverando, un altro arriva
camminando rumorosamente sui
sassi, due giraffe si chinano a bere
allargando faticosamente le zampe
anteriori, alcuni piccoli sciacalli
corrono furtivi, in lontananza risuona
il ruggito di un leone al che tutti
gli animali si fermano e tendono
le orecchie, poi ricominciano a
bere. Restiamo lì qualche ora, poi
io decido di andare a dormire,
Stefania e Luisella rimangono e
assistono in diretta ad un assalto:
alcuni sciacalli decidono di mangiare
un’antilope molto più grande di loro
e cominciano a saltarle addosso, la
lotta è impari ma con le loro grida
hanno chiamato rinforzi e arrivano
una trentina di amici sciacalli, per
la povera antilope non c’è più niente
da fare. Aveva ragione Silvana a non
fidarsi degli sciacalli!!!
Lunedì mattina game drive all’alba,
alle pozze tante giraffe, gnu, facoceri,
kudu, antilopi ma, ad un tratto tutti
gli animali drizzano le orecchie e c’è
un fuggi fuggi generale, sentiamo il
classico ruggito del leone ed eccoli
arrivare, sono due giovani leoni che
passano calmi e incuranti di tutto,
scomparendo poi nella foresta. La
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pozza resta deserta per un po’, poi
cominciano ad arrivare delle zebre,
allegre, al galoppo, dietro a loro
una fila di elefanti, grosse femmine
con i piccoli, un gruppo di facoceri
torna a bere e così via via la pozza
si ripopola, sempre attenti al minimo
rumore ma la sete ha il sopravvento.
La giornata passa velocemente tra
una visita al pan, la distesa salata,
e alle altre pozze, poi ci fermiamo al
Mamutoni Lodge dove passeremo la
notte e prenotiamo un game drive
notturno. Questa notte è Luna piena
per cui si vede bene intorno mentre
la nostra jeep va in giro per il bush,
incontriamo un gruppo di grosse
iene in amore, si corteggiano e si
rincorrono, i loro versi risuonano nel
silenzio della notte, poi una ginetta
catalizza la nostra attenzione, corre
velocemente attraverso i rami spinosi
di un albero scivolando insensibile
alle grosse spine dondolando la
sua lunga coda a righe bianche e
nere. Giriamo, giriamo ma di felini
neanche l’ombra, anche se siamo
ben coperti fa freddo, su un grande
albero vediamo una sagoma bianca,
è un grande gufo color nocciola con
la bella testa bianca che riesce a
muovere con disinvoltura oltre i 180
gradi. Stiamo lì a guardarlo incantati,
il driver lo illumina con il faro ma
alla fine il gufo si stanca e decide
di andarsene più lontano, in una
zona nascosta, apre le poderose ali
bianche e ci lascia.
Gruppo Bondioni al Sesriem Canyon
Ritorniamo volentieri nei nostri
alloggi, infreddoliti e stanchi, domani
si lascia il parco Ethosha.
Martedì mattina ultimo game drive
all’alba e poi si esce dal parco al
gate Von Lindquist, torniamo a
Windoek, lungo la strada ci fermiamo
a Okahandia per uno spuntino e nel
frattempo visitiamo un mercato
artigianale: maschere di legno,
tessuti, tappeti, oggetti per la casa;
alcuni ragazzi incidono i nostri nomi
sui noccioli dell’amarula, un frutto
del luogo con cui si fa il famoso
liquore “Amarula” e ce li vendono
come portachiavi, un altro ragazzo
allegro e simpatico ci porta nel suo
negozio per mostrarci i suoi articoli,
è una gara a chi riesce a venderci
qualche cosa.
Verso le 15,00 siamo a Windoek,
Ashipala passa da casa sua e ci
presenta la sua bella famiglia, poi
andiamo alla sede dell’Avis a rendere
le auto ma il sistema è in black out,
in tutto il mondo, possibile? Sembra
di sì.
Ci diamo appuntamento alla mattina
seguente per perfezionare i conti
e torniamo al nostro alberghetto,
depositiamo i bagagli e giretto per
la città scortati dal marito di Selma.
Per le vie del centro troviamo tante
cose carine da comperare, ci sono
bei negozi ma, alle 18,00 chiudono
tutto e non c’è più nessuno in giro;
decidiamo di andare a cena al solito
posto: Nice Restaurant.
Cenetta vicino ad un caminetto
acceso, specialità della cucina locale
(non pensavamo di trovare tante
cose buone in Namibia), festeggiamo
il bel viaggio fatto insieme.
La mattina del mercoledì si parte per
l’Italia, prima di andare all’aeroporto
voglio vedere i famosi meteoriti
posti nel centro di Windoek, pietre
incastonate in una scultura moderna
nella strada principale della città,
poi andiamo alla sede dell’Avis a
regolare i conti per il noleggio delle
auto ( oggi i sistemi funzionano) e
infine all’aeroporto. Purtroppo è ora
di tornare a casa ma siamo felici,
ripensiamo ai posti dove siamo
stati: agli spazi sterminati nel
silenzio assoluto, mentre il vento
soffia incessante e intorno nessuna
struttura e nessuna persona ,luoghi
dove tutto è rimasto uguale da
secoli, dove non ci sono stati
cambiamenti, dove ti potresti trovare
in uno qualsiasi dei momenti del
passato e il paesaggio sarebbe così
come lo stai vedendo ora; è questa la
Namibia che porteremo per sempre
con noi.
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TACCUINO DI VIAGGIO | Indonesia
Indonesia:
un Balicelebes con sosta reggae alle Gili
Da un Balicelebes gruppo Tragaioli
Testo e foto di Roberta Tragaioli
Dalle risaie alle cerimonie funebri dei Toraya di Celebes, la musica gamelan e il profumo di frangipane
di Bali, tra surfisti induisti e turisti una pausa alle Gili Islands per un tramonto con Bintag...
S
ulawesi: i funerali
Toraya… è qui la
festa?
“Siete fortunati ci sarà
un importante funerale quando
sarete a Rantepao i primi giorni
di luglio”, questo mi disse Benny
Rantelili, il nostro corrispondente
a Sulawesi in un caldo pomeriggio
di giugno. Fortunati? Certo, perché
qui la cerimonia funebre è una
solennità a cui partecipano tutti, i
festeggiamenti si protraggono anche
per una settimana.
In questo modo, tra maiali e bufali,
carrettini, nastri colorati, tè e
pasticcini, è difficile credere di
essere a un funerale …
96 - Avventure nel mondo 1 | 2014
Sulawesi, un tempo chiamata
Celebes, è la terra dei Toraja e
noi siamo venti italiani giunti in
questo posto proprio per visitare
i loro villaggi e partecipare alle
celebrazioni funebri di uno dei
gruppi etnici più interessanti di tutta
l’Indonesia. “Benny, tu insieme a
tuo figlio Ryan, siete i primi Toraya
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Sorgenti di Tirta Empul
Funerale Toraya
Bali, aquiloni
che abbiamo avuto il piacere di
conoscere. Aiutaci a capire meglio
gli usi e costumi del tuo popolo,
estremamente affascinanti e lontani
da noi”. Così esordisco quando
incontro Benny in carne ed ossa
dopo i saluti iniziali. Ne avremo tutto
il tempo perché quando arriviamo
a Ujung Pandang, la capitale, ci
attenderà ancora una lunga giornata
in auto per raggiungere, a nord,
la cittadina di Rantepao. Benny è
minuto e pacato, non si riuscirebbe
a dargli un’età precisa se già non
sapessi che sono circa quaranta
anni che accompagna le persone
che vogliono conoscere la sua
terra e, dai suoi racconti, si rivelano
l’esperienza e la saggezza di tutti
quegli anni. “Le origini della mia
gente, i Toraja sono antichissime.
I miei avi sono approdati via mare
tra il 2500 e il 1500 a.C. sulle
coste di Sulawesi dal lontano
Yunnan, una regione meridionale
della
Cina.
Successivamente,
altre ondate migratorie hanno
costretto la popolazione a spingersi
internamente verso le montagne,
un luogo sicuramente più ostile
ma proprio per questo più sicuro.
Vedete le case che struttura hanno?”
“E’ vero Benny, sembrano delle
barche sospese in terra, con tetti
ad arco, proprio ispirati alla forma
delle loro originali imbarcazioni”.
“Visto da lontano qualsiasi villaggio
Toraja assomiglia ad una flotta di
barche che galleggiano su un mare
di vegetazione tropicale e di risaie
strappate alla foresta”. In effetti
il primo villaggio che visitiamo è
sorprendente. Le case (Tongkwon
in lingua Toraya) in canne di bambù
su vari strati, sono sistemate in file
parallele da est verso ovest, per
orientare le facciate sempre verso
il nord, la direzione dalla quale
arrivarono i Toraja all’alba della loro
storia. Penso che forse loro sperano,
un giorno, di tramutare queste
arche con delle vele che si possano
gonfiare in direzione del mare e di
ritornare da dove erano partiti.
“La casa per noi è più di un luogo, è
una comunità, una sorta di famiglia
allargata che si perpetua oltre le assi
in legno che vedete e, che segue,
per tutta la vita, l’individuo anche se
esso vivrà da un’altra parte. Perché
alla fine della propria esistenza
l’uomo Toraya dovrà ritornare alla
sua dimora per l’ultimo saluto e
per ricevere l’estremo solenne
accompagnamento. Nulla è lasciato
al caso, anche le decorazioni con
motivi geometrici rigorosamente in
giallo, rosso e nero, le uniche cromie
a cui è attribuito un significato
religioso”.
Già la morte e i funerali. L’elemento
centrale della cultura Toraja.
Ce ne rendiamo conto nel primo
pomeriggio.
Il defunto non è considerato tale
fino al momento in cui la famiglia
può permettersi il funerale. Il corpo
viene imbalsamato, tenuto in casa in
una stanza e oggetto delle visite dei
parenti. Dopo vari mesi, quando sono
stati raccolti i fondi per acquistare
i bufali da sacrificare, vengono
radunati i parenti e a quel punto si
procede al funerale vero e proprio,
generalmente tra il mese di luglio
e quello di settembre, il periodo che
coincide con la stagione secca. Ed
eccoci quindi al fatidico giorno, c’è
un gran via vai di gente e qualche
sparuto turista, tra l’altro sempre
ben accetto dai Toraja.
Nel villaggio dove ci troviamo sono
stati costruiti una serie di padiglioni
attigui che si snodano attorno ad
una piccola piazza nella quale, al
centro, si trova la torre funebre dove
è posizionata la salma. Il maestro di
cerimonia grazie ad un altoparlante
diffonde preghiere e ricorda a tutti
le memorie del defunto. I familiari
fanno sfilare i bufali davanti a lui
orgogliosi della quantità dell’offerta.
Ci sono anche decine di maialini
grigi tutti legati a canne di bambù.
Uno dietro l’altro, incedono prima
le donne e poi gli uomini, una
lunghissima fila.
Ora l’altoparlante annuncia che
anche un gruppo di turisti italiani
parteciperà alla cerimonia e ci porge
il benvenuto. Veniamo subito accolti
in un padiglione, presentati ai parenti
stretti -ai quali abbiamo portato in
dono delle stecche di sigarette- e
ci viene offerto tè scuro e dolci di
riso. L’atmosfera è incredibilmente
allegra. Un’orchestra di strumenti
fatti con canne di bambù aumenta
improvvisamente
di
intensità.
Ahimè, dietro il catafalco ha inizio
la mattanza. Alcuni maiali vengono
accettati. Poi è la volta del povero
bufalo…
Si coglie un leggero e improvviso
fermento, quasi non ce ne rendiamo
conto.
Al bufalo, che era stato legato ad
un paletto, con un gesto fulmineo
della lama, gli viene recisa la gola
e l’animale crolla a terra tra fiotti
di sangue. Lo spettacolo è molto
cruento e da questo momento in poi
è un susseguirsi di altri sacrifici di
maiali.
Chi come me preferisce non assistere
alla carneficina degli animali resta
nel padiglione dei parenti tra torpore
e incredulità; mentre la più giovane
del nostro gruppo, va a fare una
passeggiata lontano da queste
scene raccapriccianti.
Dopo, la madre, la va a cercare per
dirle che è tutto terminato. Per i
Toraya le anime possono andare in
paradiso solo quando l’intero rituale
funebre è stato compiuto.
Mi sovviene qualche pensiero:“Sai
Benny, in occidente alla morte ci
pensiamo poco e malvolentieri,
evitiamo in genere di ricordarne
l’ineluttabilità, per noi è difficile
riuscire a viverla con piena
consapevolezza.
Personalmente
questa vostra dimestichezza con
la morte mi affascina e mi turba.
Ho l’impressione che custodiate
gelosamente qualcosa che non
abbiamo”. O forse, penso tra me, che
in questo consueto e pio rituale si
cerca di esorcizzare quei sentimenti
che noi occidentali chiamiamo paura
e dolore. Oppure entrambe le cose.
Ma non dico più nulla e Benny mi
guarda e sorride.
Domani la cerimonia continuerà. Ci
informano che siamo appena al terzo
giorno… Dopo aver salutato i parenti
del defunto decidiamo di andarcene.
Ci attende un breve trek attraverso
le risaie per raggiungere un villaggio
Toraya che ci accoglierà per la cena
e per la notte.
Vediamo bufali trascinare aratri
nel fango rilucente e donne che
piantano i germogli del riso.
Proviamo anche il falcetto di legno
che usano per tagliare a mano ogni
piantina quando sarà maturo. Ci
troviamo in mezzo alle risaie, in un
mondo verde e silente. Il percorso
che ci attende si rivela molto più
lungo del previsto a causa di un
disguido tra le guide, la notte è
calata improvvisamente e noi siamo
ancora a zonzo tra gli acquitrini. La
temperatura è più fresca e gli odori
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dell’erba e della terra ci invadono
le narici. “Dobbiamo prestare molta
attenzione a camminare sugli stretti
sentieri battuti per non cadere nel
fango melmoso ai lati, con il buio
è più difficile anche se per fortuna
è luna piena” … “Oddio ho perso
una scarpa e ora chi la ritrova nel
pantano?”…. “Forza quasi ci siamo,
cosa ci sarà per cena?”… “Certo che
questa è proprio un’ avventura…”
Dopo quasi tre ore per le risaie
di Sulawesi siamo quasi arrivati
al villaggio, ma prima dobbiamo
passare per un piccolo ruscello, e
poi percorrere ancora una parte di
tragitto in salita sino alla strada che
ci avrebbe condotto ai Toraya. “Ecco
le prime case di legno! Certo che
la forma è inequivocabile!” Bene,
proseguiamo. Finalmente abbiamo
raggiunto la nostra meta un po’
infangati e un po’ affaticati da questo
fuori programma. Dopo esserci
sistemati per la notte, gli uomini da
una parte e le donne dall’altra, dopo
tutti insieme, ceniamo seduti per
terra su stuoini.
I Toraya vivono in una famiglie
allargate, molti giovani, alcune
coppie, tanti bambini e altri più
senior. Siamo disarmati di fronte
a un’accoglienza così genuina ed
affettuosa.
La mattina siamo pronti per
ripartire per celebrazioni funebri
che si tengono in un altro villaggio
vicino…. Anche in questo villaggio
notiamo un anello di capanne
di bambù su palafitte disposte
ad anfiteatro attorno alla piazza
centrale. Le capanne, aperte sul
davanti come palchi di un teatro
dell’opera tropicale, sono affollate
all’inverosimile da una folla vestita
di rosso e di nero di ogni età, vecchi
un po’ assenti e incuriositi, adulti
con i baffi, numerose donne che
siedono vicino ai bambini. Anche
in quest’occasione ci fanno sedere
al posto degli ospiti nel padiglione
destinato ai parenti, ma solo dopo
che ci siamo tolti le scarpe.
Nell’aria, agli odori caldi e appiccicosi
della foresta pluviale di altopiano
si mescolano al fumo e all’aroma
sgradevole delle carni degli animali
già sacrificati.
C’è una mescolanza mal assortita
di odori unita al dolore dei parenti
dei morti. La pesante e incerta
marcia dei bufali nello spiazzo è solo
l’ultima tappa di un defunto che ha
soggiornato nella casa, insieme ai
congiunti, fino a pochi giorni fa; ed in
tutto questo tempo ha continuato a
vivere insieme a loro. Le donne della
famiglia hanno continuato a cucinare
anche per lui, le conversazioni serali,
al termine del lavoro nelle risaie, lo
hanno coinvolto come sempre, ed
ha spesso ricevuto visite affettuose
da parte dei vicini e dei parenti di
altri villaggi. Può persino darsi che,
durante tutto questo tempo, qualche
turista capitato per caso da quelle
parti sia stato invitato a scattargli
qualche fotografia.
I cruenti sacrifici cui finora abbiamo
assistito sono quasi cancellati
dalla poesia e dall’alone di mistero
che avvolge le tombe che dopo ci
accingiamo ad andare a visitare.
Scavate nella roccia a qualsiasi
altezza su ripide pareti di montagna
o in oscure caverne hanno la
particolare presenza dei cosìdetti Tau
Tau, manichini dalle sembianze del
defunto, posti a guardia. Visitando
questi luoghi, si prova la sensazione
di entrare in un’altra dimensione, una
vita ultraterrena a sé stante, quasi
che questi Tau Tau appena liberi
dalla nostra presenza, ricomincino a
prender vita continuando le faccende
in una loro vita parallela. Racconta
Ryan, il figlio di Benny “Che i Toraja
siano molto legati agli elementi quali
l’acqua e alla terra lo testimonia il
fatto singolare che i bimbi morti in
età neonatale vengono tumulati in
nicchie ricavate nei tronchi degli
alberi come se fosse celebrata una
restituzione alla natura stessa”.
Una stradina immersa in un
campo di erba verde smeraldo, in
lontananza dalle pareti a strapiombo
di alcune rocce gruppi di Tau Tau
sembrano osservarci curiosi, mentre
da un gruppo di case poco lontano ci
giunge il canto di alcuni bambini…
siamo lontani dalle spiagge
soleggiate ma non per molto ancora
perché stiamo ritornando verso Bali
con destinzione Gili islands.
Tempio di Pura Besanih
Spiaggia Gili Trawangan
e trainati da un cavallo, che - in fila
ordinata- attendono ospiti e bagagli
e tante, tantissime biciclette.
Spiagge candide e stradine sterrate.
La prima impressione? Quella di un
Islam moderato e tollerante. L’arrivo
sulla terraferma dopo un paio di ore
in motoscafo su un mare non proprio
tranquillo, ben vale la scoperta di
una delle più belle barriere coralline
dell’Indonesia. Un’esperienza che
ci introduce a un universo verde e
incontaminato, fatto di un’ospitalità
puntuale e discreta. Un mondo
di oceano e di isole. Isole così ne
sono rimaste ancora poche. Noi
ci fermeremo in quella più grande
delle tre Gili, a Trawangan dove lo
sguardo resta colpito dalle palme
da cocco e dai profumati frangipani,
dove ville e bungalows fronte mare o
completamente immerse nella natura
sono incastonate in un santuario di
fascino tropicale. Surfisti australiani,
ex hippy nostalgici europei, novelli
Robinson Crusoe dei tempi globali,
qui ci sono proprio tutti: tutti coloro
che desiderano staccare la spina col
mondo, restando però attaccati al
wi-fi degli internet café…
Una escursione in barca sino a Gili
Meno è quasi obbligatoria, l’isola di
fronte a Trawangan, per godersi il
mare in assoluta tranquillità in acque
trasparentissime, per un’immersione
a Bounty Wreck, sui cui fondali
giace un vecchio relitto o per uno
snorkeling a Eden Reef, regno dei
cavallucci marini e dei barracuda…
Trawangan è un’isola da esplorare
anche via terra, a piedi o in
bicicletta, è molto semplice: è lunga
tre chilometri e larga due. L’unico
consiglio da seguire è che occorre
fare attenzione a non sprofondare
nelle dune di sabbia. Soprattutto la
parte a nord, che serpeggia lungo
una profonda lingua di sabbia
corallina bianca. Così facciamo il
periplo dell’isola in bici, con varie
soste, per poi fermarci nella parte
sud est, al sunset point per goderci
un tramonto indimenticabile, con
vista sul Monte Rinjani, il vulcano
di Lombok, mentre sorseggiamo la
nota birra indonesiana, la Bintag…
Sul far della sera, in pochi minuti,
ritorneremo nella downtown isolana,
in tempo per la movida serale…
al ritmo lento e sincopato di sama
sama… reggae reggae… suonato
da live band locali…
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Indonesia
Alle Gili islands: sama sama…
reggae reggae…
Tre isole, tre gili (gili significa piccola
isola). Minuscoli granelli di sabbia nel
mar di Celebes a nord est di Bali e a
nord ovest di Lombok. Sbarchiamo
sulla prima, Gili Trawangan. Qui non
circolano auto e motorini, nessun
rumore di clacson. Ci sono solo
carrettini dai colori vivaci (i cidomo)
98 - Avventure nel mondo 1 | 2014
Bali: templi & surf
La parte sud dell’isola di Bali è
sottoposta alle conseguenze di uno
sviluppo turistico di massa. Ragione
per cui appena atterrati a Denpasar
accompagnati da sciami rumorosi
di auto e motorini, ci allontaniamo
dalle località più famose di Kuta,
Legian e Sanur e partiamo alla
scoperta dal cuore dell’isola, Ubud,
anche conosciuta come la città degli
artisti. Sulla strada per raggiungerla
si alternano negozi-laboratori degli
artisti che eccellono nell’arte della
lavorazione del legno, dell’oreficeria,
della pittura e della scultura. Qui il
mare è lontano tuttavia le terrazze di
risaie e le foreste dell’entroterra non
lo fanno rimpiangere.
Il nostro resort è immerso nella
natura tra fiori di loto e muschi e
il locale cucina è sotto un tetto di
paglia e giunchi. In mezzo, si trova
una piscina con mostri e dragoni
raffiguranti divinità scolpiti nella
roccia. Discreti e cordiali, Guntur
il cuoco e Setiawan, il giardiniere
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Abitazioni Toraya
Tramonto con Bintag Gili Trawangan
fanno parte della formula: preparano
la colazione all’ora concordata e
non fanno mai mancare le offerte
quotidiane alle divinità nel parco.
A Ubud si cura l’anima e il corpo
con ritiri di meditazione e yoga,
massaggi ayurvedici e vapori alle
erbe. La natura circostante è la
manifestazione tangibile del divino.
Del resto, viene da pensare che
la spiritualità a Bali, unica isola
induista in un Paese a maggioranza
musulmana, sia un affare quotidiano.
I santuari e gli altari votivi sono
ovunque, nelle case, tra gli alberi,
sulle macchine, nelle risaie.
Ci racconta Setiawan:”Tutti i villaggi
balinesi hanno almeno tre templi:
il Pura Puseh, l’antico tempio
della comunità da cui trae origine
il villaggio, il Pura Desa dove si
svolgono le cerimonie collettive e il
Pura Dalam, consacrato alle divinità
della morte e della cremazione.
Vi sono poi molti altri tipi di templi,
tanto che si calcola che a Bali in ogni
chilometro quadrato ve ne siano
almeno quattro”.
Prosegue il nostro giardiniere: “Forse
quello non tutti sanno è che si può
capire a quale divinità è dedicato il
tempio contandone il numero dei
tetti che è sempre dispari. Shiva, che
a Bali è particolarmente venerato, ha
undici tetti, il massimo.
Nove tetti sono per il dio del lago,
sette per gli dei della prosperità e
del riso, cinque per il dio del mare,
tre per la Trimurti ossia Brama,
Shiva e Vishnu, uno per quello degli
antenati”.
L’ indomani partiamo alla volta
della visita dei templi. Ne vedremo
con le pietre rivestite di muschio,
con scalinate che si perdono nella
foresta, con palme e ruscelli…
Vederemo il tempio considerato il
più sacro, il Pura Besakih, quello
più famoso il Tanah Lot, che sembra
la prua di una nave arenata sul
bagnasciuga…
Bali induista ha conservato, nei
secoli, questa sua unicità culturale.
Monumenti, spesso scavati nella
pietra, e adagiati sui pendii dei
vulcani, ci accolgono.
Lungo le numerosissime colline
l’uomo ha realizzato, nei secoli,
terrazzamenti sui quali ha ricavato,
con appositi argini, delle piccole
vasche; che, a migliaia, digradano
da questi pendii e sono la sede di
colture di riso. La luce del cielo si
rispecchia in questi stagni artificiali,
fornendo all’osservatore estasiato
uno spettacolo unico di verde,
di luce, di simmetria. Ritorniamo
nel sud dell’isola. Quest’isola che
indubbiamente attrae.
E’ uno scrigno di una civiltà antica,
di una religione che resiste in
mezzo al resto del mondo islamico
della nazione indonesiana e mostra
questa sua unicità ogni giorno, fiera
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dei suoi riti antichi e fantasiosi, delle
sue danze barong...
Tutto ciò in uno scenario di templi,
di terrazzamenti brillanti, di costumi
multicolori, di processioni, dove le
donne portano in bilico sulla testa,
cesti pieni di frutta.
Questa è Bali, colpita al cuore dal
massacro di Kuta, il 12 ottobre 2002
quando l’esplosione di una bomba
causò 202 morti.Risorta dalle sue
ceneri, a distanza di dieci anni, in
Legian Street leggiamo i nomi di
quelle vittime, divisi per nazionalità,
nel monumento alla memoria…
Il commiato dal lo facciamo a Kuta
Beach, a nord di Jimbaran, dove,
negli anni ‘60, surfer e globetrotter
squattrinati si davano appuntamento
per cavalcare onde più o meno
perfette e, anche oggi, l’atmosfera
è un po’ spartana e hippie e metà
del nostro gruppo si cimenta
coraggiosamente in acqua sulle
tavole…
In un batter d’occhio ci siamo
abituati ai ritmi balinesi tra un’uscita
in surf e una passeggiata lungo la
riva, o a uno spuntino nei warung, i
chioschi che servono specialità locali
e già dobbiamo rientrare a Denpasar,
l’aeroporto internazionale dove la
cantilena ipnotica e avvolgente della
musica Gamelan in sottofondo ci
accompagnerà al volo… Sampai
Ketemu …
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TACCUINO DI VIAGGIO | Thailandia
Thaisole Discovery
Gruppo Alessandro Forni
13-14 Novembre 2013
Milano-Bangkok
Ci siamo finalmente ha
inizio la mia vacanza
verso una destinazione per me nuova
(Thailandia) e in un modo nuovo
(dopo tanto guardare, prendere in
considerazione e poi abbandonare
questo giro, finalmente, è marchiata
Avventure nel Mondo).
Come sempre parte integrante
della vacanza è il viaggio, e questo
si preannuncia da subito un lungo
viaggio, sarò finalmente a destino
(Isole Similan) solo nella mattinata
Testo e foto di Lucia Zuanon
del 15! Si inizia con un primo tratto
in treno (Desenzano-Milano) già in
compagnia di Elena (ho viaggiato
anche da sola, ma partire in buona
compagnia è sempre meglio!) In
stazione a Milano troviamo Lorella,
bella e solare come sempre, un
pochino pallida per il suo standard,
ma non per il nostro (lei sembra già
stata in vacanza e noi appena uscite
dalla prima medicina!)
Con il Malpensa Shuttle arriviamo
in aeroporto, qui troviamo da prima
Monica di Padova (il suo live-motive
“sto in centrifuga”…da qualche anno
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Avventure nel mondo 1| 2014 - 99