Analisi semiologica del Cenacolo di Lonardo da Vinci

ANALISI SEMIOLOGICA DEL “CENACOLO” DI LEONARDO DA VINCI
di
Luigi Pentasuglia
La scontata simmetria del famoso Cenacolo di Leonardo pare contraddire l’indole
innovativa universalmente riconosciuta propria del grande artista vinciano. Tuttavia, una più
attenta osservazione del dipinto lascia emergere alcuni aspetti salienti e a dir poco inquietanti.
Le due pareti laterali convergono prospetticamente come i lati di un triangolo nel
punto focale posto alle spalle di Gesù. Su ognuna di esse sono poi affissi “quattro” grandi
pannelli chiusi frontalmente da “quattro” gruppi di apostoli con al centro il Messia, il che
lascia intendere come l’artista si sia volutamente ispirato al sacro simbolo pitagorico della
“tertraktys”: il triangolo di “dieci” punti, di cui “nove” distribuiti sui lati, più uno centrale.
Ebbene, come vedremo, il principio di simmetria che governa la tetraktys è lo stesso
che regola la distribuzione “speculare” dei simboli rappresentati.
© by Luigi Pentasuglia – 2003
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Comincerò con san Filippo, il quarto apostolo in piedi
a partire da destra. La posizione delle mani sul petto ha
dell’innaturale: mentre la mano a destra è chiusa a pugno e
mostra la linea delle nocche prolungarsi fino all’estremità
bassa della prima falange del mignolo, ancora più strano è il
posizionamento delle dita medio e mignolo dell’altra mano,
che contattano rispettivamente - a mo’ di calibro - i punti
interni situati ai “2/3” della linea delle nocche, evidentemente
concepita dall’artista alla stregua del lato della tertraktys!
La conferma di tutto ciò la troviamo sul lato opposto del dipinto. Si è infatti molto
discusso sull’appartenenza di una fantomatica mano impugnante un coltello puntato contro il
ventre di sant’Andrea (il terzo apostolo a partire da sinistra). Ebbene la riproduzione coeva
più fedele del Cenacolo attribuita al Giampietrino (1497 - Royal Academy of Arts), lascia
chiaramente intendere che trattasi della mano di san Pietro.
Nella copia il polso ricurvo all’indietro di Pietro, se da un lato pare allinearsi con la
lama del coltello, dall’altro lato si congiunge con la posizione obliqua dell’avambraccio, cioè
come a riprodurre lo spigolo di un triangolo.
A ben vedere, nell’originale, un triangolo virtuale in quel luogo esiste veramente!
Infatti, le linee dei pollici di sant’Andrea non sono che “guide” per i due lati del triangolo che
convergono nel bottone posto al centro del girocollo del santo.
La “base” del triangolo parte invece dall’inizio della lama - in prossimità
dell’impugnatura – per quindi congiungersi con il lato sinistro del poligono: è la lama ora a
fungere da calibro, con la punta che segnala i “2/3” della base del triangolo.
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Il gesto, per certi versi “contabile” delle mai aperte di sant’Andrea, oltre a confermare
dattilologicamente i “10” punti del simbolo pitagorico, potrebbe anche alludere a
qualcos’altro: infatti, il “10”, espresso in numero romano, coincide sia con lo strumento del
martirio del santo (la croce ad “X” di sant’Andrea), sia con la lettera greca “X” (chi) di
”Crisma”.
Ma procediamo per gradi. Riguardo alla numerazione è Leonardo stesso ad instradarci.
Il compito è affidato allo “zelante” Simone (il primo apostolo a partire da destra), raffigurato
nell’atto di conteggiare con il pollice a contatto con il mignolo: come a dire, ancora una volta,
“2 dita su 3”.
In realtà, ciò che lo Zelota intende rivelare è, semmai, il
significato
per
così
dire
“energetico”
della
tetraktys,
simboleggiato dall’armonico pitagorico di “quinta” che guarda caso! - si ottiene sfiorando una corda musicale ai 2/3
della lunghezza. Il concetto è infatti ribadito sia dal pollice che
contatta il “V” dito mignolo, sia dal gesto del suo interlocutore
Taddeo (il secondo da destra), che contrae la mano formando
un “V”.
Conseguentemente, anche le due mani disposte quasi sullo stesso piano ai due lati
della testa di Giuda (la quarta figura da sinistra), andrebbero lette come due “V” orizzontali
che, sommati, danno appunto il numero romano “X” [fig. V]. Ne abbiamo conferma nel lato
opposto del dipinto nella gestualità di Matteo (il terzo apostolo da destra).
Appare inoltre chiaro che i gesti degli apostoli siano orientati principalmente verso il
centro della scena, ma a destra di Gesù, così come lascia indiziariamente intendere
l'inclinazione stessa del busto del Redentore. Ed è proprio in quel punto del dipinto che
s’intuisce la presenza di una grande “X” virtuale.
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Infatti, se congiungiamo idealmente con una linea la mano destra di Gesù e la mano
più in alto di San Filippo, otterremo una diagonale che s’interseca con un’altra diagonale
rappresentata dalle braccia aperte di Giacomo Minore (l’apostolo a destra di Gesù).
E lo schema di una grande “X” appare disegnato nella zona del ventre di Giacomo
Minore: forse lo stato di degrado dell’affresco ha fatto emergere il “disegno-guida” originario
utilizzato dall’artista?
Lo storico dell’arte Wasserman, cita la leggenda che voleva Giacomo Minore talmente
somigliante a Gesù che, come segnale del tradimento, fu deciso il bacio di Giuda per evitare
una confusione tra i due. D’altra parte, però, fu Giacomo Maggiore a godere del privilegio,
insieme a Giovanni e Pietro, di assistere di persona al miracolo della Trasfigurazione.
Nasce legittimo il sospetto che Leonardo abbia voluto incarnare nella figura di
Giacomo Minore il doppio trasfigurato di Gesù, il “Cristo”, l’ ”Unto”. E non è certamente
casuale la circostanza che l’artista privi proprio Gesù di qualsiasi gestualità simbolica
significativa, tanto da sentire il bisogno di duplicare il
concetto rappresentando all’estremità sinistra del tavolo
l’apostolo Bartolomeo in atteggiamento di mero spettatore.
La presenza di Tommaso accanto a Giacomo si
giustificherebbe per il fatto che il nome “Tommaso” deriva
dall’aramaico Toma, che vuol dire appunto gemello,
doppio; senza contare, poi, che l’indice puntato da
Tommaso (un gesto emblematico di molte figure
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leonardesche) fa pensare alla parola latina “index”, scindibile – mantenendo un senso
compiuto - nei due termini “inde x”. Anche in questo caso, dunque, la grande “X” virtuale
incentrata nella figura di Giacomo Minore avrebbe il suo legittimo duplicato.
Come si è detto, il numero “X” corrisponde alla lettera greca “chi”, l’iniziale, cioè, sia
della parola “Crisma”, sia di “Cristo”. In questo senso, Leonardo avrebbe unificato i due
significati, facendo coincidere il principio Cristico dell’Unzione con il personaggio storico.
Se così fosse, il Cenacolo acquisterebbe la valenza simbolica di un’ “officina
gnostica” in cui far rivivere il mistero Cristico come metafora di un evento fisiologico reale:
quello che si determina nel “sesto” mese di gravidanza, quando il feto d’uomo si ricopre di
una sostanza oleosa - la cosiddetta “vernice caseosa” – che serve a proteggere il feto
dall’azione macerante del liquido amniotico.
Non si può infatti escludere, a priori, l’ipotesi che i primi gnostici cristiani - quelli
tanto osannati da Gustav Jung, per intenderci! - avessero già intuito che l’interposizione della
vernice caseosa (alias la “mirra” che giunge il “6” di gennaio) tra il feto e la sua “formastampo” ricavata nel liquido amniotico, fosse in grado di scatenare l’evento psicologico per
antonomasia: la nascita della coscienza, ovvero - detto in termini moderni – lo scatenamento
anticipato dell’imprinting fetale sull’immagine archetipica impressa nel liquido amniotico da
parte del feto stesso.
Si spiegherebbe in questo modo l’insistenza di Leonardo nei confronti del simbolo
della tetraktys e della frazione “2/3” che ne esprime il lato!
Infatti, il risultato “periodico” di questa frazione lo si evince, sia nei “6” spazi
longitudinali che inframmezzano le travature del soffitto additate da Tommaso (ognuno dei
quali pare contenerne altrettanti disposti trasversalmente), sia sommando il dito indice di
Tommaso con le sottostanti “5” dita della mano aperta di Giacomo Minore .
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