Donne e Bibbia - Carmelitane Scalze Concenedo

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Monastero S.Maria del Monte Carmelo ::: Concenedo di Barzio
Donne e Bibbia
di C. Dobner
La fondatezza che si staglia nelle pagine di “Fra Oriente e Occidente: donne e Bibbia nell’alto Medioevo
(secoli VI-XI) greci, latini, ebrei, arabi” (Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 28€),- ultimo volume della collana
“La Bibbia e le donne”- consente di ripensare il rapporto della donna e delle donne con la Bibbia.
La premessa è lo scavo storico e spirituale inserito nella documentazione del secolo preso in esame.
Nell’introduzione le due curatrici, Franca Ela Consolino e Judith Herrin, circoscrivono l’ambito della ricerca
e dettagliano il metodo seguito: “Il primo medioevo è un’epoca storica spesso considerata interamente
cristiana- nel senso di cattolico romana- ma ovviamente fra il V e l’XI secolo d. C. fiorirono anche altre forme di
cristianesimo e altre fedi”.
Si tratta di fedi differenti: greco ortodossa, ariana, monofisita, donatista, nestoriana. Come pure di religioni differenti:
giudaismo e islam: “nel mettere insieme il nostro volume, ci è sembrato opportuno che riflettesse queste differenti
realtà, rappresentando in modo il più possibile inclusivo le relazioni con la Bibbia di donne diverse per area geografica,
estrazione sociale e livello culturale”.
I tredici saggi rispecchiano questa ottica anche nell’opzione delle loro autrici appartenenti ad Università quali Cipro,
Torino, Australia, Nottingham, Princeton… con la presenza di soli due autori, Giuseppe Cremascoli, Bologna, e
Francesco Stella, Siena.
La Bibbia può essere intesa diversamente: Libro che dettaglia le prescrizioni sulle donne o per le donne; Libro in cui le
donne agiscono e sono soggetti che diventano esemplari; Testo Sacro su cui alcune donne possono chinarsi per
scrutarla e trarne linfa vitale per la loro vita, come si arguisce dagli scritti della monaca Kassia di Bisanzio, di Rosvita in
Occidente e di Dhuoda in tempi carolingi, figure in cui la donna scrittrice appare autonoma e libera nel suo contatto
diretto con il testo rivelato.
Troppo spesso invece la donna appare condotta, quindi ogni conoscenza, ogni assaporamento della Parola di Dio, è
mediato dagli uomini di chiesa. È questione di cultura ma anche di mentalità allora corrente.
Il saggio introduttivo di Stavroula Constantinou “ ‘Il capo della donna è l’uomo’: la Kyriarchia
e la retorica della subordinazione femminile nella letteratura bizantina” intende proprio esaminare la situazione
sociologica e “la maniera in cui gli autori bizantini fanno uso dell’ideologia biblica e in particolare della
famosa definizione paolina per cui “il capo della donna è l’uomo” (1 Cor 11,3) allo scopo di
giustificare, rafforzare e sostenere la kyriarchia della loro società, il cui funzionamento era pesantemente basato sulla
disuguaglianza fra i sessi”.
Dove per kyriarchia si intenda “il sistema socio-politico di dominazione e subordinazione basato sul potere del
kyrios- il signore, padrone degli schiavi, paterfamilias e marito”, secondo la definizione di Schüssler Fiorenza.
La Bibbia, in questo preciso contesto, viene piegata al potere politico e sociale dominante, come dimostra l’analisi
dei testi presi in esame nell’antica e media letteratura bizantina che funzionarono “come un mezzo potente
che serve perfettamente alle strutture kyriarcali e agli scopi di una determinata società”.
Nel mondo dell’alto medioevo “governato da modelli ideologici in prevalenza patriarcali, le donne a prima
vista non sembrano certo chiamate ad occupare una posizione di primo piano negli ambiti della cultura e
dell’esegesi” scrive Christiane Veyrard-Cosme. Le ragioni risiedono nell’educazione ricevuta, nella
capacità di dominare una cultura libresca e “a più forte ragione, di scrivere e dare attuazione alle idee, di far propria
con un movimento ermeneutico la sacra Scrittura non sono –almeno nella stragrande maggioranza dei casi- i
parametri con cui valutare una donna degna di questo nome”.
Tuttavia, esistono delle eccezioni, cioè le vergini consacrate che godono di una posizione privilegiata, come si coglie
dall’ambito epistolare: Fulgenzio di Ruspe a Proba, che fonda “il suo ragionamento sull’etimo virper stabilire una uguaglianza delle donne e degli uomini riguardo alle virtù spirituali, basandosi su un estratto del I libro
della Bibbia, Gen 2, 21-22”. Il vescovo “giocando sui termini vir/virtus/virgo …perviene a fondare una
entità virtuale, quella della donna virile”, la virago.
Papa Nicola I nella sua corrispondenza voluminosa con Teodora, madre di Michele III e con l’imperatrice Eudocia
Decapolitissa, invita ad agire virilmente dimentiche della debolezza femminile e propone come modelli donne bibliche
quali Eva “vettore di elementi laudativi ma anche deprezzativi, a seconda del quadro in cui è chiamata ad
inserirsi”, Ester per “l’integrità della fede e sulla via della giustizia per il popolo di Dio, che è la
Chiesa”.
La Vergine Maria e la letteratura ebraica antica è esaminata da Martha Himmelfarb che prende in esame tre figure, la
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madre del Messia bambino che scompare, la madre dei sette figli e Chefsiba, che uccide i malvagi ed è madre di
Menachem il messia disceso da Davide, donne “che riflettono un aspetto diverso della reazione degli Ebrei antichi
alla figura della Vergine”.
Nel Corano, sostiene Ulrike Bechmann, le figure femminili bibliche “sono relativamente rare” ed esiste un
preciso criterio per inserire le loro vicende perché “sono utilizzate per annunciare qualcosa relativamente
all’agire di Dio”.
Una traversata fra le anse sconosciute di un grande fiume che solca i secoli e le culture.
23 febbraio
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