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Gian Francesco Tedeschi, gli apparati amministrativi moderni e gli organismi di diritto Pubblico
INDICE
CAPITOLO I
L’evoluzione degli apparati amministrativi moderni
1.1 Le Pubbliche Amministrazioni tra ordinamento comunitario e nazionale…….….pag. 1
1.2.Il Pluralismo amministrativo……………………………………………….…..…pag. 4
1.3 Enti pubblici, Imprese pubbliche, Amministrazioni aggiudicatrici e Organismi di diritto
pubblico…………………………………………………………………………... pag. 6
CAPITOLO II
Nozione ed elementi identificativi dell’Organismo di diritto Pubblico
nell’elaborazione normativa e giurisprudenziale europea
2.1 La nozione comunitaria di organismo di diritto pubblico….……….………….pag. 14
2.2.I singoli elementi costitutivi……..……….………………………… ………… pag.15
2.3 Rapporti dell’organismo di diritto pubblico con l’ in house providing…..……..pag 21
CAPITOLO III
Conseguenze applicative nell’Ordinamento interno. Profili sostanziali e
processuali
3.1 Le difficoltà esegetiche e l’importanza del recepimento della nozione comunitaria di
Organismo di diritto pubblico..……………………………………………………pag 24
3.2 Il progressivo allineamento del giudice italiano alla nozione comunitaria di organismo di
diritto pubblico. Inammissibilità dell’ipotesi di un organismo di diritto pubblico in parte
qua.....................................................................................................................….pag 26
3.3. Applicazioni di diritto sostanziale……………………..……………………..…..pag 31
a) gli enti di diritto interno da ricondurre nella nozione comunitaria
b) qualificazione come amministrativi degli atti emanati. Applicabilità della
disciplina dell’accesso agli atti degli organismi di diritto pubblico.
c) i vizi degli atti degli organismi di diritto pubblico
3.4 Applicazioni processuali…………………………………………………………...pag 42
a) la giurisdizione sugli organismi di diritto pubblico dopo la sent. 204/2004
b) Possibili divergenze tra il sopra e il sotto-soglia. Ultimi orientamenti della
giurisprudenza
CONCLUSIONI………………………………………………………………………………pag.47
BIBLIOGRAFIA…………………………………………………………………………….. pag.49
CAPITOLO I
L’evoluzione degli apparati amministrativi moderni
1.1 Le Pubbliche Amministrazioni tra ordinamento comunitario e nazionale
A distanza di quasi 50 anni dalla stipula del fondamentale Trattato di Roma del 1957, il
diritto della Comunità Europea, così come modificato e sviluppato a seguito dei radicali
cambiamenti politico-sociali registrati nel vecchio continente, è divenuto il principale artefice degli
indirizzi programmatici di fondo perseguiti negli ordinamenti giuridici dei singoli Stati membri.
Infatti, in ragione della riconosciuta supremazia integrante delle fonti del diritto comunitario
su quelle nazionali1 e del conseguente obbligo di recepimento ed applicazione interna delle stesse 2 ,
le funzioni legislative e giurisdizionali di ciascun Stato aderente all’UE risultano fortemente
condizionate dai dettami giuridici elaborati in sede europea (frutto, il più delle volte, di scelte
strategiche di carattere prevalentemente economico).
Un’influenza extranazionale così fortemente invasiva, ancorché pienamente legittima in
quanto funzionale al raggiungimento di valori e principi propri della civiltà europea unitariamente
considerata, richiede una intelligente opera di recepimento che tenga conto anche delle peculiarità
dei contesti normativi di ciascuna realtà nazionale e sia in grado di armonizzarli con gli obiettivi
dell’Ordinamento comunitario 3 .
Inoltre, alla parzialità degli scopi posti dai Trattati comunitari (alla Comunità Europea,
diversamente da quanto avviene per un ordinamento statale, non spetta occuparsi di tutti i possibili
interessi pubblici della popolazione dell’UE4 ) si accompagna la mancata coincidenza, da un punto
1
Infatti, il rapporto tra diritto comunitario e diritto degli Stati membri non è riconducibile al consueto rapporto tra
diritto internazionale e diritto interno: mentre quest’ultimo è un rapporto di coordinamento tra due sistemi giuridici
reciprocamente autonomi, il rapporto tra diritto comunitario e diritto degli Stati membri è di vera e propria integrazione,
in quanto i due ordinamenti non si trovano in una reciproca correlazione paritaria, ma l’ordinamento comunitario tende
ad integrarsi nell’ordinamento interno, in quanto non costituisce un sistema chiuso ed autosufficiente, ma ha bisogno
delle integrazioni ordinamentali degli Stati territoriali in cui si attua. Al contempo, nell’ipotesi di incompatibilità o
contraddizione tra norma comunitarie e norme nazionali, le prime prevalgono sulle seconde: è questo il fondamentale
principio di primautè del diritto comunitario, affermato giurisprudenzialmente dalle sent. Costa/Enel del 1964 e
Simmenthal del 1978.
2
Oltre alle “limitazioni di sovranità necessarie….” di cui al fondamentale articolo 11, la necessità del “rispetto…
dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario” da parte delle leggi statali e regionali è oggi costituzionalmente
sancito dal 1°comma dell’art. 117, come modificato dalla L.Cost. 3/2001.
3
In primis la concretizzazione di quel Mercato europeo comune in cui sia assicurata la libera circolazione di merci,
servizi, persone e capitali).
4
La CE agisce infatti “nei limiti delle competenze che le sono conferite e degli obbiettivi assegnati dal Trattato; la
sua azione non può andare al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obbiettivi del Trattato. Essa
interviene nei settori che non sono di sua esclusiva competenza, secondo il principio di sussidiarietà, soltanto se e nella
misura in cui gli obbiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati Membri” così
recita l’art 5 TrCE.
di vista sia terminologico che sostanziale, delle realtà e degli istituti giuridici previsti
nell’ordinamento comunitario con quelli tradizionalmente esistenti ed operanti negli ambiti
nazionali. Tale fenomeno si verifica soprattutto in quei settori nei quali la disciplina normativa
coinvolge l’attività delle Pubbliche Amministrazioni, e cioè degli apparati organizzativi cui è
affidata la cura degli interessi di una certa collettività in attuazione degli indirizzi formulati dal
potere politico.
Manca
infatti
nell’intero
diritto
comunitario
una
nozione
unitaria
di
Pubblica
Amministrazione ed è perfino sconosciuta l’attività di service public, intesa come attività
amministrativa autoritativa 5 .
Ciò si evidenzia anche dall’analisi delle diverse definizioni di volta in volta elaborate dalla
Corte di Giustizia in base alle esigenze proprie di ciascun settore dell’ordinamento. Così, se per
limitare l’ambito applicativo delle possibilità di deroga alla libera circolazione degli impiegati
pubblici se ne è accolta una nozione restrittiva (ad esempio, escludendo gli enti di erogazione idrica,
del gas ecc 6 ), per l’individuazione dei soggetti destinatari dell’efficacia diretta c.d. verticale delle
direttive sono state invece considerate come Pubbliche Amministrazioni anche i soggetti,
formalmente privati, incaricati di svolgere un servizio di interesse pubblico.
Tutto ciò rende particolarmente arduo il compito degli operatori di diritto chiamati a dare
attuazione interna alle norme comunitarie senza poter contare sulla univocità terminologica e
concettuale per individuare i soggetti giuridici titolari di funzioni e compiti amministrativi.
Infatti, a differenza di quanto verificatosi nel nostro ordinamento –dove, così come in tutti
gli altri Stati a diritto amministrativo, si è tradizionalmente tentato di predisporre una concezione
tendenzialmente unitaria di persona giuridica pubblica-, a livello comunitario la nozione di soggetto
pubblico è elaborata sempre settore per settore, cioè dimensionandola sulle esigenze sottese alla
normativa delle singole materie nelle quali il soggetto pubblico viene di volta in volta in rilievo.
Ciò è da ricondurre al fatto che in un ordinamento ancora prevalentemente economico, quale
quello comunitario, può rivelarsi controproducente per le dinamiche esigenze dell’economia
moderna, ancorare la natura e le conseguenti capacità funzionali dei soggetti operanti nel sistema
giuridico a formali e rigide etichette identificative. In particolare, l’evidente sfavore comunitario
verso una definizione generale di “organizzazione pubblica” deriva proprio dalla previsione soltanto
nazionale degli enti amministrativi: vi è cioè la preoccupazione che il loro collegamento con gli
5
Va anche notato che la Comunità non dispone di apparati amministrativi propri (salvo quelli necessari al
funzionamento degli apparati politici): l’attività amministrativa di attuazione degli indirizzi comunitari è pertanto svolta
normalmente dagli apparati burocratici di ciascuno Stato membro, tanto che al riguardo si parla di amministrazione
comunitaria indiretta.
6
Si è infatti stabilito che soltanto gli impieghi comportanti l’esercizio di compiti di responsabilità ovvero la
gestione di interessi prettamente pubblicistici connotano come pubblica l’attività lavorativa, con la conseguente
possibilità di esonero dalla normativa in tema di libera circolazione dei lavoratori europei.
interessi di parti limitate della popolazione europea renda i “pubblici poteri” propensi a discriminare
coloro che appartengono ad altri gruppi di popolazione. Inoltre si teme che la loro natura di entità
socio/politiche e non soltanto economiche li conduca ad operare deviando da quel criterio di
efficienza economico- imprenditoriale normalmente seguito dalle aziende private nel contrattare
l’acquisto o la vendita di beni e servizi e costituente un presupposto indefettibile per lo sviluppo
economico-sociale dell’intera UE.
Le Pubbliche Amministrazioni potrebbero infatti non preoccuparsi di agire secondo semplici
criteri di convenienza economica, sicché non solo utilizzerebbero “…danaro pubblico in misura
maggiore del necessario, ma finirebbero anche col violare il principio di imparzialità e dunque della
concorrenza tra le imprese del mercato europeo, addirittura premiando quelle inefficienti invece di
quelle capaci di produrre con i minori costi”7 .
Da ciò nasce allora il bisogno dell’UE di intervenire normativamente per riequilibrare quei
settori nei quali l’agire dei soggetti pubblici metta in pericolo la sana e libera competizione
concorrenziale.
1.2 Il Pluralismo amministrativo.
La mancanza a livello comunitario di un concetto unitario e omogeneo di soggetto pubblico
cui agganciare con certezza la disciplina a prevista per l’attività degli enti amministrativi, è acuita
nel nostro Ordinamento dal c.d pluralismo amministrativo, ossia dalla molteplicità delle forme
organizzative che i centri di potere amministrativo possono assumere in concreto.
Infatti, in base a tale principio -costituzionalmente sancito all’art. 5- accanto allo Stato, ente
pubblico per eccellenza, esistono altri soggetti dotati di capacità giuridica pubblica e privata che
perseguono fini di interesse pubblico. Il potere di amministrare, quindi, non è costruito come un
tutto indivisibile, ma è riconosciuto, secondo i criteri di decentramento e sussidarietà, in capo ad
enti esponenziali di formazioni sociali ove si svolge la personalità umana (art. 2 Cost.): enti
esponenziali di comunità territoriali o sociali ai quali è affidato il compito di perseguire, in base ad
autonome scelte, gli scopi della collettività rappresentata. Il pluralismo consente in tal modo anche
di limitare, controllare ed eventualmente contrastare il centro di potere dominante, identificato
storicamente nello Stato 8 .
7
Così Sorace D., Diritto delle Amministrazioni Pubbliche, Il Mulino 2002.
8
Nel contempo, l’esistenza del superiore principio dell’unità dell’ordinamento nazionale (non a caso
espressamente inserito nella recentissima proposta di modifica federale dell’attuale assetto costituzionale, quasi per
compensare lo sbilancia mento di poteri in favore degli enti territoriali) consente di evitare incontrollati e disordinati
trasferimenti alla periferia di competenze amministrative ontologicamente richiedenti un esercizio accentrato.
Va però sottolineato che tale complesso sistema è “sporcato” dalla emergente tendenza di
affidare funzioni per loro natura pubbliche anche a enti che non rientrano negli schemi
dell’organizzazione amministrativa classica. Si tende cioè a favorire l’affermarsi di figure
soggettive ibride, destinate ad operare in settori della società prima occupati direttamente dallo
Stato: si pensi allo sviluppo degli enti non profit o a quelle forme anomale di aggregazione di
interessi comuni che si verificano in determinati settori (per es. urbanistico con le convenzioni di
lottizzazione, economico con i patti territoriali). Ciò, anche grazie all’affermarsi di concetti come
deregulation e sussidiarietà orizzontale, ha posto le basi di una amministrazione c.d. obiettivata,
cioè svincolata da rigidi requisiti strutturali ed individuabile soltanto in base alla riscontrata
funzionalizzazione dell’attività al soddisfacimento di esigenze collettive.
E’ però necessaria una regolamentazione giuridica del fenomeno atta ad evitare che questo
“modo irrituale di fare amministrazione” possa determinare, specie nei settori economicamente più
appetibili, situazioni di confusione ordinamentale. Anche di qui il bisogno, non limitato all’ambito
comunitario, di individuare una nuova nozione in grado di racchiudere in sé i caratteri immanenti
propri di una amministrazione moderna.
1.3. Enti pubblici, Amministrazioni aggiudicatrici, Imprese pubbliche e Organismi di diritto
pubblico.
L’esigenza del legislatore comunitario di intervenire nella regolamentazione dei soli settori
strettamente funzionali al raggiungimento dei fini costituenti la ragion d’essere della Comunità, ha
comportato che la necessità di fissare i criteri identificativi della natura pubblicistica dei soggetti
giuridici si avvertisse specialmente per il settore degli appalti pubblici.
Da sempre, è questo un campo applicativo strategico per misurare concretamente il grado di
raggiungimento dei principi del liberismo economico e della trasparenza del Mercato comune
europeo e della connessa attuazione delle quattro libertà fondamentali espressamente indicate tra gli
obiettivi fondamentali dell’UE.
Scopo
generale
dell’ordinamento
comunitario
è
infatti
quello
di
evitare
che
nell’assegnazione degli appalti pubblici venga violata la par condicio tra le imprese del settore, e
quindi che la scelta dei soggetti con cui contrattare sia disancorata da considerazioni attinenti alla
sola qualità dell’offerta presentata (cioè oggettive) e invece condizionata da considerazioni di tipo
diverso (quali la nazionalità dell’impresa o l’opportunità politica di agire in un certo modo).
In un mercato in cui la libera competizione intracomunitaria tra le imprese è normalmente
assicurata dalla vocazione privatistica del soggetto che affida l’appalto (riscontrabile dall’intento
lucrativo che persegue, dalla piena responsabilità della propria politica d’impresa con la
conseguente sopportazione del relativo rischio), non c’è bisogno di apportare correttivi al
funzionamento di un sistema che risponde a logiche esclusivamente economiche. Viceversa,
laddove le caratteristiche strutturali o funzionali del soggetto agente inducano a ritenere che
l’attività si svolga secondo criteri diversi da quelli prettamente economici, allora il legislatore è
costretto a imporre un regime amministrativo particolare per certi atti, come la scelta dei contraenti.
Viene allora in rilievo la minuziosa procedura c.d. a evidenza pubblica perché in grado di garantire,
evidenziandola, l’imparzialità delle scelte effettuate e, conseguentemente, il confronto competitivo
tra i soggetti operanti nel settore.
Va però sottolineata una decisiva differenza tra le finalità perseguite dalle normative
comunitarie sull’evidenza pubblica e dalle omologhe discipline nazionali.
Mentre le prime sono rivolte esclusivamente alla tutela di tutti gli operatori economici degli
Stati membri (con la connessa operatività dei principi del divieto di discriminazione tra le imprese
comunitarie, dell’individuazione di trasparenti criteri qualitativi di selezione), le seconde appaiono
fisiologicamente tese a privilegiare l’imparzialità e la legittimità dell’azione amministrativa,
garantendo al contempo il buon andamento di questa e la tutela dell’erario (con un evidente
spostamento del baricentro di tutela verso gli interessi dell’ appaltante).
Se questa è la situazione, ben si comprende allora perchè le istituzioni comunitarie abbiano
dagli anni ‘70 ignorato gli analoghi concetti già utilizzati all’interno dei singoli Stati membri per
qualificare le varie articolazioni organizzative del potere pubblico.
C’era infatti bisogno di un concetto che si emancipasse dalle rigide nozioni di Ente pubblico
così come diffusamente elaborate dalla dottrina e giurisprudenza nazionali 9 , e che garantisse proprio
nello strategico settore degli appalti pubblici la più ampia operatività dei principi comunitari di leale
e trasparente concorrenza.
Era in particolare necessario contrastare in maniera diretta ed efficace quelle politiche
protezionistiche delle proprie imprese nazionali che i singoli Stati membri continuavano a porre in
essere, pur formalmente dichiarando di condividere pienamente le finalità di unificazione
economica poste alla base del Trattato istitutivo.
Era infatti invalsa la consuetudine di affidare compiti e funzioni amministrative a nuovi
soggetti appositamente creati mutuando formule organizzative del tutto nuove e quindi non
rientranti in quelle formalmente tenute al rispetto della regole comunitarie dell’evidenza pubblica.
9
Le quali, pur riconoscendo l’attuale processo di detipizzazione della categoria degli Enti pubblici, causato dal
sempre più accentuato pluralismo delle PP.AA. che ne ha diluito i caratteri comuni, continuano ad ancorare tale
qualifica a indici di riconoscimento formali, quali l’ingerenza della P.A. nella determinazione strutturale, il
finanziamento pubblico e la partecipazione dello Stato alle spese di gestione, l’essere dotato di poteri autoritativa, la
costituzione ad iniziativa pubblica ecc..
Pertanto, accortosi della fallacia e della facilità di elusione del criterio identificativo
utilizzato nella prima direttiva direttiva in materia di appalti pubblici di opere (71/305)10 , il
legislatore comunitario –accogliendo le osservazioni critiche contenute nel parere del Comitato
economico e sociale della Comunità del 1987 11 - con la direttiva 89/440 ha ripudiato la precedente
previsione di elencazione tassativa dei soggetti tenuti al rispetto delle procedure comunitarie di
aggiudicazione degli appalti e ha introdotto una nozione elastica di soggetto pubblico, in grado di
abbracciare qualsiasi entità giuridica, pubblica o priva ta, funzionalizzata al soddisfacimento di
interessi effettivamente collettivi.
L’art. 1 lett. b) di tale direttiva stabilisce infatti che si considerano Amministrazioni
aggiudicatici, oltre lo Stato e gli Enti locali, gli “organismi di diritto pubblico”, tali essendo quei
soggetti giuridici “istituiti per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale aventi
carattere non industriale o commerciale , dotati di personalità giuridica e la cui attività sia
finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli Enti locali o da altri organismi di diritto
pubblico, oppure la cui gestione è sottoposta a controllo da questi ultimi, oppure i cui organi di
amministrazione, o di direzione o di vigilanza, sono costituiti da membri più della metà dei quali è
designata dallo stato, dagli enti locali o da altri organismi di diritto pubblico”.
Pertanto la nozione di Amministrazione aggiudicatrice, concetto cardine di tutto il diritto
comunitario degli appalti, si arricchisce notevolmente in quanto ricomprende tre categorie di enti
dei quali soltanto i primi due sono identificati secondo i tradizionali elementi formali (Stato ed Enti
Locali) mentre il terzo si slega dal precedente riferimento alla personalità giuridica pubblica e si
pone come “categoria aperta”, avente cioè carattere residuale idoneo a contenere ogni soggetto di
diritto che svolga un’attività qualificata pubblica in base ad una serie di indici fattuali.
Grazie alla previsione della nozione di organismo di diritto pubblico, si è cioè abbandonato
un criterio di qualificazione formale per seguirne uno elastico, in grado di restringersi e riespandersi
caso per caso a seconda della effettiva funzionalizzazione dell’attività esercitata dall’Ente ai bisogni
pubblici12 . Ciò con il palese intento di “snidare la pubblicità reale che si nasconde sotto diverse
10
Infatti si delimitava l’ambito soggettivo di efficacia alle sole Amministrazioni aggiudicatici, individuandole
nello Stato, negli enti territoriali e nelle altre persone giuridiche di diritto pubblico tassativamente elencate in un
apposito allegato.
11
In cui si denunciava il sistematico aggiramento della normativa comunitaria da parte degli Stati membri
attraverso la costituzione di apposite società che, formalmente private ma sostanzialmente pubbliche, non rientravano
nelle categorie dei soggetti elencati nella direttiva. Ciò impediva di fatto la realizzazione dell’auspicata apertura del
mercato europeo alla reale competizione concorrenziale, con la conseguente mortificazione dei principi fondanti la
nascita di un unione economica, politica e sociale dei paesi europei.
12
Si coglie il carattere non tassativo, ma ricognitivo, degli elenchi di organismi di diritto pubblico comunque
presenti nell’allegato anche in base ala formula normativa prescelta che prevede espressamente la possibilità di una loro
revisione secondo la procedura di cui all’art. 35 della direttiva stessa. In tal senso cfr. D.Sorace, L’ente pubblico tra
diritto comunitario e diritto nazionale, in Riv. Ital. di Dir. Pubbl. com. 1992, 357 e ssg.
forme”13 , in modo da estendere l’ambito soggettivo di operatività della normativa comunitaria volta
ad assicurare la par condicio tra tutte le imprese operanti nel settore degli appalti pubblici.
Si coglie così la principale differenza tra pubblica amministrazione nazionale e
amministrazione aggiudicatrice/organismo di diritto pubblico: mentre la prima è tale perché così
qualificata dalla singola legge nazionale istitutiva, in base alle peculiari valutazioni politicoeconomiche interne, la seconda ha rilievo esclusivamente in base al carattere collettivo delle utilità
che mira a conseguire nel mercato in cui opera.
La portata innovativa che ha accompagnato tale nozione è stata poi estesa a tutto il campo
degli appalti comunitari, in quanto la stessa formulazione è stata prevista anche nelle successive
direttive 92/50 (in materia di appalti pubblici di servizi), 93/36 (forniture), 93/37 (lavori), e poi
ripetute nella recentissima direttiva quadro n.18 del 31/3/2004 destinata a sostituire tutte le
pregresse normative a decorrere dal 31 gennaio 2006.
Nella direttiva regolante gli appalti pubblici negli ex settori esclusi14 (93/38 riprodotta quasi
integralmente nella recente 04/17), il legislatore comunitario ha allarga to il novero delle
Amministrazioni aggiudicatici includendovi anche l’impresa pubblica, ossia il fenomeno tramite il
quale di norma il potere pubblico interviene nell’economia. Tale istituto, definito come impresa nei
cui confronti le amministrazioni aggiudicatrici possono esercitare direttamente o indirettamente
un’influenza determinante per ragioni di proprietà, di partecipazione finanziaria o della normativa
che le disciplina si differenzia però nettamente dall’organismo di diritto pubblico in quanto, al pari
di qualsiasi ente privato che eserciti un’attività economica, è caratterizzata dalla finalità del
perseguimento di uno scopo di lucro o dal criteri di autonomia finanziaria nella relativa gestione 15 .
In altri termini, l’impresa pubblica, quantunque riconducibile alla mano pubblica, opera
sopportando direttamente il rischio economico dell’attività svolta e quindi, agli effetti comunitari
(per i quali -ex art. 295 Tr.CE- è irrilevante il regime proprietario dei beni vigente all’interno del
singolo ordinamento nazionale), va assoggettata alla normale disciplina della concorrenza: soltanto
laddove non agisca secondo la logica d’impresa mirante alla remunerazione del capitale, sarà
equiparabile, anche quanto a disciplina, all’organismo di diritto pubblico semprechè ne presenti i
13
Così Torregrossa, I principi fondamentali dell’appalto comunitario, in Appaltare in Europa, Rionero in
Vulture, 1992.
14
Ci si riferisce ai settori dei trasporti, acqua, energia, telecomunicazioni -e, oggi, anche le poste- nei quali
l’originaria assenza di concorrenza derivava da un intervento dello Stato che accordava un monopolio o una situazione
di privilegio a un determinato operatore. A seguito dei fenomeni c.d. di privatizzazione, è oggi necessario verificare il
grado di apertura alla concorrenza di tali settori, prevedendo meccanismi riequilibratori attraverso l’imposizione di
obblighi in materia di pubblicità e di procedure per l’aggiudicazione degli appalti.
15
Si attribuisce ovviamente rilievo anche all’influenza dominante variamente esercitata dalla P.A. sull’impresa.
La categoria comprende pertanto non soltanto le aziende autonome egli enti pubblici economici, ma anche le società di
capitali a prevalente partecipazione pubblica o comunque a dominanza pubblica.
medesimi caratteri costitutivi (e in particolare vi sia il perseguimento di bisogni di interesse
generale privi del carattere industriale o commerciale).
Invece, nella sola ipotesi di appalti posti in essere nei c.d. settori esclusi, essa sarà comunque
assoggettata alle procedure dell’evidenza pubblica previste nella direttiva 93/38 e rientrerà quindi
nell’ampia nozione di amministrazione aggiudicatrice a prescindere da qualsiasi indagine circa il
carattere dei bisogni da soddisfare: requisito teleologico, quest’ultimo, proprio della sola e più
ampia nozione di organismo di diritto pubblico 16 .
In definitiva, una distinzione tra le imprese e gli organismi di diritto pubblico emergerà solo
all’esito di un’attenta analisi concentrata sul tipo di collegamento con l’interesse pubblico che
contraddistingue ogni singolo soggetto e sui conseguenti effetti nella sua attività imprenditoriale.
Nel caso in cui il soggetto agente goda di posizioni di esclusiva, o comunque di immunità
rispetto alle regole di mercato, lo svolgimento anche di un’attività imprenditoriale non farà venir
meno la sua qualità di organismo di diritto pubblico: in caso contrario, si tratterà di un’impresa
pubblica 17 .
CAPITOLO II
Nozione ed elementi costitutivi dell’Organismo di diritto pubblico nell’elaborazione
normativa e giurisprudenziale europea
2.1 La nozione funzionale di organismo di diritto pubblico
Da quanto brevemente illustrato nel capitolo precedente, è emerso come nel diritto
comunitario la elaborazione della nozione di organismo di diritto pubblico di cui alla
direttiva 89/440, ancorché circoscritta al solo ambito degli appalti comunitari, abbia avuto il
non trascurabile merito di arricchire notevolmente la generale categoria delle
Amministrazioni aggiudicatrici, in quanto il suo carattere residuale ha consentito di supplire
16
Tale percorso logico-giuridico figura nell’Ordinanza del C.d.S. 167/04 di rimessione all’Ad.Plenaria di una
controversia incentrata sulla disciplina da applicare in base alla accertata ricorrenza per la Grandi Stazioni s.p.a. di tutti i
requisiti costitutivi della nozione comunitaria di organismo di diritto pubblico, trattandosi di un appalto di servizi di cui
alla direttiva 92/50.
17
Un criterio distintivo parzialmente diverso era invece quello prescelto nel 1977 per individuare l’ambito
soggettivo di applicazione della direttiva n. 388, la quale assoggettava ad IVA le attività compiute da soggetti controllati
dalla mano pubblica solo laddove fossero compiute in qualità di soggetti privati.
alla insufficiente “copertura soggettiva” che le tradizionali elencazioni tassative avevano in
precedenza comportato.
Ad ogni buon conto, il valore della nozione europea si rinviene nel fatto che le
persone giuridiche (pubbliche o private) che possiedano determinati indici rilevatori
sintomatici di una reale pubblicità sono per ciò stesso tenute ad applicare una certa
disciplina nell’aggiudicazione dei vari tipi di appalti, pur restando assoggettate per
costituzione, attività e funzionamento al rispettivo diritto nazionale.
Il criterio teleologico in base al quale è stata normativamente costruita la nozione di
organismo di diritto pubblico (specie mediante la previsione di requisiti sostanziali da
accertare soltanto caso per caso) è stato adottato dalla giurisprudenza comunitaria anche
quale canone interpretativo dell’intera disciplina sugli appalti europei.
Come si avrà modo di notare dall’esame di alcune significative pronunce della Corte
di Giustizia, le oscillazioni apparentemente inspiegabili circa il riconoscimento o la
negazione della qualifica di diritto pubblico a parità di condizioni fattuali, sono
probabilmente il frutto congiunto di ragionamenti giuridici e decisioni politiche, in cui si
tengono sempre presenti le motivazioni di fondo, anche e soprattutto economiche, del
sistema europeo. In altri termini si è privilegiato un approccio applicativo che consente di
“manovrare” un dettato normativo sostanzialmente ambiguo, in modo da aggiornare
costantemente gli obiettivi del diritto comunitario degli appalti.
Forse è anche per ovviare a tali inconvenienti che, nell’ambito di un generale
processo di riordino e semplificazione della normativa comunitaria, si sta procedendo ad una
raccolta di tutte le direttive in materie di appalti di lavori, servizi e forniture in un unico testo
(direttiva 04/18) che però ad una prima analisi non sembra contenere sul punto alcuna
innovazione sostanziale 18 .
2.2.I singoli elementi costitutivi dell’orga nismo di diritto pubblico
In base alla formulazione normativa contenuta nella direttiva 89/440, la qualifica di
organismo di diritto pubblico spetta a quel soggetto che presenti cumulativamente 19 le
seguenti tre caratteristiche:
18
Per un primo commento alla direttiva si veda il contributo di C. Giurdanella ed A. Amato inserito nella rivista
giuridica on line Diritto&Diritti del luglio 2004.
19
Come espressamente stabilito a più riprese dalla CGE (si veda per tutti sent. 15.01.98, causa C 44/96
Mannemann anlagenbau, punto 25).
a)
il possesso della personalità giuridica 20 ;
b)
la sottoposizione ad una influenza pubblica, che si sostanzia o in un
finanziamento pubblico (quantitativamente) maggioritario dell’attività, o
in un controllo pubblico nella gestione o nella designazione e
composizione degli organi direttivi o di amministrazione o di vigilanza 21 ;
c)
il fine specificamente perseguito, ossia la funzionalizzazione dell’attività
al soddisfacimento di bisogni di interesse generale privi di carattere
industriale o commerciale.
Mentre i primi due requisiti, risolvendosi in connotati formali facilmente
individuabili, non pongono all’interprete particolari problemi di sorta, la accertabilità in
concreto del terzo indicatore sintomatico della qualifica pubblica di un organismo presenta
invece notevoli difficoltà ricostruttive.
Inoltre, seguendo le linee guida tracciate dall’attività interpretativa della
giurisprudenza comunitaria, si rileva che è proprio l’elemento finalistico a connotare la
nozione di organismo di diritto pubblico e quindi a fungere da discrimen rispetto ad entità
affini ma non tenute al rispetto della normativa comunitaria sugli appalti pubblici. Si è visto,
ad esempio, come la distinzione con l’impresa pubblica passi proprio attraverso la verifica
concreta della natura non industriale o commerciale dei bisogni di interesse generale che
l’attività dell’ente mira specificamente a soddisfare.
Attesa la volontà del legislatore comunitario di evitare fuorvianti schematizzazioni,
la qualifica di organismo di diritto pubblico dovrà pertanto essere ricostruita attraverso una
delicata indagine di tipo pragmatico volta ad accertare in primis il carattere generale dei
bisogni soddisfatti con l’attività (se cioè essi abbiano avuto un impatto sulla collettività) e,
solo in caso di riscontro positivo, se tali bisogni presentino carattere non industriale o
commerciale.
20
In particolare la personalità giuridica è ormai pacificamente individuata nella qualità di un ente consistente nella
attitudine ad essere titolare di situazioni giuridiche attive e passive e nel godimento di un regime di autonomia
patrimoniale perfetta. Ne consegue che, a prescindere dall’ordinamento di riferimento, in nulla sembra potersi
distinguere la personalità giuridica di diritto pubblico da quella di diritto privato.
21
Riguardo a tale elemento, le attenzioni della giurisprudenza comunitaria si sono appuntate sulla portata
dell’espressione “finanziamento rilevante”: al riguardo si è osservato come l’interpretazione di tale requisito vada
filtrata attraverso l’analisi della ratio comunitaria di tutela del principio del libero confronto concorrenziale tra le
imprese. Ne consegue che non saranno da considerare ricevute da un organismo di diritto pubblico quelle somme
erogate da una P.A. ad un soggetto, non in forma di puro aiuto economico, ma in adempimento di specifici rapporti
contrattuali: tali modalità non denotano, di per sé sole, alcuna alterazione del libero gioco della concorrenza,
costituendo invece esplicazione della normale autonomia negoziale di un qualsiasi ente. In tal senso CGE sent.
3.10.2000, University of Cambridge.
Riguardo all’elemento indiziante costituito dal controllo di gestione, il carattere ampio della formulazione normativa
consente di ricomprendervi anche tutte le ipotesi di acquisizione del pacchetto azionario di maggioranza del capitale
sociale. Del resto, la funzione della norma è anche quella di consentire a tutti gli operatori del settore di accedere ai
flussi finanziari pubblici in condizioni di parità e secondo le regole della concorrenza.
Al riguardo, l’esame della oscillante casistica giurisprudenziale consente di
individuare alcuni criteri interpretativi seguiti dalla Corte di Giustizia, con la avvertenza che
comunque si tratta di sempre
di
decisioni
particolari,
assolutamente
da
non
decontestualizzare per le peculiarità (anche e soprattutto economiche) dell’episodio di vita
che le ha originate.
In particolare si è ritenuto che :
-- ai fini della configurazione del terzo elemento sintomatico della qualifica di
organismo di diritto pubblico, costituiscono bisogni di interesse generale privi di carattere
commerciale quelli soddisfatti da un Ente preposto al funzionamento istituzionale
dell’apparato statale, in quanto rivolti ad esso e no n alla collettività indifferenziata degli
utenti, come invece avviene per le attività qualificabili come commerciali o industriali 22 ;
-- la nozione di bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o
commerciale non esclude la compresenza di un altro ramo di attività funzionale al
soddisfacimento di bisogni (anche) di carattere commerciale: ciò sia perchè il tenore letterale
dell’art. 2 lett. b. dir. 440/89 lo consente (si usa il termine “specificamente” e non
“unicamente”), sia perché la citata normativa non distingue gli appalti da aggiudicare a
seconda che siano o meno relativi a quella fetta di attività direttamente collegata al
soddisfacimento di bisogni privi del carattere commerciale o industriale, e sia infine per
esigenze di certezza del diritto comunitario che deve potere essere di chiara e facile
applicazione 23 ;
-- ai fini della riconducibilità nella nozione di organismo di diritto pubblico è
irrilevante la veste giuridica del soggetto agente e il conseguente regime giuridico cui è
sottoposta l’attività, risultando decisiva soltanto la natura dei bisogni per il cui
soddisfacimento l’ente è stato istituito ed opera. Pertanto nulla esclude che anche imprese
private (nella specie societarie) possano soddisfare bisogni di interesse generale aventi
carattere non industriale o commerciale. Né il carattere commerciale dei bisogni deriva
necessariamente dalla circostanza che l’Ente operi in regime di concorrenza con altre
imprese, potendo tale situazione costituirne un semplice indizio, da confermare o da
smentire unicamente in base alla verifica della concreta funzionalizzazione della attività al
22
sent. Mannesmann cit. Nel caso di specie, si trattava della Tipografia di Stato austriaca, la cui attività quantunque destinata anche alla produzione ed edizione di libri, giornali ecc.- era principalmente diretta a garantire allo
Stato l’approvvigionamento in esclusiva del materiale cartaceo per documenti, passaporti ecc, ed esigente quindi una
garanzia di approvvigionamento dei relativi prodotti per la sicurezza dello Stato.
23
sent. BFI Holding, punto 53, sent. Mannesmann, cit, passim.. E’ questa la tematica dell’ammissibilità, negata
dalle pronunce comunitarie, di un organismo qualificabile di diritto pubblico c.d. in parte qua, vale a dire soltanto in
relazione alle attività effettivamente rivolte al perseguimento di bisogni di interesse generale non aventi carattere
commerciale/industriale. Per una critica a tale impostazione, seguita anche dalla giurisprudenza italiana, vd infra cap III
soddisfacimento di bisogni non industriali, quali, ad esempio, la tutela dell’ambiente e della
salute pubblica 24 ;
-- l’esistenza di una situazione concorrenziale in cui si ritrovi ad operare un ente di
cui si voglia indagare la qualifica di organismo di diritto pubblico, è un fattore altamente
indiziante della natura industriale o commerciale dei bisogni perseguiti: bisognerà pertanto
approfondire la relativa indagine subordinando il definitivo riscontro positivo alla concreta
verifica dello scopo di lucro perseguito e della sopportazione in proprio delle perdite
commerciali conseguenti all’attività;
-- la natura non industriale o commerciale dei bisogni istituzionalmente soddisfatti
potrà dirsi sussistente (e quindi si configurerà un organismo di diritto pubblico) allorché si
tratti di bisogni che, da un lato, sono soddisfatti in modo diverso dall’offerta di beni e servizi
sul mercato, e, dall’altro, al cui soddisfacimento lo Stato preferisca provvedere direttamente
ovvero con modalità organizzative tali da consentirgli di mantenere un’influenza dominante.
Spetta comunque sempre al giudice nazionale, quale giudice naturale del caso concreto,
valutare le circostanze in cui sia stato costituito l’ente di cui si vuole accertare la qualifica, e
le condizioni in cui esso esercita la propria attività, tra cui, in particolare, l’assenza di uno
scopo lucrativo, la mancata assunzione dei rischi connessi a tale attività, nonché l’eventuale
finanziamento pubblico dell’attività 25 ;
-- un ente fieristico che, in concorrenza con altri operatori del settore, svolga attività
volte all’organizzazione di esposizioni, rassegne ecc. non perseguenti uno scopo lucrativo,
non va considerato, ai fini della normativa comunitaria, organismo di diritto pubblico in
quanto i bisogni di interesse generale da esso soddisfatti presentano carattere commerciale in
ragione dei criteri di rendimento/efficacia/redditività della gestione, così come comprovato
24
Sent. CGE BFI Holding cit., passim E’ stato così ritenuto organismo di diritto pubblico una società costituita da
due comuni olandesi per la raccolta e la gestione del ciclo dei rifiuti, in quanto l’esame fattuale ha evidenziato che le
considerazioni che orientavano l’attività societaria non erano di natura puramente economica, come invece accade per
le imprese private, ontologicamente mosse da una logica di profitto. “…pertanto, si potrebbe ipotizzare che anche un
ente operante sul mercato in regime di concorrenza sia indotto a subire perdite economiche al fine di perseguire una
determinata politica di acquisti dell’ente da cui dipenda strettamente”.
25
Sent. CGE, 22.05.2003, Taitotalo, passim. La singolarità delle conclusioni cui perviene la Corte
(riconoscimento della qualifica di organismo di diritto pubblico) si coglie nell’assunto per cui l’attività svolta dalla
s.p.a. locale (acquistare, vendere e locare unità immobiliari in costruzione) risponde a un bisogno d’interesse generale
(identificato nell’impulso agli scambi e allo sviluppo economico e sociale dell’intera area geografica in quanto
ricollegabile alla decisione del Comune di realizzare in loco un polo tecnologico) qualificato altresì come non
commerciale. Infatti, facendo leva su un iniziale finanziamento comunale di cui tale società aveva beneficiato e sulla
verosimiglianza di un futuro intervento finanziario pubblico per sostenere -all’occorrenza- l’attività stessa, si conclude
per il carattere non industriale né commerciale dei bisogni istituzionali di tale società ,consistenti nel “miglioramento
delle condizioni generali di esercizio dell’attività economica nell’ambito del territorio dell’ente locale”. Pertanto, il
carattere non industriale viene desunto non da un dato reale (la riconosciuta identità con le attività svolte da imprese
private ,al pari delle quali si ammette che anche la s.p.a. locale potrebbe fallire) ma addirittura da un dover essere (la
previsione della normativa finlandese circa il reinvestimento dei profitti nelle attività dirette a promuovere in via
prioritaria l’interesse generale degli abitanti dell’ente locale interessato).
dall’assenza di finanziamenti pubblici e dalla conseguente assunzione in proprio del relativo
rischio d’impresa26 .
A conclusione della sommaria disamina delle principali pronunce della Corte di
Giustizia della CE, è possibile cogliere alcuni spunti per una riflessione riassuntiva.
Rimarcata la estrema fragilità della linea di demarcazione tra le attività commerciali
e non che un organismo di diritto pubblico può contemporaneamente esercitare, parte della
dottrina 27 propone una distinzione in base al grado di incidenza che l’attività svolta dal
soggetto agente provoca nel mercato: solo se l’influsso dei bisogni generali perseguiti con
l’attività è tale da comprimere le regole del normale andamento di esso, allora si tratterà di
un organismo svolgente una funzione pubblica.
Anche il giudice comunitario dimostra di voler prescindere dalla forma organizzativa
rivestita dal soggetto, ma insiste su criteri distintivi basati soltanto su un approccio
sostanziale –in quanto fondato sull’esame concreto dell’attività esercitata dall’ente-,
funzionale –perché improntato sull’analisi dell’elemento finalistico- e sistematico perché
rinvia agli obiettivi della disciplina comunitaria degli appalti pubblici (cioè la tutela della
concorrenza).
Inoltre, la naturale promiscuità delle diverse attività esercitabili contemporaneamente
dai soggetti operanti nel moderno sistema economico europeo, unita all’esigenza di
assicurare certezza nell’applicazione del diritto comunitario, hanno indotto il legislatore a
ricercare i riferimenti sostanziali decisivi ai fini della qualificazione dell’organismo di diritto
pubblico ponendo l’accento non sulla tipologia delle attività svolte, bensì sulla natura
intrinseca dei bisogni in concreto soddisfatti.
Posta la impossibilità di definire astrattamente le caratteristiche di tali bisogni, è stato
allora merito del giudice comunitario indagare, di pari passo con le conquiste del progresso
delle tecniche commerciali, gli indici fattuali realmente sintomatici di quel modus operandi
che impone l’applicazione delle direttive comunitarie in materia di appalti.
Essendo infatti rivolte ad eliminare le pratiche che restringono il gioco della libera
concorrenza, limitando in particolare la partecipazione alle relative procedure delle imprese
degli altri Stati membri, tali normative entrano in gioco solo laddove si registri la presenza
26
Sent. CGE 10.05.2001, Ente Fiera di Milano., A differenza del caso precedente, in questa occasione la Corte,
chiudendo una incertezza interpretativa che aveva coinvolto anche i giudici italiani (su cui vd. infra), dimostra il
carattere commerciale dei bisogni generali soddisfatti (impulso agli scambi favorendo la conoscenza dei prodotti alla
massa dei consumatori) dall’attività esercitata (in sé non lucrativa), facendo leva sull’autofinanziamento dell’attività
stessa, evincibile dallo statuto dell’ente che non prevede alcun meccanismo per compensare eventuali perdite
finanziarie.
27
Vd. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, pag. 98.
di un soggetto in grado di squilibrare il mercato, in ragione della natura non solo economica
delle valutazioni che lo determinano ad agire.
Di conseguenza, l’assenza del rischio d’impresa, rappresentante l’ultimo approdo
della giurisprudenza comunitaria in questa delicata indagine, potrebbe costituire, se
coadiuvato dagli altri requisiti già visti, il connotato veramente decisivo cui ancorare la
nozione di organismo di diritto pubblico.
Infatti, un soggetto che operi assumendosi totalmente i rischi connessi alla propria
attività, non avrà interesse ad impegnarsi in un procedimento di affidamento di un appalto a
condizioni che non siano economicamente giustificate e convenienti, sicché non correrà il
rischio di contravvenire ai principi di trasparenza e concorrenzialità codificati nell’art. 2 del
TrCE.
2.3 Rapporti dell’organismo di diritto pubblico con l’ in house providing
Una volta individuati i tre requisiti cumulativamente necessari alla qualificazione di
un ente in termini di organismo di diritto pubblico, corre l’obbligo di delimitare i contorni
del similare concetto di “affidatario/amministrazione aggiudicatrice” rilevante nell’ipotesi
c.d. di affidamento in house, in cui si assiste ad una ipotesi eccezionale derogatoria alla
applicazione delle direttive comunitarie.
Trattasi di un istituto disciplinato dall’art. 6 della direttiva 92/50 di coordinamento
delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi 28 , e poi esteso a tutto il
diritto comunitario degli appalti subordinatamente alla ricorrenza di due requisiti individuati
dalla storica sentenza Teckal del 1999. Stimolata a pronunciarsi dal TAR emiliano circa
l’obbligatorietà di assoggettare alle regole dell’evidenza pubblica le procedure di
affidamento di un appalto misto in favore di un consorzio tra enti locali costituito ex art. 25
l. 142/90 (ora art. 31 T.U.E.L.), la Corte di Giustizia ha affermato che l’ambito di
applicazione delle direttive comunitarie sugli appalti concerne tutte le ipotesi in cui
un’amministrazione aggiudicatrice, quale un ente locale, decida di stipulare per iscritto, con
un ente da esso distinto sul piano formale ed autonomo su quello decisionale, un contratto a
titolo oneroso per il compimento di un opera o di un servizio, indipendentemente dal fatto
che tale ultimo ente sia a sua volta qualificabile come amministrazione aggiudicatrice.
28
Tale norma stabilisce che “la presente direttiva non si applica agli appalti pubblici di servizi aggiudicati ad un
ente che sia esso stesso amministrazione aggiudicatrice… in base a un diritto esclusivo di cui beneficia in virtù delle
disposizioni legislative, regolamentari od amministrative pubblicate, purché tali disposizioni siano compatibili con il
trattato”.
Soltanto laddove l’amministrazione eserciti sul soggetto affidatario dell’appalto “un
controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi”, e il soggetto affidatario debba
realizzare per statuto la parte più importante della propria attività con l’ente che lo controlla,
l’affidamento della prestazione potrà avvenire in via immediata e diretta (appunto in house)
senza dover rispettare le minuziose procedure di scelta di cui alle direttive comunitarie 29 .
Si pone allora l’esigenza di diversificare tali requisiti da quelli richiesti per la
qualifica dell’organismo di dritto pubblico e in particolare da quello consistente nella
influenza pubblica dominante 30 . Al riguardo si può notare come nel caso dell’affidamento in
house la natura di prolungamento organizzativo interno dell’amministrazione controllante
comporta un’ingerenza talmente penetrante di quest’ultima sulla struttura organizzativa
dell’appaltatario che le istituzioni comunitarie paragonano il rapporto che ne deriva ad una
sorta di relazione di subordinazione gerarchica: ai fini della ricorrenza di un organismo di
diritto pubblico, è invece sufficiente un più blando controllo finanziario o gestionale
sull’attività esercitata.
Comunque, per sgombrare il campo da possibili equivoci, la Corte di Giustizia ha di
recente 31 limitato l’ammissibilità del fenomeno dell’affidamento in house ai soli soggetti a
totale partecipazione pubblica, motivando sulla scorta di un presunta incompatibilità
assoluta tra gli interessi privati (come condensati nella partecipazione azionaria, anche
minoritaria) e pubblici (emergenti dalla qualifica di amministrazione aggiudicatrice) 32 .
Va inoltre rimarcato che il soggetto affidatario in house, proprio in quanto
articolazione
organizzativa
interna
dell’amministrazione
affidante,
partecipa
automaticamente delle stesse caratteristiche funzionali di quest’ultima: sarà quindi da
considerarsi a sua volta amministrazione aggiudicatrice e come tale soggetta all’applicazione
delle relative direttive sugli appalti comunitari allorquando intenda reperire sul mercato
quanto necessario all’esercizio di quelle attività affidategli senza una procedura di
selezione 33 .
CAPITOLO III
29
Altra e diversa ipotesi derogatoria della disciplina comunitaria ad evidenza pubblica è rappresentata dalla c.d.
“delegazione interorganica”, in cui non sono configurabili due distinti centri di interesse e quindi manca un vero e
proprio rapporto contrattuale.
30
Vd. retro, pag. 14 sub lett. b)
31
Sent. 11.01.2005, in www.giustamm.it con commento di A.Clarizia
32
Tale pronuncia è stata probabilmente occasionata dalla procedura di infrazione avviata dalla Commissione
europea nei confronti dell’Italia per ripetute violazioni della direttiva 92/50 a causa di affidamenti diretti di servizi
pubblici aventi interesse comunitario e non rientranti tra quelli affidabili in house.
33
Per la normativa nazionale in materia di affidamenti in house di cui all’art 113, c.5° , del T.U.E.L. vd infra.
Conseguenze applicative nell’Ordinamento italiano. Profili sostanziali e processuali.
3.1 Le difficoltà esegetiche e l’importanza del recepimento interno della nozione comunitaria di
Organismo di diritto pubblico .
Per effetto dell’elaborazione comunitaria della nozione di organismo di diritto pubblico, il
nostro paese -al pari di ciascun altro stato membro dell’UE- è quindi chiamato a recepire
nell’ordinamento interno un concetto non solo ad esso estraneo, ma anche di difficile approccio
ermeneutico, in quanto potenzialmente idoneo a ricomprendere la maggior parte dei moduli
strumentali di realizzazione dei lavori, forniture e servizi pubblici di cui si serve una P.A.
Ciò ha comportato un radicale cambiamento nella sistematica classificatoria utilizzata in
passato dalla nostra tradizione giuridica, in quanto si è dovuto abbandonare la classica distinzione
tra enti pubblici, enti pubblici economici e soggetti privati, per far posto al metodo funzionale
comunitario che pone l’accento esclusivamente sulle finalità perseguite dal soggetto agente.
Le difficoltà interpretative sono accresciute non solo dalla diversità delle nomenclature
giuridiche dei diversi ordinamenti, ma anche dalla comprensibile intenzione del legislatore
comunitario di mantenere nella materia degli appalti pubblici quel grado di indeterminatezza e
confusione terminologica sufficiente a prevenire nuove politiche elusive da parte degli Stati
membri34 .
Per tale motivo, nonché per la omnicomprensività del concetto dovuta alla segnalata
esplosione del fenomeno pluralistico negli apparati amministrativi degli Stati dell’UE, l’organismo
in parola non costituisce una vera figura juris, cioè un’entità giuridico-soggettiva riconosciuta come
tale dall’ordinamento comunitario, ma piuttosto una semplice nozione giuridica, cioè una
definizione cui il legislatore comunitario ricorre per qualificare distinte figure giuridiche e forme
organizzative, affinché queste siano poi tenute all’applicazione di quella determinata disciplina
normativa consistente nel doveroso esperimento di procedure trasparenti di gara ogni qual volta
attingano dal mercato i beni, le opere o i servizi necessari alla propria attività 35 .
34
In tal , in senso, D. Marrama, Contributi sull’interpretazione della nozione di organismo di diritto pubblico, in
Dir. Amm. 2000, p. 585.
35
Come acutamente osserva Cassese, Le basi del diritto amministrativo, pag. 198, “un istituto giuridico è tale
quando è il riassunto di una normativa: quando invece non vi è disciplina ma più discipline, quando si deve ricorrere ad
un aggettivo qualificativo, l’istituto perde le sue caratteristiche unitarie o, se si preferisce, si è in presenza di più
L’organismo di diritto pubblico, quale nozione funzionalizzata alle diverse e contingenti
esigenze proprie dei peculiari settori di intervento della Comunità, non poteva quindi non nascere in
un sistema giuridico imperfetto, cioè privo di quel carattere di necessaria completezza che
all'opposto induce il legislatore statale a ricorrere ad astratte e rigide schematizzazioni.
Anche perciò il legislatore comunitario, consapevole anche del necessario successivo
“trapianto” della nozione de qua in altri ordinamenti giuridici, nonché della multiforme realtà di
quest’ultimi, ha volutamente predisposto un modello flessibile, dinamicamente in grado di adattarsi
ai diversi contesti normativi degli Stati membri.
In tal modo esso, oltre a configurarsi come una sorta di “comune denominatore” di diverse
figure giuridiche, rappresenta anche un importante anello di congiunzione tra l’ordinamento di
creazione e quelli di recepimento, idoneo cioè a misurare il grado di “fedeltà” del nostro paese al
perseguimento delle finalità imposte dalla Comunità europea.
3.2 Il progressivo allineamento del giudice italiano alla nozione comunitaria di organismo di dritto
pubblico.
I risultati raggiunti dal diritto comunitario (sia originario che derivato) circa l’individuazione
del metodo sostanziale/finalistico di cui avvale rsi per la qualificazione di un soggetto appaltante in
termini di organismo di diritto pubblico sono stati solo recentemente accolti dalla nostra
Giurisprudenza, per tradizione indotta da una lettura restrittiva dell’art 97 Cost. a riconoscere la
natura pubblicistica soltanto ai soggetti previsti coma tali dalla legge 36 .
In concreto, i problemi maggiori si sono posti con riferimento alla ricorrenza del terzo
requisito sintomatico della qualifica di organismo di diritto pubblico di cui alla direttiva 89/440
(svolgimento di un’attività specificamente tesa al perseguimento di bisogni di interesse generale
privi del carattere commerciale o industriale) in tutte quelle situazioni ibride in cui un soggetto
presentava contemporaneamente segmenti di attività funzionali al soddisfacimento di interessi
pubblici e altri di stampo prettamente commerciale.
Emblematico è al riguardo il “balletto giurisprudenziale” che si è avuto nel caso giudiziario
che ha visto protagonista l’Ente Fieristico Internazionale di Milano.
istituti”. In conclusione quella di organismo di diritto pubblico “è una sintesi verbale; meglio sarebbe dire che
l’espressione racchiude una serie di sintesi verbali”. Così Giannini, Diritto amministrativo, 1970.
36
Il primo comma di tale disposizione stabilisce infatti che “I pubblici uffici sono organizzati secondo
disposizioni di legge”.
Inizialmente, infatti, in una prima controversia attinente alla qualifica amministrativa o
meno degli atti emanati, la VI sez. del Consiglio di Stato 37 , sconfessando l’interpretazione del
giudice di primo grado, aveva affermato la propria giurisdizione definendo l’Ente fiera di Milano
“…organismo di diritto pubblico comunitario in quanto,pur espletando attività commerciale (nella
specie locazione degli spazi espositivi) cionondimeno risulta
istituito per la soddisfazione di
bisogni di interesse generale (ossia la promozione e valorizzazione dei prodotti nell’interesse della
massa dei cittadini consumatori)”.
Il percorso argomentativo seguito in questa occasione dai giudici di Palazzo Spada appare
però contrastante con il dato normativo CE. Una lettura unitaria e completa della definizione di cui
alla “direttiva madre” 89/440, richiede infatti la valorizzazione non solo del carattere generale dei
bisogni soddisfatti, ma anche e soprattutto del loro carattere non commerciale: tra i due elementi è
quest’ultimo che “assume una maggiore importanza e pregnanza qualificatoria, se solo si considera
che la perseguibilità di bisogni generali può già ricavarsi dalla sussistenza del requisito della
sottoposizione dell’ente all’influenza dell’autorità pubblica”38 .
Successivamente, la medesima natura pubblicistica è stata riconosciuta dal TAR
Lombardia 39 sulla considerazione che l’elemento ostativo a tale qualifica, rappresentato dal
carattere commerciale dei bisogni soddisfatti, non sussiste laddove (come nel caso di specie)
l’agente si limiti alla promozione dello sviluppo economico in determinati settori produttivi e non
svolga un’attività da reputarsi commerciale, perché non diretta alla soddisfazione immediata della
domanda di servizi del singolo cittadino-consumatore.
Una tale valutazione teleologica della natura commerciale dei bisogni soddisfatti non ha
trovato eco nelle successive pronunce giurisprudenziali. Infatti, sia il Consiglio di Stato (sent.
1267/98) che le SS.UU. di Cass. (sent. 97/00) hanno escluso il carattere di organismo di diritto
pubblico dell’Ente Fiera, per il fatto che questo operasse in ambito concorrenziale attraverso una
gestione statutariamente fondata su criteri di redditività, efficienza e produttività al pari delle altre
imprese private del settore.
In definitiva ciò che è apparso decisivo ai giudici italiani (in ciò uniformandosi al principio
poi espresso in ambito comunitario dalla Corte di Giustizia con la sentenza del 10.05.2001 40 ) è stata
proprio la mancata previsione, all’interno dell’atto fondamentale dell’ente, di tecniche di
finanziamento -anche meramente eventuali- riconducibili all’erario. Si è cioè ritenuto che queste
avrebbero alterato le modalità d’azione dell’Ente Fiera sul mercato, esonerandolo dalla normale
37
Sent. N. 353 del 21.04.1995, in Riv. Giur. 1995,I, 667 e ssg. con nota di M. Gola.
Così R. Garofoli, L’organismo di diritto pubblico: orientamenti interpretativi del giudice comunitario e dei
giudici italiani a confronto, in Foro It., 1998, IV, 133 e ssg.
39
Sez. III, sent. n. 1365 del 17.11.1995, in I TAR, 1996, I, 102 e ssg.
40
In particolare nel punto n. 40.
38
inclinazione imprend itoriale a rispettare logiche operative tendenti ad assecondare meccanismi
competitivi e concorrenziali.
Stante la spiccata somiglianza di situazioni concrete, non si può non ricordare che nella
causa c.d. Taitotalo 41 , la Corte di Giustizia ha ammesso la qualifica di organismo di diritto pubblico
per una società costituita e detenuta da un comune finlandese, ritenendo decisivo (in base alla
semplice previsione legislativa nazionale) il dato della possibile copertura finanziaria pubblica in
caso di situazione di difficoltà dell’ente nel mercato. In entrambi i casi, l’esigenza, più volte
sbandierata, di condurre l’analisi indagatrice della natura dell’ente soltanto sulla base dei riscontri
della realtà materiale avrebbe dovuto invece relegare ad un ruolo secondario la valutazione di un
fattore statico (la astratta previsione statutaria e/o legislativa), non ancora concretamente verificatosi
e avente peraltro una potenzialità destabilizzante per gli equilibri del mercato assai incerta in quanto
frutto di future e imprevedibili scelte di opportunità politica 42 .
Il valore determinante della previsione della legge istitutiva è stato affermato dal Consiglio
di Stato anche nella sent. 192/01 per riconoscere carattere di organismo di diritto pubblico alla
Società per l’Imprenditoria Giovanile, i cui compiti promozionali dello sviluppo di una nuova
imprenditorialità e di sostegno all’occupazione giovanile erano stati individuati direttamente dal
legislatore come finalità di interesse generale per il Paese e ne “avevano quindi blindato” la natura
di organismo pubblico 43 .
Le evidenti difficoltà che la giurisprudenza nazionale incontra durante il suo cammino
applicativo dei tre criteri qualificatori comunitari alla multiforme tipologia degli enti operanti
nell’ordinamento italiano sono ben visibili nella recente ordinanza n. 167/04 di rimessione all’Ad.
Plenaria, a proposito della riconducibilità o meno della Grandi Stazioni s.p.a. nel novero degli
organismo di diritto pubblico.
Infatti, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di un gara indetta da tale società (costituita
nel 1996 e partecipata per la maggioranza del capitale da Ferrovie dello Stato s.p.a.) per
l’affidamento dei servizi di pulizia in 14 stazioni ferroviarie italiane, la VI sez. del Consiglio di
Stato non ha condiviso l’impostazione espressa in precedenza da altra sezione dello stesso consesso
per una controversia nascente da appalto di lavori da essa affidato 44 e ha qualificato la Grandi
Stazioni s.p.a. come organismo di diritto pubblico.
41
Per il quale vd. retro, cap II, pag. 14.
La stessa Corte di Giustizia, nel caso Mannesmann cit. aveva ritenuto irrilevante la circostanza che la legge
istitutiva della Tipografia di Stato avesse attribuito a tale ente espressamente la qualità di commerciante, prevedendo
che esso operi secondo le norma che disciplinano il commercio.
43
Tale società era inoltre succeduta nei rapporti posti in essere da organismi indubbiamente di rilevanza pubblica,
come il Comitato per lo sviluppo dell’imprenditoria giovanile e la Cassa Depositi e Prestiti.
44
C.d.S. sez. V, n. 5902 del 6 ottobre 2003. Si negava la qualifica di organismo di diritto pubblico, ravvisando il
carattere commerciale dei bisogni soddisfatti dalla medesima società mediante l’affidamento di un appalto di lavori per
42
Tuttavia, l’importanza di tale conflitto giurisprudenziale si coglie non tanto nella (ennesima)
conferma dell’imprevedibilità delle conclusioni giuridiche cui nella pratica giunge chiunque voglia
avventurarsi nella verifica dell’esistenza di un organismo di diritto pubblico, quanto nell’avvertita
impossibilità di qualificare un soggetto come “organismo parzialmente di diritto pubblico”, cioè in
relazione soltanto a quello specifico segmento di attività per il quale la concreta ricorrenza dei
parametri comunitari esiga l’osservanza della disciplina comunitaria nella scelta dei contraenti.
Infatti, benché si riconosca ormai pacificamente il carattere poliedrico di tali organismi, nel
senso della legittimità per costoro di svolgere molteplici attività, alcune delle quali anche finalizzate
al perseguimento di bisogni di interesse generale di tipo commerciale/industriale 45 , il Consiglio di
Stato continua ad affermare il carattere necessariamente unitario di tale nozione. Pertanto, si legge
nella citata ord. 167/04, “una volta acclarata la qualificabilità dell’ente come organismo di diritto
pubblico, deve sempre ritenersi dovuto il rispetto della normativa comunitaria in tema di appalti,
non solo per le attività volte a soddisfare un bisogno generale di carattere non industriale o
commerciale, ma anche per le eventuali ulteriori attività propriamente commerciali o industriali: e,
tanto, sia in base al tenore letterale delle direttive appalti che non distinguono tra appalti aggiudicati
da un’amministrazione aggiudicatrice per adempiere il suo compito volto a soddisfare bisogni di
interesse generali e quelli che con tale funzione non hanno alcuna attinenza, sia in base al principio
di certezza del diritto che esige che una norma comunitaria sia chiara e la sua applicazione sia
prevedib ile per tutti gli interessati”.
Come parte della dottrina ha già avuto modo di evidenziare 46 , un’estensione generalizzata
della normativa comunitaria sull’evidenza pubblica, prescindendo cioè dall’accertamento del
connotato pubblicistico nello specifico settore in cui operi di volta in volta l’organismo di diritto
pubblico, appare esagerata, non solo perché comprime una volta per tutte quella libertà di impresa
riconosciuta e tutelata dall’art. 41 Cost. come fonte di benessere e di sviluppo del singolo individuo
e quindi della collettività, ma anche perché finisce con il tradire lo spirito di fondo delle stesse
direttive CE in materia, le quali, come visto in precedenza, hanno lo scopo soltanto di evitare che un
la ristrutturazione di un immobile sito nell’ambito della Stazione Termini, da destinare ad una utilizzazione
commerciale. Tale complesso immobiliare, infatti, non era ritenuto destinato al servizio ferroviario, ma a questo
soltanto occasionalmente collegato, in dipendenza della sua ubicazione a ridosso di una stazione: anzi, si era addirittura
escluso il carattere generale degli interesse perseguiti, in quanto la riqualificazione e lo sfruttamento economico di tali
beni sono vere e proprie fonti di reddito non differentemente “dalle consimili attività che qualsiasi privato, proprietario
o amministratore di immobili, svolga sullo specifico mercato, traendone i corrispettivi che il gioco della concorrenza
può stabilire nel confronto con i diversi interessi dell’altro contraente”.
45
Al riguardo, vd. retro sent CGE nel caso Mannesmann, ove si sottolinea che “lo status di organismo di diritto
pubblico non dipende dall’importanza relativa, nell’attività dell’organismo medesimo, del soddisfacimento dei bisogni
di interesse generale non aventi carattere industriale; infatti tale requisito non implica che il soggetto sia incaricato
unicamente di soddisfare bisogni di tal genere, ed anzi consente l’esercizio di altre attività”.
46
Cfr. R. Garofoli, Il recente allineamento tra giudice comunitario e nazionale e i profili ancora problematici, in
www. Altalex.it, pag. 12 e ssg.
ente operante nel sistema economico europeo alteri il normale funzionamento del mercato,
lasciandosi guidare da considerazioni non economiche nella scelta dei soggetti con cui contrarre.
È infatti evidente come tale ultimo rischio possa annidarsi soltanto laddove l’ente, in ragione
di una commistione operativo/funzionale con i pubblici poteri, voglia realmente sottrarsi alla
competizione concorrenziale con le altre imprese del settore per avvantaggiarne alcune e
discriminarne altre. In altri termini, la stessa indagine condotta per appurare la ricorrenza dei
pertinenti elementi di fatto sintomatici della qualifica di organismo di diritto pubblico dovrà essere
ripetuta per accertare ogni volta se l’organismo medesimo, necessitando di beni e servizi da reperire
sul mercato, abbia agito veramente da orga nismo di diritto pubblico o invece da semplice
imprenditore privato: soltanto nel primo caso troverà giustificazione l’applicazione delle minuziose
procedure sugli appalti comunitari47 .
Ovviamente, l’ammissibilità della nozione di organismo di diritto pubblico in parte qua
passerà attraverso la predisposizione normativa di un rigoroso sistema di separazione contabile tra i
diversi rami dell’attività esercitata, allo scopo di evitare una pericolosa confusione di risorse
economiche tra ambiti di intervento presieduti e orientati da considerazioni e criteri operativi
diversi.
3.3. Applicazioni di diritto sostanziale.
Il recente allineamento tra la nostra giurisprudenza e quella comunitaria circa
l’individuazione dei parametri cui ancorare la nozione di organismo di diritto pubblico ha
comportato anche la necessità di una delicata e costante opera di reinterpretazione e di
armonizzazione degli istituti giuridici propri del nostro sistema amministrativo con i dettami
provenienti dall’UE48 .
In particolare, al fine di assicurare il perseguimento delle finalità imposte dalla Comunità
europea, si è reso necessario:
47
Ad esempio, nel caso della Grandi Stazioni s.p.a., l’esame oggettivo del contesto fattuale ed economico avrebbe
condotto ad affermare la natura di organismo di diritto pubblico di tale società (con conseguente assoggettamento alla
relativa disciplina comunitaria) limitatamente alle sole procedure di affidamento degli appalti del servizio di pulizia,
mentre per l’appalto dei lavori di ristrutturazione di un immobile sito nell’ambito della Stazione Termini, il carattere
commerciale dei bisogni concretamente perseguiti con tale operazione avrebbe garantito il permanere della più ampia
libertà negoziale.
48
Al punto che alcuni autori individuano un nascente diritto amministrativo comune a tutti gli Stati membri. Così
Sorace, op. cit. passim.
a)
raccordare la nozione di organismo di diritto pubblico coniata in ambito europeo con la
a multiforme varietà tipologica di soggetti -anche privati- operanti nel nostro
ordinamento per il perseguimento di fini pubblici;
b)
delineare conseguentemente i tratti caratterizzanti gli atti emanati da tali soggetti, ai
fini dell’applicazione di quelle discipline collaterali alla normativa dell’evidenza
pubblica negli appalti;
c)
evidenziare gli eventuali momenti di diversità esistenti sotto l’aspetto della patologia
degli atti emanati.
Per quanto concerne il punto sub a), va ricordato che, oltre al diffondersi del pluralismo
istituzionale 49 , l’ordinamento italiano ha registrato negli ultimi decenni il crescente sviluppo dei
fenomeni di “privatizzazione”, cioè di trasformazione, a parità di funzioni svolte, dei tradizionali
enti pubblici in strutture tipiche del diritto privato, prevalentemente società di capitali 50 .
Ciò ha determinato, sia a livello statale (si pensi al settore dei vecchi Enti Pubblici
Economici, delle Poste, della RAI, delle Ferrovie di Stato ecc.) che in ambito locale (ad es. le varie
forme di gestione dei servizi pubblici previste negli artt. 113 e ssgg. del T.U.E.L.), la nascita di
soggetti formalmente dotati di una veste privatistica, ma al contempo miranti a perseguire finalità di
interesse pubblico 51 .
Tali organismi, espressione di quell’intangibile potestà autorganizzatoria delle PP.AA. nella
scelta delle forme con cui erogare un servizio pubblico, sono stati oggetto di svariate discipline
giuridiche ottenute adattando opportunamente il nucleo normativo di base (di stampo privatistico, in
quanto derivante dalla forma posseduta) alle esigenze pubbliche.
Oltre a ciò, la diversità dei parametri qualificatori utilizzati dalla legislazione italiana
rispetto a quelli prettamente finalistico- funzionali individuati in sede comunitaria ha posto il
problema di individuare quali soggetti di diritto interno possano rientrare nel novero degli
organismi di diritto pubblico ed essere quindi destinatari della disciplina comunitaria sugli appalti
pubblici.
Tali difficoltà interpretative sono state acuite dal nostro legislatore, il quale, anziché porre
l’accento esclusivamente sui dati sostanziali dell’attività e dei fini perseguiti in concreto dal
49
Vd. retro, cap. I, par 1.2
Ma non solo: la recente legislazione prevede anche l’utilizzo di forme diverse (si pensi, per es., alle fondazioni
bancarie sorte sulle ceneri delle Casse di risparmio).
51
Oltre che per soddisfare bisogni governativi di “fare cassa”, tali operazioni privatizzatici hanno come scopo
quello di migliorare l’efficienza operativa in alcuni settori ritenuti strategici per la crescita economica del paese. Infatti,
si mira a snellire le vecchie e rigide procedure amministrative con la più duttile disciplina prevista dal codice civile per
la gestione del personale, dei beni, del danaro.
50
soggetto agente, ha recepito le relative direttive europee facendo ricorso ad ampie e aprioristiche
elencazioni formali, e ricomprendendo una volta per tutte tra gli orga nismi di diritto pubblico anche
figure giuridiche sconosciute all’esperienza comunitaria (per es. i consorzi creati da enti pubblici
economici o le aziende speciali) 52 .
Si è così determinato un eccessivo ampliamento della categoria degli organismi di diritto
pubblico esistenti in ambito italiano, con conseguenze paradossalmente confliggenti con le finalità
stesse dell’ordinamento comunitario.
Infatti, posto che l’art. 6 della direttiva CE 92/50 esenta dall’ambito di operatività della
disciplina in materia di appalti di servizi, tutti quegli “appalti aggiudicati ad un ente che sia esso
stesso qualificabile come pubblico in base a un diritto esclusivo di cui beneficia in virtù di
disposizioni legislative, regolamentari o amministrative pubblicate, purché compatibili con il
Trattato”, la nozione di organismo di diritto pubblico acquista rilievo anche a contrario, cioè per
circoscrivere i casi di ammissibilità delle deroghe alle procedure di evidenza pubblica comunitaria,
pienamente giustificabili soltanto laddove i soggetti protagonisti (appaltante e aggiudicatario) siano
veramente pubblici.
E’ pertanto necessario che la categoria in esame venga perimetrata cum grano salis,
allargandola o restringendola elasticamente per evitare il possibile duplice aggiramento della
normativa di trasparenza comunitaria nel sistema di affidamento degli appalti. Infatti, da un lato c.d.
attivo, bisogna impedire a soggetti formalmente privatistici ma sostanzialmente operanti secondo
logiche politiche, di aggiudicare appalti pubblici senza controllare anche la convenienza economica
degli stessi; dal lato c.d. passivo occorre invece evitare che una “patente di organismo di diritto
pubblico” riconosciuta una tantum ad un ente gli consenta di rendersi per sempre affidatario di un
appalto di servizi in via diretta, cioè senza passare attraverso una trasparente competizione
concorsuale.
Ciò dimostra il carattere fuorviante delle rigide schematizzazioni e aprioristiche
categorizzazioni cui invece il nostro legislatore nazionale continua a ricorrere in materia di appalti.
Si rafforza ulteriormente la convinzione che soltanto un’attenta analisi fattuale, condotta alla luce
dei parametri interpretativi delineati dalla giurisprudenza comunitaria, possa consentire un giudizio
attendibile sulla reale configurazione, in chiave europea, di un organismo di diritto pubblico e sulla
conseguente legittimità nell’applicazione della relativa disciplina.
52
Si veda ad esempio l’art 2, comma II della L. 109/94 di recepimento della direttiva 93/37 in tema di appalti
pubblici di lavori. Inoltre, nel settore dei c.d. appalti esclusi, la nozione di amministrazione aggiudicatrice ricomprende
anche, ex art. 2 del dlgs, 158/95 (di recepimento della direttiva 93/38), “le imprese pubbliche e i soggetti privati che si
avvalgono di diritti speciali ed esclusivi”. Tale ampliamento si giustifica proprio per le peculiarità di tale settore.
Tale conclusione deve oggi ritenersi valida per tutte le possibili forme di volta in volta
prescelte dal nostro legislatore quali moduli organizzativi per il perseguimento di fini pubblici.
In particolare, per quanto concerne le società c.d. miste, cioè partecipate da capitale sia
pubblico che privato, la loro riconducibilità nel novero degli organismi di diritto pubblico è stata
pacificamente ammessa soltanto di recente, all’esito di una lunga evoluzione giurisprudenziale.
Inizialmente, infatti, la Corte ci Cassazione riteneva che il carattere commerciale dell’attività
di produzione di beni e servizi, l’organizzazione imprenditoriale e la causa lucrativa proprie delle
società di capitali fossero ontologicamente ostative ad una loro connotazione in chiave
pubblicistica, perché inconciliabili con il requisito sostanziale della figura di organismo di diritto
pubblico, ossia con il soddisfacimento dei bisogni di interesse generale a carattere non industriale o
commerciale.
Tale tesi (c.d. gestionale perché poneva l’accento esclusivamente sulla forma di gestione
dell’attività), oltre a non allinearsi con il metodo finalistico/funzionale utilizzato dall’UE per
realizzare -attraverso
l’applicazione
dell’evidenza
pubblica-
la
libera
circolazione
dei
beni/persone/servizi/capitali nel settore degli appalti, è apparsa criticabile in quanto, come visto, il
requisito della non commercialità deve essere riferito non alle modalità di gestione dell’ente, ma
alla natura dei bisogni che è chiamato a soddisfare 53 .
Si è altresì osservato che se non si facessero rientrare le società miste nella predetta nozione,
l’impiego di questi moduli organizzativi rappresenterebbe una comoda scappatoia per sottrarsi alle
regole sulla concorrenza in quegli Stati Membri in cui la legge li prevede quali normali strumenti
operativi di cui si avvale la P.A. per il perseguimento dei propri fini istituzionali.
Anche a seguito di queste osservazioni dottrinarie, la suprema Corte ha rivisto le sue
posizioni e, dalla sent. ss.uu. 24/99, ha concluso per il carattere neutrale della forma societaria ai
fini della qualificazione dell’ente come organismo di diritto pubblico, riconoscendo viceversa
rilievo decisivo all’oggettiva pubblicità dell’attività dallo stesso espletata 54 .
In quest’ottica si è quindi inserito il Consiglio di Stato, il quale –uniformandosi
all’orientamento più evoluto della giurisprudenza comunitaria- configura l’organismo di diritto
pubblico in base ad un criterio teleologico attento non tanto alla natura della attività svolta, quanto
alle finalità concretamente perseguite, che devono consistere “nella produzione di utilità strumentali
53
Sul punto vd. retro, cap II, par. 2.2
In particolare è stato qualificato come organismo di diritto pubblico un consorzio creato da Enti locali, dato che
“… nello statuto è palesato in modo evidente ed univoco l’intento di realizzare, attraverso lo strumento giuridico
concretamente posto in essere, il migliore assetto degli interessi tipicamente propri dei soggetti pubblici che sono
concorsi alla sua costituzione”.
54
all’interesse generale non aventi carattere commerciale in quanto non assoggettate a regole di
mercato concorrenziale”55 .
Pertanto, in base al criterio sostanziale della funzionalizzazione collettiva dei bisogni da
soddisfare, deducibile dalla verifica fattuale dei tre requisiti individuati dalla Corte di Giustizia,
qualunque impresa societaria potrà essere configurata come organismo di diritto pubblico e ad essa
sarà quindi applicabile la relativa disciplina comunitaria: andrà invece considerata come un’impresa
pubblica, laddove non miri a soddisfare dei bisogni “socialmente orientati”, ma eserciti un’attività
commerciale
consistente nell’offrire beni e servizi in concorrenza con altri imprenditori e
assumendo in proprio il connesso rischio economico.
Tale conclusione sembra poter essere mantenuta ferma anche laddove la società agisca per
l’erogazione di un servizio pubblico (di rilevanza statale o locale) e a prescindere dalla diversa
natura, contrattuale o concessoria, del rapporto intercorrente con la P.A. affidataria.
Infatti, in coerenza con l’approccio pragmatico che contraddistingue il giudice comunitario, i
gestori di servizi pubblici locali non sono considerati, soltanto in quanto tali, organismi di diritto
pubblico: ciò perchè nell’ottica comunitaria, contrariamente alla tradizione nazionale, il concetto di
servizio pubblico non funge da discrimen nell’individuare il regime giuridico applicabile.
D’altronde, come di recente affermato dalla Commissione Europea nel libro verde del
21/05/03, il termine servizio pubblico assume contorni assai sfumati, in quanto “in alcuni casi si
riferisce al fatto che un servizio è offerto alla collettività, in altri che ad un servizio è stato attribuito
un ruolo specifico nell’interesse pubblico e in altri ancora si riferisce alla proprietà o allo status
dell’ente che presta il servizio”.
Si capisce allora come l’espressione “soggetto gestore di un pubblico servizio” non possa
avere di per sé alcuna rilevanza decisiva ai fini della configurazione di un organismo di diritto
pubblico, rappresentando soltanto un possibile indizio di una attività volta alla realizzazione di
“…fini sociali e alla promozione dello sviluppo economico e civile della comunità” (vd. ad es. art.
112 T.U.E.L.). Nel diritto comunitario, pertanto, l’applicazione della disciplina comunitaria sugli
appalti pubblici presupporrà sempre la preliminare verifica concreta della presenza dei tre requisiti
costitutivi richiesti dalle direttive comunitarie (la personalità giuridica, l’influenza dominante e il
perseguimento di bisogni di interesse generale aventi carattere non commerciale o industriale).
55
Su tutte: V sez., sent. 2078/00; VI sez., sent. 1478/98, in cui si chiarisce come il carattere non commerciale dei
bisogni soddisfatti non sia escluso dallo svolgimento di altre attività imprenditoriali estranee all’interesse pubblico. La
nozione in esame, infatti, non dipende dalla rilevanza che i bisogni generali assumono nell’ambito della attività
dell’ente: ciò comporta che risulteranno del tutto neutre le modalità gestionali, suscettibili di assumere anche
connotazioni di tipo economico e commerciale.
Neanche l’esistenza, a monte, di un provvedimento concessorio con cui sia stata affidata la
gestione di un servizio pubblico è condizione sufficiente per la sussistenza, in chiave europea, dei
connotati sostanziali propri di un organismo di diritto pubblico.
Infatti, mentre inizialmente la Cassazione riteneva che la semplice concessione traslativa di
poteri e funzioni amministrativi conferisse per ciò solo al concessionario privato una dignità
soggettiva pubblicistica 56 , così equiparandolo alla P.A. concedente, il Consiglio di Stato ha chiarito
come, per effetto del principio di legalità, qualsiasi P.A., fuori dei casi previsti dalla legge, non
abbia il potere di trasferire funzioni pubbliche ad un soggetto privato, e non possa quindi dare luogo
alla nascita di alcun organo amministrativo indiretto.
Viene pertanto a cadere la tradizionale configurazione del concessionario come soggetto che
esercita necessariamente potestà autoritative: anche qui, l’attenzione va invece focalizzata
sull’attività in concreto svolta da costui e sui bisogni che essa intende soddisfare.
Efficacemente si è detto che “sotto l’influenza europea, la concessione di servizi pubblici
perde la sua storica, intrinseca natura amministrativa, per accentuare i possibili caratteri economicoimprenditoriali dell’attività svolta”57 .
Da una tale evoluzione concettuale della figura concessoria è derivata anche la drastica
limitazione della discrezionalità della P.A. nei rapporti c.d. “a monte”, cioè nella fase di scelta del
privato cui affidare in concessione un determinato servizio pubblico.
Infatti, pur in assenza di uno specifico obbligo comunitario di ricorrere a procedure di gara
in materia di appalti di servizi 58 , un’apposita circolare ministeriale del 2002 impone alle PP.AA “di
conformarsi, in sede di rilascio di provvedimenti concessori, ai principi dell’ordinamento
comunitario che implicano, anche in mancanza di precise prescrizioni dettate da precise direttive,
l’adozione di una procedura competitiva e concorrenziale in modo da consentire la possibilità da
parte delle imprese interessate di esplicare le proprie chances partecipative. Si rammenta pertanto
che il ricorso alla scelta diretta del concessionario costituisce evenienza eccezionale, giustificabile
56
In particolare al concessionario veniva attribuita la qualità di organo indiretto della P.A.: organo in quanto
svolgente comunque attività di carattere amministrativo perché mirante ad assicurare la protezione dell’interesse
pubblico, indiretto dal momento che le funzioni trasferite erano esercitate in nome proprio. Applicando tale teoria “a
rovescio” la Corte aveva anche affermato che tutte le società di capitali non legate da un rapporto concessorio all’ente
pubblico dovevano essere considerate come soggetti privati,e quindi escludendone la riconducibilità alla categoria degli
organismi di diritto pubblico.
57
Così Mameli, L’organismo di diritto pubblico, cit. pag. 108.
58
E’ stata questa la conclusione cui è pervenuta la Commissione nella comunicazione interpretativa sulle
concessioni del 12/4/00 e poi confermata dalla CGE nella sentenza Teleaustria del 7/12/00. Ciò in ragione del carattere
essenzialmente politico delle valutazioni sottese all’affidamento, nonché del rispetto comunitario per la libertà di
ciascuna p.a. nell’organizzare la propria struttura nel modo più rispondente alle necessità delle collettività.
solo in caso di specifiche ragioni che rendano impossibile in termini di razionalità l’individuazione
di un soggetto diverso da quello scelto”59 .
Richiamandosi a tale orientamento, il Consiglio di Stato non sembra considerare più la
concessione quale strumento idoneo di per sè a giustificare un affidamento intuitu personae: i
principi di imparzialità e di buona amministrazione inducono sempre a rispettare il principio di
concorsualità, facendo precedere l’affidamento in concessione da gare informali, volte a consultare
una pluralità di imprenditori60 .
Analoghe considerazioni possono farsi per le società c.d. miste che non siano anche
concessionari di un servizio pubblico e che ricorrono laddove la p.a. preferisca non estraniarsi
(come invece accade nell’ipotesi di concessione) dall’attività di gestione del servizio, rimanendo
presente nella compagine sociale tramite il capitale conferito e con la presenza di amministratori e
sindaci.
Infatti, se l’inclusione delle s.p.a. variamente partecipate dal capitale pubblico nel novero
degli organismi di diritto pubblico permette, ai sensi dell’art. 6 della direttiva 92/50, di prescindere
da una gara per l’affidamento del servizio, è da più parti avvertito il rischio che la costituzione o la
partecipazione pubblica (talvolta meramente simbolica) in una impresa societaria divenga lo
strumento con cui aggirare immotivatamente le normative comunitarie che presidiano al libero
esplicarsi della competizione concorrenziale.
Conseguentemente, anche sulla scia delle procedure di infrazione avviate dalla
Commissione Ce contro l’Italia per la sistematica elusione delle direttive comunitarie sugli appalti
cui dava luogo la nostra normativa sui servizi pubblici locali, gli interventi di modifica legislativa
del T.U.E.L. realizzati con la L. 448/01 introducono l’obbligo dell’esperimento delle procedure
dell’evidenza pubblica anche nella fase di scelta dei soci privati ai fini della costituzione di società
con partecipazione, maggioritaria o minoritaria, di capitale pubblico 61 .
b) Il recepimento nel nostro ordinamento della nozione di organismo di diritto pubblico
produce importanti conseguenze anche in ordine al concetto stesso di atto amministrativo, intesa
come atto emanato da una autorità amministrativa per la cura di un interesse pubblico.
59
In tal senso, il concessionario va sempre più avvicinandosi all’appaltatore, dal quale si differenzia soprattutto
per la circostanza che mentre nell’appalto incombe sulla p.a. l’onere di compensare l’attività svolta dal privato, nella
concessione il costo del servizio grava sugli utenti.
60
Sez. IV, sent. 253/02, sez.V, sent. 2294/02.
61
La circostanza che la scelta riguardi soggetti destinati a fornire un significativo apporto imprenditoriale mette
infatti in risalto l’esigenza che essa avvenga con quagli strumenti selettivi concorsuali che l’ordinamento ha affinato ai
fini dell’individuazione di soggetti privati chiamati a svolgere attività o servizi in favore della pubblica amministrazione
Infatti se è vero che, come ha ricordato la Cassazione nella sentenza 4991/95, le nozioni
comunitarie non sono in grado di modificare la nozione di atto amministrativo di cui
all’ordinamento nazionale, è altrettanto vero che, di fatto, si assiste sempre più all’esercizio in
numerosi settori della vita quotidiana di attività volte alla soddisfazione di bisogni della collettività
da parte di soggetti non appartenenti allo Stato-amministrazione.
Se così è, deve escludersi che atti espressione delle medesime esigenze pubblicistiche sul
piano teleologico possano essere assoggettati a discipline diverse in base al dato formale della
natura giuridica del soggetto che li pone in essere. Ne consegue che gli atti emanati dai soggetti
qualificati organismi di diritto pubblico in base alla normativa comunitaria sugli appalti saranno
soggetti al regime proprio degli atti amministrativi secondo i principi generali di cui alla L. 241/90e
s.m.i.
Naturalmente, avendo la categoria in esame una precipua funzione di tutela della
concorrenza negli appalti pubblici nell’ordinamento comunitario, è chiaro che negli altri settori di
intervento (sia nazionali che comunitari) la relativa azione degli stessi soggetti tornerà ad essere
libera, ossia esplicazione di un autonomia negoziale in posizione di parità con gli interlocutori
privati, con la conseguente destinazione dei relativi atti alla disciplina civilistica e alla giurisdizione
comune.
In sostanza, l’evoluzione dei moderni sistemi normativi e operativi di diritto amministrativo
induce anche su questo terreno a privilegiare il carattere oggettivo dell’attività in concreto svolta,
subordinando al rilievo pubblicistico di volta in volta riscontrato l’applicazione delle normative
previste per gli atti amministrativi.
Così ragionando, ad esempio, i privati potranno sempre esercitare il diritto di accesso agli
atti afferenti alle procedure di gara indette da un organismo di diritto pubblico, in ragione della loro
funzionalizzazione alla tutela della concorrenza in ambito comunitario: in tal modo si potrà
ottenere, attraverso la piena conoscibilità da parte dei soggetti interessati, un controllo democratico
sul rispetto di quei canoni di imparzialità e buon andamento (art. 97 Cost.), pubblicità, trasparenza e
altri principi comunitari (nuovo testo dell’art. 1, co. 1° L.241/90) che devono sempre reggere
l’esercizio di attività amministrative, quantunque poste in essere da soggetti privati (art. 1, co. 1ter
L.241/90). A conferma di ciò, la lett. e) del 1° comma del nuovo testo dell’art. 22 della L. 241/90,
estende l’ambito di applicazione della normativa sull’accesso agli atti e documenti amministrativi
anche “...ai soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse
disciplinata dal diritto nazionale o comunitario”.
L’ampliamento della nozione classica di atto amministrativo è, d’altro canto, la conseguenza
di un significativo processo di erosione dell’azione amministrativa intesa in senso tradizionale,
ovvero autoritario, a favore di modelli convenzionali e assetti normativi di matrice privatistica. Tale
prospettiva di approccio sostanziale, e non formale, conduce a qualificare come atti oggettivamente
amministrativi (in ragione cio è del tratto intrinseco della finalità pubblicistica direttamente
perseguita) anche quelli provenienti da soggetti privati; e, all’opposto, consente di attrarre
nell’orbita del diritto privato anche atti delle PP.AA. che non siano rivolti alla cura di un interesse
pubblico specifico. Degno di nota, al riguardo, è l’art 1bis della L. 241/90 introdotto con la L.
15/05, che assoggetta espressamente alla disciplina di diritto privato l’agire non autoritativo della
p.a.
Si ravvisa pertanto la necessità di abbandonare la nozione di enti pubblici, tradizionalmente
evocativa di contenuti pubblicistici organizzativi formali, a favore di una espressione generale
capace di ricomprendere sia la multiforme realtà dei pubblici poteri, sia quella delle figure
privatistiche o privatizzate.
Non sembra un caso, allora, che l’art 18 del T.U. 196/03 (c.d. Codice della Privacy) per
individuare i destinatari delle particolari procedure richieste per il trattamento pubblico dei dati
personali o sensibili, adoperi la generica locuzione “soggetti pubblici”, quasi a sottolineare
l’insufficienza dei tradizionali concetti sinora utilizzati per contraddistinguere le pubbliche
amministrazioni.
c) il regime dei vizi degli atti amministrativi presenta delle peculiarità allorquando il
soggetto che li ha emanati sia qualificato organismo di diritto pubblico.
Occorre infatti tener presente che tale categorizzazione, come visto, è operante nella sola
materia degli appalti comunitari, e segnatamente per gli atti adottati nella veste di stazione
appaltante. Di conseguenza la complessiva organizzazione strutturale di tali enti, nonché l’attività
svolta in altri settori di intervento non sono necessariamente governate dal diritto amministrativo e
possono non avere connotato di autoritarietà. Ne deriva l’impossibilità di configurare il vizio di
incompetenza relativa, dato che i riparti delle competenze tra i vari apparati di tali organismi sono
effettuati con norme organizzative interne privatistiche (per esempio statutarie) che non assolvono a
quella funzione di garanzia della legalità dell’azione che è invece tipica per lo Statoamministrazione.
Inoltre, trattandosi di atti disciplinati da normative europee (direttamente efficaci o in virtù
di apposito recepimento nazionale), la violazione di legge riguarderà sempre la mancata
rispondenza ai dettami comunitari, anche qualora sia vigente una contrastante norma interna.
Sussiste infatti l’obbligo di conformare l’azione amministrativa ai principi ricavabili
dall’ordinamento comunitario al di là della concreta attuazione di questa o quella direttiva.
Si può infine ritenere che il vizio di eccesso di potere sarà normalmente riscontrabile in
quegli atti dai quali emerga uno sviamento dal fine comunitario di tutela di una trasparente
competizione concorrenziale tra le imprese europee nell’aggiudicazione degli appalti pubblici.
3.4 Applicazioni processuali.
L’impatto della elaborazione comunitaria della nozione di organismo di diritto pubblico sul
sistema della giurisdizione italiana è stato solo marginalmente condizionato dalle conseguenze
scaturenti dalla recente sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 06.07.2004.
Infatti la scure dell’illegittimità costituzionale si è abbattuta soltanto su quelle disposizioni
normative (in particolare gli artt. 33 e 34 del dlgs. 80/98 come modificati dall’art. 7 L. 205/00) che
prevedevano una giurisdizione esclusiva del g.a. fondata esclusivamente sulla predeterminazione
legislativa compiuta per “blocchi di materie” e non invece sull’opportunità di attribuire ad un solo
giudice la cognizione delle controversie in quelle particolari materie in cui le varie (e difficilmente
individuabili) posizioni giuridiche dei privati si trovano di fronte al potere autoritativo della P.A.,
così come desumubile da un’attenta lettura dell’art 103 Cost.
Invece, l’art. 6 della L. 205/00, attribuendo alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo ogni controversia involgente le procedure ad evidenza pubblica poste in essere da
soggetti, indifferentemente pubblici o privati, comunque tenuti al rispetto delle normative
comunitarie o nazionali vigenti, valorizza il connotato autoritativo (e quindi pubblicistico) insito
nella nozione finalistica di organismo di diritto pubblico, rimettendo nelle mani del giudice naturale
dell’amministrazione la cognizione del particolare settore dell’affidamento degli appalti comunitari,
caratterizzato da un inestricabile intreccio di diritti soggettivi e di interessi legittimi 62 .
L’effettività e la pienezza della tutela giurisdizionale in questa materia è poi assicurata dalla
previsione legislativa del successivo art. 7, che riconosce allo stesso giudice amministrativo la
possibilità di condannare al risarcimento del danno sofferto per l’illegittima attività posta in essere,
così superando la necessità, in precedenza prevista dall’art. 13 della l. 142/92, di dover adire prima
il g.a. per l’annullamento dell’atto lesivo, e poi il giudice ordinario per la liquidazione del danno
conseguente.
62
Infatti la normativa contenuta nelle direttive comunitarie mira a garantire sia l’interesse pubblico al
corretto esercizio del potere amministrativo attraverso l’effettiva pluralità dei partecipanti alla gara (pertanto semplici
titolari di un interesse legittimo), sia il rispetto delle quattro libertà fondamentali della Comunità Europea riconosciuti
quali veri e propri diritti soggettivi di ciascun cittadino interessato.
Sottolineata in tal modo l’importanza decisiva che la nozione dinamico/funzionale di
organismo di diritto pubblico riveste anche ai fini della piena legittimità della scelta legislativa di
affidare la cognizione delle relative controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, va notato che problemi interpretativi sono sorti in riferimento alla possibilità di
estendere l’applicazione della disciplina dell’evidenza (e della conseguente giurisdizione) pubblica
anche al di là dei limiti quantitativi formalmente presenti nelle norme interne di recepimento delle
direttive comunitarie.
In particolare ci si è chiesti se anche in caso di affidamento di un appalto per un importo
inferiore alla soglia minima comunitaria 63 e disciplinato dall’ente appaltante con una procedura di
evidenza pubblica (pur non essendo a ciò obbligato), la relativa controversia possa essere
conosciuta dal giudice amministrativo.
Un diffuso orientamento giurisprudenziale, argomentando in base alla ratio di tutela
generale della concorrenza sottesa alle normative sugli appalti pubblici, conclude per l’applicabilità
della disciplina comunitaria alle procedure attivate da tutti i soggetti concretamente operanti come
organismi di diritto pubblico, a prescindere dallo specifico valore dell’appalto aggiudicato 64 .
In altri termini, elemento determinante la giurisdizione amministrativa sarebbe l’attività
oggettivamente volta alla soddisfazione di fini di pubblico interesse, mentre sarebbe irrilevante la
natura pubblica o privata della stazione appaltante ed il vincolo quantitativo, il quale costituirebbe
un dettaglio puramente formale non in grado di alterare la logica interna del sistema.
D’altro canto, non sembrerebbe circoscrivibile ai soli appalti c.d. soprasoglia lo sfavore del
diritto comunitario verso le procedure di scelta diretta dei contraenti da parte degli organismi di
diritto pubblico: la deroga ai principi di trasparenza e di concorrenza è giustificabile sempre e solo
“…quale evenienza eccezionale, in presenza di ragioni tecniche ed economiche necessitanti di
adeguata motivazione”.
La stessa Corte di Giustizia ha sostenuto che anche gli appalti pubblici “…di scarso valore,
ancorché non espressamente ricompresi nell’ambito di applicazione delle procedure particolari e
rigorose delle direttive, non sono esclusi dall’ambito di applicazione dei principi fondamentali del
diritto comunitario”.
Il più recente orientamento giurisprudenziale, condiviso sia dalla Corte di Cassazione che
dal Consiglio di Stato 65 , è invece pervenuto a conclusioni opposte.
63
Variamente determinata a seconda delle caratteristiche di ogni singolo settore: si passa così dai 200.000 ECU nel
caso di appalti pubblici di servizi ai 400.000 ECU per gli appalti nei settori esclusi (relativamente al settore del trasporto
pubblico).
64
Su tutte, cfr. T.A.R. Campania, sez. I, n. 5868/03; C.d.S., VI sez., n. 1478/98; V sez., n. 295/99; T.A.R. Bari,
sez. II, 1332/03.
65
Rispettivamente con sent. SS.UU17635/03 e V sez., 7754/04.
Si è infatti osservato che “…differenziare la giurisdizione in ragione dell’importo della gara
non sostanzia una inspiegabile disparità di trattamento del sistema normativo, bensì risponde ad una
precisa e non irragionevole scelta del legislatore (comunque inerente alla sua discrezionalità
valutativa), per cui solo al di sopra di certi importi le gare d’appalto debbano essere affidate
secondo peculiari ed inderogabili procedure e al di sotto di tali importi possa essere consentita,
invece, maggiore libertà al soggetto appaltante”.
Se pertanto, il citato art. 6 L. 205/00 devolve alla giurisdizione esclusiva del g.a le
controversie relative alle procedure di affidamento di appalti svolte da soggetti comunque tenuti
all’applicazione della normativa ad evidenza pubblica, è allora consequenziale ritenere che per
radicare la giurisdizione amministrativa non è sufficiente che la stazione appaltante sia tenuta alla
generica osservanza dei principi comunitari (trasparenza, non discriminazione, parità di trattamento
ecc.), occorrendo invece il puntuale obbligo normativo di osservare le specifiche procedure così
come codificate dal diritto positivo.
Ai fini della giurisdizione, è pertanto assolutamente irrilevante la circostanza che il soggetto
agente abbia liberamente scelto l’appaltatore all’esito di una procedura selettiva modellata su quelle
disciplinate dalla legge sugli appalti comunitari.
Ragionando diversamente, si renderebbe la stazione appaltante arbitra di scegliersi il giudice
ritenuto preferibile in base alla tipologia di procedura seguita, con buona pace del principio
costituzionale per cui “nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”.
A conclusione del proprio ragionamento, i giudici di Palazzo Spada osservano che
l’affermazione della giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie relative a procedure
d’appalto c.d. sottosoglia risulta confortata anche dalla citata decisione della Consulta n. 204/04.
In tali ipotesi, infatti, mancando la norma attributiva della funzione di cura dell’interesse
pubblico (nella specie all’imparzialità delle procedure di gara), la stazione appaltante non è titolare
di alcun potere autoritativo in grado di incidere sulle posizioni giuridiche dei partecipanti, i quali
saranno titolari di un diritto soggettivo al rispetto dei menzio nati principi fondamentali del Trattato
CE: per la configurazione della giurisdizione amministrativa -sia di legittimità che, in particolari
materie, esclusiva- è invece necessario che il soggetto (rectius organismo di diritto) pubblico operi,
per previsio ne legislativa, come autorità, non essendo a tal fine sufficiente il generico
coinvolgimento di una pubblica amministrazione nella controversia.
CONCLUSIONI
Come si è cercato di evidenziare nelle pagine che precedono, la nozione di organismo di
diritto pubblico, quale prodotto “di punta” dell’ordinamento comunitario moderno, presenta ancora
numerosi punti oscuri che gli sforzi compiuti a livello giurisprudenziale europeo e nazionale non
sono riusciti del tutto a rischiarare
Infatti, la necessità di “esportare” tale nozione e di trapiantarla in ordinamenti giuridici di
Stati membri tradizionalmente caratterizzati da un multiforme assetto organizzativo/operativo degli
apparati amministrativi, la sua valenza soltanto settoriale –in quanto limitata all’ambito degli appalti
pubblici- e soprattutto la segnalata tendenza a voler verificare il concreto requisito della natura non
commerciale o industriale dei bisogni soddisfatti, anche in base valutazioni extragiuridiche (cioè di
carattere economico o di opportunità politica), hanno richiesto un approccio esegetico differente da
quello tradizionalmente seguito dalla scienza giuridica per qualificare un determinato soggetto
come pubblico. Da una comoda elencazione normativa di riferimento si è infatti passati alla
necessità di un’indagine empirica sull’impatto dell’attività svolta e sulla posizione occupata nel
mercato dal soggetto agente.
La verità è che negli ordinamenti giuridici moderni, in ragione del continuo e rapido
evolversi delle esigenze poste da un’economia globalizzata cui il diritto pubblico deve offrire
tempestivamente una valida disciplina di supporto, non è più utile continuare a catalogare gli enti
giuridici soltanto in base ad astratte ed aprioristiche classificazioni formali. Infatti, accanto a
soggetti da considerare comunque pubblici in conformità alla propria funzione istituzionale, esiste
un gran varietà di enti che, a prescindere dalla loro struttura formale, possono assumere di volta in
volta colorazioni privatistiche o pubblicistiche a seconda dell’attività presa in considerazione. Sarà
quindi l’esame concreto del profilo oggettivo a evidenziare -per induzione- il profilo soggettivo, con
tutte le conseguenze che ne derivano in punto di disciplina applicabile e di individuazione della
relativa giurisdizione.
Così, ad esempio, anche un ente ecclesiastico, che non può certo qualificarsi come ente
pubblico tout-court, assumerà colorazione privatistica nella maggior parte del suo agire statutario
(alloggiare ospiti, promuovere manifestazioni, iniziative varie ecc..), ma potrà anche diventare un
organismo di diritto pubblico per quel solo segmento di attività che presenti in concreto una valenza
pubblicistica, con il conseguente obbligo di assoggettamento alla normativa comunitaria di evidenza
pubblica. Alla luce di ciò, non risulta condivisibile la perdurante resistenza della giurisprudenza ad
ammettere la possibilità che la stessa figura soggettiva sia tenuta all’applicazione di discipline
giuridiche di volta in volta diverse (organismo di diritto pubblico c.d. in parte qua). Del resto, anche
se ad altri fini, la stessa sentenza costituzionale 204/04 ha legittimato il carattere (autoritativo o
meno) della concreta attività svolta quale discrimen per giustificare la sussistenza di una
giurisdizione piuttosto che di un’altra.
Un’ultima notazione: il riconoscimento delle potenzialità pubblicistiche anche alle attività
poste in essere da soggetti privati (in quanto riconducibili alla nozione comunitaria di organismo di
diritto pubblico), ha ine vitabilmente comportato una erosione della sfera di intervento dello Stato
nell’economia. E’ stato al riguardo acutamente osservato come l’attuale assetto socio-politico
europeo abbia limitato il diritto pubblico dell’economia alle sole norme programmatiche, mentre la
determinazione dei contenuti è stata lasciata alla disponibilità operativa di soggetti formalmente
privati.
Sembra allora che proprio grazie al criterio di identificazione teleologica della nozione di
organismo di diritto pubblico, alla connessa osservanza di rigide normative comunitarie e alla
conseguente sottoposizione alla giurisdizione amministrativa sarà possibile mantenere -anche in
ambito europeo- la necessaria vigilanza della mano pubblica su un settore, quale quello degli
appalti, fondamentale per l’economia di qualsiasi ordinamento giuridico.
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