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Storie. Storie da leggere sotto l’ombrellone, se volete. Storie che raccontano esperienze, persone, luoghi. Storie da staccare e
conservare, a cui, forse seguiranno altre storie.
In America i colibrì furono conosciuti verso la fine dell’ottocento per la barbara abitudine che avevano le signore di usare le piume
per adornarsi il cappello.
Piccole dimensioni, ali molto agili e piume colorate, queste sono le caratteristiche di questo piccolo coolibrì che vi offriamo
oggi. E ci è piaciuto il colibrì perché un po’ riassume l’idea che dal principio è dietro al nostro giornale: una creaturina che
potesse arrivare più lontano possibile, in alto magari, che fosse notata e che piacesse, un po’ sbarazzina, poco impegnativa ma
bella e interessante. E senza pretese non abbiamo scelto un albatros ma un colibrì. Solitamente chi è nato sottodimensionato
ed è particolarmente rapido non fa quasi mai una gran figura, ma noi, a discapito di quanto si dica, non siamo esibizionisti. Ci
piacciono invece le cose di gruppo ed è quello che con questo giornale e con il nostro lavoro, ogni giorno, cerchiamo di fare:
coinvolgere più persone possibile. E lo facciamo da più di due anni ormai convinti che la continuità e la costanza siano la vera
forza di chi vuole fare le cose qui.
Nessun lavoro di editing, taglia e cuci, spietata selezione è stato fatto in questo numero. Perchè Coolclub, senza intraprendere
inutili crociate, vuole essere a suo modo uno spazio (cartaceo) in cui tutti possano trovare modo di esprimersi. Tra chi gli spazi li
riconquista abbattendo i mostri dell’abusivismo e chi cerca di riqualificare quelli già esistenti ed abbandonati, Coolclub nel suo
piccolo lavora per creare spazi che ancora non ci sono per la musica, il divertimento e un’informazione diversa e soprattutto
gratuita.
Questo il nuovo numero di Coolclub, una nuova soluzione grafica, una più agile e ricca sezione dedicata alle recensioni, più
appuntamenti, speriamo presto anche più pagine.
Osvaldo
L’ESTATE E’ UN
COOLIBRI’
CoolClub.it
Via De Jacobis 42 73100 Lecce
Telefono: 0832303707
e-mail: [email protected]
Sito: www.coolclub.it
Anno 2 Numero 17
Iscritto al registro della stampa del
tribunale di Lecce il 15.01.2004 al
n.844
Direttore responsabile
Osvaldo Piliego
Collettivo redazionale
Dario Goffredo, Pierpaolo Lala, Dario
Quarta, C. Michele Pierri, Gianpiero
Chionna
Collaboratori:
Giancarlo Susanna, Valentina
Cataldo, Cesare Liaci, Sergio
Chiari, Maurizia Calò, Marcello
Zappatore, Davide Castrignanò,
Amedeo Savino, Patrizio Longo,
Augusto Maiorano, Antonio Iovane,
Rossano Astremo, Rita Miglietta,
Marta Vignola, Daniele Lala, Elisa De
Portu, Daniele Rollo, Marco Daretti,
Marco Leone, Fulvio Totaro, Stefano
Toma, Federico Vaglio, Lorenzo
Coppola, Paola Volante, Nicola
Pace, Giacomo Rosato, Antonietta
Rosato, Nino D’Attis, Luca Greco,
Luisa Cotardo, Rakelman, Antonella
Lippo, Livio Romano, Pierfrancesco
Pacoda, Stefano Cristante, Carlo
Chicco, Antonino De Blasi, Fabio
Rossi, Marcello Aprile, Annalisa
Serpilli, Nicola Pace, Massimo Muci,
Francesco Lefons, Alfredo Borsetti,
Fabio Striani, Gianni De Blasi, Antonio
Calogiuri, Camillo Fasulo, Chiara
Piovan, Ruggero Bondi, Mauro
Marino
3
4
NOTE ESTIVE
DISCHI
COOLIBRI’
10
CINEMA
Foto di copertina Alice Pedroletti
Progetto grafico
dario
Stampa
Lupo Editore - Copertino
Chiuso in redazione a tarda ora
del 25 luglio 2005
Per inserzioni pubblicitarie:
[email protected]
ph Alice Pedroletti
}
DEBOSCIATE NOTE ESTIVE...
…e resto qui sul filo del rasoio…
questa frase mi perseguita e tramite
me e la mia voce perseguita tutta la
redazione di Coolclub. L’estate è leggera
per definizione, l’estate è la stagione
degli amori rapidi, usa e getta, dei falò
consumati nel giro di una notte, delle
riviste patinate leggiucchiate sulla spiaggia
(tanto che abbiamo discusso se mettere
o meno un culo in copertina), dei discorsi
assurdi sui costumi e sull’abbronzatura, dei
telegiornali che aprono con il caldo (che
poi senza caldo che estate sarebbe) o
con la dicotomia tra pioggia e fuoco, tra
acqua e incendi.
L’estate è la stagione degli
esodi biblici, dei centocinquantamilioni di
miliardi di auto sulle autostrade. L’estate
è disimpegno, aria di ferie, voglia di far
niente, stagione durante la quale sembrano
andare in vacanza anche le contraddizioni
del mondo e le sperequazioni sociali.
Anche i movimenti, i partiti, le associazioni
giovanili si danno appuntamento nei
campeggi per scopare, suonare, fumare e
parlare dei massimi sistemi.
E poi l’estate (a Lecce) è la
stagione delle polemiche sulla movida,
dei tavolini messi fuori e degli spazi che
mancano, delle solite discussioni sui
candidati alle prossime
elezioni politiche (tanto si
vota sempre per qualcosa)
e della salentinità. E poi le
sagre, le pizziche, le feste
di paese, le luminarie, i
concerti gratis, il caldo…
Anche noi siamo
alla frutta e mettiamo in
piedi una rivista che non
c’è… una serie di frasi senza
senso che possiate leggere
comodamente
sotto
l’ombrellone (se potete permettervelo)
o sugli scogli appuntiti o come al solito
in bagno prima di uscire o di andare a
dormire. Un disimpegno di tal fatta ha
bisogno di una colonna sonora adeguata,
lontana dall’impegno di parole e di suoni
(suona…). Così le radio delle auto sparano
nell’afa di luglio e agosto sempre le solite
canzonette da spiaggia da canticchiare
sotto la doccia o negli ingorghi post bagno.
Quelle che un tempo andavano a finire nei
mangianastri o ancor prima nei piccoli
lettori di 45 giri colorati da far schifo.
E resto qui sul filo del rasoio… è
sempre più nella mia bocca, merito dei
leccesi (o meglio salentini) Negramaro che
con Estate imperversano tra Festivalbar,
ArezzoWave, Giffoni Festival, Top of the
pop e tutto il resto. Disco d’oro per l’album
Mentre tutto scorre e complimenti dalla
redazione anche per i verbi… è il segno
di un estate che vorrei potesse non finire
mai (qualcuno al karaoke canterà “vorrei
potrebbe…”). Quello che proprio l’estate
2005 non si aspettava è un ragazzotto
esploso a Sanremo con un canzoncina
facile facile. I bambini fanno oh di tal Povia
è ancora in classifica, ancora nelle radio
e (purtroppo) ancora nel cervello. Come
nella cervice è penetrata (con varie versioni
rivedute e corrette) Vorrei cantare come
Biagio dello sconosciuto (un po’ clone di
Caparezza) Simone Cristicchi. Sembrava
più una delle parodie del cantante Bruno
di Quelli che il calcio e invece…
Altro sconosciuto è sicuramente
Pago che grazie ad una pubblicità ha
lanciato la sua tremenda Parlo di te (sei
frasi in tutto). Nella sezione maniaci sessuali
entrano di corsa i siciliani Sugarfree che
dopo la esplicita Cleptomania tornano
con il nuovo singolo (uguale ma più
brutto) Cromosoma (Geneticamente
/ Predisposto a concupirti, solo per
citare due versi). Non male neanche
l’outing sessual canoro di Syria che in
Non sono snocciola tutti i suoi ex che non
le hanno scritto una canzone (avvocato,
contadino, prete, carcerato, muratore,
filosofo, scienziato, corridore, giornalista,
calciatore e finanziere). Categoria frici
purpi! Nuova, fresca e interessante L’aura
che imperversa con Radio Star.
Ogni
estate
non
possono
mancare alcuni grandi classici. Cesare
Cremonini torna con una struggente e
ammiccante Marmellata#25. Una sola
nota cronologica. Tra la morte di Senna e
la fine della carriera di Baggio sono passati
10
anni…ma
quando cazzo
è finita sta storia
e
soprattutto
quando scade
sta marmellata…
Il
ricciolino
chitarrista Alex
Britti giunge con
un pezzo meno
riuscito
del
solito. Prendere
o
lasciare
è
un po’ troppo floscia. Le Vibrazioni dopo
Giulia tornano con Angelica mentre il
belloccio Gianluca Grignani ci propina
la sua Bambina dallo spazio. Sempre più
santone Jovanotti Lorenzo Cherubini arriva
con Tanto 3 (urlate insieme a me “suona”).
I Negrita approdano in classifica con una
abbastanza ispirata Rotolando verso sud.
Tra i mattoni segnaliamo Elisa con la sua Una
poesia anche per te. Non dimentichiamo
però le note straniere (anche se io sono
un italianista convinto) con Gwen Stefani,
i Blue, i Gorillaz (veramente carini), Natalie
Imbruglia (veramente bellissima), i redivi
Tears for fears e Duran Duran, la solita
musica dei Kaleidoscopio e molta altra
roba che sto dimenticando.
Anche la musica, dunque, è
simbolo e sintomo della nullafacenza,
dell’ozio che ci attanaglia. Al cinema
d’altronde vengono proposti gli “scarti”
degli ultimi mesi, tranne qualche eccezione.
E in tv tornano tutti i grandi classici di Jerry
Calà, Massimo Ciavarro, Eleonora Giorgi
(Sapore di Mare 1 e 2, Chewing gum), Lino
Banfi, Franco e Ciccio, o ancora Wind Surf…
il vento nelle mani, o lo struggente Laguna
Blu, o Gli Orsi, Professione Vacanze, tutti i
film di Totò, Borotalco di Carlo Verdone (so’
bbone e so’ ggreche) e tutti quei film che
ti devono annientare la mente. Ridere è la
parola d’ordine. Ridere da una parte ed
amare dall’altra. E allora mentre nell’inserto
troverete le vere
segnalazioni di
lettura
come
non consigliarvi
qualche
bel
r o m a n z o
Harmony
per
sognare sotto
l’ombrellone un
amore migliore.
Basterebbero i
titoli per capire
di cosa stiamo
parlando…Un
capo
da
scoprire
(Lo
sguardo
di
Conall si è fatto
strada in un
istante nel suo
cuore, facendo
vacillare l’immagine da spietato playboy
che aveva di lui), Per la prima volta
(Costretti a vivere sotto lo stesso tetto per
molti giorni per occuparsi di un progetto
piuttosto impegnativo, Nick e Amy, fino
a quel momento due perfetti sconosciuti,
scoprono di avere in comune molto più
dello scopo della loro convivenza forzata),
Quando arriva l’estate (La resa dei conti
arriva d’estate, durante una vacanza
in un incantevole casolare toscano:
appena Harriet e James si ritrovano da soli,
esplode qualcosa di molto diverso dai soliti
battibecchi), Riflessi dorati (C’è un modo
per non cadere nella sua trappola ogni
volta che i loro sguardi si incrociano?),
Ancora tu, ancora noi (La prospettiva
di lavorare al fianco di Adam Ross è
l’occasione giusta per capire se possono
amarsi oppure è meglio fuggire ancora?).
Un numero inutile per una
stagione inutile ricca soltanto di apparenza
e di (finto) interesse per i presunti turisti. Un
numero utile per quelli che da questa
stagione e dalla sua vacuità riescono
a sopravvivere per i restanti mesi utili
dell’anno. Buone vacanze a tutti…suona!
Pierpaolo Lala
CoolClub.it
Goldfrapp
Supernature
Mute/Virgin
Tornano Alison
Goldfrappin e Will
Gregory. Ipnotici, freddi,
ma allo stesso tempo
sensuali, si muovono tra
macchine ed atmosfere
sospese a scaldare
sensi e cuori con una
manciata di nuove
canzoni.
The Ponys
Celebration Castle
In the red
Vintage al punto giusto
The Ponys sono in
grado di maneggiare
punk’n’roll, garage e pop
senza farne materiale per
nostalgici, vengono da
Chicago e sono il giusto
equilibrio che mancava
tra leggerezza e belle
canzoni.
Grimoon
Demoduff#1
Macacorecords
di Osvaldo
Come on feel
the Illinoise
Sufjan Stevens
Rough Trade
The Ordinary Boys
Brassbound
Warner/B-Unique
Quattro ventenni con
gli occhi puntati verso
il passato. Neo mod
o come li si voglia
definire the Ordinary
Boys sembrano andati
a lezione da Jam, Clash
e Specials con ottimi
risultati. Per chi ama
l’Inghilterra degli anni 80.
Microspasmi
16 punti di sutura
Vibra
Arrivano a salvare una
scena, quella hip hop,
che da tempo languiva.
Sono i Microspasmi e non
risparmiano nessuno,
cattivi, irriverenti, ironici,
ben prodotti, sono la
risposta a chi crede che
l’hip hop italiano siano
solo i Gemelli Diversi.
Da un po’ di anni a questa parte anche il francese sembra sdoganato come lingua
universalmente utilizzabile nell’indie rock (ne sono esempio in Italia gruppi come
Ulan Bator). La musica francese gode in generale di grandi consensi anche fuori il
suo confine e da Benjamin Biolay fino a Coralie Clement trova approvazioni un po’
ovunque.
I Grimoon sono una band franco italiana, vengono da Marghera e sintetizzano in
soli otto brani le linee cardine di un progetto sinceramente affascinante. Il cantato
francofono che si alterna all’italiano e all’inglese accompagna un neo-folk elegante
e delicatamente arrangiato. Il tutto è calibrato bene, le canzoni sono pop al punto
giusto senza mai perdere carattere personalità. Un ottimo esordio.
Quella di Sufjan Stevens è una di quelle storie che vale la pena di raccontare,
appartiene a quella tipologia di musicisti che coscientemente si imbarca
in imprese impossibili. La sua personale missione è quella di raccontare
l’America in 50 dischi, un disco per ogni stato. Monumentale saga arrivata
al secondo capitolo che forse mai vedrà la fine e che racconta in modo
semplice e sempre diverso l’America delle piccole cose. Un viaggiatore Sufjan
Stevens che a spasso per gli Stati Uniti si guarda intorno, si lascia affascinare
dalle persone che incontra, dalle pompe di benzina, dai particolari che poi
immortala in musica. Dopo il primo Greetings from Michigan esce questo
nuovo Come on feel the Illinoise che non fa che confermare la grandezza di
questo giovane menestrello.
Non ha fretta e non risparmia cartucce per i lavori a venire Sufjan regalandoci
22 tracce di rara bellezza. E fa di immagini suggestioni sonore riuscendo a
tradurre in musica paesaggi e storie grazie a una gamma musicale piena di
tinte e contrasti. E sa essere indie e acusticamente post come il miglior Jim
O’Rourke, classico come Crosby Still Nash & Young, intenso come Elliot Smith.
Ed è bello viaggiare con Sufjan attraverso le sue storie, le sue aperture corali
e orchestrali (i bellissimi sei minuti di Chicago), le ballate più intimiste e country
folk di Decatur e Casimir Pulaski day, quelle quasi dream pop di Prairie fire that
wanders about, la marcetta dispari di The tallest man, the broadest. Un disco
che sembra a tratti il personale lamento di un uomo e la sua stanza, in altri un
incredibile musical sulla conquista del west, vario, bello e sorprendente dalla
prima all’ultima nota.
E alla fine ci credi al suo progetto, ci speri, come in un serial non vedi che
arrivi la puntata successiva, curioso di sapere come suoneranno gli altri stati di
questa personalissima America di Sufjan Stevens.
Osvaldo
4
CoolClub.it
Santo niente
Il fiore dell’agave
Black Candy
di Osvaldo
È un disco denso la nuova prova
sulla lunga distanza del Santo
Niente di Umberto Palazzo. Un
disco coraggioso che arriva
a ricordare, perentorio, che
il rock italiano è vivo e non
vegeta. Un bagaglio pesante
quello con cui deve fare i conti
Umberto Palazzo: l’esperienza
di un decennio passato con
i fasti di una scena che oggi
si fatica a ritrovare e che, in
questo disco, arrivato dopo un
lunghissimo silenzio, è linfa che
nutre questo fiore sanguigno
e spinoso. Ruvido nei suoni e
nelle parole, affidato alle mani
di Fabio Magistrali, registrato
in pochi giorni in stile low-fi,
Il fiore dell’agave è un disco
che in undici episodi riesce a
conciliare spirito dark, irruenza
punk, indie.
Socialismo tascabile è uno dei
dischi italiani più discussi del
momento, uno di quei dischi
che va esaminato su due piani:
quello musicale e quello dei
testi. La parola è infatti il mezzo
espressivo primo di questa
band che recita in un italiano
sporco che molto fa pensare
ai Massimo Volume o ai primi
Cccp (senza cantare quasi
monocorde). Ed è sempre da
quell’Emilia paranoica che
vengono gli Offlaga disco pax,
da quella terra che è rimasta
sotto dagli anni ottanta, quel
decennio di splendido fervore
creativo e incredibile attitudine
all’autodistruzione.
Canzone
politica come da tempo non se
ne sentiva ma anche sintesi del
quotidiano, ricordi descritti con
un linguaggio che fa pensare
ai cannibali. Musicalmente
è l’elettronica minimalista a
scandire i momenti di un album
scarno e diretto ma allo stesso
tempo attuale e di ricerca.
di fabbrica è sempre quello di
chi ha firmato indelebilmente
l’indie anni 90, ma con un
qualcosa in più. Merito forse
della sopraggiunta maturità o
della completa paternità dei
brani il disco suona diverso
rispetto ai suoi precedenti. Più
complesso rispetto alle strutture
e agli arrangiamenti scarni a cui
eravamo abituati, trasversale
nei generi (rock and roll, funk,
country, blues). Un percorso
difficile quello intrapreso da
Malkmus che sembra in alcuni
frangenti
voler
scomodare
gente come Frank Zappa.
Superare se stessi, quando tanto
si è fatto, non è impresa facile.
Questo disco rappresenta il
tentativo, riuscito, di salire un
altro gradino verso nuove forme
di rock possibile.
Ben Folds
Songs for silverman
Epic/Sony
di Osvaldo
Stephen Malkmus
Face the truth
Matador
di Osvaldo
Offlaga disco pax.
Socialismo tascabile
Santeria
di Osvaldo
5
Terzo album solista per l’ex
Pavement Stephen Malkmus.
Accantonati anche i Jicks che nei
precedenti episodi erano anima
del progetto, suona e produce
questo disco tutto solo. Marchio
Una vena creativa dirompente
quella di Ben Folds che riesce
con talento raro per chi
maneggia il pop a infilare
una dopo l’altra canzoni
che stanno su da sole.
Spudoratamente
melodico
in formazione a tre (piano,
basso, batteria) è capace di
essere potente e romantico
allo stesso tempo, di usare la
forma canzone con l’attitudine
di gente come Elthon John
(il primo), Elvis Costello. Piano
sempre in evidenza, canzoni
ben calibrate, un calcio alla
banalità una coccola agli
anni 70. Meno eclettico ma
più diretto di Rufus Wainwright,
Ben Folds è uno di quelli che va
bene a tutti perchè classico.
Populous
Queue for love
Morr music
di Osvaldo
Il folletto salentino dell’elettronica
arriva alla sua seconda prova
per la tedesca Morr music.
Il successo del primo Quipo
trova immediata conferma in
questo nuovo Queue for love.
Sorprendente come Andrea
Mangia riesca ad assemblare
sentimenti in digitale. Quelle
che, soprattutto nel primo
disco,
possono
sembrare
atmosfere algide sono in realtà
un’infinita gamma di sfumature
di colore accennate, dolci e
sognanti. Un disco più aperto
nei suoni, più decisi, addirittura
ballabili a tratti, e nelle
collaborazioni. Ospiti d’onore
Dose One (voce dei Clouded)
e miss Matilde degli Studio
Davoli che impreziosisce con
la sua voce suadente un disco
elegante.
CoolClub.it
Royksopp
The Understanding
Astralwerks
di Osvaldo
Il loro primo album Melody AM
ebbe un incredibile successo,
attirò l’attenzione su un paese
(la Norvegia) che a ben altre
sonorità ci aveva abituato.
Torbjorn Brundtland e Svein
Berge sono tornati con questo
nuovo
The
Understanding.
Abbanonata
quella
felice
commistione tra indie ed
elettronica del precedente
i due si spostano in questo
nuovo episodio su sonorità più
electro pop dal sapore anni
80, ma non solo. Ce n’è infatti
per tutti i gusti: non rimarranno
delusi gli amanti della pista
e i più tranquilli ascoltatori di
elettronica in stile Air. Abbiamo
aspettato quattro anni ma
ne è valsa la pena, il nuovo
album dei Royksopp non fa
rimpiangere il precedente: più
elettronico e più cantato.
Billy Corgan
TheFutureEmbrace
Warner
di Osvaldo
Difficile fare i conti con
un passato così pesante,
difficilissimo replicare il successo
di una band come gli Smashing
Pumpkins e la bellezza di
album come Siamese Dream
e Mellon Collie. Difficile dopo
lo scioglimento della band
inventarsene un’altra come gli
Swan, difficile in questo periodo
di possibili reunion uscire con
un album solista. Definito dai
più come una delle penne
più creative dell’indie rock
anni novanta Billy Corgan
non si smentisce con un disco
in cui le canzoni ci sono ma
sembrano soffrire sotto il peso
dell’elettronica. Pieno di tutto
quello che è Corgan, quel
suo oscuro romanticismo, gli
arrangiamenti a volte troppi
ed ostici il disco ha in serbo
una chicca da non perdere.
Una bellissima cover (To love
somebody dei Bee Gees) frutto
di una notte di jam session con
Robert Smith dei Cure.
Weezer
Make Believe
Geffen
di Osvaldo
I Weezer ci regalano altri 45
minuti di musica. Per chi come
me li ama spassionatamente e
ne ha seguito alti e bassi (picco
assoluto della band l’esordio
omonimo del 94 da poco
ripubblicato)
questo
disco
può a primo ascolto lasciare
perplessi.
L’attitudine
pop
della band sembra emergere
più che in precedenza, il
muro di distorsioni che prima
impastava tutto in un magma
quasi
impenetrabile
di
melodia e potenza è in questo
Make Believe notevolmente
ridimensionato
da
una
produzione decisamente più
pulita. Il singolo con tanto di
video con conigliette sembra
un po’ troppo ammiccante
e non ironico come la mitica
Buddy Holly. Ma i Weezer
hanno ancora da dire la loro
nel mare di gruppetti punkettini
e poppettari californiani da
una stagione e via. Rivers
Cuomo non perde la sua vena
di eterno loser, non ci sono
le arditezze a fare altro dei
precedenti episodi, ma onesto
power pop per nostalgici o
adolescenti.
Oasis
Don’t believe the truth
Epic
di Osvaldo
Sentimenti
contrastanti
accompagnano
l’uscita
di ogni album degli Oasis.
Convinti ancora di essere la
migliore rock band del pianeta,
i fratelli Gallagher negli ultimi
anni hanno fatto più scalpore
per le dichiarazioni al vetriolo
che per la loro musica. Fatto sta
che ogni volta che esce un loro
album è un evento che tutti
attendono, chi devoto alla loro
musica, chi solo per stroncarli.
Quando si è troppo egocentrici
il rischio è quello di diventare
la brutta copia di se stessi e
questo stavano rischiando gli
Oasis che con questo ultimo
album raddrizzano il tiro. Alla
batteria il figlio di Ringo Star,
sembra confermare ancora
una volta la loro passione per
i Beatles. E i rimandi al passato
sono tanti, i Rolling Stones
nell’intro del singolo Lyla, i
Kinks, i Velvet Underground, il
punk che graffia ancora nella
voce di Liam, Bob Dylan come
nella tradizione del gruppo
da sempre egregio nell’arte
dello scopiazzare. Meglio del
precedente, ma lontano dalla
bellezza degli esordi.
Scout Niblett
Kidnapped by Neptune
Too pure- Lain/Goodfellas
di Lorenzo Coppola
In un periodo in cui le cantautrici
sembrano uscire una dopo
l’altra da una fotocopiatrice,
non si può restare indifferenti
di fronte a un’inglesina che si
presenta sul palco con una
parrucca bionda e che oltre
a cantare si cimenta in ciò
che nessun batterista “vero”
riuscirebbe a fare per più di
dieci minuti senza scocciarsi. La
sua voce poi. Insufficiente dire
che abbia un suono a metà
strada tra la nasalità della
prima Bjork e le fusa di Cat
Power. È strano ascoltare una
donna che sembra aver deciso
di rinunciare alle caratteristiche
che rendono femminile la
propria voce, preferendo usarla
come farebbe una bambina.
Nel 2001 il debutto Sweet heart
fever ce l’aveva mostrata come
una delle tante cantautrici
anglosassoni un po’ ingrippate,
ma già allora si intuiva che lei
avesse qualcosa in più delle
sue colleghe che si lamentano
su una pennata di chitarra.
Tuttavia
quell’immagine
è
stata smentita due anni dopo
da I am, forte della minimale
produzione di Steve Albini
e dello splendido singolo
Drummer boy: oltre alle sei
corde appena pizzicate si
sentiva una batteria percossa
in modo elementare, a volte
un po’ fuori tempo, e una
voce a tratti isterica cantarci
su. Ma guai a pensare che
l’intento della signorina Scout
sia quello di cavalcare l’onda
trendy dei White Stipes o dei
colleghi di tour The Kills: qui
siamo davanti a una ricetta
ulteriormente
semplificata,
forse unica nel panorama
musicale, indie e non. Non tutti
possono permettersi infatti di
cantare a cappella o solo su
una batteria senza provocare
sbadigli, e solo lei, come fa
nella recente Safety Pants, può
ripetere per oltre due minuti
Come on honey, what are you
doing to me? senza sembrare
deficiente.
Sempre prodotto da Steve
Albini, e anticipato dal singolo
omonimo,
Kidnapped
by
Neptune, a parte lasciare
spazio a un pianoforte in This
city, non cambia di molto la
formula del suo predecessore.
Tuttavia appare meno aspro,
più accessibile e cantabile,
dotato di un maggiore senso
del pop, se è lecito usare
tale aggettivo, e proprio per
questo ha buone possibilità
di raggiungere un numero
maggiore di ascoltatori. Ora
non ci resta che aspettare,
e vedere chi sarà la prima a
scopiazzare Scout Niblett.
6
CoolClub.it
Porcupine tree
Deadwing
Lava/Warner
di Camillo Fasulo
Paolo Benvegnù
Cerchi nell’acqua ep
Stoutmusic/Santeria/
Audioglobe
di Lorenzo Coppola
Sono dolci come una carezza,
forti come coliche renali,
dolorose come un calcio nelle
palle, nella peggiore delle
ipotesi fastidiose come un
prurito o un cattivo odore. Ma
una cosa è certa: a meno che
non sei una bestia insensibile, le
canzoni di Paolo Benvegnù le
senti fisicamente, non puoi solo
ascoltarle.
Per festeggiare un po’ in
ritardo il primo compleanno
dell’esordio
solista
dell’ex
Scisma la Stout ci regala
questo gioiellino che oltre
alla versione radio edit della
title track (di cui è presente
anche il videoclip realizzato da
Tommaso Cerasuolo, voce dei
Perturbazione) comprende In
a manner of speaking, cover
dei Tuxedemoon con cui Paolo
ha chiuso le oltre centotrenta
date del suo tour ancora in
corso e tre inediti: la ballata per
pianoforte Rosa lullaby, Il vento
incalcolabile del sud, che è
bella come un pezzo di Tenco,
e uno strambo esperimento:
Piccoli fragilissimi film, che mette
insieme musica e battute tratte
da dialoghi cinematografici.
Bisognerebbe incazzarsi nel
constatare che neppure i
signori del Premio Tenco si
siano accorti che il nuovo
cantautorato italiano vanta
una personalità artistica dalle
dimensioni così imbarazzanti,
e invece bisogna solo ghignare
di gioia, perché la musica di
Paolo è la dimostrazione che
la canzone è una forma d’arte
ancora in grado di dire cose
importanti agli esseri umani.
Sentitelo: ha qualcosa da dire
anche a voi.
Tavola imbandita a festa per
i fans dei Porcupine Tree! Il
nuovo studio album, pubblicato
quasi in contemporanea con
Warszawa, un live registrato
nel 2001 negli studi della
radio di stato polacca, è un
lavoro senza dubbio perfetto:
produzione d’alto livello e
composizioni davvero ispirate!
Dare alla luce un album
come Deadwing è stata
un’operazione tuttavia molto
rischiosa per i Porcupine Tree,
di quelle che possono segnare
il rapporto di una band con
i propri fan. È evidente che
la
recente
collaborazione
tra il leader Steven Wilson e i
death metallers Opeth (il cui
cantante Mikael Akerfeldt, tra
l’altro, ricambia qui l’ospitata)
abbia lasciato il segno, ma
non mancano, in ogni caso,
dei momenti più sognanti e
melodici,
più
tipicamente
Porcupine Tree. Attenzione
però, perché non stiamo
parlando di un clamoroso passo
falso. I nostri riescono benissimo
a sfornare grande musica
anche quando non si autocitano. E poi il prog, quando
è suonato ai massimi livelli
come in questo caso, è sempre
musica affascinante. Ricca di
suggestioni soprattutto, come
anche di atmosfere complesse
e
di
intriganti
intrecci.
Comunemente si associa però
a questo stile un gusto retrò.
È vero, ma, mai come questa
volta in Deadwing, i Porcupine
Tree
sono
sembrati
così
proiettati verso il futuro. E pur
convenendo che questo sia
rock destinato ad un pubblico
adulto, non si può dire che non
riesca ad affascinare anche le
generazioni più giovani.
7
High on fire
Blessed black Wing
Relapse Records
di Camillo Fasulo
Una delle dispute più sterili e
noiose che ci siano è quella
infinita su cosa sia “heavy
metal”, quale gruppo sia più
metal, chi è “true”, chi è “false”
e altre scemenze simili. Basta
affacciarsi sugli innumerevoli
forum del web per rendersene
conto.
Questioni
che
si
risolvono
immancabilmente
in liti, teorie strampalate e
palesi dimostrazioni di abissale
ignoranza.
Bene,
a
tutti
coloro che davvero volessero
riscoprire l’autentico e letterale
significato di questo termine, di
riassaporarne lo spirito crudo
ed originario, è consigliabile
l’ascolto di questo magnifico
terzo album degli High On
Fire, davvero un sunto perfetto
del più primitivo, efficace e
devastante metal.
Se il primo album degli
High On Fire era ancora
abbastanza vicino al suono
degli
antesignani
Sleep,
mentre il secondo tratteggiava
coordinate
semplicemente
heavy, il terzo definisce uno
stile tellurico, fragoroso e
decisamente inquietante. Matt
Pike è una vecchia volpe! In
giro da più di 15 anni, prima con
gli originari Sleep, inventando
in pratica lo stoner, e poi con
questa mostruosa creatura,
ha lanciato un guanto di sfida
allo stantio mondo del metal.
Blessed Black Wing è un album
che difende a spada tratta il
concetto di estremo in musica,
un autentico concentrato di
delizie metalliche.
È tempo che anche il
puro metal torni ad essere
competitivo e vitale, e se per
farlo deve ritornare alla propria
preistoria che lo faccia. Tanto
meglio se ci pensano musicisti
di talento come gli High On
Fire!
Dark Tranquillity
Character
Century Media/Self
di Nicola Pace
Quando
meno
c’è
lo
aspettavamo,
dopo
due
anni
di
estenuanti
tour
mondiali, è arrivato il settimo
lavoro in studio degli svedesi
Dark Tranquillity dal titolo
Character. Dopo Projector,
Damage Done e Havaen,
dove
la
sperimentazione
elettronica si era fatta molto
pesante, facendo pensare,
in alcuni momenti, ad un
influenza depeche modiana,
con Character i nostri si
riappropriano delle loro radici
death-metal
old
school,
unendo ad aggressività e
complessità strumentale, la
componente elettronica ormai
perfettamente integrata nel
sound del gruppo. Fra i brani di
migliore fattura: Lost to Apathy,
The endless feed, My negation,
songs
potenti,
aggressive,
melodiche
e
sperimentali
insomma
delle
costruzioni
sonore complesse dove le
ritmiche e le trame metriche
si fanno sempre più articolate
e spinte verso il limite. Con
questa release la band vuole
dimostrare di essere maturata
e aver messo su un carattere
ben preciso. Unico neo una
produzione impastata, che
penalizza e non poco molti
dei brani presenti. Ragazzi
chiamatelo come volete trashdeath, death-metal melodico,
death scandinavo, l’unica
cosa certa è che il sound di
Goteborg è tornato e questa
volta non risparmierà nessuno,
siete avvisati.
CoolClub.it
Foofighters
In your Honour
Sony/Bmg
di Osvaldo
Dave Grohll è tornato, c’è aria
di festa in casa Foofighters,
dieci anni di onorata carriera
celebrati in un disco che
altro non si poteva Intitolare
In Your Honour. Una tappa
importante il decennio per una
band, ancora di più quando
a festeggiarli è una band che
sembrava destinata a durare
poco. E invece dalle ceneri
del grunge l’ex batterista dei
Nirvana, poliedrico animatore
del nuovo rock americano,
ha dato vita a una band
con un piede nel power pop
e
uno
nell’indimenticabile
Seattle. Questo nuovo album
dei Foofighters è addirittura
un doppio, due dischi a
rappresentare le due anime
del gruppo: quella rumorosa
e quella acustica, nettamente
separate nei due dischi. Il primo
cd ci restituisce i Foofighters
come
ce
li
aspettiamo,
rabbiosi,
tiratissimi,
grandi
aperture nei ritornelli. Il secondo
è una sorpresa. Imbracciata la
chitarra acustica si mette a
nudo, fa scoprire la sua voce,
ricorda a tratti il vecchio Kurt
intimista, ma fa anche di più
giocando con una bossa nova
e imbarcandosi in svisate quasi
psichedeliche.
The tears
Here come the tears
Indipendiente/V2
di Osvaldo
Molti anni sono passati da quei
tempi bellissimi in cui il brith pop
invadeva il mondo. Tra i gruppi
assolutamente imprescindibili
c’erano
i
Suede,
quella
riuscitissima accoppiata di
chitarrismo prezioso e geniale
che al grande Johnny Marr
degli Smiths faceva pensare
e quell’efebica spinta vocale
glam che sembrava segnare
il ritorno di Bowie. Artefici di
questa perfetta alchimia erano
Brett Anderson (voce) e Bernard
Butler (chitarra) che con i loro
Suede ci hanno regalato dischi
(i primi due su tutti) che vale la
pena riascoltare. E il loro ritorno
non può creare che grandi
attesa, speranze.
Con questo progetto The Tears
non dicono niente di nuovo ma
lo fanno con una classe che è
solo loro. Le canzoni sono belle,
i due dimostrano l’affiatamento
di sempre, ma un dubbio,
una strana insoddisfazione fa
capolino. Forse non viviamo più
quegli anni, forse quel tempo è
passato e anche quel suono.
Largo alla nostalgia allora e
in questo disco ce n’è tanta,
della migliore.
Jamiroquai
Dynamite
di Giancarlo Bruno
Il sesto lavoro per i Jamiroquai.
Dopo un lieve decadimento
qualitativo del precedente A
funk Odissey, la band inglese
capitanata dal pazzo furioso JK
ritorna ai vecchi splendori con
un album super; alla luce della
ormai consolidata esperienza,
il gruppo si può permettere,
senza il rischio di risultare poco
creativo, di utilizzare passaggi
con accordi non proprio coolfunk (il contrario suonerebbe
proprio male!) come in Love
Blind. L’energia c’è tutta, basta
ascoltare la super-disco track
Starchild… indiavolate chitarre
wah-wah e distorsioni dosate
per muoversi al tempo di cassa.
Per ottenere queste sonorità, le
sessioni di registrazione si sono
svolte negli USA con la precisa
intenzione di richiamare, con
cori e archi, le atmosfere
sfarzose e maestose della Los
Angeles degli anni ’70 (Don’t
Give Hate a Chance). Il disco
comunque non risulta affatto
statico o banale, passa anzi
dalle sempre belle e ritmiche
ballads a scatenati ritmi rock
danzerecci (Black Devil Car)
campi in cui, a dire il vero,
non eravamo soliti ascoltare i
Jamiroquai. Un album super,
quindi; super dance e super
funk.
8
CoolClub.it
Land of the dead
di George A. Romero
Musica cubana
di German Kral
Alone in the dark
di Uwe Boll
Acque silenziose
di Sabiha Sumar
Il mondo è invaso
dagli zombie. Nelle
strade regna il caos e
la situazione non é più
sostenibile così, tra i
superstiti c’è qualcuno
che pensa d’intervenire.
Un film-documentario
appassionato e
appassionante che
racconta la vita degli
artisti ma anche la
musica e le emozioni
della gente di Cuba.
Edward Carnby,
detective del
pananormale, investiga
sulla misteriosa
morte di un amico
nell’ adattamento
cinematografico del
famoso videogame
dell’Atari.
1979, il Pakistan guidato
dal generale Zia-ul-Haq,
sta per diventare un
paese islamico. Questo
sconvolgerà la vita
di Aisha e della sua
famiglia.
Jan Kounen
Blueberry
Moviemax
di C. Michele
Pierri
Steven
Spielberg
La guerra
dei mondi
Paramount
Liberamente tratto dal fumetto western creato nel 1963 da Jean-Michel Charlier e Jean
‘Moebius’ Giraud, Blueberry è l’ultima fatica di Jan Kounen, già regista di “Dobermann”.
Appena arrivato nella città di Palomito dalla natìa Louisiana, il giovane Mike Blueberry
incontra e si innamora di una prostituta. La sera stessa, però, la ragazza muore in una
sparatoria tra Mike ed il misterioso Wally Blount. Mike sopravvive a malapena all’incendio
provocato dalla sparatoria, fuggendo a cavallo dalla città, diventando poi sceriffo di
Palomito proprio per difendere il territorio indiano dagli uomini bianchi. Ma proprio quando
Mike incontra una donna talmente bella e decisa da farlo nuovamente innamorare, ecco
che Wally Blount ricompare nella sua vita. Nonostante l’interpretazione di Vincent Cassel
e Juliette Lewis, vere note positive del lavoro, molte sono le contraddizioni che animano
questo film e che sicuramente faranno storcere il naso agli amanti dell’albo e del genere
western, non fosse altro perchè questo film ha davvero poco sia dell’uno che dell’altro.
Appare infatti più un esercizio di stile e un mix di effetti speciali e misticismo che lo rende
troppo lontano da quello che il pubblico si attenderebbe.
Torna Steven Spielberg e lo fa alla grande, con un film faraonico che lo consacra, se
ancora ce ne fosse bisogno, gallina dalle uova d’oro del cinema mondiale e tutto
questo nel momento in cui è stato definito (qui senza dubbio esageratamente) dalla
classifica stilata da Empire miglior regista di tutti i tempi. Eppure se è vero che non
sbaglia un colpo, è altrettanto vero che questa volta siamo alle prese con un film
nettamente diverso dai suoi soliti lavori, anche se con elementi senza dubbio cari al
regista americano, come la presenza aliena. Tratto dal libro di H.G. Welles che fu già alla
base dell’omonimo film-cult di fantascienza del 1953, il kolossal di Spielberg racconta di
Ray Ferrier, un operaio portuale divorziato, dalla vita disordinata e troppo concentrato
su se stesso, tanto da aver perso persino il rapporto con i propri figli. Durante uno dei
rari weekend in cui questi gli vengono affidati il mondo viene sconvolto da una serie
di anomale tempeste magnetiche e da piogge di fulmini che sembrano concentrarsi
particolarmente in determinate zone e specifici punti. È solo l’inizio. Una invasione aliena
su scala mondiale è ormai in atto e Ray si troverà a combattere da solo per salvare sé e
i suoi figli. In effetti se la trama è avvincente, il film è ben fatto, cos’è che non convince?
In realtà nulla di particolare ma anche questo kolossal, pur rivelandosi una delle migliori
produzioni degli ultimi anni, non sembra intento minimamente pronto a rischiare il che
lo rende senza dubbio collaudato ma oramai anche un po’ noioso vista la carenza
di soluzioni narrative. Inutile dire che Tom Cruise, vera star regalata ad una intera
generazione, se la cava senza problemi ed anzi sembra aver limato quei piccoli eccessi
che prima potevano renderlo fastidioso. Nel cast anche un invasato Tim Robbins pronto
alla resistenza e la nuova enfant prodige del cinema americano, la piccola Dakota
Fanning, nei panni di uno dei figli di Ferrier. Insomma uno spettacolo niente male che
basandosi sull’usuale formula del road-movie ci porta a vivere il dramma dell’invasione
visto da due punti di vista, uno più ampio e umano, l’altro più intimo e familiare.
Cos’altro dire se non che nonostante qualche pecca La guerra dei mondi resta
comunque quanto di meglio si possa vedere al cinema in questi giorni cocenti, quindi
messi da parte pregiudizi e gusti personali perché non vederlo? Fidatevi, nonostante
tutto ne vale la pena.
C. Michele Pierri
10
CoolClub.it
il parallelismo ripreso poi
anche dal titolo tra passato
e presente che ci riporta
a un mondo oppresso dai
potenti e condannato alla
sofferenza, non molto distante
da
quello
che
vediamo
quotidianamente. In definitiva
in attesa di un salvatore, un film
per chi ama il teatro e sogna un
mondo migliore.
Manoel de Oliveira
Il quinto impero – Ieri come
oggi
Mikado
di C. Michele Pierri
Se c’è qualcuno che senza
dubbio ama il cinema questo
è Manoel de Oliveira. E non
credo di essere il primo a
chiedermi come si possa
fare a 97 anni suonati ad
essere ancora brillanti e sulla
cresta dell’onda, sfornando
un nuovo film ogni due anni
circa. Tratto dal dramma di
Jose Regio, El Rei Sebastiao,
il film di Oliveira ripercorre il
regno del re Sebastiao, una
sorta di personaggio mitico
che voleva rinverdire i fasti dei
suo predecessori portando
gloria al Portogallo, spazzando
via il “male”. Mi dispiace però
dirlo, ma una cosa è essere
produttivi, un’altra è fare
cose che possano attrarre
uno spettatore e questa volta
il maestro portoghese non ci
è senz’altro riuscito. Lungi da
me criticare la bellezza delle
inquadrature e una tecnica
ormai al limite della perfezione
(tranne qualche ombra di
troppo), ma portare una piece
teatrale su pellicola non vuol
dire
assolutamente
girare
un film. Da sottolineare e da
apprezzare oltre ai costumi
e agli scenari suggestivi, solo
11
che riesce a non cadere nel
didascalismo e che piacerà
sicuramente agli amanti dello
skateboard e degli sport in
generale.
Da
sottolineare
anche la splendida colonna
sonora
che
non
poteva
non essere a tema e che
comprende pezzi di Stooges,
Pink Floyd, Deep Purple, T Rex,
Blue Oyster Cult, Devo, e tanti
altri. Inoltre il film è anche
divertente e di sicuro non
annoia anche chi di questo
sport non ne capisce un gran
che. Insomma un lavoro
ben riuscito che consiglio un
po’ a tutti, anche a chi ha
dimenticato
cosa
significa
essere giovane e impulsivo e
ha voglia di rivangare i tempi
andati.
Catherine Hardwick
Lords of dogtown
Sony Pictures
di C. Michele Pierri
Cosa succede quando dei
patiti del surf pensano di
applicare le stesse movenze e
la stessa audacia a quello che
fino ad allora era considerato
perlopiù un passatempo, lo
skateboard? Ce lo racconta
Catherine
Hardwick
che
dopo Thirteen, ci propone la
versione cinematografica di
quello che già a suo tempo
era stato un documentario di
discreto successo e che basa
la narrazione sulla vera storia
degli Z-boys, quattro ragazzi
americani poveri e disperati
che negli anni ’70 ottengono
la fama grazie alla passione
e al talento, passando per
il solito mix di sesso droga e
rock n’roll, con esiti diversi per
ognuno di loro. Ne esce fuori
un film a sfondo generazionale
Garth Jennings
Guida galattica per
autostoppisti
Buena Vista
di C. Michele Pierri
Finalmente arriva in sala
una
delle
trasposizioni
cinematografiche più attese
degli
ultimi
anni,
tratta
dall’omonimo libro di culto
del 1979 di Douglas Adams. Si
tratta di Guida galattica per
autostoppisti, primo capitolo
di una saga letteraria che ha
conquistato prima la Gran
Bretagna e poi il mondo
intero, con una carica di
sarcasmo e sano delirio che
il film, nonostante l’entusiasta
collaborazione dello scrittore
alla sceneggiatura, riesce a
replicare solo in parte. Ma
veniamo alla storia. Arthur Dent
è un uomo timido e insicuro
che una mattina si alza e
scopre all’improvviso che il suo
migliore amico altri non è che
un alieno sotto mentite spoglie
e che la Terra sta per essere
demolita per fare posto ad
una autostrada intergalattica.
Riesce a fuggire in autostop per
l’Universo e qui cominciano le
sue avventure. Senza dubbio
come detto prima il film si
presenta come meno brillante
del libro, ma non mancano
anche in questo parallelo
cinematografico note positive,
come una fantastica varietà di
personaggi (fra cui un leader
religioso stralunato che porta
il volto di John Malkovich). La
narrazione poi scorre veloce
e divertente e anche gli effetti
speciali, necessari per un
lavoro del genere sono ben
fatti e poco invasivi. Da vedere
per appassionati e non.
Kevin Rodney Sullivan
Guess who
Percy, padre di Theresa,
ha sempre pensato che
sua figlia un giorno si
sarebbe fidanzata con
un rampante ragazzo
di colore. Un giorno
però…
lunedì 1 – mercoledì 3
Tricase (Le)
Arti e tabacchi
Una tre giorni di arte, musica, cinema
e tabacco che farà rivivere i vecchi
capannoni dell’Acait. Sul palco Les
Troublamours, Mediterrae ensamble,
Il parto delle nuvole pesanti. Inizio
concerti ore 23.00
mercoledì 3
Cave di Cursi (Le)
Orchestra di Piazza Vittorio
Concerto imperdibile per gli amanti
delle sonorità contaminate e per chi
pensa che la convivenza dei popoli
sia possibile (almeno su un palco).
L’orchestra di Piazza Vittorio suona
per Salento Negroamaro.
giovedì 4
Piazza Duomo - Lecce
Paolo Conte
venerdì 5 – sabato 6
Lecce
Officium et opificium
venerdì 5
Cave di Cursi (Le)
Subsonica
L’avvocato della musica italiana
d’autore
torna
nel
Salento
nell’ambito
della
rassegna
Mediterranea del Comune di
Lecce.
La Socìetas Raffaello Sanzio di Cesena
e la Compagnia Koreja per l’ultimo
appuntamento
della
rassegna.
Primo spettacolo ore 21.00, secondo
spettacolo ore 22.30. Ingresso 7 euro
(10 per tutti e due gli spettacoli). Info
www.teatrokoreja.com, 0832242000.
Osannati o bistrattati i torinesi fanno
comunque notizia. I Subsonica
approdano a Cursi e chiudono il
festival Suoni nelle Cave all’interno
della
Rassegna
Negroamaro.
Ingresso 16 euro.
venerdì 5
Carpignano Salentino (Le)
Salento Sounds Good Festival
Freddy Mc Gregor
sabato 6
Carpignano Salentino (Le)
Salento Sounds Good Festival
Roy Paci
domenica 7
Carpignano Salentino (Le)
Salento Sounds Good Festival
Max Gazzè
Ogni mercoledì
Lido Ponticello - San Cataldo
Un mercoledì da leoni
Come nel mitico film una squadra di
dj capitanati dal dj president Sonic
the Tonic vi faranno ballare con le
loro selezioni surf, rock-steady, ska
e revival.
Chi l’avrebbe mai detto che
nella patria del vino un gruppo di
matti avrebbe tirato su un festival
dedicato alla birra! Si parte con il
reggae di Freddy Mc Gregor. Tutto
gratuito…tranne la birra!
Troppo divertente e amato dai
salentini per lasciarselo sfuggire. La
birra ben si sposa con la musica
eccentrica di Roy Paci e Aretuska.
Un ritorno atteso dopo il successo
dello scorso anno. Ingresso gratuito.
Il cantautore romano Max Gazzè
torna nel Salento per presentare
la sua prima raccolta Raduni
Ovali. Dieci anni di successi e di
soddisfazioni. Una serata all’insegna
della birra e della musica d’autore…
ovviamente gratis.
lunedì 8
Piazza libertini - Lecce
Tiromancino
Il gruppo di Federico Zampaglione
arriva a Lecce, ospite della rassegna
Mediterranea. L’appuntamento è in
Piazza Libertini alle ore 21.
martedì 9
Diso (Le)
Lou Dalfin
La musica occitana chiude Etnica…
Diso Folk Festival. Il gruppo propone
una musica in cui le antiche canzoni
popolari in formula acustica sono
arricchite da nuovi arrangiamenti e
nuovi strumenti. Ingresso gratuito.
venerdì 12
Lecce
Nicky Nicolai & Stefano Di Battista
Dai fumosi club di jazz al Teatro Ariston di
Sanremo il passo è breve. Lo spettacolo
rientra nella rassegna Mediterranea del
Comune di Lecce. Inizio ore 21.00.
sabato 13
Lecce
Nicola Arigliano
sabato 13
Cave del Duca – Cavallino (Le)
Salento Summer Festival
sabato 13
Area Portuale – Gallipoli
Negramaro
Nicola Arigliano è uno dei più grandi
se non il più grande cantante jazz
italiano. Il concerto, in piazza Libertini,
rientra nella rassegna Mediterranea del
Comune di Lecce. Inizio ore 21.00.
Salento Negroamaro della Provincia
di Lecce chiude al ritmo del reggae
gemellandosi con il Salento Summer
Festival, giunto alla quinta edizione. Sul
palco Luciano, Marcya Griffith e Sud
Sound System. Da non perdere.
Ormai la loro “Estate” imperversa in tutte
le radio. Giuliano e compagni sono in
tv e sui palchi di mezza Italia. Tornano
nel Salento per un concerto gratuito
nell’area portuale di Gallipoli. Successo
assicurato.
sabato 27
Melpignano (Le)
Notte della Taranta
Ogni Sabato
Litos – Porto Selvaggio
La Fable
Saranno Giovanna Marini, Francesco
De Gregori, Piero Pelù, Davide Van de
Sfroos e i Sud Sound System gli ospiti del
concertone della Notte della Taranta di
Melpignano.
Il sabato sera del Litos è La Fable. Un
contenitore in cui musica, immagini
e performance convivono creando
un’atmosfera da sogno. Il Litos è aperto
ogni sera.
domenica 21
Litos – Porto Selvaggio (Le)
Fumo
Il regista Ippolito Chiarello presenta il suo
cortometraggio Fumo, prodotto dalla
Prometeo Video. A seguire concerto
degli PsychoSun, band salentina
protagonista della storia. Musica e
immagini. Ingresso gratuito.
CoolClub.it
Martedì 2 – musica
Tre allegri ragazzi morti/Yuppie Flu a
Sanarica (Le)
Calexico a Alberobello (Ba)
Venerdì 3 – musica
Perturbazione ad Alberobello (Ba)
giovedì 4 – musica
Cucuwawa a Surbo (Le)
Perturbazione e Blek Aut a Cursi (Le)
Insintesi al Litos di Porto Selvaggio (Le)
venerdì 5 – teatro
Via ad Avretrana (Ta)
Boban Markovic Orchestar a Bari (
lunedì 8 – musica
Cucuwawa a Marina di Alliste (LE)
martedì 9 - musica
Operai della fiat millecento ad Avetrana (Ta)
Afterhours a Lesina (Fg)
Popolous al Litos di Porto Selvaggio (Le)
Giovedì 11 – musica
Bandabardò a Otranto (LE)
Petra Magoni & Ferruccio Spinetti
all’Alterfesta di Cisternino (BR)
Venerdì 12 – musica
venerdì 5 – musica
Tiromancino a Barletta
Tributo a Domenico Modugno
con Morgan/Mario Venuti/Sergio
Cammariere/Samuele Bersani a
Polignano a Mare (BA)
sabato 6 - teatro
Oggi Sposi di Ippolito Chiarello a Tricase (LE)
sabato 6 – musica
Tonino Carotone a Leverano (LE)
Stefano Bollani trioa Locorotondo (BA)
domenica 7 – musica
Il Parto delle nuvole pesanti a Leverano (LE)
Bandabardò a Ostuni (BR)
Orchestra di Piazza Vittorio all’Alterfesta
di Cisternino (BR)
sabato 13 – musica
Apres la classe e Cucuwawa a
Barbarano salentino LE)
Feel Good Productions (special guest
Raiz) all’Alterfesta di Cisternino (BR)
domenica 14 – musica
Velvet a Trani (Ba)
Trilok Gurtu (india) & Arkè String Project
(italia) all’Alterfesta di Cisternino BR)
Manigold al Litos di Porto Selvaggio (LE)
lunedì 15 - musica
Folkabbestia a Bari
Negramaro a Locorotondo (BA)
mercoledì 17 - teatro
Oggi Sposi di Ippolito Chiarello al Litos di
Porto Selvaggio (LE)
giovedì 18 - teatro
Oggi Sposi di Ippolito Chiarello a
Poggiardo (LE)
Giovedì 18 – musica
Elisa a Lecce
Cappello a cilindo al Cotriero di Gallipoli (LE)
Venerdì 19 – musica
Cucuwawa a Gallipoli (Le)
sabato 20 – musica
Nicola Conte al Mavù di Locorotondo (BA)
domenica 21 – musica
Daniele Sepe a Barletta (BA)
venerdì 26 - teatro
Oggi Sposi di Ippolito Chiarello a Torre
dell’Orso (LE)
venerdì 2 – musica
Persiana Jones a Taurisano (Le)
domenica 4 - musica
Giardini di Mirò/Yuppi flu/Sub a Bari
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UN’IDEA MALSANA E NON TROPPO INUSUALE DI CITTA’
Ancora di città. Ancora di spazi,
di periferie e di centri. Ancora di
descrizioni di passeggiate. Ancora
di desideri e bisogni. Di scambi.
Ancora di circolazione di idee e
informazioni.
Cos’è la città? Come percepisco
e desidero la mia città? Cosa
chiedo a chi la governa e
la amministra e la disegna e
ridisegna? Cosa desidero dai suoi
spazi, aperti e chiusi, pubblici e
privati, di dominio pubblico e di
dominio riservato. Ad accesso
libero e ad accesso condizionato.
Cosa ho bisogno di vedere, fare,
comperare?
Ed è all’acquistare che si limita
la mia interazione con la città? E
per acquistare intendo acquistare
merci, ma anche servizi,
informazioni, cultura.
Può una “notte bianca” esaudire
ed esaurire i miei bisogni e
desideri? Può un negozio aperto
fino alle dieci di sera essere
la mia Bengodi? O anche
semplicemente un concerto, in
una piazza trasformata come una
Cenerentola in una principessa
fino a mezzanotte, è questo quello
che voglio?
Volenti o nolenti, la nostra vita,
il nostro modo di “consumare”,
perché sempre di “consumi” pare
che si tratti: consumi culturali,
pubblicitari, sociali, la nostra vita
è classificata in categorie ben
precise, da cui non si sfugge.
Tutto viene considerato: dove ci
vediamo con i nostri amici, quello
di cui parliamo con i nostri amici,
quanti e quali giornali leggiamo,
che tipo di vestiti indossiamo, che
tipo di musica ci piace ascoltare,
quanti figli abbiamo e quanto
guadagnamo se guadagnamo.
E quindi? E quindi c’è anche una
città desiderata per ognuno di
questi stili di vita. Ci sono statistiche
che dicono quello che io voglio,
quello di cui io ho bisogno.
Ma può la mia città rispondere
ai miei desideri? Possono le sue
strade e le sue piazze diventare un
vero e proprio luogo di scambio?
E soprattutto è davvero un luogo
di scambio quello che cerco?
Si parla di spazi della socialità. Ma
cosa siano esattamente questi
spazi della socialità io non l’ho
ben capito. A cosa si riduce la
socialità in uno spazio destinato
alla socialità? Non è un po’ come
dire uno zoo per essere felici e
contenti? Quando sei nello spazio
destinato ad essere sociale puoi
avere scambi e interazioni con
i tuoi simili. Fuori no, potrebbe
essere poco sicuro.
E la sicurezza è l’altro limite.
Dicono che i cittadini si sentano
poco sicuri. Che la sicurezza sia
la priorità. Io mi sento controllato
più che protetto. Io mi sento sotto
sorveglianza più che scortato.
La puliscono spesso la mia città,
tolgono le scritte dai muri, la
rendono asettica e ordinata,
come una sala operatoria, come
lo studio di un dentista. Ma io non
sono a mio agio nello studio di un
dentista e tanto meno in una sala
operatoria. Ho dell’anestetico
dentro, non sono lucido, non sono
un essere pensante e desiderante
in una sala operatoria.
La mia città mi parla, mi dice
delle cose attraverso i muri
sporchi e con le scritte oscene,
d’amore, razziste, politiche, me
lo dice attraverso i panni stesi ad
asciugare sui balconi, mi dice che
è una città calda, del sud, dove
il sole batte forte e la tramontana
anche e i panni asciugano presto.
Non so bene che cosa voglia
dire amare e rispettare una
città. Una città è e deve essere
espressione viva della vita che vi
pullula dentro. I suoi alberi con le
radici sporgenti, vive, i suoi muri
che raccontano storie private e
pubbliche.
Amo via dei Volsci a Roma, al
di là di credi politici. La amo per
le sue scritte sulle quali, su tutte,
campeggia quella fatta con la
vernice e il pennello, una scritta
vecchia di trent’anni buoni, che
racconta una storia e centinaia
di storie.
Allora forse desidero una città
dove i suoi abitanti possano
lasciare traccia di sé e del
proprio vissuto, e non solo in
spazi predisposti, in giornate
predisposte, in maniera del tutto
programmata, ma come capita,
seguendo il flusso disordinato dei
propri desideri.
dario
IMPRESSIONI E CONSUMAZIONI
AI MARGINI DI UN GRAND TOUR OCCITANICO
Cappello: PPL da Lecce chiede un pezzo il 4 luglio a me, che
sono a Barcelona; io il 6, dal tavolo di un ristorante sul lungomare
di Recco, gli restituisco quel che resta del mio viaggio negli
incontri e negli scontrini...
Pezzo: PPL questa è per te. Il gamberone fresco e sapido
mangiato sul lungomare di Recco. La seconda Kronemburg
media che schiarisce le idee e allontana li mali pensieri e
avvicina li pensieri belli. L’ultima Estrella Damm in bottiglia,
bevuta con finta calma al Gato Negro, in Carrer D’en Xuclà, a
Barcelona. La cerveza del commiato.
È tuo il pain au chocolait, una colazione ricca di speranza nel
deserto mattutino di Luvel; come è tuo il pan i Xorico mangiato
nel bordello caldo della Champagneria, a Barceloneta. Nel
pacco mettiamoci anche la pesca mangiata sulla rocca di
Saint-Raphael, e la banana sbucciata davanti a un immenso
tramonto sulla platge di Marseille. Poi bagnamo tutto con la
lattina di Estrella Damm che mi ha accolto in Spagna, al riparo
di una estaciò de gasolina e accompagnata da un tramezzino
al salmone; e il sestetto di Xibeca da litro, comprate con furore
ed eccitazione al supermercato Champion per fare da comitato
di benvenuto nell’Appartamento spagnolo de mi hermano...per
non parlare di tutte quelle lattine dondolanti dalla mano di
un Pakì ambulante che scandisce le sue e le tue passeggiate
notturne al canto di: Cerveza bìr – Cerveza bìr – Cerveza bìr. Ma
so che tutta questa Cervezabìr non te la berresti, neanche un
po’, neanche una.
E allora ti riservo el rabo de toro, punta di diamante di un menù
da 8€ offerto dal Bar Elizabeth, in Carrer del Bonsucces, che è
pure beneaugurante; e se vogliamo bere, facciamolo con un
zumo de maracujas da 1,50€, che puoi comprare in qualsiasi
bancarella della Boqueria, la versione catalana della chiazza
cuperta. Però io, se fossi in te, assaggerei una copa dalla mio can
Rosat, frizzante bottiglia pescata per 2,75€ nella tonnara della
Champagneria, di cui sopra.
Ti consiglierei, prima di spendere 34€ per assaporare una
freseddha sponzata avec prommitoru y marangiane in qualche
posto fico te lu Salientu Nesciu, di spenderne 4 per una paella
classica, solo con pescado, da gustarsi in un qualunque posto di
Raval, il quartiere delle mignotte di Barçelona; poi, se la paella
non ti ha troppo appesantito...
Prima di chiudere, e già ti vedo con una confezione di Alka-Setzer
in una mano e un tubo di Citrosodina nell’altra, ti dedico anche
quest’altra becks che nel frattempo mi hanno servito al tavolo,
e gli amari di là da venire, e Paolo che pulisce la brace, Danilo
che mi parla dei carichi di pesce dalla Sicilia e degli anni passati
in Germania, la voce di Lucio Dalla che canta di Anna da una
radio, e le mani del sessantenne Lucio di Foggia, Moto-Lucio, che
l’indomani mi rianimerà la vespa per soli 20€. Ti vorrei parlare degli
ultimi 240 km che mi rimangono da fare, della notte che passerò
a dormire su una sdraio a qualche metro dal mare, dal mare di
Recco, di fianco a Portofino, a 30 km da Genova, a pochi passi
dall’estatico mar di nulla dell’estate.
Toni Rucola
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