[ CoolClub.it 2 << Storie. Storie da leggere sotto l’ombrellone, se volete. Storie che raccontano esperienze, persone, luoghi. Storie da staccare e conservare, a cui, forse seguiranno altre storie. In America i colibrì furono conosciuti verso la fine dell’ottocento per la barbara abitudine che avevano le signore di usare le piume per adornarsi il cappello. Piccole dimensioni, ali molto agili e piume colorate, queste sono le caratteristiche di questo piccolo coolibrì che vi offriamo oggi. E ci è piaciuto il colibrì perché un po’ riassume l’idea che dal principio è dietro al nostro giornale: una creaturina che potesse arrivare più lontano possibile, in alto magari, che fosse notata e che piacesse, un po’ sbarazzina, poco impegnativa ma bella e interessante. E senza pretese non abbiamo scelto un albatros ma un colibrì. Solitamente chi è nato sottodimensionato ed è particolarmente rapido non fa quasi mai una gran figura, ma noi, a discapito di quanto si dica, non siamo esibizionisti. Ci piacciono invece le cose di gruppo ed è quello che con questo giornale e con il nostro lavoro, ogni giorno, cerchiamo di fare: coinvolgere più persone possibile. E lo facciamo da più di due anni ormai convinti che la continuità e la costanza siano la vera forza di chi vuole fare le cose qui. Nessun lavoro di editing, taglia e cuci, spietata selezione è stato fatto in questo numero. Perchè Coolclub, senza intraprendere inutili crociate, vuole essere a suo modo uno spazio (cartaceo) in cui tutti possano trovare modo di esprimersi. Tra chi gli spazi li riconquista abbattendo i mostri dell’abusivismo e chi cerca di riqualificare quelli già esistenti ed abbandonati, Coolclub nel suo piccolo lavora per creare spazi che ancora non ci sono per la musica, il divertimento e un’informazione diversa e soprattutto gratuita. Questo il nuovo numero di Coolclub, una nuova soluzione grafica, una più agile e ricca sezione dedicata alle recensioni, più appuntamenti, speriamo presto anche più pagine. Osvaldo L’ESTATE E’ UN COOLIBRI’ CoolClub.it Via De Jacobis 42 73100 Lecce Telefono: 0832303707 e-mail: [email protected] Sito: www.coolclub.it Anno 2 Numero 17 Iscritto al registro della stampa del tribunale di Lecce il 15.01.2004 al n.844 Direttore responsabile Osvaldo Piliego Collettivo redazionale Dario Goffredo, Pierpaolo Lala, Dario Quarta, C. Michele Pierri, Gianpiero Chionna Collaboratori: Giancarlo Susanna, Valentina Cataldo, Cesare Liaci, Sergio Chiari, Maurizia Calò, Marcello Zappatore, Davide Castrignanò, Amedeo Savino, Patrizio Longo, Augusto Maiorano, Antonio Iovane, Rossano Astremo, Rita Miglietta, Marta Vignola, Daniele Lala, Elisa De Portu, Daniele Rollo, Marco Daretti, Marco Leone, Fulvio Totaro, Stefano Toma, Federico Vaglio, Lorenzo Coppola, Paola Volante, Nicola Pace, Giacomo Rosato, Antonietta Rosato, Nino D’Attis, Luca Greco, Luisa Cotardo, Rakelman, Antonella Lippo, Livio Romano, Pierfrancesco Pacoda, Stefano Cristante, Carlo Chicco, Antonino De Blasi, Fabio Rossi, Marcello Aprile, Annalisa Serpilli, Nicola Pace, Massimo Muci, Francesco Lefons, Alfredo Borsetti, Fabio Striani, Gianni De Blasi, Antonio Calogiuri, Camillo Fasulo, Chiara Piovan, Ruggero Bondi, Mauro Marino 3 4 NOTE ESTIVE DISCHI COOLIBRI’ 10 CINEMA Foto di copertina Alice Pedroletti Progetto grafico dario Stampa Lupo Editore - Copertino Chiuso in redazione a tarda ora del 25 luglio 2005 Per inserzioni pubblicitarie: [email protected] ph Alice Pedroletti } DEBOSCIATE NOTE ESTIVE... …e resto qui sul filo del rasoio… questa frase mi perseguita e tramite me e la mia voce perseguita tutta la redazione di Coolclub. L’estate è leggera per definizione, l’estate è la stagione degli amori rapidi, usa e getta, dei falò consumati nel giro di una notte, delle riviste patinate leggiucchiate sulla spiaggia (tanto che abbiamo discusso se mettere o meno un culo in copertina), dei discorsi assurdi sui costumi e sull’abbronzatura, dei telegiornali che aprono con il caldo (che poi senza caldo che estate sarebbe) o con la dicotomia tra pioggia e fuoco, tra acqua e incendi. L’estate è la stagione degli esodi biblici, dei centocinquantamilioni di miliardi di auto sulle autostrade. L’estate è disimpegno, aria di ferie, voglia di far niente, stagione durante la quale sembrano andare in vacanza anche le contraddizioni del mondo e le sperequazioni sociali. Anche i movimenti, i partiti, le associazioni giovanili si danno appuntamento nei campeggi per scopare, suonare, fumare e parlare dei massimi sistemi. E poi l’estate (a Lecce) è la stagione delle polemiche sulla movida, dei tavolini messi fuori e degli spazi che mancano, delle solite discussioni sui candidati alle prossime elezioni politiche (tanto si vota sempre per qualcosa) e della salentinità. E poi le sagre, le pizziche, le feste di paese, le luminarie, i concerti gratis, il caldo… Anche noi siamo alla frutta e mettiamo in piedi una rivista che non c’è… una serie di frasi senza senso che possiate leggere comodamente sotto l’ombrellone (se potete permettervelo) o sugli scogli appuntiti o come al solito in bagno prima di uscire o di andare a dormire. Un disimpegno di tal fatta ha bisogno di una colonna sonora adeguata, lontana dall’impegno di parole e di suoni (suona…). Così le radio delle auto sparano nell’afa di luglio e agosto sempre le solite canzonette da spiaggia da canticchiare sotto la doccia o negli ingorghi post bagno. Quelle che un tempo andavano a finire nei mangianastri o ancor prima nei piccoli lettori di 45 giri colorati da far schifo. E resto qui sul filo del rasoio… è sempre più nella mia bocca, merito dei leccesi (o meglio salentini) Negramaro che con Estate imperversano tra Festivalbar, ArezzoWave, Giffoni Festival, Top of the pop e tutto il resto. Disco d’oro per l’album Mentre tutto scorre e complimenti dalla redazione anche per i verbi… è il segno di un estate che vorrei potesse non finire mai (qualcuno al karaoke canterà “vorrei potrebbe…”). Quello che proprio l’estate 2005 non si aspettava è un ragazzotto esploso a Sanremo con un canzoncina facile facile. I bambini fanno oh di tal Povia è ancora in classifica, ancora nelle radio e (purtroppo) ancora nel cervello. Come nella cervice è penetrata (con varie versioni rivedute e corrette) Vorrei cantare come Biagio dello sconosciuto (un po’ clone di Caparezza) Simone Cristicchi. Sembrava più una delle parodie del cantante Bruno di Quelli che il calcio e invece… Altro sconosciuto è sicuramente Pago che grazie ad una pubblicità ha lanciato la sua tremenda Parlo di te (sei frasi in tutto). Nella sezione maniaci sessuali entrano di corsa i siciliani Sugarfree che dopo la esplicita Cleptomania tornano con il nuovo singolo (uguale ma più brutto) Cromosoma (Geneticamente / Predisposto a concupirti, solo per citare due versi). Non male neanche l’outing sessual canoro di Syria che in Non sono snocciola tutti i suoi ex che non le hanno scritto una canzone (avvocato, contadino, prete, carcerato, muratore, filosofo, scienziato, corridore, giornalista, calciatore e finanziere). Categoria frici purpi! Nuova, fresca e interessante L’aura che imperversa con Radio Star. Ogni estate non possono mancare alcuni grandi classici. Cesare Cremonini torna con una struggente e ammiccante Marmellata#25. Una sola nota cronologica. Tra la morte di Senna e la fine della carriera di Baggio sono passati 10 anni…ma quando cazzo è finita sta storia e soprattutto quando scade sta marmellata… Il ricciolino chitarrista Alex Britti giunge con un pezzo meno riuscito del solito. Prendere o lasciare è un po’ troppo floscia. Le Vibrazioni dopo Giulia tornano con Angelica mentre il belloccio Gianluca Grignani ci propina la sua Bambina dallo spazio. Sempre più santone Jovanotti Lorenzo Cherubini arriva con Tanto 3 (urlate insieme a me “suona”). I Negrita approdano in classifica con una abbastanza ispirata Rotolando verso sud. Tra i mattoni segnaliamo Elisa con la sua Una poesia anche per te. Non dimentichiamo però le note straniere (anche se io sono un italianista convinto) con Gwen Stefani, i Blue, i Gorillaz (veramente carini), Natalie Imbruglia (veramente bellissima), i redivi Tears for fears e Duran Duran, la solita musica dei Kaleidoscopio e molta altra roba che sto dimenticando. Anche la musica, dunque, è simbolo e sintomo della nullafacenza, dell’ozio che ci attanaglia. Al cinema d’altronde vengono proposti gli “scarti” degli ultimi mesi, tranne qualche eccezione. E in tv tornano tutti i grandi classici di Jerry Calà, Massimo Ciavarro, Eleonora Giorgi (Sapore di Mare 1 e 2, Chewing gum), Lino Banfi, Franco e Ciccio, o ancora Wind Surf… il vento nelle mani, o lo struggente Laguna Blu, o Gli Orsi, Professione Vacanze, tutti i film di Totò, Borotalco di Carlo Verdone (so’ bbone e so’ ggreche) e tutti quei film che ti devono annientare la mente. Ridere è la parola d’ordine. Ridere da una parte ed amare dall’altra. E allora mentre nell’inserto troverete le vere segnalazioni di lettura come non consigliarvi qualche bel r o m a n z o Harmony per sognare sotto l’ombrellone un amore migliore. Basterebbero i titoli per capire di cosa stiamo parlando…Un capo da scoprire (Lo sguardo di Conall si è fatto strada in un istante nel suo cuore, facendo vacillare l’immagine da spietato playboy che aveva di lui), Per la prima volta (Costretti a vivere sotto lo stesso tetto per molti giorni per occuparsi di un progetto piuttosto impegnativo, Nick e Amy, fino a quel momento due perfetti sconosciuti, scoprono di avere in comune molto più dello scopo della loro convivenza forzata), Quando arriva l’estate (La resa dei conti arriva d’estate, durante una vacanza in un incantevole casolare toscano: appena Harriet e James si ritrovano da soli, esplode qualcosa di molto diverso dai soliti battibecchi), Riflessi dorati (C’è un modo per non cadere nella sua trappola ogni volta che i loro sguardi si incrociano?), Ancora tu, ancora noi (La prospettiva di lavorare al fianco di Adam Ross è l’occasione giusta per capire se possono amarsi oppure è meglio fuggire ancora?). Un numero inutile per una stagione inutile ricca soltanto di apparenza e di (finto) interesse per i presunti turisti. Un numero utile per quelli che da questa stagione e dalla sua vacuità riescono a sopravvivere per i restanti mesi utili dell’anno. Buone vacanze a tutti…suona! Pierpaolo Lala CoolClub.it Goldfrapp Supernature Mute/Virgin Tornano Alison Goldfrappin e Will Gregory. Ipnotici, freddi, ma allo stesso tempo sensuali, si muovono tra macchine ed atmosfere sospese a scaldare sensi e cuori con una manciata di nuove canzoni. The Ponys Celebration Castle In the red Vintage al punto giusto The Ponys sono in grado di maneggiare punk’n’roll, garage e pop senza farne materiale per nostalgici, vengono da Chicago e sono il giusto equilibrio che mancava tra leggerezza e belle canzoni. Grimoon Demoduff#1 Macacorecords di Osvaldo Come on feel the Illinoise Sufjan Stevens Rough Trade The Ordinary Boys Brassbound Warner/B-Unique Quattro ventenni con gli occhi puntati verso il passato. Neo mod o come li si voglia definire the Ordinary Boys sembrano andati a lezione da Jam, Clash e Specials con ottimi risultati. Per chi ama l’Inghilterra degli anni 80. Microspasmi 16 punti di sutura Vibra Arrivano a salvare una scena, quella hip hop, che da tempo languiva. Sono i Microspasmi e non risparmiano nessuno, cattivi, irriverenti, ironici, ben prodotti, sono la risposta a chi crede che l’hip hop italiano siano solo i Gemelli Diversi. Da un po’ di anni a questa parte anche il francese sembra sdoganato come lingua universalmente utilizzabile nell’indie rock (ne sono esempio in Italia gruppi come Ulan Bator). La musica francese gode in generale di grandi consensi anche fuori il suo confine e da Benjamin Biolay fino a Coralie Clement trova approvazioni un po’ ovunque. I Grimoon sono una band franco italiana, vengono da Marghera e sintetizzano in soli otto brani le linee cardine di un progetto sinceramente affascinante. Il cantato francofono che si alterna all’italiano e all’inglese accompagna un neo-folk elegante e delicatamente arrangiato. Il tutto è calibrato bene, le canzoni sono pop al punto giusto senza mai perdere carattere personalità. Un ottimo esordio. Quella di Sufjan Stevens è una di quelle storie che vale la pena di raccontare, appartiene a quella tipologia di musicisti che coscientemente si imbarca in imprese impossibili. La sua personale missione è quella di raccontare l’America in 50 dischi, un disco per ogni stato. Monumentale saga arrivata al secondo capitolo che forse mai vedrà la fine e che racconta in modo semplice e sempre diverso l’America delle piccole cose. Un viaggiatore Sufjan Stevens che a spasso per gli Stati Uniti si guarda intorno, si lascia affascinare dalle persone che incontra, dalle pompe di benzina, dai particolari che poi immortala in musica. Dopo il primo Greetings from Michigan esce questo nuovo Come on feel the Illinoise che non fa che confermare la grandezza di questo giovane menestrello. Non ha fretta e non risparmia cartucce per i lavori a venire Sufjan regalandoci 22 tracce di rara bellezza. E fa di immagini suggestioni sonore riuscendo a tradurre in musica paesaggi e storie grazie a una gamma musicale piena di tinte e contrasti. E sa essere indie e acusticamente post come il miglior Jim O’Rourke, classico come Crosby Still Nash & Young, intenso come Elliot Smith. Ed è bello viaggiare con Sufjan attraverso le sue storie, le sue aperture corali e orchestrali (i bellissimi sei minuti di Chicago), le ballate più intimiste e country folk di Decatur e Casimir Pulaski day, quelle quasi dream pop di Prairie fire that wanders about, la marcetta dispari di The tallest man, the broadest. Un disco che sembra a tratti il personale lamento di un uomo e la sua stanza, in altri un incredibile musical sulla conquista del west, vario, bello e sorprendente dalla prima all’ultima nota. E alla fine ci credi al suo progetto, ci speri, come in un serial non vedi che arrivi la puntata successiva, curioso di sapere come suoneranno gli altri stati di questa personalissima America di Sufjan Stevens. Osvaldo 4 CoolClub.it Santo niente Il fiore dell’agave Black Candy di Osvaldo È un disco denso la nuova prova sulla lunga distanza del Santo Niente di Umberto Palazzo. Un disco coraggioso che arriva a ricordare, perentorio, che il rock italiano è vivo e non vegeta. Un bagaglio pesante quello con cui deve fare i conti Umberto Palazzo: l’esperienza di un decennio passato con i fasti di una scena che oggi si fatica a ritrovare e che, in questo disco, arrivato dopo un lunghissimo silenzio, è linfa che nutre questo fiore sanguigno e spinoso. Ruvido nei suoni e nelle parole, affidato alle mani di Fabio Magistrali, registrato in pochi giorni in stile low-fi, Il fiore dell’agave è un disco che in undici episodi riesce a conciliare spirito dark, irruenza punk, indie. Socialismo tascabile è uno dei dischi italiani più discussi del momento, uno di quei dischi che va esaminato su due piani: quello musicale e quello dei testi. La parola è infatti il mezzo espressivo primo di questa band che recita in un italiano sporco che molto fa pensare ai Massimo Volume o ai primi Cccp (senza cantare quasi monocorde). Ed è sempre da quell’Emilia paranoica che vengono gli Offlaga disco pax, da quella terra che è rimasta sotto dagli anni ottanta, quel decennio di splendido fervore creativo e incredibile attitudine all’autodistruzione. Canzone politica come da tempo non se ne sentiva ma anche sintesi del quotidiano, ricordi descritti con un linguaggio che fa pensare ai cannibali. Musicalmente è l’elettronica minimalista a scandire i momenti di un album scarno e diretto ma allo stesso tempo attuale e di ricerca. di fabbrica è sempre quello di chi ha firmato indelebilmente l’indie anni 90, ma con un qualcosa in più. Merito forse della sopraggiunta maturità o della completa paternità dei brani il disco suona diverso rispetto ai suoi precedenti. Più complesso rispetto alle strutture e agli arrangiamenti scarni a cui eravamo abituati, trasversale nei generi (rock and roll, funk, country, blues). Un percorso difficile quello intrapreso da Malkmus che sembra in alcuni frangenti voler scomodare gente come Frank Zappa. Superare se stessi, quando tanto si è fatto, non è impresa facile. Questo disco rappresenta il tentativo, riuscito, di salire un altro gradino verso nuove forme di rock possibile. Ben Folds Songs for silverman Epic/Sony di Osvaldo Stephen Malkmus Face the truth Matador di Osvaldo Offlaga disco pax. Socialismo tascabile Santeria di Osvaldo 5 Terzo album solista per l’ex Pavement Stephen Malkmus. Accantonati anche i Jicks che nei precedenti episodi erano anima del progetto, suona e produce questo disco tutto solo. Marchio Una vena creativa dirompente quella di Ben Folds che riesce con talento raro per chi maneggia il pop a infilare una dopo l’altra canzoni che stanno su da sole. Spudoratamente melodico in formazione a tre (piano, basso, batteria) è capace di essere potente e romantico allo stesso tempo, di usare la forma canzone con l’attitudine di gente come Elthon John (il primo), Elvis Costello. Piano sempre in evidenza, canzoni ben calibrate, un calcio alla banalità una coccola agli anni 70. Meno eclettico ma più diretto di Rufus Wainwright, Ben Folds è uno di quelli che va bene a tutti perchè classico. Populous Queue for love Morr music di Osvaldo Il folletto salentino dell’elettronica arriva alla sua seconda prova per la tedesca Morr music. Il successo del primo Quipo trova immediata conferma in questo nuovo Queue for love. Sorprendente come Andrea Mangia riesca ad assemblare sentimenti in digitale. Quelle che, soprattutto nel primo disco, possono sembrare atmosfere algide sono in realtà un’infinita gamma di sfumature di colore accennate, dolci e sognanti. Un disco più aperto nei suoni, più decisi, addirittura ballabili a tratti, e nelle collaborazioni. Ospiti d’onore Dose One (voce dei Clouded) e miss Matilde degli Studio Davoli che impreziosisce con la sua voce suadente un disco elegante. CoolClub.it Royksopp The Understanding Astralwerks di Osvaldo Il loro primo album Melody AM ebbe un incredibile successo, attirò l’attenzione su un paese (la Norvegia) che a ben altre sonorità ci aveva abituato. Torbjorn Brundtland e Svein Berge sono tornati con questo nuovo The Understanding. Abbanonata quella felice commistione tra indie ed elettronica del precedente i due si spostano in questo nuovo episodio su sonorità più electro pop dal sapore anni 80, ma non solo. Ce n’è infatti per tutti i gusti: non rimarranno delusi gli amanti della pista e i più tranquilli ascoltatori di elettronica in stile Air. Abbiamo aspettato quattro anni ma ne è valsa la pena, il nuovo album dei Royksopp non fa rimpiangere il precedente: più elettronico e più cantato. Billy Corgan TheFutureEmbrace Warner di Osvaldo Difficile fare i conti con un passato così pesante, difficilissimo replicare il successo di una band come gli Smashing Pumpkins e la bellezza di album come Siamese Dream e Mellon Collie. Difficile dopo lo scioglimento della band inventarsene un’altra come gli Swan, difficile in questo periodo di possibili reunion uscire con un album solista. Definito dai più come una delle penne più creative dell’indie rock anni novanta Billy Corgan non si smentisce con un disco in cui le canzoni ci sono ma sembrano soffrire sotto il peso dell’elettronica. Pieno di tutto quello che è Corgan, quel suo oscuro romanticismo, gli arrangiamenti a volte troppi ed ostici il disco ha in serbo una chicca da non perdere. Una bellissima cover (To love somebody dei Bee Gees) frutto di una notte di jam session con Robert Smith dei Cure. Weezer Make Believe Geffen di Osvaldo I Weezer ci regalano altri 45 minuti di musica. Per chi come me li ama spassionatamente e ne ha seguito alti e bassi (picco assoluto della band l’esordio omonimo del 94 da poco ripubblicato) questo disco può a primo ascolto lasciare perplessi. L’attitudine pop della band sembra emergere più che in precedenza, il muro di distorsioni che prima impastava tutto in un magma quasi impenetrabile di melodia e potenza è in questo Make Believe notevolmente ridimensionato da una produzione decisamente più pulita. Il singolo con tanto di video con conigliette sembra un po’ troppo ammiccante e non ironico come la mitica Buddy Holly. Ma i Weezer hanno ancora da dire la loro nel mare di gruppetti punkettini e poppettari californiani da una stagione e via. Rivers Cuomo non perde la sua vena di eterno loser, non ci sono le arditezze a fare altro dei precedenti episodi, ma onesto power pop per nostalgici o adolescenti. Oasis Don’t believe the truth Epic di Osvaldo Sentimenti contrastanti accompagnano l’uscita di ogni album degli Oasis. Convinti ancora di essere la migliore rock band del pianeta, i fratelli Gallagher negli ultimi anni hanno fatto più scalpore per le dichiarazioni al vetriolo che per la loro musica. Fatto sta che ogni volta che esce un loro album è un evento che tutti attendono, chi devoto alla loro musica, chi solo per stroncarli. Quando si è troppo egocentrici il rischio è quello di diventare la brutta copia di se stessi e questo stavano rischiando gli Oasis che con questo ultimo album raddrizzano il tiro. Alla batteria il figlio di Ringo Star, sembra confermare ancora una volta la loro passione per i Beatles. E i rimandi al passato sono tanti, i Rolling Stones nell’intro del singolo Lyla, i Kinks, i Velvet Underground, il punk che graffia ancora nella voce di Liam, Bob Dylan come nella tradizione del gruppo da sempre egregio nell’arte dello scopiazzare. Meglio del precedente, ma lontano dalla bellezza degli esordi. Scout Niblett Kidnapped by Neptune Too pure- Lain/Goodfellas di Lorenzo Coppola In un periodo in cui le cantautrici sembrano uscire una dopo l’altra da una fotocopiatrice, non si può restare indifferenti di fronte a un’inglesina che si presenta sul palco con una parrucca bionda e che oltre a cantare si cimenta in ciò che nessun batterista “vero” riuscirebbe a fare per più di dieci minuti senza scocciarsi. La sua voce poi. Insufficiente dire che abbia un suono a metà strada tra la nasalità della prima Bjork e le fusa di Cat Power. È strano ascoltare una donna che sembra aver deciso di rinunciare alle caratteristiche che rendono femminile la propria voce, preferendo usarla come farebbe una bambina. Nel 2001 il debutto Sweet heart fever ce l’aveva mostrata come una delle tante cantautrici anglosassoni un po’ ingrippate, ma già allora si intuiva che lei avesse qualcosa in più delle sue colleghe che si lamentano su una pennata di chitarra. Tuttavia quell’immagine è stata smentita due anni dopo da I am, forte della minimale produzione di Steve Albini e dello splendido singolo Drummer boy: oltre alle sei corde appena pizzicate si sentiva una batteria percossa in modo elementare, a volte un po’ fuori tempo, e una voce a tratti isterica cantarci su. Ma guai a pensare che l’intento della signorina Scout sia quello di cavalcare l’onda trendy dei White Stipes o dei colleghi di tour The Kills: qui siamo davanti a una ricetta ulteriormente semplificata, forse unica nel panorama musicale, indie e non. Non tutti possono permettersi infatti di cantare a cappella o solo su una batteria senza provocare sbadigli, e solo lei, come fa nella recente Safety Pants, può ripetere per oltre due minuti Come on honey, what are you doing to me? senza sembrare deficiente. Sempre prodotto da Steve Albini, e anticipato dal singolo omonimo, Kidnapped by Neptune, a parte lasciare spazio a un pianoforte in This city, non cambia di molto la formula del suo predecessore. Tuttavia appare meno aspro, più accessibile e cantabile, dotato di un maggiore senso del pop, se è lecito usare tale aggettivo, e proprio per questo ha buone possibilità di raggiungere un numero maggiore di ascoltatori. Ora non ci resta che aspettare, e vedere chi sarà la prima a scopiazzare Scout Niblett. 6 CoolClub.it Porcupine tree Deadwing Lava/Warner di Camillo Fasulo Paolo Benvegnù Cerchi nell’acqua ep Stoutmusic/Santeria/ Audioglobe di Lorenzo Coppola Sono dolci come una carezza, forti come coliche renali, dolorose come un calcio nelle palle, nella peggiore delle ipotesi fastidiose come un prurito o un cattivo odore. Ma una cosa è certa: a meno che non sei una bestia insensibile, le canzoni di Paolo Benvegnù le senti fisicamente, non puoi solo ascoltarle. Per festeggiare un po’ in ritardo il primo compleanno dell’esordio solista dell’ex Scisma la Stout ci regala questo gioiellino che oltre alla versione radio edit della title track (di cui è presente anche il videoclip realizzato da Tommaso Cerasuolo, voce dei Perturbazione) comprende In a manner of speaking, cover dei Tuxedemoon con cui Paolo ha chiuso le oltre centotrenta date del suo tour ancora in corso e tre inediti: la ballata per pianoforte Rosa lullaby, Il vento incalcolabile del sud, che è bella come un pezzo di Tenco, e uno strambo esperimento: Piccoli fragilissimi film, che mette insieme musica e battute tratte da dialoghi cinematografici. Bisognerebbe incazzarsi nel constatare che neppure i signori del Premio Tenco si siano accorti che il nuovo cantautorato italiano vanta una personalità artistica dalle dimensioni così imbarazzanti, e invece bisogna solo ghignare di gioia, perché la musica di Paolo è la dimostrazione che la canzone è una forma d’arte ancora in grado di dire cose importanti agli esseri umani. Sentitelo: ha qualcosa da dire anche a voi. Tavola imbandita a festa per i fans dei Porcupine Tree! Il nuovo studio album, pubblicato quasi in contemporanea con Warszawa, un live registrato nel 2001 negli studi della radio di stato polacca, è un lavoro senza dubbio perfetto: produzione d’alto livello e composizioni davvero ispirate! Dare alla luce un album come Deadwing è stata un’operazione tuttavia molto rischiosa per i Porcupine Tree, di quelle che possono segnare il rapporto di una band con i propri fan. È evidente che la recente collaborazione tra il leader Steven Wilson e i death metallers Opeth (il cui cantante Mikael Akerfeldt, tra l’altro, ricambia qui l’ospitata) abbia lasciato il segno, ma non mancano, in ogni caso, dei momenti più sognanti e melodici, più tipicamente Porcupine Tree. Attenzione però, perché non stiamo parlando di un clamoroso passo falso. I nostri riescono benissimo a sfornare grande musica anche quando non si autocitano. E poi il prog, quando è suonato ai massimi livelli come in questo caso, è sempre musica affascinante. Ricca di suggestioni soprattutto, come anche di atmosfere complesse e di intriganti intrecci. Comunemente si associa però a questo stile un gusto retrò. È vero, ma, mai come questa volta in Deadwing, i Porcupine Tree sono sembrati così proiettati verso il futuro. E pur convenendo che questo sia rock destinato ad un pubblico adulto, non si può dire che non riesca ad affascinare anche le generazioni più giovani. 7 High on fire Blessed black Wing Relapse Records di Camillo Fasulo Una delle dispute più sterili e noiose che ci siano è quella infinita su cosa sia “heavy metal”, quale gruppo sia più metal, chi è “true”, chi è “false” e altre scemenze simili. Basta affacciarsi sugli innumerevoli forum del web per rendersene conto. Questioni che si risolvono immancabilmente in liti, teorie strampalate e palesi dimostrazioni di abissale ignoranza. Bene, a tutti coloro che davvero volessero riscoprire l’autentico e letterale significato di questo termine, di riassaporarne lo spirito crudo ed originario, è consigliabile l’ascolto di questo magnifico terzo album degli High On Fire, davvero un sunto perfetto del più primitivo, efficace e devastante metal. Se il primo album degli High On Fire era ancora abbastanza vicino al suono degli antesignani Sleep, mentre il secondo tratteggiava coordinate semplicemente heavy, il terzo definisce uno stile tellurico, fragoroso e decisamente inquietante. Matt Pike è una vecchia volpe! In giro da più di 15 anni, prima con gli originari Sleep, inventando in pratica lo stoner, e poi con questa mostruosa creatura, ha lanciato un guanto di sfida allo stantio mondo del metal. Blessed Black Wing è un album che difende a spada tratta il concetto di estremo in musica, un autentico concentrato di delizie metalliche. È tempo che anche il puro metal torni ad essere competitivo e vitale, e se per farlo deve ritornare alla propria preistoria che lo faccia. Tanto meglio se ci pensano musicisti di talento come gli High On Fire! Dark Tranquillity Character Century Media/Self di Nicola Pace Quando meno c’è lo aspettavamo, dopo due anni di estenuanti tour mondiali, è arrivato il settimo lavoro in studio degli svedesi Dark Tranquillity dal titolo Character. Dopo Projector, Damage Done e Havaen, dove la sperimentazione elettronica si era fatta molto pesante, facendo pensare, in alcuni momenti, ad un influenza depeche modiana, con Character i nostri si riappropriano delle loro radici death-metal old school, unendo ad aggressività e complessità strumentale, la componente elettronica ormai perfettamente integrata nel sound del gruppo. Fra i brani di migliore fattura: Lost to Apathy, The endless feed, My negation, songs potenti, aggressive, melodiche e sperimentali insomma delle costruzioni sonore complesse dove le ritmiche e le trame metriche si fanno sempre più articolate e spinte verso il limite. Con questa release la band vuole dimostrare di essere maturata e aver messo su un carattere ben preciso. Unico neo una produzione impastata, che penalizza e non poco molti dei brani presenti. Ragazzi chiamatelo come volete trashdeath, death-metal melodico, death scandinavo, l’unica cosa certa è che il sound di Goteborg è tornato e questa volta non risparmierà nessuno, siete avvisati. CoolClub.it Foofighters In your Honour Sony/Bmg di Osvaldo Dave Grohll è tornato, c’è aria di festa in casa Foofighters, dieci anni di onorata carriera celebrati in un disco che altro non si poteva Intitolare In Your Honour. Una tappa importante il decennio per una band, ancora di più quando a festeggiarli è una band che sembrava destinata a durare poco. E invece dalle ceneri del grunge l’ex batterista dei Nirvana, poliedrico animatore del nuovo rock americano, ha dato vita a una band con un piede nel power pop e uno nell’indimenticabile Seattle. Questo nuovo album dei Foofighters è addirittura un doppio, due dischi a rappresentare le due anime del gruppo: quella rumorosa e quella acustica, nettamente separate nei due dischi. Il primo cd ci restituisce i Foofighters come ce li aspettiamo, rabbiosi, tiratissimi, grandi aperture nei ritornelli. Il secondo è una sorpresa. Imbracciata la chitarra acustica si mette a nudo, fa scoprire la sua voce, ricorda a tratti il vecchio Kurt intimista, ma fa anche di più giocando con una bossa nova e imbarcandosi in svisate quasi psichedeliche. The tears Here come the tears Indipendiente/V2 di Osvaldo Molti anni sono passati da quei tempi bellissimi in cui il brith pop invadeva il mondo. Tra i gruppi assolutamente imprescindibili c’erano i Suede, quella riuscitissima accoppiata di chitarrismo prezioso e geniale che al grande Johnny Marr degli Smiths faceva pensare e quell’efebica spinta vocale glam che sembrava segnare il ritorno di Bowie. Artefici di questa perfetta alchimia erano Brett Anderson (voce) e Bernard Butler (chitarra) che con i loro Suede ci hanno regalato dischi (i primi due su tutti) che vale la pena riascoltare. E il loro ritorno non può creare che grandi attesa, speranze. Con questo progetto The Tears non dicono niente di nuovo ma lo fanno con una classe che è solo loro. Le canzoni sono belle, i due dimostrano l’affiatamento di sempre, ma un dubbio, una strana insoddisfazione fa capolino. Forse non viviamo più quegli anni, forse quel tempo è passato e anche quel suono. Largo alla nostalgia allora e in questo disco ce n’è tanta, della migliore. Jamiroquai Dynamite di Giancarlo Bruno Il sesto lavoro per i Jamiroquai. Dopo un lieve decadimento qualitativo del precedente A funk Odissey, la band inglese capitanata dal pazzo furioso JK ritorna ai vecchi splendori con un album super; alla luce della ormai consolidata esperienza, il gruppo si può permettere, senza il rischio di risultare poco creativo, di utilizzare passaggi con accordi non proprio coolfunk (il contrario suonerebbe proprio male!) come in Love Blind. L’energia c’è tutta, basta ascoltare la super-disco track Starchild… indiavolate chitarre wah-wah e distorsioni dosate per muoversi al tempo di cassa. Per ottenere queste sonorità, le sessioni di registrazione si sono svolte negli USA con la precisa intenzione di richiamare, con cori e archi, le atmosfere sfarzose e maestose della Los Angeles degli anni ’70 (Don’t Give Hate a Chance). Il disco comunque non risulta affatto statico o banale, passa anzi dalle sempre belle e ritmiche ballads a scatenati ritmi rock danzerecci (Black Devil Car) campi in cui, a dire il vero, non eravamo soliti ascoltare i Jamiroquai. Un album super, quindi; super dance e super funk. 8 CoolClub.it Land of the dead di George A. Romero Musica cubana di German Kral Alone in the dark di Uwe Boll Acque silenziose di Sabiha Sumar Il mondo è invaso dagli zombie. Nelle strade regna il caos e la situazione non é più sostenibile così, tra i superstiti c’è qualcuno che pensa d’intervenire. Un film-documentario appassionato e appassionante che racconta la vita degli artisti ma anche la musica e le emozioni della gente di Cuba. Edward Carnby, detective del pananormale, investiga sulla misteriosa morte di un amico nell’ adattamento cinematografico del famoso videogame dell’Atari. 1979, il Pakistan guidato dal generale Zia-ul-Haq, sta per diventare un paese islamico. Questo sconvolgerà la vita di Aisha e della sua famiglia. Jan Kounen Blueberry Moviemax di C. Michele Pierri Steven Spielberg La guerra dei mondi Paramount Liberamente tratto dal fumetto western creato nel 1963 da Jean-Michel Charlier e Jean ‘Moebius’ Giraud, Blueberry è l’ultima fatica di Jan Kounen, già regista di “Dobermann”. Appena arrivato nella città di Palomito dalla natìa Louisiana, il giovane Mike Blueberry incontra e si innamora di una prostituta. La sera stessa, però, la ragazza muore in una sparatoria tra Mike ed il misterioso Wally Blount. Mike sopravvive a malapena all’incendio provocato dalla sparatoria, fuggendo a cavallo dalla città, diventando poi sceriffo di Palomito proprio per difendere il territorio indiano dagli uomini bianchi. Ma proprio quando Mike incontra una donna talmente bella e decisa da farlo nuovamente innamorare, ecco che Wally Blount ricompare nella sua vita. Nonostante l’interpretazione di Vincent Cassel e Juliette Lewis, vere note positive del lavoro, molte sono le contraddizioni che animano questo film e che sicuramente faranno storcere il naso agli amanti dell’albo e del genere western, non fosse altro perchè questo film ha davvero poco sia dell’uno che dell’altro. Appare infatti più un esercizio di stile e un mix di effetti speciali e misticismo che lo rende troppo lontano da quello che il pubblico si attenderebbe. Torna Steven Spielberg e lo fa alla grande, con un film faraonico che lo consacra, se ancora ce ne fosse bisogno, gallina dalle uova d’oro del cinema mondiale e tutto questo nel momento in cui è stato definito (qui senza dubbio esageratamente) dalla classifica stilata da Empire miglior regista di tutti i tempi. Eppure se è vero che non sbaglia un colpo, è altrettanto vero che questa volta siamo alle prese con un film nettamente diverso dai suoi soliti lavori, anche se con elementi senza dubbio cari al regista americano, come la presenza aliena. Tratto dal libro di H.G. Welles che fu già alla base dell’omonimo film-cult di fantascienza del 1953, il kolossal di Spielberg racconta di Ray Ferrier, un operaio portuale divorziato, dalla vita disordinata e troppo concentrato su se stesso, tanto da aver perso persino il rapporto con i propri figli. Durante uno dei rari weekend in cui questi gli vengono affidati il mondo viene sconvolto da una serie di anomale tempeste magnetiche e da piogge di fulmini che sembrano concentrarsi particolarmente in determinate zone e specifici punti. È solo l’inizio. Una invasione aliena su scala mondiale è ormai in atto e Ray si troverà a combattere da solo per salvare sé e i suoi figli. In effetti se la trama è avvincente, il film è ben fatto, cos’è che non convince? In realtà nulla di particolare ma anche questo kolossal, pur rivelandosi una delle migliori produzioni degli ultimi anni, non sembra intento minimamente pronto a rischiare il che lo rende senza dubbio collaudato ma oramai anche un po’ noioso vista la carenza di soluzioni narrative. Inutile dire che Tom Cruise, vera star regalata ad una intera generazione, se la cava senza problemi ed anzi sembra aver limato quei piccoli eccessi che prima potevano renderlo fastidioso. Nel cast anche un invasato Tim Robbins pronto alla resistenza e la nuova enfant prodige del cinema americano, la piccola Dakota Fanning, nei panni di uno dei figli di Ferrier. Insomma uno spettacolo niente male che basandosi sull’usuale formula del road-movie ci porta a vivere il dramma dell’invasione visto da due punti di vista, uno più ampio e umano, l’altro più intimo e familiare. Cos’altro dire se non che nonostante qualche pecca La guerra dei mondi resta comunque quanto di meglio si possa vedere al cinema in questi giorni cocenti, quindi messi da parte pregiudizi e gusti personali perché non vederlo? Fidatevi, nonostante tutto ne vale la pena. C. Michele Pierri 10 CoolClub.it il parallelismo ripreso poi anche dal titolo tra passato e presente che ci riporta a un mondo oppresso dai potenti e condannato alla sofferenza, non molto distante da quello che vediamo quotidianamente. In definitiva in attesa di un salvatore, un film per chi ama il teatro e sogna un mondo migliore. Manoel de Oliveira Il quinto impero – Ieri come oggi Mikado di C. Michele Pierri Se c’è qualcuno che senza dubbio ama il cinema questo è Manoel de Oliveira. E non credo di essere il primo a chiedermi come si possa fare a 97 anni suonati ad essere ancora brillanti e sulla cresta dell’onda, sfornando un nuovo film ogni due anni circa. Tratto dal dramma di Jose Regio, El Rei Sebastiao, il film di Oliveira ripercorre il regno del re Sebastiao, una sorta di personaggio mitico che voleva rinverdire i fasti dei suo predecessori portando gloria al Portogallo, spazzando via il “male”. Mi dispiace però dirlo, ma una cosa è essere produttivi, un’altra è fare cose che possano attrarre uno spettatore e questa volta il maestro portoghese non ci è senz’altro riuscito. Lungi da me criticare la bellezza delle inquadrature e una tecnica ormai al limite della perfezione (tranne qualche ombra di troppo), ma portare una piece teatrale su pellicola non vuol dire assolutamente girare un film. Da sottolineare e da apprezzare oltre ai costumi e agli scenari suggestivi, solo 11 che riesce a non cadere nel didascalismo e che piacerà sicuramente agli amanti dello skateboard e degli sport in generale. Da sottolineare anche la splendida colonna sonora che non poteva non essere a tema e che comprende pezzi di Stooges, Pink Floyd, Deep Purple, T Rex, Blue Oyster Cult, Devo, e tanti altri. Inoltre il film è anche divertente e di sicuro non annoia anche chi di questo sport non ne capisce un gran che. Insomma un lavoro ben riuscito che consiglio un po’ a tutti, anche a chi ha dimenticato cosa significa essere giovane e impulsivo e ha voglia di rivangare i tempi andati. Catherine Hardwick Lords of dogtown Sony Pictures di C. Michele Pierri Cosa succede quando dei patiti del surf pensano di applicare le stesse movenze e la stessa audacia a quello che fino ad allora era considerato perlopiù un passatempo, lo skateboard? Ce lo racconta Catherine Hardwick che dopo Thirteen, ci propone la versione cinematografica di quello che già a suo tempo era stato un documentario di discreto successo e che basa la narrazione sulla vera storia degli Z-boys, quattro ragazzi americani poveri e disperati che negli anni ’70 ottengono la fama grazie alla passione e al talento, passando per il solito mix di sesso droga e rock n’roll, con esiti diversi per ognuno di loro. Ne esce fuori un film a sfondo generazionale Garth Jennings Guida galattica per autostoppisti Buena Vista di C. Michele Pierri Finalmente arriva in sala una delle trasposizioni cinematografiche più attese degli ultimi anni, tratta dall’omonimo libro di culto del 1979 di Douglas Adams. Si tratta di Guida galattica per autostoppisti, primo capitolo di una saga letteraria che ha conquistato prima la Gran Bretagna e poi il mondo intero, con una carica di sarcasmo e sano delirio che il film, nonostante l’entusiasta collaborazione dello scrittore alla sceneggiatura, riesce a replicare solo in parte. Ma veniamo alla storia. Arthur Dent è un uomo timido e insicuro che una mattina si alza e scopre all’improvviso che il suo migliore amico altri non è che un alieno sotto mentite spoglie e che la Terra sta per essere demolita per fare posto ad una autostrada intergalattica. Riesce a fuggire in autostop per l’Universo e qui cominciano le sue avventure. Senza dubbio come detto prima il film si presenta come meno brillante del libro, ma non mancano anche in questo parallelo cinematografico note positive, come una fantastica varietà di personaggi (fra cui un leader religioso stralunato che porta il volto di John Malkovich). La narrazione poi scorre veloce e divertente e anche gli effetti speciali, necessari per un lavoro del genere sono ben fatti e poco invasivi. Da vedere per appassionati e non. Kevin Rodney Sullivan Guess who Percy, padre di Theresa, ha sempre pensato che sua figlia un giorno si sarebbe fidanzata con un rampante ragazzo di colore. Un giorno però… lunedì 1 – mercoledì 3 Tricase (Le) Arti e tabacchi Una tre giorni di arte, musica, cinema e tabacco che farà rivivere i vecchi capannoni dell’Acait. Sul palco Les Troublamours, Mediterrae ensamble, Il parto delle nuvole pesanti. Inizio concerti ore 23.00 mercoledì 3 Cave di Cursi (Le) Orchestra di Piazza Vittorio Concerto imperdibile per gli amanti delle sonorità contaminate e per chi pensa che la convivenza dei popoli sia possibile (almeno su un palco). L’orchestra di Piazza Vittorio suona per Salento Negroamaro. giovedì 4 Piazza Duomo - Lecce Paolo Conte venerdì 5 – sabato 6 Lecce Officium et opificium venerdì 5 Cave di Cursi (Le) Subsonica L’avvocato della musica italiana d’autore torna nel Salento nell’ambito della rassegna Mediterranea del Comune di Lecce. La Socìetas Raffaello Sanzio di Cesena e la Compagnia Koreja per l’ultimo appuntamento della rassegna. Primo spettacolo ore 21.00, secondo spettacolo ore 22.30. Ingresso 7 euro (10 per tutti e due gli spettacoli). Info www.teatrokoreja.com, 0832242000. Osannati o bistrattati i torinesi fanno comunque notizia. I Subsonica approdano a Cursi e chiudono il festival Suoni nelle Cave all’interno della Rassegna Negroamaro. Ingresso 16 euro. venerdì 5 Carpignano Salentino (Le) Salento Sounds Good Festival Freddy Mc Gregor sabato 6 Carpignano Salentino (Le) Salento Sounds Good Festival Roy Paci domenica 7 Carpignano Salentino (Le) Salento Sounds Good Festival Max Gazzè Ogni mercoledì Lido Ponticello - San Cataldo Un mercoledì da leoni Come nel mitico film una squadra di dj capitanati dal dj president Sonic the Tonic vi faranno ballare con le loro selezioni surf, rock-steady, ska e revival. Chi l’avrebbe mai detto che nella patria del vino un gruppo di matti avrebbe tirato su un festival dedicato alla birra! Si parte con il reggae di Freddy Mc Gregor. Tutto gratuito…tranne la birra! Troppo divertente e amato dai salentini per lasciarselo sfuggire. La birra ben si sposa con la musica eccentrica di Roy Paci e Aretuska. Un ritorno atteso dopo il successo dello scorso anno. Ingresso gratuito. Il cantautore romano Max Gazzè torna nel Salento per presentare la sua prima raccolta Raduni Ovali. Dieci anni di successi e di soddisfazioni. Una serata all’insegna della birra e della musica d’autore… ovviamente gratis. lunedì 8 Piazza libertini - Lecce Tiromancino Il gruppo di Federico Zampaglione arriva a Lecce, ospite della rassegna Mediterranea. L’appuntamento è in Piazza Libertini alle ore 21. martedì 9 Diso (Le) Lou Dalfin La musica occitana chiude Etnica… Diso Folk Festival. Il gruppo propone una musica in cui le antiche canzoni popolari in formula acustica sono arricchite da nuovi arrangiamenti e nuovi strumenti. Ingresso gratuito. venerdì 12 Lecce Nicky Nicolai & Stefano Di Battista Dai fumosi club di jazz al Teatro Ariston di Sanremo il passo è breve. Lo spettacolo rientra nella rassegna Mediterranea del Comune di Lecce. Inizio ore 21.00. sabato 13 Lecce Nicola Arigliano sabato 13 Cave del Duca – Cavallino (Le) Salento Summer Festival sabato 13 Area Portuale – Gallipoli Negramaro Nicola Arigliano è uno dei più grandi se non il più grande cantante jazz italiano. Il concerto, in piazza Libertini, rientra nella rassegna Mediterranea del Comune di Lecce. Inizio ore 21.00. Salento Negroamaro della Provincia di Lecce chiude al ritmo del reggae gemellandosi con il Salento Summer Festival, giunto alla quinta edizione. Sul palco Luciano, Marcya Griffith e Sud Sound System. Da non perdere. Ormai la loro “Estate” imperversa in tutte le radio. Giuliano e compagni sono in tv e sui palchi di mezza Italia. Tornano nel Salento per un concerto gratuito nell’area portuale di Gallipoli. Successo assicurato. sabato 27 Melpignano (Le) Notte della Taranta Ogni Sabato Litos – Porto Selvaggio La Fable Saranno Giovanna Marini, Francesco De Gregori, Piero Pelù, Davide Van de Sfroos e i Sud Sound System gli ospiti del concertone della Notte della Taranta di Melpignano. Il sabato sera del Litos è La Fable. Un contenitore in cui musica, immagini e performance convivono creando un’atmosfera da sogno. Il Litos è aperto ogni sera. domenica 21 Litos – Porto Selvaggio (Le) Fumo Il regista Ippolito Chiarello presenta il suo cortometraggio Fumo, prodotto dalla Prometeo Video. A seguire concerto degli PsychoSun, band salentina protagonista della storia. Musica e immagini. Ingresso gratuito. CoolClub.it Martedì 2 – musica Tre allegri ragazzi morti/Yuppie Flu a Sanarica (Le) Calexico a Alberobello (Ba) Venerdì 3 – musica Perturbazione ad Alberobello (Ba) giovedì 4 – musica Cucuwawa a Surbo (Le) Perturbazione e Blek Aut a Cursi (Le) Insintesi al Litos di Porto Selvaggio (Le) venerdì 5 – teatro Via ad Avretrana (Ta) Boban Markovic Orchestar a Bari ( lunedì 8 – musica Cucuwawa a Marina di Alliste (LE) martedì 9 - musica Operai della fiat millecento ad Avetrana (Ta) Afterhours a Lesina (Fg) Popolous al Litos di Porto Selvaggio (Le) Giovedì 11 – musica Bandabardò a Otranto (LE) Petra Magoni & Ferruccio Spinetti all’Alterfesta di Cisternino (BR) Venerdì 12 – musica venerdì 5 – musica Tiromancino a Barletta Tributo a Domenico Modugno con Morgan/Mario Venuti/Sergio Cammariere/Samuele Bersani a Polignano a Mare (BA) sabato 6 - teatro Oggi Sposi di Ippolito Chiarello a Tricase (LE) sabato 6 – musica Tonino Carotone a Leverano (LE) Stefano Bollani trioa Locorotondo (BA) domenica 7 – musica Il Parto delle nuvole pesanti a Leverano (LE) Bandabardò a Ostuni (BR) Orchestra di Piazza Vittorio all’Alterfesta di Cisternino (BR) sabato 13 – musica Apres la classe e Cucuwawa a Barbarano salentino LE) Feel Good Productions (special guest Raiz) all’Alterfesta di Cisternino (BR) domenica 14 – musica Velvet a Trani (Ba) Trilok Gurtu (india) & Arkè String Project (italia) all’Alterfesta di Cisternino BR) Manigold al Litos di Porto Selvaggio (LE) lunedì 15 - musica Folkabbestia a Bari Negramaro a Locorotondo (BA) mercoledì 17 - teatro Oggi Sposi di Ippolito Chiarello al Litos di Porto Selvaggio (LE) giovedì 18 - teatro Oggi Sposi di Ippolito Chiarello a Poggiardo (LE) Giovedì 18 – musica Elisa a Lecce Cappello a cilindo al Cotriero di Gallipoli (LE) Venerdì 19 – musica Cucuwawa a Gallipoli (Le) sabato 20 – musica Nicola Conte al Mavù di Locorotondo (BA) domenica 21 – musica Daniele Sepe a Barletta (BA) venerdì 26 - teatro Oggi Sposi di Ippolito Chiarello a Torre dell’Orso (LE) venerdì 2 – musica Persiana Jones a Taurisano (Le) domenica 4 - musica Giardini di Mirò/Yuppi flu/Sub a Bari La redazione di Coolclub.it non è responsabile di eventuali variazioni o annullamenti. Gli altri appuntamenti su www.coolclub.it Per segnalazioni [email protected] 14 CoolClub.it 15 UN’IDEA MALSANA E NON TROPPO INUSUALE DI CITTA’ Ancora di città. Ancora di spazi, di periferie e di centri. Ancora di descrizioni di passeggiate. Ancora di desideri e bisogni. Di scambi. Ancora di circolazione di idee e informazioni. Cos’è la città? Come percepisco e desidero la mia città? Cosa chiedo a chi la governa e la amministra e la disegna e ridisegna? Cosa desidero dai suoi spazi, aperti e chiusi, pubblici e privati, di dominio pubblico e di dominio riservato. Ad accesso libero e ad accesso condizionato. Cosa ho bisogno di vedere, fare, comperare? Ed è all’acquistare che si limita la mia interazione con la città? E per acquistare intendo acquistare merci, ma anche servizi, informazioni, cultura. Può una “notte bianca” esaudire ed esaurire i miei bisogni e desideri? Può un negozio aperto fino alle dieci di sera essere la mia Bengodi? O anche semplicemente un concerto, in una piazza trasformata come una Cenerentola in una principessa fino a mezzanotte, è questo quello che voglio? Volenti o nolenti, la nostra vita, il nostro modo di “consumare”, perché sempre di “consumi” pare che si tratti: consumi culturali, pubblicitari, sociali, la nostra vita è classificata in categorie ben precise, da cui non si sfugge. Tutto viene considerato: dove ci vediamo con i nostri amici, quello di cui parliamo con i nostri amici, quanti e quali giornali leggiamo, che tipo di vestiti indossiamo, che tipo di musica ci piace ascoltare, quanti figli abbiamo e quanto guadagnamo se guadagnamo. E quindi? E quindi c’è anche una città desiderata per ognuno di questi stili di vita. Ci sono statistiche che dicono quello che io voglio, quello di cui io ho bisogno. Ma può la mia città rispondere ai miei desideri? Possono le sue strade e le sue piazze diventare un vero e proprio luogo di scambio? E soprattutto è davvero un luogo di scambio quello che cerco? Si parla di spazi della socialità. Ma cosa siano esattamente questi spazi della socialità io non l’ho ben capito. A cosa si riduce la socialità in uno spazio destinato alla socialità? Non è un po’ come dire uno zoo per essere felici e contenti? Quando sei nello spazio destinato ad essere sociale puoi avere scambi e interazioni con i tuoi simili. Fuori no, potrebbe essere poco sicuro. E la sicurezza è l’altro limite. Dicono che i cittadini si sentano poco sicuri. Che la sicurezza sia la priorità. Io mi sento controllato più che protetto. Io mi sento sotto sorveglianza più che scortato. La puliscono spesso la mia città, tolgono le scritte dai muri, la rendono asettica e ordinata, come una sala operatoria, come lo studio di un dentista. Ma io non sono a mio agio nello studio di un dentista e tanto meno in una sala operatoria. Ho dell’anestetico dentro, non sono lucido, non sono un essere pensante e desiderante in una sala operatoria. La mia città mi parla, mi dice delle cose attraverso i muri sporchi e con le scritte oscene, d’amore, razziste, politiche, me lo dice attraverso i panni stesi ad asciugare sui balconi, mi dice che è una città calda, del sud, dove il sole batte forte e la tramontana anche e i panni asciugano presto. Non so bene che cosa voglia dire amare e rispettare una città. Una città è e deve essere espressione viva della vita che vi pullula dentro. I suoi alberi con le radici sporgenti, vive, i suoi muri che raccontano storie private e pubbliche. Amo via dei Volsci a Roma, al di là di credi politici. La amo per le sue scritte sulle quali, su tutte, campeggia quella fatta con la vernice e il pennello, una scritta vecchia di trent’anni buoni, che racconta una storia e centinaia di storie. Allora forse desidero una città dove i suoi abitanti possano lasciare traccia di sé e del proprio vissuto, e non solo in spazi predisposti, in giornate predisposte, in maniera del tutto programmata, ma come capita, seguendo il flusso disordinato dei propri desideri. dario IMPRESSIONI E CONSUMAZIONI AI MARGINI DI UN GRAND TOUR OCCITANICO Cappello: PPL da Lecce chiede un pezzo il 4 luglio a me, che sono a Barcelona; io il 6, dal tavolo di un ristorante sul lungomare di Recco, gli restituisco quel che resta del mio viaggio negli incontri e negli scontrini... Pezzo: PPL questa è per te. Il gamberone fresco e sapido mangiato sul lungomare di Recco. La seconda Kronemburg media che schiarisce le idee e allontana li mali pensieri e avvicina li pensieri belli. L’ultima Estrella Damm in bottiglia, bevuta con finta calma al Gato Negro, in Carrer D’en Xuclà, a Barcelona. La cerveza del commiato. È tuo il pain au chocolait, una colazione ricca di speranza nel deserto mattutino di Luvel; come è tuo il pan i Xorico mangiato nel bordello caldo della Champagneria, a Barceloneta. Nel pacco mettiamoci anche la pesca mangiata sulla rocca di Saint-Raphael, e la banana sbucciata davanti a un immenso tramonto sulla platge di Marseille. Poi bagnamo tutto con la lattina di Estrella Damm che mi ha accolto in Spagna, al riparo di una estaciò de gasolina e accompagnata da un tramezzino al salmone; e il sestetto di Xibeca da litro, comprate con furore ed eccitazione al supermercato Champion per fare da comitato di benvenuto nell’Appartamento spagnolo de mi hermano...per non parlare di tutte quelle lattine dondolanti dalla mano di un Pakì ambulante che scandisce le sue e le tue passeggiate notturne al canto di: Cerveza bìr – Cerveza bìr – Cerveza bìr. Ma so che tutta questa Cervezabìr non te la berresti, neanche un po’, neanche una. E allora ti riservo el rabo de toro, punta di diamante di un menù da 8€ offerto dal Bar Elizabeth, in Carrer del Bonsucces, che è pure beneaugurante; e se vogliamo bere, facciamolo con un zumo de maracujas da 1,50€, che puoi comprare in qualsiasi bancarella della Boqueria, la versione catalana della chiazza cuperta. Però io, se fossi in te, assaggerei una copa dalla mio can Rosat, frizzante bottiglia pescata per 2,75€ nella tonnara della Champagneria, di cui sopra. Ti consiglierei, prima di spendere 34€ per assaporare una freseddha sponzata avec prommitoru y marangiane in qualche posto fico te lu Salientu Nesciu, di spenderne 4 per una paella classica, solo con pescado, da gustarsi in un qualunque posto di Raval, il quartiere delle mignotte di Barçelona; poi, se la paella non ti ha troppo appesantito... Prima di chiudere, e già ti vedo con una confezione di Alka-Setzer in una mano e un tubo di Citrosodina nell’altra, ti dedico anche quest’altra becks che nel frattempo mi hanno servito al tavolo, e gli amari di là da venire, e Paolo che pulisce la brace, Danilo che mi parla dei carichi di pesce dalla Sicilia e degli anni passati in Germania, la voce di Lucio Dalla che canta di Anna da una radio, e le mani del sessantenne Lucio di Foggia, Moto-Lucio, che l’indomani mi rianimerà la vespa per soli 20€. Ti vorrei parlare degli ultimi 240 km che mi rimangono da fare, della notte che passerò a dormire su una sdraio a qualche metro dal mare, dal mare di Recco, di fianco a Portofino, a 30 km da Genova, a pochi passi dall’estatico mar di nulla dell’estate. Toni Rucola