FATTO e DIRITTO - Università degli Studi Mediterranea

Il presente file contiene:
- Indicazioni bibliografiche minime;
- Rassegna giurisprudenziale, con particolare riguardo ai rapporti fra accesso e
riservatezza (nel caso in cui si voglia scaricare il testo intero della sentenza,
consiglio il sito www.giustizia-amministrativa.it);
- d.p.r. n. 184/2006 (cui va, evidentemente, aggiunta la L. n. 241/1990 – come
riformata dalla L. n. 15/2005 – e il D.Lgs. n. 196/2003);
- Due articoli: L. Lamberti, Il diritto d’accesso ai documenti amministrativi dopo la L.
n. 15/2005; A. Ferrucci, Diritto di accesso e riservatezza: osservazioni sulle
modifiche alla l. n. 241/90.
In generale sull’istituto vedi: E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, 2005,
pag. 424 ss.; F. Caringella, Corso di diritto amministrativo, 2004, pag. 1835 ss.
Sul diritto d’accesso dopo le modifiche del 2005, v. L. Lamberti, Il diritto d’accesso ai
documenti amministrativi dopo la L. n. 15/2005 (riportato).
Con riguardo ai rapporti fra accesso e privacy, specie dopo le modifiche del 2005, v.
A. Ferrucci, Diritto di accesso e riservatezza: osservazioni sulle modifiche alla l. n.
241/90 (riportato).
Di particolare interesse: E. Varani, Il diritto di accesso ai documenti amministrativi
contenenti dati sanitari, in Foro amministrativo- TAR, 2005, 929 ss.; M. Masetti,
Accesso ai documenti di gara, in Teme, n. 9/2006.
Giuseppe Tropea
TAR MARCHE, SEZ. I - sentenza 19 settembre 2006 n. 570 - Pres. Sammarco, Est.
Tramaglini - Di Tommaso (Avv. Scoli) c. INAIL (Avv. De Rose) e Natali (n.c.) - (accoglie).
1. Atto amministrativo - Diritto di accesso - Prevalenza sul diritto alla riservatezza Sussiste.
2. Atto amministrativo - Diritto di accesso - Presupposti per l’esercizio - Interesse
giuridicamente rilevante - E’ distinto dall’interesse all’impugnazione.
3. Atto amministrativo - Diritto di accesso - Istanza presentata da un sanitario Tendente ad ottenere copia di una lettera presentata da una paziente contenente
lamentele circa l’operato del medico stesso - Rigetto - Illegittimità - Ragioni.
1. Il diritto di accesso ai documenti, riconosciuto dagli artt. 22 e seguenti dalla L. 7
agosto 1990, n. 241, prevale sull'esigenza di riservatezza dei terzi ogni qualvolta
l'accesso venga in rilievo per la cura e la difesa di interessi giuridici del richiedente
(1).
2. La nozione di interesse giuridicamente rilevante ex art. 22 della L. 7 agosto 1990
n. 241, che consente l’accesso ai documenti amministrativi, è più ampia rispetto a
quella d'interesse all'impugnazione, caratterizzata quest’ultima dall'attualità e
concretezza, e consente la legittimazione all'accesso a chiunque possa dimostrare
che il documento amministrativo sia astrattamente idoneo a dispiegare effetti diretti
o indiretti nei suoi confronti indipendentemente da una lesione giuridica.
3. E’ illegittimo il diniego opposto dall’INAIL ad un medico in servizio presso
l’Istituto stesso in ordine ad una istanza da quest’ultimo avanzata tendente ad
ottenere rilascio della copia di una lettera di lamentele inoltrata da una signora la
quale, sottoposta a visita medica di revisione, aveva fortemente contestato la
condotta del medico; in tal caso, infatti, sussiste l’interesse del medico in questione
al rilascio della copia della lettera, atteso che quest’ultima potrebbe, in teoria,
determinare l’apertura di un procedimento disciplinare nei suoi confronti e, per altro
verso, potrebbe indurre il medico ad agire giudizialmente per la salvaguardia della
propria dignità professionale, anche in via penale, qualora ne ricorressero gli
estremi. D’altra parte, il rifiuto di rilasciare copia della lettera non appare giustificato
dall’esigenza di tenere riservati dei dati sensibili, in quanto il documento contiene
una mera ricostruzione storica di un evento cui l’istante ha direttamente partecipato
e gli eventuali dati sensibili ivi contenuti sono presumibilmente comunque a lui noti
in relazione al suo ufficio (2).
TAR LOMBARDIA-MILANO, SEZ. II - Sentenza 23 giugno 2000 n. 4615 - Pres. LEO, Est.
RUSSO - Società Generale per l'Industria della Magnesia s.p.a. (Avv.ti Vittorio e Matelda Lo
Fiego) c. I.N.A.I.L. (Avv.ti Luigi Anziano e Andrea Biffi) e G. ed altri (n.c.).
Atto amministrativo - Diritto di accesso - Rapporti con il diritto alla privacy Individuazione.
Atto amministrativo - Diritto di accesso - Dati sensibili inerenti alla salute - Atti
detenuti dall’INAIL - Disciplina prevista dal D.Lgs. n. 135/99 e dai regolamenti
emanati dall'INAIL - Partecipazione al procedimento degli interessati - Necessità.
Deve ritenersi prevalente il diritto di accesso su quello alla riservatezza tutte le volte
in cui siano in gioco interessi giuridicamente rilevanti per la cui difesa sia necessario
conoscere l'attività amministrativa (1).
In materia di privacy, la legge 31.12.1996, n.675 non detta alcuna norma di
coordinamento tra le due discipline, limitandosi, all'art. 43, a disporre che restano
ferme le disposizioni in materia di accesso, lasciando in tal modo all'interprete il
compito di delimitare di volta in volta i rispettivi confini.
Il decreto legislativo 11.7.1999 n. 135, nel definire i principi generali in base ai quali
i soggetti pubblici sono autorizzati a trattare dati sensibili o attinenti a particolari
provvedimenti giudiziari, stabilisce in particolare, all'art. 16 lett. c), che l'attività di
accesso, svolta in conformità alla legge n. 241 ed alle norme di attuazione, è di
rilevante interesse pubblico ai sensi dell'art. 22 della legge n. 675/96. Ne deriva, in
linea di principio, la legittimità dell'accesso anche a dati sensibili, spettando
all'Amministrazione, in sede regolamentare, in base alla nuova formulazione dell'art.
22, comuni 3 bis e 4, specificare quali dati sensibili sono suscettibili di trattamento
mediante l'accesso.
In base al D.Lgs. n. 135/99 e ai regolamenti emanati dall'INAIL (approvati dal
consiglio di amministrazione dell'INAIL con delibere nn.5 e 6 del 13.1.2000) è
ammissibile l'accesso anche ai dati sensibili inerenti alla salute, quando si tratti di
tutelare situazioni giuridicamente rilevanti del richiedente. Tuttavia, a tal fine
occorre che l'Amministrazione segua il particolare (sub)procedimento descritto
dall'art. 15 del regolamento INAIL approvato con delibera n. 5 del 13.1.2000 (avviso
all'interessato; eventuale presentazione, da parte del controinteressato o dei
controinteressati, ove siano più di uno - di osservazioni scritte; eventuali
controdeduzioni del soggetto che ha presentato la richiesta di accesso; decisione,
che, se di accoglimento, è limitata alla sola visione dei documenti strettamente
necessari alla tutela delle situazioni giuridiche indicate dal richiedente) (2).
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - 1725 - 2 dicembre 1998 - Pres. ed Est. Paleologo Provincia di Milano (Avv.ti Baroni e Merlino) c. Sindacato di Base di Milano (Avv.ti Leo e
Romanelli) - (annulla T.A.R. Lombardia-Milano, Sez. II, 3 marzo 1998 n. 459).
Ricorso giurisdizionale - Controinteressato o no - Actio ad exhibendum ex art. 25 L.
n. 241/90 - Avverso diniego di accesso - Soggetti terzi aventi titolo alla riservatezza
della documentazione amministrativa - Sono controinteressati - Ragioni.
Ricorso giurisdizionale - Legittimazione attiva e passiva - Accoglimento domanda di
accesso ai documenti amministrativi - Terzo cui la documentazione si riferisce - E'
legittimato ad impugnare l'accoglimento dell’istanza di accesso.
Atto amministrativo - Diritto di accesso - Natura giuridica - Individuazione - E' un
interesse legittimo.
Giustizia amministrativa - Interesse legittimo - Tutela accordata
ordinamento - Non è inferiore a quella prevista per il diritto soggettivo.
dal
nostro
Atto amministrativo - Diritto di accesso - Domanda di organizzazione sindacale Tendente ad ottenere documenti sugli straordinari dei dipendenti - In presenza di
una norma regolamentare che fa divieto di rilasciare copia dei documenti concernenti
il trattamento economico dei dipendenti - Diniego - Legittimità.
Nel caso in cui la documentazione amministrativa, di cui sia richiesto l’accesso ai
sensi dell’art. 24 L. 7 agosto 1990 n. 241 e dell’art. 8 D.P.R. 27 giugno 1992 n. 352,
riguardi soggetti terzi, implicandone il diritto alla riservatezza con riferimento agli
interessi epistolari, sanitari, professionali, finanziari, industriali e commerciali - per il
quale spetta all’amministrazione l’apprezzamento di adeguate misure di tutela - i
soggetti predetti sono controinteressati nei giudizi instaurati ai sensi dell’art. 25
legge n. 241 (1).
In sede di accesso ai documenti, il terzo cui la documentazione partiene è legittimato
ad impugnare il provvedimento di accoglimento dell’istanza di accesso che ritenga
lesivo del suo diritto alla riservatezza o a contraddire alla pretesa di accesso azionata
giudizialmente dal richiedente (2).
Non può condividersi la tesi (3) per cui il diritto di accesso ai documenti pubblici
darebbe luogo a posizioni di diritto soggettivo perfetto, dovendosi ritenere che esso
costituisca invece un interesse legittimo, essendo a tal fine irrilevante la generica
espressione di "diritto" usata dal legislatore.
Le posizioni d’interesse legittimo dei privati non ricevono nel nostro Paese minore
tutela rispetto a quelle di diritto soggettivo. Al contrario, al di là delle varie
differenze, questa tutela può essere più immediata ed energica, come più forti sono
le garanzie d’esatta applicazione della legge amministrativa, che il giudice
amministrativo fornisce ai privati ed agli organi amministrativi della Repubblica.
Pertanto affermare che una questione sia di diritto soggettivo anziché d’interesse
legittimo non significa attribuirle maggiore santità e rilievo (4).
Non può essere accolta una domanda di accesso ai documenti amministrativi
presentata da una organizzazione sindacale tendente ad ottenere l’esatta
individuazione del lavoro straordinario prestato da ciascun dipendente della
provincia di Milano, atteso che il vigente regolamento per l’accesso ai documenti
amministrativi della provincia di Milano stabilisce in modo assolutamente puntuale
che sono in ogni caso esclusi dal diritto di accesso tutti i documenti relativi al
trattamento economico dei dipendenti.
CONSIGLIO DI STATO, ADUNANZA PLENARIA - Decisione 24 giugno 1999 n. 16 - Pres.
Laschena, Est. Maruotti - S.p.A. Autostrade Concessioni e Costruzioni Autostrade (Avv.
Scozzafava) c. Bove (Avv.ti Rienzi, Saporito e Montaldo) - (annulla con rinvio T.A.R. Lazio,
Sez. II, 24 settembre 1997, n. 1559 - la questione era stata rimessa con ordinanza della Sez.
VI, 25 marzo 1999, n. 332).
Atto amministrativo - Diritto di accesso - Ricorso ex art. 25 L. n. 241/90 - Nel caso in
cui vi siano terzi ai quali il documento si riferisce - Notifica del ricorso a questi ultimi
- Necessità - Mancanza - Inammissibilità.
Atto amministrativo - Diritto di accesso - Natura giuridica - Individuazione.
Vanno considerati come controinteressati i soggetti determinati cui si riferiscono i
documenti richiesti con la domanda di accesso (1). Tale principio si applica altresì
quando si impugni un rifiuto di accesso a documenti riguardanti un soggetto
determinato: la posizione formale di controinteressato sussiste anche quando col
ricorso sia censurata l'inerzia dell'Amministrazione nell'adottare un provvedimento
dal contenuto sfavorevole per un terzo (2) e, a maggior ragione, qualora in sede
giurisdizionale sia chiesto al giudice amministrativo di ordinare direttamente
l'esibizione di documenti, in luogo dell'Amministrazione (o del concessionario di un
pubblico servizio) che non abbia provveduto sull'originaria istanza (3). Pertanto, chi
ricorre al giudice amministrativo per accedere a documenti amministrativi che
coinvolgano aspetti di riservatezza di un altro soggetto, deve - a pena di
inammissibilità - notificare il ricorso anche a quest'ultimo, ai sensi dell'art. 21, primo
comma, della legge n. 1034 del 1971 (4).
In generale è ravvisabile una posizione di interesse legittimo, tutelata dall'art. 103
della Costituzione, quando un provvedimento amministrativo è impugnabile di regola
entro un termine perentorio, pure se esso incide su posizioni che, nel linguaggio
comune, sono più spesso definite come di "diritto". Va quindi considerato atecnico il
riferimento contenuto nella L.n. 241/90 al "diritto" di accesso, tenuto conto che la
relativa pretesa (cui non è correlativo un obbligo o un comportamento dovuto) non è
esercitabile senz'altro nei confronti dell'Amministrazione o del gestore del pubblico
servizio, ma è soggetta ad un termine di decadenza. Invero, il legislatore, pur avendo
qualificato come "diritto" la posizione di chi ha titolo ad accedere ai documenti
(articoli da 22 a 25 della legge n. 241 del 1990), in considerazione degli interessi
pubblici coinvolti ha disposto all'art. 25, comma 5, un termine perentorio entro il
quale è proponibile il ricorso "contro le determinazioni amministrative concernenti il
diritto di accesso".
Deve pertanto ritenersi che il c.d. diritto di accesso abbia natura e consistenza di
interesse legittimo e che il giudizio previsto dall'art. 25 della legge n. 241 del 1990
(salve le deroghe da esso espressamente previste) è sottoposto alla generale
disciplina del processo amministrativo (5).
TAR LAZIO, SEZ. III BIS – sentenza 19 aprile 2004 n. 3319 - Pres. Corasaniti, Est.
Pugliese - Bolognini (Avv. G. Bolognini) c. Azienda U.S.L. Roma A e Gestione Liquidatoria ex
UU.SS.L.. RM 1 e RM 2 (Avv. A. Funari) Regione Lazio (n.c.), Possi (Avv. V. Bellini) ed Alesii
(Avv M. Croce) - (accoglie il primo ricorso e dichiara cessata la materia del contendere in
ordine al secondo ricorso).
1. Atto amministrativo - Diritto di accesso - Rapporti con il diritto alla riservatezza Prevalenza del diritto di accesso sul diritto alla riservatezza - Sussiste - Condizioni.
2. Atto amministrativo - Diritto di accesso - Diniego - Motivato con riferimento ad
esigenze di riservatezza - Precisazione dei motivi di riservatezza - Necessità Mancanza - Illegittimità.
1. Il diritto di accesso ai documenti amministrativi riconosciuto dalla legge 241 del
1990 prevale sull’esigenza di riservatezza del terzo ogni qualvolta l’accesso venga in
rilievo per la cura o la difesa di interessi giuridici del richiedente (1), anche se,
beninteso, l’interesse vantato deve essere concretamente collegato alle specifiche
esigenze del richiedente e, come tale, deve essere serio, non emulativo, e non
riconducibile a mera curiosità, nonché riferibile al medesimo in quanto titolare di una
posizione soggettiva giuridicamente rilevante e qualificata dall’ordinamento come
meritevole di tutela.
2. La qualificazione di documenti come "riservati" deve essere adeguatamente
motivata, pena l’illegittimità del diniego (2)
TAR VENETO, SEZ. III - Sentenza 7 marzo 2003 n. 1674 - Pres. Zuballi, Est. Franco Sinigaglia (Avv.ti Bacci e Favaron) c. U.L.S.S. n.12 (Avv.Zimbelli) - (accoglie).
1. Giustizia amministrativa - Generalità - Ricorso giurisdizionale - Actio ad
exibendum ex art. 25, l. n. 241/1990 - Natura di giudizio impugnatorio - Esclusione Omessa notifica ai controinteressati - Aventi titolo alla riservatezza della
documentazione amministrativa (tutela della privacy) - Inammissibilità del gravame
- Non si configura - Ragioni.
2. Atto amministrativo - Diritto di accesso - In materia sanitaria - Rapporto con la
disciplina sulla riservatezza dei dati personali ex art. 16 D. Lg.s n. 135/99 Prevalenza del diritto di accesso - Si realizza allorché l’interesse fatto valere sia, esso
stesso, lato sensu sanitario, nonché rilevante, e l’accesso sia imprescindibile per la
difesa dell’interesse medesimo.
3. Atto amministrativo - Diritto di accesso - In materia sanitaria - Actio ad
exibendum ex art. 25, l. n. 241/1990 - Nei confronti di cartella clinica relativa a
parente stretto defunto - Per approntare terapie preventive a tutela e protezione
della proprie salute - In relazione all’eventuale carattere ereditario della patologia
della persona deceduta - Possibilità - Sussiste.
4. Atto amministrativo - Diritto di accesso - In materia sanitaria - Actio ad
exibendum ex art. 25, l. n. 241/1990 - Nei confronti di cartella clinica relativa a
parente stretto defunto - Disamina dell’istanza di ostensione - Individuazione del
nesso specifico tra le ragioni a base dell’istanza e le finalità perseguite con la
richiesta di accesso - Obbligo per la P.A. - Sussiste - Mancanza - Illegittimità Fattispecie.
1. Nell’introdurre nell’ordinamento (con l’art. 25, l. n. 241/1990) un nuovo tipo di
ricorso instaurabile davanti al G.A., la legge ha sicuramente dato luogo a una
tipologia di azione e ad un rito che si muovono in una logica tutt’affatto diversa dagli
stilemi tipici della tradizionale azione di annullamento e del giudizio impugnatorio,
dal quale si differenzia nettamente. Ciò è testimoniato - tra l’altro - dal tipo di
sentenza relativa a detto rito, la quale non è costitutiva (in quanto non pronuncia
l’annullamento di un atto, se non in via eventuale e incidentale, nel caso di diniego),
né di condanna in senso stretto, poiché si sostanzia nel riconoscimento del diritto di
accesso ad atti e documenti, nonché nell’ordine di un facere specifico impartito
all’amministrazione, sul presupposto - implicito o esplicito - del menzionato
riconoscimento. La norma prevede che il giudice, una volta che abbia riconosciuto
l’esistenza di un siffatto diritto in capo al ricorrente, ordini senz’altro alla P.A. il
rilascio dei documenti e atti inutilmente richiesti all’Amministrazione. Con ciò non si
vuol dire che non assumano rilievo processuale le posizioni giuridiche e gli interessi
di altri soggetti di senso contrario a quello del ricorrente (conflitto tra diritto di
accesso e diritto alla riservatezza di terzi, in ordine alla protezione di dati personali).
Tuttavia, allorquando, ai fini della risoluzione della controversia relativa al diritto di
accesso sottoposta al G.A., emerga l’esigenza di accertare la consistenza di siffatti
interessi e di confrontarli con la posizione giuridica del ricorrente (sulla scorta, per lo
più, della motivazione del diniego fornita dall’amministrazione), sarà il giudice a
ordinare, eventualmente, l’integrazione del contraddittorio, ove alla notifica ai
controinteressati non abbia provveduto il ricorrente, senza che l’omessa notifica
assurga a elemento dirimente ai fini dell’ammissibilità del ricorso, non versandosi in
ipotesi di giudizio impugnatorio.
2. In materia sanitaria, il giudizio di comparazione tra esigenze di accesso e tutela
della riservatezza personale, ex art. ex art.16 D. Lg.s n.135/99, deve assumere, quali
criteri di soluzione, la rilevanza giuridica e/o il "rango" del diritto posto a base
dell’istanza di ostensione, rispetto al quale l’accesso documentale è soltanto
strumentale, e la sua imprescindibile necessità per la difesa di quell’interesse. Detto
interesse costituisce, altresì, il limite entro cui l’accesso può essere consentito, oltre
che la condizione per la sua prevalenza sulla tutela della privacy. E ciò tanto più
quando l’interesse fatto valere dall’accedente ha, esso stesso, substrato di carattere
sanitario, funge da oggetto della pretesa, ed è diretto a proteggere la salute
dell’istante (alla stregua del principio è stato ritenuto prevalente sulla riservatezza
personale dell’erede controinteressato, il diritto di accesso alla cartella clinica
avanzata dalla sorella della defunta a tutela e protezione della propria salute, in
relazione all’eventuale carattere ereditario e, quindi, trasmissibile, della patologia da
cui era affetta la medesima "parente stretta" deceduta).
3. Deve ritenersi accessibile, ex artt. 22 e segg. l. n. 241/1990, una cartella clinica
relativa ai ricoveri di un parente stretto defunto, nel caso in cui l’accedente eserciti il
diritto di ostensione a protezione della propria salute, e motivi la relativa istanza con
l’esigenza di approntare terapie preventive o meno, in relazione all’eventuale
trasmissibilità ereditaria della patologia esiziale da cui era affetto il parente
deceduto.
4. In sede di accesso ai documenti, ex artt. 22 e segg. l.n.241/1990, la P.A. ha
l’obbligo di esaminare l’istanza dell’accedente alla luce dei motivi specificati nella
medesima, avendo riguardo al nesso fra le motivazioni poste a presidio della
richiesta (id est natura della posizione giuridica del richiedente) e alle finalità
addotte (alla stregua del principio, è stato dichiarato illegittimo il diniego opposto da
un’Azienda Sanitaria Locale in ordine ad un’istanza di accesso a cartella clinica di un
parente stretto defunto - sorella - motivato con l’assunto che la richiedente - non
compresa nel testamento - non era erede legittimaria; laddove, invece, l’accedente,
in disparte la qualità di erede legittimaria, aveva inoltrato domanda di ostensione ai
documenti sanitari, al fine esclusivo di verificare il carattere eventualmente
ereditario della patologia da cui era affetto la parente deceduta e, in caso positivo, di
intraprendere iniziative di prevenzione terapeutica a protezione della propria salute).
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V – Sentenza 3 luglio 2003 n. 4002 – Pres. ff. Allegretta,
Est. Cerreto - Di Sante (Avv.ti G. Mangia e A. Marsilio) c. Comune di Martinsicuro (n.c.) e
Giorgetti (n.c.) – (conferma T.A.R. Abruzzo - L’Aquila, 3 ottobre 2001, n. 582).
Atto amministrativo – Diritto di accesso – Accesso ai dati sensibili – Limiti ex art. 16,
2° comma, del D.L.vo n. 135/1999 – Valutazione dell’interesse alla riservatezza – Va
compiuta in concreto – Fattispecie.
L’art. 16, 2° comma, del D.L.vo 11 maggio 1999 n. 135 (secondo il quale l’accesso ai
dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale è consentito se il diritto da
far valere o difendere è di rango almeno pari a quello dell’interessato), non risolve in
astratto il conflitto tra l’interesse del terzo a conseguire l’accesso e quello alla
riservatezza dell’interessato, ma consente all’Amministrazione che detiene i dati
sensibili – e, in mancanza, al Giudice amministrativo - di valutare in concreto
ciascuna fattispecie, al fine di stabilire se l’accesso sia necessario o meno per far
valere o difendere un diritto almeno pari a quello dell’interessato (1) (nella specie è
stato ritenuto legittimo il silenzio-rigetto formatosi su di una istanza con la quale la
appellante aveva chiesto di accedere all’esito della visita medica di leva del marito
che intendeva produrre in un procedimento per la nullità del matrimonio per
incapacità del marito stesso ad assumersi gli obblighi matrimoniali essenziali per
cause di natura psichica; ha osservato la Sez. V del CdS che nella specie non vi era
motivo per rivelare dati riservati, atteso che il marito aveva dichiarato al Tribunale
ecclesiastico, innanzi al quale pendeva detto procedimento, di essere favorevole alla
declaratoria di nullità del matrimonio).
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V – sentenza 7 settembre 2004 n. 5873 - Pres. Iannotta,
Est. Corradino - Aloj (Avv.ti Palma e Kivel Mazuy) c. A.S.L. di Napoli (Avv. Cocozza) e Perrotta
(Avv.ti Laudadio, Scotto e Russo) - (annulla T.A.R. Campania - Napoli, Sez. V, 25 settembre
2003 n. 11649).
1. Atto amministrativo - Diritto di accesso - Presupposti per l’esercizio del diritto Sussistenza di un interesse giuridicamente rilevante - Necessità - Sussiste - Nozione
di interesse rilevante a tal fine - Individuazione.
2. Atto amministrativo - Diritto di accesso - Rapporti con il diritto alla riservatezza Individuazione - Disciplina prevista dall’art. 15 del D.L.vo n. 135/1999 Interpretazione.
3. Atto amministrativo - Diritto di accesso - Di un medico - Ai ai registri operatori di
altro sanitario - Nel caso in cui vi sia un interesse giuridicamente rilevante - Sussiste
- Modalità dell’accesso - Devono tener conto delle esigenze di riservatezza, mediante
l’oscuramento dei nominativi dei pazienti sottoposti ad intervento.
1. Ai fini della sussistenza del presupposto legittimante al diritto di accesso agli atti
amministrativi, deve sussistere un interesse giuridicamente rilevante del soggetto
che richiede l'accesso, che il medesimo soggetto intende perseguire e tutelare nelle
sedi opportune, ed un rapporto di strumentalità tra tale interesse e la
documentazione di cui si chiede l'ostensione; quest'ultimo nesso di strumentalità
deve, peraltro, essere inteso in senso ampio, posto che la documentazione richiesta
deve essere, genericamente, mezzo utile per la difesa dell'interesse giuridicamente
rilevante, e non strumento di prova diretta della lesione di tale interesse (1).
2. L'art. 16 d.lgs. 11 maggio 1999 n. 135, recante disposizioni integrative della l. 31
dicembre 1996 n. 675 sul trattamento di dati sensibili da parte di soggetti pubblici,
deve essere interpretato nel senso che, quando il trattamento dei dati concerne dati
idonei a rilevare lo stato di salute o la vita sessuale, l’accesso è consentito se il
diritto da far valere o da difendere è di rango almeno pari a quello dell'interessato.
Tale disciplina è volta alla "massimizzazione della circolazione informativa", con
consequenziale prevalenza del principio di pubblicità rispetto a quello di tutela della
riservatezza, sempre che l'istanza ostensiva sia sorretta dalla necessità di difendere i
propri interessi e nel rispetto del limite modale (2).
3. Sussiste il diritto di un medico di accedere ai registri operatori di altro sanitario al
fine di curare e difendere i propri interessi in giudizio, atteso che in tal caso l’istanza
ostensiva deve essere ritenuta prevalente ("in concreto") rispetto alla riservatezza
dei cd. dati sensibili per l’esigenza di tutela del diritto di difesa del medico stesso in
sede amministrativa o giudiziaria; per esigenze di rispetto dei cd. dati sensibili,
tuttavia, si impone la prescrizione del limite modale dell’oscuramento dei nominativi
dei pazienti sottoposti ad intervento, sì come annotati nei registri operatori
relativamente agli interventi eseguiti dal sanitario interessato.
TAR LAZIO - ROMA, SEZ. I - sentenza 17 gennaio 2005 n. 308 – Pres. Calabrò, Est.
Panzironi – Pazienza (Avv.ti G. e E. Parente) c. Ministero della Giustizia (Avv. Stato) e Ercole e
altri (n.c.) - (dichiara il ricorso inammissibile).
1. Atto amministrativo – Diritto di accesso – Nei confronti di istanze di trasferimento
di personale ex art. 33, comma 5, L. n. 104/1992 – Nel caso in di domanda di
ostensione genericamente avanzata in relazione a tutti gli atti di trasferimento
adottati dalla P.A. – Diniego della P.A. - Legittimità – Ragioni – Fattispecie.
2. Atto amministrativo - Diritto di accesso - Nei confronti di istanze di trasferimento
di personale ex art. 33, comma 5, L. n. 104/1992 - Nel caso in cui gli atti richiesti in
ostensione contengano dati sensibili - Diniego della P.A. - Riferimento all’obbligo di
tutelare la riservatezza (privacy) di terzi - Legittimità - Ragioni - Fattispecie.
1. Deve ritenersi legittimo il diniego di accesso agli atti opposto dalla P.A. in merito
ad un’istanza di ostensione di un dipendente, riguardante gli atti di trasferimento del
personale ex art. 33, comma 5, L. n. 104/1992, nel caso in cui, da un lato, detta
istanza sia stata avanzata genericamente nei confronti di tutti gli atti di
trasferimento adottati dalla P.A., e non già con riferimento a singoli provvedimenti,
e, dall’altro, la P.A. medesima abbia già chiarito all’istante le ragioni ed i criteri posti
a base dei medesimi atti di trasferimento.
2. Deve ritenersi legittimo il diniego di accesso agli atti opposto dalla P.A. in merito
ad un’istanza di ostensione di un dipendente, riguardante gli atti di trasferimento del
personale ex art. 33, comma 5, L. n. 104/1992, nel caso in cui agli atti amministrativi
richiesti in ostensione contengano dati sensibili, afferenti la salute dei parenti
disabili del personale soggetto a trasferimento. Tali atti, in vero, sono sottratti
all’accesso poiché la tutela della riservatezza (privacy) dei terzi assume una valenza
di rango superiore rispetto all’esigenza sottostante al diritto di accesso (1).
CONSIGLIO DI STATO - ADUNANZA PLENARIA - sentenza 4 febbraio 1997, n. 5 - Pres. Laschena,
Rel. Salvatore - Cacaci c. Regione Marche.
Atto amministrativo - Diritto di accesso - Atti riguardanti terzi - Esigenze di riservatezza Prevalenza del diritto d'accesso per la difesa degli interessi giuridici del richiedente Fattispecie.
(L.
241/1990,
art.
24
c.
2°,
lett.
d)
(D.P.R. 352/1992, art. 8, c. 5°, lett. d)
Il diritto di accesso ai documenti amministrativi prevale sull'esigenza di preservare la
riservatezza dei documenti che riguardano terzi qualora venga esercitato per la cura o la
difesa
di
un
interesse
giuridico.
In tal caso è tuttavia consentita solo la visione di detti documenti, dei quali non è invece
possibile nè l'estrazione di copie, nè la trascrizione.
--------------------DIRITTO: 1. La legge 7 agosto 1990 n. 241, nel disciplinare i rapporti fra cittadino e pubblica amministrazione,
delinea un ordinamento ispirato, da un lato, all'esigenza di un'azione amministrativa celere ed efficiente (art.
1), e dall'altro, ai principi di partecipazione dell'amministrato e di conoscibilità del concreto svolgimento della
funzione pubblica. Ciò, al fine di assicurare, attraverso la salvaguardia del valore della "trasparenza", l'efficienza
dell'amministrazione e, al contempo, la garanzia del privato e la "legalità" dell'ordinamento nel suo insieme.
Il diritto di accesso ai documenti amministrativi è, infatti, riconosciuto (art. 22 della legge n. 241) al fine "di
assicurare la trasparenza dell'attività amministrativa e di favorirne lo svolgimento imparziale".
Il diritto di conoscibilità degli atti e documenti amministrativi, inquadrato nel contesto più generale delle
disposizioni contenute nella legge n. 241 - le quali delineano istituti (diritto di accesso, moduli di
amministrazione per accordi, partecipazione procedimentale) e modalità dell'azione e dell'organizzazione
amministrativa (motivazione, certezza dei tempi e responsabile del procedimento, predeterminazione dei criteri
per ausili economici) preordinate alla configurazione di un nuovo modello di organizzazione amministrativa e di
rapporti di questa con il cittadino - mira ad assicurare la circolazione delle informazioni tra pubbliche
amministrazioni
e,
soprattutto,
tra
amministrazione
e
cittadino.
Il riconoscimento legislativo nel nostro ordinamento del principio di pubblicità dei documenti amministrativi
segna un totale cambiamento di prospettiva, perchè comporta che se finora il segreto era la regola e la
pubblicità
l'eccezione,
ora
è
vero
il
contrario.
Di fronte all'esercizio del diritto di accesso, è la pubblica amministrazione che deve giustificare il proprio rifiuto
all'accesso, motivandolo con la necessità di proteggere mediante il segreto uno o più interessi previsti dal
legislatore.
L'esigenza di motivazione del segreto fondata sul rapporto fra determinante informazione (che
l'amministrazione ritiene debbano essere segrete) e determinati interessi (che il legislatore ha previsto debbano
essere protetti) indica il passaggio anche nel nostro ordinamento da una concezione soggettiva e "personale"
del segreto amministrativo ad una concezione oggettiva e "reale", più consona ad un'amministrazione moderna.
Il segreto amministrativo, cioè, non è più rapportato alla "qualità" della persona che li detiene, bensì alla
"qualità" delle informazioni protette dal segreto; nel segreto di nuovo tipo ciò che rileva è la "qualità" delle
informazioni, cioè il loro rapporto con determinati interessi, non la "qualità" del soggetto che le detiene, prevale
in sostanza l'elemento oggettivo e "reale" costituito dalle informazioni oggetto del segreto e quindi,
indirettamente,
dagli
interessi
che
ne
formano
il
vero
contenuto.
Al rispetto di tale nuovo principio, in base al quale la regola generale è l'accesso e le ipotesi in cui i documenti
possono essere sottratti all'accesso sono soltanto eccezioni, è informato anche l'art. 8 del regolamento per la
disciplina delle modalità di esercizio e dei casi di esclusione del diritto di accesso ai documenti amministrativi,
approvato con D.P.R. 27 giugno 1992, n. 352 in attuazione dell'art. 24, comma 2, della legge 7 agosto 1990 n.
241.
La norma, che è intitolata alla "disciplina dei casi di esclusione" all'accesso, allorchè dispone (con una
formulazione che contiene una doppia negazione) che i documenti non possono essere sottratti all'accesso se
non quando essi siano suscettibili di arrecare un pregiudizio concreto agli interessi di cui all'art. 24 della legge
n. 241 del 1990 (comma 2) e che la sottrazione non può essere opposta se la conoscibilità può essere differita
nel tempo (comma 3), conferma chiaramente che la regola generale è l'eccezionalità dei casi di esclusione.
Il successivo comma 5 del citato art. 8 prevede, poi, che, nell'ambito delle categorie di documenti,
normalmente non secretati e quindi accessibili, ve ne sono alcuni che, sia pure nel rispetto dei criteri di cui ai
commi 2, 3 e 4, possono essere sottratti all'accesso per una serie di ragioni specificamente indicate, fra cui
quella di cui alla lett. d), che sottrae all'accesso i "documenti" che "riguardino la vita privata o la riservatezza di
persone fisiche..., con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario..., di cui siano in concreto
titolari, ancorchè i relativi dati siano stati forniti all'amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono".
L'ultimo inciso della lett. d) stabilisce, però, che "deve comunque essere garantita ai richiedenti la visione degli
atti dei procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro interessi
giuridici".
2. Alla stregua di tale ultima disposizione, che ribadisce quanto già stabilito alla lett. d) del secondo comma
dell'art. 24 della legge n. 241 del 1990, ritiene questa Adunanza plenaria che il quesito deve essere risolto nel
senso che l'accesso, qualora venga in rilievo per la cura o la difesa di propri interessi giuridici, debba prevalere
rispetto
all'esigenza
di
riservatezza
del
terzo.
Anche se la norma non prevede che i documenti arrechino o possano arrecare un pregiudizio ovvero che dalla
loro conoscenza possa derivare una lesione specifica ed individuata, e ritiene sufficiente, ai fini di escluderne la
conoscibilità, che questi documenti "riguardino", si riferiscano, in senso ampio, alla vita privata o alla
riservatezza, non sembra esservi dubbio che nel conflitto tra accesso e riservatezza dei terzi la normativa
statale abbia dato prevalenza al primo, allorchè sia necessario per curare o difendere i propri interessi giuridici.
Sia la norma primaria (art. 24, comma 2, lett. d) legge 241/1990) si la norma regolamentare (art. 8, comma 5,
lett. d) D.P.R. 352/1992) hanno cercato di contemperare esigenze diverse, stabilendo che i richiedenti, di fronte
a documenti che riguardano la vita privata o la riservatezza di altri soggetti, non possono ottenere copia dei
documenti, nè trascriverli, ma possono solo prendere visione degli "atti" di quei procedimenti amministrativi che
sono
relativi
ai
loro
interessi.
Si deve, pertanto, concludere che l'interesse alla riservatezza, tutelato dalla normativa mediante una
limitazione del diritto di accesso, recede quando l'accesso stesso sia esercitato per la difesa di un interesse
giuridico,
nei
limiti
ovviamente
in
cui
esso
è
necessario
alla
difesa
di
quell'interesse.
3. Passando all'esame del caso che ha dato luogo alla presente controversia, si deve rilevare che il parziale
rifiuto all'accesso viene giustificato dalla regione con l'esigenza di salvaguardare la riservatezza di terzi, nella
specie pazienti tossicodipendenti del SER.T. di S. Benedetto del Tronto, al fine di non deteriorare il rapporto
medico-paziente.
Il diniego, cioè, non riguarda i "documenti" e le informazioni in esso contenute, bensì la "qualità" dei soggetti
denunciati, per cui, come ha messo in luce l'ordinanza di rimessione, la Regione sembra aver esercitato, sia
pure per ragioni di rilevante valore sociale, un potere discrezionale di diniego che la legge non le conferisce.
Ove poi si consideri che i sottoscrittori dell'esposto, denunciando le disfunzioni del servizio, hanno dato luogo
all'apertura del procedimento, nel quale l'appellante è parte sostanziale; che quest'ultimo, nella sua qualità di
responsabile del servizio è già a diretta conoscenza della particolare situazione in cui versano i vari pazienti, e,
infine, che il contenuto del documento attiene alle modalità di esplicazione delle funzioni connesse alla qualifica
del richiedente, investono cioè la sfera giuridico-professionale del medesimo, si deve concludere che il caso di
specie non appare riconducibile alle ipotesi di salvaguardia della riservatezza disciplinata dall'art. 8, comma 5
del
D.P.R.
352
del
1992.
L'appellante, ha quindi, diritto di prendere visione dei documenti rifiutati dalla Regione nè vi è ragione per
ritenere che da tale conoscenza possano derivare possibili ritorsioni nei confronti dei pazienti tossicodipendenti.
Alle pur apprezzabili preoccupazioni espresse al riguardo dall'amministrazione regionale si è già opposto che
l'insistenza del ricorrente dell'acquisire la conoscenza dei documenti e soprattutto dell'identità dei loro autori,
esibita nel corso del procedimento amministrativo e di due gradi di giudizio, ha un carattere così singolarmente
indiziante da costituire per gli interessati un autentico salvacondono, con la conseguenza che ogni
comportamento nei loro confronti difforme dalla normalità statistica determinerebbe, in fatto, una sorta di
presunzione
di
discriminazione,
attirando
sul
suo
autore
pesanti
e
plurime
responsabilità.
A tali considerazioni si può aggiungere che la cura o la difesa dei propri interessi giuridici costituiscono sia il
presupposto per il diritto di prendere visione degli atti, altrimenti non accessibili, che il limite della loro
utilizzabilità, che non può andare oltre le finalità previste dalla normativa per la deroga alla sottrazione
dell'accesso.
Si vuole, cioè, dire che, anche in considerazione della peculiare "qualità" dei pazienti assistiti e dei rapporti che
per tale motivo devono intercorrere fra questi ed i sanitari preposti, la conoscenza dei documenti non può non
essere finalizzata alla responsabile valutazione delle lamentele espresse dai sottoscrittori e all'adozione dei
conseguenti rimedi che appariranno utili ed opportuni sia per riportare il rapporto medico-pazienti al clima di
serenità e comprensione, che il particolare status dei soggetti beneficiari del servizio impone.
Di ciò è consapevole la stessa difesa dell'appellante la quale sottolinea (pag. 4, punto IV della memoria
depositata il 22 ottobre 1996) che "la conoscenza di tali atti permetterebbe al ricorrente non soltanto di
difendere le proprie ragioni ma anche di comprendere quali migliorie dei servizi resi potrebbero essere
realizzate
a
vantaggio
degli
stessi
utenti".
In nessun caso, pertanto, la conoscenza di tali atti e documenti potrà determinare nei confronti degli utenti
comportamenti discriminatori o ritorsivi, i quali, ove posti in essere, integrerebbero gravi violazioni dei doveri
che fanno capo al responsabile del servizio e giustificherebbero l'immediato intervento repressivo da parte
dell'autorità
deputata
alla
vigilanza
del
SER.T.
L'appello deve, pertanto, essere accolto e in riforma della sentenza appellata, deve essere ordinato alla regione
Marche di consentire all'appellante di prendere visione dei documenti parzialmente rifiutati.
Sussistono peraltro giusti motivi per compensare interamente fra le parti le spese e le competenze di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. VI) pronunciando sul ricorso in epigrafe specificato, lo accoglie
e, in riforma della sentenza appellata, ordina alla Regione Marche di rilasciare all'appellante copia degli atti e
documenti richiesti.
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza 3 aprile 2000 n. 1916 - Pres. ed Est. Rosa - Bertanzetti (Avv.
Rigamonti) c. Comune di Lecco (Avv.ti Monaco e Ferrari).
Non può essere accolta una domanda di accesso avanzata dal destinatario di una ordinanza di demolizione
tendente ad ottenere copia dell’esposto-denuncia di alcuni condomini, da cui aveva avuto origine il
procedimento sanzionatorio, ove risulti che la ordinanza di demolizione sia fondato su autonomi atti di
ispezione dell'autorità amministrativa.
Quando l'accertamento di un abuso edilizio è fondato su autonomi atti di ispezione dell'autorità
amministrativa, l'esposto del privato ha infatti il solo effetto di sollecitare il promovimento d'ufficio del
procedimento, senza acquisire efficacia probatoria. Ne consegue che in tale evenienza, di regola, per il
destinatario del provvedimento finale non sussiste la necessità dì conoscere gli esposti al fine di difendere i
propri interessi giuridici, a meno che non sussistano particolari esigenze.
La preordinazione dell'accesso alla cura e alla difesa di interessi giuridici, dalla quale soltanto dipende la
prevalenza del diritto di accesso sul diritto alla riservatezza dei terzi, non può risolversi in una clausola di
stile, ma deve essere effettiva, in relazione alla situazione di fatto e di diritto nella quale la domanda di
accesso si inserisce e tale effettività deve essere controllabile dal giudice dell'accesso.
Il diritto di accesso ai documenti amministrativi riconosciuto dalla L. 7 agosto 1990, n. 241 prevale
sull'esigenza di riservatezza del terzo ogniqualvolta l'accesso venga in rilievo per la cura o la difesa di
interessi giuridici del richiedente (1).
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - sentenza 10 febbraio 2006 n. 555 - Pres. Schinaia, Est.
De Nictolis - Codacons (Avv. Rienzi) c. Ministero della giustizia (Avv. Stato Tortora), Autorità
garante della concorrenza e del mercato, Autorità per la protezione dei dati personali (Avv.
Stato Tortora) e Poste italiane s.p.a. (Avv.ti Sandulli, Filippetto e Molé) - (conferma T.A.R.
Lazio - Roma, Sez. I, sent. 3 settembre 2004, n. 8325).
1. Atto amministrativo - Diritto di accesso - Istanza di ostensione - Nel caso in cui
tale istanza sia mirata alla conoscenza ed al controllo generalizzati dell’attività del
soggetto destinatario dell’accesso - Inammissibilità - Ragioni.
2. Associazione per la difesa dei diritti degli utenti - Legittimazione attiva - Nel caso
di azioni a tutela della privacy indifferenziata dei consumatori - Non sussiste - Azioni
a tutela di un proprio specifico interesse alla privacy, o a tutela della privacy di
soggetti determinati da cui abbiano ricevuto specifica procura scritta - Sussiste.
1. Deve ritenersi inammissibile un ricorso avverso il silenzio-rigetto della P.A. in
merito ad un’istanza di accesso agli atti nel caso in cui la domanda di accesso: a)
abbia un oggetto generico e indeterminato; b) sia finalizzata ad un controllo
generalizzato sull’operato dei destinatari dell’istanza; c) per taluni profili non
riguardi documenti esistenti, ma postuli una attività di elaborazione di dati; d) ove si
tratti di domanda di accesso presentata da una associazione di tutela dei
consumatori, per buona parte del suo oggetto non evidenzi uno specifico interesse in
relazione a reali o probabili lesioni degli interessi dei consumatori, ma miri, in una
logica di sospetto, a ottenere dati per verificare la possibilità di violazioni; e) miri ad
un controllo di tipo investigativo - preventivo. A quest'ultimo proposito, si deve
ribadire, infatti, che il diritto di accesso non è uno strumento di controllo
generalizzato sull’attività del soggetto destinatario dell’accesso, bensì uno
strumento per acquisire atti e documenti puntuali (1).
2. Ai sensi degli artt. 1 e 7 d.lgs. n. 196 del 2003 (codice della privacy) e dall’art. 2,
d.lgs. n. 206/2005 (codice del consumo) deve ritenersi che le associazioni di tutela
dei consumatori, mentre non sono legittimate ad agire a tutela della privacy
indifferenziata dei consumatori, hanno legittimazione attiva a proporre azioni per la
sola tutela di un proprio specifico interesse alla privacy, ovverosia per la tutela della
privacy di soggetti determinati da cui abbiano ricevuto specifica procura scritta (2).
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - Sentenza 30 marzo 2001 n. 1882 - Pres. Giovannini,
Est. Garofoli - INAIL (Avv.ti F. M. Artusa e P. Rossi) c. La Paravia Elevators’ Service s.r.l.
(Avv.ti L. Ioele e F. Accarino) e P. (n.c.) - (riforma TAR Campania-Salerno, Sez. II, 2
novembre 2000 n. 642).
Giustizia amministrativa - Errore scusabile - Applicabilità generalizzata nei casi di
situazioni di incertezza normativa - Fattispecie in materia di notifica al
controinteressato del ricorso avverso diniego di accesso.
Atto amministrativo - Diritto di accesso - Ricorso ex art. 25 L. n. 241/90 - Fissazione
della camera di consiglio - Avviso con biglietto di segreteria - Non occorre.
Atto amministrativo - Diritto di accesso - Rapporti con il diritto alla riservatezza Prevalenza della pubblicità dell’azione amministrativa rispetto al diritto alla
riservatezza dei singoli - Limiti.
Atto amministrativo - Diritto di accesso - Rapporti con il diritto alla riservatezza Informazioni circa lo stato di salute di soggetti - Disciplina prevista dall’art. 16, co. 2,
D. Lgs. n. 135/99 - Applicabilità anche in materia di accesso agli atti amministrativi.
Atto amministrativo - Diritto di accesso - Rapporti con il diritto alla riservatezza Informazioni circa lo stato di salute di soggetti - Disciplina prevista dall’art. 16, co. 2,
D. Lgs. n. 135/99 - Ponderazione concreta delle esigenze che giustificano l’accesso e
di quelle sottese al diritto alla riservatezza - Fattispecie.
L'istituto dell'errore scusabile, disciplinato dall'art. 34, R.D. 26 giugno 1924 n. 1054,
e dall'art. 34, L. 6 dicembre 1971 n. 1034, deve ritenersi di generale applicazione nel
sistema della giustizia amministrativa ed è suscettibile di utilizzazione in tutti i casi
in cui siano ravvisabili situazioni di obiettiva incertezza normativa, connesse a
difficoltà interpretative ovvero ad oscillazioni giurisprudenziali o di comportamenti
fuorvianti della stessa Amministrazione, dai quali possa conseguire difficoltà nella
domanda di giustizia ed una effettiva diminuzione della tutela giurisdizionale (1)
(alla stregua del principio nella specie la Sez. VI, tenuto conto dei diversi
orientamenti seguiti dalla giurisprudenza in materia di mancata notifica al
controinteressato del ricorso per l'accesso ad atti contenti dati sensibili, ha ritenuto
correttamente concesso nel caso di specie il beneficio della rimessione in termini per
errore scusabile).
Nel procedimento giurisdizionale relativo al diritto di accesso di cui all’art. 25 L. n.
241/90 non sussiste l’obbligo per la segreteria di comunicare alle parti l’avviso di
udienza, giacchè la trattazione dei ricorsi in camera di consiglio interviene in base a
criteri automatici che tengono conto della notifica e del deposito dell’atto
introduttivo del giudizio (2).
La disciplina dettata in tema di trasparenza amministrativa dalla l. n. 241/90, volta
alla "massimizzazione della circolazione informativa", finisce per accordare una
prevalenza al principio di pubblicità rispetto a quello di tutela della privacy,
consentendo l’accesso anche quando involgente dati riservati, sempre che l’istanza
ostensiva sia sorretta dalla necessità di difendere i propri interessi e con il limite
modale costituito dalla non percorribilità della via più penetrante e potenzialmente
lesiva dell’estrazione di copia (3).
L’art. 16, co. 2, D. Lgs. n. 135/99 (sulla tutela della privacy), nel prevedere che il
trattamento dei dati idonei a rivelare lo stato di salute "è consentito se il diritto da
far valere o difendere, di cui alla lett. b) del comma 1, è di rango almeno pari a quello
dell’interessato", trova applicazione, alla stregua di una lettura teleologica e
sistematica, anche con riferimento alla materia dell’accesso ai documenti
amministrativi.
Quanto alla portata precettiva, l’art. 16, co. 2, D. Lgs. n. 135/99, impone
all’Amministrazione una valutazione ponderativa tra diritto da difendere e diritto alla
riservatezza da condurre, non sulla base di un’astratta scala gerarchica dei diritti in
contesa, bensì tenendo conto delle specifiche circostanze di fatto destinate a
connotare il singolo caso concreto (4).
TAR LAZIO - ROMA, SEZ. III BIS - sentenza 25 maggio 2004 n. 4874 - Pres. Corasaniti,
Est. Arzillo - Patroni (Avv. Ventura) c. Ministero pubblica istruzione (Avv.ra Stato), Accademia
belle arti di Palermo e Iovino (n.c.) – (accoglie).
1. Atto amministrativo – Diritto di accesso – Legittimazione all’accesso – Di colui che
partecipa ad una procedura concorsuale o paraconcorsuale – Sussiste – Ragioni.
2. Atto amministrativo – Diritto di accesso – Atti
Accessibilità – A seguito del del D.Lgs. 30 giugno 2003,
protezione dei dati personali") - Sussiste – Valutazione
diritti di rango superiore – Necessità – Fattispecie
trasferimento di dipendenti pubblici.
contenenti dati sensibili
n. 196 ("Codice in materia
concreta della sussistenza
in materia di procedura
–
di
di
di
1. Ai sensi dell'articolo 22 della legge 7 agosto 1990 n. 241, i concorrenti
partecipanti ad una procedura concorsuale o paraconcorsuale sono titolari del diritto
di accesso ai relativi atti, essendo portatori di un interesse sicuramente differenziato
da quello della generalità degli appartenenti alla comunità, cioè dell'interesse alla
regolarità della stessa procedura, in funzione della tutela di una posizione che ha
rilevanza giuridica (1).
2. Anche a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. 30 giugno 2003, n.196 ("Codice in
materia di protezione dei dati personali"), sussiste il diritto di accedere agli atti in
possesso della P.A. in presenza di dati sensibili, previa valutazione - in caso di dati
idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale - del rango degli interessi
coinvolti (2) (alla stregua del principio nella specie è stato ritenuto sussistente il
diritto di un soggetto che aveva partecipato ad una procedura definita come
"paraconcorsuale", tendente ad ottenere il trasferimento, di accedere ai documenti
richiesti, attinenti allo stato di salute del soggetto in situazione di handicap,
necessari per beneficiare del diritto di precedenza ex art.33 della l. n.104/92).
CONSIGLIO DI STATO, ADUNANZA PLENARIA - sentenza 18 aprile 2006 n. 6 - Pres. de
Roberto, Est. Patroni Griffi - Aeroporto Gabriele D’Annunzio S.p.a. (Avv.ti Rolfo e Bezzi) c.
Aldovrandi (Avv.ti Toma ed Allocca) - (annulla T.A.R. Lombardia - Brescia, 13 aprile 2005, n.
317 e dichiara inammissibile il ricorso proposto in primo grado - la questione era stata rimessa
all’Ad.Plen. con ord. della Sez. VI, 9 settembre 2005 n. 4686, in questa Rivista, pag.
http://www.lexitalia.it/p/52/cds6_2006-09-09.htm).
1. Atto amministrativo - Diritto di accesso - Funzione - Individuazione - Conseguenze
in ordine alla tutela giurisdizionale.
2. Atto amministrativo - Diritto di accesso - Tutela giurisdizionale - Termine di 30
giorni per la proposizione dell’azione - E’ da ritenere previsto a pena di decadenza Impugnazione del successivo diniego - Ove quest'ultimo sia meramente
confermativo di un precedente diniego non impugnato nei termini - Inammissibilità
del ricorso - Va dichiarata.
1. Il diritto di accesso agli atti amministrativi, al di là della questione circa la sua
natura giuridica (e cioè sulla sua configurabilità come diritto soggettivo o come
interesse legittimo), ancora dibattuta, costituisce, a ben vedere, una situazione
soggettiva che, più che fornire utilità finali (caratteristica da riconoscere, oramai,
non solo ai diritti soggettivi ma anche agli interessi legittimi), risulta caratterizzata
per il fatto di offrire al titolare dell’interesse poteri di natura procedimentale volti in
senso strumentale alla tutela di un interesse giuridicamente rilevante (diritti o
interessi); in tale prospettiva, la tutela giurisdizionale dell’accesso è volta ad
assicurare la protezione dell’interesse giuridicamente rilevante e, al contempo,
quell’esigenza di stabilità delle situazioni giuridiche e di certezza delle posizioni dei
controinteressati che sono pertinenti ai rapporti amministrativi scaturenti dai
principi di pubblicità e trasparenza dell’azione amministrativa.
2. I commi 5 e 4 dell’art. 25 della L. 7 agosto 1990 n. 241 e s.m.i. – i quali,
rispettivamente, fissano il termine di trenta giorni (evidentemente decorrente dalla
conoscenza del provvedimento di diniego o dalla formazione del silenzio
significativo) per la proposizione dei ricorsi in materia di accesso agli atti della P.A. e
qualificano in termini di diniego il silenzio serbato sull’accesso – prevedono un
termine all’esercizio dell’azione giudiziaria da ritenere necessariamente posto a pena
di decadenza; la mancata impugnazione del diniego nel termine non consente la
reiterabilità dell’istanza e la conseguente impugnazione del successivo diniego
laddove a questo debba riconoscersi carattere meramente confermativo del primo.
Deve pertanto ritenersi inammissibile un ricorso avverso il diniego opposto ad una
domanda di accesso agli atti, ove il diniego stesso sia meramente confermativo di un
precedente diniego non impugnato nei termini (1).
N.
Reg.Dec.
N.1774 Reg.Ric.
Anno 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n.1774 del 2001, proposto da VALESANO Rosalba, rappresentata e difesa
dall'avv. Luciano Petrullo, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Andrea Beccia, in
Roma, Via Carlo Felice n.77,
contro
l’Università degli Studi di Torino, in persona del Rettore pro-tempore, rappresentata e difesa
dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è per legge domiciliata, in Roma, via dei
Portoghesi, n.12;
e nei confronti
di Varetto Brunella, Rabezzana Giuseppe, Pelissero Emanuela, Varetto Lorenzo, Bosco Enzo, Pirfo
Elvezio e Fornari Ugo, non costituitisi.
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte, Sez. I, n.995 del 26 settembre
2000.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Avvocatura dello Stato e vista la relativa memoria
difensiva;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla Camera di consiglio del 26 giugno 2001 il Cons. Giuseppe
Minicone;
Udito l’avv. dello Stato Aiello;
Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:
FATTO E DIRITTO
1. Con ricorso notificato il 3 luglio 2000, la sig.ra Rosalba Valesano impugnava, innanzi al
Tribunale amministrativo regionale del Piemonte, il diniego, opposto dall’Università degli studi di
Torino, alla sua richiesta, inoltrata ai sensi dell’art.22 della L. n.241/90, volta a conoscere se taluni
medici si fossero laureati in medicina presso il predetto ateneo e se avessero ivi conseguito la
specializzazione, con la specificazione della relativa area. Premesso il suo interesse ad acquisire le
suddette informazioni, dal momento che i medici indicati sarebbero stati a vario titolo coinvolti
nella vicenda relativa al suicidio della figlia, avvenuto il 27 gennaio 1994, deduceva l’illegittimità
del provvedimento impugnato, non ostando al soddisfacimento della richiesta la tutela della privacy,
invocata dall’Università.
2. Il giudice adito, con la sentenza in epigrafe, pur riconoscendo la sussistenza, nell’istante, di un
interesse personale e concreto all’accesso, ha respinto, tuttavia, il ricorso sul rilievo che, nella
specie, non era necessario sacrificare il diritto alla riservatezza dei medici in questione, potendo
l’interessata tutelare detto interesse attraverso la consultazione dell’Albo presso l’Ordine
professionale dei medici, che è documento di carattere pubblico.
3. Avverso detta decisione ha proposto appello la sig.ra Valesano, sostenendo, da un lato, che le
informazioni richieste non riguarderebbero dati sensibili, attinenti alla vita privata, in quanto
concernenti requisiti per lo svolgimento di un’attività professionale; dall’altro, la contraddittorietà
nella quale sarebbe incorso il primo giudice nel considerare informazioni riservate notizie
desumibili da un documento pubblico.
Peraltro, ad avviso dell’appellante, ogni questione di riservatezza sarebbe superata dalla
previsione normativa che garantisce comunque la visione degli atti dei procedimenti amministrativi,
la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere un proprio interesse giuridico.
4. Si è costituita l’Università intimata, chiedendo il rigetto del gravame.
5. L’appello non può essere accolto.
6. E’ assorbente, nel caso di specie, il rilievo che la domanda di accesso, rivolta dall’interessata
all’Università di Torino, non era diretta a chiedere l’esibizione di documenti specificamente
individuati in possesso dell’Amministrazione, ma a conoscere, in via esplorativa, se taluni soggetti
(alcuni, peraltro, neppure indicati con i dati anagrafici completi) avessero conseguito la laurea in
medicina e chirurgia presso la stessa Università, se avessero perfezionato il corso di
specializzazione e, in caso positivo, la tipologia della specializzazione conseguita.
In altri termini, lo strumento dell’accesso è stato utilizzato non per il fine suo proprio di prendere
visione del contenuto di determinati documenti detenuti da una pubblica amministrazione, ma per
conoscere se e quali atti esistessero presso l’Università interpellata, onde, non sussisteva, in apice,
l’obbligo per quest’ultima, ai sensi dell’art.25 della legge n.241/90, di attivarsi per ricercare e
fornire le notizie richieste, (cfr., in senso conforme, Cons. Stato, VI Sez. n.1346 del 30 settembre
1998).
7. Oltre tutto, le notizie in questione, come già fatto presente dalla stessa Università e riaffermato
dal T.A.R., erano reperibili attraverso la consultazione degli Albi professionali esistenti presso il
locale Ordine dei medici chirurghi, che sono atti pubblici, nei quali sono indicati (cfr. art.3 DPR 5
aprile 1950 n.221) il titolo di base, i titoli di specializzazione, l’autorità, il luogo e la data del
rilascio, ovverosia proprio gli elementi sui quali appunta il proprio interesse all’accesso la sig.ra
Valesano.
8. Del resto, l’Ordine dei medici, nella sua lettera del 28 giugno 2000 - non impugnata dalla
ricorrente per la parte in cui si rifiutava di fornire talune notizie -, ha, comunque, rappresentato a
quest’ultima la facoltà di libera consultazione degli albi presso la Segreteria dell’Ordine stesso.
9. Per le considerazioni esposte, l’appello deve essere respinto.
Si ravvisano giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio.
PQM
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione VI), definitivamente pronunciando
sull'appello in epigrafe, come specificato in motivazione, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 26 giugno 2001, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
VI) in Camera di Consiglio, con l’intervento dei Signori:
Giorgio GIOVANNINI
Presidente
Sergio SANTORO
Consigliere
Paolo NUMERICO
Consigliere
Chiarenza MILLEMAGGI COGLIANI Consigliere
Giuseppe MINICONE
Consigliere Est.
Il Presidente
L'Estensore
Il Segretario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il.....................................
(Art.55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
CONSIGLIO DI STATO
In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)
Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa al
Ministero......................................................................................................
a norma dell'art.87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642
Il Direttore della Segreteria
N.R.G. 1774/2001
AV
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 1082
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER
LA CALABRIA, Catanzaro - Sezione Seconda,
ANNO 2004
REG. DEC.
N. 405/2004 REG. RIC.
composto dai Signori:
Dott. Luigi Antonio ESPOSITO - Presidente
Dott. Pierina BIANCOFIORE – Componente
Dott. Ezio FEDULLO – Estensore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 405/2004, proposto da POLIMENI Domenico, rappresentato e difeso
dall’Avv. Maria Meduri, legalmente domiciliato presso la Segreteria del Tribunale in
difetto di elezione di domicilio in Catanzaro;
contro
l’Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro, in persona del legale
rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di
Catanzaro;
e nei confronti di
LAZZARINO Elisa + 42, controinteressati;
per l’accesso
ai documenti amministrativi relativi al bando di concorso per l’ammissione al master di
I livello in management per le funzioni di coordinamento professioni sanitarie tecniche –
anno accademiche 2002-2003, attraverso l’estrazione di copia dei titoli e di ogni altra
documentazione prodotta dai concorrenti collocati in graduatoria prima del ricorrente,
delle prove di esame e dei verbali delle valutazioni operate sui concorrenti dalla
commissione giudicatrice.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla camera di consiglio del 6 Maggio 2004 il dott. Ezio FEDULLO;
Uditi altresì gli avvocati come da verbale d’udienza.
Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue :
FATTO e DIRITTO
Deduce il ricorrente di aver chiesto l’accesso ai documenti indicati in epigrafe con
istanza del 27.1.2004, indirizzata all’Università degli Studi intimata.
Lamenta che l’amministrazione destinataria non ha assunto alcuna determinazione sulla
domanda di accesso suindicata : contesta quindi il silenzio-rigetto conseguentemente
formatosi, facendo leva sull’interesse a conoscere i motivi della sua esclusione dal
master cui inerisce la controversia.
Venendo alle valutazioni del Tribunale, occorre rilevare, alla luce della documentazione
prodotta dall’amministrazione intimata, che il ricorrente ha già agito a tutela
dell’interesse alla conoscenza degli atti inerenti alla procedura per l’ammissione al
master indicato in epigrafe : tanto emerge dalla sentenza n. 3466 del 2003, con la quale
questo Tribunale si è pronunciato sul ricorso con il quale il predetto ha chiesto la
declaratoria – tra l’altro - del suo diritto ad ottenere copia dei titoli e di ogni altra
documentazione prodotta dai concorrenti che lo hanno preceduto nella graduatoria, delle
prove di esame, dei verbali delle rispettive valutazioni e della graduatoria definitiva, a
fronte del diniego frapposto dall’amministrazione intimata all’estrazione di copia dei
documenti concernenti gli altri candidati.
In particolare, la sentenza in discorso ha sancito l’inammissibilità del ricorso nella parte
rivolta all’acquisizione di copia dei documenti concernenti gli altri concorrenti, attesa
l’omessa notificazione del gravame nei confronti di questi ultimi quali titolari
dell’interesse a proteggere, dalla conoscenza altrui, la propria sfera di riservatezza.
Con il ricorso oggi all’esame del Tribunale, il ricorrente lamenta il mancato
soddisfacimento dell’interesse ostensivo fatto nuovamente valere con l’istanza
presentata il 27.1.2004, e seguita dal silenzio dell’amministrazione destinataria.
Tanto premesso, occorre in primo luogo evidenziare che il tema litigioso è circoscritto
all’estrazione di copia dei documenti relativi alla predetta procedura e concernenti gli
altri candidati : non solo, infatti, sia il ricorso introduttivo che l’istanza del 27.1.2004
fanno riferimento alla predetta modalità ostensiva ma, come si evince dalla sentenza
succitata, il diniego opposto dall’amministrazione, a fronte della istanza del 2.7.2003, ha
riguardato la sola facoltà di estrazione di copia dei documenti in discorso.
In tale quadro, non può non rilevarsi che la posizione degli altri concorrenti quali
portatori dell’interesse alla riservatezza, affermata dal Tribunale con la sentenza n.
3466/2003, non può non determinare l’applicazione alla fattispecie dell’art. 24, comma
2, lett. d) l. 7 agosto 1990 n. 241, ai sensi del quale le modalità di esercizio del diritto di
accesso, incidente sulla “riservatezza di terzi, persone, gruppi ed imprese”, sono
limitate alla “visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi, la cui conoscenza
sia necessaria per curare o per difendere i loro interessi giuridici”.
Deriva, dalla disposizione in discorso, la preclusione normativa all’esercizio del diritto
di accesso nella più ampia dimensione – rappresentata dall’estrazione di copia – evocata
dal ricorrente.
Il ricorso, quindi, deve essere respinto.
Sussistono giuste ragioni per compensare tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria – Catanzaro, Sezione Seconda,
respinge il ricorso.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Catanzaro nella Camera di Consiglio del 6 Maggio 2004.
L’estensore
Il Presidente
Dott. Ezio FEDULLO
Dott. Luigi Antonio ESPOSITO
Depositata in Segreteria il 12 maggio 2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.3536/2006
Reg.Dec.
N. 1398 Reg.Ric.
ANNO 2006
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 1398/06, proposto da:
RUSSO DOMENICO FRANCO E SALLER MILA, in qualità di genitori di Giovanni Niccolò
Russo, rappresentati e difesi dagli avv. Francesco Frati e Maria Beatrice Pieraccini, ed elettivamente
domiciliati presso lo studio Grez e associati in Roma, lungotevere Flaminio, n. 46;
contro
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, ISTITUTO
PARIFICATO ARCIVESCOVILE “SANTA CATERINA”, LICEO SCIENTIFICO PARITARIO,
DI PISA E UFFICIO SCOLASTICO PROVINCIALE DI PISA, in persona dei rispettivi legali
rappresentanti in carica, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui
uffici domiciliano per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Toscana, sezione prima, 6 dicembre
2004, n. 6266;
visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio dell’amministrazione scolastica;
viste le memorie prodotte dalle parti;
visti tutti gli atti della causa;
relatore all’udienza pubblica del 28 marzo 2006 il consigliere Carmine Volpe; nessuno comparso
per le parti;
ritenuto e considerato quanto segue.
FATTO E DIRITTO
Il primo giudice ha respinto il ricorso proposto da Domenico Franco Russo e Mila Saller,
genitori di Giovanni Niccolò Russo, avverso il diniego di accesso alla documentazione richiesta con
la nota fax trasmessa il 4 dicembre 2003 e per l’accertamento del diritto a ottenere l’esibizione dei
documenti chiesti all’Istituto parificato arcivescovile “Santa Caterina” di Pisa con istanza del 6
novembre 2003.
I ricorrenti, con istanze in data 23 gennaio 2003 e 6 novembre 2003, avevano chiesto di prendere
visione ed estrarre copia dei registri della seconda classe del Liceo scientifico del detto Istituto e dei
verbali del Consiglio di classe relativi al periodo di frequenza del proprio figlio presso l’Istituto
stesso (anno scolastico 2001/2002). Gli stessi avevano ritirato il proprio figlio dal corso “a causa del
clima di ostilità anche se non generalizzato, avvertito nell’ambito del predetto Istituto nei riguardi
del figlio stesso”.
Ai ricorrenti venivano mostrate le pagine del registro di classe che riguardavano il loro figlio e
non quelle degli altri alunni, a tutela di esigenze di privacy degli stessi.
Il primo giudice ha ritenuto di non potere accogliere la pretesa dei ricorrenti diretta a prendere
visione del registro di classe nella sua versione integrale, poiché le pagine del registro date in
visione ben assolvono al compito di consentire la conoscibilità di quanto interessa ai genitori
dell’alunno e per non essere ammesso l’accesso relativamente agli altri alunni. Ciò in quanto:
a) “le annotazioni relative agli altri alunni esulano dall’interesse personale dei ricorrenti”;
b) “la conoscenza degli altri dati si rivelerebbe una inammissibile ingerenza nella sfera di
riservatezza di altri soggetti la cui tutela parimenti è a cuore dello stesso legislatore che ha emanato
la normativa sull’accesso ai documenti”.
La sentenza viene appellata dai signori Russo e Saller che, riproponendo i motivi di primo grado,
deducono in particolare:
1) violazione e/o falsa applicazione del capo V della l. 7 agosto 1990, n. 241; illogicità della
motivazione; travisamento dei fatti;
2) violazione e/o falsa applicazione del capo V della l. n. 241/1990; violazione e/o falsa
applicazione degli artt. 4, 59 e 60 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196; illogicità e carenza della
motivazione.
Si sostiene l’erroneità delle due argomentazioni svolte dal primo giudice.
L’amministrazione scolastica si è costituita in giudizio con il patrocinio dell’Avvocatura
generale dello Stato, resistendo al ricorso in appello.
Le parti hanno prodotto memorie con le quali hanno ulteriormente illustrato le rispettive difese.
La difesa dell’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l’erroneità della notifica del ricorso in
appello, per essere stata eseguita presso la sede dell’Avvocatura distrettuale e non presso quella
dell’Avvocatura generale.
La sezione osserva, al riguardo, che la nullità della notifica dell'appello al Consiglio di Stato,
effettuata a un'amministrazione statale presso l'Avvocatura distrettuale e non presso quella generale,
è sanata "ex tunc" dalla costituzione in giudizio dell'amministrazione. Ciò in applicazione del
principio di conservazione degli atti processuali, che può desumersi dall'art. 156, comma 3, del
c.p.c. (Cons. Stato: sez. IV, 23 ottobre 1991, n. 852; sez. VI, 24 febbraio 1981, n. 86).
Il ricorso in appello è fondato.
Gli appellanti, nella loro istanza di accesso, avevano chiesto di prendere visione e di estrarre
copia dei registri della seconda classe del Liceo del detto Istituto, con riguardo al periodo di
frequenza del figlio, “previo oscuramento, ove necessario, dei dati sensibili relativi ad alunni diversi
dal proprio figlio”. La pretesa all’accesso attiene, quindi, al registro di classe nella parte relativa ai
compagni di classe del figlio dei ricorrenti e non veniva soddisfatta dall’Istituto resistente sulla base
di esigenze di tutela della privacy degli altri alunni.
La sezione ritiene, innanzitutto, la sussistenza dell’interesse degli appellanti alla richiesta di
accesso di cui trattasi, in quanto essi non possono considerare e valutare il trattamento riservato al
figlio se non in comparazione con quello riservato agli altri alunni della classe.
Inoltre, la riservatezza dei terzi può essere comunque salvaguardata (ad esempio, schermando i
nomi degli alunni, come già a suo tempo richiesto dagli appellanti), senza limitare il diritto di
accesso. Invero, l’interesse alla riservatezza, tutelato dalla normativa mediante una limitazione del
diritto di accesso (art. 24, comma 2, lett. d, della l. n. 241/1990 nel testo vigente al momento della
notificazione del ricorso di primo grado - si veda ora il primo periodo del comma 7 del medesimo
art. 24 - e art. 8, comma 5, lett. d, del d.p.r. 27 giugno 1992, n. 352), recede quando l’accesso stesso
sia esercitato, come nella fattispecie in esame, per la difesa di un interesse giuridico, nei limiti in cui
esso è necessario alla difesa di quell’interesse (Cons. Stato, ad. plen., 4 febbraio 1997, n. 5). Nella
specie, l’accesso è stato chiesto ai fini della tutela dei diritti e degli interessi legittimi del minore, ivi
compresa la richiesta di risarcimento danni patiti dal medesimo a causa di eventuali comportamenti
non conformi a diritto posti in essere nei suoi confronti.
Tra l’altro, l’art. 24, comma 7, secondo periodo, della l. n. 241/1990, secondo cui “nel caso di
documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l'accesso è consentito nei limiti in cui sia
strettamente indispensabile e nei termini previsti dall'articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno
2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”, non era in vigore
al momento della notificazione del ricorso di primo grado.
Il ricorso in appello, pertanto, deve essere accolto. In riforma della sentenza impugnata, il ricorso
di primo grado va accolto e deve essere ordinato all’Istituto parificato arcivescovile “Santa
Caterina” di Pisa di consentire ai ricorrenti l’accesso al registro della seconda classe del Liceo
scientifico, relativo all’anno scolastico 2001/2002, anche nella parte relativa ai compagni di classe
del loro figlio.
Le spese del doppio grado del giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Per questi motivi
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione sesta:
a) accoglie il ricorso in appello;
b) in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e ordina all’Istituto
parificato arcivescovile “Santa Caterina” di Pisa di consentire ai ricorrenti l’accesso al registro della
seconda classe del Liceo scientifico, relativo all’anno scolastico 2001/2002, anche nella parte
relativa ai compagni di classe del loro figlio;
c) condanna la parte appellata al pagamento, in favore della parte appellante, delle spese del
doppio grado di giudizio che si liquidano in euro tremila/00;
d) ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma il 28 marzo 2006 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione
sesta, in camera di consiglio, con l’intervento dei signori:
Giorgio Giovannini presidente
Luigi Maruotti consigliere
Carmine Volpe consigliere, estensore
Giuseppe Romeo consigliere
Luciano Barra Caracciolo consigliere
Presidente
GIORGIO GIOVANNINI
Consigliere
CARMINE VOLPE
Segretario
GIOVANNI CECI
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il...15/06/2006
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
MARIA RITA OLIVA
CONSIGLIO DI STATO
In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)
Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa
al Ministero..............................................................................................
a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642
Il Direttore della Segreteria
N.R.G. 1398/2006
FF
DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 12 aprile 2006, n. 184 (in G.U. n. 114 del 18 maggio
2006) - Regolamento recante disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi.
IL
PRESIDENTE
Visto
DELLA
l'articolo
Visto
l'articolo
Vista
la
17,
87
comma
legge
REPUBBLICA
7
2,
agosto
della
della
legge
1990,
n.
23
Costituzione;
agosto
241,
e
1988,
n.
successive
400;
modificazioni;
Visto il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa di
cui
al
decreto
del
Presidente
della
Repubblica
28
dicembre
2000,
n.
445;
Vista
la
legge
Visto
il
decreto
Visto
il
decreto
11
del
febbraio
2005,
Presidente
legislativo
7
n.
della
marzo
15
e
Repubblica
2005,
n.
in
particolare
11
82,
febbraio
e
l'articolo
2005,
successive
n.
23;
68;
modificazioni;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 29 luglio 2005;
Acquisito il parere della Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281,
reso
nella
seduta
del
26
gennaio
2006;
Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla sezione consultiva per gli atti normativi nell'adunanza del
13
febbraio
2006;
Viste le deliberazioni del Consiglio dei Ministri, adottate nelle riunioni del 17 marzo e del 29 marzo 2006;
Sulla
proposta
E
del
Presidente
m
del
Consiglio
a
il
dei
n
a
seguente
regolamento:
Art.
O
Ministri;
1.
g
g
e
t
t
o
1. Il presente regolamento disciplina le modalità di esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi in
conformità a quanto stabilito nel capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni di seguito
denominata:
«legge».
2. I provvedimenti generali organizzatori occorrenti per l'esercizio del diritto di accesso sono adottati dalle
amministrazioni interessate, entro il termine di cui all'articolo 14, comma 1, decorrente dalla data di entrata in
vigore del presente regolamento, dandone comunicazione alla Commissione per l'accesso ai documenti
amministrativi
istituita
ai
sensi
dell'articolo
27
della
legge.
Art.
Ambito
2.
di
applicazione
1. Il diritto di accesso ai documenti amministrativi è esercitabile nei confronti di tutti i soggetti di diritto
pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto
nazionale o comunitario, da chiunque abbia un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una
situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è richiesto l'accesso.
2. Il diritto di accesso si esercita con riferimento ai documenti amministrativi materialmente esistenti al
momento della richiesta e detenuti alla stessa data da una pubblica amministrazione, di cui all'articolo 22,
comma 1, lettera e), della legge, nei confronti dell'autorità competente a formare l'atto conclusivo o a detenerlo
stabilmente. La pubblica amministrazione non è tenuta ad elaborare dati in suo possesso al fine di soddisfare le
richieste
di
accesso.
Art.
3.
Notifica
ai
controinteressati
1. Fermo quanto previsto dall'articolo 5, la pubblica amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se
individua soggetti controinteressati, di cui all'articolo 22, comma 1, lettera c), della legge, è tenuta a dare
comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento, o per via
telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione. I soggetti controinteressati sono
individuati tenuto anche conto del contenuto degli atti connessi, di cui all'articolo 7, comma 2.
2. Entro dieci giorni dalla ricezione della comunicazione di cui al comma 1, i controinteressati possono
presentare una motivata opposizione, anche per via telematica, alla richiesta di accesso. Decorso tale termine,
la pubblica amministrazione provvede sulla richiesta, accertata la ricezione della comunicazione di cui al comma
1.
Art.
Richiesta
4.
di
accesso
di
portatori
di
interessi
pubblici
o
diffusi
1. Le disposizioni sulle modalità del diritto di accesso di cui al presente regolamento si applicano anche ai
soggetti
portatori
di
interessi
diffusi
o
collettivi.
Art.
5.
Accesso
informale
1. Qualora in base alla natura del documento richiesto non risulti l'esistenza di controinteressati il diritto di
accesso può essere esercitato in via informale mediante richiesta, anche verbale, all'ufficio dell'amministrazione
competente
a
formare
l'atto
conclusivo
del
procedimento
o
a
detenerlo
stabilmente.
2. Il richiedente deve indicare gli estremi del documento oggetto della richiesta ovvero gli elementi che ne
consentano l'individuazione, specificare e, ove occorra, comprovare l'interesse connesso all'oggetto della
richiesta, dimostrare la propria identità e, ove occorra, i propri poteri di rappresentanza del soggetto
interessato.
3. La richiesta, esaminata immediatamente e senza formalità, è accolta mediante indicazione della
pubblicazione contenente le notizie, esibizione del documento, estrazione di copie, ovvero altra modalità
idonea.
4. La richiesta, ove provenga da una pubblica amministrazione, è presentata dal titolare dell'ufficio interessato
o dal responsabile del procedimento amministrativo ed è trattata ai sensi dell'articolo 22, comma 5, della legge.
5. La richiesta di accesso può essere presentata anche per il tramite degli Uffici relazioni con il pubblico.
6. La pubblica amministrazione, qualora in base al contenuto del documento richiesto riscontri l'esistenza di
controinteressati,
invita
l'interessato
a
presentare
richiesta
formale
di
accesso.
Art.
Procedimento
6.
di
accesso
formale
1. Qualora non sia possibile l'accoglimento immediato della richiesta in via informale, ovvero sorgano dubbi
sulla legittimazione del richiedente, sulla sua identità, sui suoi poteri rappresentativi, sulla sussistenza
dell'interesse alla stregua delle informazioni e delle documentazioni fornite, sull'accessibilità del documento o
sull'esistenza di controinteressati, l'amministrazione invita l'interessato a presentare richiesta d'accesso
formale,
di
cui
l'ufficio
rilascia
ricevuta.
2. La richiesta formale presentata ad amministrazione diversa da quella nei cui confronti va esercitato il diritto
di accesso è dalla stessa immediatamente trasmessa a quella competente. Di tale trasmissione è data
comunicazione
all'interessato.
3. Al procedimento di accesso formale si applicano le disposizioni contenute nei commi 2, 4 e 5 dell'articolo 5.
4. Il procedimento di accesso deve concludersi nel termine di trenta giorni, ai sensi dell'articolo 25, comma 4,
della legge, decorrenti dalla presentazione della richiesta all'ufficio competente o dalla ricezione della medesima
nell'ipotesi
disciplinata
dal
comma
2.
5. Ove la richiesta sia irregolare o incompleta, l'amministrazione, entro dieci giorni, ne dà comunicazione al
richiedente con raccomandata con avviso di ricevimento ovvero con altro mezzo idoneo a comprovarne la
ricezione. In tale caso, il termine del procedimento ricomincia a decorrere dalla presentazione della richiesta
corretta.
6. Responsabile del procedimento di accesso è il dirigente, il funzionario preposto all'unità organizzativa o altro
dipendente addetto all'unità competente a formare il documento o a detenerlo stabilmente.
Art.
Accoglimento
7.
della
richiesta
e
modalità
di
accesso
1. L'atto di accoglimento della richiesta di accesso contiene l'indicazione dell'ufficio, completa della sede, presso
cui rivolgersi, nonchè di un congruo periodo di tempo, comunque non inferiore a quindici giorni, per prendere
visione
dei
documenti
o
per
ottenerne
copia.
2. L'accoglimento della richiesta di accesso a un documento comporta anche la facoltà di accesso agli altri
documenti nello stesso richiamati e appartenenti al medesimo procedimento, fatte salve le eccezioni di legge o
di
regolamento.
3. L'esame dei documenti avviene presso l'ufficio indicato nell'atto di accoglimento della richiesta, nelle ore di
ufficio,
alla
presenza,
ove
necessaria,
di
personale
addetto.
4. I documenti sui quali è consentito l'accesso non possono essere asportati dal luogo presso cui sono dati in
visione,
o
comunque
alterati
in
qualsiasi
modo.
5. L'esame dei documenti è effettuato dal richiedente o da persona da lui incaricata, con l'eventuale
accompagnamento di altra persona di cui vanno specificate le generalità, che devono essere poi registrate in
calce alla richiesta. L'interessato può prendere appunti e trascrivere in tutto o in parte i documenti presi in
visione.
6. In ogni caso, la copia dei documenti è rilasciata subordinatamente al pagamento degli importi dovuti ai sensi
dell'articolo 25 della legge secondo le modalità determinate dalle singole amministrazioni. Su richiesta
dell'interessato,
le
copie
possono
essere
autenticate.
Art.
Contenuto
8.
minimo
degli
atti
delle
singole
amministrazioni
1. I provvedimenti generali organizzatori di cui all'articolo 1, comma 2, riguardano in particolare:
a) le modalità di compilazione delle richieste di accesso, preferibilmente mediante la predisposizione di apposita
modulistica;
b) le categorie di documenti di interesse generale da pubblicare in luoghi accessibili a tutti e i servizi volti ad
assicurare adeguate e semplificate tecniche di ricerca dei documenti, anche con la predisposizione di indici e la
indicazione
dei
luoghi
di
consultazione;
c) l'ammontare dei diritti e delle spese da corrispondere per il rilascio di copie dei documenti di cui sia stata
fatta
richiesta,
fatte
salve
le
competenze
del
Ministero
dell'economia
e
delle
finanze;
d) l'accesso alle informazioni contenute in strumenti informatici, adottando le misure atte a salvaguardare la
distruzione, la perdita accidentale, nonchè la divulgazione non autorizzata. In tali casi, le copie dei dati
informatizzati possono essere rilasciate sugli appositi supporti, ove forniti dal richiedente, ovvero mediante
collegamento
in
rete,
ove
esistente.
Art.
Non
9.
accoglimento
della
richiesta
1. Il rifiuto, la limitazione o il differimento dell'accesso richiesto in via formale sono motivati, a cura del
responsabile del procedimento di accesso, con riferimento specifico alla normativa vigente, alla individuazione
delle categorie di cui all'articolo 24 della legge, ed alle circostanze di fatto per cui la richiesta non può essere
accolta
così
come
proposta.
2. Il differimento dell'accesso è disposto ove sia sufficiente per assicurare una temporanea tutela agli interessi
di cui all'articolo 24, comma 6, della legge, o per salvaguardare specifiche esigenze dell'amministrazione, specie
nella fase preparatoria dei provvedimenti, in relazione a documenti la cui conoscenza possa compromettere il
buon
andamento
dell'azione
amministrativa.
3.
L'atto
che
dispone
il
differimento
dell'accesso
ne
indica
Art.
la
durata.
10.
Disciplina
dei
casi
di
esclusione
1. I casi di esclusione dell'accesso sono stabiliti con il regolamento di cui al comma 6 dell'articolo 24 della legge,
nonchè con gli atti adottati dalle singole amministrazioni ai sensi del comma 2 del medesimo articolo 24.
2. Il potere di differimento di cui all'articolo 24, comma 4, della legge è esercitato secondo le modalità di cui
all'articolo
9,
comma
2.
Art.
11.
Commissione
per
l'accesso
1. Nell'esercizio della vigilanza sull'attuazione del principio di piena conoscibilità dell'azione amministrativa, la
Commissione
per
l'accesso,
di
cui
all'articolo
27
della
legge:
a) esprime pareri per finalità di coordinamento dell'attività organizzativa delle amministrazioni in materia di
accesso e per garantire l'uniforme applicazione dei principi, sugli atti che le singole amministrazioni adottano ai
sensi dell'articolo 24, comma 2, della legge, nonchè, ove ne sia richiesta, su quelli attinenti all'esercizio e
all'organizzazione
del
diritto
di
accesso;
b)
decide
i
ricorsi
di
cui
all'articolo
12.
2. Il Governo può acquisire il parere della Commissione per l'accesso ai fini dell'emanazione del regolamento di
cui all'articolo 24, comma 6, della legge, delle sue modificazioni e della predisposizione di normative comunque
attinenti
al
diritto
di
accesso.
3. Presso la Commissione per l'accesso opera l'archivio degli atti concernenti la disciplina del diritto di accesso
previsti dall'articolo 24, comma 2, della legge. A tale fine, i soggetti di cui all'articolo 23 della legge trasmettono
per via telematica alla Commissione per l'accesso i suddetti atti e ogni loro successiva modificazione.
Art.
12.
Tutela
amministrativa
dinanzi
la
Commissione
per
l'accesso
1. Il ricorso alla Commissione per l'accesso da parte dell'interessato avverso il diniego espresso o tacito
dell'accesso ovvero avverso il provvedimento di differimento dell'accesso, ed il ricorso del controinteressato
avverso le determinazioni che consentono l'accesso, sono trasmessi mediante raccomandata con avviso di
ricevimento indirizzata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri -- Commissione per l'accesso ai documenti
amministrativi. Il ricorso può essere trasmesso anche a mezzo fax o per via telematica, nel rispetto della
normativa,
anche
regolamentare,
vigente.
2. Il ricorso, notificato agli eventuali controinteressati con le modalità di cui all'articolo 3, è presentato nel
termine di trenta giorni dalla piena conoscenza del provvedimento impugnato o dalla formazione del silenzio
rigetto sulla richiesta d'accesso. Nel termine di quindici giorni dall'avvenuta comunicazione i controinteressati
possono
presentare
alla
Commissione
le
loro
controdeduzioni.
3.
Il
a)
b)
c)
ricorso
le
la
generalità
sommaria
la
esposizione
sommaria
contiene:
del
ricorrente;
dell'interesse
esposizione
al
dei
ricorso;
fatti;
d) l'indicazione dell'indirizzo al quale dovranno pervenire, anche a mezzo fax o per via telematica, le decisioni
della
Commissione.
4.
a)
Al
il
ricorso
provvedimento
impugnato,
salvo
il
sono
caso
di
allegati:
impugnazione
di
silenzio
rigetto;
b) le ricevute dell'avvenuta spedizione, con raccomandata con avviso di ricevimento, di copia del ricorso ai
controinteressati, ove individuati già
in sede
di presentazione della richiesta di accesso.
5. Ove la Commissione ravvisi l'esistenza di controinteressati, non già individuati nel corso del procedimento,
notifica
ad
essi
il
ricorso.
6. Le sedute della Commissione sono valide con la presenza di almeno sette componenti. Le deliberazioni sono
adottate a maggioranza dei presenti. La Commissione si pronuncia entro trenta giorni dalla presentazione del
ricorso o dal decorso del termine di cui al comma 2. Scaduto tale termine, il ricorso si intende respinto. Nel caso
in cui venga richiesto il parere del Garante per la protezione dei dati personali il termine è prorogato di venti
giorni.
Decorsi
inutilmente
tali
termini,
il
ricorso
si
intende
respinto.
7.
Le
sedute
a)
della
dichiara
Commissione
irricevibile
non
il
sono
pubbliche.
ricorso
proposto
La
Commissione:
tardivamente;
b) dichiara inammissibile il ricorso proposto da soggetto non legittimato o comunque privo dell'interesse
previsto
dall'articolo
22,
comma
1,
lettera
b),
della
legge;
c) dichiara inammissibile il ricorso privo dei requisiti di cui al comma 3 o degli eventuali allegati indicati al
comma
4;
d)
esamina
e
decide
il
ricorso
in
ogni
altro
caso.
8. La decisione di irricevibilità o di inammissibilità del ricorso non preclude la facoltà di riproporre la richiesta
d'accesso e quella di proporre il ricorso alla Commissione avverso le nuove determinazioni o il nuovo
comportamento
del
soggetto
che
detiene
il
documento.
9. La decisione della Commissione è comunicata alle parti e al soggetto che ha adottato il provvedimento
impugnato entro lo stesso termine di cui al comma 6. Nel termine di trenta giorni, il soggetto che ha adottato il
provvedimento impugnato può emanare l'eventuale provvedimento confermativo motivato previsto dall'articolo
25,
comma
4,
della
legge.
10. La disciplina di cui al presente articolo si applica, in quanto compatibile, al ricorso al difensore civico
previsto
dall'articolo
25,
comma
4,
della
legge.
Art.
Accesso
13.
per
via
telematica
1. Le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 22, comma 1, lettera e), della legge, assicurano che il diritto
d'accesso possa essere esercitato anche in via telematica. Le modalità di invio delle domande e le relative
sottoscrizioni sono disciplinate dall'articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n.
445, e successive modificazioni, dagli articoli 4 e 5 del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio
2005, n. 68, e dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni.
Art.
Disposizioni
14.
transitorie
e
finali
1. Salvo quanto disposto per le regioni e gli enti locali dal comma 2, le disposizioni del presente regolamento si
applicano ai soggetti indicati nell'articolo 23 della legge. Gli atti adottati da tali soggetti vigenti alla data di
entrata in vigore del presente regolamento sono adeguati alle relative disposizioni entro un anno da tale data. Il
diritto di accesso non può essere negato o differito, se non nei casi previsti dalla legge, nonchè in via transitoria
in quelli di cui all'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica 27 giugno 1992, n. 352, e agli altri atti
emanati
in
base
ad
esso.
2. Alle regioni e agli enti locali non si applicano l'articolo 1, comma 2, l'articolo 7, commi 3, 4, 5 e 6, e l'articolo
8, in quanto non attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti il diritto all'accesso che devono essere
garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione
e secondo quanto previsto dall'articolo 22, comma 2, della legge. Le regioni e gli enti locali adeguano alle
restanti disposizioni del presente regolamento i rispettivi regolamenti in materia di accesso vigenti alla data
della sua entrata in vigore, ferma restando la potestà di adottare, nell'ambito delle rispettive competenze, le
specifiche disposizioni e misure organizzative necessarie per garantire nei rispettivi territori i livelli essenziali
delle
prestazioni
e
per
assicurare
ulteriori
livelli
di
tutela.
3. I regolamenti che disciplinano l'esercizio del diritto d'accesso sono pubblicati su siti pubblici accessibili per via
telematica.
Art.
15.
Abrogazioni
1. Dalla data di entrata in vigore del presente regolamento sono abrogati gli articoli da 1 a 7 e 9 e seguenti del
decreto del Presidente della Repubblica 27 giugno 1992, n. 352. È altresì abrogato l'articolo 8 di detto decreto
dalla data entrata in vigore del regolamento di cui all'articolo 24, comma 6, della legge.
2. Dall'attuazione del presente regolamento non derivano nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della
Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
Dato
a
Roma,
addì
12
aprile
2006.
CIAMPI
Berlusconi,
Presidente
Visto,
del
il
Consiglio
dei
Guardasigilli:
Ministri
Castelli
Registrato alla Corte dei conti il 9 maggio 2006 Ministeri istituzionali, registro n. 5, foglio n. 147
ANTONIO FERRUCCI
Diritto
di
accesso
osservazioni sulle modifiche alla l. 241/90
e
riservatezza:
Sommario: 1. Accesso e privacy; 2. Il diritto di accesso; 3. Il diritto alla riservatezza; 4. Limiti dei diritti
di accesso e riservatezza; 5. Bilanciamento tra diritto di accesso e diritto alla riservatezza; 6. La p. a.
nel bilanciamento tra accesso e privacy.
1. Accesso e privacy
Mai sopita e sempre attuale si rivela la querelle relativa al corretto inquadramento, all’interno
dell’ordinamento giuridico, del diritto di accesso ai documenti amministrativi[1] ed in particolare del suo
equilibrato bilanciamento con opposti interessi sottesi a situazioni con lo stesso confliggenti, in specie il
diritto
alla
riservatezza.
La nuova legge approvata in via definitiva dal Parlamento il 26 gennaio 2005 di modifica ed integrazione
alla legge 241/90; la relazione presentata al Parlamento lo scorso 9 febbraio da parte del Garante per la
protezione dei dati personali e relativa all’attività svolta dall’Autority nel corso del 2004; la sentenza
della Corte Costituzionale n. 32 del 12 gennaio 2005; nonché varie sentenze dei giudici amministrativi[2]
hanno riproposto la questione, offrendo diversi ed interessanti spunti di riflessione che potrebbero aprire
nuovi orizzonti al fine di consentire interpretazioni costituzionalmente orientate.Com’è noto, il
legislatore, sia a livello nazionale che comunitario, ha inciso, negli ultimi tempi, in maniera rilevante sul
modus operandi della p. a., attraverso un insieme di norme che la rendono più consona ai canoni propri
di un pubblico potere all’interno di uno Stato democratico. Tali interventi, ed in particolar modo la legge
7 agosto 1990 n. 241[3] mira ad informare l’operato della p. a., oltre che ai principi costituzionali di
legalità, imparzialità e buona amministrazione, anche al nuovo principio di trasparenza; principio che,
reso realtà vivente ed operativa all’interno dell’ordinamento, avrebbe dovuto dare una nuova
configurazione al rapporto con i cittadini[4]. Questi ultimi attraverso la possibilità concessa dalla legge di
controllare la conformità dell’attività amministrativa all’ordinamento ed all’interesse pubblico, possono
divenire compartecipi dell’azione amministrativa[5].Ciò ha comportato una profonda rivoluzione, sia sul
piano soggettivo dei rapporti fra cittadini ed amministrazione che su quello oggettivo dei modelli
organizzativi dell’attività della stessa amministrazione; infatti, si è delineato un totale mutamento di
prospettiva ed un capovolgimento radicale nell’ambito del rapporto tra segretezza e pubblicità
dell’azione amministrativa: la pubblicità viene posta come regola, mentre la segretezza è divenuta
l’eccezione. Il cittadino, presente in modo attivo e partecipe nel procedimento, può così promuovere ed
assicurare l’imparzialità ed il buon andamento, nonché l’efficacia e l’efficienza dell’azione
amministrativa[6]. Tale capillare controllo dal basso dell’attività amministrativa, in linea con una
concezione democratica dei rapporti tra cittadino e p. a., garantisce correttezza ed imparzialità[7].La
previsione del diritto di acceso agli atti amministrativi si confronta, però, con l’esistenza e la rilevanza di
situazioni soggettive individuali e collettive altrettanto degne di tutela, quale la riservatezza dei soggetti
coinvolti nelle vicende che, di volta in volta, possono divenire oggetto di conoscenza o divulgazione. Il
legislatore, pertanto, è nuovamente intervenuto in materia, apportando modifiche ed integrazioni alla
legge 241/90 e cercando, per ciò che in questa sede più immediatamente rileva, di rivedere la disciplina
del diritto di accesso, rendendola più compatibile con il diritto alla riservatezza.
a. Le modifiche alla l. 241/90 in tema di accesso.
La legge dello scorso 26 gennaio modifica, tra l’altro, la disciplina del diritto di accesso così come
formulata dalla legge 241/90, attraverso la sostituzione integrale, in particolare, delle precedenti
disposizioni contenute negli artt. 22 e 23.L’art. 15, co. 1, della nuova normativa introduce, innanzitutto,
una serie di definizioni. Vengono così stabiliti i concetti di “diritto di accesso”, soggetti “interessati” e
“controinteressati”, di “documento amministrativo”, di “pubblica amministrazione”[8]. Il legislatore, in
tal modo, pone dei limiti volti a chiarire una serie di concetti troppo spesso lasciati alla libera
interpretazione degli operatori.Successivamente, al co. 2[9], viene ribadita la rilevanza del diritto di
accesso, quale principio generale dell’attività amministrativa imparziale e trasparente, preordinato al
perseguimento di finalità di interesse pubblico e, soprattutto, attinente “ai livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale
ai sensi dell’art. 117, II comma lettera m), della Costituzione”. Viene, dunque, chiaramente affermata,
attraverso il collegamento con l’art. 117 Cost., la rilevanza costituzionale del diritto di accesso in sé
considerato e non in ragione dell’interesse ad esso, volta per volta, sotteso e bisognoso di tutela.
L’inquadramento del diritto di accesso tra le situazioni giuridiche autonome o piuttosto all’interno di
quelle strumentale-procedimentali aveva determinato, del resto, sotto la vigenza del vecchio testo
normativo, un acceso dibattito, risolto a favore della tesi che inquadra tale diritto tra le posizioni
strumentali e procedimentali, come tali sottese alla tutela di una situazione giuridica sottostante,
legittimante l’esercizio del diritto di accesso.Tale diritto sicuramente risulta svincolato dal diritto di
agire in giudizio e dal correlativo diritto alla prova, dal momento che esso non presuppone
l’accertamento sulla fondatezza o sull’ammissibilità dell’eventuale domanda che l’interessato potrebbe
proporre. La giurisprudenza aveva già precisato che il diritto di accesso non assume un carattere
meramente strumentale alla difesa in giudizio della situazione sottostante e che lo stesso ha una valenza
autonoma, non dipendente dalla sorte del processo principale e dalla stessa possibilità di instaurazione
del medesimo[10].L’azione a tutela dell’accesso garantisce, dunque, all’amministrato la trasparenza
della p. a., indipendentemente dalla lesione, in concreto, di una determinata posizione di diritto o di
interesse legittimo, mentre l’interesse alla conoscenza dei documenti amministrativi viene elevato a
bene della vita autonomo, meritevole di tutela, a prescindere dalle posizioni sulle quali potrebbe
eventualmente incidere l’attività amministrativa.L’autonomia e l’indipendenza del diritto di accesso agli
atti rispetto al diritto di agire in giudizio, non comporta però che il titolare di questo specifico interesse
acquisti un nuovo ed autonomo potere; infatti, se è vero che il diritto di accesso viene espressamente
posto dalla nuova legge quale “principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la
partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza, ed attiene ai livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale
ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, rimane pur sempre un diritto
per sua natura comunque strumentale, in quanto inevitabilmente funzionale al soddisfacimento di un
interesse ad esso sotteso.Pertanto, il diritto di accesso è attribuito all’interessato esclusivamente per
tutelare situazioni di vantaggio riconosciute dall’ordinamento, e non può configurarsi come una nuova
situazione giuridica sostanziale. La stessa legge del 2005, nell’individuare i legittimati attivi al diritto di
accesso, li identifica in “tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi,
che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente
tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso”. Questo richiamo sembra inteso a
restringere l’ambito soggettivo dei titolari dell’accesso, richiedendo un interesse diretto, concreto ed
attuale.Il legislatore del 2005, nel successivo co. 4 della normativa in parola[11], definendo poi l’ambito
di operatività del diritto di accesso con particolare riferimento alle informazioni passibili di ostensione da
parte della p. a., recepisce e fa proprio il principio del “diritto all’autodeterminazione informativa”,
facendo salve le disposizioni del codice della privacy in materia di accesso a dati personali, da parte
della persona cui gli stessi si riferiscono.Tra l’altro, il principio suddetto si rivela oggi di grande attualità
e pregnanza ed ha costituito specifico oggetto nell’ultima relazione al Parlamento da parte del Garante
della privacy, sull’attività svolta nel 2004 dall’Autorità garante per la protezione dei dati personali,
laddove è stato affermato che "il diritto di uscita è il mezzo che permette di riprendere pienamente il
controllo della sfera privata, esercitando un potere di controllo sul flusso dei nostri dati,
interrompendolo quando necessario e riattivandolo quando ci sembra opportuno".La relazione ha
evidenziato, poi, che “la privacy si presenta come un elemento fondamentale della società
dell’eguaglianza. Senza una forte tutela dei dati riguardanti i loro rapporti con le istituzioni,… i cittadini
rischiano d’essere esclusi dai processi democratici. Così la privacy diventa una condizione essenziale per
essere inclusi nella società della partecipazione… la stessa libertà personale è in pericolo. Senza una
resistenza continua alle microviolazioni, ai controlli continui, capillari, oppressivi o invisibili che
invadono la stessa vita quotidiana ci troviamo nudi e deboli di fronte a poteri pubblici e privati: la
privacy si specifica così come una componente ineliminabile della società della dignità”.Il Garante ha
sottolineato, altresì, come la tutela della privacy non possa più essere intesa oggi nella sua accezione più
ristretta di auto esclusione dalla società, ma si configuri come un valore in sé e come condizione per lo
sviluppo della libertà della persona, per il pieno godimento dei diritti fondamentali, per la tutela della
dignità dell’individuo. Quindi, anche il diritto alla riservatezza assurge a diritto fondamentale autonomo,
come tale bisognoso di una tutela effettiva e non solo formale, in virtù della sua stretta correlazione con
i valori più profondi dell’uomo, di diretta rilevanza costituzionale.Emerge, dunque, con chiarezza come
anche alla luce della nuova normativa, comunque, rimane inalterato il ruolo delicatissimo svolto dai
poteri pubblici, custodi ed utilizzatori di una mole enorme di dati personali che potrebbero costituire
oggetto di richiesta di accesso, nell’annoso problema di bilanciare tale diritto, elevato espressamente a
rango costituzionale, con il bisogno di proteggere i singoli ed i gruppi da indebite intrusioni nella loro
sfera personale.Il successivo art. 16 della legge modificatrice della legge 241/90 ridetermina, poi, i casi
di esclusione dal diritto di accesso inserendo non poche novità rispetto alla precedente formulazione del
testo, soprattutto al fine di conciliare tale norma con la disciplina dettata dal codice della privacy.Il
primo comma della norma de qua, infatti, esclude il diritto di accesso nei casi espressi di segreto, nei
procedimenti tributari, nell’attività normativa della p. a., nei procedimenti selettivi, relativamente agli
atti di tali procedure contenenti informazioni di carattere psico-attitudinale relativi a terzi[12].
Successivamente, al comma 2, si conferma la competenza specifica delle singole amministrazioni
nell’individuazione dei documenti rientranti nelle suddette categorie. Il seguente comma 3 esplicita il
principio, in precedenza estrapolato per via interpretativa, secondo cui “sono inammissibili istanze di
accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni”. Nel co.
6 della normativa in parola[13], sono contenute, poi, interessanti novità in ordine al potere concesso al
Governo di prevedere, con regolamento, ulteriori casi di esclusione dall’accesso ai documenti
amministrativi, qualora dall’esercizio di tale diritto possa derivare una lesione “specifica ed individuata”
alla personalità dello Stato ed ai rapporti dello stesso con la Comunità internazionale.Viene ribadita
altresì l’esclusione, già sancita dalla vecchia normativa, con riferimento agli interessi di natura
monetaria e valutaria. In proposito, va ricordata la sentenza n. 32 del 12 gennaio 2005 della Corte
Costituzionale che ha dichiarato la legittimità costituzionale dell’art. 4, co. 10, del decreto legislativo 24
febbraio 1998 n. 58 (T.U. delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria), sollevata con
riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 97 della Costituzione, nella parte in cui assoggetta al segreto d’ufficio
l’intera documentazione in possesso della Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), in
ragione dell’attività di vigilanza. Nessuna violazione è stata ritenuta sussistente dal Giudice delle leggi.
Non la violazione dell’art. 3 Cost., in quanto proprio un’eventuale ammissione dell’interessato
all’accesso ai documenti secretati, porrebbe lo stesso in una situazione di vantaggio rispetto agli altri
contraddittori nel giudizio civile di danno, con la paradossale conseguenza di introdurre, in un rapporto
processuale conformato al principio di parità, un trattamento irragionevolmente differenziato tra le
parti. Non la violazione dell’art. 24 Cost., atteso che la questione non riguarda l’acquisizione di atti
probatori disposta in favore di tutte le parti, ma il diverso interesse dell’istante ad ottenere la
disponibilità di tutta la documentazione raccolta dalla Consob nell’esercizio della sua attività, onde farne
uso successivamente in un giudizio civile, nel quale peraltro lo stesso potrebbe, in base a scelte difensive
di mera opportunità, produrre solo alcuni degli atti acquisiti e non altri. Non la violazione dell’art. 97
Cost., in quanto la norma censurata si rivela proprio ispirata ai canoni di buon andamento ed imparzialità
dell’amministrazione, laddove, contemplando la possibilità per l’interessato di accedere alla conoscenza
del provvedimento finale adottato dall’autorità di vigilanza, consente un adeguato contemperamento tra
l’interesse del destinatario del provvedimento e le garanzie alle quali deve essere informata l’attività di
vigilanza stessa.Il Giudice delle leggi ha operato una ricostruzione del diritto di accesso ai documenti
amministrativi che può essere intesa, dunque, anche nel senso di una relativizzazione dello stesso,
laddove, riconoscendo incidentalmente la presenza di altri interessi ritenuti altrettanto degni di tutela e,
pertanto, tali da imporre un bilanciamento ed una sintesi tra le varie situazioni emergenti, ha cercato di
comporre ad unità il sistema.Il diritto di accesso, secondo quanto previsto dalla legge del 2005 in parola,
può essere inoltre limitato dal potere esecutivo nel caso in cui venga in rilievo l’esigenza di garantire la
tutela dell’ordine pubblico nelle sue più varie estrinsecazioni; quando lo stesso si ponga in contrasto con
il diritto alla riservatezza di persone fisiche, di persone giuridiche o di gruppi, portatori e titolari di
interessi qualificati; infine, qualora i documenti richiesti ineriscano alla contrattazione collettiva, senza
introdurre, sul punto, grosse novità rispetto alla precedente formulazione.Molto più interessante si
mostra, invece, il comma 7 dell’art. 16 in commento, il quale rappresenta di certo una delle novità più
rilevanti della nuova normativa[14]. Infatti, mentre prima la disposizione che garantiva, comunque,
l’accesso ai documenti amministrativi per la difesa di interessi giuridici era limitata ai soli casi di
contrasto tra diritto di accesso e riservatezza, ora il legislatore ha posto una norma di chiusura del
sistema, fissando il principio secondo cui l’esigenza de qua acquista rilievo in tutti i casi possibili di
esclusione del diritto di accesso. Tuttavia, immediata è poi la previsione che, richiamando le disposizioni
del codice sulla privacy, fa salvi i cd. dati supersensibili, ribadendo che l’ostensione degli stessi è
limitata ai casi di “stretta indispensabilità” e, comunque, da effettuarsi con le cautele già previste dal
legislatore del 2003.Al fine di una corretta valutazione delle novità introdotte dalla normativa in
commento, è opportuno ripercorrere per sommi capi le tappe dottrinarie e giurisprudenziali che hanno
portato alla definizione degli istituti del diritto di accesso e del diritto alla riservatezza, attraverso
l’interpretazione
della
precedente
disciplina.
2.
Il
diritto
di
accesso.
Il diritto di accesso ai documenti amministrativi viene espressamente introdotto dalla legge n. 241 del
1990 al fine “di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa e di favorirne lo svolgimento
imparziale”[15]. L’accesso agli atti, ove esercitato, consente la conoscenza del concreto svolgimento
della funzione pubblica e la p. a., in caso di rigetto dell’istanza, deve fornire una valida giustificazione
motivando il diniego con la necessità di proteggere, mediante il segreto, uno o più interessi
legislativamente previsti.[16]Il segreto, quindi, perde la valenza di principio generale informatore
dell’operato della p. a. e diviene un’eccezione alla regola della trasparenza: è possibile invocare la
necessità del segreto solo nei casi in cui vi sia l’esigenza obiettiva e reale di tutelare particolari e
delicati interessi pubblici; esigenza che, tra l’altro, deve essere normativamente prevista e ritenuta
prevalente sul diritto di accesso[17].Da tale impostazione la giurisprudenza ha fatto discendere i seguenti
corollari: a) il “segreto” che impedisce l’accesso ai documenti non deve costituire la mera riaffermazione
del tramontato principio di assoluta riservatezza dell’azione amministrativa; b) il segreto fatto salvo
dalla legge n. 241/90 deve riferirsi esclusivamente ad ipotesi in cui esso mira a salvaguardare interessi di
natura e consistenza diversa da quelli genericamente amministrativi[18].Dunque, la trasparenza
rappresenta la regola generale dell’azione amministrativa, e l’accesso ai documenti consente di rendere
conoscibile la stessa da parte di chiunque vi abbia interesse.Di qui la duplice valenza del diritto di
accesso: posizione soggettiva che da un lato garantisce al privato la tutela di situazioni giuridicamente
rilevanti nei confronti della p. a., e che dall’altro è, allo stesso tempo, funzionale ad assicurare la
concretizzazione dei principi generali di imparzialità e trasparenza amministrativa[19].Il diritto di
accesso trova, oggi, riconoscimento nell’ordinamento, anche se con qualche limitazione maggiore del
passato. L’art. 22 della legge 241/90 nel suo nuovo testo, infatti, da una parte attribuisce agli
interessati, e cioè a tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che
abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente
tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso, “il diritto… di prendere visione e di
estrarre copia di documenti amministrativi”; dall’altra prevede un’ampia formulazione di documento
amministrativo nonché di pubblica amministrazione[20].La richiesta in parola deve, inoltre, consentire di
individuare l’estensione dell’accesso, poiché richieste generiche, da una parte, sottoporrebbero
l’amministrazione ad una ricerca defatigante, incompatibile con la funzionalità dell’apparato pubblico,
dall’altra, si rivelerebbero in palese contrasto con i principi di economicità ed efficienza
dell’amministrazione[21].Di conseguenza, i documenti ai quali si intende accedere devono essere
specificamente individuati nella richiesta, anche se, nei casi in cui il richiedente non sia nella condizione
di conoscere l’esistenza di specifici atti effettivamente adottati, la giurisprudenza ha ammesso la
possibilità che l’istanza di accesso non rechi l’indicazione puntuale dei singoli atti richiesti. In tali
ipotesi, dunque, sarebbe possibile per il titolare del diritto di accesso formulare una richiesta generica,
in quanto lo stesso si trova nella impossibilità di rendere più circoscritta la formulazione dell’istanza.In
ogni caso, però, l’istanza deve recare un certo grado di specificità e deve, comunque, essere circoscritta
e delimitata nei contenuti, poiché un accesso eccessivamente esteso o riconosciuto ad un numero troppo
ampio di soggetti si porrebbe in contrasto con i principi di economicità, tempestività ed efficaciaefficienza dell’azione amministrativa, creando situazioni incompatibili con una corretta gestione dei
procedimenti amministrativi.Diversamente argomentando ed ammettendo la possibilità che la rilevanza
dell’atto in ordine alla tutela dell’interesse potrebbe emergere solo in seguito alla intervenuta
conoscenza dei documenti, si snaturerebbe la funzione dell’accesso ai documenti, che da strumento per
la tutela di situazioni di per sé giuridicamente rilevanti, si trasformerebbe in un mezzo per individuare, a
posteriori, l’interesse alla conoscenza dei documenti stessi[22].Ad ulteriore specificazione della
necessaria determinatezza da parte della istanza di accesso, si pone ora, altresì, in nuovo comma 3
dell’art. 24 laddove statuisce che “non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo
generalizzato
dell'operato
delle
pubbliche
amministrazioni”.
3.
Il
diritto
alla
riservatezza.
Il diritto alla riservatezza è stato oggetto, con il decreto legislativo n. 196 del 30 giugno 2003 -c.d. codice
della privacy-, di uno specifico intervento normativo[23], in quanto, negli ultimi tempi, il bisogno di
riservatezza ha teso ad ampliarsi notevolmente e ad assumere contenuti del tutto nuovi e
diversi[24].Infatti, l’enorme e costante aumento quantitativo delle informazioni, specie di carattere
personale, elaborate e messe in circolazione da soggetti sia pubblici che privati attraverso strumenti
informatici e telematici sempre più sofisticati, ha determinato una invasione molto più penetrante nella
sfera dell’individuo ed una evoluzione radicale circa le tecniche di trattamento delle
informazioni[25].Tale complessa situazione non poteva non determinare, come risposta immediata,
l’esigenza, sempre più avvertita, di una maggiore tutela della sfera privata. Tale tutela si concretizza,
innanzitutto, nel diritto del singolo di pretendere che le informazioni relative alla sua persona non siano
fatte circolare o, comunque, nel diritto di conservare il controllo sull’uso di tali informazioni al fine di
intervenire, eventualmente, per integrarle, modificarle (attenuandone o riducendone l’estensione) o,
addirittura, per ottenerne la distruzione[26].La tutela della riservatezza realizzata in tal modo diventa
dunque uno strumento che, da una parte, garantisce all’individuo la libera costruzione della propria sfera
privata e, dall’altra, consente allo stesso di esercitare un controllo sociale diffuso e continuo sugli
organismi pubblici e privati che detengono le informazioni, per assicurare la trasparenza della loro
attività ed impedire la creazione di poteri incontrollati.Inevitabile, dunque, lo scontro tra l’interesse
pubblico alla trasparenza dell’attività amministrativa ed i diritti della personalità, soprattutto quando
entra
in
gioco
la
sfera
più
intima
della
privacy.
Il codice della privacy si apre con una serie di disposizioni e principi generali[27].
Dopo l’enunciazione di tali finalità e modalità di condotta poste per gli operatori del settore, il codice
elenca al successivo art. 4 una serie di “definizioni” aventi la funzione di chiarire i vari concetti utilizzati
poi nel corpo della normativa[28].Passando, poi, alla disciplina sostanziale del trattamento dei dati
personali, il codice suddivide questi ultimi in varie categorie: dati comuni, sensibili, giudiziari e super
sensibili (dati sulla salute o vita sessuale).Per ciò che concerne il trattamento dei dati personali non
sensibili, è fissato anzitutto il principio che esso è consentito, da parte dei soggetti pubblici,
esclusivamente per lo svolgimento delle funzioni istituzionali. Non è necessaria, inoltre, una norma di
legge o di regolamento che espressamente preveda il trattamento e non è richiesto il consenso
dell’interessato. La comunicazione dei dati da parte di un soggetto pubblico ad altri soggetti pubblici,
ove non sia espressamente disciplinata da norme di legge o regolamentari, è condizionata solo alla previa
comunicazione al Garante. Decorso il termine di 45 giorni, la procedura può liberamente seguire il
proprio corso (opera nella fattispecie una sorta di silenzio assenso).Diversa sorte è riservata invece al
trattamento dei dati personali sensibili da parte dei soggetti pubblici, essendo lo stesso consentito solo se
autorizzato dall’interessato, nonché previsto da una espressa disposizione di legge “nella quale sono
specificati i tipi di dati che possono essere trattati e di operazioni eseguibili e le finalità di rilevante
interesse perseguite” (art. 20, co. 1)[29].In assenza di una previsione legislativa espressa, i soggetti
pubblici devono chiedere l’autorizzazione al trattamento al Garante, autorizzazione, questa volta,
assoggettata ad un regime di silenzio-rigetto, decorsi 45 giorni dalla richiesta.Tale diversità di disciplina
è giustificata dal fatto che essa è relativa a categorie di informazioni attinenti alla sfera intima
dell’individuo e come tali capaci di incidere direttamente sullo sviluppo e sul libero esplicarsi della sua
personalità. D’altronde, sul trattamento, comunicazione o diffusione di tali dati è ragionevolmente
possibile che si instaurino pericolosi fenomeni di discriminazione.Come emerge in tutta chiarezza, in
relazione ai dati in parola si pone un collegamento diretto con principi fondamentali costituzionalmente
garantiti, quali il libero esplicarsi della personalità dell’individuo (art. 2) ed il principio di uguaglianza
(art. 3, co. 1). Pertanto, la tutela dei dati sensibili assurge a strumento in grado di garantire la piena e
libera esplicazione della personalità dell’individuo, nonché di rendere effettiva l’uguaglianza,
rimuovendo sul piano sostanziale gli ostacoli che possono di fatto impedire il pieno sviluppo della persona
umana (art. 3, co.2).All’interno della categoria dei dati sensibili, il legislatore individua, poi, due tipi di
dati (cosiddetti super sensibili), attinenti alla salute o alla vita sessuale, per i quali detta una disciplina
ancora più restrittiva[30]. In relazione ai dati sensibili idonei a rivelare lo stato di salute o la vita
sessuale, infatti, il trattamento è subordinato al consenso scritto dell’interessato ed alla preventiva
autorizzazione del Garante.La diversità di disciplina dei dati supersensibili rispetto alle altre categorie di
dati, sia sensibili che non, diventa più netta e marcata proprio nel bilanciamento tra diritto di accesso e
diritto alla privacy.Mentre, infatti, l’art. 59 del codice espressamente prevede sia per i dati personali in
genere che per quelli sensibili e giudiziari che il diritto di accesso trovi la sua disciplina nella legge
241/90 e successive modifiche e nelle altre leggi in materia e relativi regolamenti di attuazione, il
successivo art. 60 consente l’accesso per i dati relativi alla vita sessuale ed alla salute solo “se la
situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti
amministrativi è di rango almeno pari ai diritti dell’interessato, ovvero consiste in un diritto della
personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale ed inviolabile”.
4.
Limiti
dei
diritti
di
accesso
e
riservatezza.
Come visto, i due nuovi diritti che hanno fatto ingresso nel nostro ordinamento hanno sicuramente dei
punti in comune tra loro, dal momento che tra le finalità perseguite o tra i presupposti richiesti per
rendere effettiva la tutela degli interessi ad essi sottesi, vi è, per entrambi, sia l’esigenza di assicurare la
trasparenza e l’imparzialità dell’attività amministrativa; sia la tendenza di rendere pubblico,
controllabile e quindi accessibile l’operato dei soggetti, siano essi pubblici o privati, che gestiscono e
detengono dati personali nello svolgimento di un’attività correlata al perseguimento di interessi
pubblici.Se ciò è vero, è però altrettanto inconfutabile che questi due diritti si pongono in rapporto
potenzialmente antitetico nel momento in cui uno tutela la trasparenza e pubblicità dell’attività
amministrativa, garantendo il diritto di accesso agli atti amministrativi da parte dei soggetti interessati,
l’altro si pone a difesa della riservatezza e non divulgazione dei dati attinenti alla sfera personale degli
amministrati.Da qui il delicato problema di come conciliare l’interesse pubblico alla trasparenza
dell’attività amministrativa ed i diritti della personalità correlati alla privacy.
a.
Limiti
del
diritto
di
accesso.
La nuova formulazione dell’art. 24 della legge 241/90, dopo aver direttamente previsto delle ipotesi
generali di esclusione per il diritto di accesso, statuisce che “il Governo può prevedere casi di sottrazione
all'accesso di documenti amministrativi:a) quando, al di fuori delle ipotesi disciplinate dall'articolo 12
della legge 24 ottobre 1977, n. 801, dalla loro divulgazione possa derivare una lesione, specifica e
individuata, alla sicurezza e alla difesa nazionale, all'esercizio della sovranità nazionale e alla continuità
e alla correttezza delle relazioni internazionali, con particolare riferimento alle ipotesi previste dai
trattati e dalle relative leggi di attuazione;b) quando l'accesso possa arrecare pregiudizio ai processi di
formazione, di determinazione e di attuazione della politica monetaria e valutaria;c) quando i documenti
riguardino le strutture, i mezzi, le dotazioni, il personale e le azioni strettamente strumentali alla tutela
dell'ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità con particolare riferimento alle
tecniche investigative, alla identità delle fonti di informazione e alla sicurezza dei beni e delle persone
coinvolte, all'attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini;d) quando i documenti
riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e
associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario,
industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti
all'amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono;e) quando i documenti riguardino l'attività in
corso di contrattazione collettiva nazionale di lavoro e gli atti interni connessi all'espletamento del
relativo mandato.Deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la
cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti
contenenti dati sensibili e giudiziari, l'accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente
indispensabile e nei termini previsti dall'articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso
di
dati
idonei
a
rivelare
lo
stato
di
salute
e
la
vita
sessuale".
Tale formulazione, rispetto alla precedente[31], è sicuramente più in linea con la disciplina dettata dal
codice
della
privacy.
Nella vecchia formulazione, infatti, mentre le prime tre categorie in essa previste indicavano dei limiti
tassativi, tali da introdurre delle vere e proprie ipotesi di esclusione dall’accesso ai documenti,
estremamente generico si rivelava il limite costituito dall’esigenza di tutelare la riservatezza dei terzi,
atteso che solo quest’ultimo veniva temperato dalla necessità di garantire, comunque, agli interessati “la
visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o
per difendere i loro interessi giuridici”. In pratica, nella previsione della limitazione stessa, si cercava di
conciliare e salvaguardare i due diversi interessi giuridici in competizione, con la conseguenza che la
riservatezza non rappresentava più un vero e proprio limite, ma, più che altro, un ostacolo da
armonizzare con le esigenze dei soggetti aventi un interesse all’accesso. In tal modo, la riservatezza
costituiva l’eccezione alla regola dell’accessibilità ai documenti amministrativi, eccezione vieppiù
passibile a sua volta di deroga (con conseguente riespansione del principio di accessibilità agli atti)
qualora la conoscenza dei documenti, oggetto di richiesta, fosse preordinata alla cura o alla tutela degli
interessi giuridici dell’istante.La giustificazione a tale diversificata disciplina, veniva rintracciata nella
profonda diversità degli interessi tutelati, coinvolti o configgenti sottesi alle varie fattispecie.Le prime
tre ipotesi, infatti, riguardavano categorie poste a tutela di interessi “propri” dell’amministrazione
intesa in senso ampio; tali interessi erano, per così dire, “interni” alla stessa p. a., per cui lo scontro si
svolgeva e si esauriva interamente tra l’amministrazione che intendeva tutelare col segreto tali interessi
superiori e l’istante che chiedeva di conoscere l’attività posta in essere dal soggetto pubblico. La
fattispecie di cui alla lettera d), invece, prevedeva uno “scontro” che non si esauriva tra istante e p. a.,
ma più propriamente si svolgeva tra il soggetto che chiedeva l’accesso ed il controinteressato, il quale
pretendeva che venisse salvaguardata la riservatezza dei propri dati personali, in qualche modo
minacciata dalla richiesta di accesso avanzata. In questo caso, quindi, l’amministrazione rivestiva più un
ruolo “giustiziale”, essendo chiamata a cercare le modalità idonee a conciliare e comporre le
contrapposte esigenze o ad individuare l’interesse prevalente con conseguente sacrificio di uno dei due
diritti in competizione.La formulazione della norma in commento, peraltro, non precisava in modo
esplicito il criterio alla stregua del quale risolvere il contrasto tra i contrapposti interessi, né tale criterio
era agevolmente ricavabile dall’ordinamento complessivamente considerato.La nuova formulazione della
norma in commento, recependo almeno in parte i suggerimenti derivanti dalle interpretazioni dottrinarie
e giurisprudenziali effettuate sotto la vigenza del vecchio testo, da una parte, sgancia la previsione
normativa secondo cui “deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti
amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici” dal
solo limite della riservatezza, per trasformarlo in una esigenza di salvaguardia all’accesso riferita a tutti i
possibili limiti posti in materia dall’Esecutivo, dall’altra, offre all’interprete, in qualche modo, degli
elementi normativi sulla base dei quali operare la comparazione delle esigenze in conflitto, ricercare un
possibile
loro
contemperamento
o
stabilire
l’interesse
prevalente.
b.
Limiti
al
diritto
di
riservatezza.
Il diritto di riservatezza non è posto dall’ordinamento né in termini assoluti, né in maniera chiara.
Malgrado, infatti, il codice sancisca che “chiunque ha diritto alla protezione dei dati personali che lo
riguardano”, precisa poi che “i presupposti, le modalità, i limiti per l’esercizio del diritto di accesso a
documenti amministrativi contenenti dati personali, e la relativa tutela giurisdizionale, restano
disciplinati dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e dalle altre disposizioni di legge
in materia, nonché dai relativi regolamenti di attuazione, anche per ciò che concerne i tipi di dati
sensibili e giudiziari e le operazioni di trattamento eseguibili in esecuzione di una richiesta di accesso”
(art. 59).Il successivo art. 60 pone poi una importante eccezione legislativa alla disciplina prevista in
generale, relativamente ai dati sensibili idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale, prevedendo
in tal caso che “il trattamento è consentito se la situazione giuridicamente rilevante che si intende
tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi è di rango almeno pari ai diritti
dell’interessato, ovvero consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale
e inviolabile”. La norma, tuttavia, non chiarisce se il bilanciamento tra i diversi interessi in gioco debba
essere effettuato in astratto, sulla base di una ricostruzione delle norme costituzionali e legislative, o se
lo stesso possa essere risolto caso per caso, tenendo conto, oltre che degli indici normativi, di tutte le
circostanze
di
fatto
rilevanti
nelle
varie
fattispecie[32].
5.
Bilanciamento
tra
diritto
di
accesso
e
diritto
alla
riservatezza.
I numerosi interventi legislativi che si sono succeduti nella disciplina dei diritti di accesso e riservatezza,
si sono caratterizzati per la loro mancanza di organicità ed omogeneità.Tale sovrapposizione di
normativa, ha avuto inevitabili ripercussioni nell’evoluzione dottrinaria e giurisprudenziale, volta
inevitabilmente alla ricerca di un difficile contemperamento tra le varie discipline.
A
questo
proposito
si
è
soliti
individuare
tre
fasi
dell’evoluzione.
a.
I
fase:
dalla
legge
241/90
alla
legge
675/96.
L’arco temporale intercorrente tra questi due interventi legislativi è caratterizzato dal fatto che, mentre
il diritto di accesso ha ormai ricevuto una disciplina compiuta, la tutela del diritto alla riservatezza trova
ancora fondamento e tutela esclusivamente nell’art. 2 della Costituzione in tema di diritti della
personalità[33].Il diritto alla riservatezza, tuttavia, risulta presente nella legge 241/90, la quale, sia pure
senza fornirne una definizione o disciplina, lo pone all’art. 24, co. 2 let. d), tra i limiti al diritto di
accesso agli atti amministrativi.La normativa in commento contiene un mero riferimento alla necessità di
tener conto dell’esigenza di riservatezza dei terzi, assegnando, comunque, una priorità al diritto di
accesso, nel momento in cui garantisce comunque “agli interessati la visione degli atti relativi ai
procedimenti amministrativi”.Non si è mancato, a tal proposito, di porre in evidenza le differenze
emergenti dal combinato disposto degli artt. 22 e 25 da un lato e dall’art. 24 dall’altro: mentre, infatti,
per il primo gruppo di norme è “riconosciuto a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni
giuridicamente rilevanti il diritto di accesso ai documenti amministrativi” da esercitarsi “mediante esame
ed estrazione di copia dei documenti amministrativi”, per l’art. 24, invece, è semplicemente garantita
“agli interessati la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi, la cui conoscenza sia
necessaria
per
curare
o
per
difendere
i
loro
interessi
giuridici”[34].
Dottrina
e
giurisprudenza
avevano
elaborato
al
riguardo
varie
tesi.
Secondo una teoria, data l’assenza di una regola generale univoca, la prevalenza dell’uno o dell’altro
interesse non può che derivare dalla valutazione, effettuata caso per caso, della singola fattispecie
concreta.In tal modo, però, l’amministrazione acquista un ruolo di mediazione fra i diversi interessi
privati poco consono al carattere proprio e specifico dell’attività discrezionale correlata al potere
istituzionale dei soggetti pubblici; né può ritenersi soddisfacente la teoria secondo cui deve demandarsi
al giudice il ruolo suddetto, giacché, comunque rimane la necessità di individuare un criterio oggettivo di
risoluzione del conflitto, anche se piuttosto elastico e suscettibile di adeguamento in raffronto ai singoli
casi concreti[35].Una seconda teoria si fonda, invece, sulla sostanza delle posizioni giuridiche in
conflitto, propendendo per una valutazione di carattere generalizzante del problema. Secondo tale
orientamento, dunque, mentre la riservatezza costituisce una posizione giuridica di rango costituzionale
(art. 2 Cost.), la pretesa all’accesso, pur dotata di autonomia, è funzionale alla tutela di una situazione
giuridicamente rilevante, che può assumere, di volta in volta, caratteri e connotati diversi. Di
conseguenza, nel giudizio di bilanciamento, la posizione di base che sottende il diritto di accesso
rappresenta il discrimen in base a cui è possibile individuare effettivamente l’interesse prevalente.
Soltanto se tale posizione assurge alla dignità del diritto soggettivo a protezione costituzionale la pretesa
all’accesso può prevalere sull’interesse alla riservatezza[36]. La tesi in parola delimita drasticamente,
nel conflitto con la riservatezza, l’area della legittimazione attiva all’accesso in ragione del tipo di
interesse azionato attraverso la richiesta. Tuttavia, a parte la validità della distinzione tra diritti
soggettivi ed interessi legittimi e la protezione costituzionale di questi ultimi, rimane la difficoltà di
qualificare la posizione alla base della singola richiesta di accesso nonché la sua meritevolezza in
relazione ai parametri costituzionali.Un altro filone interpretativo pone alla base delle proprie
argomentazioni un elemento testuale, ricavato dall’art. 24 legge 241/90, laddove ammette l’ostensibilità
degli atti incidenti sulla riservatezza dei terzi a condizione che vi sia una necessità di tutela. Non è
sufficiente, quindi, che sussista una mera connessione tra la situazione giuridica e la conoscenza del
documento, ma occorre un quid pluris, che si identifica nel grado di aggressione all’interesse del
richiedente (nel senso che la situazione antigiuridica paventata deve essere in atto o, quanto meno,
ragionevolmente prevedibile) e nella sussistenza di un nesso di pertinenza tra il documento e la tutela
dell’interesse (occorre, pertanto, una “necessità” e non una mera “utilità” per consentire l’accesso)[37].
Un ultimo filone interpretativo è rappresentato dalla pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 5/97. Tale
pronuncia parte dall’assunto secondo cui il bilanciamento tra interessi contrapposti è già stato in origine
operato dal legislatore. Le stesse disposizioni normative, infatti, stabiliscono che il diritto di accesso,
derogando al principio di pubblicità, nel conflitto con il principio di riservatezza, soccombe. Tuttavia, nel
caso in cui il diritto di accesso venga esercitato su atti la cui conoscenza è necessaria per la cura o difesa
di interessi giuridici, il diritto di accesso va consentito nella sola forma della visione. La tutela cd.
modale preclude al richiedente la possibilità di estrarre copia o di trascrivere il contenuto del
documento, salvaguardando il diritto alla riservatezza dai possibili pregiudizi che la copia o la
trascrizione potrebbe cagionare. Ecco dunque il bilanciamento tra i due diversi interessi contrapposti: da
un lato si consente l’accesso e, dall’altro, si evita al terzo il pregiudizio che deriverebbe dalla maggiore
diffusione del contenuto dell’atto, oltre che visionato, anche trascritto o copiato.In questa prima fase,
quindi, la giurisprudenza ha confermato la prevalenza del principio di pubblicità rispetto a quello di
tutela della riservatezza, forse anche al fine di respingere, subito dopo l’emanazione della legge 241/90,
i tentativi di alcune pubbliche amministrazioni di enfatizzare le esigenze di tutela della riservatezza in
modo da sostituire quasi, con il ricorso a tale principio, il tradizionale segreto d’ufficio, ormai in via di
tendenziale
superamento
proprio
per
effetto
della
legge
suddetta.
b.
II
fase:
dalla
legge
675/96
al
d.
lgs.
196/03.
La seconda fase dell’evoluzione è segnata dall’approvazione della legge n. 675 del 1996[38].
Tale legge sembra far salve le norme in tema di diritto di accesso ai documenti amministrativi[39].
Stabilisce, comunque, che “la comunicazione e la diffusione di dati personali da parte dei soggetti
pubblici a privati o ad enti pubblici economici sono ammesse solo se previste da norme di legge o di
regolamento” (art. 27, co. 3). Specifica, poi, per il trattamento dei dati cosiddetti sensibili, che esso “è
consentito solo se autorizzato da espressa disposizione di legge nella quale siano specificati i dati che
possono essere trattati, le operazioni eseguibili e le rilevanti finalità di interesse pubblico perseguite”
(art. 22, co. 3)[40].In giurisprudenza, come già detto, si ritiene che la legge 241/90, in tema di accesso
ai documenti amministrativi, nel delineare il limite oggettivo della tutela della riservatezza, non abbia
fornito alcuna idonea descrizione normativa del contenuto di detto limite, per cui appare del tutto logico
che tale carenza possa essere colmata dall’esame della disciplina dettata dalla legge n. 675 del 1996, in
materia di dati personali[41]. Tale orientamento giurisprudenziale ha, dunque, aperto le porte a quello
che è stato definito “un regime a doppio binario”, in virtù del quale occorre distinguere l’ipotesi in cui la
domanda di accesso riguarda documenti contenenti dati personali non sensibili rispetto al caso in cui,
invece, la domanda abbia per oggetto dati sensibili. Nella prima ipotesi trova applicazione l’art. 24, co. 2
let. d), della legge 241/90 ed il contrasto tra diritto di accesso e tutela della riservatezza trova
composizione secondo i principi posti dalla decisione 5/97 dell’Adunanza Plenaria[42], nel secondo caso,
invece, in assenza di una legge che specificamente consenta l’accesso, l’esigenza di tutela della
riservatezza prevale in modo rigido ed assoluto anche sul diritto alla difesa in giudizio garantito dall’art.
24 della Costituzione[43].Lo schema interpretativo su esposto è stato riveduto e, per così dire,
“aggiustato” a seguito dell’emanazione del decreto legislativo n. 135 del 11 maggio 1999.L’art. 16 di tale
normativa, infatti, da una parte ha qualificato come “di rilevante interesse pubblico” i trattamenti di
dati “effettuati in conformità alle leggi e ai regolamenti per l’applicazione della disciplina sull’accesso ai
documenti amministrativi” e, dall’altra, ha chiarito che quando la richiesta ha ad oggetto determinati
dati sensibili e, precisamente, quelli idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale, il trattamento
è consentito solo se il diritto da far valere o difendere nella difesa in sede amministrativa o giudiziaria,
“è di rango almeno pari a quello dell’interessato”.Secondo alcuni, in realtà, tale norma non
riguarderebbe il diritto di accesso che continuerebbe ad essere assoggettato alla disciplina originaria
della legge 241/90.La giurisprudenza amministrativa, invece, si è orientata nel senso di ritenere che la
disposizione, applicata alla materia dell’accesso ai documenti amministrativi, rimette
all’amministrazione ed al giudice la ponderazione comparativa tra il diritto alla riservatezza dei dati
riguardanti la salute o la sfera sessuale e l’interesse sotteso alla domanda di accesso. E il bilanciamento
degli opposti interessi, in tal caso, non va effettuato in astratto, bensì in concreto in modo tale da
evitare il rischio di soluzioni generalizzanti fondate su di una mera comparazione gerarchica dei diritti in
conflitto che, prescindendo da specifiche circostanze di fatto relative alle singole fattispecie concrete, si
riduce ad una sterile ed improduttiva teorizzazione[44].
c.
III
fase:
codice
della
privacy.
Prima del nuovo testo unico sulla privacy, quindi, la tutela del diritto di accesso era molto forte e
determinava la soccombenza del diritto alla riservatezza rispetto alle esigenze di ostensione per la cura e
la difesa di interessi giuridici[45]. Il nuovo codice sulla privacy, come su esposto, introduce, expressis
verbis, il diritto di chiunque “alla protezione dei propri dati personali”[46]. Tale normativa prevede,
inoltre, che, senza il consenso dell’interessato, il trattamento dei dati da parte della p. a. possa avvenire
esclusivamente per lo svolgimento di funzioni istituzionali e che il solo trattamento dei dati non sensibili
possa realizzarsi anche senza un’espressa previsione normativa. I dati sensibili e giudiziari sono sottoposti
allo stesso regime già previsto dall’art. 22 della legge 675/96 dopo la riforma del ‘99.Tuttavia, sotto il
profilo del bilanciamento tra diritto di accesso e diritto alla privacy, appare chiaro che il legislatore non
abbandona l’impostazione giurisprudenziale affermatasi sotto il vigore dei precedenti interventi
normativi in materia.L’art. 59 del codice prevede espressamente, infatti, sia per i dati personali in
genere che per quelli sensibili e giudiziari, che il diritto di accesso trovi la sua disciplina nella legge
241/90 e successive modifiche e nelle altre leggi in materia e relativi regolamenti di attuazione; quindi,
per i dati personali sensibili il legislatore sembra ancora rimandare al bilanciamento tra contrapposti
interessi ex legge 241/90, come sostenuto dall’Adunanza Plenaria n. 5/97 e confermato dalla successiva
giurisprudenza[47].L’unica vera novità è rappresentata dall’art. 60 del codice, che pone una tutela
differenziata e specifica per i cd. dati super sensibili, vale a dire per i dati relativi alla vita sessuale ed
alla salute. La disciplina dettata da tale norma si pone come una vera e propria eccezione rispetto alla
scelta della cd. tutela modale prevedendo una valutazione comparativa in concreto tra esigenze
contrapposte. Infatti, secondo quanto prescritto dall’art. 60 del T. U. sulla privacy, i dati supersensibili
possono essere oggetto del diritto di accesso solo se l’istanza sottenda una situazione giuridica di rango
almeno pari ai diritti dell’interessato, che consista in un diritto della personalità o in un altro diritto o
libertà fondamentale e inviolabile.Appare chiaro, quindi, come anche in questa fase, in realtà, nulla sia
cambiato e come il regime di pubblicità dell’azione amministrativa permetta comunque di superare le
esigenze di riservatezza dei terzi interessati, i quali godono in generale solo di una tutela modale, che li
mette al riparo dai pregiudizi che potrebbero derivare loro da una più ampia diffusione dei dati, se
copiati o trascritti.
6.
La
p.
a.
nel
bilanciamento
tra
accesso
e
privacy.
Dall’analisi dei vari interventi normativi che si sono succeduti, sia a livello nazionale che comunitario,
nell’intento di introdurre nell’ordinamento giuridico delle forme di tutela volte a garantire da un lato il
diritto di accesso ai documenti amministrativi e dall’altro il diritto alla riservatezza, emerge che, in
realtà, non si è proceduto all’adozione di una disciplina organica, capace di creare un bilanciamento
appagante tra le diverse esigenze costituenti oggetto di tutela delle singole normative.Si è imposto,
quindi, un delicato compito da parte degli operatori pratici, nella ricerca di criteri direttivi e linee giuda
capaci di dar vita ad un giusto equilibrio tra le contrapposte esigenze di trasparenza e riservatezza, di
accesso agli atti e privacy.Solo le pronunce giurisprudenziali più recenti, anche sulla base degli elementi
normativi che di volta in volta venivano introdotti al fine di amalgamare e rendere tra loro compatibili
normative nate a disciplinare le diverse esigenze, manifestano, in effetti, una maggiore attenzione nella
ricerca di strumenti e criteri capaci di contemperare e salvaguardare i contrapposti interessi sottesi alle
domande di giustizia.Le soluzioni, infatti, non sembrano più adottate sulla base di una prevalenza
astratta del diritto di accesso o del diritto a questo opposto, costruendo una scala gerarchica di diritti ed
interessi tra loro potenzialmente confliggenti, ma analizzando la situazione sostanziale, valutando i
concreti interessi contrapposti, le esigenze che si intendono salvaguardare nella fattispecie concreta e
ricercando le possibili modalità pratiche che possano conciliare le opposte esigenze.Non più, quindi, una
prevalenza assoluta di uno dei diritti contrapposti con sacrificio totale del diritto giudicato recessivo, ma
la ricerca di un contemperamento dei vari interessi in gioco, magari ricercato nelle modalità attraverso
cui concedere l’esercizio del diritto riconosciuto prevalente nella singola fattispecie.E’ questa la tesi che
sembra sottesa alla decisione della Corte Costituzionale che ha portato alla esclusione del diritto di
accesso, basata proprio su una valutazione in concreto delle situazioni sostanziali tutelate dalle norme in
confronto. Questa decisione, anche se non direttamente coinvolgente il rapporto tra accesso e privacy, è
importante per la questione in argomento, proprio per il criterio adottato dal Giudice delle leggi e per la
sensibilità dallo stesso manifestata nella comparazione e valutazione delle esigenze sottese alla richiesta
di accesso rispetto alla tutela della politica monetaria e valutaria, e pertanto, a maggior ragione
utilizzabile nel caso in cui il raffronto del diritto di accesso debba effettuarsi col diritto alla riservatezza
opposto da un terzo.Ed è questa, ancor più, la tesi sottesa alla decisione del T.A.R. del Lazio che, da una
parte “desume l’attuale inammissibilità della richiesta di accesso… anche sulla base della considerazione
dei dati, oggetto dell’accesso, come ‘sensibili’, in quanto coinvolgono situazioni relative allo stato di
salute”, dall’altra non esclude che la stessa “può, tuttavia, essere rimodulata e specificata…, con
esclusione, in ogni caso, della documentazione sanitaria relativa alle persone disabili e degli atti che ne
possano consentire l’identificazione”.Oltre che alla giurisprudenza, poi, questo sforzo teso a ricondurre
ad unità il sistema è stato richiesto soprattutto alle amministrazioni, prime destinatarie delle istanze di
accesso e, pertanto, coinvolte in via immediata e diretta nell’ardua impresa di ricercare un corretto
equilibrio tra accesso e riservatezza.Sono proprio le amministrazioni, infatti, a giocare un ruolo centrale
in tale materia, prima ancora della stessa giurisprudenza. La natura degli interessi che di volta in volta
vengono in rilievo è tale che l’intervento giurisprudenziale potrebbe risultare inidoneo e, comunque,
destinato ad intervenire in un momento in cui l’aggressione al diritto, specie qualora in sede
amministrativa sia stata sacrificata la privacy, si è ormai già consumata. Inoltre, in tali casi, data la
valenza degli interessi coinvolti, non rappresentano un rimedio appagante neppure le tutele
risarcitorie.Pertanto, l’amministrazione, di fronte ad una domanda di accesso ad un documento
amministrativo contenente informazioni che riguardino terzi soggetti, dovrebbero interrogarsi,
innanzitutto, sulla fondatezza e sulla rilevanza della ragione posta a fondamento dell’istanza.La
Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, a tal proposito, ha suggerito alle amministrazioni
di invitare il cittadino ad indicare nella richiesta la ragione specifica per la quale si chiede il documento
onde poi valutare se, per soddisfare l’interesse sotteso all’istanza, sia effettivamente necessario
ottenere la copia del documento.Gli operatori pratici dovrebbero inoltre verificare se non esista poi,
nella fattispecie, una disciplina più restrittiva, data l’enorme congerie di norme di settore che ampliano
o riducono l’ambito di operatività delle leggi generali. Infine, laddove non vi sia una normativa specifica
più restrittiva o liberale, comunque, l’ostensione del documento dovrebbe essere effettuata nella forma
più idonea, oggettivamente, al soddisfacimento dell’interesse (che deve essere concreto ed attuale)
vantato dal richiedente.Tale valutazione si connota poi, ulteriormente, di caratteri di delicatezza e
complessità con riferimento ai dati cd. super sensibili, ossia quelli relativi all’attività sessuale ed alla
salute della persona. Infatti, la p. a., alla luce del nuovo codice sulla privacy, è tenuta, in questi casi, a
valutare e ad emettere un giudizio in ordine all’importanza, al grado ed alla dignità della posizione
giuridica che si contrappone al diritto di accesso.In tal senso, la prassi operativa di alcune
amministrazioni, nel duro compito di ricercare un equilibrato contemperamento tra le diverse posizioni in
conflitto si è rivelata particolarmente degna di nota. Tale prassi prevede che la richiesta di accesso,
coinvolgente dati personali di terzi, venga tempestivamente comunicata all’interessato; che si apra una
fase in contraddittorio, nel corso della quale le parti enunciano le ragioni a sostegno della pretesa di
accesso e di quella alla riservatezza; che, in mancanza di una soluzione concordata, l’eventuale
accoglimento della richiesta di accesso sia formalmente comunicato al titolare del dato personale; che
l’esecuzione della determinazione di accoglimento sia differita alla scadenza del termine per la
proposizione del ricorso davanti al T.A.R.; che, in caso di ricorso, l’accesso venga comunque differito fino
alla decisione del Tribunale.Nonostante risulti meritevole di apprezzamento, il tentativo posto in essere
da queste amministrazioni, al fine di trovare un giusto equilibrio tra i diversi interessi tutelati dal diritto
di accesso e dal diritto alla privacy, purtuttavia, non può essere taciuto, in questa sede, che trattasi
comunque di soluzioni non appaganti, in quanto fondate esclusivamente su “aggiustamenti” procedurali e
formali, volti a porre rimedio, in qualche modo, ad una carenza di sincronizzazione ed amalgama a livello
normativo.Le soluzioni adottate dalle varie amministrazioni possono muoversi, del resto, solo sul piano
procedurale, perché una soluzione sostanziale e definitiva al problema di un corretto bilanciamento tra
diritto di accesso e diritto alla riservatezza può essere trovata soltanto a livello normativo.Il tentativo di
offrire una soluzione a tale carenza è stato effettuato dal legislatore con l’approvazione del
provvedimento legislativo adottato il 26 gennaio 2005, che mira proprio a raccordare tra loro la disciplina
dettata per il diritto di accesso e la normativa disciplinante il diritto alla riservatezza.La nuova legge del
2005, infatti, cerca di risolvere il contrasto tra accesso e privacy prevedendo che “nel caso di documenti
contenenti dati sensibili e giudiziari, l'accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente
indispensabile e nei termini previsti dall'articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso
di
dati
idonei
a
rivelare
lo
stato
di
salute
e
la
vita
sessuale".
La formulazione della norma pone forse qualche dubbio interpretativo, rendendo possibile più di una
“lettura”.
Una prima interpretazione più restrittiva potrebbe leggere la norma in commento nel senso di consentire
l’accesso agli atti contenenti dati sensibili e giudiziari nel limite in cui sia strettamente indispensabile,
limitando la disciplina prevista dall’art. 60 del codice sulla privacy ai soli dati idonei a rivelare lo stato di
salute e la vita sessuale di terzi.Pertanto, secondo tale lettura della norma, all’interprete viene chiesta
una valutazione comparativa in concreto tra esigenze contrapposte solo quando l’istanza di accesso vada
a confliggere con dati “supersensibili”, i quali possono essere oggetto del diritto di accesso solo se
l’istanza sottenda una situazione giuridica di rango almeno pari ai diritti dell’interessato, che consista in
un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile; nel caso di istanze di
accesso a dati sensibili o giudiziari, invece, le esigenze di riservatezza dei terzi interessati continuano a
godere in generale solo di una tutela modale, che li mette al riparo dai pregiudizi che potrebbero
derivare loro da una più ampia diffusione dei dati, se copiati o trascritti.Una diversa interpretazione, più
estensiva e forse maggiormente in grado di bilanciare gli interessi sottesi ai diritti di accesso e
riservatezza, potrebbe leggere la norma de qua nel senso di consentire l’accesso agli atti contenenti dati
sensibili e giudiziari nei limiti in cui sia strettamente indispensabile, applicando anche in tali fattispecie
la disciplina prevista dal decreto legislativo 196/2003 per i cd. dati supersensibili.Aderendo a tale
seconda interpretazione, infatti, ne deriva che all’interprete viene chiesta una valutazione comparativa
in concreto tra esigenze contrapposte non solo quando l’istanza di accesso vada a confliggere con dati
“supersensibili”, ma anche con dati “soltanto” sensibili e giudiziari; pertanto, anche questi ultimi
possono essere oggetto del diritto di accesso solo se l’istanza sottenda una situazione giuridica di rango
almeno pari ai diritti dell’interessato, che consista in un diritto della personalità o in un altro diritto o
libertà fondamentale e inviolabile; in tal modo, quindi, soltanto per i dati cd. comuni le esigenze di
riservatezza dei terzi interessati continuano a godere in generale solo di una tutela modale, che li mette
al riparo dai pregiudizi che potrebbero derivare loro da una più ampia diffusione dei dati, se copiati o
trascritti.Secondo la tesi in parola, pertanto, si richiede all’operatore, sia esso amministrazione che
giudice, ogni volta in cui si pone la necessità di un bilanciamento tra diritto di accesso e diritto alla
riservatezza, di operare una valutazione comparativa in concreto tra le esigenze contrapposte valutazione da effettuare raffrontando la sostanza delle posizioni giuridiche in conflitto- e di ricercare le
modalità capaci di consentire l’esercizio dell’accesso senza pregiudicare il diritto alla riservatezza
opposto dal terzo. In caso accertato di inconciliabilità delle posizioni opposte, poi, dovrebbe prevalere
comunque il diritto cui è sottesa una situazione giuridica, nel caso di specie, degna di maggiore tutela.
[1] Differenti teorie sono emerse in ordine alla natura di diritto soggettivo (Cons. Stato, n. 191, 2001) o
di interesse legittimo (Cons. Stato, n. 3602, 2000) del diritto di accesso (Cfr. in dottrina Casetta: Manuale
di
diritto
amministrativo,
Milano,
2002).
La tesi che inquadra tale situazione giuridica nell’ambito dei diritti soggettivi fa leva sull’art. 25 della
legge 241/90, il quale prevede (anche nel nuovo testo), a tutela del diritto di accesso, un procedimento
giurisdizionale accelerato che può sfociare in un ordine di esibizione del documento, provvedimento
tipico delle situazioni giuridiche di diritto soggettivo, e non nel mero annullamento dell’atto di diniego
(esito che si rivelerebbe invece più confacente alla natura di interesse legittimo della situazione giuridica
in
parola).
L’adesione a tale tesi comporta, dunque, come primo corollario, che il giudizio concerne non l’atto ma il
rapporto e che, di conseguenza, trovano in materia applicazione le novità processuali di cui al decreto
legislativo 80/1998 ed alla legge 205/2000 in tema di giurisdizione esclusiva. Inoltre, la mancata notifica
del ricorso al terzo controinteressato determina l’obbligo di integrazione del contraddittorio ai sensi
dell’art. 102 c.p.c. e non l’inammissibilità del rimedio giurisdizionale, mentre la mancata impugnazione
del diniego nel termine di decadenza non osta alla possibilità di far valere il diritto di accesso nel
termine di prescrizione a fronte di un nuovo provvedimento negativo, indipendentemente dal fatto che
quest’ultimo
sia
o
meno
confermativo.
La tesi che sostiene la natura di interesse legittimo del diritto di accesso si fonda sul seguente assunto:
l’art. 25 della legge 241/90 prevede (ancora tuttora) che il ricorso debba essere presentato entro il
termine decorrente dal provvedimento di diniego o dalla scadenza del termine di 30 giorni dalla
presentazione dell’istanza di accesso; quindi, come nelle situazioni di interesse legittimo, vi è la
previsione
della
possibilità
di
agire
entro
un
termine
di
decadenza.
Aderendo a tale teoria, il diritto di accesso viene notevolmente dimensionato. Infatti, il termine di
decadenza di 30 giorni dall’atto di diniego determina una preclusione assoluta, rendendo improcedibile il
ricorso presentato in ritardo. Inoltre, qualora a fronte di un diniego, non venga proposta impugnazione,
ma una nuova istanza, a seguito della quale la p. a. emani un nuovo diniego, tale ultimo provvedimento
assumerà la veste giuridica di un mero atto confermativo in relazione al quale non comincerà a decorrere
un nuovo termine per l’impugnazione. Infine, non sarà applicabile in materia l’art. 102 c.p.c. bensì l’art.
21, co. 1, della legge 1034/71, per cui il ricorrente avrà l’obbligo di notificare il ricorso “tanto all’organo
che ha emanato l’atto impugnato quanto ai controinteressati”, pena l’inammissibilità del ricorso, senza
la possibilità di assegnazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio.
La querelle ha trovato soluzione nella decisione n. 16 del 24 giugno 1999 dell’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato, che ha ricostruito il diritto di accesso quale situazione giuridica di interesse legittimo.
Tale decisione si fonda, da un lato, sulla possibilità dell’interessato di agire entro un termine di
decadenza; dall’altro, sul dato normativo che riconosce la discrezionalità dell’amministrazione nel
valutare l’esistenza dell’interesse all’accesso da parte dell’istante, discrezionalità ovviamente connessa
all’esercizio del potere amministrativo.
[2] Tra le numerose sentenze della giurisprudenza in materia, dalle quali emerge l’attualità del problema
relativo ad un adeguato inquadramento del diritto di accesso nel novero delle posizioni giuridicamente
rilevanti e del rapporto dello stesso con il diritto alla riservatezza, da ultimo, si segnala la sentenza del
T.A.R.
del
Lazio
n.
308
del
2005.
In tale decisione, il giudice amministrativo ha affrontato sia la problematica relativa al contenuto
dell’istanza di accesso, sia il rapporto di valore tra il diritto di accesso e la privacy (con particolare
riferimento all’ostensione dei documenti relativi ai dati c.d. “supersensibili”), offrendo, altresì,
all’operatore pratico interessanti spunti di riflessione in ordine alle modalità di esercizio del suddetto
diritto, al fine di conciliare lo stesso con il diritto alla riservatezza.
[3] La cd. legge sul procedimento amministrativo ha inserito nell’ordinamento, innanzitutto, la
responsabilizzazione e perdita di anonimato della p. a. prevedendo la figura del responsabile del
procedimento e l’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi; inoltre, ha introdotto istituti
volti a garantire maggiore efficacia ed efficienza all’azione amministrativa consentendo il ricorso a
strumenti tratti dal diritto privato e ampliando le ipotesi di partecipazione diretta del cittadino alle
scelte operate dall’amministrazione; infine, ha disciplinato il principio di pubblicità-trasparenza
dell’attività della p. a. sancendo il diritto di accesso agli atti amministrativi.
[4] Picone, I temi generali del diritto amministrativo, Napoli, 2000.
[5] Caringella-Garofoli-Sempreviva, L’accesso ai documenti amministrativi. Profili sostanziali e
processuali, Milano, 2003.
[6] Giannini, Diritto amministrativo, Milano, 1993.
[7] Arena, Trasparenza amministrativa, in Enciclopedia Giuridica Treccani, Roma, 1995.
[8] Secondo l’art. 15 della legge citata, l'articolo 22 della legge 7 agosto 1990, n. 241, è sostituito dal
seguente:
"ART. 22. (Definizioni e princípi in materia di accesso). - 1. Ai fini del presente capo si intende:
a) per "diritto di accesso", il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti
amministrativi;
b) per "interessati", tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che
abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente
tutelata
e
collegata
al
documento
al
quale
è
chiesto
l'accesso;
c) per "controinteressati", tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del
documento richiesto, che dall'esercizio dell'accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla
riservatezza;
d) per "documento amministrativo", ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica,
elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno
specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico
interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale;
e) per "pubblica amministrazione", tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato
limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario.
[9] L’art. 15, co. 2, dispone: “L'accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di
pubblico interesse, costituisce principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la
partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza, ed attiene ai livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale
ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. Resta ferma la potestà delle
regioni e degli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, di garantire livelli ulteriori di tutela”.
[10] Cons St., 14/2004. Di conseguenza, tale diritto potrebbe essere esercitato anche nei confronti di un
atto amministrativo ormai inoppugnabile (T.A.R. Lazio, n. 1968, 1998), rilevando ai fini dell’accesso solo
il mero interesse dell’istante, purché caratterizzato dai requisiti della personalità, concretezza, attualità
e serietà. La posizione che legittima l’accesso, presupponendo esclusivamente che l’istante sia titolare di
una posizione giuridicamente rilevante e che il suo interesse si fondi su tale posizione, si differenzia
dunque in maniera netta rispetto alla legittimazione al ricorso avverso l’atto lesivo della posizione
soggettiva vantata. Infatti, l’interesse qualificato e la legittimazione ad accedere alla documentazione
amministrativa deriva dall’esistenza, in capo al richiedente, di una posizione differenziata
giuridicamente rilevante, che non necessariamente si identifica nella titolarità di un diritto soggettivo o
di un interesse legittimo, potendo consistere esclusivamente in una posizione giuridica soggettiva, allo
stato anche meramente potenziale.
[11] Secondo l’art. 15, co. 4, “non sono accessibili le informazioni in possesso di una pubblica
amministrazione che non abbiano forma di documento amministrativo, salvo quanto previsto dal decreto
legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in materia di accesso a dati personali da parte della persona cui i dati
si riferiscono”.
[12]
Così
recita
l’art.
16,
co.
1:
Il
diritto
di
accesso
è
escluso:
a) per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge 24 ottobre 1977, n. 801, e successive
modificazioni, e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal
regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del
presente
articolo;
b) nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano;
c) nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta all'emanazione di atti normativi,
amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari
norme
che
ne
regolano
la
formazione;
d) nei procedimenti selettivi, nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di
carattere psico-attitudinale relativi a terzi.
[13] Tale comma così dispone: Con regolamento, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge
23 agosto 1988, n. 400, il Governo può prevedere casi di sottrazione all'accesso di documenti
amministrativi:
a) quando, al di fuori delle ipotesi disciplinate dall'articolo 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, dalla
loro divulgazione possa derivare una lesione, specifica e individuata, alla sicurezza e alla difesa
nazionale, all'esercizio della sovranità nazionale e alla continuità e alla correttezza delle relazioni
internazionali, con particolare riferimento alle ipotesi previste dai trattati e dalle relative leggi di
attuazione;
b) quando l'accesso possa arrecare pregiudizio ai processi di formazione, di determinazione e di
attuazione
della
politica
monetaria
e
valutaria;
c) quando i documenti riguardino le strutture, i mezzi, le dotazioni, il personale e le azioni strettamente
strumentali alla tutela dell'ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità con
particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle fonti di informazione e alla
sicurezza dei beni e delle persone coinvolte, all'attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle
indagini;
d) quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche,
gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario,
professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi
dati
siano
forniti
all'amministrazione
dagli
stessi
soggetti
cui
si
riferiscono;
e) quando i documenti riguardino l'attività in corso di contrattazione collettiva nazionale di lavoro e gli
atti interni connessi all'espletamento del relativo mandato.
[14] Art. 16, co. 7: Deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi
la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di
documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l'accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente
indispensabile e nei termini previsti dall'articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso
di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale".
[15] Clarich, Diritto di accesso e tutela della riservatezza: regole sostanziali e tutela processuale, in Dir.
proc. amm., 1996.
[16] L’obbligo di motivazione del segreto comporta il passaggio da una concezione soggettiva e personale
del segreto amministrativo (basata sul soggetto che detiene la notizia), ad una concezione oggettiva e
reale (basata sul tipo di notizia o sul contenuto del documento amministrativo), più rispondente ai
principi che devono informare l’agire dell’amministrazione in un moderno stato di diritto.
[17] In tal senso si esprimeva l’art. 24 che escludeva l’accesso “per i documenti coperti da segreto di
stato ai sensi dell’articolo 12 della legge 24 ottobre 1877, n. 801, nonché nei casi di segreto o di divieto
di divulgazione altrimenti previsti dall’ordinamento”; principio sostanzialmente confermato, anche se
meglio circoscritto e definito, dalla nuova formulazione.
[18] Cons. Stato, n. 5105, 2000; Cons. Stato, n. 1893, 2001.
[19] Cfr. in dottrina Caranta-Ferraris, La partecipazione al procedimento amministrativo, Milano, 2000.
[20] Anche sotto la vigenza della vecchia formulazione di tale norma, si sosteneva che il diritto di accesso
era riconosciuto, nel nostro ordinamento, in termini molto vasti: si affermava, così, che anche se non si
era dato vita ad una azione popolare -dal momento che l’accesso non era riconosciuto a tutti, ma “a
chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti”-, era pur sempre vero che
l’ordinamento riconosceva la legittimazione a prescindere da questioni di cittadinanza o soggettività
giuridica.
[21] Proprio la genericità dell’istanza è stato uno dei motivi che ha indotto il T.A.R. del Lazio a
disconoscere il diritto di accesso nella decisione 308/05: “L’istanza si appalesa del tutto generica e
indeterminata, sia nella sua formulazione, che nella giustificazione dell’interesse strumentale fatto
valere, proponendosi oltre il limite di tale interesse che deve essere specificato con riferimento ai singoli
atti. … Risulta evidente che la esibizione di tutti gli atti…non può ritenersi rispondente ai requisiti
stabiliti per l’esercizio del diritto di accesso dagli art. 21 e ss. della legge n. 241/90”.
In senso conforme, cfr. da ultimo T.A.R. Lazio, n. 153, 2005; T.A.R. Lazio, n. 168, 2005.
[22] Cons. Stato, n. 127, 2004.
[23] Fino a pochi anni fa, il diritto alla riservatezza non era enunciato in modo specifico nel nostro
ordinamento, ma lo si poteva evincere solamente da principi giuridici generali, di rango costituzionale,
quali i diritti fondamentali dell’uomo tutelati dall’art. 2 della Costituzione. Del resto, la domanda di
riservatezza si concretava soprattutto in una richiesta di protezione dalle indebite intrusioni di terzi in
ciò che accadeva all’interno delle mura domestiche.
[24] Cfr. in dottrina Cirillo (a cura di), Il codice sulla protezione dei dati personali, Milano, 2004; Id., La
tutela della privacy nel sistema del nuovo codice sulla protezione dei dati personali, Padova, 2004.
[25] Grazie ai nuovi strumenti disponibili, che consentono una più marcata velocizzazione di trasmissione
e circolazione dei dati, nonché tecniche sempre più evolute nella divulgazione degli stessi, è, infatti, ora
possibile raccogliere, confrontare e convogliare dati, i quali, anche se singolarmente esaminati
presentano una rilevanza in sé limitata, possono, considerati unitariamente, acquistare un significato
molto
più
pregnante
ed
incisivo.
In tal modo, è possibile fondere e raffrontare tra loro posizioni individuali, cogliendo non solo il senso ed
il significato intimo di una singola situazione in sé considerata, ma anche la proiezione della stessa
nell’ambito di altre singole situazioni simili o contrapposte, nonché nel contesto più generale
dell’insieme. Da ciò consegue la ovvia possibilità di dare vita a palesi discriminazioni ed esclusioni a
danno di coloro che non si conformano ai modelli prevalenti, e che non si pongono in linea con le
previsioni e gli orientamenti dei comportamenti dettati dal “nuovo regime”.
[26] Si tratta del cd. diritto all’autodeterminazione informativa elaborato dalla Corte costituzionale
tedesca, richiamato altresì dal Garante della privacy nella relazione del 9 febbraio 2005.
[27] Viene sancito, innanzitutto, che “chiunque ha diritto alla protezione dei dati personali che lo
riguardano” (art. 1); che il trattamento dei dati personali deve svolgersi “nel rispetto dei diritti e delle
libertà fondamentali, nonché della dignità dell’interessato, con particolare riferimento alla riservatezza,
all’identità personale e al diritto alla protezione dei dati personali” (art. 2, co. 1); che nel trattamento
di dati personali bisogna assicurare “un elevato livello di tutela dei diritti e delle libertà… nel rispetto dei
principi di semplificazione, armonizzazione ed efficacia delle modalità previste per il loro esercizio da
parte degli interessati, nonché per l’adempimento degli obblighi da parte del titolare del trattamento”
(art. 2, co. 2); che “i sistemi informativi e i programmi informatici sono configurati riducendo al minimo
l’utilizzazione di dati personali e di dati identificativi, in modo da escludere il trattamento quando le
finalità perseguite nei singoli casi possono essere realizzate mediante, rispettivamente, dati anonimi od
opportune modalità che permettono di identificare l’interessato solo in caso di necessità” (art. 3).
[28] Viene così data la definizione di trattamento, comunicazione e diffusione; di dato personale,
identificativo, sensibile, giudiziario ed anonimo; di titolare, responsabile, incaricato ed interessato; di
blocco e banca dati.
[29] Fonte, Principi applicabili al trattamento dei dati sensibili, in Cirillo (a cura di), Il Codice… cit.
[30] Fici-Pellecchia, Il consenso al trattamento, in Pardolesi (a cura di), Diritto alla riservatezza e
circolazione dei dati personali, Milano, 2003; Votano, Regole ulteriori per privati ed enti pubblici
economici; in Cirillo (a cura di), Il codice… cit.
[31] La vecchia formulazione dell’art. 24, co. 2, così recitava: “Il governo è autorizzato ad emanare… uno
o più decreti intesi a disciplinare le modalità di esercizio del diritto di accesso e gli altri casi di
esclusione
del
diritto
di
accesso
in
relazione
alle
esigenze
di
salvaguardare:
la
sicurezza,
la
difesa
nazionale
e
le
relazioni
internazionali;
la
politica
monetaria
e
valutaria;
l’ordine
pubblico
e
la
prevenzione
e
repressione
della
criminalità;
la riservatezza dei terzi, persone, gruppi ed imprese, garantendo, peraltro agli interessati la visione degli
atti relativi ai procedimenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i
loro interessi giuridici”.
[32]Lugaresi, Il trattamento dei dati nella pubblica amministrazione; in Monducci-Sartor (a cura di), Il
codice in materia di dati personali –Commentario sistematico al D. Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, Padova,
2004.
[33] Caringella, Riservatezza ed accesso. I rapporti tra la legge n. 241/1990 e legge n. 675/1996, in tema
di tutela dei dati personali; in Caringella-Garofoli-Sempreviva, L’accesso ai documenti amministrativi,
Milano, 1999.
[34] Pozzato, Principio di pubblicità e dirito di accesso alla luce della l. n. 241 del 1990, in Riv. Amm.,
1994. In giurisprudenza Cons. Stato, n. 518, 1999; Cons. Stato, n. 115, 1998; T.A.R. Campania, n. 475,
1995.
[35] Cons. Stato, n. 1085, 1995.
[36] Cons. Stato, n. 12, 1995.
[37] Imperiali-Imperiali, La tutela dei dati personali, Milano, 1997; Giannantonio-Losano-Zeno Zencovich,
La tutela dei dati personali, Torino, 1997. In giurisprudenza T.A.R. Lazio, n. 1968, 1998.
[38] Limonati, L’accesso amministrativo e la tutela della riservatezza, in Quaderni del Dipartimento di
Scienze Giuridiche dell’Università di Trento, 2002.
[39] Buttarelli, Banche dati e tutela della riservatezza, Milano, 1998.
[40] Pardolesi (a cura di), Diritto alla riservatezza… cit.
[41] Cons. Stato, n. 1725, 1998; Cons. Stato, n. 193, 2001.
[42] Cons. Stato, n. 1248, 1999; Cons. Stato, n. 737, 2000.
[43] Cons. Stato, n. 59, 1999. In dottrina Cirillo, Diritto all’accesso e diritto alla riservatezza: un difficile
equilibrio mobile, in www.giustizia-amministrativa.it
[44] Cons. Stato, n. 1882, 2001; Cons. Stato, n. 2542, 2002.
[45] La cd. tutela modale delle esigenze di riservatezza, espressamente prevista dal legislatore, si
poneva come l’unica via possibile di bilanciamento tra i contrapposti interessi (eccetto che nei casi in cui
la richiesta di accesso riguardasse dati attinenti alla vita sessuale ed alla salute).
[46] Salzano, I diritti dell’interessato, in Monducci-Sartor (a cura di), Il Codice… cit.
[47] Cons. Stato, n. 14, 2004.
LAURA LAMBERTI
Il diritto di accesso ai documenti amministrativi dopo la legge 15/2005
Sommario: 1.Premessa; 2. Le questioni controverse in tema di accesso ai documenti amministrativi
prima della novella del 2005; 3. Il nuovo testo dell’art. 22: le definizioni del I comma; 3.1. (segue)
il diritto di accesso; 3.2. (segue) I soggetti legittimati; 3.3. (segue) I controinteressati; 3.4. (segue)
L’oggetto dell’accesso ed i soggetti deputati a garantirlo; 4. Accesso ai documenti e livelli
essenziali delle prestazioni; 5. I regolamenti di attuazione.
1. Premessa
L’introduzione nel nostro ordinamento di una disciplina generale[1] in materia di accesso ai documenti
amministrativi è stata realizzata con le previsioni del capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241[2]. A
quindici anni di distanza questa parte della legge sul procedimento, che come è noto avrebbe dovuto
essere oggetto di un autonomo intervento normativo, viene ora in larga misura modificata ed alcuni suoi
articoli, come quello in esame, completamente riscritti. La legge 15/2005, in particolare, sostituisce la
precedente versione dell’art. 22 con una nuova previsione il cui contenuto è per la maggior parte
costituito da “precipitati” giurisprudenziali. Fin dalla sua introduzione, infatti, la normativa contenuta
negli artt. 22 e seguenti è stata oggetto di continui interventi della giurisprudenza intesi a chiarire la
portata, la natura e i limiti del diritto di accesso, interventi che, per verità, sono giunti a conclusioni
raramente concordanti ed univoche. Come accade in ogni soluzione divenuta ormai satura, peraltro,
alcuni orientamenti, non sempre quelli auspicati, sono appunto “precipitati” ed il legislatore li ha
trasfusi in precetti normativi.
Se il dibattito dottrinario e giurisprudenziale appena iniziato riconoscerà in essi coerenza ed equilibrio
con le disposizioni generali in tema di attività amministrativa e con i precetti costituzionali, la scelta sarà
stata felice. In contraria ipotesi la scelta operata non solo avrà fallito l’obiettivo ma, per di più,
costituirà ragione di autonomo impedimento alla migliore evoluzione della materia. A seguito della
riforma introdotta dalla legge 15, infatti, il quadro normativo di riferimento assume oggi una trama molto
stretta nella quale sarà difficile muoversi per condurre quell’attività maieutica e di inveramento dei
precetti normativi così abituale nella dottrina e nella giurisprudenza amministrativa. D’altro canto le
perplessità circa la possibilità di un’applicazione ragionevolmente serena e conforme a concordi opinioni
della dottrina derivano dall’esperienza pregressa fin qui formatasi sul tema dell’accesso ai documenti,
esperienza che dimostra le grandi difficoltà incontrate dall’interprete nell’applicazione dei principi
teoricamente incontestabili ma che hanno non di meno alimentato vivaci contrasti circa la loro reale
portata. D’altronde, se è vero che le riforme normative più che essere commentate (o contestate)
devono essere rispettate ed applicate è vero anche che quando il legislatore opera interventi di
“aggiustamento” su temi caldi può suscitare qualche perplessità quando, come nella specie, la materia
anziché sufficientemente sedimentata appare ancora non tranquilla e pronta a reagire.
2. Le questioni controverse in tema di accesso ai documenti amministrativi prima della novella del 2005;
La legge 241/1990 è unanimemente riconosciuta come svolta fondamentale nella democratizzazione dei
rapporti tra amministrazione e cittadini, rispetto alla quale un ruolo centrale è stato svolto dall’istituto
dell’accesso ai documenti amministrativi. Con le previsioni contenute negli artt. 22 e seguenti, infatti, si
rompe con la tradizione del segreto amministrativo[3], che aveva rappresentato fino a quel momento la
regola, per onorare un nuovo valore nelle relazioni con le pubbliche amministrazioni costituito dalla
trasparenza[4]. E’ stato in proposito evidenziato come il principio di trasparenza non rappresenti un
preciso istituto giuridico ma piuttosto un modo d’essere dell’Amministrazione[5], un risultato alla cui
realizzazione sono diretti istituti diversi tra i quali, appunto, quello dell’accesso ai documenti[6].
Si tratta di un principio fortemente avvertito anche nell’ordinamento comunitario ed in esso
definitivamente consacrato nel trattato istitutivo della Costituzione europea. Gli artt. I-50[7] e II-102[8],
infatti, affermano il compito delle istituzioni, organi e organismi dell’Unione di operare nel modo più
trasparente possibile nonché il diritto di accesso ai documenti[9].
Quello che rappresenta, quindi, un sicuro passo avanti nell’evoluzione giuridica ha tuttavia determinato,
fin dalla sua introduzione nel nostro ordinamento, problemi interpretativi. Si è posto ad esempio il tema
del rapporto con le disposizioni in materia di accesso contenute nella stessa legge 241, nella parte
dedicata alla partecipazione al procedimento[10], nonché in altre fonti normative, prima fra tutte, la
coeva legge 142/1990. A tale ultimo proposito è noto che la formulazione dell’articolo 22
definitivamente approvata nel 1990 si discosta da quella originariamente proposta dalla Commissione
Nigro, che aveva optato per una trasparenza completa, un diritto di accesso aperto a tutti attraverso
l’azione popolare già introdotta dall’art. 7 della L. 142/1990 (oggi trasfuso nell’art. 10 del d. lgs.
267/2000) per gli atti dei Comuni e delle Province[11].
Altra vexata quaestio è quella relativa alla qualificazione della natura giuridica del diritto di accesso che
secondo larga parte della giurisprudenza e molte voci della dottrina non può essere ricondotta al nomen
iuris utilizzato dall’art. 22 ma deve essere invece riferito alla categoria dell’interesse legittimo.
Connesso a tale tema è poi quello che concerne il corretto inquadramento della legittimazione
all’accesso e le differenti ricostruzioni che di tale categoria sono state fornite dalla giurisprudenza.
Ultima questione, ma solo nella elencazione, è poi quella del difficile rapporto tra diritto di accesso e
tutela della privacy, rispetto alla quale si è assistito al susseguirsi di interventi legislativi e
giurisprudenziali volti ad individuare un non conseguito punto di equilibrio tra i due contrapposti valori.
Tutti questi temi, ancora vivacemente dibattuti prima che la riforma entrasse in vigore, devono essere
riesaminati alla luce della novella legislativa nell’intento di verificare, ove possibile, se tutti o almeno
alcuni di essi risultino dalla novella stessa risolti o quanto meno reimpostati.
3. Il nuovo testo dell’art. 22: le definizioni del I comma
Il nuovo articolo 22 della legge 241, riscritto dalla legge 15/2005, utilizza la tecnica legislativa delle
definizioni largamente impiegata in ambito comunitario e recentemente molto in uso anche da parte del
legislatore italiano. E’ stato in proposito evidenziato[12] che si tratta di definizioni con impatto
normativo innovativo, che non si limitano, cioè, ad operare una ricognizione di precetti altrove stabiliti
ma che recano esse stesse norme sostanziali.
Prima di esaminare le singole definizioni, rileva una preliminare osservazione circa l’intellegibilità della
norma in parola che, a prima lettura, nonostante lo schema redazionale definitorio che utilizza, non
appare di completa chiarezza dal momento che non reca alcuna indicazione in ordine al contenuto
dell’istituto dell’accesso, contenuto che il lettore non trova esplicitato e deve ricostruire attraverso le
definizioni relative alla portata e ai (nuovi) limiti dei diversi elementi coinvolti nel tema. Unico quanto
laconico riferimento al contenuto è operato nel III comma dell’articolo 22 per il quale tutti i documenti
amministrativi sono accessibili, ad eccezione di quelli indicati all'articolo 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6
Una ulteriore notazione va poi fatta in relazione all’ambito di operatività (il presente capo) che la norma
assegna alle nozioni che definisce. Si tratta di limitazione, invero, poco coerente dal momento che quelle
in esame, come detto, non sembrano essere definizioni non precettive tanto più perchè all’istituto
dell’accesso si fa riferimento anche nel diverso capo dedicato alla partecipazione (art. 10) per il quale
devono considerarsi valevoli almeno alcune delle nozioni qui definite[13]. D’altro canto, poi, la disciplina
recata dall’art. 22 rappresenterà, per sua espressa previsione, il parametro minimo di tutela garantita a
tutti i cittadini nei confronti di qualsiasi amministrazione in materia di accesso.
3.1. (segue) il diritto di accesso;
Venendo alla prima definizione, essa è relativa al diritto di accesso descritto come quello degli
interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi.
Viene subito da chiedersi se, con la locuzione diritto di accesso il legislatore si sia preoccupato solo di
definire il contenuto possibile dell’istanza di accesso ovvero abbia anche sciolto il nodo relativo alla
qualificazione della posizione giuridica soggettiva della quale è portatore il soggetto richiedente. Certo
di non marginale rilievo dovrebbe ritenersi che il termine diritto viene qui usato in sede definitoria e,
dunque, con plausibile affidabilità sulla non casualità della scelta, tanto più perché operata, appunto, a
valle del dibattito dottrinario e giurisprudenziale che, sul punto, ha tenuto campo per quindici anni.
Ancorché, peraltro, nel primo alinea compaia due volte la parola diritto, tale circostanza non può essere
ritenuta ex se risolvente, tanto meno alla luce delle pregresse esperienze.
Come è noto, infatti, è terreno questo che ha registrato, negli anni, ampio ed irrisolto contrasto. Mentre
in primo tempo è risultata prevalente[14] la ricostruzione del diritto di accesso in termini di diritto
soggettivo, successivamente numerose pronunce hanno sostenuto la natura di interesse legittimo[15]. A
favore della prima tesi sono stati richiamati, oltre al dato letterale inequivoco, la considerazione che
l’amministrazione, nel decidere in ordine all’ostensione o meno dei documenti richiesti, non debba fare
applicazione di parametri valutativi. La p.a. deve esclusivamente verificare la sussistenza della
situazione legittimante e la mancanza di cause ostative, senza poter condizionare la sua risposta a
valutazioni discrezionali. Ancora, la possibilità per l’amministrazione di adottare regolamenti al fine di
disciplinare l’accesso nel dettaglio, viene considerato fattore ininfluente poiché nel momento in cui la
richiesta viene presentata il quadro normativo al quale l’amministrazione è vincolata risulta definito
(dalla legge e dal regolamento) con conseguente inesistenza di margini di discrezionalità. Ulteriore indice
della natura di diritto soggettivo viene poi identificato nella possibilità, di ripresentare l’istanza di
accesso anche dopo l’inutile decorso del termine di trenta giorni per ricorrere avverso il diniego o il
silenzio dell’amministrazione. Quanto agli aspetti processuali, si è ritenuto che l’affidamento delle
controversie in materia di accesso al giudice amministrativo rappresenti un’ipotesi di giurisdizione
esclusiva[16] che ben può essere desunta dall’affidamento all’A.G.A. della cognizione su diritti soggettivi
a prescindere dall’utilizzazione del relativo nomen iuris. Sempre sotto il profilo processuale, a
corroborare la tesi dell’accesso come diritto soggettivo, viene poi evidenziato il potere del giudice
amministrativo, in sede di sindacato del rifiuto di rilascio, di ordinare alla P.A. l’ostensione del
documento e, dunque, un facere. La tesi della configurazione dell’accesso come interesse legittimo
muove da opposte ricostruzioni che, esaltando il ruolo di filtro necessario proprio dell’amministrazione
rispetto alla richiesta del privato, ritengono che l’ordinamento non tuteli direttamente il conseguimento
di un bene della vita (conoscenza dell’attività amministrativa) ma lo condizioni, appunto, all’esercizio di
un potere da parte dell’amministrazione. Questa corrente giurisprudenziale, pur non pacifica[17], ha
ricevuto l’autorevole avallo dell’Adunanza Plenaria[18] che, affrontando il tema della necessità o meno
della completezza del contraddittorio in un giudizio di accesso coinvolgente anche la riservatezza di
terzi, ha esaminato il problema della natura giuridica dell’accesso risolvendolo in favore della sua
riconduzione alla categoria dell’interesse legittimo. La Plenaria ha ritenuto che il termine diritto riferito
all’accesso sia stato utilizzato dal legislatore in senso atecnico e che, leggendolo alla luce della norma
che prescrive il termine perentorio per la proposizione del ricorso avverso il diniego di accesso, questo
non può che essere considerato come un interesse legittimo. Anche dopo la pubblicazione della indicata
sentenza non sono mancate, peraltro, voci contrarie in giurisprudenza[19] oltre che in dottrina[20], che
hanno perseverato nel qualificare quello all’accesso come diritto.
In costanza di un così radicale dissenso ed in assenza di dati testuali risolventi, al fine di prospettare
un’opinione sul tema contrastato, occorre muovere da qualche premessa. Il diritto di accesso, secondo
quanto recita il secondo comma dell’articolo in commento, attese le sue rilevanti finalità di pubblico
interesse, costituisce principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione
e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza, ed attiene ai livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi
dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. Non potrebbe, dunque, essere più
evidente la doppia prospettiva alla quale l’istituto si presta e la conseguente necessità che la sua
definizione conservi coerenza con l’indicata ambivalenza: quella pubblicistica, che fa dell’accesso
strumento per la qualificazione dell’attività amministrativa, esigenza questa, rispetto alla quale la
posizione giuridica del richiedente l’accesso si può ritenere addirittura indifferente, essendo centrale il
solo effetto migliorativo che sulla funzione deriva dalla prevista possibilità di iniziative di accesso; quella
privatistica, che attiene alla ragione che muove all’accesso il richiedente il quale sicuramente non è
interessato all’effetto migliorativo dell’attività amministrativa indotto dalla sua iniziativa, se non nei
limiti della ricaduta favorevole che la stessa potrà avere nei suoi personali confronti. L’indicata
ambivalenza è già essa generatrice di incertezza in ordine alla qualificazione della posizione giuridica
soggettiva del richiedente che si colora come più vicina a quella dell’interesse legittimo nel primo caso
ed al diritto soggettivo nel secondo. D’altro canto quest’ultima qualificazione sembra supportata dalla
circostanza che per l’articolo 22 l’istituto attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali. Non che i diritti civili e sociali non possano comprendere posizioni di interesse
legittimo ma il riferimento sembra voler ricondurre l’istituto alla costruzione, in testa al richiedente, di
un patrimonio giuridico certo, non esposto a esercizio di discrezionalità amministrativa. In proposito
occorre ricordare l’interpretazione fornita dalla Corte costituzionale in relazione alla lett. m) dell’art.
117, comma 2. La Consulta[21] ha infatti chiarito che “non si tratta di una «materia» in senso stretto, ma
di una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il
legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio
nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la
legislazione regionale possa limitarle o condizionale.”
Sempre in tale direzione, d’altra parte, non manca un ulteriore indice di inequivoco affidamento. Lo si
rinviene nel comma 7 dell’art. 24[22] che stabilisce la necessità di garantire l’accesso ai documenti la cui
conoscenza è necessaria per curare o difendere i propri interessi giuridici. Quel deve comunque esser
garantito non appare conciliabile con una posizione di interesse legittimo ed induce a ritenere che ogni
pur complessa attività applicativa non potrà mai smarrire la sua natura di attività meramente
dichiarativa della sussistenza di presupposti e condizioni normative in costanza delle quali il diritto di
accesso trova attuazione.
Se queste sono le conclusioni che sembra potersi trarre dall’esame delle disposizioni summenzionate si
devono considerare altre norme che forniscono segnali non univoci.
L’articolo 24, comma 2, stabilisce, che le singole pubbliche amministrazioni individuano le categorie di
documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all'accesso ai sensi del
comma 1; mentre il comma 6, afferma che Con regolamento, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 2,
della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Governo può prevedere casi di sottrazione all'accesso di documenti
amministrativi:…
In relazione alla prima disposizione sembra chiaro che si tratti di un’attività meramente ricognitiva
nell’esercizio della quale non possono riconoscersi margini di valutazione alle singole amministrazioni
Quanto alla previsione del comma 6, si rileva la difficoltà di conciliare, con la configurazione di un diritto
soggettivo, l’attribuzione al Governo della possibilità di regolamentare - anche se fortemente limitata
dalla tassatività delle ipotesi in cui è possibile escludere l’accesso – che implica l’esercizio di una
discrezionalità dal quale può restare condizionata l’esistenza o meno del diritto (an).
A tali propositi si può peraltro osservare che, se è vero che l’esercizio del potere conferito si correla a
posizioni d’interesse legittimo, vero è anche, che una volta che l’esercizio sia intervenuto, si definisce un
quadro di riferimento certo che non consente alcuna discrezionalità in sede di applicazione.
In tale ottica anche il quarto comma dell’art. 24 per il quale l’accesso ai documenti amministrativi non
può essere negato ove sia sufficiente fare ricorso al potere di differimento lungi dal militare a favore
della natura di interesse legittimo costituisce conferma di quella di diritto. Il quarto comma, infatti,
interviene per affermare che anche quando il diritto di accesso non sussiste (per la concorrenza delle
ragioni ostative nello stesso articolo regolate) la pubblica amministrazione non può neanche allora negare
l’accesso quando possa rinviare l’adempimento al previsto venir meno delle ragioni ostative e, dunque, al
sorgere del diritto di accesso. Il diritto di accesso, infatti, è escluso nei soli casi previsti dal comma 1
dell’art. 24 ovvero nelle ipotesi previamente individuate dal regolamento governativo nei casi
tassativamente previsti dal comma 6 e solo in questi dunque può essere negato.
In siffatta complessità dei dati condizionanti l’indagine e le possibili conclusioni può allora divenire
determinante la ricerca del denominatore comune di tutte le norme fin qui esaminate, a cominciare dalla
Costituzione e dalle sue inderogabili esigenze, per andare poi alle norme primarie, a quelle secondarie,
ai correlati poteri degli enti locali. In tale ottica appare allora prevalente la considerazione che tutte
dette norme sono generatrici di un sistema nel quale l’esercizio del potere discrezionale non è mai
presente in sede applicativa laddove si tratti, cioè, di consentire o negare l’accesso nel concreto.
Essendo l’istanza di accesso correlata a posizioni di assoluto rilievo, anche costituzionalmente tutelate,
posizioni che sono in coincidenza con un rilevante interesse pubblico all’attuazione della migliore attività
amministrativa e possono essere in concorrenza con le posizioni di terzi assistite da analoga e
contrapposta tutela, il sistema esclude che la scelta sia nelle mani dell’amministrazione attiva. Questa è
ammessa, talora e soltanto, a concorrere alla creazione del sistema con scelte, rispetto alle quali gli
interessati si troveranno in una posizione di interesse legittimo tutelabile con i rimedi impugnatori
innanzi all’A.G.A.[23]. Ma una volta definito il quadro normativo di riferimento, le norme hanno un tale
indice di definizione e talmente confinano l’attività discrezionale in ambiti necessari e temporalizzati,
propri della attività vincolata, che la posizione giuridica degli interessati ne resta qualificata come di
diritto soggettivo.
Sembra insomma doversi trarre dal quadro normativo la con stazione che la legge non lasci margini di
valutazione discrezionale, né tanto meno di opportunità, ai singoli funzionari chiamati ad adempiere ad
una richiesta di accesso. Il funzionario infatti, dinanzi alla richiesta dovrà in primo luogo verificare se
l’atto rientri nelle ipotesi di esclusione di cui all’art. 24 comma 1. Nel fare ciò potrà essere agevolato
dall’eventuale opera di ricognizione eventualmente svolta dalla sua amministrazione ai sensi del comma
2. Dovrà poi anche assodare che il documento richiesto non rientri in un’ipotesi di esclusione
“facoltativa” che il regolamento governativo abbia potuto disciplinare. In entrambi i casi, il funzionario
dovrà negare l’accesso rilevando che il diritto di accedere non sussiste in quanto escluso dalle riscontrate
cause. Appare evidente che in una circostanza simile non ci si trova dinanzi ad un’incisione di un diritto
preesistente ad opera di un potere amministrativo idoneo a “degradarlo”[24] a posizione di interesse
legittimo ma semplicemente all’accertamento da parte del funzionario che tale diritto non sussiste. E vi
è di più perchè nel caso in cui la causa di esclusione ha una durata temporalmente limitata, il funzionario
non potrà limitarsi a rilevare la sua insussistenza al momento della richiesta ma dovrà onerarsi di far
accedere il soggetto nel momento in cui il suo diritto nasce e cioè quando è terminato il periodo di
sussistenza della causa di esclusione.
A tale proposito non può, infine, omettersi di ricordare che mentre è indiscussa la natura di interesse
legittimo della posizione in cui si trova il privato rispetto ad un’attività discrezionale della pubblica
amministrazione, controversa è la sua qualificazione in ordine all’esercizio da parte della p.a. di
un’attività vincolata. Sul punto, alla tesi[25] per la quale anche l’esplicazione di un’attività interamente
vincolata costituisce esercizio di un potere al quale corrisponde necessariamente una posizione di
interesse legittimo si contrappone quella per la quale all’attività vincolata non corrisponderebbe
esercizio di poteri autoritativi [26].
Si ricorda, inoltre, la teoria fondata sulla necessità di indagare quale sia l’interesse che la norma
disciplinante l’azione amministrativa intenda tutelare in via primaria. Nell’ipotesi in cui l’interesse
primariamente tutelato è pubblico, anche quando l’Amministrazione non conserva margini di
discrezionalità, la posizione che si oppone all’esercizio della sua attività è da considerarsi di interesse
legittimo mentre sarà di diritto soggettivo tutte le volte che l’interesse primariamente tutelato sia quello
del privato[27].
In relazione al diritto di accesso, come precedentemente evidenziato, la norma si caratterizza per una
forte ambivalenza, rispetto alla quale, appare difficile considerare preminente il suo rilievo pubblicistico
a discapito di quello civilistico e viceversa.
Si può tuttavia utilizzare un diverso angolo visuale in base al quale perché possa ritenersi che dall’attività
vincolata dell’amministrazione derivi una posizione di diritto soggettivo è necessario verificare il
contenuto precettivo della norma che impone all’amministrazione un determinato comportamento. Se vi
è un collegamento tra il comportamento previsto dalla norma come doveroso per l’amministrazione e la
posizione del soggetto ad ottenerlo (collegamento possibile e frequente ma non necessario e automatico)
in tal caso il comportamento sarà per l’amministrazione obbligatorio oltre che doveroso[28] e la
posizione del soggetto dovrà qualificarsi di diritto soggettivo. Nel caso in esame, per tutte le ragioni
testé dette, tale collegamento sembra sussistere sicché l’attività della p.a. di ammissione del
richiedente all’accesso, al concorrere delle condizioni previste dal quadro normativo definito, resterebbe
qualificata, appunto, come obbligatoria oltre che doverosa.
Si deve, infine segnalare che la legge14 maggio 2005, n. 80[29] ha stabilito, all’art. 3 comma 6-decies,
una modifica dell’art. 25 della legge 7 agosto 1990, n. 241 consistente nell’aggiunta, in fine del periodo:
“Le controversie relative all’accesso ai documenti amministrativi sono attribuite alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo”. Tale novità legislativa dovrebbe rappresentare la definitiva
conferma, da parte del legislatore, dell’attribuzione all’accesso ai documenti della natura di diritto
soggettivo. Il condizionale è indotto, però, dalla recente “riscrittura”, operata dalla Corte costituzionale,
nella sentenza 204 del 2004[30], delle norme sulla giurisdizione esclusiva in considerazione del fatto che
la pronuncia della Corte fonda sul presupposto teorico per il quale il legislatore ordinario può ampliare
l’area della giurisdizione esclusiva purché lo faccia con riguardo a materie che, in assenza di tale
previsione, sarebbero pur sempre ascritte alla giurisdizione generale di legittimità in quanto vi opera la
pubblica amministrazione-autorità. Seguendo quindi l’impostazione della Corte l’attribuzione
dell’accesso alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dovrebbe condurre alla conclusione
esattamente opposta.
3.2. (segue) I soggetti legittimati;
La lettera b) del primo comma dell’art. 22 definisce gli interessati individuandoli in tutti i soggetti
privati compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto,
concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento
al quale è chiesto l’accesso.
La lettera si presta a considerazioni su uno dei temi più tormentati tra quelli connessi alla normativa
sull’accesso, quello della legittimazione del richiedente.
Di esso in qualche modo si è marginalmente parlato in sede di esame della lettera a). Si può qui
aggiungere che anche a tale proposito il legislatore sembra aver operato una scelta nel senso di
accentuare la presa di distanza dall’idea di Nigro, dell’accesso come azione popolare[31].
Quanto all’interesse ad accedere, l’art. 15 della L. 15/2005, infatti, sostituisce la formulazione
originaria, introdotta dall’art. 22 della L. 241/1990 e completata dall’art. 2 del D.P.R. 27 giugno 1992, n.
352, con altra di taglio decisamente jus-processualistico nella quale compare il lessico tradizionalmente
utilizzato per definire l’interesse a ricorrere. In particolare la nuova formulazione, per qualificare
l’interesse all’accesso, oltre ai requisiti dell’essere personale, diretto e concreto, aggiunge anche quello
della sua attualità completando, appunto, in tal modo, il paradigma dei requisiti qualificanti l’interesse a
ricorrere[32].
E’ appena il caso qui di aggiungere che l’interesse del quale si richiede l’attualità nella lettera in
commento è, appunto, quello all’accesso e dipende dalla titolarità da parte del richiedente di una
situazione giuridicamente rilevante, non dalla lesione del patrimonio giuridico del quale il richiedente è
titolare che sia determinata dai provvedimenti oggetto di accesso, lesione che, dunque, ben può mancare
del tutto ovvero non essere ancora intervenuta[33].
L’interesse all’accesso deve poi essere corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e
collegata al documento al quale è chiesto l’accesso. Si tratta dell’ovvio corollario della scelta di
escludere l’azione popolare, scelta già operata nel 1990. Da qui discende, infatti, la necessità di
attribuire un contenuto differenziato alla posizione propria del richiedente, distinta, cioè da quella della
generalità dei consociati.
Sul punto, peraltro, partendo da posizioni restrittive orientate a riconoscere l’accesso solo in funzione
della tutela di situazioni giuridiche soggettive del richiedente qualificate come di interesse legittimo[34],
la giurisprudenza ha poi aperto al riconoscimento dell’accesso in ragione della titolarità di interessi
legittimi quand’anche non oggetto di alcuna intervenuta lesione per poi approdare a soluzioni che
ammettono le situazioni di aspettativa e di interesse diffuso.
Il legislatore ha recepito l’indicata evoluzione e l’ha trasfusa nella norma in commento nella quale, a
sintesi tra le tesi come sopra rappresentate, si fa espresso riferimento a situazioni di interesse diffuso
come idonee a legittimare il portatore all’esercizio del diritto di accesso.
Quanto alla qualificazione dell’interesse ad accedere, la legge, oltre a richiederlo caratterizzato dai
requisiti testé indicati ne postula, come detto, la necessaria corrispondenza ad una situazione
giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso.
In proposito va fatta, intanto, la considerazione che, per tal via, il legislatore rinuncia alla elaborazione
di una disciplina legislativa di immediata e diretta applicazione per approdare ad una formula che, per la
concreta realizzazione del diritto di accesso, postula un’attività della P.A. non limitata alla materiale
applicazione ma estesa ad una analisi circa la ricorrenza di requisiti e condizioni e perciò di non facile
esecuzione e tale da rendere probabile la verifica giudiziaria.
Se a tal punto si considera che la qualificazione dell’accesso quale diritto esclude la ipotizzabilità
dell’esercizio, in materia, di qualunque potere discrezionale da parte della P.A., segue che il quadro
normativo di riferimento dovrebbe essere di definizione non solo completa ma anche di immediata
evidenza, ciò che non pare si possa dire con riferimento alle locuzioni richiamate. Tale circostanza se
non induce a revocare in dubbio la qualificazione dell’accesso come diritto, conduce ad interrogarsi sulla
coerenza, ragionevolezza e legittimità costituzionale del sistema.
Il tema, per vero, non è nuovo e può farsi qui riferimento anche a risalenti precedenti che dimostrano
come, quante volte, al fine di propiziare vantaggiose ricadute di verosimile miglioramento dell’azione
amministrativa, si è seguita l’opzione di escludere la qualificazione dell’interesse all’accesso in termini
strettamente processualistici senza peraltro metter capo all’azione popolare, si è generato un gravoso
percorso dottrinario e giurisprudenziale impegnato nel difficile compito di evitare che l’esclusione
dell’azione popolare non travolga il contenuto ampio dell’accesso e questo sia ricondotto
necessariamente nelle strettoie della legittimazione processuale[35].
Ci si riferisce qui, proprio in materia di accesso, all’art. 10 della legge 6 agosto 1967, n. 765 che, nel
sostituire l’art. 31 della L. 17 agosto 1942, n. 1150, consentì a chiunque di prendere visione presso gli
uffici comunali, della licenza edilizia e dei relativi atti di progetto e ricorrere contro il rilascio della
licenza edilizia in quanto in contrasto con le disposizioni di leggi o dei regolamenti o con le prescrizioni di
piano regolatore generale e dei piani particolareggiati di esecuzione. Va qui detto, per vero, che,
essendo la norma risalente a tempi nei quali non v’era l’attuale sensibilità ai temi dell’accesso che allora
assumeva rilevanza, in maniera pressoché esclusiva, in funzione strumentale per la proposizione
dell’impugnativa, non si è ovviamente avuta un’elaborazione che presupponesse la distinzione tra
legittimazione all’accesso e legittimazione all’impugnativa.
La giurisprudenza intervenne nondimeno in funzione correttiva dell’ampio significato pur desumibile
dalla lettera della disposizione pervenendo alla formula, divenuta poi tralaticia, che interpreta il
chiunque nel senso che, con l’ovvia esclusione di ogni azione popolare al riguardo, è legittimato
all’azione il proprietario di un immobile sito nella zona interessata dalla costruzione o chi si trovi in una
situazione di stabile collegamento con tale zona, senz’uopo d’ulteriore dimostrazione della sussistenza
di altra posizione legittimante alla tutela giurisdizionale[36]. Anche qui, come si vede, è emersa una
locuzione, situazione di stabile collegamento con tale zona, che, a distanza di circa quaranta anni,
ancora oggi costringe la giurisprudenza a giudizi di specie volti a stabilire se sussista o meno lo stabile
collegamento. Una sorte analoga può immaginarsi per la formula che vuole l’interesse corrispondente ad
una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso.
Per evitare siffatte conseguenze sarebbe stato necessario il ricorso ad un criterio di genere che
consentisse, cioè, l’accesso incondizionato in determinati settori e lo escludesse in altri. Un criterio
quale quello seguito quanto all’accesso a documenti in materia ambientale[37]. E’ stata in proposito
dirimente la valutazione in ordine al vantaggio che l’interesse ambientale può ricevere dalla vigilanza
concorrente dei privati ammessi ad un generalizzato accesso al quale si è, perciò, assicurata, prevalenza
sugli eventuali concorrenti interessi in materia di privacy. C’è da chiedersi se le stesse ragioni ispiratrici
non siano da riconoscere in altri ambiti di attività amministrativa, ad esempio in materia sanitaria dove
l’esclusione limitata ai dati sensibili consentirebbe un più diretto ed immediato accesso agli atti di
organizzazione sanitaria con effetti altrettanto auspicabili su di un interesse pubblico non meno
rilevante. Così anche in materia urbanistica laddove il chiunque dell’art. 10 legge 765/67 certo era
ispirato da considerazioni analoghe. Gli esempi potrebbero ovviamente moltiplicarsi. Una tale
impostazione si collocherebbe a metà tra quella oggi seguita dal legislatore italiano e quella seguita in
Francia evitando, forse, ad un tempo, l’elevata problematicità della via italiana, che ha indotto la
dottrina[38] fin dall’inizio a segnalare il rischio di una vanificazione del diritto di accedere, e la necessità
di definire infinite eccezioni come avviene quando si parta dall’affermazione di un diritto di accesso
generalizzato[39].
In realtà non ha giovato ad una tale scelta la contemporanea emersione, nella coscienza sociale, della
centralità del tema della privacy che ha indotto piuttosto, con qualche eccesso, ad un sistema più cauto
e meno tranciante, un sistema certo più garantista ma inevitabilmente più lento e problematico.
Evidente è peraltro che tale problematicità poteva e potrebbe forse ancora ridursi ma certamente non
eliminarsi in quanto l’accesso è per sua natura terreno di confronto e di possibile contrasto tra posizioni
giuridiche di assoluto rilievo.
Ci si deve a tal punto chiedere quali considerazioni suggeriscano le differenze esistenti tra la formula ora
introdotta, che assicura l’accesso a coloro che abbiano interesse diretto concreto ed attuale
corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto
l’accesso rispetto alla previgente a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente
rilevanti. Sembra emergere con chiarezza la presa di distanza dalla formula originaria orientata verso la
strumentalità dell’esercizio dell’accesso, orientamento che nel testo sostituito sembrava scolpito nella
particella per che rendeva la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti funzione dell’esercizio del
diritto di accesso[40].
Il nuovo testo, come si è visto, richiede un interesse personale, diretto, concreto ed attuale all’accesso
ma si accontenta che esso sia corrispondente ad una situazione meritevole di tutela e non chiede che il
suo esercizio intervenga in funzione di tale tutela. Richiede, ancora, che la situazione giuridicamente
tutelata sia collegata con il documento. Anche a tali ultimi propositi è verosimile immaginare un
ulteriore tormentato iter giurisprudenziale che si interrogherà sul se la situazione giuridicamente
tutelata debba tale essere in astratto od in concreto e se debba necessariamente appartenere al
richiedente, in altre parole se anche questa parte della definizione in esame debba essere scaturigine
dell’interesse e delle proprietà che la legge allo stesso richiede ovvero, fermo quell’interesse, la
circostanza che esso debba essere solo corrispondente ad una situazione meritevole di tutela crei uno
iatus in ragione del quale il giudizio sul se la situazione sia o meno meritevole di tutela possa avvenire
anche solo in astratto. Discorso analogo potrà sorgere in merito al giudizio sul collegamento tra
situazione tutelata ed il documento. Si tratterà infatti di stabilire quale intensità debba avere quel
collegamento, se debba avere rilevanza causale od anche solo occasionale, se cioè la tutela dipenda dal
documento ovvero il documento possa essere anche solo utile ai fini di tutela.
La risposta a tali domande dipenderà dalla evoluzione della dottrina e della giurisprudenza e dal
contributo che deriverà dalla evoluzione della sensibilità sociale in materia. Saranno tali evoluzioni a
tessere le maglie dello staccio per secernere accesso e privacy, valori in rapporto di inversa
proporzionalità.
Occorre, infine, far menzione dell’ipotesi nella quale ad accedere ai documenti amministrativi non siano
soggetti privati ma pubblici. L’ipotesi è disciplinata dal comma 5 dell’art. 22 che prevede la possibilità
per i soggetti pubblici di acquisire[41]documenti amministrativi. La norma in parola dopo aver richiamato
le disposizioni del T.U. sulla documentazione amministrativa, che agli artt. 43 e 44 disciplinano l’istituto
dell’accertamento d’ufficio, àncora la possibilità delle amministrazioni di acquisizione dei documenti al
di fuori di quest’ipotesi al principio di leale cooperazione istituzionale.
3.3. (segue) I controinteressati;
La lettera c) definisce controinteressati tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base
alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro
diritto alla riservatezza.
Il tema dei controinteressati è emerso in progressione, man mano che, a partire dal 1990 e cioè dalla
prima formulazione della L. 241, è maturata la sensibilità sociale sui temi dell’accesso e quello della
privacy[42]. Così, a partire da una posizione di radicale sottovalutazione della posizione dei terzi, si è
giunti alla introdotta formulazione definitoria sopra richiamata. Tra i due estremi si pone una
giurisprudenza che solo con molto ritardo ed in modo non univoco ha riconosciuto[43] l’obbligo per la
p.a. di dare avviso di avvio del procedimento di esame della istanza di accesso al terzo che vanti ragioni
di privacy. In maniera simmetrica c’è voluta formulazione al massimo livello[44] per chiarire che i ricorsi
proposti in materia di accesso ai documenti amministrativi ai sensi dell'art. 25 l. 7 agosto 1990 n. 241
vanno notificati ai controinteressati, individuabili nei soggetti interessati alla riservatezza dei documenti
richiesti con la domanda di accesso[45]. Il tema si è ovviamente intrecciato con quello della
qualificazione della posizione giuridica del richiedente l’accesso[46] e postulava un raccordo anche per il
coordinamento con previsioni pertinenti disseminate in altre fonti normative[47].
La norma in esame determina la definitiva emersione della figura del controinteressato all’accesso ai
documenti amministrativi, inteso come il soggetto titolare dell’opposto ed inconciliabile diritto alla
riservatezza.
Non tutte le incertezze, peraltro, sono state fugate. Oltre la definizione in parola, infatti, dei
controinteressati, vi è traccia solo marginale ed indiretta nel comma 5 dell’art 25, che pure reca la
disciplina relativa alle Modalità di esercizio del diritto di accesso e ricorsi, per riscrivere, sul punto, il
primo comma dell’art. 21 della l. 1034/71 come sostituito dall’art. 1 della L. 205/2000[48] e precisare
che nell’ipotesi in cui il ricorso contro le determinazioni amministrative concernenti il diritto di accesso e
nei casi previsti dal comma 4 venga proposto in pendenza di un ricorso presentato ai sensi della legge 6
dicembre 1971, n. 1034, e successive modificazioni, il ricorso può essere proposto con istanza presentata
al presidente e depositata presso la segreteria della sezione cui è assegnato il ricorso, previa notifica
all’amministrazione o ai controinteressati, e viene deciso con ordinanza istruttoria adottata in camera di
consiglio. Manca, dunque, una previsione espressa dell’onere della notifica ai controinteressati del
ricorso in materia di accesso. Era sicuramente lecito attendersi che il legislatore disciplinasse
espressamente la posizione dei controinteressati nell’articolo dedicato alla tutela del diritto di accesso.
Si tratta, come detto di un tema sul quale si è registrato un animato contrasto dottrinario e
giurisprudenziale che è stato poi risolto da una pronuncia dell’Adunanza Plenaria nella quale l’obbligo di
notifica del ricorso ad almeno uno dei controinteressati passava per la negazione della natura del diritto
di accesso come diritto soggettivo. Poiché il legislatore sembra muoversi[49] nell’opposta direzione ma
ciò nondimeno conferisce alla figura dei controinteressati un riconoscimento di grande importanza, non
sembra chiaro in che modo esso risolva tale inconciliabile contrasto. Ulteriori perplessità nascono, poi,
dall’esame delle differenze tra il testo del novellato art. 25 e quello contenuto nell’art. 21 della
L.1034/71. Scompare, intanto, la parola impugnativa per cedere il posto alla parola ricorso. Viene da
chiedersi se tale adattamento linguistico non corrisponda ad una scelta di campo a favore della tesi che
esclude natura impugnatoria al giudizio in materia di accesso per riconoscergli natura di accertamento e
di condanna nell’ambito di un’ipotesi di giurisdizione esclusiva[50]. Così ancora la sostituzione della
congiunzione e con la disgiuntiva o, la quale comporta l’ammissibilità di un ricorso non notificato ai
controinteressati, potrebbe essere spiegata con riferimento a quanto sopra si è detto in ordine alla
natura giuridica di diritto soggettivo propria del richiedente l’accesso, alla giurisdizione esclusiva del
giudice investito della controversia ed alla conseguente applicazione dell’art. 102 c.p.c.
Non può a tal punto omettersi ulteriore richiamo a quanto già detto in sede di esame della lettera b) a
proposito del sistema più garantista ma meno spedito che si è prescelto.
Sul punto va segnalata la soluzione radicalmente diversa che pure era stata prospettata in dottrina[51].
Tale indirizzo qualifica quella del richiedente l’accesso come posizione di diritto soggettivo; considera
che gli indirizzi giurisprudenziali e dottrinari che riconoscono tout-court posizione di controinteressato al
titolare del diritto alla riservatezza finiscono per sacrificare in modo forse eccessivo il titolare del
diritto di accesso[52]; rileva che il giudizio ex art. 25 non ha natura impugnatoria ma è introdotto da
un’azione di accertamento di un diritto soggettivo nell’ambito di una nuova ipotesi di giurisdizione
esclusiva che consente, perciò, in caso di accoglimento del ricorso, la condanna consistente nell’ordine di
esibizione dei documenti; rileva che, esclusa la natura cassatoria del giudizio in materia di accesso, non
esiste più possibilità di individuare categorie di soggetti contraddittori necessari diversi dalla p.a.[53];
ricorda come, per ritenere necessaria la notifica al controinteressato in materia di accesso, la
giurisprudenza ha dovuto negare un indirizzo consolidato secondo il quale nei giudizi avverso il silenziorifiuto non è configurabile la figura del controinteressato[54]; considera che nella specie non si configura
controinteressato di diritto ma, al più, controinteressato di fatto anche se si resti all’interno dello
schema di un giudizio impugnatorio e ciò perché il diritto alla riservatezza trova il suo fondamento non
già nell’atto che nega il diritto di accesso ma, in maniera diretta ed autonoma, in disposizioni di legge
presenti in vari settori dell’ordinamento sicché il collegamento tra diritto alla riservatezza e diritto di
accesso è solo indiretto ed il diniego di accesso è atto di adempimento di obbligo di tutela e non
dichiarativo o costitutivo del diritto alla riservatezza.
Secondo tale costruzione tra i titolari dei due diritti concorrenti non intercorre un rapporto giuridico
diretto di tipo bilaterale ma solo di correlazione. La tesi, non passibile di critiche sotto il profilo teorico,
conduce però a soluzioni tanto necessarie quanto insoddisfacenti. Per il titolare del diritto alla
riservatezza, infatti, si rendono disponibili solo i rimedi dell’intervento ad opponendum, dell’opposizione
di terzo ed, ovviamente, dell’azione risarcitoria.
Si tratta di soluzioni che mentre in altre ipotesi teoriche analoghe possono costituire una valida tutela,
non lo sono nel caso di specie. A parte la considerazione che quando il diritto alla riservatezza consiste
nel diritto all’anonimato, la sua violazione integra la intera lesione già solo con l’accesso informale,
anche nelle altre ipotesi in realtà l’unica tutela preventiva consisterebbe nell’intervento ad
opponendum, rimedio di difficilissima attuazione in ragione dei tempi brevi della durata del giudizio ex
art. 25 e, più ancora, della difficoltà di conoscere tempestivamente la pendenza del giudizio, tra l’altro
proprio in ragione della tutela alla riservatezza che assiste il ricorrente in giudizio per l’accesso. Gli altri
rimedi (opposizione di terzo ed azione risarcitoria) sono ovviamente successivi alla lesione. Non essendo,
d’altra parte, il titolare del diritto alla riservatezza parte necessaria del giudizio di primo grado non
sarebbe per lui aperta neppure la via dell’appello.
Appare evidente che la materia in esame è intrisa di peculiarità che la rendono non assimilabile alle
congeneri e che richiedono e giustificano una disciplina del tutto particolare. Se quella qui esaminata,
pur coerente con i principi teorici non soddisfa per i risultati ai quali conduce, non pare che quella recata
dalla legge sia ottimale. Oltre alla non perfetta costruzione teorica, infatti, essa conduce ad un sistema
che si rivela inevitabilmente lento e problematico con un contraddittorio che sorge in sede
procedimentale per trasferirsi, non marginalmente, in sede processuale. Né, a tal proposito sembrano
satisfattive le soluzioni alternative ideate, in via amministrativa, dall’art. 25.
Resta da verificare quali debbano considerarsi i diritti dei controinteressati alla luce del grande rilievo
che l’art. 22 conferisce loro. Con riferimento alla fase procedimentale si deve necessariamente ritenere
che essi debbano ricevere l’avviso di avvio del procedimento a norma dell’art 7 comma 1 della L. 241/90.
Possono quindi partecipare al procedimento e vederlo concluso con un provvedimento motivato anche
sulla loro posizione e sul perché la si ritenga non incisa dal consentito accesso. Si è inoltre affermata la
necessità che il provvedimento di assenso all’accesso non venga considerato esecutivo prima della
scadenza infruttuosa del termine per il ricorso giurisdizionale o della relativa definizione favorevole al
soggetto che abbia esperito l’actio ad exhibendum[55] e, con riferimento alla fase processuale, che:
sentenza del TAR favorevole all’accedente sfugge alla regola della immediata esecutività in ragione della
irretrattabilità del pregiudizio all’interesse che il controinteressato tende a tutelare partecipando al
giudizio ed interponendo appello; la esecuzione in via di ottemperanza della sentenza favorevole
all’accedente postula la formazione del giudicato; l’appello avverso la sentenza favorevole all’accedente
ha effetto sospensivo automatico[56]. Si tratta di soluzioni che rispondono ad evidenti esigenze logiche
largamente comprensibili ma che, nella normativa vigente, non trovano un preciso aggancio ma piuttosto
previsioni contrarie e che confermano quella peculiarità della materia che richiederebbe una
corrispondente peculiarità della disciplina quale non sembra recata da quella elusiva e spesso criptica in
esame.
3.4. (segue) L’oggetto dell’accesso ed i soggetti deputati a garantirlo;
La lettera d) individua l’oggetto dell’accesso come ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica,
elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno
specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico
interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale.
Gli elementi di differenza rispetto alla precedente versione rappresentano anche in questo caso il frutto
del recepimento di elaborazioni giurisprudenziali. In primo luogo vengono considerati accessibili, accanto
agli atti interni, anche quelli che non afferiscono ad uno specifico procedimento. Per quanto concerne gli
atti interni, la cui accessibilità era prevista anche nella precedente formulazione, si ricorda la diversità
di opinioni emersa in ordine alla corretta interpretazione da attribuire a tale statuizione. Secondo un
indirizzo più restrittivo gli atti interni accessibili dovevano essere solo quelli necessari e legislativamente
previsti per giungere all’adozione della determinazione finale, restando quindi esclusi tutti quelli che
afferivano ad attività istruttorie facoltative o aventi esclusivo rilievo interorganico. Diversamente,
invece, veniva evidenziata la necessità di rispettare pienamente la lettera della legge e consentire
l’accesso a qualsiasi tipo di atto interno a prescindere dalla loro reale rilevanza in ordine al
provvedimento finale[57].
La nuova previsione dell’art. 15 in commento sembra in linea con tale posizione in quanto stabilendo
espressamente l’accessibilità anche degli atti non afferenti ad uno specifico procedimento consacra,
anche sotto il profilo oggettivo, l’affermazione del principio di trasparenza che non tollera eccezioni se
non per gli specifici casi espressamente e tassativamente previsti dall’art. 24.
La norma inoltre amplia la categoria degli atti accessibili ai documenti, non solo formati dalla pubblica
amministrazione, ma anche a quelli da essa comunque detenuti, in linea con le pronunce che avevano
chiarito che l’inciso “comunque utilizzati ai fini dell’attività amministrativa”, presente nella precedente
versione, dovesse intendersi come relativo anche a quella documentazione non creata
dall’amministrazione ma che non di meno veniva da essa utilizzata per scopi pubblicistici[58].
L’ultimo capoverso della lettera d), secondo il quale non assume rilievo la specifica natura pubblicistica o
privatistica degli atti conoscibili purché, ovviamente, essi concernano attività di pubblico interesse,
costituisce sedimento di un vivace dibattito relativo all’esatta individuazione dell’ambito oggettivo del
diritto di accesso, oggi definitivamente superato nel senso dell’assoggettamento di qualsiasi attività di
pubblico interesse all’accessibilità dei relativi atti.
Le ragioni che portavano ad escludere l’accesso agli atti di natura privatistica dell’amministrazione
risiedevano nell’assunto che la trasparenza fosse una sorta di legittima contropartita rispetto
all’esercizio di poteri autoritativi da parte dell’amministrazione e che non vi fosse quindi ragione di
ammettere intrusioni da parte dei privati quando questa agisse secondo le regole del diritto civile[59].
Questa ricostruzione, criticata dalla dottrina, è stata poi superata dalla stessa giurisprudenza del
Consiglio di Stato che attraverso tappe di progressivo avvicinamento[60] è giunta a riconoscere che
l’accesso debba considerarsi inerente non solo ai singoli atti dell’amministrazione ma in linea generale
alla sua attività, attività amministrativa che sussiste, appunto, non solo quando c’è esercizio di pubblici
poteri ma anche quando si utilizzano strumenti privatistici per perseguire finalità di pubblico
interesse[61].
Sul punto è intervenuta l’Adunanza Plenaria[62] che ha definitivamente preso posizione sul tema in
questione nonché su quello, ad esso strettamente connesso, concernente i soggetti passivi del diritto di
accesso. La Plenaria ha infatti riconosciuto che l’esigenza di imparzialità dell’agere pubblico attiene non
solo all’attività diretta all’emanazione di provvedimenti ma anche a quella con cui sorgono o sono gestiti
rapporti di diritto privato, tutte le volte in cui questi comunque attengano alla cura di pubblici interessi.
Sulla base delle stesse considerazioni il supremo consesso ha inoltre specificato che tutte le volte in cui
soggetti privati svolgono attività di rilievo pubblicistico sono naturalmente assoggettati ai principi di buon
andamento ed imparzialità e conseguentemente all’applicazione delle regole in tema di accesso ai
documenti amministrativi. Tale principio è stato recepito dal legislatore che nella successiva lettera e),
riferendosi ai soggetti deputati a garantire l’accesso ai documenti li identifica non solo in quelli di diritto
pubblico ma anche in quelli di diritto privato entro i limiti, appunto, della loro attività di natura
pubblicistica. In questo modo si ancora la sussistenza del diritto di accesso alla verifica che gli atti (siano
essi detenuti da un soggetto pubblico o da un soggetto privato) presentino profili di pubblico interesse in
base al diritto nazionale ovvero a quello comunitario.
Resta da chiedersi come mai, avendo il legislatore chiarito nell’art. 22 cosa debba intendersi per
“pubblica amministrazione” come soggetto passivo dell’accesso, non abbia anche abrogato il successivo
art. 23 che, nell’equilibrio del vecchio titolo V, svolgeva tale funzione, ed abbia provveduto, invece, ad
introdurre per esso un’apposita rubrica. Confrontando le due disposizioni si rileva che la lettera e)
dell’art. 22 contiene in tutto e per tutto le fattispecie previste dall’art. 23. Sicuramente, infatti, nei
soggetti pubblici rientrano le pubbliche amministrazioni, le aziende autonome, nonchè le autorità di
garanzia e di vigilanza, mentre la categoria dei soggetti privati senza dubbio abbraccia tutti i gestori di
pubblici servizi che non possano essere qualificati soggetti pubblici. L’unica differenza evidenziabile è la
specificazione contenuta nell’art. 23 secondo la quale per le autorità di garanzia e vigilanza il diritto di
accesso si applica nell’ambito dei rispettivi ordinamenti, ma non sembra che ciò possa rappresentare
ragione sufficiente per non abrogare una disposizione che contiene una norma già espressa altrove.
In più, se è sicuramente da plaudire l’intento del legislatore di rispettare le regole di corretta redazione
normativa, sarebbe tuttavia auspicabile che al proposito di fornire una rubrica per ogni articolo
corrispondesse la correttezza della rubrica stessa. In questo caso non sembra potersi convenire che
“l’ambito di applicazione del diritto di accesso” sia individuabile facendo riferimento ai soli soggetti
passivi (riferimento che rappresenta, come illustrato una ripetizione) residuando profili altrettanto
rilevanti come i soggetti attivi o il suo oggetto.
L’art 22 chiarisce anche, nel comma 4, che l’accessibilità è garantita esclusivamente in relazione ai
“documenti” escludendo la possibilità di accedere alle informazioni che siano in possesso delle
amministrazioni. In questo modo viene espressamente prevista la mancanza, in capo ai soggetti deputati
ad assicurare l’accesso, di qualsiasi obbligo di elaborazione o semplice predisposizione di dati, notizie e
appunto generiche informazioni che, non essendo contenute in atti documentali, necessiterebbero di tale
intervento per la loro fruizione[63]. Unica eccezione è quella relativa all’accesso ai dati personali da
parte della persona alla quale i dati stessi si riferiscono così come previsto dal decreto legislativo 30
giugno 2003, n. 196[64]. In questo modo l’art. 22 opera un’armonizzazione con le disposizioni in materia
contenute dal codice sulla privacy. L’art. 7, infatti, prevede il diritto dell’interessato di ottenere la
conferma dell’esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, anche se non ancora registrati, e la
loro comunicazione in forma intelligibile e poiché, ai sensi dell’art. 4, per dato personale si deve
intendere qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica, ente od associazione,
identificati o identificabili, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione,
ivi compreso un numero di identificazione personale, appare evidente che in questo caso la limitazione
dell’accessibilità ai soli documenti non sarebbe compatibile con tale normativa e ciò rendeva, quindi,
necessaria la prevista eccezione.
Il comma 6, infine, disciplina l’ambito temporale del diritto di accesso stabilendo che esso è esercitatile
fino a quando l’amministrazione ha l’obbligo di detenere i documenti amministrativi ai quali si chiede di
accedere. Tale previsione si lega, inoltre all’art. 22 per il quale l’interesse all’accesso deve essere
attuale e concorre a determinare confini temporali certi per il suo esercizio.
4. Accesso ai documenti e livelli essenziali delle prestazioni;
Il secondo comma dell’art. 22 affronta e risolve in maniera non priva di singolarità temi di rilevante
problematicità. La norma va letta e compresa, anche nei suoi contenuti impliciti, alla stregua di una
necessaria premessa. Come è noto, la legge 15 interviene, in funzione di integrazione e modifica,
sull’originario testo della legge 241, a valle del radicale mutamento indotto dalla riforma del Titolo V
della Costituzione, quanto alle competenze legislative in ordine alla disciplina della pubblica
amministrazione.
Non poteva, pertanto, mancare nella legge 15 una presa di posizione sul punto con risposte ai temi
correlati. Tale necessità, per vero, non sarebbe sorta se il legislatore costituente, nel riscrivere l’art.
117, avesse attribuito alla competenza esclusiva statale od a quella concorrente la regolamentazione
della materia dell’attività amministrativa. Occorre dunque chiedersi in proposito se si sia trattato di una
svista generatrice di non pochi problemi ovvero di una scelta consapevole della quale analizzare
implicazioni e conseguenze. C’è anche da chiedersi se, in realtà, vi sia stata scelta a favore del
legislatore statale ancorché implicita.
A favore della svista sembra militare la diffusa opinione che quella in oggetto sia materia che merita
unitarietà di regolamentazione non essendo ragionevole immaginare una pluralità di differenti discipline
(al limite una per regione) sulla definizione delle regole che debbono presiedere all’attività della P.A. e
dei corrispondenti diritti degli amministrati.
L’idea che si sia trattato di scelta consapevole, invece, oltre ad essere suggerita dal rispetto dovuto al
testo normativo così come licenziato dal legislatore costituzionale, è supportata dalla considerazione
che, quella di specie, è competenza pertinente non al merito dell’attività amministrativa ma alle regole
che alla stessa debbono presiedere, competenza di particolare rilievo ai fini dell’affermazione di
autonomie competitive[65].
La tesi che vi sia scelta, anche se implicita, a favore della competenza esclusiva, dello Stato, utilizza la
lettera m del secondo comma dell’art. 117 relativa alla determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale.[66]
Si tratta di tesi mossa da esigenze di ragionevolezza complessiva del sistema ma che non trova risolutivi
riscontri testuali nella legge 241 integrata. In particolare, come subito si dirà, questa richiama la lettera
m cit. solo in tema di accesso.
Nella stessa ottica forse, ma sempre senza poter superare la natura criptica dell’aggancio, ci si può
anche riferire alla lettera l dello stesso art. 117 che riserva alla competenza esclusiva dello Stato la
materia giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa,
valorizzando la circostanza che la lettera l, quanto al settore amministrativo, non richiama le norme
processuali ma la giustizia amministrativa, locuzione sufficientemente ampia per ricomprendervi,
attraverso il richiamo alle teorie di contiguità ed interrelazione tra processo e procedimento[67], il
procedimento amministrativo; la natura di procedimento di secondo grado di tutti i ricorsi
amministrativi; l’esaltazione, attraverso l’istituto della partecipazione, del contraddittorio; la
rispondenza ad esigenze di giustizia di tutti i procedimenti amministrativi (si pensi a quelli disciplinari od
in materia espropriativi).
Resta a tal punto da verificare come il tema sia affrontato dal legislatore. Ciò avviene, in realtà, con
circospezione, singolarità e con intenzione di recupero di funzione unificatrice.
La circospezione traspare dalla mancata chiarificazione del riparto delle competenze legislative che si
intende desumere dalla norma costituzionale e del potere che, in conseguenza, si intende esercitare. La
singolarità, dalla circostanza che dal resto della disciplina contenuta nella legge si distacca l’istituto
dell’accesso per definire, solo in ordine ad esso, il rapporto con le regioni attraverso il richiamo alla
lettera m del secondo comma dell’art. 117. Ciò mentre se è vero che non mancano ragioni per sostenere
la peculiarità dell’istituto dell’accesso esse, tuttavia, non giustificano l’indicata separazione nell’ambito
di una materia sostanzialmente unitaria.
Il recupero di una funzione unificante emerge, infine, sia dalla proclamazione dell’accesso ai documenti
amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, quale principio generale
dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la
trasparenza, sia dal riferimento ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali
che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.
Con riferimento al valore dell’accesso quale principio generale dell'attività amministrativa viene intanto
da chiedersi perché mai la enunciazione trovi collocazione nella norma in esame e non nell’art. 1 che
reca la rubrica Principi generali dell’attività amministrativa. A ciò va aggiunto che la elevazione
dell’accesso a principio generale dell’attività amministrativa, assume una reale valenza, senza
limitazioni all’attività delle sole amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali solo ove si dia per
risolta la competenza statale in siffatta materia, competenza in ordine alla quale sono state testè
espresse le riferite difficoltà ermeneutiche. In ordine alla materia contemplata dall’art. 117, comma2,
lettera m)[68] va detto che si tratta dell’unica ipotesi di competenza dello stato esclusiva ma non
esaustiva tale circostanza crea la possibilità per le regioni e gli enti locali, nelle rispettive competenze,
di garantire livelli ulteriori di tutela. Per la regione, in particolare, si renderà dunque possibile anche
esercizio di legislazione esclusiva al di sopra del livello minimo di prestazioni definito dallo Stato del suo
ambito di competenza esclusivo.
La locuzione livelli ulteriori di tutela, per altro, non lascia intendere se, come suggerisce la lettera della
norma ma sconsiglia la sedes materiae (art. 22 e non art. 25), intenda aprire agli enti destinatari la
possibilità di soluzioni integrative a quelle in tema di tutela definite dall’art. 25 ovvero se, come
sconsiglia la lettera della norma ma suggerisce la sedes materiae (art. 22), intenda aprire ulteriori
possibilità di accesso. In tal caso, essendo definiti dal comma 3 gli atti accessibili, i livelli ulteriori di
tutela dovrebbero consistere, nel permanente rispetto delle posizioni tutelate di privacy, in possibilità di
accesso anche a chi sia titolare di una legittimazione meno completa di quella indicata nel comma 1 lett.
b.
Per completezza va qui detto che il tema più generale dell’inquadramento della materia e delle
competenze viene affrontato nel successivo art. 29 sotto la rubrica ambito di applicazione della legge. Si
opera in proposito ovvio rinvio e ci si limita a rilevare come anche tale norma non sembri apportare
definitivo chiarimento al tema indicato. Basta considerare che il suo primo comma sembra limitare
l’applicazione della legge ai procedimenti svolti dalle amministrazioni statali e dagli enti pubblici
nazionali e, solo per quanto stabilito in tema di giustizia amministrativa, a tutte le amministrazioni
pubbliche. Resta da chiedersi, intanto, a che titolo il legislatore statale operi tale ricognizione della
distribuzione delle competenze in una materia (attività amministrativa) rispetto alla quale, come detto
in precedenza, non ha competenza legislativa. Ulteriore interrogativo e di maggiore interesse attiene poi
a cosa debba intendersi per “quanto stabilito in tema di giustizia amministrativa”. Se il riferimento
intende rinviare esclusivamente alle poche disposizioni in materia di processo amministrativo (es.
attribuzione della competenza sugli accordi alla giurisdizione esclusiva, disciplina del procedimento di
tutela in materia di accesso) esso sembra sicuramente inutile. Diverso sarebbe se il legislatore statale
con l’indicato richiamo abbia “tentato” di legittimare la sua competenza in materia di attività
ancorandola alla lettera l) dell’art. 117 comma 2 e, quindi, a tutte quelle garanzie riconosciute al
cittadino dalla legge 241 anche queste come rientranti nel generico concetto di giustizia amministrativa
intesa non solo in un’ottica processuale ma anche sostanziale come precedentemente illustrato. Questa
ricostruzione va tuttavia verificata anche alla luce del comma successivo. In esso il legislatore, sempre
svolgendo questa funzione di organizzazione delle competenze, sulla legittimità della quale sia
consentito dubitare, prima afferma tautologicamente che le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle
rispettive competenze, regolano le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto del sistema
costituzionale e poi aggiunge la necessità del rispetto delle garanzie del cittadino nei riguardi dell’azione
amministrativa, così come definite dai principi stabiliti dalla legge 241/1990. Tale richiamo può
considerarsi legittimo solo se lo si riconduca alla trasversale materia principio dei livelli essenziali delle
prestazioni, tuttavia espressamente richiamata solo per l’accesso, ovvero alla giustizia amministrativa
come sopra proposto. In tal caso la norma, almeno, conserverebbe una utilità e si affrancherebbe da
sospetti di incostituzionalità.
5. I regolamenti di attuazione;
Quanto all’operatività delle norme in commento l’art. 23 comma III della legge 15/2005 stabilisce che
l’entrata in vigore del complesso di disposizioni relative all’accesso è differita al momento
dell’emanazione del regolamento governativo che lo stesso art. 23 autorizza.
Si ricorda come all’indomani dell’introduzione della legge 241 nacquero molte incertezze circa
l’immediata operatività delle sue disposizioni ovvero la necessità della previa emanazione del
regolamento governativo diretto a disciplinare le modalità di esercizio e i casi di esclusione del diritto di
accesso. La giurisprudenza si divise tra coloro che ritenevano operative le disposizioni degli art. 22 e
seguenti dall’intervento del regolamento governativo[69] e coloro che invece opinavano che il sistema
potesse realmente considerarsi in vigore quando fossero intervenuti, non solo il regolamento governativo,
ma anche tutti i regolamenti ministeriali[70].
Se è vero che l’art. 23 prevede la possibilità per le singole amministrazioni di adeguare i propri
regolamenti alle modifiche apportate al capo V della 1990/241 e al regolamento governativo, questa
circostanza non dovrebbe tuttavia ricreare oggi le medesime perplessità. La legge è infatti chiarissima
nel rinviare l’entrata in vigore delle disposizioni sull’accesso al momento dell’emanazione del
regolamento governativo senza legare la sua operatività all’ulteriore adeguamento che ciascuna
amministrazione , ove necessario, faccia rispetto alle novità della 241 e del summenzionato regolamento.