A cura di Sebastiano Garufi e Daniele Russetti LA “STABILE ORGANIZZAZIONE PERSONALE” Preme rilevare come molto spesso, a prescindere dalla configurazione giuridico-formale che si voglia attribuire al contratto di lavoro, il rapporto tra lavoratore e datore di lavoro può nascondere insidie a livello impositivo soprattutto quando una azienda opera oltre confine per il tramite di un soggetto (cd. agente) che presenta determinate caratteristiche. In particolare ci si riferisce alle problematiche connesse alla possibile configurazione di quella che in gergo tecnico viene definita “stabile organizzazione personale” disciplinata, a livello nazionale, dall’art. 162, Tuir e, sul piano internazionale, dall’art. 5 del Modello di convenzione Ocse. Difatti, la principale finalità del- la nozione di stabile organizzazione è di determinare il diritto di uno Stato contraente a tassare gli utili di un’impresa residente in un altro Stato contraente. Ciò detto, è opportuno evidenziare come la presenza di un agente dipendente costituisca stabile organizzazione di una società in uno Stato estero se il primo opera per conto dell’impresa e dispone di poteri che gli permettano di concludere nello Stato estero contratti in nome dell’impresa e di cui ne faccia abitualmente uso. È importante sottolineare che tale potere dell’agente – che deve essere esercitato in modo continuativo – deve riferirsi all’attività propria dell’impresa e che è, quindi, irrilevante la circostanza che egli sia autorizzato a stipulare in nome dell’impresa, contratti riguardanti esclusivamente opera- zioni interne. Diversamente, non si configura stabile organizzazione personale se l’agente opera quale soggetto indipendente rispetto all’azienda, salvo ovviamente che questo non presenti i requisiti della stabile organizzazione materiale. A tal proposito, la cd. indipendenza dell’agente deve essere valutata alla luce della indipendenza giuridica ed economica dello stesso; della natura e dell’estensione degli obblighi a cui deve sottostare l’agente, nonché delle istruzioni impartite e del controllo esercitato dall’impresa; del rischio imprenditoriale che deve incombere sull’agente e non sull’impresa. In tale ottica, appare illuminante il paragrafo 5 dell’art. 5 del Commentario Ocse che, con riguardo ai requisiti da analizzare per comprendere se si configura o meno una stabile organizzazione personale, sottolinea come si debba prendere in dovuta considerazione, in primo luogo, la titolarità e l’esercizio abituale di poteri di rappresentanza. Difatti, la sussistenza di tale poteri deve essere valutata non solo sul piano formale, ma anche su quello sostanziale e, dunque, si può ritenere che un soggetto che sia autorizzato a negoziare tutti gli elementi di un contratto in modo vincolante per l’impresa estera abbai il potere di concludere i contratti anche qualora il contratto sia formalmente concluso da un altro soggetto dello Stato di residenza dell’impresa estera. Poi sarà necessario valutare quello che comunemente definito “habitual exercise test”, ossia il potere di concludere contratti in modo ripetuto ed abituale, circostanza questa che deve essere valutata in relazione alla natura dei contratti stessi e all’attività del proponente. Pagina 1