La Traviata - ilgiornalegrandieventi.it

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Anno XII - Numero 28 - 20 aprile 2007
L'intervista
Parlano il regista Zeffirelli,
i cantanti Gheorghiu e Bruson
ed il direttore Gelmetti
A Pag
2
La storia dell’opera
Derisa al debutto,
osannata alla ripresa
A Pag
4
La vera Violetta
L’incredibile vita di
Alphonsine Plessis
A Pag
8 e9
Due protagoniste
dell’opera
La Tisi, malattia romantica
A pag.
12
La Camelia, fiore
senza profumo
A pag.
13
LA TRAVIATA
d i G i u s e p p e Ve r d i
La Traviata
2
Parlano Zeffirelli, Gheorghiu, Bruson e Gelmetti
«Questo allestimento
farà storia»
L
la Gheorghiu, una delle
’attesa per questa
migliori Violette a livello
Traviata, nuovo alleinternazionale. Ad affianstimento con la regia
carla tre giovani soprano di
di Franco Zeffirelli - come
grande avvenire Irina Lungia da mesi si è letto dai
gu, Myrtò Papatanasiu ed
giornali - è grande. Da NoAnna Rita Talento. «Abbiavembre esauriti tutti i bimo un cast di giovani straorglietti ed anche quelli per le
dinario – dice Zeffirelli – un
due repliche aggiuntive
fuori abbonamento
sono andati a ruba
in poche ore. «E’ la
mia ottava Traviata», sottolinea Zeffirelli. «Ne ho sposate tante e le ho amate
tutte, ma questa volta
nell’età matura ho
trovato quella che si
avvicina alla perfezione», dice l’84enne regista fiorentino. «Traviata è un ti- Angela Gheorghiu e Franco Zeffirelli
tolo per il quale c’è
insieme che fa venire la voglia
sempre stata attesa e ci si va
di vederle tutte. Come si vede,
come ad un pellegrinaggio.
le voci straniere cominciano a
C’è una sorte di reverenziale
dominare in questa forma
rispetto verso questa prostitud’arte che era prettamente itata che si sacrifica per l’amore.
liana. Purtroppo abbiamo un
Se ci fosse la possibilità, credo
governo che non fa nulla per
che sarebbe beatificata, sarebaiutare la musica lirica, i giobe la Santa martire dell’amovani, i teatri. Da Oltrecortina
re». «Questa Traviata è più
abbiamo, invece un contributo
vicina delle altre a quella del
di voci fondamentale, del quamio debutto con questo titolo
le qualsiasi impresario non
nel 1958. La penso come un
potrebbe fare a meno. Mi sono
flash back ed anche Verdi cochiesto come avvenisse la pemincia l’opera con una musinetrazione nei piccoli villaggi.
ca greve, triste, che contiene la
Maria Guleghina, me lo ha
storia». Nelle dieci recite si
spiegato: sentono i dischi, imialterneranno 4 soprano.
tano e poi c’è una grande rete
Prima voce – anche se per
di concorsi. Noi non siamo casole due recite – sarà Ange-
~ ~ La Copertina ~ ~
John William Waterhouse (1849 -1817)
Miss Margaret Henderson - Coll. Privat.
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piti in Patria. A me per esempio il Metropolitan di New
York mi ha gia mandato un
invito per il 27 marzo 2008
perché farà una serata sulle
regie liriche di Zeffirelli degli
ultimi 20 anni». Interviene il
soprano Angela Gheorghiu, reduce dal Met, dove
è stata impegnata
proprio in una Traviata firmata dal maestro: «I registi dovrebbero studiare il lavoro di
Zeffirelli e prenderne
esempio. Vi assicuro che
all’estero per le sue scene, anche dopo 40 anni,
quando si apre il sipario,
c’è l’applauso». Parlando del ruolo, la cantante dice: «Ho avuto
pochi giorni per lavorare qui a Roma, ma mi
sono resa conto di essere in un
allestimento da sogno. Di
Traviata non ne ho fatte tante,
solo quando conoscevo tutti i
dettagli. Violetta è un personaggio che tutti vorrebbero essere». Altro grande protagonista di questa Traviata,
ha detto Zeffirelli è il baritono Renato Bruson: «un
genio assoluto del melodramma. E’ un mostro nel cogliere
il sottile, che è più importante
del clamoroso». «Il 28 aprile
di 45 anni fa, all’inizio della
carriera, debuttava sul palcoscenico del Teatro dell’Opera
di Roma con I Puritani », dice Gianluigi Gelmetti, direttore principale del Teatro e sul podio per questo
allestimento. «Proprio sabato 28 gli faremo una grande
festa a sorpresa». «Zeffirelli –
dice Bruson – è l’unico che
rispetta il personaggio di Violetta, la fa vivere tra i suoi mobili, i suoi arredi che solo 3
settimane dopo la sua morte
(lo dice anche Dumas) furono
messi all’asta. Non quegli allestimenti minimalisti per
un’opera che vuole lo sfarzo
nel quale viveva la protagonista».
«Sul piano musicale, come al
solito ho cercato di rispettare
lo spartito», dice Gelmetti «Ho solo ridotto un po’ le maschere del Balletto Spagnolo
voluto da Zeffirelli. Le tre giovani Violette saranno le Violette del futuro…vedrete!».
Andrea Marini
Il
Giornale dei Grandi Eventi
I prossimi titoli della
Stagione 2007 al Teatro Costanzi
16 - 22 Maggio
LA FILLE DU RÉGIMENT
Direttore
Interpreti
di Gaetano Donizetti
Bruno Campanella
Carmela Remigio, Aldo Caputo,
Alberto Rinaldi, Anna Procleme
15 - 23 Giugno
MANON LESCAUT
di Giacomo Puccini
Donato Renzetti
Norma Fantin, Marco Berti
Direttore
Interpreti
Stagione Estiva
alle Terme di Caracalla
17 - 28 Luglio
NABUCCO
di Giuseppe Verdi
Antonio Pirolli
Carlo Guelfi, Andrea Gruber, Samuel Ramey
Direttore
Interpreti
27 Luglio - 9 Agosto
TURANDOT
di Giacomo Puccini
Alain Lombard
Antonello Palombi , Giovanna Casolla,
Mina Tasca, Cristina Ferri, Michail Ryssov
Direttore
Interpreti
8 - 14 Agosto
PAGLIACCI
di Ruggero Leoncavallo
Hirofumi Yoshida
Vincenzo La Scola, Maria Carola,
Carlo Guelfi, Domenico Balzani
Direttore
Interpreti
27 Novembre - 2 Dicembre
MOSÈ IN EGITTO
Direttore
Interpreti
di Gioachino Rossini
Antonino Fogliani
Michele Pertusi, Giorgio Surian,
Anna Rita Taliento, Stefano Secco
21 - 30 Dicembre
LA VEDOVA ALLEGRA
di Franz Lehàr
Daniel Oren
Fiorenza Cedolins, Vittorio Grigolo, Markus Werba
Direttore
Interpreti
~~
La Locandina ~ ~
Teatro Costanzi, 20 aprile - 3 maggio 2007
LA TRAVIATA
Melodramma in 3 atti
Libretto di Francesco Maria Piave da Alexandre Dumas
Musica di Giuseppe Verdi
Prima rappresentazione: Venezia, Teatro La Fenice, 6 marzo 1853
Seconda versione: Venezia, Teatro San Benedetto, 6 maggio 1854
Maestro concertatore e Direttore
Maestro del Coro
Regia e scene
Costumi
Coreografia
ripresa da
Disegno Luci
Gianluigi Gelmetti
Andrea Giorgi
Franco Zeffirelli
Raimonda Gaetani
El Camborio
Lucia Real
Patrizio Maggi
Personaggi / Interpreti
Violetta Valery (S)
Angela Gheorghiu / Irina Lungu /
Myrtò Papatanasiu /Anna Rita Taliento
Katarina Nicolic’ /
Giacinta Nicotra / Milena Josipovic
Annina (S)
Bernadette Lucarini / Paola Francesca Natale
Alfredo (T)
Vittorio Grigolo / Marius Brenciu /
Alfredo Portilla
Germont (B)
Renato Bruson / Dario Solari / Paolo Coni
Gastone (T)
Claudio Barbieri / Francesco Paolo Panni
Barone Douphol (B)
Alessandro Paliaga / Alberto Noli
Marchese d’Obigny (B)
Andrea Snarski / Giorgio Gatti
Dottor Grenvil (B)
Carlo Di Cristoforo / Franco Federici
Giuseppe (T)
Davide Malandra / Sergio Petruzzella
Domestico di Flora (B)
Daniele Massimi / Massimo Mondelli
Commissionario (B)
Fabio Tinalli / Riccardo Coltellacci
Interpreti del balletto spagnolo
Lucia Real La gitana,
Josè Porcel Piquillo Gran torero,
Natalia Ferrandiz Prima ballerina
Ballerine gitane
Marisol Valleso, Letizia Calatayud,
Patrizia Goro, Maria Fernanda
Ballerini toreri
Carlos Velasquéz, Rubén Martin,
Ricardo Sànchez, Andrian Santana
Flora Bervoix (Ms)
ORCHESTRA, CORO E CORPO DI BALLO DEL TEATRO DELL’OPERA
Partecipazione speciale del Balletto Spagnolo di Lucia Real & El Camborio
Nuovo Allestimento
Il
La Traviata
Giornale dei Grandi Eventi
S
i preannuncia già come un grande allestimento, un
allestimento destinato a passare alla storia, questa
Traviata, l’ottava nella carriera di Franco Zeffirelli
che ne ha firmato la regia e le scene. Grandiosa, come tutte le realizzazioni dell’84enne Maestro fiorentino, sensuale, «vicina quasi alla perfezione» come lui stesso la definisce,
con una lucida e critica visione dei suoi lavori precedenti. Grande avvenimento anche per i cantanti impegnati
sul palcoscenico. Prima voce – anche se per sole due recite – sarà Angela Gheorghiu, una delle migliori Violette a
livello internazionale. Ad affiancarla tre giovani soprano
di grande avvenire Irina Lungu, Myrtò Papatanasiu ed
Anna Rita Talento. Nel ruolo di Alfredo il romano di adozione Vittorio Gigolo, mentre in quello di Germont il
grandissimo Renato Bruson, che proprio il 28 aprile festeggerà i 45 anni esatti dal suo debutto all’Opera di Roma, avvenuto con I Puritani. Sul podio il direttore principale del Teatro, il maestro Gianluigi Gelmetti. Nella serata della “prima”, lo spettacolo sarà trasmesso via satellite
in 22 sale cinematografiche in Italia.
3
Le Repliche
sabato 21 aprile, ore 18,00
domenica 22 aprile, ore 17,00
martedì 24 aprile, ore 20,30
giovedì 26 aprile, ore 20,30
venerdì 27 aprile, ore 20,30
sabato 28 aprile, ore 18,00
domenica 29 aprile, ore 17,00
mercoledì 2 maggio, ore 20,30
giovedì 3 maggio, ore 20,30
Una Traviata «vicina alla perfezione»
La vicenda si svolge a Parigi e dintorni, tra l’agosto
1850 circa ed il febbraio successivo.
la figlia, che rischia di saltare da quando il futuro
sposo ha appreso della scandalosa relazione del
cognato. Violetta, non senza intima lotta, accetta
di sacrificare la propria felicità, ma ad un patto:
lei abbandonerà Alfredo in cambio della promessa che quando il dolore avrà sopraffatto la sua cagionevole salute, la verità venga rivelata
all’amato. Germont accetta commosso. Rimasta sola Violetta si appresta a scrivere una mendace lettera ad Alfredo, ma è da questo sorpresa. Trai due scoppia una forte eccitazione che culmina nella straziante
richiesta d’amore «amami Alfredo…». Violetta fugge poi verso Parigi,
lasciando la lettera per Alfredo, che dopo averla letta cade disperato
tra le braccia dal padre, per poi staccarsene deciso a scoprire il presunto amante di Violetta.
Scena II – La festa in casa di Flora è al culmine quando giunge Violetta al braccio del barone Douphol. Alfredo è al tavolo da gioco e finge
indifferenza, vincendo alle carte anche il rivale. La tensione è alta. Violetta rimasta sola con Alfredo lo vorrebbe far allontanare, ma per non
svelare la verità, è costretta ad ammettere di amare Douphol e di aver
giurato a questo di non rivederlo più. Alfredo, irato, denuncia pubblicamente la condotta della donna e le getta ai piedi una borsa con denaro. Giunge il padre che rimprovera Alfredo per il gesto.
La Trama
ATTO I – Mese di Agosto – La bella e famosa
mondana Violetta Valery, amante del barone Douphol, ha dato nella sua
casa un fastoso ricevimento per una raffinata compagnia di gaudenti
aristocratici e compiacenti signorine. Un po’ disorientato gira Alfredo
Germont, introdotto dall’amico Gastone visconte di Letorières con il
proposito di conoscere l’affascinante padrona di casa. Violetta confida
all’amica Flora Bervoix di voler annegare nell’ebbrezza il dolore e le pene che le reca la salute. Gastone le presenta Alfredo. Quando Violetta
per sdrammatizzare propone un brindisi collettivo, Alfredo brinda a lei,
invitandola a ballare. Mentre i due si recano nel salone contiguo, una crisi di tosse frena Violetta che viene assistita da Alfredo. L’eco dei valzer
funge da lontana colonna sonora alla conversazione dei due: alle profferte d’amore di lui, si alternano le ricuse divertite di lei, che dona ad Alfredo il suo fiore preferito, una camelia, promettendo di rivederlo quando sarà appassita. Alla fine della festa, Violetta, rimasta sola, s’accorge
di essere per la prima volta seriamente innamorata.
ATTO II – Gennaio dell’anno successivo, in una casa di campagna presso
Parigi – Alfredo e Violetta vivono felici fuori Parigi, lontani dalla mondanità. Ma Alfredo viene a sapere dalla cameriera Annina che Violetta – ormai privata delle munifiche elargizioni di tanti protettori – ha
dovuto vendere i gioielli per pagare le spese della nuova vita. Il giovane apre gli occhi e parte per Parigi in cerca di soldi. Violetta, rimasta sola, riceve l’inaspettata visita del padre di Alfredo, Giorgio Germont, il quale le chiede di troncare la relazione che rischia di portare il
figlio alla rovina. Violetta dimostra all’uomo di aver venduto i propri
gioielli pur di non chiedere denaro all’amante. Germont, mortificato,
la scongiura di rinunciare ad Alfredo per salvare il fidanzamento del-
ATTO III – In febbraio a casa di Violetta – La musica del preludio riporta
alla festosità del I Atto. Violetta è invece a letto, malata di tisi e senza speranza. Riceve una lettera di Germont, che le annuncia – secondo i patti di aver rivelato la verità ad Alfredo, che sta per raggiungerla. Violetta
piange e rilegge più volte la lettera, ma teme che egli giunga troppo tardi.
Ma la fedele Annina le annuncia l’arrivo di Alfredo, che si getta tra le braccia di Violetta. La donna vorrebbe alzarsi, ma non ce la fa. Arriva anche il
vecchio Germont. Pochi istanti di apparente vigore per Violetta, che poi
cade esanime tra le braccia di Alfredo, unico amore della sua vita.
La Traviata
4
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Storia dell’opera
Derisa al debutto ambientato nel ‘600,
osannata alla ripresa 14 mesi dopo
«L
ne e, peggio, hanno
a Traviata, ieri
riso.- disse Verdi sera, fiasco. La
Eppure, che vuoi?
colpa è mia o dei
Non ne sono turbacantanti?...Il tempo giudito. Ho torto io o hancherà», scrisse Verdi, dono torto loro? Per
po la disastrosa prima al
me credo che l’ultiTeatro La Fenice di Venema parola sulla Trazia il 6 marzo 1853. Come
viata non sia quella
il debutto, la stesura di
di ieri sera. La riveTraviata, non fu tranquildranno e vedremo!».
la. Innanzitutto, Verdi si
Il compositore, introvò bloccato dalla scelfatti, credeva molta stessa del soggetto. Il
to nel valore delproblema, però, fu risolto
l’opera, così come
grazie ad una serata al
l’aveva pensata
Théâtre du Vaudeville di
(ambientata nelParigi, città in cui si era
l’Ottocento, che
Facciata Teatro La Fenice in una incisione del '700
trasferito alla fine del
fosse la rappresen1851 con Giuseppina
tazione della vita
personaggi secondari per
Rigoletto l’11 marzo 1851.
Strepponi, per fuggire aldel tempo, con una trama
dare maggior risalto ai
Terzo e ultimo “tassello”
le chiacchiere degli abipriva di intrighi e di
tre protagonisti. In una
della cosiddetta “Trilogia
tanti di Busseto, dove viduelli e il suo contesto
lettera all'amico Cesare
popolare”, la Traviata fu
vevano. Nella capitale
“privato” e domestico,
De Sanctis del 1 gennaio
scritta, quindi, tra Roma
francese stava riscuotentutte novità per l’epoca),
1853 scrive: «A Venezia
e Venezia e, mentre il lido enorme successo il
e non come l’avevano cofaccio la Dame aux Camebrettista Francesco Maria
dramma di Alexandre
stretto a metterla in scelias che avrà per titolo, forse,
Piave modificava alcune
Dumas figlio, la Dame
na, cioè retrodatata all’eTraviata. Un soggetto delparti del libretto perché
aux camélias e Verdi vi aspoca di Luigi XIV, in piel'epoca. Un altro forse non
giudicate troppo noiose
sistette nel febbraio del
no Seicento, perché non
l'avrebbe fatto per i costuper il pubblico, Verdi si
1852, restandone folgorafosse più un “prolungami, pei tempi e per mille altrovò alle prese con i proto. Questo dramma in
blemi derivanti dalla
cinque atti, ritenuto
scelta dei cantanti per
scabroso dalla critica
la rappresentazione
per la sua forte carica
veneziana, appunto.
autobiografica e per la
La ricerca di una
sua disarmante con«donna di prima forza»
temporaneità, vedeva
per la parte della prola figura della protatagonista, come chiegonista, Marguerite
sto al direttore della
Gautier, ispirata ad
Fenice Carlo Marzari,
Alphonsine Duplessi concluse con un insis, famosa cortigiana
successo ed il disaparigina - tra l’altro
stroso debutto del 6
amante di Dumas marzo 1853 ne fu la
che morì, ventitreenprova. L’inadeguane, l’anno prima deltezza dei protagonisti
l’uscita del romanzo,
(il soprano Fanny Salnel 1848. Con la provini Donatelli, il tenospettiva di cambiare i
re Ludovico Granomi dei protagonisti
ziani nel ruolo di Lodovico Graziani (1820-1885)
(Marguerite divenne Fanny Salvini Donatelli (1815-1891)
Alfredo Germont e Primo Alfredo alla Fenice
Violetta Valery, Ar- Prima Violetta alla Fenice
il baritono Felice
mand e Georges Dumento” della vita della
tri goffi scrupoli [...]. Tutti
Varesi in quello di Giorval cambiarono in Alfresocietà e perché il pubbligridavano quando io propogio Germont), non in vodo e Giorgio Germont),
co non rischiasse di ricosi un gobbo da mettere in
ce e non a loro agio in
per limitare la carica di
noscersi nei costumi e nei
scena. Ebbene ero felice di
un’opera così particolare
scandalo data dal soggetgesti dei protagonisti. Se
scrivere il Rigoletto».
e fuori dagli schemi, ma
to e dal racconto di fatti
si fosse andati in scena
Trovato il soggetto, il
anche poco adatti alla
realmente accaduti. Accome Verdi voleva, il rimusicista mise mano alla
parte, furono gli elementi
cettando il titolo di Trasultato sarebbe stato di
Traviata, proprio nello
negativi della serata. Le
viata scelto dalla censura
maggiore effetto e, sicustesso periodo in cui stacronache riportarono co(che rifiutò quello di
ramente, scandalo. Egli
va completando il Trovame notizia principale le
Amore e morte richiesto
disse, infatti: «Un soggetto
tore, che sarebbe andato
risate del pubblico venedal compositore), Verdi e
dell’epoca. Un altro forse
in scena a Roma al Teatro
ziano, nel vedere la giuFrancesco Maria Piave
non l’avrebbe fatto per i coApollo il 19 gennaio 1853
nonica protagonista mopensarono di lasciare che
stumi, pei tempi e per mille
e che avrebbe riscosso
rire di consunzione: «La
la storia fosse simile al
altri goffi scrupoli…Io lo
grande successo come il
Traviata ha fatto un fiascodramma, riducendo i
faccio con tutto il piacere.
Tutti gridavano quando
proposi un gobbo da mettere
in scena. Ebbene, io ero felice di scrivere il Rigoletto».
Verdi vide nero la sera
della prima e, anche se le
critiche non furono del
tutto sfavorevoli, decise
di cercare una compagnia vocale all’altezza
per un secondo allestimento.
Il secondo debutto
La trovò proprio a Venezia, dopo aver contemplato l’ipotesi di portare
l’opera a Roma, ma non
nella grande Fenice, bensì nel meno importante
Teatro di San Benedetto.
Questa volta scelse i cantanti che più si adattavano, secondo lui, al testo e
alla messinscena: Maria
Spezia, Francesco Landi
come Alfredo e Filippo
Coletti come Papà Germont. Il debutto del nuovo cast, il 6 maggio
1854, fu un immediato, grandissimo successo, che portò Verdi
ad esclamare: “Tutto
quello che esisteva per la
Fenice esiste ora pel S.
Benedetto. Allora fece
fiasco; ora fa furore. Concludete voi!” La stessa
Traviata che non era
piaciuta al pubblico il
6 marzo 1853, fu
osannata da tutti.
Con pochissimi cambiamenti, non tali da
ribaltare il giudizio
precedente in così
poco tempo, la Traviata piacque, con i
suoi
personaggi
“normali”, con una
protagonista ritenuta
scandalosa, con una
ambientazione quasi dimessa e non ridondante, riscuotendo un successo particolare: fece
cambiare idea, nel giro
di quattordici mesi, allo
stesso pubblico nella
stessa città, e iniziò ad essere rappresentata in tutta Italia come in Europa,
senza smettere mai di essere discussa e criticata.
Marta Musso
Il
Giornale dei Grandi Eventi
La Traviata
5
Vittorio Grigolo, Marius Brenciu
e Alfredo Portilla
Angela Gheorghiu, Irina Lungu,
Myrtò Papatanasiu e Anna Rita Taliento
Alfredo, disorientato
amante di Violetta
Violetta Valery, amante
elegante ed appassionata
P
A
d alternarsi con Angela Gheorghiu (20 e 24 aprile) nel
resteranno la voce ad Alfredo Germont Vittorio Grigolo (20, 22,
ruolo della protagonista Violetta, saranno altre tre giova24, 27 aprile), Marius Brenciu (21, 26, 28 aprile e 2 maggio) e Alni voci di grande talento: Irina Lungu (21 e 29 aprile),
fredo Portilla (29 aprile, 3 maggio).
Il tenore Vittorio Grigolo è nato nel 1977 ad Arezzo, ma si è trasferi- Myrtò Papatanasiu (22, 26, 28 aprile e 3 maggio) e Anna Rita Tato presto a Roma. Voce ormai affermata, sin da piccolo si è esibito da liento (27 aprile e 2 maggio).
solista nel coro della Cappella Sistina. All'età di tredici anni ha de- Angela Gheorghiu è nata a Adjud, in Romania. Si è diplomata
all’Accademia Musicale di
buttato nel ruolo del Pastorello nella Tosca al Teatro dell'Opera
Bucarest sotto la guida di
di Roma, sotto la direzione di Daniel Oren. Ha iniziato poi gli
Mia Barbu. Il suo debutto
studi perfezionandosi con il basso Danilo Rigosa, che è tuttora
sulle scene mondiali è avvesuo maestro. Tra le opere più significative del suo repertorio ci
nuto nel 1992 con La Bohème
sono: Elisir d’amore, Bohème, Traviata, Falstaff, Rigoletto, Lucia di
al Covent Garden di Londra,
Lammermoor, Don Giovanni, Così fan tutte, Lakmé, Werther, Faust.
a cui hanno fatto seguito il
Marius Brenciu, nato in Romania, si è laureato alla Bucharest
Metropolitan di New York e
University of Music. Il debutto operistico è avvenuto nel 1997
la Staatsoper di Vienna. Da
come Don Ottavio nel Don Giovanni di Mozart. Fra i numerosi
ricordare l’acclamato debutto
concorsi vocali vinti durante gli
ne La Traviata nel 1994 al Coanni di studio segnaliamo la
vent Garden, ripresa dalla
“Gayarre International CompetiBBC. Nel suo repertorio spiction”, la “Georges Enescu Intercano La Traviata, L’elisir d’anational Competition” ed il
more, La Bohéme, La Rondine,
“Jeunesses Musicales” (1997).
Romeo e Giulietta, Gianni
Alla “Queen Elisabeth InternaSchicchi, Werther, Manon, Il
tional Music Competition” (BelTrovatore, Carmen.
gio, 2000) il giovane tenore ha
Soprano di nazionalità greca,
vinto il 2° Premio e il Premio
Myrtò Papatanasiu, dopo
Opera, mentre alle “YCA Audistudi di pianoforte, armonia
tions” di New York (2001) il Pri- Anna Rita Taliento e Marius Brenciu
e contrappunto, si è diplomo Premio e due premi speciali.
Nel 2001 è risultato vincitore della mata in canto al conservatorio di Salonicco, portando contem“Cardiff competition”, aggiudicandosi poraneamente avanti studi universitari in musicologia. Vincii premi “Singer of The World” e trice di numerosi concorsi e di una borsa di studio del Megaron
Vittorio Grigolo
di Atene, si è perfezionata a Milano sotto la guida del M° Co“Lied”.
Alfredo Portilla ha iniziato gli studi con suo padre David Portilla al viello. Ha debuttato, giovanissima, all’Opera di Salonicco ne Il
centro di avviamento lirico del Palacio de Bellas Artes di Città del Combattimento di Tancredi e Clorinda di Monteverdi.
Messico, cantando ruoli come Alberto ne L’occasione fa il ladro, Mac- Irina Lungu è nata in Moldavia nel 1980 e ha studiato piaduff nel Macbeth, Nemorino ne L’elisir d’amore, Cavaradossi nella To- noforte e direzione corale, specializzandosi in canto con il M°
sca, Pinkerton in Madama Butterly e Edgardo in Lucia di Lammermoor. Podkopaev presso il Conservatorio di Stato di Voronezh (RusSi è poi perfezionato alla San Francisco Opera dove ha cantato in Die sia). In questa città ha compiuto i suoi primi debutti nei ruoli di
Leïla (Les pecheurs des perles), Marfa (La fidanzata dello zar), DeFledermaus e Madama Butterfly.
sdemona (Otello). Dal 2003 ha frequentato l’Accademia del Teatro alla Scala di Milano sotto la guida del soprano Leyla Gencer.
Renato Bruson, Dario Solari e Paolo Coni È vincitrice dei concorsi “Bella Voce” e “Tchaikovsky” (Mosca),
la Competizione dell’Opera di Dresda,
“Elena Obraztsova” (S. Pietroburgo),
“Maria Callas” (Atene), “Montserrat
Caballé” (Andorra), “Belvedere” (Vienna), “Voci Verdiane” (Busseto) e “Operalia” (Los Angeles).
rodiade è interpretata dal mezzosoprano Graciela
Anna Rita Taliento, vincitrice di nuAraya. Nata in Cile, l’artista ha debuttato a Santiago
merosi concorsi nazionali ed internanel ruolo di Enrichetta ne I Puritani. Alla Staatsoper
zionali, tra cui il prestigioso “Belvededi Vienna ha interpretato Octavian nel Cavaliere della Rosa
re” di Vienna (1993), ha intrapreso giodi R. Strauss, la Contessa Geschwitz in Lulu di Berg, Elisavanissima la carriera internazionale.
betta nella Maria Stuarda di Donizetti, Donna Maria D’ADopo il debutto al Festival dei Due
valos in Gesualdo di Alfred Schnittke (nella prima esecuMondi di Spoleto e al Teatro Comunale
zione mondiale, diretta da M. Rostropovich), Orlofsky in
di Bologna con Riccardo Chailly nel
Die Fledermaus di J. Strauss. Al Teatro dell’Opera di AmTrittico di Puccini, nel 1993 ha inciso a
sterdam ha interpretato di Monteverdi il ruolo di PeneloVienna per la DECCA il Capriccio di R.
pe ne Il Ritorno di Ulisse in Patria e di Ottavia ne L’IncoroStrauss (Cantante Italiana) con i Wiener
nazione di Poppea; è stata inoltre Cornelia nel Giulio Cesare di
Philharmoniker. Dal 1995 è ospite dei
Händel, diretto da Marc Minkowski, Clairon in Capriccio di
più prestigiosi teatri in Italia e nel monR. Strauss; Agni in Kopernikus di Claude Vivier (in prima
do. Spesso l’abbiamo apprezzata all’Oesecuzione europea), Maddalena in Rigoletto. Il suo reperpera di Roma.
torio prevede anche i ruoli di Carmen, Charlotte in
Werther, Maddalena in Rigoletto, Federica in Luisa Miller, Dario Solari e Anna Rita Taliento
Concepción ne L’Heure Espagnole di Ravel, Mrs. Quickly in Falstaff, Laura
ne La Gioconda, Marcellina ne Le Nozze di Figaro. la protagonista ne La LuPagina a cura di Diana Sirianni – Foto: Corrado M. Falsini
pa di Marco Tutino, Herodias nella Salome e Annina nel Rosenkavalier.
Giorgio Germont,
padre di Alfredo
E
La Traviata
6
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Rigoletto, Il Trovatore, La Traviata
La “Trilogia popolare” nell’esperienza verdiana
S
in dalle prime biografie critiche su
Giuseppe Verdi, un
problema dibattuto è stata l’individuazione delle
diverse fasi stilistiche.
L’articolazione in “tappe
successive” costituisce, in
realtà, solo un espediente
per facilitare e schematizzare l’analisi di una produzione musicale.
In generale, a proposito
del teatro verdiano, si
parla di quattro fasi, i cui
confini non sono in taluni casi univoci.
E il secondo di questi momenti è rappresentato dalla cosiddetta “Trilogia popolare”. Ponte di passaggio fra il prima e il dopo, a
dimostrazione di una continuità di pensiero e di
una estrema coerenza costruttiva e creativa.
Verdi, è noto, non ha lasciato scritti teorici di
estetica. Il suo pensiero
sul teatro emerge, nitido
e chiaro dalle opere stesse e dalle lettere ai suoi
librettisti, dove si parla
di “parola scenica”, di situazioni, del coraggio
che un artista dovrebbe
avere di non fare né poe-
sia né musica quando il
dramma lo richiede.
Autentico uomo di teatro, Verdi amò sperimentare.
La centralità del
personaggio
La trilogia è il frutto di
una sperimentazione e,
insieme, la preparazione
in vista della “terza”,
straordinaria fase, quella
delle opere più complesse, che va dai Vespri Siciliani (1855) fino ad Aida
(1872), dove potremmo
dire si assiste ad una fusione dei caratteri delle
fasi precedenti: la coralità tipica della prima fase e l’approfondimento
del carattere dei personaggi.
Verdi approda al Rigoletto dopo una lunga militanza nel teatro risorgimentale, scolpito in maniera granitica, con masse corali poderose, con
personaggi-simboli di
una umanità dominatrice o succube. Frasi gettate al pubblico dell’epoca
come messaggi inequivocabili. In Ezio, console
romano, che esorta Attila
a tenere per sé l’Universo
ma a lasciare l’Italia, si
identificavano tutti i patrioti del tempo.
Poco importava in questo clima approfondire i
sentimenti del console,
studiarne la psicologia, i
moti dell’animo. Era un
italiano che combatteva
per la causa. E questo bastava.
Dopo la sconfitta di Carlo Alberto nella Prima
Guerra d’Indipendenza e
il crollo delle illusioni,
Verdi si indirizzò verso
altri temi, in realtà già
toccati in precedenza (di
qui la difficoltà citata, di
classificare e ordinare): i
drammi individuali analizzati attraverso figure
di forte spessore.
C’era già stata l’esperienza shakesperiana del
Macbeth con un personaggio affascinante nella
sua crudeltà quale Lady
Macbeth. E c’era stata
anche Luisa Miller.
In Macbeth , del resto, la
“novità” non era solo
ravvisabile
nell’argomento, ma nel rapporto
fra parola e musica e nel-
Piccolo dizionario delle forme chiuse
Ahi! le cabalette
«..l
e Cabalette! Apriti o terra! Io
però non ho tanto orrore delle
cabalette e se domani nascesse
un giovine che me ne sapesse fare qualcheduna del valore per esempio del “Meco tu
vieni o misera” oppure “Ah perché non
posso odiarti” andrei a sentirle con tanto di
cuore…».
Scriveva così Verdi e Ricordi nel novembre
1880 parlando del rifacimento del Simon
Boccanegra. Le cabalette! Apriti o cielo! Era
l’epoca in cui, sotto l’influenza del rigoroso teatro wagneriano, si guardava con severità alle vecchie “formule” del teatro italiano. La cabaletta, in voga essenzialmente
nel primo Ottocento, era una breve aria vivace e di carattere in genere virtuosistico
che concludeva una scena. Era una delle
cosiddette “forme chiuse”, quei pezzi cioè
con un inizio e una coerente conclusione
musicale che hanno caratterizzato tutto il
teatro italiano dal Settecento più meno fino
al Falstaff (e anche successivamente) e che
Wagner ha decisamente avversato.
L’opera seria italiana (quella comica sin
dall’inizio ha evidenziato una maggiore
varietà strutturale) si è per buona parte
della sua esistenza basata sulla contrapposizione dialettica fra due entità: il recitativo
e l’aria. Il primo più tendente, appunto, alla recitazione aveva la funzione di sviluppare l’azione, far progredire la vicenda; la
seconda più lirica, più vocalmente impegnativa, costituiva il momento statico della
scena, esprimeva i sentimenti dell’interprete, le sue reazioni di fronte agli avvenimenti.
Nel corso del tempo le due forme si sono
trasformate (il recitativo ha lasciato il posto
ad una struttura più articolata e complessa, l’aria si è sviluppata in molteplici direzioni), ma hanno continuato a caratterizzare il nostro teatro, spesso mescolandosi e
collegandosi più strettamente fra loro o
con altre forme: ad esempio il coro (sempre
più importante nell’Ottocento, come elemento introduttivo della vicenda), oppure
i pezzi d'insieme per giungere ai grandi
concertati che l’opera seria ha ereditato dal
teatro comico. Si pensi ai capolavori di
Rossini, agli scoppiettanti finali dei primi
atti del Barbiere di Siviglia o dell’Italiana in
Algeri.
R. I.
l’esplorazione del “fantastico” (si pensi al mondo
delle streghe, ma anche
agli spettri) mai affrontato in precedenza dal musicista di Busseto.
La trilogia attinse a queste esperienze e le approfondì.
In Rigoletto, Trovatore e
Traviata il musicista pone al centro un personaggio visto sotto due aspetti diversi: in Rigoletto, ad
esempio, convive il
buffone di corte e il padre preoccupato della incolumità della figlia; nella Violetta di Traviata c'è
la cortigiana leggera e
frivola ma c'è anche la
donna innamorata capace di sacrificare la propria esistenza per l'amato, in Azucena del Trovatore convive la madre affettuosa (anche se di un
figlio “adottato”) e la
donna in cerca di vendetta. Personaggi complessi,
dunque, che Verdi rende
con genialità in una
struttura teatrale nella
quale se teoricamente le
forme chiuse sopravvivono, in pratica sono talmente collegate sul piano drammatico e musicale da scorrere con
continuità.
Le Forme chiuse
E’ proprio l’aspetto formale (unito naturalmente alla bellezza di certe
pagine che non a caso
hanno reso “popolari” le
tre opere) a risultare particolarmente importante.
Tutto il teatro italiano,
come è noto, si è sempre
strutturato secondo una
successione di forme
chiuse, essenzialmente
arie e recitativi, con le
opportune trasformazioni nel corso del tempo.
Verdi non sfugge alla
tradizione fino al Falstaff
che segna invece il superamento del rapporto
dialettico aria/recitativo
a favore di una sorta di
arioso continuo.
La trilogia dunque non
rinuncia alle forme chiuse, ma le combina e soprattutto le integra in
maniera drammaturgica-
mente geniale, tanto da
“nasconderle”.
Si prenda in Rigoletto, la
celebre scena in cui il
buffone arriva a corte per
scoprire dove hanno nascosto la figlia. C’è una
lunga parte introduttiva
(il vecchio recitativo) in
cui Rigoletto passeggia,
scherza con i vari cortigiani, fa alcune domande
per capire le complicità e
le responsabilità. Poi
quando viene a sapere
che la ragazza è davvero
lì con il Duca, urla ai costernati cortigiani «Io vo’
mia figlia!» e si lancia in
una imprecazione violenta, «Cortigiani, vil
razza dannata». A quel
punto inizia l’aria. Ebbene fra i due momenti c’è
una separazione musicale, ma non drammaturgica. L’azione si sviluppa
ininterrotta e la cesura
musicale diventa quasi
impercettibile.
Un altro esempio straordinario si trova nel Trovatore. Si tratta della scena del Miserere che offre
un'idea estremamente
precisa del concetto
drammaturgico verdiano. La scena propone tre
canti di natura diversa
che prima si susseguono
e poi si accavallano. C'è
Leonora che canta in primo piano il suo dolore
per la condanna a morte
di Manrico: un canto in
tonalità minore, affranto,
spezzato, rotto ritmicamente; da un lato arriva,
lontano, il canto dei detenuti, un «Miserere» accompagnato solo dal rintocco delle campane; e
poi prorompe, in tonalità maggiore, il canto di
Manrico, anch'egli assente dalla scena, rassegnato ormai alla morte. I
tre momenti, se presi
staccati, non appaiono di
particolare interesse; ma
la loro unione dà origine
ad una scena di indubbio effetto.
E’ il taglio, la concezione
di scene come Miserere
che dà la misura della genialità di un musicista e
della sua «vocazione»
teatrale.
Roberto Iovino
Il
La Traviata
Giornale dei Grandi Eventi
7
Analisi Musicale
Una perfetta simbiosi tra
drammaturgia e musica
«L
a Traviata ha
fatto un fiascone
e peggio, hanno
riso. Eppure, che vuoi?
Non ne sono turbato. Ho
torto io o hanno torto loro?
Per me credo che l’ultima
parola sulla Traviata non
sia quelle d’jeri sera. La rivedremo e vedremo! Intanto, caro Mariani, registra il
fiasco…». Scriveva così
Verdi al direttore d’orchestra Angelo Mariani
il giorno dopo il contrastato debutto di Traviata
alla Fenice di Venezia, il
6 marzo 1853.
Nonostante i fischi e il
“riso”,il musicista mostrava una composta serenità, segnale della propria convinzione di aver
licenziato un’opera di rilievo. Ed ebbe ragione,
perché ben presto Traviata non solo rinacque, ma
si impose come uno dei
massimi capolavori del
nostro teatro e uno dei titoli più popolari del suo
repertorio.
I motivi del successo
stanno tanto nella impostazione drammaturgica
del lavoro, quanto nella
partitura musicale.
«Sono solo un uomo di teatro» dichiarò una volta
Verdi, rifiutando l’etichetta di illustre musicista.
Lavorando sul libretto
che Francesco Maria Piave aveva tratto da La dame aux camelias di
Alexandre Dumas figlio,
il musicista riuscì a costruire un’affascinante
tragedia sull’amore e
sulla morte, mescolando
genialmente, leggerezza
e drammaticità, lirismo e
tensione.
Domina il valzer, la danza tipica dei salotti ottocenteschi. Ed è sul ritmo
ternario del valzer che si
incrociano i bicchieri nel
brindisi forse più famoso
del teatro italiano. In «Libiamo ne’ lieti calici», si
coglie la freschezza e la
passionalità dell’amore
di Alfredo ma si intravede anche il primo segnale di turbamento di Violetta. Inizia nell’allegria
e nella frenesia della
mondanità parigina l’opera per virare immediatamente dopo con una
delle più grandi scene
mai concepite.
Follie, follie…
Il lungo, incredibile monologo di Violetta è, in effetti, un capolavoro perché ci regala l’immagine
di una donna che apparentemente felice, vive
un dramma interiore fortissimo, combattuta tra
una esistenza frivola e il
desiderio di abbandonarsi all’amore per un uomo
e, attraverso lui, “redimersi”. Violetta attacca
con una frase fatta di
dubbi, poche note incorniciate da pause: «E’ strano! E’ strano!». Sola, nella
sua casa improvvisamente fredda e silenziosa,
Violetta si interroga e si
lascia andare a una sottile speranza d’amore: «Ah
fors’è lui che l’anima». Un
amore misterioso, «croce e
delizia al cor». C’è, nella
donna, la paura di abbandonarsi al sentimento. Di
qui la reazione: «Follie,
follie» con una autocommiserazione ma anche
con la determinazione di
cambiare registro. «Povera donna» canta Violetta
su una scala discendente
da fa a do. E qui, aprendo
una parentesi, vale la pena ricordare che in Falstaff allorché Quickly,
nella prima scena del secondo atto, si reca da Falstaff come messaggera
d’amore in nome di Alice
(per un falso appuntamento, una trappola nei
confronti del vecchio libertino), commiserandone il presunto innamoramento, usa la stessa frase
sulle medesime note:
un’autocitazione ironica
che mostra tutto l’umorismo del vecchio Verdi.
Tornando a Traviata, al
patetismo segue l’allegro
brillante in cui Violetta
cerca di ritornare quella
di prima: «Sempre libera
degg’io folleggiare di gioia
in gioia». La scrittura si fa
impervia, virtuosistica,
gli abbellimenti servono
a rendere magistralmente il carattere svolazzante
della donna, così come
nel Barbiere di Siviglia le
acrobazie vocali di Rosina ne restituivano i capricci e la determinazione. E’ stato spesso sostenuto che la parte di Violetta richiederebbe due
grandi interpreti in quanto Verdi le ha affidato
una scrittura particolarmente complessa e variata: impervia e svolazzante per rendere la leggerezza della donna; intensa e lirica per svelarne i
sentimenti più sinceri e
profondi.
Certo è che Violetta è
uno dei personaggi più
totalizzanti del teatro
melodrammatico. Come
Don Giovanni, costituisce il motore di ogni
azione e di ogni sentimento. O è in scena o è
evocata dagli altri.
Amami, Alfredo
Tutti noi frequentatori di
teatro lirico, abbiamo le
nostre debolezze. A volte
inconfessabili, ma vere,
autentiche. Pagine che ci
fanno venire la pelle d’oca. A quanti sfugge una
lacrimuccia
quando
Mimì giace nel suo letto
di morte, oppure quando
Cio-cio-san, altra figura
incommensurabile, la più
grande eroina pucciniana, si pugnala.
Chi scrive prova una
strana emozione quando
Violetta grida il suo amore così grande e così impossibile: «Amami Alfredo!». E’ una pagina brevissima, ma preparata in
maniera talmente geniale
da Verdi da diventare il
fulcro di tutta l’opera: il
momento del sacrificio,
della dichiarazione d’amore e dell’abbandono.
Tutto in due parole, in
pochi istanti consumati
fra pause, singhiozzi, imbarazzi, fino allo slancio
immenso che trascende
l’amore di Violetta per
Alfredo. E’, semplicemente, l’invocazione del-
l’Amore in sé, universale,
globale, disperato eppure
immortale.
Di fronte a questa grandezza, a questa superba
donna che sa mettersi da
parte per non turbare l’esistenza dei Germont, gli
altri personaggi sono piccoli piccoli. A cominciare
da Alfredo che non sa vedere al di là del proprio
naso, che non capisce
Violetta, che ha reazione
estreme e infantili: il tenore pieno di sé e baldanzoso cui Verdi affida
qualche pagina di spessore, ma senza una particolare simpatia.
Come in molte opere ottocentesche («L’opera è
quello spettacolo in cui il tenore cerca di portare a letto
il soprano e il baritono glielo impedisce», ammoniva
George Bernard Shaw)
spetta al baritono, ovvero a Giorgio Germont,
vestire i panni dell’interlocutore e del censore di
Violetta. L’aria «Pura siccome un angelo» è di notevole bellezza: nella sua
falsa moralità, Germont
cerca di intenerire Violetta con il riferimento alla
innocenza della sorella
di Alfredo. Ed è magistrale l’idea di Verdi di
contrapporre al lirismo
disteso di questa pagina,
la risposta nervosa, ansimante di Violetta, su frasi interrotte e spezzate:
«Non sapete quale affetto,
vivo, immenso, m’arda in
petto». Quando Violetta,
piegata alle richieste, accetta di andarsene, Verdi
costruisce un andantino
cantabile che è il canto
d’addio alla vita, quella
sognata: «Dite alla giovine
sì bella e pura». Il trionfo
di Germont viene suggellato dalla successiva
aria «Di Provenza il mare,
il suol» rivolta al figlio
per consolarlo della partenza della donna e per
riportarlo nella propria
casa. Il secondo atto di
Traviata è costruito con
un senso del teatro davvero geniale, con una forte tensione emotiva.
La seconda parte dell’atto è il momento della resa dei conti. La superficialità di Alfredo emerge
in tutta la sua stupidaggine con il celebre
“schiaffo”: «A testimon vi
chiamo che qui pagata io
l’ho». E’ lo stesso Germont a difendere Violetta ed il concertato conclusivo rappresenta una
sorta di glorificazione
della povera donna.
Il terzo atto regala l’accorata lettura della lettera
(«Teneste la promessa, la disfida ebbe luogo») e lo
struggente «Addio del passato». Poi la morte che, come spesso accade nel Romanticismo, è una sorta
di catarsi, di liberazione.
Violetta diventa un’eroina, si spegne fra le braccia
del suo Alfredo e riscatta
con una coraggiosa morte
una vita che la società
borghese non le aveva
consentito di cambiare,
obbligandola a rimanere
cortigiana.
Roberto Iovino
8
La Traviata
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Alphonsine Plessis, la vera stor
Dall'infanzia infelice alla morte solitaria: la
«I
n vendita elegante
mobilio intarsiato e
scolpito, tappezzerie, gioielli, argenterie, diamanti…».Così recita il
manifestino dell'asta cui
furono messi gli averi di
Alphonsine Plessis, alias
Marie du Plessis, colei
che venne trasfigurata da
Alexandre Dumas figlio
in Marguerite Gautier ed,
infine, fasciata nel costume di Violetta Valery da
Giuseppe Verdi.
Era il 27 febbraio1847. Si
era appena spenta in solitudine ad appena 23 anni,
la cortigiana più ammirata dell'opulenta Parigi di
Luigi Filippo. Fu uccisa
da una forma particolarmente grave di tubercolosi, un terribile flagello che
all'epoca mieteva circa
sette vittime ogni dieci
persone malate.
L'asta ebbe luogo nello
stesso appartamento dove Alphonsine morì, al
numero 15 del boulevard
de la Madeleine, palazzo
che oggi non esiste più a
Parigi, snaturato da successive costruzioni.
In quella «splendida fogna
purificata dalla morte» co-
Alexandre Dumas figlio
me ebbe a definirlo Dumas ne La dame aux camelias, si aggirarono le signore della buona società, scegliendo qui un
trumeau, là una tappezzeria o un cofanetto d'argento, magari contrassegnato dal monogramma
di qualche antico amante
di Alphonsine.
Alla schiera di questi
amanti appartenne lo
stesso Dumas che, nel
1844, grazie all'amico Eugene Dejazet, conobbe la
femme fatale ad una festa.
Ritiratasi dal salone per
un accesso di tosse,
Alphonsine ricevette l'appassionata dichiarazione
di Alexandre; nacque
una relazione che
durò circa un anno,
finché il giovane scrittore, che per lei aveva
speso una fortuna,
non fu più disposto a
tollerare che lei mantenesse relazioni con
i suoi ricchi amanti
Stackelberg e Perrigaux. «Io non sono né
così ricco per amarvi
come vorrei - le scrisse
nella lettera d'addio né così povero per essere amato come voi vorreste».
Dumas apprese della sua
morte pochi giorni dopo
e scrisse di getto il romanzo che poi, una volta trasposto in versione teatrale, diede il via alla sua
brillante carriera di drammaturgo.
Un'infanzia infelice
Al di là delle rarefatte
idealizzazioni romantiche, quello che sappiamo
sulle origini di Alphonsine ci conduce a una vicenda di desolante squallore. L'umile nascita nel
borgo di Nonnant, in
Normandia, la madre
fuggita di casa, il padre, Marin, un alcolizzato che la picchiava,
poi il lavoro di lavandaia, il concubinaggio favorito dal padre- con
un vecchio libertino,
che destò un tale scandalo da costringerla a
rifugiarsi nell'anonimato di Parigi, dove
trovò l'impiego di
commessa in un negozio d'abbigliamento.
Era
indubbiamente
una splendida ragazza:
un ritratto di Vienot,
conservato nel castello
di Champflour, ci tramanda un ovale perfetto, capelli neri come
il carbone, pettinati a
tirebouchon, lineamenti
di rara finezza sotto
due sopracciglia ad arco quasi geometriche.
Dal suo passaporto
sappiamo che era alta
circa un metro e sessantacinque, ma era
considerata un po'
troppo alta e sottile per
i canoni dell'epoca.
Dissimulava questa figurina slanciata con ampi vestiti di colore chiaro.
A causa del suo
scarso rendimento
sul lavoro fu licenziata, ma ormai
Alphonsine aveva
imparato a confidare nella propria
bellezza.
Si vestì con ricercatezza e si mise ad
aspettare la grande
occasione della sua
vita. Fu così che conobbe il giovane e
facoltoso conte Antoine de Guiche. Si
trasferì in una villa
in rue Mont-Thabor dove, quasi come in My Fair Lady, La Tomba di Alphonsine Plessis
il suo Pigmalione le
punto che, alla fine,
pose al servizio modiste,
ovunque apparisse, all'Oinsegnanti di galateo, balpera, al Café de Paris, al
lo, portamento e dizione,
Théâtre des Italiens o al
che le scrostarono quanto
Ritratto di Alphonsine Plessis
di plebeo ancora le rimaneva indosso, per farne
una squisita mattatrice
dei salotti più alla moda.
Un nuovo status
Alphonsine raccolse gli
insegnamenti ricevuti al
Jockey Club, non aveva
rivali per bellezza, eleganza, vivacità e spirito.
Raggiunto quindi un
nuovo status sociale, decise, probabilmente su
suggerimento del suo
aristocratico amante, di
cambiare il nome di bat-
Il
Giornale dei Grandi Eventi
La Traviata
9
ria della Signora delle Camelie
a parabola di una meteora del gran mondo
ne, sortiva
certamente un buon
effetto.
Come si
evince dall'elenco
dei libri di
sua prop r i e t à
messi all'asta, in
pochissimo tempo
Alphonsine si era
creata una
discreta
cultura e
vasti interessi: leggeva Lamartine,
H u g o ,
Goethe e
de Musset
(del resto
tesimo con il più casto
suo ammiratore) e sape«Marie» e di fare del cova anche arrangiarsi al
gnome Plessis un predipianoforte. Prese alcune
cato aristocratico con
lezioni di piano persino
l'aggiunta del «du». Forda Franz Liszt, che nel
se non fu una scelta a ca1846 divenne per un
so, poiché la famiglia du
breve
periodo
suo
Plessis, era una delle più
amante. Il grande virantiche e nobili di Frantuoso lasciò un commocia e fu la stessa che dievente
ricordo
di
de i natali al Cardinale
Alphonsine, come di
di Richelieu, al secolo,
una donna di grande
appunto, Armand Jean
cuore e di grande intellidu Plessis de Richelieu.
genza.
Non sappiamo quanto
Ciò che colpisce è la vequesto nome d'arte fosse
locità con cui questa giopreso sul serio dagli
vane era riuscita a impaaraldisti da salotto, tutrare tutto ciò, considetavia, come presentaziorando che, appena giunta a Parigi,
era pressoché analfabeta.
Fu a un certo punto il
padre
del
giovane de
Guiche a interporsi per
concludere
la chiacchierata relazione il rampollo e la
cortigiana.
Si racconta
della nascita
di un figlio,
che la nobile
famiglia
avrebbe poi
preso in affidamento.
Marie Duplessis a teatro, acquerello
Marie cominciò quindi a
tor David Ferdinand
collezionare altri amanti
Koreff, un medico alla
e ricchi protettori.
moda che si occupava di
Nel romanzo, Dumas atmagnetismo animale,
tribuisce i suoi desideri
sull'onda degli studi di
febbrili alla malattia di
Mesmer, e che era anche
petto che aveva contratto
un valente letterato.
nell'ambiente povero in
cui era nata. Questa creL'aggravarsi
denza parrebbe suppordella malattia
tata dall'effettiva possibilità che l'ipossia, dovuta
Guarita dalla polmonite,
a una carenza d'ossigeno
Alphonsine si recò a
per insufficienza respiraLondra con il suo ultimo
toria, possa produrre deamante, Perrégaux, che
liri o suggestioni a caratla sposò il 21 febbraio
tere erotico.
1846, contro il volere
Sicuramente Alphonsidella famiglia, con il sone aveva una gran volo rito civile. Alphonsiglia di vivere, di bruciare nel fasto,
nello
sperpero,
nella concupiscenza di
essere amata e vezzeggiata, quei
pochi anni
che
forse
presentiva
le sarebbero
rimasti da
vivere.
A Chantilly
fece perdere
la testa al
visconte
Edouard
Perrégaux, Boulevard de la Madeleine
che divenne praticane fu molto felice di avemente suo schiavo; alle
re assunto un titolo e
terme di Bagnères inuna rispettabilità sociacontrò l'anziano ambale. Poté finalmente esibisciatore di Russia, conte
re legittimamente le ardi Stackelberg, che poi
mi dei conti Perrégaux
la insediò nel lussuoso
sugli sportelli della sua
appartamento della Macarrozza, ma il matrimodeleine, donandole canio durò poche settimavalli e carrozze. Costui
ne e non fu comunque
le mandava ogni giorno
riconosciuto in Francia.
fasci di fiori, dai quali lei
Le sue condizioni di saprese l'abitudine di staclute decaddero allora racare una camelia per appidamente; tornò a Paripuntarsela sul seno.
gi
nell'appartamento
Questo fiore delicato e
donatole da Stackelberg
senza profumo era uno
dove si rifugiò, sola, abdei pochi che i suoi polbandonata dagli amici e
moni malati riuscivano
assediata dai creditori,
a sopportare. Per ventiassistita solo dalla fedecinque giorni al mese inle cameriera Clotilde.
dossava una camelia
Ricevette le cure del
bianca, per gli altri cinDottor Casimir J. Davaique, rossa. Dopo il 1845,
ne (famoso per i suoi
conclusa la storia con
studi sul carbonchio)
Dumas, la sua malattia
che le prescrisse clisteri
andò peggiorando, condi chinino e del dottor
trasse una polmonite e
Clomel che le impose
fu presa in cura dal dotuna dieta a base di pane
e minestre vegetali, ma
nulla si poté per salvarle
la vita. Il 3 febbraio 1847
Alphonsine Plessis esalò
l'ultimo respiro.
Riposa ancor oggi nel cimitero monumentale di
Montmartre in un classicheggiante sarcofago di
marmo fatto erigere per
lei dal Perregaux, che riporta questo semplice
epitaffio: «Ici repose
Alphonsine Plessis, nee
le 15 Janvier 1824, decedee le 3 Fevrier 1847 . De
Profundis.»
Dei suoi averi, circa due
terzi finirono all'asta per
saldare i debiti con i creditori, il restante fu ereditato dalla sorella di lei,
Delphine, che viveva in
Normandia. La diretta
discendente di costei si
chiama Eugénie Mariette e vive ancora in Normandia, sposata ad un
agricoltore. Della sua
più famosa antenata
possiede alcuni oggetti
che furono trasmessi di
generazione in generazione: un paio d'orecchini, uno spillone, una collana ed un medaglione.
Il ricordo di quest'icona
romantica non si è mai
spento: la tomba di
Alphonsine Plessis è ancor oggi una delle più
visitate del cimitero monumentale parigino e
ogni giorno visitatori e
ammiratori vi lasciano
fiori freschi. Naturalmente, camelie.
Andrea Cionci
La Traviata
10
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Lo scrittore autore del romanzo Dame aux Camèlias
Alexandre Dumas: figlio d’arte … e del bel vivere
P
scrive i suoi primi versi,
adre della Dame
decide di abbandonare il
aux Camèlias e figlio
collegio e si immerge
de Les trois Mounella vita oziosa e galansquetaires, Alexandre Dute che solo la Parigi demimas nasce a Parigi il 27
siècle riesce ad offrire ai
luglio 1824 dall’omonigiovani scrittori in erba.
mo Dumas maestro del
Sulla rotta delle frequenromanzo storico e da una
tazioni mondane è il pasua vicina di pianerottodre a mostrargli la stralo, Catherine Laure Labay, ricamatrice.
Quella del piccolo Alexandre è
un infanzia difficile: viene dichiarato figlio naturale di genitori sconosciuti e viene
spedito in istituto, per poi essere
riconosciuto all’età di sette anni,
dal padre che affronta una lunga
battaglia legale
per l’affidamento, strappandolo
alla giovanissima
sarta. L’evento
resta impresso
per sempre nella Alexandre Dumas
mente di Dumas,
da, e Alexandre si tuffa
che nelle sue opere maninei caffè alla moda, nei
festa un profondo disateatri più in voga, nei sagio descrivendo scenari
lotti di Balzac, Liszt, Lusfamiliari in preda alla diset. Ma con il genitore il
sgregazione, al malesserapporto non è sempre
re, all’incomunicabilità.
sereno: il ragazzo non gli
All’età di diciassette anni
perdona l’abbandono e
non gli risparmia prediche moraliste e paternalistiche. I due abitano insieme, e quando il “giovane” è in giro, di fronte
ad amici e conoscenti descrive il “vecchio” come
«un bambinone» che «ho
avuto quando sono nato».
Solo poco dopo, verso la
metà del secolo, lascerà
definitivamente la casa
di rue Joubert.
Nel
1844
incontra
Alphonsine Plessis (alias
Marie Duplessis), la cocotte d’alto bordo appassionata di camelie che
quattro anni dopo ispirerà il suo romanzo più
conosciuto: la Dame aux
Camélias. Un amore breve, intenso e soprattutto
oneroso, tanto da spingere Dumas a scrivere alla
ragazza una lettera in cui
si dice costretto a lasciarla: «Cara Marie, non sono
abbastanza ricco per amarvi
come vorrei, né abbastanza
povero per essere amato come voi vorreste». Pochi anni dopo, trasporta la sua
piccola grande storia
personale in un romanzo
e questo in un testo teatrale (1852), poi ripreso
dal librettista Francesco
La strana storia della “Loterie des lingots d’or”
Quando Dumas reclamizzava l’Eldorado
I
l 1851 è l’anno in cui si apre una curiosa parentesi nella vita di Alexandre Dumas figlio. Il giovane romanziere si mette, infatti, alla testa della
controversa Societé des Lingots d’Or,
un’organizzazione voluta da Napoleone III per promuovere una grande lotteria destinata a raccogliere fondi per
consentire agli operai disoccupati ed ai
parigini meno abbienti di emigrare verso le miniere della California. L’obiettivo malcelato di questa Loterie era in
realtà l’esilio forzato - nascosto dalla
prospettiva di un’avventura verso la
corsa all’oro - di tutti quei personaggi
che il regime del nuovo Imperatore
considerava “indesiderabili”: i rivoltosi
del ’48, i veterani della garde républicaine, i Montagnardi (i repubblicani eredi
di Marat), gli aristocratici decaduti, i
banchieri finiti in rovina. La ricerca dell’Eldorado americano, per molti dei
3000 migranti, finiva sul ponte delle navi prima di passare Capo Horn: durante le soste in Sud America accadeva
spesso che equipaggio e passeggeri
contraessero la febbre gialla. Coloro
che riuscivano a sbarcare vivi a San
Francisco si trovavano a dover fronteggiare condizioni di vita che avevano
ben poco a che fare con il sogno americano ed erano costretti ad elemosinare,
a svolgere lavori infimi, a prostituirsi
(come accadde alla scrittrice Fanny Loviot, che nel 1853 nel suo Les pirates chinois racconta dell’odissea del viaggio in
nave, durato cinque mesi, e della vita
di strada nella città della West Coast).
Non è chiaro il motivo per cui l’autore
della Dame aux Camèlias si fosse offerto
(o fosse stato voluto) per propagandare
la lotteria. Quello che resta di questa
particolare vicenda è tutto nelle 16 pagine della brochure esplicativa redatta
da Dumas per invogliare i parigini a
partecipare al gioco ed ad affidarsi al rischio: «l’intervento negli affari umani di
questo invisibile, misterioso potere che
gli increduli chiamano fatalità, i credenti Provvidenza, gli indifferenti caso». E gli astuti … imbroglio.
J. M.
Tomba di Alexandre Dumas nel cimitero di Monmartre a Parigi
Maria Piave come soggetto per la Traviata di
Verdi.
I romanzi Le Docteur Servan (1849), Antonine
(1849), Tristan le Roux
(1850), Trois Hommes forts
(1850), Le Régent Mustel
(1852), Contes et Nouvelles
(1853), La Dame aux perles
(1854) seguono a ruota la
Signora delle Camelie e testimoniano la grande carica vitale di uno scrittore che vive la crisi del romanzo storico e l’affermarsi del naturalismo
francese.
Negli anni successivi,
Alexandre affronta con il
suo stile brillante temi
assai controversi per l’epoca come la posizione
sociale della donna, il divorzio, l’adulterio, la ricerca della paternità.
Delle 19 pièces teatrali
che in questo periodo nascono dalla sua penna facile, e che spesso lo rendono scandaloso agli occhi della buona società,
ricordiamo Diane de Lys
(1853), Le Demi-Monde,
(1855), La Question d’Argent (1857) Le Fils Naturel
(1858), Un Père Prodigue
(1859), L’Ami des Femmes
(1864), Francillon (1887).
Grande ammiratore della scrittrice “protofemminista” George Sand,
Dumas si spinge spesso a
sud di Parigi per farle visita nella sua casa di
Nohant. La chiama affettuosamente “chère maman”, e nel 1864 si mette
spontaneamente all’opera per trasformare il suo
romanzo Le Marquis de
Villemer in un testo teatrale.
Nel 1874 è eletto all’Accademia Nazionale di
Francia ed insignito della
Légion d'honneur. Victor
Hugo, che da vent’anni
disertava le sale dell’Accademia, vi ritorna appositamente per votare a
suo favore.
Coccolato da un più che
discreto successo, può
godersi la tranquillità
nelle tante proprietà
sparse nei dintorni di Parigi, ed è nella sua villa
delle Yvelines, a Marlyle-Roi, che si spegne serenamente il 2 novembre
del 1895. Le sue spoglie
riposano nel cimitero di
Montmartre, insieme a
quelle di tanti talenti della letteratura.
Jacopo Matano
Il
La Traviata
Giornale dei Grandi Eventi
11
Ritratto del Musicista
Dieci libretti per Verdi
«T
orniamo all’antico e sarà un progresso», scriveva Verdi a Francesco Florimo nel 1871, in difesa della tradizione melodrammatica italiana e contro la
penetrazione dell’arte tedesca che stava generando
la nuova moda dei concerti sinfonici. Il Maestro
lombardo, simbolo del Risorgimento italiano, si
pose da subito in aperto
contrasto con il gusto wagneriano: «non possiamo
alla lunga crede alle fantasticherie di quest’arte straniera che manca di naturalezza e semplicità». La poetica verdiana non voleva
l’artista schiavo delle novità e del gusto alla moda, ma ‘voce’ del «suo
Paese e della sua epoca».
né ci deve essere che una musica grata alle orecchie degli
italiani del 1848. La musica
del cannone!... Io non scriverei una nota per tutto l’oro
del mondo: ne avrei un rimorso immenso consumare
della carta da musica, che è sì
buona a fare cartucce». E ancora nel ’60: «l’inno nazionale devesi intonare sulla veneta laguna, a Napoli o sulle
Alpi ad un tempo solo. Ho rifiutato e rifiuterò fino a quel
momento di scriverne, e seppure Iddio ci aiuti a spezzare
le nostre catene ed io viva
tanto da veder quel giorno,
sarà il primo e ultimo inno di
G. Verdi». Promessa non
mantenuta, benché sempre più spesso il coro Va’,
pensiero del Nabucco sia
assunto a simbolo del nostro Paese.
Dallo slancio politico…
… Alla passione per la
campagna
Nell’aprile del ’48 scriverà
al librettista Francesco
Maria Piave: «tu mi parli di
musica!! Cosa ti salta in capo?... credi che io voglia ora
occuparmi di note? Non c’è,
Seguiva con passione la
cultura italiana e europea,
ma al contempo era attento agli affari e alla sua
campagna: viti, cavalli,
Giuseppe Verdi negli anni ‘50
concimi e contadini. «Addio campagna, addio passeggiate, … addio bel cielo azzurro, addio spazio infinito…! Quattro pareti sostituiranno l’infinito …i libri e
la musica rimpiazzeranno
l’aria e il cielo».
Il mondo musicale verdia-
no, apparentemente
lontano
dalla natura schiva e
brusca del
maestro, ne
riflette invece a pieno la personalità: la
forte moralità con le
sue leggi
ferree e una
musica tanto precisa
nel definire
gli stati d’animo. Natura saggia
ed equilibrata, concreta e legata alla
sua terra. Di qui i temi
portanti di opere, tra cui
l’Attila, con chiare allusioni politiche: i vizi umani, il
peso del potere che schiaccia l’individuo, la solitudine del soglio, l’amore contrastato, la vendetta.
La lettura dell’epistolario
riesce a regalare immagini
vivaci di questa forte personalità, che sapeva ridere
di se stesso, “tiranno” e severo sul lavoro, ma anche
amico caldo e generoso.
Artista che ha saputo segnare il suo tempo e a cui
la lunga vita permise di
assistere ai più grandi
cambiamenti epocali: dall’estetica musicale, che
partiva da posizioni rossiniane, ma conobbe le
riforme wagneriane, ai rivolgimenti politici e soprattutto quelli tecnologici. Quando nacque, nel
1813, in un dipartimento
del Taro, sotto il governo
dell’Impero napoleonico,
l’illuminazione era a olio e
l’unico mezzo di spostamento erano cavalli e carrozze. Quando morì nel
1901, nel nuovo Regno
dell’Italia unita, Edison
aveva ideato la lampadina
elettrica, che già stava
soppiantando l’illuminazione a gas, e da pochi anni Agnelli aveva fondato
la Fiat!
S. So.
Il librettista Francesco Maria Piave
«El Maestro el vol cussì…»
E
ra figlio di un vetraio
di Murano Francesco Maria Piave, librettista di Verdi in diverse opere, nato a Venezia
nel 1810 ed avviato dal padre, come molti giovani
del suo tempo, alla carriera ecclesiastica. Mentre
continuava gli studi, si occupò con modesti lavori di
traduzione, correzioni di
bozze, stesura di articoli e
novelle. Si dilettava anche
nella composizione di canzoni e ballate, facendosi
presto notare nell’ambiente intellettuale veneziano
soprattutto per la sua abilità nell’improvvisare versi in dialetto.
Nel 1842 fu notato dal conte Alvise Mocenigo, allora
presidente degli spettacoli
Alla Fenice, il quale lo
chiamò come librettista ufficiale del Teatro. Incarico
che Piave mantenne insieme con quello di direttore
degli spettacoli e regista
stabile, fino al 1859, quan-
do Verdi lo fece entrare
come “direttore della messa in scena” alla Scala. Il
suo primo libretto fu il Duca d’Alba (1842) per Giovanni Pacini. A questo seguirono lavori anche per
Saverio Mercadante (La
schiava saracena, 1848), Federico Ricci (Crispino e la
comare, 1850) ed altri musicisti contemporanei: in
tutto, nella sua vita compose 61 opere musicate ed
11 incompiute, la produzione più prolifica fra i
poeti melodrammatici dell’epoca.
Per Verdi scrisse dieci libretti: I Due Foscari ed Ernani (1844), Macbeth (1847
e 1865), Il Corsaro (1848),
Stiffelio (1850), Rigoletto
(1851), Traviata (1853), Simon Boccanegra (1857),
Aroldo (rifacimento dello
Stiffelio) (1857) e La Forza
del destino (1862). A questi
si devono aggiungere nel
1846 la revisione dell’Attila di Temistocle Solera e
due libretti mai musicati:
Cromwell a cui Verdi preferì Ernani ed uno dal titolo sconosciuto, proposto
come alternativa alla Traviata.
Il rispetto e l’ammirazione
che il librettista nutriva
per verdi, lo resero disposto ad accettare il forte carattere del maestro. Famosa rimase la frase «El maestro el vol cussì…», che ripeteva ogni qualvolta fosse costretto ad apportare
modifiche ed a subire interventi d’ogni genere sui
libretti, a sopportare la
noiosa Busseto, a prestarsi
ai tradimenti ed ai malumori del compositore, il
quale peraltro gli fu legato
da profondo affetto e lo
stimò più che ogni altro librettista.
Nel 1867, paralizzato da
un’apoplessia, Francesco
Maria Piave si ritirò a vita
privata, trascorrendo gli
ultimi anni isolato ed in
condizioni finanziarie pre-
carie. Verdi costituì un fondo a favore della figlia
Adelaide e promosse insieme
con altri compositori ed all’editore Ricordi, un Album di romanze,
dalla cui vendita
fu tratto un ricavato a beneficio
della giovane.
Alla morte del poeta, avvenuta a Milano nel 1876,
Verdi si occupò anche delle cerimonie funebri.
Fedele seguace dei modelli del Romanticismo europeo, Piave aderì alla scuola avviata dal Romani, aggiornandola però con nuove esperienze linguistiche
derivanti dai contemporanei, come Manzoni e Bodio, dai quali spesso prendeva in prestito intere immagini. Trasse ispirazione
dagli scrittori romantici
come Victor Hugo (Ernani,
Rigoletto), Alexandre Du-
mas figlio (Traviata) e Bayron (I Due Foscari, Il Corsaro), semplificando all’estremo le loro trame ed accendendole di forti passioni, ispirate a valori religiosi e patriottici. Per questa
sua abilità nel costruire situazioni fu apprezzato da
Verdi, il quale non dava
importanza al valore dei
suoi versi, considerati dalla critica «grossolani ed approssimativi». Oggi, invece,
Piave è rivalutato anche
come poeta ingegnoso e
garbato.
Mi. Mar
12
La Traviata
Il
Giornale dei Grandi Eventi
L’affezione fatale a Violetta
Tubercolosi, malattia romantica
ora in pericolosa recrudescenza
N
on poche malattie
hanno improntato diverse epoche
della storia dell’umanità.
Così, se nel Medioevo
aleggiava lo spettro angoscioso della peste, la tubercolosi percorre e suggestiona l’epoca del Romanticismo. Nell’800, anche a seguito dell’identificazione nel 1882 da parte
di Koch del bacillo responsabile della malattia,
l’interesse per la stessa
crebbe consensualmente
alla sua diffusione. Essa,
che Leopardi in “A Silvia”
chiama «…chiuso morbo…», visse nello stretto
ambito di persone o
gruppi, magari nuclei familiari, ma mai diede luogo a manifestazioni generalizzate (cosa che, invece, non può dirsi, ad
esempio, né della peste,
del colera o tifo). Il fatto,
quindi, che la tubercolosi
fosse nello stesso tempo
malattia sociale, senza
avere i crismi dell’epidemia, la rese quasi “diversa” agli occhi dei contemporanei che si sono susseguiti nel considerarla come “fenomeno”. Non a
caso, come si comprese in
seguito, essa allignava nei
soggetti che, per la vita
grama e stentata che conducevano, disponevano
di difese immunitarie
spesso non idonee. Pur se
il quadro clinico aveva
possibilità di svilupparsi
nell’arco di anni, era altresì innegabile che colui
che ne fosse affetto veniva ben presto a sapere del
contagio a seguito della
semplice osservazione
della presenza di sangue
nell’espettorato (emottisi). Ciò senza che vi fosse
possibilità alcuna di qualche pietosa bugia, verso
una malattia dall’esito
mortale procrastinabile,
ma sicuro (i casi di positiva risoluzione erano rarissimi). Da qui poteva risultare non eccessivamente arduo l’accostamento di chi solitario affrontava questa battaglia,
al prototipo dell’ “Eroe
romantico”. Una malattia
rato solo nel 1946 dall’inche dopo le massicce
troduzione della streptocampagne sociali di premicina e poi dell’isoniazivenzione e cura durante il
de nel 1952. La malattia è
Ventennio era stata di fatdovuta ad almeno tre
to sconfitta, ma che ora
specie di Mycobacterium:
complice anche l’HIV e la
il M..tuberculosis (il vecsua caduta di difese imchio bacillo di Koch), il M.
munitarie ed i massicci
bovis ed il M. africanum. Il
flussi migratori, si sta riM. tubercolosis è un bacildiffondendo nei Paesi oclo, aerobio obbligato, a
cidentali dove
la scomparsa
del problema
ha determinato negli ultimi
anni un rilassamento delle
misure sanitarie di controllo. Un rilassamento anche
dell’opinione
pubblica se si
pensa che – secondo l’Osservatorio di Pavia - le principali edizioni
dei TG italiani
hanno dedicato alla malattia
solo tre notizie
in tutto il 2006.
In Italia, invece, la comune
tubercolosi
colpisce 7 italiani e 100-150
stranieri ogni Polmone affetto da tubercolosi
100 mila abitanti e sono già 8 i casi nel
lenta crescita, con un temnostro Pese di Superpo di generazione dalle
TBC, ceppi multiresisten12 alle 18 ore.
La TB uccide ancora milioti genotipizzati.
ni di persone e l’Organizzazione Mondiale della
La malattia
Sanità afferma, secondo
sue stime, che circa 9 miIl termine “tubercololioni di nuovi casi insorgosi”(TB) descrive una mano ogni anno, con 2 miliolattia infettiva che sembra
ni di decessi, in gran parte
aver tormentato l’uomo
(90 %) nei paesi in via di
fin dall’era neolitica. Solsviluppo, anche se attualtanto nel 1865, però, Villemente se ne osserva una
min ne riconobbe la trarecrudescenza anche nelle
smissibilità, mentre nel
comunità più progredite a
1882 Koch ne individuacausa della diffusione delva l’agente causale in un
le malattie da immunodebacillo. Nello stesso anno
ficienza (HIV) e dell’immiil nostro Forlanini ne
grazione di popolazioni
propose con lo pneumoprive di difese immunolotorace terapeutico – che
giche specifiche. Si reputa,
di fatto metteva “a ripoinoltre, che il 20–40% della
so” il polmone colpito - il
popolazione mondiale sia
primo rimedio efficace
affetta da M. tuberculosis e
per le forme polmonari,
che tale organismo sia rerimedio che venne supe-
sponsabile di oltre il 7%
dei decessi annui.
La diffusione
Oggigiorno quasi tutti i casi di TB sono acquisiti per
contatto inter–umano (da
persona a persona) attraverso i “nuclei di goccioline”
diffusi per via aerea. Micro
goccioline di saliva
e/o di muco, contenenti bacilli acidoresistenti che il malato
polmonare
diffonde nell’ambiente con la tosse,
lo starnuto o la semplice parola. Quando tali goccioline di
saliva si asciugano/essiccano o sono
di dimensioni appropriate, possono
essere sospese dalle
correnti
d’aria.
Quando di diametro
compreso tra 1 e 5
micron, tali particelle possono contenere 2 o 3 bacilli tubercolari. Particelle più
voluminose impattano sulla mucosa
delle vie aeree e vengono rimosse dal sistema muco-ciliare
prima di poter causare infezione. Particelle più piccole sono,
invece, in grado di raggiungere gli alveoli ed avviare l’infezione. Tale processo prevede l’ingestione
del bacillo tubercolare da
parte dei macrofagi. L’equilibrio virulenza dei bacilli–attività battericida del
macrofago determina la
sopravvivenza o meno dell’agente patogeno e, quindi, l’eventuale infezione. Il
bacillo cresce lentamente
all’interno del macrofago,
pertanto nessuna reazione
immediata dell’ospite è riconoscibile; è necessario,
infatti, che cariche batteriche ingenti (circa 103–104
organismi) si sviluppino
prima di indurre una risposta cellulare. L’ingente
moltiplicazione batterica
determina lisi macrofagica,
con conseguente immissione di bacilli liberi nei vasi
linfatici e da qui nel torrente circolatorio (diffusione
ematogena). La via ematica
consente al bacillo di raggiungere aree ad elevata
pressione parziale di ossigeno, quali gli apici polmonari, i reni, l’encefalo e l’osso, ove si esplica ulteriore
moltiplicazione del patogeno.
L’organismo può reagire
efficacemente ed allora il
focolaio infettivo polmonare viene circoscritto e va incontro a fibrosi (tubercoloma) ed a calcificazione; se
invece l’organismo è indebolito da denutrizione, disagiate condizioni di vita o
insufficienza immunitaria,
la lesione procede localmente distruggendo il polmone. A volte la diffusione
del bacillo è così rapida e
generalizzata che arriva a
coinvolgere più organi e a
produrre il quadro della
cosiddetta TB miliare. Soprattutto individui immuno–compromessi (anziani,
pazienti neoplastici, pazienti affetti da HIV), si
presentano con febbre, debolezza, anoressia e perdita di peso, quadro ad esordio insidioso. La tosse e la
dispnea sono relativamente poco frequenti, ma la
mortalità è elevata. Meno
frequenti sono le localizzazioni extrapolmonari: i
linfonodi ( la vecchia
“scrofola” se interessati i
linfonodi del collo), le meningi, le ossa, l’apparato
urogenitale e quello gastrointestinale.
Ai fini diagnostici della TB
sono tipicamente utili le seguenti indagini: la radiografia del torace, il PPD test, i test sull’espettorato per
il riconoscimento del bacillo. La terapia standard, sia
negli adulti che nei bambini, prevede un regime di sei
mesi: i primi due (initiation
phase) con isoniazide, rifampicina o rifabutina, pirazinamide ed etambutolo,
seguiti da 18 settimane di
isoniazide e rifampicina.
Salvatore Valente
Direttore Scuola Specializzazione
Malattie dell'Apparato Respiratorio
Università Cattolica - Roma
Il
Giornale dei Grandi Eventi
La Traviata
13
La “Rosa del Giappone”: fortuna e coltura della Camelia
Romantico fiore d’amore senza profumo,
ma anche carnosa pianta del thé
O
rigini leggendarie
ed alterne fortune
fanno della Camelia un fiore “storico”
e, per i popoli dell’Estremo Oriente da cui proviene, un fiore “sacro”.
La prima ad attecchire in
Europa (Inghilterra), nella prima metà del 1700,
fu la Tsubachi, (in giapponese = pianta dalle lucenti foglie) che fu battezzata con il nome di
Camellia japonica da Linneo, in omaggio al gesuita originario della Moravia Georg Joseph Kamel
(1661-1706), per i suoi
importanti studi di botanica e per aver introdotto
la pianta in Europa importandola dal Giappone nel 1730. In Italia, invece, nel 1794, attecchì la
C. celebratissima (Giardini
della Reggia di Caserta)
ed altre, importate o ottenute da incroci, si andarono ben presto affer-
mando. Comunque, la
Camelia divenne popolare per merito della letteratura e del teatro: intorno al 1848, infatti,
Alessandro Dumas figlio
scrisse il romanzo La dame aux camélias, di cui
operò un adattamento
per il teatro poco dopo,
rappresentandolo
nel
febbraio 1852. Un anno
dopo Giuseppe Verdi,
entusiasta, ne musicò il
libretto adattato da Francesco Maria Piave con il
titolo La Traviata. Solo
dopo le due Guerre mondiali questa pianta si affermò definitivamente
negli USA, dove nacquero numerose Associazioni di “cameliofili”,
attive ancora oggi nell’organizzazione di Mostre e Premi.
Il genere Camellia, (fam.
Ternstroemiaceae o Teaceae), consta di circa 80
specie, riconducibili, secondo alcuni, ad un massimo di 15 od anche meno.
Quattro sono, comunque, le specie più affermate: 1) la C. japonica. L.,
da cui è derivata la maggior parte delle varietà,
con fiori di
grande effetto,
a petali di colore variante
dal bianco al
rosa al rosso,
(anche sfumato o screziato),
riuniti in forma
talvolta
scapigliata,
talvolta perfetta e foglie coriacee, lucide,
ovali, appuntite. 2) la C. sinensis, o Kuntze, con fiori bianchi e foglie piccole, ottuse, seghettate: coltivata a cespuglio, è la pianta da
cui si ricava il the. In Italia viene coltivata soprattutto sul Lago Maggiore
a scopo decorativo. 3) la
C. sasanqua (o sasangua),
Thunb., (dal giapponese
“sazank-wa”= fiore del
the di montagna), a fiori
bianchi, rossi o multicolori e foglie ottuse, intagliate. 4) C. oleifera, Abel.,
coltivata in Cina per i semi oleosi, a fiori bianchi,
piccoli e foglie acuminate e dentellate. Le due ultime specie sono le uni-
che ad essere profumate.
Oggi sul mercato è comparsa la camelia gialla, la
C. chrisantha, per anni
inutilmente vagheggiata;
molto richieste sono pure le nuovissime camelie
“miniatura”, a foglie e
fiori molto piccoli.
Fiori senza profumo
I fiori di Camelia presentano forme molto diverse, che sono state raggruppate secondo queste
denominazioni: semplice
(Foto 1), semidoppia (Foto 2), doppia regolare
(Foto 3) e irregolare,
doppia a rosa (Foto 4),
peoniforme (Foto 5) e
anemoniforme (Foto 6).
Le camelie si moltiplicano per: seme, talea, propaggine, margotta e innesto e si piantano in autunno (sasanqua: settembre- ottobre) o in primavera (japonica: marzoaprile), in qualunque tipo di terreno, purché
non calcareo, meglio se
leggermente acido (pH
5,5-6,5).
Non necessitano in genere di fertilizzanti: tutt’al
più, in piccole quantità,
di concimi a lenta cessione; in compenso, essendo piante d’altura, beneficiano di pacciamature
estive a base di foglie,
torba o paglia, per tenere
il terreno umido e pulito
da infestanti.
Apparentemente facili
da coltivare, in realtà lo
sono solo se l’ambiente si
avvicina a quello originario: clima temperatoumido, terreno ben drenato, semiombreggiato e
riparato dai venti. La
pianta, infatti, non sopporta gli eccessi di sole,
di acqua e di vento.
Perché la camelia presenti, inoltre, una bella
forma complessiva e «l’aria e la luce la attraversino», (come si raccomandano gli appassionati),
sono importanti le potature leggere prima dell’inizio della nuova vegetazione, mentre piccole potature dei rametti morti
risultano utili lungo tutto il corso dell’anno. Per
la forma ottenuta possono essere variamente
usate in giardino le arbustive per siepi, macchie
sottobosco e spalliere
(purché il graticciato di
sostegno risulti scostato
dal muro di 10-15 cm) e
le arboree per boschetti e
ombrelle tappezzanti; le
precoci, invece, di forma
più ridotta, sono perfette
in vasi, anche pensili.
fig. 1 - fiore semplice
fig. 2 - fiore semidoppio
Piante sempreverdi
Fioriscono in inverno
Le camelie sono piante
sempreverdi, alte fino a
10 m, molto longeve e
gratificanti, «perché sorridono d’inverno quando tutte le altre intristiscono»: sasanqua e sinensis fioriscono infatti da ottobre a
marzo avanzato, perché
più resistenti alle basse
temperature; japonica da
febbraio a maggio inoltrato, perché più sensibile al freddo e alle gelate:
per una fioritura ottimale sarà utile, però, anche
un diradamento dei boccioli, specie quando si infittiscono alle estremità
dei rami.
Comunque, una sapiente
scelta scalare dei colori e
dei tempi di fioritura
darà al giardino, d’inverno, un aspetto scenografico spettacolare. «Prendete questo fiore..» «Perché?» «Per riportarlo»
«Quando?» «Quando sarà
appassito» «O ciel! Domani?» «Ebben, domani»
Francesco Saccardo
Docente di Orticoltura e Floricoltura
Università della Tuscia - Viterbo.
fig. 3 - fiore doppio
fig. 4 - doppia rosa
fig. 5 - peoniforme
fig. 6 - anemoniforme
La Traviata
14
Il
Giornale dei Grandi Eventi
La Traviata nei giornali dell’epoca
Critiche per un capolavoro
Debutto - 6 marzo 1853,
Teatro La Fenice
Gazzetta di Venezia,
7 marzo 1853
T
ra pel grande rumore, che ne han
menato i giornali a
Parigi, e per quella furia
di repliche, che ne hanno
dato all'Apollo, crediamo che i lettori sappiano
non pur a memoria il
soggetto, ma abbiano
sulle dita fino alle parole
di questo dramma: poich'esso non è altro, che la
Dame aux camèlias del
Dumas figlio, un po' raffazzonato, il dramma, alla foggia delle opere, e
trasferito a' tempi del
grande Luigi, per cavarne un po' più di grandezza e di lustro nelle decorazioni. Noi siam dunque sollevati dal disturbo di farne una più minuta esposizione; il che è
bene per più d'un motivo, tra gli altri per questo “che la poca fatica a
tutti è sana”
II Piave ebbe il talento di
trarre, come a dire, il sugo, il midollo, di stillare
l'estratto, se non lo spirito, di quel grande composto, pur mantenendo
tutte le più belle situazioni della favola, accrescendole anzi con la opportuna Introduzione
del padre a tal sito, dove
nell'originale l'opera sua
non appariva, ma, con
effetto minore, era soltanto narrata; allargando infine felicemente alcun episodio, com'è di
quelle mascherate graziose, ch’ei tirò dentro al
festino, e che cantano altresì i migliori versi del
libro.
Avvegnacchè,
quanto a questi, secondo
altre volte notammo, ei
sa farli; iI che non importa altrimenti che l'estro debba sempre ri-
bandonare la gaia vita
si d’agilità, che molper quell'amore. In tutti
ti per lei scrisse il
questi luoghi ha pari belmaestro, con una
lezza, la bellezza antica,
perizia e perfezion
quella che si usava e piada non dirsi: ella
ceva ai tempi della
rapì il teatro, che,
buon'anima del Rossinl,
alla lettera, la subise risulta, non da sottisò d'applausi. Quegliezze di dotto ragionast'atto ottenne il
mento, ma dalla originamaggior trionfo al
lità del pensiero, dalla
maestro; si cominsoavità e vivezza del canciò a chiamarlo, prito, che ti tocca le fibre, e
ma ancora che si alti fa muovere d’in sullo
zasse la tela, per
scanno. Ha, fra le altre, il
una soavissima arprecipizio. Nessuno demotivo
monia di violini, che pregli altri cantanti trovavadel brinludia allo spartito; poi al
si in piena sanità e sicudisi,
ed
brindisi, poi al duetto,
rezza di gola, quantununa frase
poi non so quante altre
que ognuno renda giustidel duetvolte, e solo e con la donzia alla rispettiva loro
to, che si
na, alla fine dell'atto.
bravura.
ripete poi
Nel secondo mutò fronte
Laonde, pur concedendo
a pertichiahimè la fortuna. Imperche la musica fu magnifino del teciocché nella guisa mecamente dall'orchestra
nore
di
desima che dell'arte orasonata, tanto che in un
dentro,
toria fu detto ch'ella tre
delizioso preludio delnell'ulticose richiede; azione,
l'atto terzo ella meritò
mo tempo
azione, azione, tre cose
che si levasse un grido
della caegualmente in quella delManifesto prima esecuzione della Traviata
universale di bravi, con
vatina, di
la musica si domandano:
tal fusione ed accordo di
spondergli a un modo.
tal gusto e sapore, di tale
voce, voce, voce. E nel
suono l'eseguirono i vioIl prim'atto comincia con
peregrinità d'accento, da
vero un maestro ha un
lini, che mossi pareano
una veglia sontuosa in
non poterli appien defibello inventare, se non
da un solo archetto,
casa la Violetta, così il
nire; poiché la parola,
ha chi sappia e possa eseaspetteremo a giudicare
Piave chiama la Margheche raggiunge pure i più
guire ciò che egli crea. Al
il rimanente dell’opera,
rita; una cena ed un brinalti ed astrusi concepiVerdi toccò la sventura
a non mettere il piede in
disi. Seguita appresso un
menti dell'anima umana,
di non trovar ieri sera le
fallo, ch'ella sia meglio
duetto tra soprano e tee li raffigura, non ha vasopraddette tre cose, se
cantata; e per intanto,
nore, la Salvini-Donatelli
lore a rappresentare e
non da un lato solo: onde
qui rompiamo l'articolo,
e il Graziani in cui succerender sensibili le forme,
tutti i pezzi, che non fusalutando il benigno letde la dichiarazione d'anè meno più semplici,
rono cantati dalla Salvitore…..
more, che fa Alfredo a
della musica. La Salvinini-Donatelli, andarono,
colei; poi la cavatina delDonatelli cantò que’ pasper dirla fuor di figura, a
Tommaso Locatelli
la donna, la quale non sa
ancora risolversi d'abGrande successo di una iniziativa del nostro Giornale
Sinfonia (e degustazione) Gastronomica all’Opera
Una simpatica poesia
“editoriale”
Il Caffaro, Genova,
13 marzo 1890
el mezzo del
teatro Genovese/ Mi ritrovai con la Traviata
oscura,/ Allestita in un
modo assai cortese.
Ma la Traviata avea tanta
paura/ Che finì per cantare in assabese, /E questo
fu per tutti una sventura.
Poiché c'era il baritono
Sammarco/ E'1 tenore
Giuseppe Russitano/ Che
sostennero bene il loro incarco.
E con entrambi, il pubblico sovrano,/ D'applausi e
di chiamate non fu par-
«N
co,/ Ma l'opera era monca
e il caso strano./ A un certo punto un cavaliere antiquo/ Sulla ribalta venne
ad avvertire/ Che la Traviata aveva un male iniquo,/Da impedirle perfin
di proseguire/ Sicché l'opera andò nel modo obliquo/ Ch'io non vi dico, ne
vi posso dire./Il teatro era
pieno come un uovo/ E
c’era folla di signore belle,/ Fatto piacente, ma
non certo nuovo.
Chiasso alla fine e suon di
man con elle; Sicchè ancora intontito me ne trovo…/ E quindi uscimmo
a riveder le stelle».
M
olta gente e grande soddisfazione
nei presenti in occasione della
presentazione il 21 marzo scorso
nelle sale del Teatro dell’Opera di Roma,
del volume “Sinfonia gastronomica”, ultimo
lavoro del nostro collaboratore Roberto Iovino e della musicologa Ileana Mattino
(Viennepierre edizioni, Milano).
La presentazione è stata organizzata in
collaborazione tra “Il Giornale dei Grandi
Eventi”, il Teatro dell’Opera e dell’Associazione “Roma per il Teatro dell’Opera di
Roma” e l’ARSIAL, Enoteca Regionale.
Musica, gastronomia ed eros sono stati,
dunque, protagonisti della serata per
questo piacevole e interessante libro che
indaga i legami fra questi gradevoli
aspetti della vita con una impostazione
musicale, sviluppandosi nei tempi di una
sinfonia e chiuso da un celebre “Adagio”
di Rossini inneggiante alla buona tavola:
«Mangiare e amare, cantare e digerire: questi
sono in verità i quattro atti di questa opera
buffa che si chiama la vita e che svanisce co-
me la schiuma d'una bottiglia di champagne.
Chi la lascia fuggire senza averne goduto è
un pazzo».
Alla presentazione sono intervenuti con
gli autori, Andrea Marini giornalista
RAI e nostro direttore e Daniela Traldi,
presidente dell’associazione Roma per il
Teatro dell’Opera di Roma.
Brani di lettere e libretti d’opera sono stati letti dalla voce narrante della principesa-attrice, produttrice di vino, Natalia
Strozzi, che tra l’altro nelle ultime settimane è stata al centro della cronaca per la
scoperta che è l’ultima discendente della
Monna Lisa, la “Gioconda” di Leonardo.
Il baritono Andrea Cionci ed il pianista
Marino Giuliani, che hanno interpretato
celebri arie di Mozart e Rossini legate al
mondo della buona tavola e del brindisi.
Al termine è seguita una ricca degustazione di specialità regionali del Lazio offerto dall’ARSIAL e l’Enoteca Regionale
di via Fratina.
Mi. Ma.
Il
La Traviata
Giornale dei Grandi Eventi
15
22 sale italiane collegate con Roma
La Traviata di Zeffirelli in diretta nei cinema
Ed a Marzo la sua Bohéme dal Met nelle sale di tutto il mondo
D
opo la un po’ sfortunata - e forse
maldestra - serata
del 16 gennaio scorso, nel
giorno del 50° anniversario della morte di Arturo
Toscanini, organizzata al
Teatro dell’Opera di Roma, in occasione di questa
Traviata il Comitato Vivatoscanini propone una
nuova iniziativa di grande interesse, ovvero la trasmissione in diretta via
satellite della prima dell’opera in scena al Costanzi in 22 cinema italiani.
E’ la prima volta nel mondo per un’operazione di
questo genere. C’è stato
un precedente dal Metropolitan di New York organizzato da Placido Domingo, ma in soli 10 cinema.
Il teatro, l’opera e la lirica
attirano ormai molte e
differenti fasce d’età: a
partire dagli studenti delle scuole elementari, gli
adolescenti, per arrivare
al pubblico maturo. Non
sempre però spettacoli
complessi – e costosi - come la lirica sono alla portata dei più, sia per problemi di collocazione dei
teatri d’opera, ma anche
per i costi dei biglietti, talvolta non proprio…”popolari”.
Per questo ben venga una
tale iniziativa, nata anche
dalla volontà – e necessità
– di dare nuovo slancio,
una nuova programmazione, alle sale minori, le
cosiddette “sale parrocchiali”. Un circuito in
passato molto importante
e molto capillarizzato sul
territorio, che però oggi si
scontra con nuove realtà
del mercato della distribuzione cinematografica:
le copie dei film in pellicola costano molto ed il
loro deperimento è elevato. Le case, dunque, cercano sempre più di evitare di “mandare” i film in
provincia. E questo avviene anche con i titoli
più vecchi, per i cinema
dessè: farne copie e mantenerle è costoso. Per questo le sale minori si stanno convertendo al digitale: un DVD costa poco e
Angela Gheorghiu e Franco Zeffirelli
può teoricamente essere
usato all’infinito, cosa che
non avviene con la pellicola. Dunque, impianti
Higt Definition e Dolby
Sorraund: immagini e
suono praticamente perfetti ad un costo del biglietto contenuto, da “sala
parrocchiale”, appunto.
Per questo, vista la grande attesa questo appuntamento romano, i cui biglietti sono esauriti dal
novembre scorso, si è
pensato di permettere a
migliaia di persone di
poterne godere in diretta
in ogni parte d’Italia, da
Genova a Bari, al Veneto,
soprattutto nei piccoli
centri. Saranno, infatti,
22 le sale collegate attraverso un satellite bidirezionale dati, il quale
“rimbalzerà” un segnale
ad altissima definizione.
Non basta, infatti, l’alta
definizione televisiva
per ottenere un’immagine perfetta su uno schermo di una decina di metri. Le riprese dovranno
essere fatte con uno standard più alto. Il costo del
biglietto nelle sale collegate sarà di soli 10 euro,
per circa 4 ore di spettacolo continuo. Lo spazio
dei due intervalli, infatti,
grazie ad una collaborazione con la RAI, sarà occupato da interessanti
collegamenti con il “dietro le quinte”, con i quali si potrà capire il funzionamento della “macchina” tecnica del teatro, come, ad esempio, i
cambi di scena. Si potrà
assistere, dunque, ad
una “prima mondiale”
di un allestimento spettacolare come questa
Traviata, comodamente
seduti nella poltrona del
cinema sotto casa, anche
dei paesi più piccoli.
A marzo la
Bohème di Zeffirelli
da New York
Una iniziativa del genere,
ma a livello decisamente
più grande ed organizzata
da un gruppo americano,
è in programma da New
York per il 20 marzo del
prossimo anno. Ce lo ha
confermato la stessa soprano Angela Gheorghiu
– Violetta in questa Traviata romana – che ne sarà la
protagonista. Ha gia firmato il contratto. Si tratta
della diffusione in diretta
della Bohéme di Giacomo
Puccini – il titolo d’opera
più eseguito al mondo –
con la regia di Franco Zeffirelli dal Metropolitan di
New York trasmessa via
satellite per i cinema (che
aderiranno) di tutto il pianeta. Sarà eseguita all’una
di notte (ora di New
York), così da essere ora
media nel mondo, ovvero
tardo pomeriggio in Europa e mattino sulla costa
del Pacifico. Sicuramente
un grandissimo risultato
con uno sforzo davvero
minimo. Sarà questa, forse, la nuova frontiera della
lirica con i grandi interpreti, sempre più fruibile
da tutti, in un mondo che
ha sete di musica e cultura. E’, in pratica, l’invenzione dell’acqua calda, ma
sicuramente funzionerà.
Andrea Marini
Francesco Piccolo
Alla “Gallerja” in via della Lupa, a Roma
Kounellis rompe lo spazio
guardando Mattia Preti
V
ive nel confronto diretto tra antico
e moderno, tra pittura ed istallazione di arte contemporanea che
gioca sulle tre dimensioni, la mostra di inaugurazione del
nuovo
spazio
Galleja di via della
Lupa a Roma. Un
evento significativo del percorso
che caratterizzerà
l’interessante attività di questo luogo di mostre di
Alessandro Boncompagni
Ludovisi, che vuole porsi come rottura degli
schemi espositivi, come punto di confronto, ma sopratutto dibattito tra antico e
moderno.
Così Jannis Kounellis, settantunenne
artista greco ma protagonista dell'arte romana dagli anni 60 (sue opere sono anche
nella collezione del ministero degli Es-
teri), ha accettato il confronto, lo scontro,
con una tela seicentesctesca, "Il sacrificio di
Muzio Scevola" di un controriformista
come Mattia Preti, creando appositamente una istallazione “La Rosa
Tatuata”, un'opera
aperta, capace anche di compenetrarsi con la tela.
L'arte in fondo è armonia delle forme e
quest'opera è lì con
le sue funi d'acciaio
e le sue sfere di piombo (ognuna pesa
90 chili) a rompere lo spazio, ad impedire
la vista ed a mostrare nello stesso tempo
l'opera antica. Una in confronto con l'altra: da una parte il colore, scuro, la figura
che attira, dall'altra la quasi monocromia
che impedisce l'approccio diretto e rompe
le forme.
A. M.
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