Anno XII - Numero 28 - 20 aprile 2007 L'intervista Parlano il regista Zeffirelli, i cantanti Gheorghiu e Bruson ed il direttore Gelmetti A Pag 2 La storia dell’opera Derisa al debutto, osannata alla ripresa A Pag 4 La vera Violetta L’incredibile vita di Alphonsine Plessis A Pag 8 e9 Due protagoniste dell’opera La Tisi, malattia romantica A pag. 12 La Camelia, fiore senza profumo A pag. 13 LA TRAVIATA d i G i u s e p p e Ve r d i La Traviata 2 Parlano Zeffirelli, Gheorghiu, Bruson e Gelmetti «Questo allestimento farà storia» L la Gheorghiu, una delle ’attesa per questa migliori Violette a livello Traviata, nuovo alleinternazionale. Ad affianstimento con la regia carla tre giovani soprano di di Franco Zeffirelli - come grande avvenire Irina Lungia da mesi si è letto dai gu, Myrtò Papatanasiu ed giornali - è grande. Da NoAnna Rita Talento. «Abbiavembre esauriti tutti i bimo un cast di giovani straorglietti ed anche quelli per le dinario – dice Zeffirelli – un due repliche aggiuntive fuori abbonamento sono andati a ruba in poche ore. «E’ la mia ottava Traviata», sottolinea Zeffirelli. «Ne ho sposate tante e le ho amate tutte, ma questa volta nell’età matura ho trovato quella che si avvicina alla perfezione», dice l’84enne regista fiorentino. «Traviata è un ti- Angela Gheorghiu e Franco Zeffirelli tolo per il quale c’è insieme che fa venire la voglia sempre stata attesa e ci si va di vederle tutte. Come si vede, come ad un pellegrinaggio. le voci straniere cominciano a C’è una sorte di reverenziale dominare in questa forma rispetto verso questa prostitud’arte che era prettamente itata che si sacrifica per l’amore. liana. Purtroppo abbiamo un Se ci fosse la possibilità, credo governo che non fa nulla per che sarebbe beatificata, sarebaiutare la musica lirica, i giobe la Santa martire dell’amovani, i teatri. Da Oltrecortina re». «Questa Traviata è più abbiamo, invece un contributo vicina delle altre a quella del di voci fondamentale, del quamio debutto con questo titolo le qualsiasi impresario non nel 1958. La penso come un potrebbe fare a meno. Mi sono flash back ed anche Verdi cochiesto come avvenisse la pemincia l’opera con una musinetrazione nei piccoli villaggi. ca greve, triste, che contiene la Maria Guleghina, me lo ha storia». Nelle dieci recite si spiegato: sentono i dischi, imialterneranno 4 soprano. tano e poi c’è una grande rete Prima voce – anche se per di concorsi. Noi non siamo casole due recite – sarà Ange- ~ ~ La Copertina ~ ~ John William Waterhouse (1849 -1817) Miss Margaret Henderson - Coll. Privat. Il G iornale dei G randi Eventi Direttore responsabile Andrea Marini Direzione Redazione ed Amministrazione Via Courmayeur, 79 - 00135 Roma e-mail: [email protected] Editore A. M. Stampa Tipografica Renzo Palozzi Via Vecchia di Grottaferrata, 4 - 00047 Marino (Roma) Registrazione al Tribunale di Roma n. 277 del 31-5-1995 © Tutto il contenuto del Giornale è coperto da diritto d’autore Le fotografie sono realizzate in digitale con fotocamera Kodak Easyshare V705 Visitate il nostro sito internet www.giornalegrandieventi.it dove potrete leggere e scaricare i numeri del giornale piti in Patria. A me per esempio il Metropolitan di New York mi ha gia mandato un invito per il 27 marzo 2008 perché farà una serata sulle regie liriche di Zeffirelli degli ultimi 20 anni». Interviene il soprano Angela Gheorghiu, reduce dal Met, dove è stata impegnata proprio in una Traviata firmata dal maestro: «I registi dovrebbero studiare il lavoro di Zeffirelli e prenderne esempio. Vi assicuro che all’estero per le sue scene, anche dopo 40 anni, quando si apre il sipario, c’è l’applauso». Parlando del ruolo, la cantante dice: «Ho avuto pochi giorni per lavorare qui a Roma, ma mi sono resa conto di essere in un allestimento da sogno. Di Traviata non ne ho fatte tante, solo quando conoscevo tutti i dettagli. Violetta è un personaggio che tutti vorrebbero essere». Altro grande protagonista di questa Traviata, ha detto Zeffirelli è il baritono Renato Bruson: «un genio assoluto del melodramma. E’ un mostro nel cogliere il sottile, che è più importante del clamoroso». «Il 28 aprile di 45 anni fa, all’inizio della carriera, debuttava sul palcoscenico del Teatro dell’Opera di Roma con I Puritani », dice Gianluigi Gelmetti, direttore principale del Teatro e sul podio per questo allestimento. «Proprio sabato 28 gli faremo una grande festa a sorpresa». «Zeffirelli – dice Bruson – è l’unico che rispetta il personaggio di Violetta, la fa vivere tra i suoi mobili, i suoi arredi che solo 3 settimane dopo la sua morte (lo dice anche Dumas) furono messi all’asta. Non quegli allestimenti minimalisti per un’opera che vuole lo sfarzo nel quale viveva la protagonista». «Sul piano musicale, come al solito ho cercato di rispettare lo spartito», dice Gelmetti «Ho solo ridotto un po’ le maschere del Balletto Spagnolo voluto da Zeffirelli. Le tre giovani Violette saranno le Violette del futuro…vedrete!». Andrea Marini Il Giornale dei Grandi Eventi I prossimi titoli della Stagione 2007 al Teatro Costanzi 16 - 22 Maggio LA FILLE DU RÉGIMENT Direttore Interpreti di Gaetano Donizetti Bruno Campanella Carmela Remigio, Aldo Caputo, Alberto Rinaldi, Anna Procleme 15 - 23 Giugno MANON LESCAUT di Giacomo Puccini Donato Renzetti Norma Fantin, Marco Berti Direttore Interpreti Stagione Estiva alle Terme di Caracalla 17 - 28 Luglio NABUCCO di Giuseppe Verdi Antonio Pirolli Carlo Guelfi, Andrea Gruber, Samuel Ramey Direttore Interpreti 27 Luglio - 9 Agosto TURANDOT di Giacomo Puccini Alain Lombard Antonello Palombi , Giovanna Casolla, Mina Tasca, Cristina Ferri, Michail Ryssov Direttore Interpreti 8 - 14 Agosto PAGLIACCI di Ruggero Leoncavallo Hirofumi Yoshida Vincenzo La Scola, Maria Carola, Carlo Guelfi, Domenico Balzani Direttore Interpreti 27 Novembre - 2 Dicembre MOSÈ IN EGITTO Direttore Interpreti di Gioachino Rossini Antonino Fogliani Michele Pertusi, Giorgio Surian, Anna Rita Taliento, Stefano Secco 21 - 30 Dicembre LA VEDOVA ALLEGRA di Franz Lehàr Daniel Oren Fiorenza Cedolins, Vittorio Grigolo, Markus Werba Direttore Interpreti ~~ La Locandina ~ ~ Teatro Costanzi, 20 aprile - 3 maggio 2007 LA TRAVIATA Melodramma in 3 atti Libretto di Francesco Maria Piave da Alexandre Dumas Musica di Giuseppe Verdi Prima rappresentazione: Venezia, Teatro La Fenice, 6 marzo 1853 Seconda versione: Venezia, Teatro San Benedetto, 6 maggio 1854 Maestro concertatore e Direttore Maestro del Coro Regia e scene Costumi Coreografia ripresa da Disegno Luci Gianluigi Gelmetti Andrea Giorgi Franco Zeffirelli Raimonda Gaetani El Camborio Lucia Real Patrizio Maggi Personaggi / Interpreti Violetta Valery (S) Angela Gheorghiu / Irina Lungu / Myrtò Papatanasiu /Anna Rita Taliento Katarina Nicolic’ / Giacinta Nicotra / Milena Josipovic Annina (S) Bernadette Lucarini / Paola Francesca Natale Alfredo (T) Vittorio Grigolo / Marius Brenciu / Alfredo Portilla Germont (B) Renato Bruson / Dario Solari / Paolo Coni Gastone (T) Claudio Barbieri / Francesco Paolo Panni Barone Douphol (B) Alessandro Paliaga / Alberto Noli Marchese d’Obigny (B) Andrea Snarski / Giorgio Gatti Dottor Grenvil (B) Carlo Di Cristoforo / Franco Federici Giuseppe (T) Davide Malandra / Sergio Petruzzella Domestico di Flora (B) Daniele Massimi / Massimo Mondelli Commissionario (B) Fabio Tinalli / Riccardo Coltellacci Interpreti del balletto spagnolo Lucia Real La gitana, Josè Porcel Piquillo Gran torero, Natalia Ferrandiz Prima ballerina Ballerine gitane Marisol Valleso, Letizia Calatayud, Patrizia Goro, Maria Fernanda Ballerini toreri Carlos Velasquéz, Rubén Martin, Ricardo Sànchez, Andrian Santana Flora Bervoix (Ms) ORCHESTRA, CORO E CORPO DI BALLO DEL TEATRO DELL’OPERA Partecipazione speciale del Balletto Spagnolo di Lucia Real & El Camborio Nuovo Allestimento Il La Traviata Giornale dei Grandi Eventi S i preannuncia già come un grande allestimento, un allestimento destinato a passare alla storia, questa Traviata, l’ottava nella carriera di Franco Zeffirelli che ne ha firmato la regia e le scene. Grandiosa, come tutte le realizzazioni dell’84enne Maestro fiorentino, sensuale, «vicina quasi alla perfezione» come lui stesso la definisce, con una lucida e critica visione dei suoi lavori precedenti. Grande avvenimento anche per i cantanti impegnati sul palcoscenico. Prima voce – anche se per sole due recite – sarà Angela Gheorghiu, una delle migliori Violette a livello internazionale. Ad affiancarla tre giovani soprano di grande avvenire Irina Lungu, Myrtò Papatanasiu ed Anna Rita Talento. Nel ruolo di Alfredo il romano di adozione Vittorio Gigolo, mentre in quello di Germont il grandissimo Renato Bruson, che proprio il 28 aprile festeggerà i 45 anni esatti dal suo debutto all’Opera di Roma, avvenuto con I Puritani. Sul podio il direttore principale del Teatro, il maestro Gianluigi Gelmetti. Nella serata della “prima”, lo spettacolo sarà trasmesso via satellite in 22 sale cinematografiche in Italia. 3 Le Repliche sabato 21 aprile, ore 18,00 domenica 22 aprile, ore 17,00 martedì 24 aprile, ore 20,30 giovedì 26 aprile, ore 20,30 venerdì 27 aprile, ore 20,30 sabato 28 aprile, ore 18,00 domenica 29 aprile, ore 17,00 mercoledì 2 maggio, ore 20,30 giovedì 3 maggio, ore 20,30 Una Traviata «vicina alla perfezione» La vicenda si svolge a Parigi e dintorni, tra l’agosto 1850 circa ed il febbraio successivo. la figlia, che rischia di saltare da quando il futuro sposo ha appreso della scandalosa relazione del cognato. Violetta, non senza intima lotta, accetta di sacrificare la propria felicità, ma ad un patto: lei abbandonerà Alfredo in cambio della promessa che quando il dolore avrà sopraffatto la sua cagionevole salute, la verità venga rivelata all’amato. Germont accetta commosso. Rimasta sola Violetta si appresta a scrivere una mendace lettera ad Alfredo, ma è da questo sorpresa. Trai due scoppia una forte eccitazione che culmina nella straziante richiesta d’amore «amami Alfredo…». Violetta fugge poi verso Parigi, lasciando la lettera per Alfredo, che dopo averla letta cade disperato tra le braccia dal padre, per poi staccarsene deciso a scoprire il presunto amante di Violetta. Scena II – La festa in casa di Flora è al culmine quando giunge Violetta al braccio del barone Douphol. Alfredo è al tavolo da gioco e finge indifferenza, vincendo alle carte anche il rivale. La tensione è alta. Violetta rimasta sola con Alfredo lo vorrebbe far allontanare, ma per non svelare la verità, è costretta ad ammettere di amare Douphol e di aver giurato a questo di non rivederlo più. Alfredo, irato, denuncia pubblicamente la condotta della donna e le getta ai piedi una borsa con denaro. Giunge il padre che rimprovera Alfredo per il gesto. La Trama ATTO I – Mese di Agosto – La bella e famosa mondana Violetta Valery, amante del barone Douphol, ha dato nella sua casa un fastoso ricevimento per una raffinata compagnia di gaudenti aristocratici e compiacenti signorine. Un po’ disorientato gira Alfredo Germont, introdotto dall’amico Gastone visconte di Letorières con il proposito di conoscere l’affascinante padrona di casa. Violetta confida all’amica Flora Bervoix di voler annegare nell’ebbrezza il dolore e le pene che le reca la salute. Gastone le presenta Alfredo. Quando Violetta per sdrammatizzare propone un brindisi collettivo, Alfredo brinda a lei, invitandola a ballare. Mentre i due si recano nel salone contiguo, una crisi di tosse frena Violetta che viene assistita da Alfredo. L’eco dei valzer funge da lontana colonna sonora alla conversazione dei due: alle profferte d’amore di lui, si alternano le ricuse divertite di lei, che dona ad Alfredo il suo fiore preferito, una camelia, promettendo di rivederlo quando sarà appassita. Alla fine della festa, Violetta, rimasta sola, s’accorge di essere per la prima volta seriamente innamorata. ATTO II – Gennaio dell’anno successivo, in una casa di campagna presso Parigi – Alfredo e Violetta vivono felici fuori Parigi, lontani dalla mondanità. Ma Alfredo viene a sapere dalla cameriera Annina che Violetta – ormai privata delle munifiche elargizioni di tanti protettori – ha dovuto vendere i gioielli per pagare le spese della nuova vita. Il giovane apre gli occhi e parte per Parigi in cerca di soldi. Violetta, rimasta sola, riceve l’inaspettata visita del padre di Alfredo, Giorgio Germont, il quale le chiede di troncare la relazione che rischia di portare il figlio alla rovina. Violetta dimostra all’uomo di aver venduto i propri gioielli pur di non chiedere denaro all’amante. Germont, mortificato, la scongiura di rinunciare ad Alfredo per salvare il fidanzamento del- ATTO III – In febbraio a casa di Violetta – La musica del preludio riporta alla festosità del I Atto. Violetta è invece a letto, malata di tisi e senza speranza. Riceve una lettera di Germont, che le annuncia – secondo i patti di aver rivelato la verità ad Alfredo, che sta per raggiungerla. Violetta piange e rilegge più volte la lettera, ma teme che egli giunga troppo tardi. Ma la fedele Annina le annuncia l’arrivo di Alfredo, che si getta tra le braccia di Violetta. La donna vorrebbe alzarsi, ma non ce la fa. Arriva anche il vecchio Germont. Pochi istanti di apparente vigore per Violetta, che poi cade esanime tra le braccia di Alfredo, unico amore della sua vita. La Traviata 4 Il Giornale dei Grandi Eventi Storia dell’opera Derisa al debutto ambientato nel ‘600, osannata alla ripresa 14 mesi dopo «L ne e, peggio, hanno a Traviata, ieri riso.- disse Verdi sera, fiasco. La Eppure, che vuoi? colpa è mia o dei Non ne sono turbacantanti?...Il tempo giudito. Ho torto io o hancherà», scrisse Verdi, dono torto loro? Per po la disastrosa prima al me credo che l’ultiTeatro La Fenice di Venema parola sulla Trazia il 6 marzo 1853. Come viata non sia quella il debutto, la stesura di di ieri sera. La riveTraviata, non fu tranquildranno e vedremo!». la. Innanzitutto, Verdi si Il compositore, introvò bloccato dalla scelfatti, credeva molta stessa del soggetto. Il to nel valore delproblema, però, fu risolto l’opera, così come grazie ad una serata al l’aveva pensata Théâtre du Vaudeville di (ambientata nelParigi, città in cui si era l’Ottocento, che Facciata Teatro La Fenice in una incisione del '700 trasferito alla fine del fosse la rappresen1851 con Giuseppina tazione della vita personaggi secondari per Rigoletto l’11 marzo 1851. Strepponi, per fuggire aldel tempo, con una trama dare maggior risalto ai Terzo e ultimo “tassello” le chiacchiere degli abipriva di intrighi e di tre protagonisti. In una della cosiddetta “Trilogia tanti di Busseto, dove viduelli e il suo contesto lettera all'amico Cesare popolare”, la Traviata fu vevano. Nella capitale “privato” e domestico, De Sanctis del 1 gennaio scritta, quindi, tra Roma francese stava riscuotentutte novità per l’epoca), 1853 scrive: «A Venezia e Venezia e, mentre il lido enorme successo il e non come l’avevano cofaccio la Dame aux Camebrettista Francesco Maria dramma di Alexandre stretto a metterla in scelias che avrà per titolo, forse, Piave modificava alcune Dumas figlio, la Dame na, cioè retrodatata all’eTraviata. Un soggetto delparti del libretto perché aux camélias e Verdi vi aspoca di Luigi XIV, in piel'epoca. Un altro forse non giudicate troppo noiose sistette nel febbraio del no Seicento, perché non l'avrebbe fatto per i costuper il pubblico, Verdi si 1852, restandone folgorafosse più un “prolungami, pei tempi e per mille altrovò alle prese con i proto. Questo dramma in blemi derivanti dalla cinque atti, ritenuto scelta dei cantanti per scabroso dalla critica la rappresentazione per la sua forte carica veneziana, appunto. autobiografica e per la La ricerca di una sua disarmante con«donna di prima forza» temporaneità, vedeva per la parte della prola figura della protatagonista, come chiegonista, Marguerite sto al direttore della Gautier, ispirata ad Fenice Carlo Marzari, Alphonsine Duplessi concluse con un insis, famosa cortigiana successo ed il disaparigina - tra l’altro stroso debutto del 6 amante di Dumas marzo 1853 ne fu la che morì, ventitreenprova. L’inadeguane, l’anno prima deltezza dei protagonisti l’uscita del romanzo, (il soprano Fanny Salnel 1848. Con la provini Donatelli, il tenospettiva di cambiare i re Ludovico Granomi dei protagonisti ziani nel ruolo di Lodovico Graziani (1820-1885) (Marguerite divenne Fanny Salvini Donatelli (1815-1891) Alfredo Germont e Primo Alfredo alla Fenice Violetta Valery, Ar- Prima Violetta alla Fenice il baritono Felice mand e Georges Dumento” della vita della tri goffi scrupoli [...]. Tutti Varesi in quello di Giorval cambiarono in Alfresocietà e perché il pubbligridavano quando io propogio Germont), non in vodo e Giorgio Germont), co non rischiasse di ricosi un gobbo da mettere in ce e non a loro agio in per limitare la carica di noscersi nei costumi e nei scena. Ebbene ero felice di un’opera così particolare scandalo data dal soggetgesti dei protagonisti. Se scrivere il Rigoletto». e fuori dagli schemi, ma to e dal racconto di fatti si fosse andati in scena Trovato il soggetto, il anche poco adatti alla realmente accaduti. Accome Verdi voleva, il rimusicista mise mano alla parte, furono gli elementi cettando il titolo di Trasultato sarebbe stato di Traviata, proprio nello negativi della serata. Le viata scelto dalla censura maggiore effetto e, sicustesso periodo in cui stacronache riportarono co(che rifiutò quello di ramente, scandalo. Egli va completando il Trovame notizia principale le Amore e morte richiesto disse, infatti: «Un soggetto tore, che sarebbe andato risate del pubblico venedal compositore), Verdi e dell’epoca. Un altro forse in scena a Roma al Teatro ziano, nel vedere la giuFrancesco Maria Piave non l’avrebbe fatto per i coApollo il 19 gennaio 1853 nonica protagonista mopensarono di lasciare che stumi, pei tempi e per mille e che avrebbe riscosso rire di consunzione: «La la storia fosse simile al altri goffi scrupoli…Io lo grande successo come il Traviata ha fatto un fiascodramma, riducendo i faccio con tutto il piacere. Tutti gridavano quando proposi un gobbo da mettere in scena. Ebbene, io ero felice di scrivere il Rigoletto». Verdi vide nero la sera della prima e, anche se le critiche non furono del tutto sfavorevoli, decise di cercare una compagnia vocale all’altezza per un secondo allestimento. Il secondo debutto La trovò proprio a Venezia, dopo aver contemplato l’ipotesi di portare l’opera a Roma, ma non nella grande Fenice, bensì nel meno importante Teatro di San Benedetto. Questa volta scelse i cantanti che più si adattavano, secondo lui, al testo e alla messinscena: Maria Spezia, Francesco Landi come Alfredo e Filippo Coletti come Papà Germont. Il debutto del nuovo cast, il 6 maggio 1854, fu un immediato, grandissimo successo, che portò Verdi ad esclamare: “Tutto quello che esisteva per la Fenice esiste ora pel S. Benedetto. Allora fece fiasco; ora fa furore. Concludete voi!” La stessa Traviata che non era piaciuta al pubblico il 6 marzo 1853, fu osannata da tutti. Con pochissimi cambiamenti, non tali da ribaltare il giudizio precedente in così poco tempo, la Traviata piacque, con i suoi personaggi “normali”, con una protagonista ritenuta scandalosa, con una ambientazione quasi dimessa e non ridondante, riscuotendo un successo particolare: fece cambiare idea, nel giro di quattordici mesi, allo stesso pubblico nella stessa città, e iniziò ad essere rappresentata in tutta Italia come in Europa, senza smettere mai di essere discussa e criticata. Marta Musso Il Giornale dei Grandi Eventi La Traviata 5 Vittorio Grigolo, Marius Brenciu e Alfredo Portilla Angela Gheorghiu, Irina Lungu, Myrtò Papatanasiu e Anna Rita Taliento Alfredo, disorientato amante di Violetta Violetta Valery, amante elegante ed appassionata P A d alternarsi con Angela Gheorghiu (20 e 24 aprile) nel resteranno la voce ad Alfredo Germont Vittorio Grigolo (20, 22, ruolo della protagonista Violetta, saranno altre tre giova24, 27 aprile), Marius Brenciu (21, 26, 28 aprile e 2 maggio) e Alni voci di grande talento: Irina Lungu (21 e 29 aprile), fredo Portilla (29 aprile, 3 maggio). Il tenore Vittorio Grigolo è nato nel 1977 ad Arezzo, ma si è trasferi- Myrtò Papatanasiu (22, 26, 28 aprile e 3 maggio) e Anna Rita Tato presto a Roma. Voce ormai affermata, sin da piccolo si è esibito da liento (27 aprile e 2 maggio). solista nel coro della Cappella Sistina. All'età di tredici anni ha de- Angela Gheorghiu è nata a Adjud, in Romania. Si è diplomata all’Accademia Musicale di buttato nel ruolo del Pastorello nella Tosca al Teatro dell'Opera Bucarest sotto la guida di di Roma, sotto la direzione di Daniel Oren. Ha iniziato poi gli Mia Barbu. Il suo debutto studi perfezionandosi con il basso Danilo Rigosa, che è tuttora sulle scene mondiali è avvesuo maestro. Tra le opere più significative del suo repertorio ci nuto nel 1992 con La Bohème sono: Elisir d’amore, Bohème, Traviata, Falstaff, Rigoletto, Lucia di al Covent Garden di Londra, Lammermoor, Don Giovanni, Così fan tutte, Lakmé, Werther, Faust. a cui hanno fatto seguito il Marius Brenciu, nato in Romania, si è laureato alla Bucharest Metropolitan di New York e University of Music. Il debutto operistico è avvenuto nel 1997 la Staatsoper di Vienna. Da come Don Ottavio nel Don Giovanni di Mozart. Fra i numerosi ricordare l’acclamato debutto concorsi vocali vinti durante gli ne La Traviata nel 1994 al Coanni di studio segnaliamo la vent Garden, ripresa dalla “Gayarre International CompetiBBC. Nel suo repertorio spiction”, la “Georges Enescu Intercano La Traviata, L’elisir d’anational Competition” ed il more, La Bohéme, La Rondine, “Jeunesses Musicales” (1997). Romeo e Giulietta, Gianni Alla “Queen Elisabeth InternaSchicchi, Werther, Manon, Il tional Music Competition” (BelTrovatore, Carmen. gio, 2000) il giovane tenore ha Soprano di nazionalità greca, vinto il 2° Premio e il Premio Myrtò Papatanasiu, dopo Opera, mentre alle “YCA Audistudi di pianoforte, armonia tions” di New York (2001) il Pri- Anna Rita Taliento e Marius Brenciu e contrappunto, si è diplomo Premio e due premi speciali. Nel 2001 è risultato vincitore della mata in canto al conservatorio di Salonicco, portando contem“Cardiff competition”, aggiudicandosi poraneamente avanti studi universitari in musicologia. Vincii premi “Singer of The World” e trice di numerosi concorsi e di una borsa di studio del Megaron Vittorio Grigolo di Atene, si è perfezionata a Milano sotto la guida del M° Co“Lied”. Alfredo Portilla ha iniziato gli studi con suo padre David Portilla al viello. Ha debuttato, giovanissima, all’Opera di Salonicco ne Il centro di avviamento lirico del Palacio de Bellas Artes di Città del Combattimento di Tancredi e Clorinda di Monteverdi. Messico, cantando ruoli come Alberto ne L’occasione fa il ladro, Mac- Irina Lungu è nata in Moldavia nel 1980 e ha studiato piaduff nel Macbeth, Nemorino ne L’elisir d’amore, Cavaradossi nella To- noforte e direzione corale, specializzandosi in canto con il M° sca, Pinkerton in Madama Butterly e Edgardo in Lucia di Lammermoor. Podkopaev presso il Conservatorio di Stato di Voronezh (RusSi è poi perfezionato alla San Francisco Opera dove ha cantato in Die sia). In questa città ha compiuto i suoi primi debutti nei ruoli di Leïla (Les pecheurs des perles), Marfa (La fidanzata dello zar), DeFledermaus e Madama Butterfly. sdemona (Otello). Dal 2003 ha frequentato l’Accademia del Teatro alla Scala di Milano sotto la guida del soprano Leyla Gencer. Renato Bruson, Dario Solari e Paolo Coni È vincitrice dei concorsi “Bella Voce” e “Tchaikovsky” (Mosca), la Competizione dell’Opera di Dresda, “Elena Obraztsova” (S. Pietroburgo), “Maria Callas” (Atene), “Montserrat Caballé” (Andorra), “Belvedere” (Vienna), “Voci Verdiane” (Busseto) e “Operalia” (Los Angeles). rodiade è interpretata dal mezzosoprano Graciela Anna Rita Taliento, vincitrice di nuAraya. Nata in Cile, l’artista ha debuttato a Santiago merosi concorsi nazionali ed internanel ruolo di Enrichetta ne I Puritani. Alla Staatsoper zionali, tra cui il prestigioso “Belvededi Vienna ha interpretato Octavian nel Cavaliere della Rosa re” di Vienna (1993), ha intrapreso giodi R. Strauss, la Contessa Geschwitz in Lulu di Berg, Elisavanissima la carriera internazionale. betta nella Maria Stuarda di Donizetti, Donna Maria D’ADopo il debutto al Festival dei Due valos in Gesualdo di Alfred Schnittke (nella prima esecuMondi di Spoleto e al Teatro Comunale zione mondiale, diretta da M. Rostropovich), Orlofsky in di Bologna con Riccardo Chailly nel Die Fledermaus di J. Strauss. Al Teatro dell’Opera di AmTrittico di Puccini, nel 1993 ha inciso a sterdam ha interpretato di Monteverdi il ruolo di PeneloVienna per la DECCA il Capriccio di R. pe ne Il Ritorno di Ulisse in Patria e di Ottavia ne L’IncoroStrauss (Cantante Italiana) con i Wiener nazione di Poppea; è stata inoltre Cornelia nel Giulio Cesare di Philharmoniker. Dal 1995 è ospite dei Händel, diretto da Marc Minkowski, Clairon in Capriccio di più prestigiosi teatri in Italia e nel monR. Strauss; Agni in Kopernikus di Claude Vivier (in prima do. Spesso l’abbiamo apprezzata all’Oesecuzione europea), Maddalena in Rigoletto. Il suo reperpera di Roma. torio prevede anche i ruoli di Carmen, Charlotte in Werther, Maddalena in Rigoletto, Federica in Luisa Miller, Dario Solari e Anna Rita Taliento Concepción ne L’Heure Espagnole di Ravel, Mrs. Quickly in Falstaff, Laura ne La Gioconda, Marcellina ne Le Nozze di Figaro. la protagonista ne La LuPagina a cura di Diana Sirianni – Foto: Corrado M. Falsini pa di Marco Tutino, Herodias nella Salome e Annina nel Rosenkavalier. Giorgio Germont, padre di Alfredo E La Traviata 6 Il Giornale dei Grandi Eventi Rigoletto, Il Trovatore, La Traviata La “Trilogia popolare” nell’esperienza verdiana S in dalle prime biografie critiche su Giuseppe Verdi, un problema dibattuto è stata l’individuazione delle diverse fasi stilistiche. L’articolazione in “tappe successive” costituisce, in realtà, solo un espediente per facilitare e schematizzare l’analisi di una produzione musicale. In generale, a proposito del teatro verdiano, si parla di quattro fasi, i cui confini non sono in taluni casi univoci. E il secondo di questi momenti è rappresentato dalla cosiddetta “Trilogia popolare”. Ponte di passaggio fra il prima e il dopo, a dimostrazione di una continuità di pensiero e di una estrema coerenza costruttiva e creativa. Verdi, è noto, non ha lasciato scritti teorici di estetica. Il suo pensiero sul teatro emerge, nitido e chiaro dalle opere stesse e dalle lettere ai suoi librettisti, dove si parla di “parola scenica”, di situazioni, del coraggio che un artista dovrebbe avere di non fare né poe- sia né musica quando il dramma lo richiede. Autentico uomo di teatro, Verdi amò sperimentare. La centralità del personaggio La trilogia è il frutto di una sperimentazione e, insieme, la preparazione in vista della “terza”, straordinaria fase, quella delle opere più complesse, che va dai Vespri Siciliani (1855) fino ad Aida (1872), dove potremmo dire si assiste ad una fusione dei caratteri delle fasi precedenti: la coralità tipica della prima fase e l’approfondimento del carattere dei personaggi. Verdi approda al Rigoletto dopo una lunga militanza nel teatro risorgimentale, scolpito in maniera granitica, con masse corali poderose, con personaggi-simboli di una umanità dominatrice o succube. Frasi gettate al pubblico dell’epoca come messaggi inequivocabili. In Ezio, console romano, che esorta Attila a tenere per sé l’Universo ma a lasciare l’Italia, si identificavano tutti i patrioti del tempo. Poco importava in questo clima approfondire i sentimenti del console, studiarne la psicologia, i moti dell’animo. Era un italiano che combatteva per la causa. E questo bastava. Dopo la sconfitta di Carlo Alberto nella Prima Guerra d’Indipendenza e il crollo delle illusioni, Verdi si indirizzò verso altri temi, in realtà già toccati in precedenza (di qui la difficoltà citata, di classificare e ordinare): i drammi individuali analizzati attraverso figure di forte spessore. C’era già stata l’esperienza shakesperiana del Macbeth con un personaggio affascinante nella sua crudeltà quale Lady Macbeth. E c’era stata anche Luisa Miller. In Macbeth , del resto, la “novità” non era solo ravvisabile nell’argomento, ma nel rapporto fra parola e musica e nel- Piccolo dizionario delle forme chiuse Ahi! le cabalette «..l e Cabalette! Apriti o terra! Io però non ho tanto orrore delle cabalette e se domani nascesse un giovine che me ne sapesse fare qualcheduna del valore per esempio del “Meco tu vieni o misera” oppure “Ah perché non posso odiarti” andrei a sentirle con tanto di cuore…». Scriveva così Verdi e Ricordi nel novembre 1880 parlando del rifacimento del Simon Boccanegra. Le cabalette! Apriti o cielo! Era l’epoca in cui, sotto l’influenza del rigoroso teatro wagneriano, si guardava con severità alle vecchie “formule” del teatro italiano. La cabaletta, in voga essenzialmente nel primo Ottocento, era una breve aria vivace e di carattere in genere virtuosistico che concludeva una scena. Era una delle cosiddette “forme chiuse”, quei pezzi cioè con un inizio e una coerente conclusione musicale che hanno caratterizzato tutto il teatro italiano dal Settecento più meno fino al Falstaff (e anche successivamente) e che Wagner ha decisamente avversato. L’opera seria italiana (quella comica sin dall’inizio ha evidenziato una maggiore varietà strutturale) si è per buona parte della sua esistenza basata sulla contrapposizione dialettica fra due entità: il recitativo e l’aria. Il primo più tendente, appunto, alla recitazione aveva la funzione di sviluppare l’azione, far progredire la vicenda; la seconda più lirica, più vocalmente impegnativa, costituiva il momento statico della scena, esprimeva i sentimenti dell’interprete, le sue reazioni di fronte agli avvenimenti. Nel corso del tempo le due forme si sono trasformate (il recitativo ha lasciato il posto ad una struttura più articolata e complessa, l’aria si è sviluppata in molteplici direzioni), ma hanno continuato a caratterizzare il nostro teatro, spesso mescolandosi e collegandosi più strettamente fra loro o con altre forme: ad esempio il coro (sempre più importante nell’Ottocento, come elemento introduttivo della vicenda), oppure i pezzi d'insieme per giungere ai grandi concertati che l’opera seria ha ereditato dal teatro comico. Si pensi ai capolavori di Rossini, agli scoppiettanti finali dei primi atti del Barbiere di Siviglia o dell’Italiana in Algeri. R. I. l’esplorazione del “fantastico” (si pensi al mondo delle streghe, ma anche agli spettri) mai affrontato in precedenza dal musicista di Busseto. La trilogia attinse a queste esperienze e le approfondì. In Rigoletto, Trovatore e Traviata il musicista pone al centro un personaggio visto sotto due aspetti diversi: in Rigoletto, ad esempio, convive il buffone di corte e il padre preoccupato della incolumità della figlia; nella Violetta di Traviata c'è la cortigiana leggera e frivola ma c'è anche la donna innamorata capace di sacrificare la propria esistenza per l'amato, in Azucena del Trovatore convive la madre affettuosa (anche se di un figlio “adottato”) e la donna in cerca di vendetta. Personaggi complessi, dunque, che Verdi rende con genialità in una struttura teatrale nella quale se teoricamente le forme chiuse sopravvivono, in pratica sono talmente collegate sul piano drammatico e musicale da scorrere con continuità. Le Forme chiuse E’ proprio l’aspetto formale (unito naturalmente alla bellezza di certe pagine che non a caso hanno reso “popolari” le tre opere) a risultare particolarmente importante. Tutto il teatro italiano, come è noto, si è sempre strutturato secondo una successione di forme chiuse, essenzialmente arie e recitativi, con le opportune trasformazioni nel corso del tempo. Verdi non sfugge alla tradizione fino al Falstaff che segna invece il superamento del rapporto dialettico aria/recitativo a favore di una sorta di arioso continuo. La trilogia dunque non rinuncia alle forme chiuse, ma le combina e soprattutto le integra in maniera drammaturgica- mente geniale, tanto da “nasconderle”. Si prenda in Rigoletto, la celebre scena in cui il buffone arriva a corte per scoprire dove hanno nascosto la figlia. C’è una lunga parte introduttiva (il vecchio recitativo) in cui Rigoletto passeggia, scherza con i vari cortigiani, fa alcune domande per capire le complicità e le responsabilità. Poi quando viene a sapere che la ragazza è davvero lì con il Duca, urla ai costernati cortigiani «Io vo’ mia figlia!» e si lancia in una imprecazione violenta, «Cortigiani, vil razza dannata». A quel punto inizia l’aria. Ebbene fra i due momenti c’è una separazione musicale, ma non drammaturgica. L’azione si sviluppa ininterrotta e la cesura musicale diventa quasi impercettibile. Un altro esempio straordinario si trova nel Trovatore. Si tratta della scena del Miserere che offre un'idea estremamente precisa del concetto drammaturgico verdiano. La scena propone tre canti di natura diversa che prima si susseguono e poi si accavallano. C'è Leonora che canta in primo piano il suo dolore per la condanna a morte di Manrico: un canto in tonalità minore, affranto, spezzato, rotto ritmicamente; da un lato arriva, lontano, il canto dei detenuti, un «Miserere» accompagnato solo dal rintocco delle campane; e poi prorompe, in tonalità maggiore, il canto di Manrico, anch'egli assente dalla scena, rassegnato ormai alla morte. I tre momenti, se presi staccati, non appaiono di particolare interesse; ma la loro unione dà origine ad una scena di indubbio effetto. E’ il taglio, la concezione di scene come Miserere che dà la misura della genialità di un musicista e della sua «vocazione» teatrale. Roberto Iovino Il La Traviata Giornale dei Grandi Eventi 7 Analisi Musicale Una perfetta simbiosi tra drammaturgia e musica «L a Traviata ha fatto un fiascone e peggio, hanno riso. Eppure, che vuoi? Non ne sono turbato. Ho torto io o hanno torto loro? Per me credo che l’ultima parola sulla Traviata non sia quelle d’jeri sera. La rivedremo e vedremo! Intanto, caro Mariani, registra il fiasco…». Scriveva così Verdi al direttore d’orchestra Angelo Mariani il giorno dopo il contrastato debutto di Traviata alla Fenice di Venezia, il 6 marzo 1853. Nonostante i fischi e il “riso”,il musicista mostrava una composta serenità, segnale della propria convinzione di aver licenziato un’opera di rilievo. Ed ebbe ragione, perché ben presto Traviata non solo rinacque, ma si impose come uno dei massimi capolavori del nostro teatro e uno dei titoli più popolari del suo repertorio. I motivi del successo stanno tanto nella impostazione drammaturgica del lavoro, quanto nella partitura musicale. «Sono solo un uomo di teatro» dichiarò una volta Verdi, rifiutando l’etichetta di illustre musicista. Lavorando sul libretto che Francesco Maria Piave aveva tratto da La dame aux camelias di Alexandre Dumas figlio, il musicista riuscì a costruire un’affascinante tragedia sull’amore e sulla morte, mescolando genialmente, leggerezza e drammaticità, lirismo e tensione. Domina il valzer, la danza tipica dei salotti ottocenteschi. Ed è sul ritmo ternario del valzer che si incrociano i bicchieri nel brindisi forse più famoso del teatro italiano. In «Libiamo ne’ lieti calici», si coglie la freschezza e la passionalità dell’amore di Alfredo ma si intravede anche il primo segnale di turbamento di Violetta. Inizia nell’allegria e nella frenesia della mondanità parigina l’opera per virare immediatamente dopo con una delle più grandi scene mai concepite. Follie, follie… Il lungo, incredibile monologo di Violetta è, in effetti, un capolavoro perché ci regala l’immagine di una donna che apparentemente felice, vive un dramma interiore fortissimo, combattuta tra una esistenza frivola e il desiderio di abbandonarsi all’amore per un uomo e, attraverso lui, “redimersi”. Violetta attacca con una frase fatta di dubbi, poche note incorniciate da pause: «E’ strano! E’ strano!». Sola, nella sua casa improvvisamente fredda e silenziosa, Violetta si interroga e si lascia andare a una sottile speranza d’amore: «Ah fors’è lui che l’anima». Un amore misterioso, «croce e delizia al cor». C’è, nella donna, la paura di abbandonarsi al sentimento. Di qui la reazione: «Follie, follie» con una autocommiserazione ma anche con la determinazione di cambiare registro. «Povera donna» canta Violetta su una scala discendente da fa a do. E qui, aprendo una parentesi, vale la pena ricordare che in Falstaff allorché Quickly, nella prima scena del secondo atto, si reca da Falstaff come messaggera d’amore in nome di Alice (per un falso appuntamento, una trappola nei confronti del vecchio libertino), commiserandone il presunto innamoramento, usa la stessa frase sulle medesime note: un’autocitazione ironica che mostra tutto l’umorismo del vecchio Verdi. Tornando a Traviata, al patetismo segue l’allegro brillante in cui Violetta cerca di ritornare quella di prima: «Sempre libera degg’io folleggiare di gioia in gioia». La scrittura si fa impervia, virtuosistica, gli abbellimenti servono a rendere magistralmente il carattere svolazzante della donna, così come nel Barbiere di Siviglia le acrobazie vocali di Rosina ne restituivano i capricci e la determinazione. E’ stato spesso sostenuto che la parte di Violetta richiederebbe due grandi interpreti in quanto Verdi le ha affidato una scrittura particolarmente complessa e variata: impervia e svolazzante per rendere la leggerezza della donna; intensa e lirica per svelarne i sentimenti più sinceri e profondi. Certo è che Violetta è uno dei personaggi più totalizzanti del teatro melodrammatico. Come Don Giovanni, costituisce il motore di ogni azione e di ogni sentimento. O è in scena o è evocata dagli altri. Amami, Alfredo Tutti noi frequentatori di teatro lirico, abbiamo le nostre debolezze. A volte inconfessabili, ma vere, autentiche. Pagine che ci fanno venire la pelle d’oca. A quanti sfugge una lacrimuccia quando Mimì giace nel suo letto di morte, oppure quando Cio-cio-san, altra figura incommensurabile, la più grande eroina pucciniana, si pugnala. Chi scrive prova una strana emozione quando Violetta grida il suo amore così grande e così impossibile: «Amami Alfredo!». E’ una pagina brevissima, ma preparata in maniera talmente geniale da Verdi da diventare il fulcro di tutta l’opera: il momento del sacrificio, della dichiarazione d’amore e dell’abbandono. Tutto in due parole, in pochi istanti consumati fra pause, singhiozzi, imbarazzi, fino allo slancio immenso che trascende l’amore di Violetta per Alfredo. E’, semplicemente, l’invocazione del- l’Amore in sé, universale, globale, disperato eppure immortale. Di fronte a questa grandezza, a questa superba donna che sa mettersi da parte per non turbare l’esistenza dei Germont, gli altri personaggi sono piccoli piccoli. A cominciare da Alfredo che non sa vedere al di là del proprio naso, che non capisce Violetta, che ha reazione estreme e infantili: il tenore pieno di sé e baldanzoso cui Verdi affida qualche pagina di spessore, ma senza una particolare simpatia. Come in molte opere ottocentesche («L’opera è quello spettacolo in cui il tenore cerca di portare a letto il soprano e il baritono glielo impedisce», ammoniva George Bernard Shaw) spetta al baritono, ovvero a Giorgio Germont, vestire i panni dell’interlocutore e del censore di Violetta. L’aria «Pura siccome un angelo» è di notevole bellezza: nella sua falsa moralità, Germont cerca di intenerire Violetta con il riferimento alla innocenza della sorella di Alfredo. Ed è magistrale l’idea di Verdi di contrapporre al lirismo disteso di questa pagina, la risposta nervosa, ansimante di Violetta, su frasi interrotte e spezzate: «Non sapete quale affetto, vivo, immenso, m’arda in petto». Quando Violetta, piegata alle richieste, accetta di andarsene, Verdi costruisce un andantino cantabile che è il canto d’addio alla vita, quella sognata: «Dite alla giovine sì bella e pura». Il trionfo di Germont viene suggellato dalla successiva aria «Di Provenza il mare, il suol» rivolta al figlio per consolarlo della partenza della donna e per riportarlo nella propria casa. Il secondo atto di Traviata è costruito con un senso del teatro davvero geniale, con una forte tensione emotiva. La seconda parte dell’atto è il momento della resa dei conti. La superficialità di Alfredo emerge in tutta la sua stupidaggine con il celebre “schiaffo”: «A testimon vi chiamo che qui pagata io l’ho». E’ lo stesso Germont a difendere Violetta ed il concertato conclusivo rappresenta una sorta di glorificazione della povera donna. Il terzo atto regala l’accorata lettura della lettera («Teneste la promessa, la disfida ebbe luogo») e lo struggente «Addio del passato». Poi la morte che, come spesso accade nel Romanticismo, è una sorta di catarsi, di liberazione. Violetta diventa un’eroina, si spegne fra le braccia del suo Alfredo e riscatta con una coraggiosa morte una vita che la società borghese non le aveva consentito di cambiare, obbligandola a rimanere cortigiana. Roberto Iovino 8 La Traviata Il Giornale dei Grandi Eventi Alphonsine Plessis, la vera stor Dall'infanzia infelice alla morte solitaria: la «I n vendita elegante mobilio intarsiato e scolpito, tappezzerie, gioielli, argenterie, diamanti…».Così recita il manifestino dell'asta cui furono messi gli averi di Alphonsine Plessis, alias Marie du Plessis, colei che venne trasfigurata da Alexandre Dumas figlio in Marguerite Gautier ed, infine, fasciata nel costume di Violetta Valery da Giuseppe Verdi. Era il 27 febbraio1847. Si era appena spenta in solitudine ad appena 23 anni, la cortigiana più ammirata dell'opulenta Parigi di Luigi Filippo. Fu uccisa da una forma particolarmente grave di tubercolosi, un terribile flagello che all'epoca mieteva circa sette vittime ogni dieci persone malate. L'asta ebbe luogo nello stesso appartamento dove Alphonsine morì, al numero 15 del boulevard de la Madeleine, palazzo che oggi non esiste più a Parigi, snaturato da successive costruzioni. In quella «splendida fogna purificata dalla morte» co- Alexandre Dumas figlio me ebbe a definirlo Dumas ne La dame aux camelias, si aggirarono le signore della buona società, scegliendo qui un trumeau, là una tappezzeria o un cofanetto d'argento, magari contrassegnato dal monogramma di qualche antico amante di Alphonsine. Alla schiera di questi amanti appartenne lo stesso Dumas che, nel 1844, grazie all'amico Eugene Dejazet, conobbe la femme fatale ad una festa. Ritiratasi dal salone per un accesso di tosse, Alphonsine ricevette l'appassionata dichiarazione di Alexandre; nacque una relazione che durò circa un anno, finché il giovane scrittore, che per lei aveva speso una fortuna, non fu più disposto a tollerare che lei mantenesse relazioni con i suoi ricchi amanti Stackelberg e Perrigaux. «Io non sono né così ricco per amarvi come vorrei - le scrisse nella lettera d'addio né così povero per essere amato come voi vorreste». Dumas apprese della sua morte pochi giorni dopo e scrisse di getto il romanzo che poi, una volta trasposto in versione teatrale, diede il via alla sua brillante carriera di drammaturgo. Un'infanzia infelice Al di là delle rarefatte idealizzazioni romantiche, quello che sappiamo sulle origini di Alphonsine ci conduce a una vicenda di desolante squallore. L'umile nascita nel borgo di Nonnant, in Normandia, la madre fuggita di casa, il padre, Marin, un alcolizzato che la picchiava, poi il lavoro di lavandaia, il concubinaggio favorito dal padre- con un vecchio libertino, che destò un tale scandalo da costringerla a rifugiarsi nell'anonimato di Parigi, dove trovò l'impiego di commessa in un negozio d'abbigliamento. Era indubbiamente una splendida ragazza: un ritratto di Vienot, conservato nel castello di Champflour, ci tramanda un ovale perfetto, capelli neri come il carbone, pettinati a tirebouchon, lineamenti di rara finezza sotto due sopracciglia ad arco quasi geometriche. Dal suo passaporto sappiamo che era alta circa un metro e sessantacinque, ma era considerata un po' troppo alta e sottile per i canoni dell'epoca. Dissimulava questa figurina slanciata con ampi vestiti di colore chiaro. A causa del suo scarso rendimento sul lavoro fu licenziata, ma ormai Alphonsine aveva imparato a confidare nella propria bellezza. Si vestì con ricercatezza e si mise ad aspettare la grande occasione della sua vita. Fu così che conobbe il giovane e facoltoso conte Antoine de Guiche. Si trasferì in una villa in rue Mont-Thabor dove, quasi come in My Fair Lady, La Tomba di Alphonsine Plessis il suo Pigmalione le punto che, alla fine, pose al servizio modiste, ovunque apparisse, all'Oinsegnanti di galateo, balpera, al Café de Paris, al lo, portamento e dizione, Théâtre des Italiens o al che le scrostarono quanto Ritratto di Alphonsine Plessis di plebeo ancora le rimaneva indosso, per farne una squisita mattatrice dei salotti più alla moda. Un nuovo status Alphonsine raccolse gli insegnamenti ricevuti al Jockey Club, non aveva rivali per bellezza, eleganza, vivacità e spirito. Raggiunto quindi un nuovo status sociale, decise, probabilmente su suggerimento del suo aristocratico amante, di cambiare il nome di bat- Il Giornale dei Grandi Eventi La Traviata 9 ria della Signora delle Camelie a parabola di una meteora del gran mondo ne, sortiva certamente un buon effetto. Come si evince dall'elenco dei libri di sua prop r i e t à messi all'asta, in pochissimo tempo Alphonsine si era creata una discreta cultura e vasti interessi: leggeva Lamartine, H u g o , Goethe e de Musset (del resto tesimo con il più casto suo ammiratore) e sape«Marie» e di fare del cova anche arrangiarsi al gnome Plessis un predipianoforte. Prese alcune cato aristocratico con lezioni di piano persino l'aggiunta del «du». Forda Franz Liszt, che nel se non fu una scelta a ca1846 divenne per un so, poiché la famiglia du breve periodo suo Plessis, era una delle più amante. Il grande virantiche e nobili di Frantuoso lasciò un commocia e fu la stessa che dievente ricordo di de i natali al Cardinale Alphonsine, come di di Richelieu, al secolo, una donna di grande appunto, Armand Jean cuore e di grande intellidu Plessis de Richelieu. genza. Non sappiamo quanto Ciò che colpisce è la vequesto nome d'arte fosse locità con cui questa giopreso sul serio dagli vane era riuscita a impaaraldisti da salotto, tutrare tutto ciò, considetavia, come presentaziorando che, appena giunta a Parigi, era pressoché analfabeta. Fu a un certo punto il padre del giovane de Guiche a interporsi per concludere la chiacchierata relazione il rampollo e la cortigiana. Si racconta della nascita di un figlio, che la nobile famiglia avrebbe poi preso in affidamento. Marie Duplessis a teatro, acquerello Marie cominciò quindi a tor David Ferdinand collezionare altri amanti Koreff, un medico alla e ricchi protettori. moda che si occupava di Nel romanzo, Dumas atmagnetismo animale, tribuisce i suoi desideri sull'onda degli studi di febbrili alla malattia di Mesmer, e che era anche petto che aveva contratto un valente letterato. nell'ambiente povero in cui era nata. Questa creL'aggravarsi denza parrebbe suppordella malattia tata dall'effettiva possibilità che l'ipossia, dovuta Guarita dalla polmonite, a una carenza d'ossigeno Alphonsine si recò a per insufficienza respiraLondra con il suo ultimo toria, possa produrre deamante, Perrégaux, che liri o suggestioni a caratla sposò il 21 febbraio tere erotico. 1846, contro il volere Sicuramente Alphonsidella famiglia, con il sone aveva una gran volo rito civile. Alphonsiglia di vivere, di bruciare nel fasto, nello sperpero, nella concupiscenza di essere amata e vezzeggiata, quei pochi anni che forse presentiva le sarebbero rimasti da vivere. A Chantilly fece perdere la testa al visconte Edouard Perrégaux, Boulevard de la Madeleine che divenne praticane fu molto felice di avemente suo schiavo; alle re assunto un titolo e terme di Bagnères inuna rispettabilità sociacontrò l'anziano ambale. Poté finalmente esibisciatore di Russia, conte re legittimamente le ardi Stackelberg, che poi mi dei conti Perrégaux la insediò nel lussuoso sugli sportelli della sua appartamento della Macarrozza, ma il matrimodeleine, donandole canio durò poche settimavalli e carrozze. Costui ne e non fu comunque le mandava ogni giorno riconosciuto in Francia. fasci di fiori, dai quali lei Le sue condizioni di saprese l'abitudine di staclute decaddero allora racare una camelia per appidamente; tornò a Paripuntarsela sul seno. gi nell'appartamento Questo fiore delicato e donatole da Stackelberg senza profumo era uno dove si rifugiò, sola, abdei pochi che i suoi polbandonata dagli amici e moni malati riuscivano assediata dai creditori, a sopportare. Per ventiassistita solo dalla fedecinque giorni al mese inle cameriera Clotilde. dossava una camelia Ricevette le cure del bianca, per gli altri cinDottor Casimir J. Davaique, rossa. Dopo il 1845, ne (famoso per i suoi conclusa la storia con studi sul carbonchio) Dumas, la sua malattia che le prescrisse clisteri andò peggiorando, condi chinino e del dottor trasse una polmonite e Clomel che le impose fu presa in cura dal dotuna dieta a base di pane e minestre vegetali, ma nulla si poté per salvarle la vita. Il 3 febbraio 1847 Alphonsine Plessis esalò l'ultimo respiro. Riposa ancor oggi nel cimitero monumentale di Montmartre in un classicheggiante sarcofago di marmo fatto erigere per lei dal Perregaux, che riporta questo semplice epitaffio: «Ici repose Alphonsine Plessis, nee le 15 Janvier 1824, decedee le 3 Fevrier 1847 . De Profundis.» Dei suoi averi, circa due terzi finirono all'asta per saldare i debiti con i creditori, il restante fu ereditato dalla sorella di lei, Delphine, che viveva in Normandia. La diretta discendente di costei si chiama Eugénie Mariette e vive ancora in Normandia, sposata ad un agricoltore. Della sua più famosa antenata possiede alcuni oggetti che furono trasmessi di generazione in generazione: un paio d'orecchini, uno spillone, una collana ed un medaglione. Il ricordo di quest'icona romantica non si è mai spento: la tomba di Alphonsine Plessis è ancor oggi una delle più visitate del cimitero monumentale parigino e ogni giorno visitatori e ammiratori vi lasciano fiori freschi. Naturalmente, camelie. Andrea Cionci La Traviata 10 Il Giornale dei Grandi Eventi Lo scrittore autore del romanzo Dame aux Camèlias Alexandre Dumas: figlio d’arte … e del bel vivere P scrive i suoi primi versi, adre della Dame decide di abbandonare il aux Camèlias e figlio collegio e si immerge de Les trois Mounella vita oziosa e galansquetaires, Alexandre Dute che solo la Parigi demimas nasce a Parigi il 27 siècle riesce ad offrire ai luglio 1824 dall’omonigiovani scrittori in erba. mo Dumas maestro del Sulla rotta delle frequenromanzo storico e da una tazioni mondane è il pasua vicina di pianerottodre a mostrargli la stralo, Catherine Laure Labay, ricamatrice. Quella del piccolo Alexandre è un infanzia difficile: viene dichiarato figlio naturale di genitori sconosciuti e viene spedito in istituto, per poi essere riconosciuto all’età di sette anni, dal padre che affronta una lunga battaglia legale per l’affidamento, strappandolo alla giovanissima sarta. L’evento resta impresso per sempre nella Alexandre Dumas mente di Dumas, da, e Alexandre si tuffa che nelle sue opere maninei caffè alla moda, nei festa un profondo disateatri più in voga, nei sagio descrivendo scenari lotti di Balzac, Liszt, Lusfamiliari in preda alla diset. Ma con il genitore il sgregazione, al malesserapporto non è sempre re, all’incomunicabilità. sereno: il ragazzo non gli All’età di diciassette anni perdona l’abbandono e non gli risparmia prediche moraliste e paternalistiche. I due abitano insieme, e quando il “giovane” è in giro, di fronte ad amici e conoscenti descrive il “vecchio” come «un bambinone» che «ho avuto quando sono nato». Solo poco dopo, verso la metà del secolo, lascerà definitivamente la casa di rue Joubert. Nel 1844 incontra Alphonsine Plessis (alias Marie Duplessis), la cocotte d’alto bordo appassionata di camelie che quattro anni dopo ispirerà il suo romanzo più conosciuto: la Dame aux Camélias. Un amore breve, intenso e soprattutto oneroso, tanto da spingere Dumas a scrivere alla ragazza una lettera in cui si dice costretto a lasciarla: «Cara Marie, non sono abbastanza ricco per amarvi come vorrei, né abbastanza povero per essere amato come voi vorreste». Pochi anni dopo, trasporta la sua piccola grande storia personale in un romanzo e questo in un testo teatrale (1852), poi ripreso dal librettista Francesco La strana storia della “Loterie des lingots d’or” Quando Dumas reclamizzava l’Eldorado I l 1851 è l’anno in cui si apre una curiosa parentesi nella vita di Alexandre Dumas figlio. Il giovane romanziere si mette, infatti, alla testa della controversa Societé des Lingots d’Or, un’organizzazione voluta da Napoleone III per promuovere una grande lotteria destinata a raccogliere fondi per consentire agli operai disoccupati ed ai parigini meno abbienti di emigrare verso le miniere della California. L’obiettivo malcelato di questa Loterie era in realtà l’esilio forzato - nascosto dalla prospettiva di un’avventura verso la corsa all’oro - di tutti quei personaggi che il regime del nuovo Imperatore considerava “indesiderabili”: i rivoltosi del ’48, i veterani della garde républicaine, i Montagnardi (i repubblicani eredi di Marat), gli aristocratici decaduti, i banchieri finiti in rovina. La ricerca dell’Eldorado americano, per molti dei 3000 migranti, finiva sul ponte delle navi prima di passare Capo Horn: durante le soste in Sud America accadeva spesso che equipaggio e passeggeri contraessero la febbre gialla. Coloro che riuscivano a sbarcare vivi a San Francisco si trovavano a dover fronteggiare condizioni di vita che avevano ben poco a che fare con il sogno americano ed erano costretti ad elemosinare, a svolgere lavori infimi, a prostituirsi (come accadde alla scrittrice Fanny Loviot, che nel 1853 nel suo Les pirates chinois racconta dell’odissea del viaggio in nave, durato cinque mesi, e della vita di strada nella città della West Coast). Non è chiaro il motivo per cui l’autore della Dame aux Camèlias si fosse offerto (o fosse stato voluto) per propagandare la lotteria. Quello che resta di questa particolare vicenda è tutto nelle 16 pagine della brochure esplicativa redatta da Dumas per invogliare i parigini a partecipare al gioco ed ad affidarsi al rischio: «l’intervento negli affari umani di questo invisibile, misterioso potere che gli increduli chiamano fatalità, i credenti Provvidenza, gli indifferenti caso». E gli astuti … imbroglio. J. M. Tomba di Alexandre Dumas nel cimitero di Monmartre a Parigi Maria Piave come soggetto per la Traviata di Verdi. I romanzi Le Docteur Servan (1849), Antonine (1849), Tristan le Roux (1850), Trois Hommes forts (1850), Le Régent Mustel (1852), Contes et Nouvelles (1853), La Dame aux perles (1854) seguono a ruota la Signora delle Camelie e testimoniano la grande carica vitale di uno scrittore che vive la crisi del romanzo storico e l’affermarsi del naturalismo francese. Negli anni successivi, Alexandre affronta con il suo stile brillante temi assai controversi per l’epoca come la posizione sociale della donna, il divorzio, l’adulterio, la ricerca della paternità. Delle 19 pièces teatrali che in questo periodo nascono dalla sua penna facile, e che spesso lo rendono scandaloso agli occhi della buona società, ricordiamo Diane de Lys (1853), Le Demi-Monde, (1855), La Question d’Argent (1857) Le Fils Naturel (1858), Un Père Prodigue (1859), L’Ami des Femmes (1864), Francillon (1887). Grande ammiratore della scrittrice “protofemminista” George Sand, Dumas si spinge spesso a sud di Parigi per farle visita nella sua casa di Nohant. La chiama affettuosamente “chère maman”, e nel 1864 si mette spontaneamente all’opera per trasformare il suo romanzo Le Marquis de Villemer in un testo teatrale. Nel 1874 è eletto all’Accademia Nazionale di Francia ed insignito della Légion d'honneur. Victor Hugo, che da vent’anni disertava le sale dell’Accademia, vi ritorna appositamente per votare a suo favore. Coccolato da un più che discreto successo, può godersi la tranquillità nelle tante proprietà sparse nei dintorni di Parigi, ed è nella sua villa delle Yvelines, a Marlyle-Roi, che si spegne serenamente il 2 novembre del 1895. Le sue spoglie riposano nel cimitero di Montmartre, insieme a quelle di tanti talenti della letteratura. Jacopo Matano Il La Traviata Giornale dei Grandi Eventi 11 Ritratto del Musicista Dieci libretti per Verdi «T orniamo all’antico e sarà un progresso», scriveva Verdi a Francesco Florimo nel 1871, in difesa della tradizione melodrammatica italiana e contro la penetrazione dell’arte tedesca che stava generando la nuova moda dei concerti sinfonici. Il Maestro lombardo, simbolo del Risorgimento italiano, si pose da subito in aperto contrasto con il gusto wagneriano: «non possiamo alla lunga crede alle fantasticherie di quest’arte straniera che manca di naturalezza e semplicità». La poetica verdiana non voleva l’artista schiavo delle novità e del gusto alla moda, ma ‘voce’ del «suo Paese e della sua epoca». né ci deve essere che una musica grata alle orecchie degli italiani del 1848. La musica del cannone!... Io non scriverei una nota per tutto l’oro del mondo: ne avrei un rimorso immenso consumare della carta da musica, che è sì buona a fare cartucce». E ancora nel ’60: «l’inno nazionale devesi intonare sulla veneta laguna, a Napoli o sulle Alpi ad un tempo solo. Ho rifiutato e rifiuterò fino a quel momento di scriverne, e seppure Iddio ci aiuti a spezzare le nostre catene ed io viva tanto da veder quel giorno, sarà il primo e ultimo inno di G. Verdi». Promessa non mantenuta, benché sempre più spesso il coro Va’, pensiero del Nabucco sia assunto a simbolo del nostro Paese. Dallo slancio politico… … Alla passione per la campagna Nell’aprile del ’48 scriverà al librettista Francesco Maria Piave: «tu mi parli di musica!! Cosa ti salta in capo?... credi che io voglia ora occuparmi di note? Non c’è, Seguiva con passione la cultura italiana e europea, ma al contempo era attento agli affari e alla sua campagna: viti, cavalli, Giuseppe Verdi negli anni ‘50 concimi e contadini. «Addio campagna, addio passeggiate, … addio bel cielo azzurro, addio spazio infinito…! Quattro pareti sostituiranno l’infinito …i libri e la musica rimpiazzeranno l’aria e il cielo». Il mondo musicale verdia- no, apparentemente lontano dalla natura schiva e brusca del maestro, ne riflette invece a pieno la personalità: la forte moralità con le sue leggi ferree e una musica tanto precisa nel definire gli stati d’animo. Natura saggia ed equilibrata, concreta e legata alla sua terra. Di qui i temi portanti di opere, tra cui l’Attila, con chiare allusioni politiche: i vizi umani, il peso del potere che schiaccia l’individuo, la solitudine del soglio, l’amore contrastato, la vendetta. La lettura dell’epistolario riesce a regalare immagini vivaci di questa forte personalità, che sapeva ridere di se stesso, “tiranno” e severo sul lavoro, ma anche amico caldo e generoso. Artista che ha saputo segnare il suo tempo e a cui la lunga vita permise di assistere ai più grandi cambiamenti epocali: dall’estetica musicale, che partiva da posizioni rossiniane, ma conobbe le riforme wagneriane, ai rivolgimenti politici e soprattutto quelli tecnologici. Quando nacque, nel 1813, in un dipartimento del Taro, sotto il governo dell’Impero napoleonico, l’illuminazione era a olio e l’unico mezzo di spostamento erano cavalli e carrozze. Quando morì nel 1901, nel nuovo Regno dell’Italia unita, Edison aveva ideato la lampadina elettrica, che già stava soppiantando l’illuminazione a gas, e da pochi anni Agnelli aveva fondato la Fiat! S. So. Il librettista Francesco Maria Piave «El Maestro el vol cussì…» E ra figlio di un vetraio di Murano Francesco Maria Piave, librettista di Verdi in diverse opere, nato a Venezia nel 1810 ed avviato dal padre, come molti giovani del suo tempo, alla carriera ecclesiastica. Mentre continuava gli studi, si occupò con modesti lavori di traduzione, correzioni di bozze, stesura di articoli e novelle. Si dilettava anche nella composizione di canzoni e ballate, facendosi presto notare nell’ambiente intellettuale veneziano soprattutto per la sua abilità nell’improvvisare versi in dialetto. Nel 1842 fu notato dal conte Alvise Mocenigo, allora presidente degli spettacoli Alla Fenice, il quale lo chiamò come librettista ufficiale del Teatro. Incarico che Piave mantenne insieme con quello di direttore degli spettacoli e regista stabile, fino al 1859, quan- do Verdi lo fece entrare come “direttore della messa in scena” alla Scala. Il suo primo libretto fu il Duca d’Alba (1842) per Giovanni Pacini. A questo seguirono lavori anche per Saverio Mercadante (La schiava saracena, 1848), Federico Ricci (Crispino e la comare, 1850) ed altri musicisti contemporanei: in tutto, nella sua vita compose 61 opere musicate ed 11 incompiute, la produzione più prolifica fra i poeti melodrammatici dell’epoca. Per Verdi scrisse dieci libretti: I Due Foscari ed Ernani (1844), Macbeth (1847 e 1865), Il Corsaro (1848), Stiffelio (1850), Rigoletto (1851), Traviata (1853), Simon Boccanegra (1857), Aroldo (rifacimento dello Stiffelio) (1857) e La Forza del destino (1862). A questi si devono aggiungere nel 1846 la revisione dell’Attila di Temistocle Solera e due libretti mai musicati: Cromwell a cui Verdi preferì Ernani ed uno dal titolo sconosciuto, proposto come alternativa alla Traviata. Il rispetto e l’ammirazione che il librettista nutriva per verdi, lo resero disposto ad accettare il forte carattere del maestro. Famosa rimase la frase «El maestro el vol cussì…», che ripeteva ogni qualvolta fosse costretto ad apportare modifiche ed a subire interventi d’ogni genere sui libretti, a sopportare la noiosa Busseto, a prestarsi ai tradimenti ed ai malumori del compositore, il quale peraltro gli fu legato da profondo affetto e lo stimò più che ogni altro librettista. Nel 1867, paralizzato da un’apoplessia, Francesco Maria Piave si ritirò a vita privata, trascorrendo gli ultimi anni isolato ed in condizioni finanziarie pre- carie. Verdi costituì un fondo a favore della figlia Adelaide e promosse insieme con altri compositori ed all’editore Ricordi, un Album di romanze, dalla cui vendita fu tratto un ricavato a beneficio della giovane. Alla morte del poeta, avvenuta a Milano nel 1876, Verdi si occupò anche delle cerimonie funebri. Fedele seguace dei modelli del Romanticismo europeo, Piave aderì alla scuola avviata dal Romani, aggiornandola però con nuove esperienze linguistiche derivanti dai contemporanei, come Manzoni e Bodio, dai quali spesso prendeva in prestito intere immagini. Trasse ispirazione dagli scrittori romantici come Victor Hugo (Ernani, Rigoletto), Alexandre Du- mas figlio (Traviata) e Bayron (I Due Foscari, Il Corsaro), semplificando all’estremo le loro trame ed accendendole di forti passioni, ispirate a valori religiosi e patriottici. Per questa sua abilità nel costruire situazioni fu apprezzato da Verdi, il quale non dava importanza al valore dei suoi versi, considerati dalla critica «grossolani ed approssimativi». Oggi, invece, Piave è rivalutato anche come poeta ingegnoso e garbato. Mi. Mar 12 La Traviata Il Giornale dei Grandi Eventi L’affezione fatale a Violetta Tubercolosi, malattia romantica ora in pericolosa recrudescenza N on poche malattie hanno improntato diverse epoche della storia dell’umanità. Così, se nel Medioevo aleggiava lo spettro angoscioso della peste, la tubercolosi percorre e suggestiona l’epoca del Romanticismo. Nell’800, anche a seguito dell’identificazione nel 1882 da parte di Koch del bacillo responsabile della malattia, l’interesse per la stessa crebbe consensualmente alla sua diffusione. Essa, che Leopardi in “A Silvia” chiama «…chiuso morbo…», visse nello stretto ambito di persone o gruppi, magari nuclei familiari, ma mai diede luogo a manifestazioni generalizzate (cosa che, invece, non può dirsi, ad esempio, né della peste, del colera o tifo). Il fatto, quindi, che la tubercolosi fosse nello stesso tempo malattia sociale, senza avere i crismi dell’epidemia, la rese quasi “diversa” agli occhi dei contemporanei che si sono susseguiti nel considerarla come “fenomeno”. Non a caso, come si comprese in seguito, essa allignava nei soggetti che, per la vita grama e stentata che conducevano, disponevano di difese immunitarie spesso non idonee. Pur se il quadro clinico aveva possibilità di svilupparsi nell’arco di anni, era altresì innegabile che colui che ne fosse affetto veniva ben presto a sapere del contagio a seguito della semplice osservazione della presenza di sangue nell’espettorato (emottisi). Ciò senza che vi fosse possibilità alcuna di qualche pietosa bugia, verso una malattia dall’esito mortale procrastinabile, ma sicuro (i casi di positiva risoluzione erano rarissimi). Da qui poteva risultare non eccessivamente arduo l’accostamento di chi solitario affrontava questa battaglia, al prototipo dell’ “Eroe romantico”. Una malattia rato solo nel 1946 dall’inche dopo le massicce troduzione della streptocampagne sociali di premicina e poi dell’isoniazivenzione e cura durante il de nel 1952. La malattia è Ventennio era stata di fatdovuta ad almeno tre to sconfitta, ma che ora specie di Mycobacterium: complice anche l’HIV e la il M..tuberculosis (il vecsua caduta di difese imchio bacillo di Koch), il M. munitarie ed i massicci bovis ed il M. africanum. Il flussi migratori, si sta riM. tubercolosis è un bacildiffondendo nei Paesi oclo, aerobio obbligato, a cidentali dove la scomparsa del problema ha determinato negli ultimi anni un rilassamento delle misure sanitarie di controllo. Un rilassamento anche dell’opinione pubblica se si pensa che – secondo l’Osservatorio di Pavia - le principali edizioni dei TG italiani hanno dedicato alla malattia solo tre notizie in tutto il 2006. In Italia, invece, la comune tubercolosi colpisce 7 italiani e 100-150 stranieri ogni Polmone affetto da tubercolosi 100 mila abitanti e sono già 8 i casi nel lenta crescita, con un temnostro Pese di Superpo di generazione dalle TBC, ceppi multiresisten12 alle 18 ore. La TB uccide ancora milioti genotipizzati. ni di persone e l’Organizzazione Mondiale della La malattia Sanità afferma, secondo sue stime, che circa 9 miIl termine “tubercololioni di nuovi casi insorgosi”(TB) descrive una mano ogni anno, con 2 miliolattia infettiva che sembra ni di decessi, in gran parte aver tormentato l’uomo (90 %) nei paesi in via di fin dall’era neolitica. Solsviluppo, anche se attualtanto nel 1865, però, Villemente se ne osserva una min ne riconobbe la trarecrudescenza anche nelle smissibilità, mentre nel comunità più progredite a 1882 Koch ne individuacausa della diffusione delva l’agente causale in un le malattie da immunodebacillo. Nello stesso anno ficienza (HIV) e dell’immiil nostro Forlanini ne grazione di popolazioni propose con lo pneumoprive di difese immunolotorace terapeutico – che giche specifiche. Si reputa, di fatto metteva “a ripoinoltre, che il 20–40% della so” il polmone colpito - il popolazione mondiale sia primo rimedio efficace affetta da M. tuberculosis e per le forme polmonari, che tale organismo sia rerimedio che venne supe- sponsabile di oltre il 7% dei decessi annui. La diffusione Oggigiorno quasi tutti i casi di TB sono acquisiti per contatto inter–umano (da persona a persona) attraverso i “nuclei di goccioline” diffusi per via aerea. Micro goccioline di saliva e/o di muco, contenenti bacilli acidoresistenti che il malato polmonare diffonde nell’ambiente con la tosse, lo starnuto o la semplice parola. Quando tali goccioline di saliva si asciugano/essiccano o sono di dimensioni appropriate, possono essere sospese dalle correnti d’aria. Quando di diametro compreso tra 1 e 5 micron, tali particelle possono contenere 2 o 3 bacilli tubercolari. Particelle più voluminose impattano sulla mucosa delle vie aeree e vengono rimosse dal sistema muco-ciliare prima di poter causare infezione. Particelle più piccole sono, invece, in grado di raggiungere gli alveoli ed avviare l’infezione. Tale processo prevede l’ingestione del bacillo tubercolare da parte dei macrofagi. L’equilibrio virulenza dei bacilli–attività battericida del macrofago determina la sopravvivenza o meno dell’agente patogeno e, quindi, l’eventuale infezione. Il bacillo cresce lentamente all’interno del macrofago, pertanto nessuna reazione immediata dell’ospite è riconoscibile; è necessario, infatti, che cariche batteriche ingenti (circa 103–104 organismi) si sviluppino prima di indurre una risposta cellulare. L’ingente moltiplicazione batterica determina lisi macrofagica, con conseguente immissione di bacilli liberi nei vasi linfatici e da qui nel torrente circolatorio (diffusione ematogena). La via ematica consente al bacillo di raggiungere aree ad elevata pressione parziale di ossigeno, quali gli apici polmonari, i reni, l’encefalo e l’osso, ove si esplica ulteriore moltiplicazione del patogeno. L’organismo può reagire efficacemente ed allora il focolaio infettivo polmonare viene circoscritto e va incontro a fibrosi (tubercoloma) ed a calcificazione; se invece l’organismo è indebolito da denutrizione, disagiate condizioni di vita o insufficienza immunitaria, la lesione procede localmente distruggendo il polmone. A volte la diffusione del bacillo è così rapida e generalizzata che arriva a coinvolgere più organi e a produrre il quadro della cosiddetta TB miliare. Soprattutto individui immuno–compromessi (anziani, pazienti neoplastici, pazienti affetti da HIV), si presentano con febbre, debolezza, anoressia e perdita di peso, quadro ad esordio insidioso. La tosse e la dispnea sono relativamente poco frequenti, ma la mortalità è elevata. Meno frequenti sono le localizzazioni extrapolmonari: i linfonodi ( la vecchia “scrofola” se interessati i linfonodi del collo), le meningi, le ossa, l’apparato urogenitale e quello gastrointestinale. Ai fini diagnostici della TB sono tipicamente utili le seguenti indagini: la radiografia del torace, il PPD test, i test sull’espettorato per il riconoscimento del bacillo. La terapia standard, sia negli adulti che nei bambini, prevede un regime di sei mesi: i primi due (initiation phase) con isoniazide, rifampicina o rifabutina, pirazinamide ed etambutolo, seguiti da 18 settimane di isoniazide e rifampicina. Salvatore Valente Direttore Scuola Specializzazione Malattie dell'Apparato Respiratorio Università Cattolica - Roma Il Giornale dei Grandi Eventi La Traviata 13 La “Rosa del Giappone”: fortuna e coltura della Camelia Romantico fiore d’amore senza profumo, ma anche carnosa pianta del thé O rigini leggendarie ed alterne fortune fanno della Camelia un fiore “storico” e, per i popoli dell’Estremo Oriente da cui proviene, un fiore “sacro”. La prima ad attecchire in Europa (Inghilterra), nella prima metà del 1700, fu la Tsubachi, (in giapponese = pianta dalle lucenti foglie) che fu battezzata con il nome di Camellia japonica da Linneo, in omaggio al gesuita originario della Moravia Georg Joseph Kamel (1661-1706), per i suoi importanti studi di botanica e per aver introdotto la pianta in Europa importandola dal Giappone nel 1730. In Italia, invece, nel 1794, attecchì la C. celebratissima (Giardini della Reggia di Caserta) ed altre, importate o ottenute da incroci, si andarono ben presto affer- mando. Comunque, la Camelia divenne popolare per merito della letteratura e del teatro: intorno al 1848, infatti, Alessandro Dumas figlio scrisse il romanzo La dame aux camélias, di cui operò un adattamento per il teatro poco dopo, rappresentandolo nel febbraio 1852. Un anno dopo Giuseppe Verdi, entusiasta, ne musicò il libretto adattato da Francesco Maria Piave con il titolo La Traviata. Solo dopo le due Guerre mondiali questa pianta si affermò definitivamente negli USA, dove nacquero numerose Associazioni di “cameliofili”, attive ancora oggi nell’organizzazione di Mostre e Premi. Il genere Camellia, (fam. Ternstroemiaceae o Teaceae), consta di circa 80 specie, riconducibili, secondo alcuni, ad un massimo di 15 od anche meno. Quattro sono, comunque, le specie più affermate: 1) la C. japonica. L., da cui è derivata la maggior parte delle varietà, con fiori di grande effetto, a petali di colore variante dal bianco al rosa al rosso, (anche sfumato o screziato), riuniti in forma talvolta scapigliata, talvolta perfetta e foglie coriacee, lucide, ovali, appuntite. 2) la C. sinensis, o Kuntze, con fiori bianchi e foglie piccole, ottuse, seghettate: coltivata a cespuglio, è la pianta da cui si ricava il the. In Italia viene coltivata soprattutto sul Lago Maggiore a scopo decorativo. 3) la C. sasanqua (o sasangua), Thunb., (dal giapponese “sazank-wa”= fiore del the di montagna), a fiori bianchi, rossi o multicolori e foglie ottuse, intagliate. 4) C. oleifera, Abel., coltivata in Cina per i semi oleosi, a fiori bianchi, piccoli e foglie acuminate e dentellate. Le due ultime specie sono le uni- che ad essere profumate. Oggi sul mercato è comparsa la camelia gialla, la C. chrisantha, per anni inutilmente vagheggiata; molto richieste sono pure le nuovissime camelie “miniatura”, a foglie e fiori molto piccoli. Fiori senza profumo I fiori di Camelia presentano forme molto diverse, che sono state raggruppate secondo queste denominazioni: semplice (Foto 1), semidoppia (Foto 2), doppia regolare (Foto 3) e irregolare, doppia a rosa (Foto 4), peoniforme (Foto 5) e anemoniforme (Foto 6). Le camelie si moltiplicano per: seme, talea, propaggine, margotta e innesto e si piantano in autunno (sasanqua: settembre- ottobre) o in primavera (japonica: marzoaprile), in qualunque tipo di terreno, purché non calcareo, meglio se leggermente acido (pH 5,5-6,5). Non necessitano in genere di fertilizzanti: tutt’al più, in piccole quantità, di concimi a lenta cessione; in compenso, essendo piante d’altura, beneficiano di pacciamature estive a base di foglie, torba o paglia, per tenere il terreno umido e pulito da infestanti. Apparentemente facili da coltivare, in realtà lo sono solo se l’ambiente si avvicina a quello originario: clima temperatoumido, terreno ben drenato, semiombreggiato e riparato dai venti. La pianta, infatti, non sopporta gli eccessi di sole, di acqua e di vento. Perché la camelia presenti, inoltre, una bella forma complessiva e «l’aria e la luce la attraversino», (come si raccomandano gli appassionati), sono importanti le potature leggere prima dell’inizio della nuova vegetazione, mentre piccole potature dei rametti morti risultano utili lungo tutto il corso dell’anno. Per la forma ottenuta possono essere variamente usate in giardino le arbustive per siepi, macchie sottobosco e spalliere (purché il graticciato di sostegno risulti scostato dal muro di 10-15 cm) e le arboree per boschetti e ombrelle tappezzanti; le precoci, invece, di forma più ridotta, sono perfette in vasi, anche pensili. fig. 1 - fiore semplice fig. 2 - fiore semidoppio Piante sempreverdi Fioriscono in inverno Le camelie sono piante sempreverdi, alte fino a 10 m, molto longeve e gratificanti, «perché sorridono d’inverno quando tutte le altre intristiscono»: sasanqua e sinensis fioriscono infatti da ottobre a marzo avanzato, perché più resistenti alle basse temperature; japonica da febbraio a maggio inoltrato, perché più sensibile al freddo e alle gelate: per una fioritura ottimale sarà utile, però, anche un diradamento dei boccioli, specie quando si infittiscono alle estremità dei rami. Comunque, una sapiente scelta scalare dei colori e dei tempi di fioritura darà al giardino, d’inverno, un aspetto scenografico spettacolare. «Prendete questo fiore..» «Perché?» «Per riportarlo» «Quando?» «Quando sarà appassito» «O ciel! Domani?» «Ebben, domani» Francesco Saccardo Docente di Orticoltura e Floricoltura Università della Tuscia - Viterbo. fig. 3 - fiore doppio fig. 4 - doppia rosa fig. 5 - peoniforme fig. 6 - anemoniforme La Traviata 14 Il Giornale dei Grandi Eventi La Traviata nei giornali dell’epoca Critiche per un capolavoro Debutto - 6 marzo 1853, Teatro La Fenice Gazzetta di Venezia, 7 marzo 1853 T ra pel grande rumore, che ne han menato i giornali a Parigi, e per quella furia di repliche, che ne hanno dato all'Apollo, crediamo che i lettori sappiano non pur a memoria il soggetto, ma abbiano sulle dita fino alle parole di questo dramma: poich'esso non è altro, che la Dame aux camèlias del Dumas figlio, un po' raffazzonato, il dramma, alla foggia delle opere, e trasferito a' tempi del grande Luigi, per cavarne un po' più di grandezza e di lustro nelle decorazioni. Noi siam dunque sollevati dal disturbo di farne una più minuta esposizione; il che è bene per più d'un motivo, tra gli altri per questo “che la poca fatica a tutti è sana” II Piave ebbe il talento di trarre, come a dire, il sugo, il midollo, di stillare l'estratto, se non lo spirito, di quel grande composto, pur mantenendo tutte le più belle situazioni della favola, accrescendole anzi con la opportuna Introduzione del padre a tal sito, dove nell'originale l'opera sua non appariva, ma, con effetto minore, era soltanto narrata; allargando infine felicemente alcun episodio, com'è di quelle mascherate graziose, ch’ei tirò dentro al festino, e che cantano altresì i migliori versi del libro. Avvegnacchè, quanto a questi, secondo altre volte notammo, ei sa farli; iI che non importa altrimenti che l'estro debba sempre ri- bandonare la gaia vita si d’agilità, che molper quell'amore. In tutti ti per lei scrisse il questi luoghi ha pari belmaestro, con una lezza, la bellezza antica, perizia e perfezion quella che si usava e piada non dirsi: ella ceva ai tempi della rapì il teatro, che, buon'anima del Rossinl, alla lettera, la subise risulta, non da sottisò d'applausi. Quegliezze di dotto ragionast'atto ottenne il mento, ma dalla originamaggior trionfo al lità del pensiero, dalla maestro; si cominsoavità e vivezza del canciò a chiamarlo, prito, che ti tocca le fibre, e ma ancora che si alti fa muovere d’in sullo zasse la tela, per scanno. Ha, fra le altre, il una soavissima arprecipizio. Nessuno demotivo monia di violini, che pregli altri cantanti trovavadel brinludia allo spartito; poi al si in piena sanità e sicudisi, ed brindisi, poi al duetto, rezza di gola, quantununa frase poi non so quante altre que ognuno renda giustidel duetvolte, e solo e con la donzia alla rispettiva loro to, che si na, alla fine dell'atto. bravura. ripete poi Nel secondo mutò fronte Laonde, pur concedendo a pertichiahimè la fortuna. Imperche la musica fu magnifino del teciocché nella guisa mecamente dall'orchestra nore di desima che dell'arte orasonata, tanto che in un dentro, toria fu detto ch'ella tre delizioso preludio delnell'ulticose richiede; azione, l'atto terzo ella meritò mo tempo azione, azione, tre cose che si levasse un grido della caegualmente in quella delManifesto prima esecuzione della Traviata universale di bravi, con vatina, di la musica si domandano: tal fusione ed accordo di spondergli a un modo. tal gusto e sapore, di tale voce, voce, voce. E nel suono l'eseguirono i vioIl prim'atto comincia con peregrinità d'accento, da vero un maestro ha un lini, che mossi pareano una veglia sontuosa in non poterli appien defibello inventare, se non da un solo archetto, casa la Violetta, così il nire; poiché la parola, ha chi sappia e possa eseaspetteremo a giudicare Piave chiama la Margheche raggiunge pure i più guire ciò che egli crea. Al il rimanente dell’opera, rita; una cena ed un brinalti ed astrusi concepiVerdi toccò la sventura a non mettere il piede in disi. Seguita appresso un menti dell'anima umana, di non trovar ieri sera le fallo, ch'ella sia meglio duetto tra soprano e tee li raffigura, non ha vasopraddette tre cose, se cantata; e per intanto, nore, la Salvini-Donatelli lore a rappresentare e non da un lato solo: onde qui rompiamo l'articolo, e il Graziani in cui succerender sensibili le forme, tutti i pezzi, che non fusalutando il benigno letde la dichiarazione d'anè meno più semplici, rono cantati dalla Salvitore….. more, che fa Alfredo a della musica. La Salvinini-Donatelli, andarono, colei; poi la cavatina delDonatelli cantò que’ pasper dirla fuor di figura, a Tommaso Locatelli la donna, la quale non sa ancora risolversi d'abGrande successo di una iniziativa del nostro Giornale Sinfonia (e degustazione) Gastronomica all’Opera Una simpatica poesia “editoriale” Il Caffaro, Genova, 13 marzo 1890 el mezzo del teatro Genovese/ Mi ritrovai con la Traviata oscura,/ Allestita in un modo assai cortese. Ma la Traviata avea tanta paura/ Che finì per cantare in assabese, /E questo fu per tutti una sventura. Poiché c'era il baritono Sammarco/ E'1 tenore Giuseppe Russitano/ Che sostennero bene il loro incarco. E con entrambi, il pubblico sovrano,/ D'applausi e di chiamate non fu par- «N co,/ Ma l'opera era monca e il caso strano./ A un certo punto un cavaliere antiquo/ Sulla ribalta venne ad avvertire/ Che la Traviata aveva un male iniquo,/Da impedirle perfin di proseguire/ Sicché l'opera andò nel modo obliquo/ Ch'io non vi dico, ne vi posso dire./Il teatro era pieno come un uovo/ E c’era folla di signore belle,/ Fatto piacente, ma non certo nuovo. Chiasso alla fine e suon di man con elle; Sicchè ancora intontito me ne trovo…/ E quindi uscimmo a riveder le stelle». M olta gente e grande soddisfazione nei presenti in occasione della presentazione il 21 marzo scorso nelle sale del Teatro dell’Opera di Roma, del volume “Sinfonia gastronomica”, ultimo lavoro del nostro collaboratore Roberto Iovino e della musicologa Ileana Mattino (Viennepierre edizioni, Milano). La presentazione è stata organizzata in collaborazione tra “Il Giornale dei Grandi Eventi”, il Teatro dell’Opera e dell’Associazione “Roma per il Teatro dell’Opera di Roma” e l’ARSIAL, Enoteca Regionale. Musica, gastronomia ed eros sono stati, dunque, protagonisti della serata per questo piacevole e interessante libro che indaga i legami fra questi gradevoli aspetti della vita con una impostazione musicale, sviluppandosi nei tempi di una sinfonia e chiuso da un celebre “Adagio” di Rossini inneggiante alla buona tavola: «Mangiare e amare, cantare e digerire: questi sono in verità i quattro atti di questa opera buffa che si chiama la vita e che svanisce co- me la schiuma d'una bottiglia di champagne. Chi la lascia fuggire senza averne goduto è un pazzo». Alla presentazione sono intervenuti con gli autori, Andrea Marini giornalista RAI e nostro direttore e Daniela Traldi, presidente dell’associazione Roma per il Teatro dell’Opera di Roma. Brani di lettere e libretti d’opera sono stati letti dalla voce narrante della principesa-attrice, produttrice di vino, Natalia Strozzi, che tra l’altro nelle ultime settimane è stata al centro della cronaca per la scoperta che è l’ultima discendente della Monna Lisa, la “Gioconda” di Leonardo. Il baritono Andrea Cionci ed il pianista Marino Giuliani, che hanno interpretato celebri arie di Mozart e Rossini legate al mondo della buona tavola e del brindisi. Al termine è seguita una ricca degustazione di specialità regionali del Lazio offerto dall’ARSIAL e l’Enoteca Regionale di via Fratina. Mi. Ma. Il La Traviata Giornale dei Grandi Eventi 15 22 sale italiane collegate con Roma La Traviata di Zeffirelli in diretta nei cinema Ed a Marzo la sua Bohéme dal Met nelle sale di tutto il mondo D opo la un po’ sfortunata - e forse maldestra - serata del 16 gennaio scorso, nel giorno del 50° anniversario della morte di Arturo Toscanini, organizzata al Teatro dell’Opera di Roma, in occasione di questa Traviata il Comitato Vivatoscanini propone una nuova iniziativa di grande interesse, ovvero la trasmissione in diretta via satellite della prima dell’opera in scena al Costanzi in 22 cinema italiani. E’ la prima volta nel mondo per un’operazione di questo genere. C’è stato un precedente dal Metropolitan di New York organizzato da Placido Domingo, ma in soli 10 cinema. Il teatro, l’opera e la lirica attirano ormai molte e differenti fasce d’età: a partire dagli studenti delle scuole elementari, gli adolescenti, per arrivare al pubblico maturo. Non sempre però spettacoli complessi – e costosi - come la lirica sono alla portata dei più, sia per problemi di collocazione dei teatri d’opera, ma anche per i costi dei biglietti, talvolta non proprio…”popolari”. Per questo ben venga una tale iniziativa, nata anche dalla volontà – e necessità – di dare nuovo slancio, una nuova programmazione, alle sale minori, le cosiddette “sale parrocchiali”. Un circuito in passato molto importante e molto capillarizzato sul territorio, che però oggi si scontra con nuove realtà del mercato della distribuzione cinematografica: le copie dei film in pellicola costano molto ed il loro deperimento è elevato. Le case, dunque, cercano sempre più di evitare di “mandare” i film in provincia. E questo avviene anche con i titoli più vecchi, per i cinema dessè: farne copie e mantenerle è costoso. Per questo le sale minori si stanno convertendo al digitale: un DVD costa poco e Angela Gheorghiu e Franco Zeffirelli può teoricamente essere usato all’infinito, cosa che non avviene con la pellicola. Dunque, impianti Higt Definition e Dolby Sorraund: immagini e suono praticamente perfetti ad un costo del biglietto contenuto, da “sala parrocchiale”, appunto. Per questo, vista la grande attesa questo appuntamento romano, i cui biglietti sono esauriti dal novembre scorso, si è pensato di permettere a migliaia di persone di poterne godere in diretta in ogni parte d’Italia, da Genova a Bari, al Veneto, soprattutto nei piccoli centri. Saranno, infatti, 22 le sale collegate attraverso un satellite bidirezionale dati, il quale “rimbalzerà” un segnale ad altissima definizione. Non basta, infatti, l’alta definizione televisiva per ottenere un’immagine perfetta su uno schermo di una decina di metri. Le riprese dovranno essere fatte con uno standard più alto. Il costo del biglietto nelle sale collegate sarà di soli 10 euro, per circa 4 ore di spettacolo continuo. Lo spazio dei due intervalli, infatti, grazie ad una collaborazione con la RAI, sarà occupato da interessanti collegamenti con il “dietro le quinte”, con i quali si potrà capire il funzionamento della “macchina” tecnica del teatro, come, ad esempio, i cambi di scena. Si potrà assistere, dunque, ad una “prima mondiale” di un allestimento spettacolare come questa Traviata, comodamente seduti nella poltrona del cinema sotto casa, anche dei paesi più piccoli. A marzo la Bohème di Zeffirelli da New York Una iniziativa del genere, ma a livello decisamente più grande ed organizzata da un gruppo americano, è in programma da New York per il 20 marzo del prossimo anno. Ce lo ha confermato la stessa soprano Angela Gheorghiu – Violetta in questa Traviata romana – che ne sarà la protagonista. Ha gia firmato il contratto. Si tratta della diffusione in diretta della Bohéme di Giacomo Puccini – il titolo d’opera più eseguito al mondo – con la regia di Franco Zeffirelli dal Metropolitan di New York trasmessa via satellite per i cinema (che aderiranno) di tutto il pianeta. Sarà eseguita all’una di notte (ora di New York), così da essere ora media nel mondo, ovvero tardo pomeriggio in Europa e mattino sulla costa del Pacifico. Sicuramente un grandissimo risultato con uno sforzo davvero minimo. Sarà questa, forse, la nuova frontiera della lirica con i grandi interpreti, sempre più fruibile da tutti, in un mondo che ha sete di musica e cultura. E’, in pratica, l’invenzione dell’acqua calda, ma sicuramente funzionerà. Andrea Marini Francesco Piccolo Alla “Gallerja” in via della Lupa, a Roma Kounellis rompe lo spazio guardando Mattia Preti V ive nel confronto diretto tra antico e moderno, tra pittura ed istallazione di arte contemporanea che gioca sulle tre dimensioni, la mostra di inaugurazione del nuovo spazio Galleja di via della Lupa a Roma. Un evento significativo del percorso che caratterizzerà l’interessante attività di questo luogo di mostre di Alessandro Boncompagni Ludovisi, che vuole porsi come rottura degli schemi espositivi, come punto di confronto, ma sopratutto dibattito tra antico e moderno. Così Jannis Kounellis, settantunenne artista greco ma protagonista dell'arte romana dagli anni 60 (sue opere sono anche nella collezione del ministero degli Es- teri), ha accettato il confronto, lo scontro, con una tela seicentesctesca, "Il sacrificio di Muzio Scevola" di un controriformista come Mattia Preti, creando appositamente una istallazione “La Rosa Tatuata”, un'opera aperta, capace anche di compenetrarsi con la tela. L'arte in fondo è armonia delle forme e quest'opera è lì con le sue funi d'acciaio e le sue sfere di piombo (ognuna pesa 90 chili) a rompere lo spazio, ad impedire la vista ed a mostrare nello stesso tempo l'opera antica. Una in confronto con l'altra: da una parte il colore, scuro, la figura che attira, dall'altra la quasi monocromia che impedisce l'approccio diretto e rompe le forme. A. M.