02-Briguori (397-401) - Giornale Italiano di Cardiologia

PROCESSO AI GRANDI TRIAL
Lo studio POSEIDON
Carlo Briguori1, Giovanni Napolitano2, Giancarlo Marenzi3
1
Laboratorio di Cardiologia Interventistica, Clinica Mediterranea, Napoli
2
U.O. Cardiologia, Ospedale San Giuliano, Napoli
3
Centro Cardiologico Monzino, IRCCS, Milano
Background. L’infusione endovenosa di liquidi rimane il trattamento cardine per la prevenzione della nefropatia da mezzo di contrasto, ma a tutt’oggi non esistono protocolli di idratazione ben definiti. Scopo di questo studio è stato quello di determinare l’efficacia di un nuovo protocollo di idratazione per la prevenzione
della nefropatia da mezzo di contrasto.
Metodi. In questo studio randomizzato, controllato in gruppi paralleli in singolo cieco, di fase 3 è stata valutata l’efficacia di un nuovo protocollo di idratazione basato sui valori di pressione telediastolica del ventricolo sinistro per la prevenzione della nefropatia da mezzo di contrasto in pazienti sottoposti a cateterismo cardiaco. L’endpoint primario era rappresentato dalla comparsa di nefropatia da mezzo di contrasto, definita
come un aumento della creatininemia sierica >25% o >0.5 mg/dl. Tra il 10 ottobre 2010 e il 17 luglio 2012,
396 pazienti di età ≥18 anni candidati a cateterismo cardiaco con filtrato glomerulare stimato ≤60 ml/min/1.73
m2 ed almeno un ulteriore fattore di rischio (diabete mellito, storia di scompenso cardiaco congestizio, ipertensione arteriosa o età >75 anni) sono stati randomizzati in rapporto 1:1 ad un protocollo di idratazione
guidata dai valori di pressione telediastolica del ventricolo sinistro (n=196) o ad un protocollo di idratazione
standard (n=200). Per l’assegnazione ai gruppi sono stati generati elettronicamente quattro liste di randomizzazione, a blocchi permutati di 4, i cui codici sono stati inseriti all’interno di buste opache sigillate numerate in ordine progressivo. Sia i pazienti che il personale di laboratorio erano all’oscuro del gruppo di assegnazione, mentre il medico che eseguiva le procedure ne era a conoscenza. Entrambi i gruppi hanno ricevuto un’infusione endovenosa di soluzione fisiologica 0.9% alla velocità di 3 ml/kg/h nell’ora prima di essere sottoposti a cateterismo cardiaco. L’analisi è stata condotta secondo il principio “intention to treat”. La valutazione degli eventi avversi è stata eseguita a 30 giorni e a 6 mesi e la loro aggiudicazione è stata effettuata dal
personale all’oscuro del gruppo di assegnazione. Lo studio è registrato su ClinicalTrials.gov con il numero
identificativo NCT01218828.
Risultati. La comparsa di nefropatia da mezzo di contrasto è stata osservata meno frequentemente nei pazienti assegnati ad idratazione guidata dai valori di pressione telediastolica del ventricolo sinistro (6.7%
[12/178]) rispetto a quelli del gruppo di controllo (16.3% [28/172]; rischio relativo 0.41, intervallo di confidenza al 95% 0.22-0.79; p=0.05). L’infusione di liquidi è stata interrotta prematuramente a causa del riscontro di dispnea in 3 pazienti di ciascun gruppo.
Conclusioni. Una strategia di idratazione guidata dai valori di pressione telediastolica del ventricolo sinistro
sembra essere sicura ed efficace nel prevenire la comparsa di nefropatia da mezzo di contrasto in pazienti sottoposti a cateterismo cardiaco. [Lancet 2014;383:1814-23]
G Ital Cardiol 2014;15(7-8):397-401
IL PUNTO DI VISTA DI CARLO BRIGUORI
E GIOVANNI NAPOLITANO
Lo studio POSEIDON1 pone l’attenzione del cardiologo (sia clinico che interventista) sul problema spesso sottovalutato del
deterioramento della funzione renale indotta dal mezzo di con-
© 2014 Il Pensiero Scientifico Editore
Gli autori dichiarano nessun conflitto di interessi.
Per la corrispondenza:
Dr. Carlo Briguori Laboratorio di Cardiologia Interventistica,
Clinica Mediterranea, Via Orazio 2, 80121 Napoli
e-mail: [email protected]
Dr. Giancarlo Marenzi Centro Cardiologico Monzino, IRCCS,
Via Parea 4, 20138 Milano
e-mail: [email protected]
trasto iodato (mdc) utilizzato durante le procedure diagnostiche
e/o interventistiche.
L’approccio migliore per prevenire la nefropatia da mdc (comunemente detta CIN, acronimo di contrast-induced nephropathy) è quello di 1) identificare i pazienti a rischio, 2) garantire un’adeguata idratazione periprocedurale e 3) ridurre al minimo la quantità di mdc somministrato2.
Numerose evidenze cliniche suggeriscono che l’idratazione
periprocedurale è una componente chiave per preservare la
funzione renale in pazienti sottoposti a procedure con mdc2,3.
L’obiettivo dell’idratazione è il mantenimento di un volume intravascolare sufficiente per aumentare la perfusione renale, assicurare una diuresi adeguata prima, durante e dopo la somministrazione di mdc. Nella Tabella 1 sono riassunti i regimi di
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C BRIGUORI ET AL
Tabella 1. Regimi di idratazione consigliati per la prevenzione della nefropatia da mezzo di contrasto.
Soluzione fisiologica
- 1 ml/kg/h 12h prima e 12h dopo la somministrazione di mdc.
- In pazienti con ridotta frazione di eiezione 0.5 ml/kg/h 12h prima
e 12h dopo la somministrazione di mdc.
Bicarbonato di sodio (154 mEq/l)
- 3 ml/kg/h almeno 1h prima and 1 ml/kg/h per 6h dopo la
procedura.
Sistema RenalGuard
- Nei pazienti con eGFR <30 ml/min/1.73 m2.
eGFR, velocità di filtrazione glomerulare stimata; mdc, mezzo di contrasto iodato.
idratazione comunemente raccomandati. Il regime di idratazione più comune prevede l’infusione di 1 ml/kg/h di soluzione
salina 12h prima e 12h dopo l’esposizione al mdc3. Limitazioni
di questo regime di idratazione sono 1) la preclusione in condizioni di urgenza/emergenza e 2) la limitata efficacia nei pazienti ad alto rischio. La domanda purtroppo ancora irrisolta è
come definire l’idratazione “ottimale”. La velocità del flusso
urinario è stata più volte identificata come marcatore ideale4.
Recentemente, Brar et al.1 hanno proposto un marcatore alternativo, la pressione telediastolica del ventricolo sinistro
(PTDVS). Il trial POSEIDON, infatti, ha testato l’efficacia di un
nuovo regime di idratazione basato sulla PTDVS. Pazienti da
sottoporre a coronarografia e/o angioplastica coronarica, affetti da insufficienza renale cronica (velocità di filtrazione glomerulare ≤60 ml/min/1.73 m2) e con ≥1 fattore di rischio aggiuntivo (diabete mellito, storia di scompenso cardiaco, ipertensione ed età >75 anni) sono stati randomizzati a due gruppi di idratazione: 1) gruppo PTDVS-guidato e 2) gruppo di controllo. Entrambi i gruppi ricevevano idratazione con 3 ml/kg di
soluzione salina 0.9% 1h prima della procedura. Al momento
della procedura, nel gruppo PTDVS-guidato, la velocità di idratazione veniva aggiustata in base ai valori di PTDVS secondo il
seguente schema: 5 ml/kg/h se PTDVS <13 mmHg; 3 ml/kg/h
se PTDVS 13-18 mmHg e 1.5 ml/kg/h se >18 mmHg. Nel gruppo di controllo la velocità di idratazione era sempre di 1.5
ml/kg/h. In entrambi i gruppi, il regime di idratazione è stato
settato all’inizio della procedura e mantenuto durante e per 4h
dopo l’intervento. La CIN è stata meno frequente nel gruppo
PTDVS-guidato rispetto al gruppo di controllo (6.7 vs 16.3%,
p=0.005). Inoltre, la frequenza di eventi cardiaci maggiori (intesi come morte, infarto miocardico o terapia renale sostitutiva) a 6 mesi era significativamente minore nel gruppo PTDVSguidato (3.1 vs 9.5%, p=0.008).
Punti di forza di questo nuovo regime di idratazione sono
1) una riduzione attesa del 59% del rischio di CIN e 2) la possibilità di essere utilizzato anche in condizioni di urgenza/emergenza. Le limitazioni invece includono 1) la necessità di un accesso arterioso (precludendo quindi il suo utilizzo in pazienti
sottoposti a iniezione endovenosa di mdc) e, verosimilmente, 2)
la misurazione invasiva della PTDVS.
Ma è veramente necessario misurare la PTDVS per definire
il regime ottimane di idratazione? Per rispondere a questa domanda, dovremmo considerare alcuni aspetti.
Il regime di idratazione proposto si basa sull’ipotesi che “tarare” il regime di idratazione a seconda dei valori di PTDVS per-
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mette di ottimizzare l’espansione di volume e prevenire sia la
CIN che limitare il rischio di edema polmonare. Nello studio POSEIDON, l’endpoint primario (incidenza di CIN) è stato significativamente minore nel gruppo PTDVS-guidato mentre l’incidenza di edema polmonare era simile nei due gruppi. Infatti, ci
sono stati 6 pazienti (3 per gruppo) in cui l’idratazione è stata
sospesa precocemente a causa della comparsa di dispnea e
congestione polmonare. È interessante notare che questa complicanza sembra non essere correlata ai valori basali di PTDVS.
Infatti, la PTDVS era bassa in 2 pazienti del gruppo di controllo ed in un paziente del gruppo PTDVS-guidato, mentre era alta in un paziente del gruppo di controllo e in 2 pazienti del
gruppo PTDVS-guidato. Secondo le curve di Frank-Starling, in
ventricoli con normale performance cardiaca, in caso di espansione di volume si osserva una relazione positiva tra incremento della PTDVS e incremento della gittata sistolica. Al contrario,
in caso di disfunzione ventricolare sinistra, questa relazione è
spostata a destra (cioè, una più alta pressione di riempimento
è necessaria per ottenere la stessa gittata sistolica) ed appiattita, tale per cui incrementi di pressione di riempimento del ventricolo sinistro determinano minimi incrementi di gittata sistolica, con la possibile conseguenza di congestione polmonare.
Nel trial POSEIDON la PTDVS è normale in più del 50% dei pazienti, mentre è elevata soltanto nel 15%. Ulteriori studi sono
quindi necessari per testare il regime di idratazione proposto
nel trial POSEIDON, includendo elettivamente pazienti con elevate PTDVS per i quali, come noto, esiste un più alto rischio sia
di CIN che di edema polmonare.
Clavijo et al.5 avevano già in precedenza riportato uno studio che documentava gli effetti vantaggiosi sulla CIN di una infusione intra-arteriosa rapida di destrosio al 5% (1 litro in bolo
di circa 5 min attraverso l’introduttore femorale). La CIN si osservava nel 5.7% del gruppo di controllo e nell’1.4% del gruppo trattato. Non sono state riportate reazioni avverse, incluso
l’edema polmonare. È interessante notare che la frazione di eiezione media del ventricolo sinistro nel gruppo di trattamento
era 45%. Questo lavoro, con le limitazioni proprie di uno studio retrospettivo e osservazionale, suggerisce che è possibile
praticare una rapida espansione di volume senza la necessità
di monitorare la PTDVS.
Il regime di idratazione comunemente utilizzato nella pratica clinica ha un’efficacia limitata nel pazienti a rischio alto o
molto alto. La popolazione inclusa nello studio POSEIDON è a
rischio intermedio. Infatti, applicando il punteggio di rischio
proposto da Mehran et al.6, l’incidenza attesa di CIN è 914%;
applicando, invece, il punteggio di rischio proposto da Gurm
et al.7 essa è compresa tra 1% e 7%. Se ne conclude, quindi,
che il regime di idratazione proposto (PTDVS-guidato) dovrebbe essere testato anche nei pazienti a rischio alto o molto alto.
Come già riportato in precedenza, un elevato flusso urinario (>150 ml/h) riduce l’incidenza di CIN, grazie ad una rapida
eliminazione del mdc4. Quando la funzione renale è normale,
il mdc è escreto rapidamente (in poche ore). In pazienti affetti
da insufficienza renale cronica, invece, il tempo di escrezione
medio può superare le 10h8. Inoltre, dopo la filtrazione glomerulare, la concentrazione di mdc nel filtrato aumenta di >100
volte rispetto a quella sierica. Se infondiamo soluzione salina al
dosaggio di 1 ml/kg/h per 12h in soggetti normali, la concentrazione di mdc filtrato è dimezzata (S50 volte quella sierica).
Se infondiamo salina ad un più alto dosaggio (5 ml/kg/h) nello
stesso soggetto sano, la concentrazione di mdc nel filtrato è ridotta a S10 volte quella sierica. Si comprende quindi come sia
LO STUDIO POSEIDON
estremamente importante ottenere e mantenere un alto flusso
urinario in condizioni di euvolemia4. Diversi studi atti a valutare l’efficacia della diuresi forzata per evitare la CIN hanno dato
risultati contrastanti3,4. Il concetto di diuresi forzata per prevenire la CIN in pazienti ad alto rischio con insufficienza renale
cronica è stato ulteriormente sviluppato in studi che prevedevano l’utilizzo di un nuovo sistema automatico (RenalGuard;
PLC Systems Inc., Franklin, MA). Il sistema è progettato per fornire un’idratazione controllata e bilanciata al volume di urina
eliminato. Gli studi randomizzati MYTHOS9 e REMEDIAL II10
hanno dimostrato l’efficacia di questo sistema di idratazione
controllata nel ridurre in modo significativo l’incidenza di CIN rispetto all’idratazione standard nei pazienti ad alto rischio. Nello studio MYTHOS il 40% circa dei pazienti era sottoposto ad
esame coronarografico perché affetto da sindrome coronarica
acuta. In questo sottogruppo di pazienti, l’efficacia dell’idratazione controllata con sistema RenalGuard rispetto all’idratazione convenzionale è risultata migliore (4 vs 32%) rispetto a quella del sottogruppo con patologia coronarica stabile (4 vs
10%)13. Studi futuri dovranno confrontare il regime di idratazione PTDVS-guidato rispetto a quello RenalGuard-guidato.
BIBLIOGRAFIA
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IL PUNTO DI VISTA DI GIANCARLO MARENZI
Nonostante stia chiaramente emergendo il concetto che
l’espansione del volume circolante sia un elemento critico nella prevenzione della nefropatia da mezzo di contrasto (contrastinduced nephropathy, CIN), fino ad oggi gli studi si sono prevalentemente concentrati sulla “qualità” dell’idratazione, e cioè
sul tipo di liquido da infondere (soluzione salina ipotonica
[0.45%] vs isotonica [0.9%]; bicarbonato di sodio vs soluzione
salina isotonica [0.9%], destrosio [5%] vs soluzione salina,
ecc.), piuttosto che sulla sua ”quantità” (volume totale di liquido da infondere, durata e velocità dell’infusione). Gran parte di questi ultimi aspetti rimangono ancora oggi poco definiti. Le attuali linee guida raccomandano l’infusione di soluzioni
elettrolitiche isotoniche (fisiologica) alla velocità di 1 ml/kg/h, o
meno (0.5 ml/kg/h) in caso di pazienti con disfunzione ventricolare sinistra, per 12h prima e 12-24h dopo la procedura1. Tuttavia, tale protocollo rappresenta un’indicazione “prudenziale”, finalizzata ad evitare un sovraccarico idrico potenzialmente pericoloso per il paziente, piuttosto che un’idratazione “efficace”, adeguata, cioè, alla prevenzione della CIN. Infatti,
un’idratazione di 70 ml/h per 24h (per una persona di 70 kg di
peso) rappresenta il volume di liquido minimo necessario per
evitare una disidratazione, anche in considerazione del digiuno
prescritto per l’esecuzione della coronarografia. D’altra parte,
un’idratazione più vigorosa può risultare talora difficile dal punto di vista logistico e potenzialmente pericolosa da quello clinico, soprattutto in pazienti con disfunzione cardiaca e/o renale
che mal tollererebbero un carico volemico. Pertanto, nonostante i riconosciuti benefici dell’idratazione e la crescente evidenza che il grado di idratazione dovrebbe essere commisurato al rischio di CIN di base, nella normale pratica clinica la maggior parte dei pazienti non viene sufficientemente idratata.
Lo studio POSEIDON si inserisce in questo contesto, ancora poco definito, e tenta di rispondere alla domanda se sia possibile idratare con maggior intensità rispetto a quanto raccomandato dalle linee guida, e, quindi, proteggere di più, i pazienti ad alto rischio di sviluppare CIN2. Lo studio si chiede inoltre, domanda questa ancora più rilevante, se sia possibile identificare un parametro clinico che ci consenta di personalizzare
il grado di idratazione per ogni singolo paziente in modo da
poter garantire a ciascuno, in condizioni di sicurezza, la miglior
protezione renale possibile.
Nello studio POSEIDON è stato valutato un nuovo protocollo di idratazione per la prevenzione della CIN, personalizzato sulla base del valore di pressione telediastolica ventricolare sinistra (PTDVS), in pazienti con insufficienza renale cronica sottoposti ad angiografia coronarica; 196 pazienti con un filtrato
glomerulare stimato ≤60 ml/min/1.73 m2 ed almeno un ulteriore fattore di rischio (età >75 anni, ipertensione arteriosa, diabete mellito e/o storia di scompenso cardiaco) sono stati randomizzati in due gruppi: un gruppo (n=196) è stato sottoposto
ad idratazione durante e per 4h dopo la procedura coronarica
guidata dal valore di PTDVS (5 ml/kg/h per valori di PTDVS <13
mmHg, 3 ml/kg/h per valori compresi tra 13 e 18 mmHg e 1.5
ml/kg/h per valori >18 mmHg); il gruppo di controllo (n=200)
è stato idratato, per un uguale periodo, con 1.5 ml/kg/h. Entrambi i gruppi hanno ricevuto, 1h prima dell’esame angiografico, soluzione fisiologica alla velocità di 3 ml/kg/h. L’obiettivo
primario dello studio è stato l’incidenza di CIN, definita come
aumento dei valori di creatinina ≥25% o ≥0.5 mg/dl nei 4 giorni successivi alla coronarografia.
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L’incidenza di CIN è stata 6.7% nel gruppo in cui l’idratazione è stata guidata dalla PTDVS e 16.3% in quello di controllo (p=0.005). Il primo gruppo, ovviamente, ha ricevuto un grado di idratazione complessiva maggiore (1727 vs 812 ml;
p<0.001). Al follow-up di 6 mesi, l’endpoint clinico composito
di morte per tutte le cause, infarto miocardico o necessità di dialisi è risultato più basso nei pazienti trattati con idratazione guidata dalla PTDVS rispetto al gruppo di controllo (3.1 vs 9.5%;
p=0.008). Le conclusioni dello studio sono state che una strategia basata sull’infusione endovenosa di soluzione fisiologica a
dosaggio maggiore di quanto raccomandato dalle linee guida,
e variabile in funzione del valore di PTDVS, è in grado di ridurre
significativamente l’incidenza di CIN e di eventi clinici maggiori
in pazienti ad alto rischio sottoposti a coronarografia.
Questo studio che, come detto, si propone di rispondere a
quesiti importanti sull’idratazione per la prevenzione della CIN,
ha sicuramente avuto numerosi pregi; al contempo, però, presenta alcuni punti deboli, aprendo nuovi ed interessanti interrogativi.
Da un lato, i risultati dello studio POSEIDON confermano il
concetto, già chiaramente emerso in letteratura, che il grado di
idratazione di un paziente dovrebbe essere proporzionato al suo
rischio di base e che l’incremento della volemia riduce l’incidenza di CIN. Inoltre, vi è ulteriore conferma che la prevenzione della CIN si associa ad un migliore outcome clinico. Dall’altro lato,
lo studio è caratterizzato da alcuni aspetti che ne limitano il potenziale trasferimento immediato alla pratica clinica. Tra questi vi
sono innanzitutto l’inclusione, nonostante le premesse, di pazienti a rischio di CIN relativamente basso, per cui la sicurezza ed
efficacia di questa strategia preventiva nei soggetti ad alto rischio, che mal tollerano un’idratazione vigorosa, rimane ancora
da valutare. Il basso rischio dei pazienti inclusi nello studio è suggerito dal volume totale di contrasto utilizzato (mediana dell’intera popolazione <110 ml), dall’inclusione di pazienti sottoposti
a coronarografia prevalentemente in elezione (i pazienti con sindrome coronarica acuta sono stati <40%) e sottoposti a procedure di cardiologia interventistica in meno del 30% dei casi, di
età media <75 anni, caratterizzati da una bassa mortalità complessiva a 30 giorni (0.7%) e, infine, con un valore di PTDVS <18
mmHg in circa l’85% della popolazione. Pazienti con queste caratteristiche tollerano bene, in genere, volumi di idratazione più
alti di quelli indicati dalle linee guida, anche senza dover ricorrere
a particolari cautele e, soprattutto, senza necessità di essere guidati da un parametro invasivo come la PTDVS. Al contrario, nei
pazienti con più elevato rischio di base, per esempio quelli con
contemporanea disfunzione cardiaca e renale, il confine tra
un’idratazione adeguata ed il sovraccarico idrico con rischio di
edema polmonare è sottile. Tali pazienti potrebbero beneficiare
maggiormente di un’idratazione personalizzata sulla base di un
parametro clinico/emodinamico per cercare di ottenere un’infusione di liquidi adeguata e sicura.
Il secondo motivo di perplessità riguarda l’incidenza di CIN,
relativamente alta (15%) nonostante il basso rischio di base, osservata nel gruppo di controllo. Questo dato è stato probabilmente influenzato dal fatto che tutti i pazienti non sono stati
idratati sufficientemente prima della procedura (3 ml/kg per una
sola ora). Appare logico che sia l’idratazione preparatoria all’esame, piuttosto che quella eseguita durante o dopo somministrazione di mezzo di contrasto, a svolgere un ruolo chiave
nella prevenzione della CIN. La ragione per questo così breve
(1h) periodo di idratazione preprocedurale in pazienti sottoposti in elezione a coronarografia non è chiara. Questo aspetto
sposta il focus dell’attenzione dall’idratazione preventiva a quella “di salvataggio” (postprocedurale) che fino ad oggi non è mai
stata considerata come utile ai fini della prevenzione della CIN.
Unica eccezione è rappresentata dallo studio di Maioli et al.3,
che ha valutato differenti strategie di idratazione (idratazione
pre- e postprocedurale con bicarbonato di sodio, idratazione
postprocedurale con soluzione fisiologica, o nessuna idratazione) in pazienti con infarto miocardico acuto con sopraslivellamento del tratto ST trattati con angioplastica primaria, condizione in cui, per definizione, all’alto rischio di CIN si associa la
mancanza di tempo sufficiente per idratare il paziente in modo
adeguato prima della procedura4. In questo studio, al di là del
beneficio ottenuto con una breve infusione di bicarbonato di
sodio, l’incidenza di CIN è risultata più bassa nei pazienti idratati con soluzione fisiologica solo dopo la procedura rispetto a
quelli non sottoposti ad alcuna idratazione (Figura 1). Infine, al-
Incidenza di CIN (%)
p<0.001 (trend)
27.3%
22.7%
12%
Idratazione precoce
(n=150)
Idratazione tardiva
(n=150)
Nessuna idratazione
(n=150)
Figura 1. Incidenza di nefropatia da mezzo di contrasto (CIN) in pazienti con infarto miocardico acuto con sopraslivellamento del tratto ST trattato con angioplastica primaria, in rapporto al differente protocollo di idratazione3.
Idratazione precoce: bolo di 3 ml/kg di soluzione di bicarbonato di sodio (154
mEq/l in destrosio e acqua) iniziato in Pronto Soccorso e somministrato in 1h, seguito da infusione continua di 1 ml/kg/h per 12h dopo la procedura angiografica. Idratazione tardiva: infusione di 1 ml/kg/h di soluzione fisiologica salina
(0.9%) per 12h, iniziata al termine della procedura angiografica.
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LO STUDIO POSEIDON
cune perplessità riguardano il disegno e la metodologia dello
studio. Sorprende che in uno studio in cui l’incidenza di CIN rappresenti l’endpoint primario, i valori postprocedurali di creatinina sierica non siano stati misurati regolarmente in tutti i pazienti
(“patients were instructed to have serum creatinine levels measured at least twice between days 1 and 4 post-procedure”) e
non sempre nello stesso laboratorio (il 58% dei pazienti ha eseguito la coronarografia in regime ambulatoriale), determinando, inoltre, l’impossibilità di valutare l’endpoint primario nel
12% dei casi, per la mancanza di almeno 2 valori di creatinina
dopo la coronarografia.
In conclusione, lo studio POSEIDON sembra confermare il
concetto che un’idratazione, seppur tardiva, conferisce, comunque, un certo grado di protezione nei confronti della CIN.
È probabile, inoltre, che il poter disporre di un parametro clinico precoce, facilmente misurabile e ripetibile (“bedside”), diverso, quindi, dalla misurazione invasiva della PTDVS, consenta di personalizzare e modulare, nel singolo paziente, l’idratazione nella fase preprocedurale, nel tentativo di ridurre ulteriormente l’incidenza di CIN. In tale contesto, promettente ed
immediatamente applicabile nella pratica clinica è, per esempio,
la valutazione, recentissimamente validata, del grado di idratazione basale del paziente mediante bioimpedenzometria vettoriale, metodica non invasiva e facilmente ripetibile che permette di oggettivare lo stato di idratazione5. La possibilità, quin-
di, di combinare l’efficacia di un’adeguata idratazione preprocedurale alla sicurezza clinica in ciascun paziente andrà valutata in studi prospettici randomizzati e potrebbe aprire nuovi scenari nell’ambito della prevenzione della CIN.
BIBLIOGRAFIA
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