I “danni” non traumatici da sport
F. Valli, F.A. Grassi, P. Cherubino
Dipartimento di Scienze Ortopediche e Traumatologiche “M. Boni”,
Università dell’Insubria, Varese
La pratica sportiva offre indubbi benefici nel corso della crescita: i bambini acquisiscono specifiche abilità motorie, imparano a cooperare nel lavoro di squadra,
sviluppano la sicurezza in se stessi. Vi sono tuttavia dei potenziali rischi in alcune
attività, soprattutto quando praticate a livello agonistico, e l’apparato locomotore
è quello che ne risente in misura maggiore.
Il sistema muscolo-scheletrico va incontro a profonde modificazioni dall’età prescolare all’adolescenza: le sollecitazioni funzionali a cui l’organismo è sottoposto
con lo sport influiscono sullo sviluppo corporeo e talvolta possono condizionare
l’insorgenza di patologie specifiche. Il processo di accrescimento dell’apparato
locomotore è regolato da un adattamento armonico tra le modificazioni osteoarticolari e quelle miotendinee: il sovraccarico o i microtraumi ripetuti su strutture
“bersaglio” possono tradursi in un danno anatomo-funzionale di gravità diversa,
compromettendo l’integrità fisica del giovane atleta.
Fratture da stress
Le fratture da stress, altrimenti dette fratture “da fatica” o “da durata”, sono soluzioni di continuo dell’osso che interessano la corticale, con possibile estensione
al sottostante tessuto osseo spongioso.
Per definizione sono fratture incomplete; tuttavia se il meccanismo lesivo che le
provoca si perpetua possono dar luogo a fratture complete del segmento interessato.
Fattori necessari per il loro determinismo sono rappresentati da carichi di lavoro
eccessivi, ripetitivi e ciclici sullo scheletro per un lungo periodo di tempo. L’entità
dei carichi di lavoro è a sua volta influenzata da alcuni parametri: intensità, frequenza, direzione, modalità di applicazione, tempi di recupero.
La risposta fisiologica dell’osso alle sollecitazioni si manifesta con un processo
di rimodellamento, con apposizione ossea nelle zone sollecitate e riassorbimento
nelle zone non sollecitate. In questo senso la frattura da stress può essere considerata il risultato di uno squilibrio temporaneo tra apposizione e riassorbimento:
la lesione si verificherebbe per eccesso di riassorbimento.
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Le fratture da stress interessano quasi esclusivamente i segmenti scheletrici degli
arti inferiori, con la massima incidenza (circa il 50% dei casi) alla diafisi della tibia.
Alcuni fattori predisponenti favoriscono l’insorgenza di fratture da stress, quali
dimorfismi scheletrici (tibia vara, piede piatto o cavo, etc.), eterometrie degli arti
inferiori, disturbi alimentari, calzature incongrue, qualità del terreno e, naturalmente, il tipo di attività sportiva (corsa, calcio, salto, etc.).
Il dolore è il sintomo caratteristico: esso può comparire in modo insidioso e graduale, così come in maniera acuta. L’anamnesi è tuttavia negativa per episodi
macrotraumatici. Il dolore è ben localizzato, tende a comparire all’inizio del carico
o dopo attività, migliorando solo con il riposo. Spesso è persistente ed è avvertito
anche di notte.
L’impotenza funzionale è variabile secondo il tipo, la sede e lo stadio della malattia. A livello dell’area colpita si possono rilevare edema e tumefazione dolorosa
alla palpazione.
Per la diagnosi delle fratture da stress, le radiografie standard dimostrano alta
specificità, ma bassa sensibilità. Sono relativamente frequenti i pazienti con
anamnesi e quadro clinico indicativi di frattura da fatica, ma con quadro radiografico assolutamente negativo, almeno per le prime 2-3 settimane dalla comparsa
dei sintomi. Solamente nel 40-50% dei casi la radiografia è in grado di mostrare le alterazioni scheletriche in fase iniziale; è pertanto importante eseguire un
secondo controllo radiografico nel tempo se il primo è risultato negativo e se
persiste la sintomatologia dolorosa. Quando la radiografia è positiva, non vi è la
necessità di ricorrere ad ulteriori esami strumentali (Fig. 1). Il reperto radiografico
caratteristico è costituito da un’area di reazione periostale localizzata; può anche
essere visibile un’area sfumata di riassorbimento dell’osso corticale.
Figura 1.
Radiografia in
proiezione laterale
della gamba
(particolare) che
mostra frattura
da stress della
corticale anteriore;
è ben evidente
l’intensa reazione
periostale.
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La scintigrafia ossea con Tecnezio diviene necessaria quando esiste il forte sospetto di una frattura da stress con radiogrammi negativi. Questo esame possiede alta sensibilità (100%) e bassa specificità. L’ipercaptazione del tracciante in
sede di frattura si manifesta assai precocemente, 48-72 ore dopo la comparsa
dei sintomi.
La terapia delle fratture da stress si basa sul riposo, di durata variabile in rapporto
alla sede e al tipo di lesione, ma comunque sufficiente a garantire la ristrutturazione dell’osso. In genere è necessario un periodo da 4 a 12 settimane per
ottenere la risoluzione della sintomatologia e la guarigione radiografica.
In fase iniziale può rendersi necessario il ricorso ad apparecchi gessati o tutori
di immobilizzazione (2-4 settimane), all’uso di bastoni canadesi e di ortesi per la
ripresa del carico.
Spondilolisi e spondilolistesi
La spondilolisi è la mancata fusione della pars interarticularis o istmo di una vertebra, per cui gli elementi posteriori (lamina e processo spinoso) possiedono solo
una connessione fibrosa con quelli anteriori (peduncolo e corpo vertebrale). La lesione istmica può essere dovuta ad una frattura da stress o a un difetto congenito
della pars interarticularis. Nei bambini la sede più frequentemente colpita è L5.
La spondilolistesi, possibile conseguenza della spondilolisi, è una condizione caratterizzata dallo scivolamento di un segmento vertebrale rispetto al livello sottostante. Nella spondilolistesi di L5 si può osservare lo scivolamento anteriore di
questa vertebra rispetto a S1.
I bambini che praticano attività sportive che prevedono sollecitazioni reiterate del
rachide lombare (ginnastica artistica, equitazione) hanno un incidenza più alta di
questa patologia.
L’esordio della sintomatologia coincide generalmente con il picco di crescita puberale, solo raramente si manifesta in un’epoca più precoce. Il dolore si localizza
in sede lombosacrale, con possibile irradiazione alla regione glutea, ed è esacerbato dalle sollecitazioni funzionali e, all’esame clinico, dalla pressione sulle
spinose delle vertebre interessate.
L’esame radiografico del rachide lombare mostra, nelle proiezioni oblique, l’alterazione dell’istmo nella spondilolisi (segno della “decapitazione del cagnolino”);
nella spondilolistesi si osserva invece la traslazione anteriore di L5 su S1 sui
radiogrammi in proiezione laterale.
Controlli periodici, utili a individuare un eventuale incremento dello scivolamento,
sono indicati fino al completamento della crescita.
I pazienti sintomatici dovrebbero essere invitati ad abbandonare le attività che
aggravano la patologia. La terapia è chinesiterapica con esercizivolti al rinforzo
dei muscoli addominali e paravertebrali, allo stretching dei muscoli ischio-crurali
e alla rieducazione posturale.
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Epifisiolisi
L’epifisiolisi dell’anca è una malattia caratterizzata dallo scivolamento del nucleo
epifisario prossimale del femore sulla metafisi. La cartilagine di accrescimento è
la sede dello scivolamento che avviene, nella gran maggioranza dei casi, all’epoca della pubertà e nei tre piani dello spazio.
Lo scivolamento può avvenire in maniera acuta (epifisiolisi acuta), generalmente in seguito ad una caduta, manifestandosi con una sintomatologia analoga a
quella di una frattura del collo femorale. Più spesso lo scivolamento avviene in
modo lento e progressivo (epifisiolisi cronica). In quest’ultima eventualità si può
verificare un ulteriore aggravamento improvviso del quadro anatomo-clinico: si
parla allora di epifisiolisi acuta su cronica.
Durante l’adolescenza l’orientamento del collo femorale si modifica, con una
riduzione dell’angolo cervico-diafisario. Questo, associato all’aumento del peso
corporeo, determina un incremento delle forze di taglio agenti sulla della cartilagine di accrescimento. Le aumentate sollecitazioni sulla fisi possono causare
microfratture al suo interno, con conseguente scivolamento della testa femorale
all’indietro, in basso e medialmente.
Fattori predisponenti sono rappresentati da obesità, sesso maschile e intensa
attività sportiva. Una piccola percentuale di pazienti con epifisiolisi presenta
delle alterazioni della sfera endocrina che mina la robustezza e lo sviluppo
della cartilagine di accrescimento (ipotiroidismo e deficit dell’ormone della crescita).
L’età media di comparsa della patologia è 11 anni per le femmine e 13 anni per
i maschi.
La forma clinica più frequente (circa l’80% dei casi) è la cronica. Tipicamente si
tratta di un soggetto in sovrappeso, con una storia di dolore saltuario in regione
inguinale o trocanterica, talvolta riferito alla coscia fino alla regione mediale del
ginocchio. La sintomatologia dolorosa si aggrava con l’attività motoria, specie se
prolungata, e tende ad attenuarsi o anche a scomparire con il riposo. Nell’arco di
qualche settimana il dolore diventa permanente e compare la zoppia.
L’esame clinico mostra una leggera ipotrofia muscolare della coscia. L’arto affetto, che appare accorciato rispetto al controlaterale, è atteggiato in adduzione
e rotazione esterna; l’atteggiamento vizioso è tanto più accentuato quanto maggiore è lo slittamento della testa femorale sul collo. I movimenti di abduzione e di
rotazione risultano dolorosi. La riduzione dell’intrarotazione dell’anca è il reperto
più sensibile e specifico: l’epifisiolisi è l’unica patologia pediatrica che provoca
una notevole riduzione della rotazione interna dell’anca in flessione.
L’esame radiografico del bacino eseguito in proiezione antero-posteriore ed in
proiezione di Lauenstein (anche flesse ed abdotte) permette generalmente di
confermare la diagnosi clinica. In fase iniziale, quando lo scivolamento della
testa del femore non è ancora avvenuto o è minimo, la diagnosi può essere
difficile.
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Con la progressione della malattia, lo spostamento dell’epifisi è più facilmente
apprezzabile: si può così misurare l’entità dello scivolamento e classificare la
forma in lieve, moderata o grave.
Una diagnosi precoce è necessaria per evitare una possibile degenerazione artrosica dell’anca in età giovanile, tanto più probabile quanto più grave è l’epifisiolisi.
La terapia è chirurgica nella massima parte dei casi. Con l’intervento si intende
prevenire l’ulteriore scivolamento della testa femorale e promuovere la chiusura
della cartilagine di accrescimento. La procedura più diffusa consiste nella stabilizzazione dell’epifisi con viti, evitando tentativi incongrui di riduzione che possono
causare due gravi complicanze: l’osteonecrosi della testa femorale e la condrolisi.
Osteocondrosi
Le osteocondrosi sono condizioni idiopatiche dell’età evolutiva, a decorso autolimitante, caratterizzate da alterazioni dell’ossificazione encondrale. Possono
interessare le epifisi, le apofisi e le ossa corte dello scheletro in accrescimento.
Esistono localizzazioni più frequenti ed altre più rare o addirittura eccezionali.
Storicamente ciascuna localizzazione viene designata con il nome dell’autore o
degli autori che l’hanno descritta o inquadrata originariamente.
L’eziopatogenesi di queste affezioni non è chiara. In passato le osteocondrosi
erano classificate come affezioni dello scheletro causate da necrosi asettica dell’osso per disturbi vascolari; oggi si ritiene che anche altri fattori possano entrare
in gioco, quali alterazioni displastiche della cartilagine epifisaria ed apofisaria.
I segni radiografici comuni a tutte le osteocondrosi sono l’aumentata radiodensità
e la frammentazione del nucleo osseo interessato, espressione della necrosi ossea e della successiva ristrutturazione per apposizione di osso neoformato.
Malattia di Osgood-Schlatter
È l’osteocondrosi della tuberosità tibiale anteriore. Si osserva abitualmente tra gli
11 ed i 15 anni nel sesso maschile e tra gli 8 ed i 13 anni nel sesso femminile.
È più frequente nei maschi, in particolare dediti al calcio, e si presenta molto
spesso in forma bilaterale.
Si ritiene che i disturbi clinici della malattia siano provocati da microlacerazioni
causate dalle sollecitazioni meccaniche che il tendine rotuleo esercita sulla tuberosità tibiale anteriore.
Il dolore e la tumefazione in corrispondenza della tuberosità tibiale costituiscono
il quadro clinico tipico. Il dolore è esacerbato dall’estensione attiva del ginocchio
contro resistenza, dalla flessione passiva nei gradi estremi e dalla pressione diretta, mentre recede con il riposo.
Nello stadio acuto, i radiogrammi nella proiezione laterale mostrano addensamento, ipertrofia e frammentazione del nucleo apofisario (Fig. 2).
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Figura 2.
Quadro
radiografico
di malattia di
Osgood-Schlatter
(proiezione laterale
del ginocchio).
Il decorso autolimitante della malattia rende sufficiente, nella maggior parte dei
casi, la temporanea limitazione dell’attività fisica. Talora l’intensità della sintomatologia algica richiede l’immobilizzazione del ginocchio in tutore ortopedico
e la deambulazione con sostegno; questo trattamento comunque non influisce
sull’evoluzione spontanea della patologia e sull’esito finale, che sembra piuttosto
correlato all’entità delle alterazioni radiografiche al momento della diagnosi.
Malattia di Sever-Blenke
È l’osteocondrosi dell’apofisi posteriore del calcagno, anch’essa a maggiore incidenza nel sesso maschile e nei calciatori.
Tra gli 8 e i 12 anni una sintomatologia dolorosa in corrispondenza della porzione postero-inferiore del calcagno ed un aspetto radiografico di ossificazione irregolare dell’apofisi calcaneare posteriore sono quasi sempre attribuiti a
questa forma di osteocondrosi (Fig. 3). È tuttavia dimostrato che l’aspetto di
addensamento e di frammentazione dell’apofisi può essere un reperto radiografico normale.
Il nucleo di ossificazione dell’apofisi posteriore del calcagno costituisce l’inserzione di parte del tendine di Achille superiormente e della fasciaplantare inferiormente. Il carico e l’attività fisica intensa possono generare fenomeni algici a
questo livello, sia attraverso un’azione pressoria diretta che attraverso un’azione
traente eccessiva del tendine di Achille e della fascia plantare.
A scopo antalgico sono indicati plantari morbidi di sostegno della volta longitudinale con scarico calcaneare, rialzare il tacco della scarpa, per diminuire la
tensione del tendine di Achille, e ridurre nel contempo l’attività sportiva.
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Figura 3.
Quadro
radiografico di
malattia di
Sever-Blenke
(proiezione laterale
del calcagno).
Malattia di Köhler I
È l’osteocondrosi dello scafoide
tarsale, così denominata per distinguerla dalla malattia di Köhler
II, che è invece l’ostecondrosi della testa del II osso metatarsale.
Di solito monolaterale, colpisce
più frequentemente i bambini di
sesso maschile.
Per quanto l’esatta causa della
necrosi sia sconosciuta, il ruolo di
fattori meccanici sembra essere
certo. Lo scafoide è localizzato all’apice dell’arco longitudinale del
piede, dove è sottoposto a ripetute
sollecitazioni in compressione durante la deambulazione.
All’esordio delle malattia, il bambino zoppica spostando il carico sulla parte laterale del piede e lamenta dolore sul
lato mediale del mesopiede, soprattutto dopo una corsa o attività sportive. Nella
regione dello scafoide tarsale si reperta una leggera tumefazione ed è presente
dolorabilità alla pressione locale.
La prognosi è sempre buona e l’osso recupera gradualmente la conformazione e
la struttura originali nell’arco di un paio d’anni. Il trattamento consiste nel riposo
con l’impiego di un plantare di sostegno della volta longitudinale o nella confezione di un gambaletto gessato quando il dolore è molto intenso.
Osteocondrite dissecante
L’osteocondrite dissecante (OD) consiste nel distacco di una porzione di osso
subcondrale e della cartilagine sovrastante dalla superficie articolare di un segmento scheletrico. Se ne distinguono due forme: una variante giovanile e una
forma dell’età matura.
La causa dell’OD rimane controversa, nonostante i numerosi studi dedicati all’argomento. Tra le teorie eziologiche più accreditate si annoverano:
• micro o macro-traumatismi esogeni come contusioni o distorsioni articolari, presenti nell’anamnesi di questi pazienti nel 40-50% dei casi;
• traumatismi endogeni, rappresentati da impatti tra le superfici cartilaginee, forze di stress e compressione sulla cartilagine immatura durante
gestualità reiterate (come ad esempio nel gomito del lanciatore);
• ischemia per ostruzione tromboembolica delle arteriole terminali che nutrono l’osso subcondrale;
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• alterazioni del fisiologico processo di ossificazione encondrale;
• predisposizioni genetiche e/o fattori ormonali.
La sede più tipica è rappresentata dal ginocchio (condilo femorale mediale), con
forme bilaterali in circa 1/3 dei casi. Altre articolazioni colpite, seppure con frequenza minore, sono il gomito e la caviglia; localizzazioni alla spalla e all’anca
sono assai rare.
L’evolutività dell’OD è variabile: può andare incontro a guarigione spontanea oppure la dissecazione può progredire fino a causare la fissurazione o il distacco
della pasticca osteocondrale, determinando la presenza di un corpo libero articolare.
Il processo può esordire durante l’infanzia, ma la sintomatologia si manifesta più
spesso solo nella tarda adolescenza o in età adulta. Il tipico dolore articolare, che
peggiora con il movimento e migliora con il riposo, si associa nello stadio precoce della OD a sintomi vaghi e mal localizzabili, che possono perdurare anche
mesi prima di giungere ad una corretta diagnosi. L’esame obiettivo può essere
non significativo: si può osservare un lieve versamento articolare o un’ipotrofia
muscolare (quadricipite).
La diagnostica per immagini rappresenta uno strumento insostituibile per lo studio iniziale e per il planning terapeutico della patologia.
L’iniziale valutazione radiografica deve essere eseguita a seconda del distretto
coinvolto con proiezioni standard e specifiche, in grado di permettere l’identificazione anche di piccoli frammenti osteocondrali coinvolti.
Sebbene l’esame radiografico possa essere già dirimente ai fini diagnostici nella
quasi totalità dei casi, la RM è utile per una più precisa definizione e classificazione della lesione.
La prognosi dipende dalla dimensione della lesione e dall’età del bambino. Lesioni
più piccole di 1 cm di diametro possono risolversi spontaneamente, mentre quelle più grandi di 2 cm hanno una prognosi non favorevole se lasciate a se stesse.
I bambini più piccoli hanno maggior possibilità di riparazione spontanea prima
che la lesione inizi a separarsi; dopo la chiusura della fisi distale la guarigione
spontanea è molto difficile.
Il trattamento conservativo implica l’astensione dallo sport per 3-12 mesi con il
monitoraggio clinico e strumentale (RM) del paziente. Le indicazioni all’intervento
chirurgico includono la presenza di un corpo libero articolare o l’instabilità della
lesione.
Condromalacia rotulea
La rotula è un osso sesamoide che si trova al centro dell’apparato estensore del
ginocchio, interposto tra il tendine del quadricipite e quello rotuleo; la sua parete
profonda, rivestita di cartilagine ialina, entra in rapporto con la troclea femorale,
formando l’articolazione femoro-rotulea.
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Con il termine condromalacia rotulea si indicano tutte quelle condizioni nelle quali
sono presenti alterazioni della cartilagine articolare in una rotula normale o con
malallineamento dell’apparato estensore. È una causa comune di dolore al ginocchio, soprattutto nelle ragazze che praticano sport con impegno funzionale
specifico di questa articolazione (pallavolo, salto, etc.).
Il corretto incuneamento della rotula tra i condili femorali durante la flessione
del ginocchio e quindi la congruenza della femoro-rotulea è condizionata da tutti
i fattori anatomici e funzionali che regolano il normale allineamento di questa
articolazione. Possono così interferire negativamente tutte le alterazioni displasiche della troclea femorale o della rotula, i malallineamenti dell’apparato estensore, le iperpressioni rotulee esterne, le rotule ipermobili o instabili. Tutte queste
condizioni, modificando la dinamica femoro-rotulea, possono condurre ad una
variazione delle normali zone di contatto, accentuando la pressione in alcune
zone circoscritte e determinando in tali sedi un danno cartilagineo. La funzionalità
della femoro-rotulea risente anche di alterazioni a monte o a valle del ginocchio,
quali difetti torsionali di femore e/o di tibia, e vizi di appoggio del piede (sindrome
pronatoria).
Il danno cartilagineo è stato classificato in 4 gradi, andando dal semplice rammollimento della cartilagine ialina fino alla sua ulcerazione con esposizione dell’osso
subcondrale.
La condromalacia rotulea, specie se di grado lieve, può essere del tutto asintomatica, poiché la cartilagine articolare non è né innervata né vascolarizzata.
Nelle forme sintomatiche viene riferito dolore sul versante anteriore del ginocchio con sensazione di cedimento; i disturbi sono accentuati da alcune attività
quali la discesa dalle scale o da percorsi scoscesi. L’esame obiettivo rivela
un versamento articolare solo nelle forme più gravi, mentre lo sfregamento
femoro-rotuleo evoca vivo dolore. La presenza di scrosci articolari alla mobilizzazione del ginocchio non è un reperto costante e comunque non indicativo di
condromalacia rotulea.
La significatività della diagnostica per immagini è limitata nelle forme idiopatiche,
mentre si accresce nei casi secondari a condizioni predisponenti:
• la radiografia in laterale del ginocchio può evidenziare una rotula alta o
bassa, e la proiezione tangenziale di rotula secondo Merchant una incongruenza femoro-rotulea;
• la TC può essere utile per studiare meglio l’apparato estensore e quantificare i difetti di rotazione tibiale o femorale;
In presenza di danni cartilaginei profondi, la RM è in grado di identificare con
sufficiente accuratezza le lesioni. Spesso però è solo l’artroscopia che consente
di definire la sede e la gravità della condromalacia rotulea.
La terapia può limitarsi ad un programma riabilitativo volto a migliorare la biomeccanica della femoro-rotulea; nelle forme più gravi si ricorre al trattamento chirurgico per riparare il danno cartilagineo.
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