“Normativa, “N ti prassii e giurisprudenza” i i d ” di Stefano Baruzzi e. Relatore Dr. Stefano Baruzzi ORDINE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI E DEGLI ESPERTI CONTABILI DI LODI "La fiscalità immobiliare: normativa, prassi e giurisprudenza" Dr. Stefano Baruzzi Premessa La presente dispensa raccoglie la trattazione e gli approfondimenti relativi ai temi del convegno in oggetto, tenutosi a Lodi il 12 settembre 2011, nonché gli aggiornamenti successivamente intervenuti nelle medesime materie fino al giorno 27 novembre 2011. Indice 1) La fiscalità delle locazioni, dei trasferimenti e dei leasing immobiliari: principi generali, fattispecie particolari e agevolazioni nell’ambito dell’IVA e dell’imposta di registro. 2) Esenzione IVA e rettifica della detrazione. 3) Temi relativi all’imposizione diretta sugli immobili. Locazioni, redditi diversi, strumentalità: normativa, orientamenti dell’Agenzia delle Entrate e giurisprudenza. 4) Le principali detrazioni di carattere immobiliare: 36%,55%, mutui. 5) L’applicazione dell’ICI alla luce della giurisprudenza della Corte di Cassazione. 1) La fiscalità delle locazioni, dei trasferimenti e dei leasing immobiliari: principi generali, fattispecie particolari e agevolazioni nell’ambito dell’IVA e dell’imposta di registro. 1.1 La fiscalità delle locazioni “ordinarie” e affitti in regime di IVA di abitazioni, unità immobiliari strumentali per natura e aree (agricole, edificabili, destinate a parcheggio) La manovra “Bersani Visco” (D.L. 4.7.2006 n. 223, convertito dalla L. 4.8.2006 n. 248, art. 35, c. 8, lett. “a”, nn. 1 e 2) ha introdotto un regime di esenzione da IVA per le locazioni – sia ordinarie che finanziarie – regolato dal “nuovo” art. 10, n.8 del DPR n. 633/72, come segue: << le locazioni e gli affitti, relative cessioni, risoluzioni e proroghe, di terreni e aziende agricole, di aree diverse da quelle destinate a parcheggio di veicoli, per le quali gli strumenti urbanistici non prevedono la destinazione edificatoria, e di fabbricati, comprese le pertinenze, le scorte e in genere i beni mobili destinati durevolmente al servizio degli immobili locati e affittati, escluse le locazioni di fabbricati strumentali che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni effettuate nei confronti dei soggetti indicati alle lettere b) e c) del numero 8‐ter) ovvero per le quali nel relativo atto il locatore abbia espressamente manifestato l'opzione per l'imposizione>>. La suddetta (più ristretta rispetto al passato) area di esclusione dall’esenzione IVA dall’1 gennaio 2007 (art. 1, comma 330, lettera “a” della legge finanziaria per il 2007 n. 296/2006) è stata estesa anche alle << locazioni di fabbricati abitativi effettuate in attuazione di piani di edilizia abitativa convenzionata dalle imprese che li hanno costruiti o che hanno realizzato sugli stessi interventi di cui all'articolo 31, primo comma, lettere c), d) ed e), della legge 5 agosto 1978, n. 457, entro quattro anni dalla data di ultimazione della costruzione o dell'intervento e a condizione che il contratto abbia durata non inferiore a quattro anni>>. 1 Le locazioni abitative Come rilevabile, il regime di esenzione da IVA delle locazioni abitative è pertanto diventato più ampio rispetto a quello vigente prima della manovra “Bersani Visco”, allorquando risultavano soggette a IVA anche le locazioni di “immobili destinati a uso di civile abitazione” poste in essere dalle imprese “che li hanno costruiti per la vendita” (imprese alle quali, in via interpretativa, l’Amministrazione Finanziaria assimila le imprese che abbiano posto in essere interventi di recupero “pesanti” per il medesimo fine della vendita) e, in anni ancora più lontani (fino al 19.6.1996), anche quelle attuate “dalle imprese che li hanno costruiti per la rivendita”. Con la “Bersani Visco”, pertanto, l’imponibilità IVA per le locazioni abitative è sostanzialmente venuta meno, salvo il già richiamato caso particolare delle locazioni effettuate in attuazione di piani di edilizia abitativa convenzionata: per tali particolari ipotesi il legislatore ha infatti ritenuto opportuno intervenire al fine di evitare, per comprensibili ragioni di politica sociale, le eccessive penalizzazioni che sarebbero derivate alle imprese interessate dal dover porre in essere locazioni esenti da IVA, e ciò sia in termini di pro rata del periodo di imposta che di rischio di dover rettificare l’IVA detratta in precedenti periodi. Per effetto della particolare deroga loro riservata tali soggetti,rispettando le condizioni previste dalla norma, possono: ‐ effettuare locazioni soggette a IVA (con aliquota 10% ai sensi del n. 127 duodevicies,Tab. A parte III, DPR n. 633/72) ‐ al termine della locazione (che deve essere,come minimo,di quattro anni, cui si aggiungerà,nella generalità dei casi, il rinnovo per almeno un eguale periodo) evitare di dover cedere l’unità immobiliare in regime di esenzione da IVA ai sensi dell’art. 10, n. 8 bis del DPR n. 633/72 a causa del frattanto avvenuto decorso del termine quadriennale ivi previsto entro e non oltre il quale la cessione dell’immobile abitativo può (deve) essere fatturata in regime di imponibilità IVA (si ricorda che il termine quadriennale di cui all’art. 10 n.8 bis è stato elevato a cinque anni, con effetto dall’1 gennaio 2011, dall’art. 1,c. 86, della legge di stabilità n. 220/2010). E’ stato infatti previsto nell’ultima parte del n. 8 bis che il termine di quattro anni (come detto, dall’1.1.2011 esteso a cinque anni) dalla ultimazione possa essere superato <<nel caso in cui entro tale termine i fabbricati siano stati locati per un periodo non inferiore a quattro anni in attuazione di programmi di edilizia convenzionata>>. In pratica, la norma del n. 8 bis sancisce che ai fini del calcolo del quadriennio (ora quinquennio) entro cui l’unità può essere ceduta con applicazione dell’IVA non si consideri il periodo durante il quale nella stessa siano state poste in essere locazioni convenzionate rispondenti ai requisiti tutti previsti dal n. 8 del medesimo art. 10, DPR n. 633/72, ma soltanto il minor lasso di tempo in cui l’unità, a partire dalla sua ultimazione o recupero, sia rimasta sfitta oppure sia stata concessa in locazione a condizioni non conformi a quelle convenzionate previste dai menzionati numeri 8 e 8 bis. Quanto precede con riferimento alle unità immobiliari a destinazione abitativa. Le locazioni di immobili strumentali Per le locazioni di immobili strumentali le condizioni di assoggettabilità a IVA, anche dopo la manovra “Bersani Visco”, sono invece rimaste più ampie (rispetto alle locazioni abitative) e quasi corrispondenti a quelle riferite alle cessioni. Per le locazioni strumentali , infatti, l’art.10 n.8 ai fini dell’assoggettamento a IVA richiama le ipotesi di cui all’art. 10, n. 8 ter, lettere b) e c), alle quali si aggiunge l’opzione per l’applicazione volontaria dell’IVA. Anche per le locazioni strumentali, così come per quelle abitative (salva l’eccezione già illustrata prevista per le locazioni abitative convenzionate), manca una norma (presente invece per le cessioni, sia di abitazioni che di unità strumentali) che attragga obbligatoriamente nel regime di imponibilità IVA le locazioni di immobili strumentali, effettuate entro i quattro anni dalla ultimazione della costruzione o del suo recupero (dall’1.1.2011 cinque anni per le sole unità abitative), ferma restando (per le sole locazioni strumentali) la facoltà (che, appunto, manca per le locazioni abitative) di applicare comunque l’IVA dietro esercizio dell’opzione da parte del locatore. Riassumendo, e tenendo conto anche della disciplina prevista in materia di imposta di registro, con gli aggiustamenti a tal fine introdotti sempre dalla manovra “Bersani –Visco” (art. 35,comma 10, che ha,tra l’altro, aggiunto il comma 1 bis nell’art.40 del DPR n. 131/86, ha modificato l’art. 5, 2° c., del medesimo TUR e integrato l’art.5 della relativa Tariffa parte prima), le locazioni ordinarie sono: ‐ considerate esenti da IVA e assoggettate in termine fisso (30 giorni) a registrazione con aliquota proporzionale (2%) se di tipo abitativo (salva l’eccezione relativa alle locazioni di unità abitative effettuate in attuazione di piani di edilizia abitativa convenzionata dalle imprese che le hanno costruite o recuperate entro quattro anni dalla data di ultimazione della costruzione o dell'intervento e a condizione che il contratto abbia durata non inferiore a quattro anni, per le quali è stato previsto l’assoggettamento a IVA con aliquota del 10%, fermo l’obbligo di registrazione in termine fisso ma con imposta fissa di Euro 168,00); 2 ‐ considerate imponibili IVA (con aliquota ordinaria) se strumentali per natura e al ricorrere delle condizioni al riguardo precisate nell’ultima parte dell’art. 10,n. 8 del DPR n. 633/72); per tali locazioni, peraltro, è stato stabilito dalla manovra “Bersani – Visco” (art. 35,comma 10), in concorso con l’applicazione dell’IVA, anche l’obbligo di registrazione in termine fisso con assoggettamento a imposta di registro proporzionale con aliquota dell’1% (anziché del 2% previsto per le unità residenziali). Da notare che per le locazioni di fabbricati strumentali per natura poste in essere nei confronti di soggetti caratterizzati da un pro rata di detrazione superiore al 25%, e in assenza di opzione per il regime di imposizione IVA da parte del locatore, si rende applicabile l’esenzione da IVA e l’applicazione dell’imposta di registro comunque con aliquota dell’1% (anziché del 2%). Le locazioni e gli affitti di aree Detto dei fabbricati, ricordiamo che sono assoggettati a IVA con aliquota ordinaria (artt. 3 n.1 e, “a contrariis”, 10 n.8 del DPR n. 633/72) anche gli affitti di aree edificabili e di aree destinate a parcheggio di veicoli, per queste ultime anche se gli strumenti urbanistici non ne dovessero prevedere la destinazione edificatoria. Sono invece esenti da IVA (sempre in base agli artt. 3 n.1 e 10 n. 8 del DPR n. 633/72) gli affitti e le locazioni di terreni e aziende agricole e, appunto, di aree non edificabili diverse da quelle destinate a parcheggio di veicoli. La locazione di posti barca (in acqua e a terra) e, più in generale, di aree destinate al parcheggio di veicoli Relativamente alle aree, in particolare di quelle destinate al parcheggio di veicoli, è interessante richiamare i contenuti della risoluzione Ag. Entrate n. 1/2010, che ha affermato l’applicabilità dell’IVA con aliquota ordinaria (anziché il trattamento di esenzione ex art. 8, DPR n. 633/72, proposto dall’interpellante) alla locazione di posti barca. Infatti, pur premesso e rilevato <<che può ritenersi sussistente un rapporto di locazione nell’ipotesi in cui la Società metta a disposizione dell’utenza uno spazio marittimo delimitato per un determinato periodo e dietro corresponsione di corrispettivo>> in quanto <<Ciò risulta coerente con l’orientamento espresso dalla Corte di Giustizia con la citata sentenza del 25 ottobre 2007, procedimento 174/2006, ove si è affermato che un rapporto giuridico “nell’ambito del quale ad un soggetto è concesso il diritto di occupare e di usare, in modo anche esclusivo, un bene pubblico, specificamente zone del demanio marittimo, per una durata limitata e dietro corrispettivo, rientra nella nozione di locazione di beni immobili”>> e che <<Anche dalla sentenza 13 marzo 2009, n. 6138 della Corte di Cassazione, si evince che la concessione di beni demaniali posta in essere da un ente pubblico economico deve assimilarsi, in base alla normativa comunitaria, ad una locazione di beni immobili, anche se il relativo diritto di occupazione dovesse discendere da un titolo giuridico che la legislazione nazionale definisce di “concessione”>>, <<Le conclusioni raggiunte dalla Suprema Corte, tuttavia, non possono estendersi integralmente al caso oggetto dell’istanza di interpello in esame. In particolare non risultano mutuabili le indicazioni relative al regime IVA applicabile all’operazione di concessione, atteso che la citata sentenza n. 6138, pur riferendosi ad ambiti portuali, non riguarda le locazioni di posti barca>>. Infatti, secondo la risoluzione in rassegna, <<In tema di posti barca occorre richiamare (…) la sentenza della Corte di Giustizia del 3 marzo 2005 (causa 428/02), con la quale (…), pronunciandosi in relazione al trattamento IVA di operazioni di locazione in un porto per imbarcazioni da diporto – sia di posti barca in acqua sia di posti a terra per il rimessaggio invernale delle imbarcazioni –, ha affermato che dette operazioni vanno ricondotte alla nozione comunitaria di “locazione di beni immobili” ma, più in particolare, sono ricomprese nelle “locazioni di aree destinate al parcheggio di veicoli”>>. Fattispecie specifiche relative a locazioni e ad affitti A seguito dell’entrata in vigore della manovra “Bersani – Visco”, l’Ag. delle Entrate ha avuto occasione di fornire chiarimenti su alcune rilevanti fattispecie specifiche. Numerose indicazioni interessanti sono contenute, in particolare, ma non solo, nella circolare n. 12/E/2007. L’affitto di aziende con componente immobiliare prevalente (la norma antielusiva) Nel citato documento di prassi è stato tra l’altro affermato che la norma antielusiva (art. 35,c. 10 quater del D.L. n. 223/2006:<<Le disposizioni in materia di imposte indirette previste per la locazione di fabbricati si applicano, se meno favorevoli, anche per l'affitto di aziende il cui valore complessivo sia costituito, per più del 50%, dal valore normale di fabbricati, determinato ai sensi dell'art. 14 del DPR n. 633/72>>) in materia di affitto di aziende, prevista per i casi in cui la componente immobiliare risulti prevalente (ove l’accertamento dell’eventuale “prevalenza” deve effettuarsi in base al valore normale ex art. 14 del DPR n.633/72, e in termini comparativi, sia sul complesso aziendale nel suo insieme che sulla sua sola componente immobiliare) >>richiede di individuare il regime di maggior sfavore nell’ applicazione dell’imposta di registro, prevista per tutte le locazioni di fabbricati strumentali, sia imponibili che esenti, poste in essere ai sensi dell’art.10,n. 8>> e di fatto comporta l’applicazione ai canoni di affitto di azienda dell’imposta proporzionale di registro prevista per le locazioni di fabbricati strumentali (1%), a nulla rilevando il diverso impatto 3 economico che l’imponibilità o l’esenzione IVA possono comportare in termini di detrazione e/o di rettifica dell’IVA sul concedente/locatore e sull’affittuario/conduttore. Pertanto, qualora sussista la prevalenza della componente immobiliare, l’affitto di azienda sarà soggetto, oltre che all’IVA ordinaria (prevista sia per le locazioni di immobili strumentali che, in via ordinaria, per gli affitti di azienda), anche all’imposta di registro proporzionale dell’1%; ove invece tale prevalenza non sussista, e quindi la norma antielusiva non risulti applicabile, i canoni di affitto di azienda sconteranno la sola IVA ordinaria, oltre all’imposta fissa di registro in sede di registrazione dell’atto. Altri casi particolari di interesse pratico sono i seguenti: ‐ la locazione di aree attrezzate con impianti di autolavaggio sottostanno al regime previsto per le locazioni di fabbricati, costituendo detti impianti unità immobiliari comprese nelle categorie catastali C/3 (ossia, secondo le definizioni catastali, “laboratori per arti e mestieri”, se dotati di attrezzature semplici) o D/7 (ossia, sempre secondo le definizioni catastali, “fabbricati costruiti o adattati per le speciali esigenze di un’attività industriale e non suscettibili di diversa destinazione senza radicali trasformazioni”, se dotate di attrezzature automatiche); ‐ le sublocazioni di porzioni di immobili strumentali conservano, ai fini fiscali, un’autonoma rilevanza economica (benché collegate, sul piano civilistico, alla locazione principale) e, pertanto, scontano a loro volta le normali imposizioni immobiliari (IVA e registro 1%) previste dall’ordinamento per le singole fattispecie, a nulla rilevando la circostanza che la locazione principale che sta a monte abbia già scontato l’imposta di registro dell’1%. ‐ Nel caso di sublocazione di ramo aziendale vale il medesimo ragionamento, con necessità però di verificare anche se sussistano o meno i presupposti per applicare la citata norma antielusiva di cui all’art. 35,c. 10 quater del D.L. n. 223/2006; ‐ i contratti di servizio nei quali siano fornite prestazioni complesse che vanno al di là della semplice messa a disposizione di spazi (p.es: ricezione e distribuzione della posta, segreteria, etc.) e che risultino qualificanti ai fini della causa del contratto e non si sostanzino quindi in semplici prestazioni accessorie alla locazione (quali sarebbero, ad esempio, il portierato o altri servizi condominiali) non sono riconducibili alla figura della locazione (in senso conforme si era già espressa in passato la ris. n. 381789/1980) e scontano pertanto l’aliquota IVA ordinaria prevista in generale per i servizi; ‐ spazi di parcheggio non specificamente predeterminati: il contratto di locazione presuppone, secondo l’interpretazione comunitaria, la circostanza che la superficie o lo spazio messo a disposizione sia delimitato con precisione e che il conduttore possa godere di un diritto di accesso esclusivo e illimitato: pertanto, non si è in presenza di locazione di immobile quando il contratto preveda solo il diritto di accesso nel parcheggio, senza diritto di occupare uno spazio specificamente attribuito; ‐ la locazione di appartamenti per vacanze (locazioni a uso turistico) non soggiace al regime della locazione di cui all’art. 10.8 del DPR n.633/72 (esenzione da IVA), ma al regime di imponibilità IVA 10% di cui al n. 120 della Tab. A/III allegata al medesimo DPR n. 633/72 (quali prestazioni di alloggio rientranti nel settore turistico – alberghiero e attratte nella normativa prevista per alberghi,motel, esercizi di affittacamere, case e appartamenti per vacanze e simili), qualora essa sia qualificabile come tale sulla base della normativa amministrativa di settore, in genere di emanazione regionale; Ulteriori importanti precisazioni sono rinvenibili in vari documenti di prassi del Ministero delle Finanze e dell’Agenzia delle Entrate. Tra i casi dotati di maggiore rilevanza si ritiene opportuno richiamare i seguenti: ‐ le pertinenze sono assoggettate al medesimo trattamento tributario dell’immobile principale, anche se locate con contratti separati, beninteso ove sia effettivamente sussistente il vincolo di pertinenzialità accertato secondo i dettami del codice civile (artt. 817 e 818 c.c.): sullo specifico tema richiamiamo la risoluzione n. 431369/92. La circolare n. 33/E/2006 ha poi confermato che << Il trattamento IVA delle locazioni di immobili abitativi (…) si applica anche se unitamente al fabbricato di tipo residenziale (bene principale) sia ceduto in locazione anche il box o la cantina (pertinenza). Si ricorda che, ai sensi dell'articolo 817 del codice civile, si considerano pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un'altra cosa. La destinazione può essere effettuata dal proprietario della cosa principale o da chi ha un diritto reale sulla medesima. In presenza di un unico atto, infatti, la locazione del bene pertinenziale si configura come operazione accessoria rispetto alla locazione del bene principale e, pertanto, ai sensi dell'articolo 12 del DPR. n. 633 del 1972, i relativi corrispettivi restano assoggettati al medesimo trattamento IVA. Il vincolo pertinenziale assume rilievo anche nella diversa ipotesi in cui la pertinenza sia costituita da un fabbricato abitativo e il bene principale da un fabbricato strumentale; in tal caso la prestazione viene assoggettata unitariamente alla disciplina prescritta per le locazioni di fabbricati strumentali>>; 4 ‐ assegnazioni in godimento di case di abitazione poste in essere da cooperative e loro consorzi: la circolare 33/E/2006 ha precisato che anche a seguito del riordino apportato alle locazioni dalla manovra “Bersani – Visco” <<Restano, invece, soggette al regime di imponibilità ad IVA le assegnazioni in godimento di case di abitazione poste in essere da cooperative e loro consorzi, in quanto il decreto legge 223/2006 non ha modificato il numero 26 della tabella A, parte II, allegata al DPR n. 633 del 1972. La disposizione si riferisce, ovviamente, alle assegnazioni in godimento ai soci delle cooperative, considerato che le assegnazioni in proprietà ai soci di cooperative diverse da quelle a proprietà indivisa rilevano come cessioni di beni (e non come locazioni) e scontano lo stesso regime delle cessioni di abitazioni da parte di imprese costruttrici (assoggettamento a IVA se la cessione o l'assegnazione da parte delle imprese costruttrici interviene entro quattro anni dalla ultimazione della costruzione o dell'intervento di recupero. Come già ricordato, dall’1.1.2011 il termine di quattro anni è stato elevato a cinque); il richiamato n. 26 della Tabella A,parte II (aliquota IVA del 4%), riguarda le <<assegnazioni, anche in godimento, di case di abitazione di cui al n. 21) fatte a soci da cooperative edilizie e loro consorzi>>. Il richiamo al n. 21 della medesima Tab. A/II comporta che le abitazioni possano anche non essere ultimate, purché permanga l’originaria destinazione, in presenza delle condizioni di cui alla nota II bis all’art. 1 della Tariffa parte I allegata al DPR n. 131/86; ‐ le indennità per le occupazioni devono essere trattate sul piano fiscale distinguendo,di volta in volta, a seconda che: 1) la volontà delle parti sia quella di addivenire alla stipulazione (o al rinnovo) di un contratto di locazione, nel qual caso le stesse assumeranno natura di corrispettivi di locazione e dovranno essere assoggettate a IVA e/o registro secondo i principi generali; 2) non sussista tale volontà, e quindi le indennità abbiano natura risarcitoria dell’occupazione senza titolo del bene, nel qual caso saranno assoggettabili a imposta di registro con l’aliquota del 3% (art. 9, Tar. parte prima, DPR n. 131/86). Sul punto si rinvia alla circ. n. 43/E/2007 e alla ris. 154/2003, ricordando che in precedenza l’Amministrazione Finanziaria si era già occupata del tema ma con indirizzi non univoci; ‐ i corrispettivi di affiliazione commerciale in franchising sono stati oggetto della ris. 49/E/2007 secondo la quale, laddove coesistano, occorre trattare separatamente, sul piano fiscale, i rapporti di franchising e di locazione, essendo gli stessi giuridicamente distinti e considerato che il rapporto di affiliazione non presuppone necessariamente anche l’esistenza di un rapporto finalizzato al godimento dell’immobile, avendo piuttosto a oggetto la messa a disposizione del concessionario (franchisee), da parte del concedente (franchisor), di segni distintivi e di utilità immateriali, quali marchi, elementi pubblicitari e simili. In pratica, nel caso in cui le parti del contratto di affiliazione commerciale (franchisor e franchisee) intendano invece porre in essere anche un rapporto di locazione potrà essere opportuno stipulare due distinti contratti o, quanto meno, prevedere e indicare nell’unico contratto due distinti corrispettivi, uno per la locazione degli immobili e l’altro per il franchising, applicando agli stessi i rispettivi regimi fiscali. La locazione degli immobili strumentali per natura da parte del locatore/franchisor soggetto IVA rientrerà nella disciplina generale dell’art. 10, n. 8 del DPR n. 633/72 e dunque sconterà l’aliquota IVA ordinaria e l’imposta di registro dell’1%. I canoni di affiliazione (franchising) saranno invece soggetti a IVA ordinaria. E’ anche opportuno ricordare che nel caso fosse configurabile un affitto di azienda (contratto da registrare), si renderebbe applicabile anche la norma antielusiva di cui all’art. 35, comma 10 quater, del D.L. n. 223/2006 (<<Le disposizioni in materia di imposte indirette previste per la locazione di fabbricati si applicano, se meno favorevoli, anche per l'affitto di aziende il cui valore complessivo sia costituito, per più del 50 per cento, dal valore normale di fabbricati, determinato ai sensi dell'articolo 14 del DPR n. 633/72>>). Per effetto di tale norma (cfr. circ. n. 12/E/2007, par. 5), ove ricorra la condizione secondo cui il valore dei fabbricati compresi nell'azienda costituisca la maggior parte del valore dell'azienda (entrambi i termini saranno da valutare in base al loro valore normale), si renderà dovuta non solo l’IVA al 20%, ma anche l’imposta di registro dell’1% e ciò al fine di evitare comportamenti elusivi tendenti a mascherare una sostanziale locazione immobiliare come affitto di azienda al fine di risparmiare l’imposta di registro dell’1%. Ove l’affitto di azienda non sia invece caratterizzato dalla prevalenza della componente immobiliare, il relativo corrispettivo sarà soggetto ad IVA 20% e la registrazione del contratto sconterà la sola imposta fissa di registro. ‐ quanto alle spese accessorie, ricordiamo che l’art. 67, c. 11, del D.L. n. 331/93, convertito dalla L. n. 427/1993, ha integrato l’art. 9 della L. n. 392/78, introducendovi i commi 4 e 5,ai sensi dei quali <<Gli oneri (accessori) di cui al primo comma addebitati dal locatore al conduttore devono intendersi corrispettivi di prestazioni accessorie a quella di locazione ai sensi e per gli effetti dell’art. 12 del DPR n. 633/72>> e <<La disposizione di cui al quarto comma non si applica ove i servizi accessori al contratto di locazione forniti siano per loro particolare natura e caratteristiche riferibili a specifica attività imprenditoriale del locatore e configurino oggetto di un autonomo contratto di prestazione dei servizi stessi>>. La concessione di immobili in usufrutto a tempo determinato è fiscalmente equiparata alla locazione o all’affitto Nella ris. n. 405 del 30.10.2008 l’Ag. delle Entrate ha affrontato l’interessante caso di una Srl di costruzioni intenzionata a concedere in usufrutto a tempo determinato (per quindici anni) ai propri soci, a canone concordato ex 5 L. n. 431/1998, alcune unità immobiliari neo ristrutturate, nella considerazione che le condizioni di mercato non ne consentivano la vendita a terzi. L’interpellante richiedeva una conferma in merito al regime IVA applicabile al canone di costituzione dell’usufrutto e all’inapplicabilità alla fattispecie della particolare previsione di cui all’art. 4, 5° c. del DPR n. 633/72. L’Ag. delle Entrate, citando la specifica giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, ha precisato che la costituzione di usufrutto a tempo determinato deve essere considerata, ai fini fiscali, come locazione di immobile e che, per l’effetto, si ricade nell’esenzione da IVA prevista per le locazioni abitative dall’art. 10, n. 8 del DPR n. 633/72. Interessante la precisazione secondo cui l’assimilazione fiscale fra usufrutto a tempo determinato e locazione costituisce nozione autonoma di diritto comunitario e, pertanto, non può essere invalidata dal fatto che l’usufrutto presenta, nel diritto civile di numerosi Stati membri, caratteristiche che lo distinguono dalla locazione e dall’affitto; dette particolarità sono infatti secondarie rispetto al fatto che, sul piano economico, un diritto come l’usufrutto, la locazione o l’affitto presentano la caratteristica fondamentale e comune di mettere a disposizione di un soggetto un immobile per una durata convenuta e dietro un corrispettivo, conferendogli il diritto di occuparlo come se ne fosse il proprietario e di escludere qualsiasi altra persona dal beneficio di tale diritto. L’Ag. delle Entrate ha inoltre ritenuto che la pattuizione di un corrispettivo convenzionato ai sensi dell’art. 2, 3° c. della L. n. 431/98 costituisca un valore normale di mercato tale da precludere l’applicazione della norma speciale di cui all’art. 4, 5° c. del DPR n. 633/72. 1.2 La locazione finanziaria (leasing) immobiliare Il trattamento fiscale del leasing immobiliare prima del D.L. n. 223/2006 Per poter comprendere appieno il senso delle novità introdotte, con effetto dall’1.1.2011, dalla legge di stabilità n. 220/2010 è opportuno richiamare brevemente l’evoluzione storica subita dalla normativa fiscale relativa alle locazioni finanziarie di immobili. Fino alla emanazione della manovra “Bersani – Visco” (D.L. 4.7.2006 n. 223, conv. dalla L. 4.8.2006 n. 248) le locazioni finanziarie di immobili (i cosiddetti “leasing immobiliari”) erano sempre e indistintamente soggette a IVA in quanto tali, a prescindere cioè dal fatto che avessero a oggetto immobili strumentali o residenziali. La manovra “Bersani Visco” (art. 35, c. 8, lett. a, nn. 1 e 2 ) ha alterato tale assetto preesistente, prevedendo in linea di principio il regime di esenzione da IVA per tutte le locazioni – sia ordinarie che finanziarie (quindi, equiparando le due tipologie di operazioni) – nell’ambito del “nuovo” art. 10, n.8 del DPR n. 633/72, integrato con l’aggiustamento apportato dall’1 gennaio 2007 (art. 1, c. 330, lettera “a” della legge finanziaria per il 2007, L. n. 296/2006) in materia di locazioni abitative “convenzionate”: tutte le locazioni finanziarie di fabbricati, rispetto al precedente assetto normativo, venivano così equiparate dalla Manovra “Bersani Visco” a quelle ordinarie e le locazioni (sia ordinarie che finanziarie) di immobili abitativi risultavano così attratte, molto di più rispetto al passato, nel regime di esenzione da IVA; in pratica, le locazioni, ordinarie e finanziarie, sono state considerate: ‐ in linea sia di principio che di fatto esenti da IVA e assoggettate a registrazione in termine fisso (30 giorni) con aliquota proporzionale (2%) se aventi a oggetto immobili di tipo abitativo (salva l’eccezione, più volte richiamata, delle locazioni abitative effettuate ‐ in attuazione di piani di edilizia convenzionata dalle imprese che le hanno costruite o recuperate ‐ entro quattro anni dalla ultimazione e a condizione che il contratto abbia durata non inferiore a quattro anni, per le quali è stato previsto l’assoggettamento a IVA con aliquota del 10%, fermo l’obbligo di registrazione in termine fisso con imposta fissa di registro di Euro 168,00); ‐ in linea di principio esenti da IVA, ma di fatto attratte, di regola, nel regime di imponibilità IVA (con aliquota ordinaria), se aventi a oggetto immobili strumentali per natura e al ricorrere delle condizioni al riguardo precisate nell’art. 10, n. 8, ultima parte, che rinvia espressamente alle ipotesi contemplate dal successivo n. 8 ter, lett. b), c) e d) del medesimo art. 10 del DPR n. 633/72 relativo alle cessioni di immobili strumentali per natura; per tali locazioni di immobili strumentali, peraltro, è stato stabilito dalla manovra “Bersani – Visco”, in concorso con il possibile (e, di fatto, abituale) assoggettamento a IVA, anche l’obbligo di registrazione in termine fisso con applicazione dell’ imposta di registro proporzionale con aliquota dell’1%. Da notare come, secondo le richiamate regole, nel raro caso di locazioni di fabbricati strumentali per natura poste in essere nei confronti di soggetti caratterizzati da un pro rata di detrazione superiore al 25% o di soggetti che agiscono nell’esercizio di imprese, arti e professioni (ai sensi del combinato disposto dei nn. 8 e 8 ter. lettere b) e c). dell’art. 10 del DPR n.633/72), in assenza di opzione per il regime di imposizione IVA da parte del locatore soggetto passivo IVA, abbia luogo da un lato l’esenzione da IVA e dall’altro l’applicazione della (sola) imposta di registro con aliquota dell’1%. Quanto alle locazioni e agli affitti di terreni e aree, la Bersani – Visco aveva previsto per i soggetti passivi IVA i seguenti trattamenti: ‐ aree edificabili (secondo la definizione fiscale valida in modo generalizzato per i vari settori impositivi – imposte dirette, IVA, ICI, imposte sui trasferimenti quali registro e ipocatastali ‐ data dall’art. 36, 2° c., del D.L. n. 223/2006: 6 << Ai fini dell'applicazione del DPR n. 633/72, del T.U. del Registro DPR n. 131/86, del TUIR DPR n. 917/86 e del D. Lgs. n. 504/92 un'area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall'approvazione della regione e dall'adozione di strumenti attuativi del medesimo>>): IVA ordinaria e imposta fissa di registro ‐ aree destinate a parcheggio di veicoli: IVA ordinaria e imposta fissa di registro ‐ terreni agricoli e fondi rustici: esenzione da IVA e applicazione dell’imposta di registro con aliquota dello 0,50%. Ricordiamo poi che il riscatto degli immobili in leasing è stato trattato dall’art. 35, c. 10 ter, del D.L. n. 223/2006 come una cessione, il cui valore doveva essere peraltro determinato ai fini fiscali sommando al prezzo di riscatto i canoni di locazione periodici (per la sola componente economica, esclusa quindi la quota di oneri finanziari). La Bersani Visco ha peraltro anche previsto che per il riscatto di un immobile strumentale per natura soggetto a IVA le imposte ipotecarie e catastali proporzionali (3% + 1%) fossero applicate con aliquote ridotte a metà (art. 35, comma 10 ter, D.L. n. 223/2006), l’altra metà essendo stata già assolta dalla società concedente in sede di acquisto dell’immobile, e con il diritto a detrarre dalle stesse imposte ipocatastali “teoricamente” dovute al riscatto l’imposta di registro dell’1% assolta sui canoni nel corso della locazione finanziaria (art. 35, c. 10 sexies, D.L. n. 223/2006 e circ. n. 12/2007). Sul tema si segnala anche che una nota dell’Agenzia delle Entrate indirizzata ad Assilea, a fronte di un quesito rivoltole da detta associazione, aveva confermato che l’applicazione in misura dimezzata delle imposte ipotecarie e catastali in sede di riscatto di immobili già oggetto di leasing si applicava anche nell’ipotesi in cui l’acquisto del bene da parte dell’ impresa concedente fosse stato attuato, in vigenza del diverso regime fiscale in vigore prima della manovra Bersani – Visco, senza corrispondere “l’altra metà delle imposte ipocatastali” (ossia,la prima metà di tali imposte). I richiamati “benefici” venivano ritenuti peraltro applicabili ai soli immobili strumentali per natura e non anche a quelli abitativi (ris. n. 163 del 22.6.2009), le cui locazioni finanziarie risultavano penalizzate (di fatto, risultavano del tutto spiazzate e vanificate proprio per la mancanza di appetibilità fiscale) dovendo esse assolvere in misura piena (sia in fase di acquisto dell’immobile da parte della società di leasing che di successivo riscatto) il carico impositivo previsto per i trasferimenti di immobili abitativi (con sostanziale duplicazione, a fronte dell’unitarietà funzionale che caratterizza e giustifica l’operazione di leasing vista nel suo insieme), oltre che l’applicazione delle imposte di registro con aliquota del 2% sui canoni di locazione finanziaria in vigenza di quest’ultima. Il trattamento fiscale del leasing immobiliare dall’1 gennaio 2011 Come anticipato, sul descritto assetto normativo si sono andate a innestare dall’1.1.2011 alcune importanti disposizioni introdotte dalla legge di stabilità n. 220/2010 (art. 1, commi 15 e 16) al fine espresso <<di disciplinare il trattamento tributario del contratto di locazione finanziaria applicato al settore immobiliare e di garantirne la coerenza con le disposizioni relative alle imposte di registro, ipotecaria e catastale applicate per i trasferimenti operati con strumenti contrattuali diversi dallo stesso>>. Quanto precede “salda” in una visione unitaria, anche dal punto di vista tributario, il contratto di leasing immobiliare, sia di immobili abitativi che strumentali, a prescindere dalle varie fasi “giuridiche” (acquisto,locazione, riscatto) che si succedono nell’arco della sua vita. Queste, in dettaglio, le principali novità normative, commentate dall’Ag. delle Entrate nella circ. n. 12 del 11.3.2011: ‐ viene meno l’obbligo di registrazione dei contratti di locazione finanziaria di immobili in termine fisso, che ora sussiste solo in caso d’uso e in misura fissa, se non formati per atto pubblico o per scrittura privata autenticata: tali contratti sono stati infatti ricondotti nel novero di quelli relativi a operazioni e a servizi bancari e al credito al consumo, soggetti a registrazione in caso d’uso, sottraendoli così al regime proprio delle locazioni ordinarie di cui all’art. 40 del T.U. dell’Imposta di Registro; nel caso in cui il contratto di locazione finanziaria immobiliare sia stipulato per atto pubblico o per scrittura privata autenticata (così come nell’ipotesi in cui esso sia formato per scrittura privata non autenticata, ma venga sottoposto a registrazione in forma volontaria) si avrà obbligo di registrazione in termine fisso, ma pur sempre con applicazione dell’ imposta di registro in misura fissa, a condizione che le operazioni in esso contemplate siano soggette a IVA, tornando a operare il principio generale di alternatività IVA/registro di cui all’art. 40, 1° c. del DPR n. 131/86 (cfr. per il coordinamento, invero tutt’altro che semplice, delle varie norme, il paragrafo 1.2 della circolare n. 12/E/2011); ‐ viene meno la suddivisione in due tranche del 50% ciascuna (in sede di acquisto da parte della società di leasing e in sede di riscatto) del prelievo delle imposte ipotecaria e catastale in precedenza prevista per gli immobili strumentali per natura. Il prelievo relativo a tali imposte viene ora concentrato tutto nella fase dell’acquisto dell’immobile da parte della società di leasing, secondo le ordinarie regole proprie dei trasferimenti immobiliari. A puro titolo di esempio: imposte ipotecaria 3% e catastale 1% per i trasferimenti di immobili strumentali soggetti a IVA; imposte ipotecaria 2% e catastale 1% per i trasferimenti di immobili strumentali che non siano soggetti a IVA e nel caso di 7 trasferimento di immobili abitativi effettuato in esenzione da IVA o al di fuori del campo di applicazione dell’IVA; lo stesso dicasi per i trasferimenti di terreni non edificabili; imposte ipotecaria e catastale in misura fissa per i trasferimenti di immobili abitativi soggetti a IVA o di terreni edificabili se posti in essere da soggetti passivi IVA. All’atto del riscatto le imposte ipotecaria e catastale saranno invece dovute in misura fissa, al pari dell’imposta di registro,sia che si tratti di immobili strumentali che di immobili abitativi. Ai sensi dell’art. 35, c. 10 ter, del D.L. n. 223/2006, come riformulato dalla L. n. 220/2010, la predetta suddivisione al 50% delle imposte ipocatastali permane esclusivamente per le operazioni di locazione finanziaria aventi a oggetto immobili strumentali poste in essere da parte dei fondi comuni di investimento immobiliare chiusi. In precedenza era invece prevista anche per le operazioni di locazione finanziaria relative a immobili strumentali per natura poste in essere da imprese di leasing e da banche. Onde evitare indebiti vantaggi a favore delle operazioni di locazione finanziaria immobiliare (su immobili strumentali) già in corso alla data dell’1.1.2011 è stato previsto il versamento, entro il 31 marzo 2011, di una imposta sostitutiva delle imposte ipotecarie e catastali che sarebbero state dovute, secondo la previgente normativa, al momento dell’eventuale riscatto (Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 14 gennaio 2011). Trattandosi di norma transitoria,che ha ormai esaurito i propri effetti, ci limitiamo in questa sede a fare rinvio per eventuali approfondimenti circa l’articolato meccanismo di calcolo alla circ. n. 12/2011 e al Provv. Direttoriale del 14.1.2011; ‐ per quanto riguarda il riscatto dell’immobile, come già accennato, previsione del pagamento delle imposte fisse di registro,ipotecarie e catastali. Questa norma si rende applicabile, oltre che in caso di ordinario riscatto dell’immobile da parte dell’utilizzatore, anche nell’ipotesi (patologica ma non infrequente, soprattutto in tempi di crisi) in cui l’impresa concedente il leasing ceda a terzi l’immobile già oggetto del contratto di leasing, avendo essa risolto tale contratto per inadempimento dell’utilizzatore. Resta invece invariato il trattamento IVA del trasferimento dell’immobile, in sede di riscatto o di cessione a terzi a seguito di risoluzione del contratto di leasing, se e in quanto tale trasferimento sia soggetto a tale imposta: in caso affermativo l’IVA sarà dovuta applicando le ordinarie norme che regolano i trasferimenti di immobili; ‐ introduzione della solidarietà passiva per il pagamento delle imposte di registro, ipotecaria e catastale (anche per gli immobili da costruire o in costruzione) fra tutti i soggetti coinvolti nell’operazione di leasing immobiliare e, pertanto, non più solo fra impresa cedente e impresa concedente,ma anche in capo al soggetto utilizzatore,oltre che al pubblico ufficiale che roga il contratto di trasferimento dell’immobile da concedere in leasing, al quale compete l’individuazione del soggetto utilizzatore; secondo la circolare n. 12/2011 tale solidarietà compete anche per l’acquisto dei terreni sui quali dovranno essere realizzati i fabbricati da concedere in leasing (ipotesi del cosiddetto “leasing in costruzione”). 1.3 I trasferimenti immobiliari in regime di IVA: inquadramento normativo e principi fondamentali Le norme “cardine” su cui si impernia il regime fiscale dei trasferimenti immobiliari in regime di IVA sono costituite dall’art. 10, nn. 8 bis e 8 ter del DPR n. 633/1972. Tali commi determinano quando le cessioni di fabbricati (rispettivamente, non strumentali e strumentali) debbano essere considerate esenti da IVA oppure imponibili IVA. E’ appena il caso di ricordare come tale analisi, in termini di esenzione o di imponibilità, debba essere compiuta solo una volta che sia stato verificato che ricorrano congiuntamente tutte le condizioni generali (soggettività, oggettività e territorialità) rilevanti affinché un’operazione rientri nel regime IVA, in caso contrario ricadendosi nell’ambito dell’imposta di registro. Di particolare interesse per il settore immobiliare, oggetto in più occasioni di pronunce sia della prassi amministrativa che della giurisprudenza, è la circostanza che si ha tendenzialmente rilevanza ai fini sia dell’IVA che del reddito di impresa ex art. 55 TUIR (anziché produzione di redditi diversi attraverso l’esercizio di “attività commerciali non esercitate abitualmente” di cui all’art. 67, 1° c., lettera i) del TUIR) allorquando un soggetto dà corso alla costruzione di un fabbricato finalizzata alla successiva vendita o locazione dello stesso, con ovvie conseguenze anche sul piano degli obblighi di tenuta delle scritture contabili. Sotto tale profilo, ricordiamo anche che, per prassi risalente e costante dell’Amministrazione Finanziaria (circ. n. 45/1973 e successive pronunzie, quali, tra le tante, le circolari n. 182/96 e n. 27/2006), si considera, ai fini fiscali, impresa costruttrice quella che svolge, anche occasionalmente, attività di produzione di immobili per la successiva rivendita, a nulla influendo che la materiale esecuzione dei lavori sia affidata, in tutto o in parte, ad altre imprese (edili), dotate di operai e di attrezzature produttive: in tale analisi si prescinde totalmente dall’attività tipica svolta dal soggetto “costruttore” (che potrebbe quindi essere esso stesso un’impresa edile, ma anche una società di investimenti immobiliari,un fondo di investimento immobiliare, una società dedita al trading di immobili o una impresa la cui 8 attività principale si colloca al di fuori dell’ambito immobiliare e che a tale ultimo settore si indirizza con finalità, per esempio, di diversificazione degli investimenti). In sostanza, le norme fiscali riferite alle “imprese costruttrici” (così come i riferimenti alle imprese che hanno compiuto attività di recupero immobiliare) si rendono quindi applicabili a prescindere dal fatto che la costruzione immobiliare venga realizzata in proprio oppure mediante conferimento di appalto o simili a soggetti terzi, assumendo invece rilevanza – ai fini,appunto, dell’assunzione della qualifica di “impresa costruttrice” ‐ la titolarità dell’abilitazione amministrativa a dare corso all’intervento di costruzione (o di recupero “pesante”), sotto qualsiasi forma o denominazione essa sia stata rilasciata (di tempo in tempo e secondo le tipologie di intervento, come definite dalle normative edilizio‐ urbanistiche, impresa costruttrice potrà essere quella a cui risultano intestati la licenza edilizia, la concessione edilizia, l’autorizzazione edilizia, la DIA o la Super Dia, il permesso di costruire o, più di recente, la SCIA). Circa la ricorrenza dell’“abitualità” nell’effettuare attività di costruzione (o di recupero), allo scopo di determinare se ai fini delle imposte sui redditi ci si collochi nell’ambito dei redditi diversi o del reddito di impresa con tutto quanto ne consegue anche in termini di adempimenti formali, si possono richiamare, quali interessanti esempi del pensiero espresso nel tempo dall’Amministrazione Finanziaria e dalla giurisprudenza, i casi esaminati nelle risoluzioni nn. 204/2002, 273/2002; 286/2007 e nelle sentenze della Corte di Cassazione n. 3690/86, 4407/95, 8193/97. Trattasi di indagini da compiere caso per caso. I principi emersi nella prassi dell’Ag. delle Entrate e negli orientamenti della Suprema Corte, in presenza di iniziative edificatorie volte alla realizzazione di pluralità di unità immobiliari (anche “solo” di box/posti auto) su terreni di proprietà, si possono riassumere come segue: irrilevanza del fatto che l’esercizio dell’attività si esaurisca in un singolo affare (avuto riguardo alla sua rilevanza economica e complessità delle operazioni) o con carattere di stagionalità, se e in quanto esso implichi esecuzione di una serie coordinata di atti economici, anche in forma non necessariamente organizzata, ma per professione abituale (se, invece, la professionalità abituale manca si ha occasionalità e quindi produzione di redditi diversi); sussistenza dell’“organizzazione in forma di impresa” in presenza di mezzi e risorse organizzati e funzionali all’ottenimento di un risultato economico; esistenza della commercialità quando l’attività sia caratterizzata da professionalità, sistematicità e abitualità, anche se non in via esclusiva; intento lucrativo; non è imprenditore chi, in un determinato lasso di tempo, compie atti di commercio isolati e occasionali, mentre é attività di impresa quella che, anche con riferimento a una singola attività, comporta un’apprezzabile organizzazione dei fattori produttivi, un rilevante impiego di mezzi economici per tempi protratti; configura comunque attività di impresa l’attività costruttiva affidata a terzi mediante utilizzo e coordinamento del “solo” capitale economico – finanziario. Per quanto attiene al trattamento IVA applicabile è bene ricordare che le varie casistiche contemplate dalle tabelle A/II e A/III allegate al DPR n. 633/72 consentono di inquadrare le concrete ipotesi per quanto riguarda l’aliquota IVA a esse applicabile, ma solo ove le ipotesi stesse rientrino “a monte” nel campo di applicazione dell’IVA all’esito dell’indagine circa la sussistenza dei requisiti di applicazione di tale tributo (alternativa all’imposta di registro) sulla base dei principi generali sopra richiamati. Rammentiamo anche che la distinzione,fondamentale, tra immobili ad uso abitativo e immobili strumentali (“per natura”), deve essere operata con riferimento alla classificazione catastale dei fabbricati,a prescindere dal loro utilizzo in via di fatto: tale principio, affermato fin dalla fine degli anni ’80, è stato ribadito, con specifico riferimento all’attuale assetto normativo, dalla circ. n. 27/E/2006, recante i primi commenti alla riforma del settore immobiliare apportata dalla manovra “Bersani – Visco”. Sono pertanto considerate a uso abitativo, sotto il profilo fiscale, le unità immobiliari censite o censibili nella categoria catastale “A”, esclusa l’A/10 (uffici), mentre tutte le altre (inclusa la cat. A/10, se corrispondente alla destinazione urbanistica di “ufficio o studio professionale” derivante dalla licenza o concessione edilizia, anche in via di sanatoria) sono considerate strumentali. Il momento nel quale deve essere apprezzata la classificazione catastale ai fini del trattamento fiscale correttamente applicabile in fase di trasferimento è quello del rogito notarile. Se prima del rogito vengono riscossi o fatturati acconti si deve avere riguardo alla situazione catastale in essere in tali momenti e, nel caso in cui la tipologia di immobile nel frattempo sia variata, occorre procedere, in sede di stipula dell’atto definitivo di trasferimento, agli opportuni integrazioni o storni dell’IVA già fatturata (cfr., p. es., la ris. n. 196/2007), con conseguenti possibili riflessi anche sul diritto alla detrazione dell’IVA in capo al cessionario (si pensi, ad. es., al caso in cui fra contratto preliminare e atto definitivo venga variata la classificazione catastale dalla categoria “A” – di massima priva del diritto alla detrazione, salvo che per l’A/10 ‐ ad una categoria di tipo strumentale, per effetto di lavori comportanti il cambio di destinazione d’uso). Un altro tema molto importante sul quale l’Ag. delle Entrate ha avuto modo di fornire, in anni recenti e in più occasioni (a partire dalla circ. n. 12/2007 e dalla coeva ris. n. 68/E), i necessari chiarimenti è rappresentato dalla cessione di fabbricati non ancora ultimati: in tali casi (beninteso, sempre che ricorrano “a monte” i presupposti di soggettività IVA in capo al cedente e di territorialità dell’operazione) si verterà sempre e comunque nell’ambito di 9 cessioni imponibili IVA, a nulla rilevando la categoria catastale o la destinazione urbanistica del manufatto edilizio o altre considerazioni in ordine, p. es., al tempo decorso dalla ultimazione della costruzione, essenziale nell’economia dell’art.10, nn. 8 bis e 8 ter, ma che nel caso all’esame risulta irrilevante, trattandosi,appunto, di ipotesi di trasferimento con “cantiere ancora in corso”. Tale affermazione trae origine dalla circostanza che le norme di cui all’art. 10, nn. 8 bis e 8 ter (sulla base delle quali si ha applicazione dei regimi di imponibilità o di esenzione da IVA, con i conseguenti e importanti riflessi anche sul piano dell’applicazione delle imposte di registro,ipotecaria e catastale), a differenza di altre norme del DPR n.633/1972 (p. es. i nn. 21 e 21 bis della Tab. A/II; il n. 127 undecies, primo e secondo periodo, della Tab. A/III), non contemplano la fattispecie dei fabbricati non ultimati, bensì presuppongono proprio che tale requisito di “intervenuta ultimazione” sussista nel momento in cui viene effettuato il trasferimento dell’immobile. Ove ciò non si verifichi, il trasferimento dell’immobile non ancora ultimato, se posto in essere da un soggetto passivo IVA, sarà soggetto necessariamente a IVA e senza applicazione delle imposte ipotecaria e catastale (cfr. la risposta 3.9 della circolare n. 12/E/2010); in tal caso non potrà neppure avere luogo l’applicazione del meccanismo del reverse charge di cui all’art. 17 del DPR n. 633/72,meccanismo previsto in via obbligatoria per le cessioni di fabbricati strumentali per natura nelle ipotesi di cui all’art. 10,n.8 ter, lettere b) e d) del DPR n.633/72: in pratica, in tali casi avrà luogo il trasferimento non già di un fabbricato vero e proprio quanto piuttosto di un semilavorato edile, ossia di un bene ancora inserito all’interno del circuito produttivo. Quanto all’aliquota IVA potranno trovare applicazione, a seconda dei casi e purché ricorrano tutte le condizioni e i requisiti posti dalle singole norme, quella ordinaria (per le “future” case di abitazione di lusso ai sensi del Decreto del Ministro dei Lavori Pubblici del 2 agosto 1969 ), quella agevolata del 4% (per le abitazioni “non di lusso” in presenza dei requisiti “prima casa” e per le abitazioni rurali, fattispecie per le quali i numeri 21 e 21 bis della Tab. A/II allegata al DPR n. 633/72 espressamente non pretendono che al momento del trasferimento siano già ultimate: <<ancorché non ultimate, purché permanga l’originaria destinazione>>) oppure quella intermedia del 10% (abitazioni non di lusso per il cui trasferimento non ricorrano i requisiti “prima casa”; fabbricati con requisiti “Tupini”, sempre se ceduti dall’impresa costruttrice; infatti, anche per le predette fattispecie il n. 127 undecies, prima e seconda parte, della Tab. A/III allegata al DPR n. 633/72 esula espressamente dalla circostanza che al momento del trasferimento detti immobili siano già ultimati: <<ancorché non ultimate/i, purché permanga l’originaria destinazione>>). Per determinare poi se l’ultimazione del fabbricato sia o meno avvenuta (tanto con riferimento alla “nuova costruzione” quanto al recupero), in assenza di una norma che lo precisi, l’Ag. delle Entrate (circolari n. 12/E/2007 e n. 38/E/2005; ris. n. 91/2007) ha chiarito che deve aversi riguardo al momento in cui l’immobile diviene idoneo a espletare la sua funzione ovvero a essere destinato all’uso: tale momento si concretizza con l’attestazione al Catasto del Direttore dei Lavori o, anche prima e a prescindere da essa, qualora il bene sia concesso in uso a terzi ove l’atto in questione consenta fondatamente di presumere che il bene sia stato ultimato. Tali criteri volti a individuare se e quando un fabbricato sia stato già ultimato si rendono naturalmente applicabili anche al fine di individuare l’inizio (e, conseguentemente, la fine) del quinquennio e del quadriennio entro il quale la cessione di unità immobiliari (rispettivamente, abitative e strumentali) da parte delle imprese costruttrici è imponibile ai fini IVA ai sensi dell’art. 10, nn. 8 bis e 8 ter, del DPR n. 633/72. Per quanto riguarda invece il tema, affine, dei fabbricati non in corso di costruzione ma già esistenti e interessati da interventi di recupero “pesante” (per tali intendendosi le ipotesi di restauro/risanamento conservativo, di ristrutturazione edilizia e di ristrutturazione urbanistica di cui alle lettere c), d), e) dell’art. 31 della L. n. 457/78, poi trasfuse nel T. U. dell’Edilizia – DPR n. 380/2001), l’Ag. delle Entrate ha precisato (circ. n. 12/E e ris. n.91/2007) che si avrà imponibilità IVA a condizione che sia stato non solo ottenuto il permesso edilizio,ma anche avviati in concreto significativi lavori di recupero. Se tale condizione non ricorre si considera che la ristrutturazione non sia stata compiutamente avviata e pertanto si dovranno applicare le norme che presiedono al trasferimento di fabbricati già esistenti; qualora invece i lavori siano stati compiutamente avviati ma non siano stati ancora ultimati, il trasferimento sconterà l’aliquota IVA ordinaria; nel caso infine che non solo gli interventi di recupero “pesante” siano stati avviati, ma che essi siano stati anche ultimati, il trasferimento dell’immobile potrà beneficiare dell’aliquota intermedia del 10% prevista nella Tab. A/III del DPR n.633/1972 dal n. 127 quinquiesdecies, norma di favore che, appunto, presuppone – secondo la costante interpretazione, restrittiva, fornita nel tempo dall’Amministrazione Finanziaria ‐ che il recupero pesante sia stato già ultimato prima del trasferimento attuato dal soggetto che se ne è reso responsabile (in proprio o quale committente in caso di appalto). Si noti che nel caso in cui non si siano ancora eseguiti interventi significativi, anche se in presenza di permesso amministrativo per il recupero dell’immobile già rilasciato, non si avrà necessariamente applicazione dell’IVA in quanto non si ricade nella fattispecie della ristrutturazione, in corso o ultimata: trovandoci di fronte a un fabbricato già esistente occorrerà trattare la fattispecie secondo le norme generali di cui all’art. 10, nn. 8 bis e 8 ter del DPR n. 10 633/1972,avendo pertanto riguardo, tra le altre, anche alla circostanza che l’ultimazione del bene sia avvenuta da più o da meno di quattro anni (se strumentale) o cinque anni (se abitativo). Sempre in tema di recupero, l’Agenzia delle Entrate ha avuto modo di fornire due importanti chiarimenti del proprio pensiero – il primo favorevole al contribuente e il secondo restrittivo ‐ nell’ambito della risposta 3.1 della circ. n. 11/E/2007, relativa ad un caso di demolizione con fedele ricostruzione, precisando rispettivamente quanto segue: ‐ che l’aliquota IVA del 10% di cui al n. 127 quaterdecies della Tab.A/III allegata al DPR n. 633/72 è applicabile (in luogo di quella ordinaria ) anche agli appalti comportanti demolizione e fedele ricostruzione, essendo tali interventi configurati dall’art. 3 del DPR n.380/2001 (T.U. dell’Edilizia) quali ristrutturazioni edilizie (e non quali nuove costruzioni), a condizione che i lavori di ricostruzione dell’edificio avvengano nel rispetto della volumetria e della sagoma preesistenti. E ciò benché detta particolare tipologia di ristrutturazione (“demolizione con fedele ricostruzione”) non sia espressamente richiamata nel citato n. 127 quaterdecies; ‐ che non è consentito applicare la più favorevole aliquota IVA del 4% di cui al n.39 della tab. A/II (prevista per gli appalti volti alla costruzione di abitazioni per le quali ricorrano in capo al committente i requisiti “prima casa” e di fabbricati dotati dei requisiti della legge “Tupini”: cogliamo l’occasione per ricordare che i requisiti “Tupini” ricorrono qualora almeno il 50% delle superfici fuori terra abbia destinazione abitativa e non più del 25% delle stesse superfici f.t. sia destinata a uso commerciale) in quanto gli interventi di demolizione e fedele ricostruzione non possono essere ricondotti o assimilati alle ipotesi di nuova costruzione (alla quale si riferisce l’applicazione dell’aliquota IVA 4% nei casi richiamati) dato che essi concretizzano interventi di recupero di edifici preesistenti. La risposta n. 3.9 della circolare n. 12 del 12.03.2010 ha riguardato la disciplina applicabile ai trasferimenti in regime di IVA di immobili non ultimati, aggiungendo alcune precisazioni ai chiarimenti forniti in anni recenti da altre pronunce di prassi amministrativa. Per la sua rilevanza ci pare opportuno riprodurla di seguito: <<3.9 Tassazione degli immobili strumentali non ultimati D: Un’impresa edile cede degli immobili strumentali in corso di costruzione a un’altra impresa edile. La cessione viene regolarmente assoggettata a Iva, all'aliquota del 20% (N.B.: ora 21%), senza l'applicazione del regime dell'inversione contabile previsto dall'articolo 17, comma 6, lettera a) bis del DPR 633/72, perché gli immobili, non essendo ancora ultimati, non rientrano nella disposizione dell’articolo 10, comma 1, n. 8‐ter) del DPR 633/72. Vorremmo sapere se è corretto applicare le imposte ipotecarie e catastali in misura fissa per questa cessione, tenuto conto che l'imposta proporzionale sarà poi applicata dalla seconda impresa edile che, una volta ultimata la costruzione, venderà l’immobile strumentale al cliente “utilizzatore” finale. R: Con la circolare n. 12/E del 1 marzo 2007 è stato precisato che la cessione di un fabbricato, effettuata da un soggetto passivo d’imposta in un momento anteriore alla data di ultimazione del medesimo, è esclusa dall’ambito applicativo dei nn. 8‐bis) e 8‐ter) dell’art. 10 del DPR n. 633/1972, in quanto trattasi di un bene ancora nel circuito produttivo, la cui cessione, pertanto, deve essere in ogni caso assoggettata ad Iva con applicazione dell'aliquota ordinaria del 20%. Nel caso in esame, pertanto, trattandosi di cessione di immobili strumentali in corso di costruzione ‐ operazione esclusa dall’ambito applicativo dell’art. 10 nn. 8‐bis e 8‐ter citati ‐ non si applicano, rispettivamente, l’art. 1‐bis della Tar. allegata al D. Lgs. n. 347/1990 (imposta ipotecaria proporzionale del 3%) e l’art. 10, comma 1, del medesimo decreto (imposta catastale proporzionale dell’1%), in quanto le disposizioni citate si applicano agli atti che comportano trasferimento di proprietà di beni immobili strumentali ai sensi dell’art. 10, comma 1, n. 8‐ter), del decreto IVA, da cui, come sopra ribadito, sono esclusi i fabbricati non ultimati. Conseguentemente, risulta pienamente operante, nella fattispecie rappresentata, il principio di alternatività tra IVA e imposte di registro, ipotecaria e catastale, per cui queste ultime sono dovute in misura fissa. Nello specifico, per quanto concerne l’imposta ipotecaria, si rientra nell’ambito applicativo della nota all’art. 1 della Tar. allegata al D.Lgs. n. 347/1990, laddove viene stabilito che “L’ imposta si applica nella misura fissa di euro 168,00 per i trasferimenti soggetti all’imposta sul valore aggiunto, nonché per quelli di cui all’articolo 1, comma 1, quarto e quinto periodo, della Tar., parte prima” allegata al DPR n. 131/1986. Per quanto concerne l’imposta catastale, invece, l’imposta è dovuta nella misura fissa di euro 168,00, ai sensi dell’articolo 10, comma 2, del D.Lgs. n. 347/1990. Va da sé che alla cessione dell’immobile ultimato effettuata dalla seconda impresa edile si applicano le imposte catastale ed ipotecaria in misura proporzionale>>. Circa le tipologie di trasferimenti immobiliari alle quali si rendono applicabili le norme del DPR. n. 633/72 in materia di “cessioni”, ricordiamo che rientrano in tale novero gli atti che comportano trasferimento della proprietà o costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento (art. 2, DPR. n. 633/72), quali pertanto compravendite, permute,conferimenti, assegnazioni e altri negozi similari. 11 Anche la cessione del diritto di usufrutto a titolo definitivo, per l’intera sua residua durata, è considerata come trasferimento, mentre, ove essa avvenga a titolo temporaneo, per un periodo inferiore alla sua residua durata, è – equiparata alla locazione di immobili (ris. n. 405/2008). Per quanto riguarda la permuta, si richiama la differenza esistente rispetto al regime applicabile quando entrambe le cessioni sono soggette a imposta di registro: infatti,qualora una o entrambe le cessioni in permuta rientrino nel regime IVA si avrà applicazione autonoma e separata del tributo alle rispettive basi imponibili (ris. n. 373/2007), costituite dal valore dei beni oggetto di trasferimento e soggetti a IVA (artt. 11 e 13.2.d del DPR n.633/72). Rientrano nell’ambito di applicazione dell’IVA anche gli atti autoritativi della P.A. (espropriazione e requisizione in proprietà) e dell’Autorità Giudiziaria (vendite forzate, sentenze di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 cod. civ. o comportanti trasferimento della proprietà o di diritti reali), qualora il cedente (espropriato, esecutato, etc.) sia un soggetto IVA e ricorrano le altre condizioni per l’assoggettamento dell’operazione a IVA (circ. n. 12/E/2007). Quanto al momento nel quale l’operazione si intende effettuata, la regola generale fa riferimento alla stipula dell’atto o all’eventuale successivo prodursi degli effetti traslativi (come negli atti sottoposti a condizione sospensiva) – art. 6 DPR n. 633/72 ‐ ferma la rilevanza di eventuali pagamenti che precedano tali momenti. Le vendite forzate (esecuzioni immobiliari) si intendono effettuate ai fini IVA già al momento di pagamento del prezzo da parte dell’aggiudicatario secondo le modalità disposte con il decreto di aggiudicazione, ancorché il trasferimento del diritto abbia luogo con la successiva emanazione del decreto di trasferimento. Nelle vendite con riserva della proprietà (patto di riservato dominio) e nelle locazioni con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per entrambe le parti contraenti, l’operazione si considera comunque effettuata alla stipula, ancorché l’effetto traslativo si verifichi successivamente. Sul tema delle pertinenze cedute con atti separati e successivi a quello traslativo del bene principale (ove l’atto sia invece unico e soggetto a IVA la cessione della pertinenza costituirà operazione accessoria a quella del bene principale, confluendo il tutto in un’unica base imponibile ex art. 12, DPR n.633/72) ‐ a condizione che ricorrano i requisiti soggettivi e oggettivi di cui all’art. 817 del cod. civ. e che gli stessi siano evidenziati nell’atto separato con cui ha luogo il trasferimento della pertinenza – l’Ag. delle Entrate ha chiarito (circ. n. 12/E/2007 e successivi interventi) che per la pertinenza “perde”, per così dire, rilevanza la categoria catastale (di per sé, infatti, si tratterebbe di beni strumentali, essendo le pertinenze immobiliari classificate di regola nelle categorie catastali C/6 (box e posti auto), C/7 (tettoie) e C/2 (magazzini) per “subire” il trattamento proprio dell’unità principale, in precedenza trasferita, sia come regime (IVA o registro) che come aliquota. Tale principio comporterà così l’applicazione dell’IVA in caso di trasferimento da impresa costruttrice entro i quattro anni dall’ultimazione,ovvero dell’imposta di registro una volta decorso tale termine. In relazione al tema del trasferimento, con unico atto e in regime di IVA, di una unità abitativa e di più pertinenze, l’Ag. delle Entrate ha ribadito di recente (circ. n. 10 del 12.3.2010) l’applicabilità per una sola volta delle imposte di registro,ipotecarie e catastali in misura fissa (Euro 168,00 ciascuna), a prescindere dal numero delle pertinenze cedute, confermando quanto già affermato nella ris. n. 139/E del 20 giugno 2007. L’intervento di prassi si è rivelato peraltro necessario in relazione ai comportamenti degli uffici locali, riscontrati non sempre in linea e forieri di contenzioso o,comunque, di inaccettabili difformità. Sotto questo aspetto ricordiamo che la stessa D.R.E. della Lombardia con la ris. prot. n. 80992 del 22.9.2009 aveva sostenuto l’applicabilità dell’imposta di registro in misura fissa per le tre unità immobiliari trasferite (appartamento e due pertinenze), delle imposte ipotecaria e catastale in misura fissa una prima volta per l’abitazione principale e per la prima pertinenza (nel caso oggetto di esame soggette ad IVA con aliquota “prima casa” del 4%) ma anche,una seconda volta, delle medesime imposte ipotecaria e catastale, sempre in misura fissa, per la seconda pertinenza. La circolare n. 10/2010 risulta interessante non solo per le conclusioni raggiunte, ma anche per altre ragioni: essa contiene infatti un utile riepilogo dei principi che presiedono all’applicabilità del regime IVA (e delle imposte di registro e ipocatastali) alle cessioni immobiliari; inoltre, esplicita l’articolata logica giuridica che essa segue per giungere alle conclusioni già descritte. In pratica, l’Ag. delle Entrate inquadra la fattispecie nell’ambito dell’“unico negozio complesso”, regolato dall’art. 21, 2° c. del TUR, ritenendo che le diverse disposizioni contenute in un atto di compravendita posto in essere tra le stesse parti e avente ad oggetto un fabbricato abitativo e più pertinenze siano riconducibili ad un unico schema negoziale e derivino necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre. Pertanto, l’imposta di registro in misura fissa trova applicazione una sola volta per il trasferimento dell’immobile principale e delle relative pertinenze a prescindere dall’aliquota IVA, anche differente, alle stesse applicabile, e così pure le imposte ipotecaria e catastale. Detto delle imposte indirette, sempre in tema di pertinenze ma per quanto riguarda l’IVA richiamiamo un recente intervento dell’Ag. delle Entrate (ris. 94/E del 5.10.2010) con il quale è stato riconosciuto che nel caso di trasferimento di un’abitazione e di due pertinenze di categoria catastale C/6, ove trovino applicazione le agevolazioni “prima casa”, si avrà diritto per l’abitazione e per la prima pertinenza alle agevolazioni “prima casa”, mentre alle ulteriori pertinenze 12 si applicherà l’aliquota IVA 10% prevista per le abitazioni non di lusso, e non quella ordinaria del 20% prevista per gli immobili strumentali, in quanto assumono fiscalmente la medesima natura (“abitativa”) del bene principale, pur non potendo fruire dell’aliquota IVA 4% (cfr. per le condizioni anche circ. 12/2007, risp. 2, e la ris. 139/2007). Un caso che può essere foriero di dubbi è quello in cui l’atto di cessione di un immobile da parte dell’impresa costruttrice o ristrutturatrice avvenga una volta che sia già decorso il termine quadriennale o quinquennale di applicazione dell’IVA (ex art.10, nn. 8 bis e 8 ter del DPR n.633/72), ma prima del decorso di tale termine siano stati incassati acconti di prezzo,con conseguente emissione di fattura soggetta a IVA. In tali casi, al trasferimento del bene ci si trova di fronte a operazione non più imponibile IVA (salve, per gli immobili strumentali,le ipotesi in cui si ha comunque,per obbligo o per opzione, applicazione del regime di imponibilità IVA), i cui corrispettivi a saldo vanno dunque assoggettati al regime di registro, mentre gli acconti già incassati entro i quattro/cinque anni dall’ultimazione restano immodificabili, e dunque rimangono assoggettati in via definitiva al regime IVA, senza necessità o possibilità di stornarli mediante emissione di nota di variazione (art. 6,DPR n.633/72 e circ. n. 12/E/2007). In tale circostanza è stato rilevato in dottrina il rischio di possibile parziale duplicazione impositiva, nella eventualità che il cessionario invochi l’applicazione del “prezzo valore” di cui all’art. 1, comma 497 della L. 266/2005 (ricordiamo che tale specifica norma agevolativa si applica solo ed esclusivamente se cessionario è una persona fisica che non agisce nell’esercizio di imprese, arti o professioni e che acquista un immobile abitativo con, eventualmente, anche le relative pertinenze). Si ritiene in dottrina che tale problema possa essere risolto applicando il meccanismo del “prezzo valore” non sull’intero valore catastale del bene, come di regola accade in assenza di acconti, ma a una sua quota parte proporzionale alla quota del prezzo non ancora assoggettata a IVA. Occorre peraltro avvertire che a tale ipotesi di soluzione, per quanto essa appaia equilibrata e concettualmente corretta, non consta essere stata sinora data espressa conferma di condivisione da parte dell’Agenzia delle Entrate. Trattando del leasing immobiliare abbiamo già ricordato che, nel caso di riscatto di immobile abitativo, la base imponibile ai fini dell’imposta di registro e delle imposte ipotecaria e catastale doveva essere determinata, in vigenza della “Bersani – Visco”, secondo l’Ag. delle Entrate (cfr. circ.12/2007 e ris. n. 163/2009), come somma del prezzo di riscatto e dei canoni di locazione finanziaria depurati dalla componente finanziaria (quest’ultima determinabile secondo il D.M. 24.4.1998). Tale criterio era lo stesso già ritenuto applicabile nella circ. 12/E/2007 per il caso di riscatto di immobile strumentale soggetto a IVA ai fini delle imposte ipotecaria e catastale e si applicava anche nel caso in cui l’immobile, al momento del riscatto, avesse subito un deprezzamento di valore (ris. n. 24/2008) in quanto doveva essere garantita omogeneità fra la base imponibile in acquisto e quella in vendita in relazione all’applicazione in due fasi (per metà all’acquisto e per metà al riscatto) delle imposte ipocatastali. Come detto, la tematica risulta superata a partire dall’1 gennaio 2011 per effetto delle modifiche introdotte dalla L. 220/2010 alla disciplina della locazione finanziaria immobiliare,essendo ora il riscatto soggetto a imposte fisse di registro,ipotecaria e catastale. Come noto, l’art.10, n. 8 bis del DPR 633/72 prevede per gli immobili abitativi un regime di esenzione IVA abbastanza generalizzato e lineare, restando attratte nell’ambito dell’imponibilità IVA le sole cessioni operate dalle imprese costruttrici entro quattro anni (dall’1.1.2011 divenuti cinque anni grazie alla modifica apportata dalla legge di Stabilità per il 2011, L. 13.12.2010, n.220,art. 1,comma 86) dalla ultimazione oppure anche oltre nel caso particolare in cui entro tale termine il bene sia stato locato per un periodo non inferiore a quattro anni in attuazione di programmi di edilizia residenziale convenzionata: di fatto,con tale ultima disposizione si è inteso consentire l’assoggettamento a IVA delle cessioni abitative entro un lasso di tempo maggiore rispetto al quadriennio (ora quinquennio) post ultimazione; ciò per consentire di recuperare – neutralizzandolo – il periodo di locazione convenzionata intercorso medio tempore: ad es., se per tre dei quatto (ora cinque) anni del quadriennio (ora quinquennio) l’immobile abitativo fosse stato locato in attuazione di programmi di edilizia residenziale convenzionata,una volta terminata la locazione e ormai spirato il quadriennio (ora quinquennio), l’impresa costruttrice cedente avrà altri tre anni a disposizione entro i quali poter trasferire il bene in regime di IVA, senza incorrere in problemi di rettifica della detrazione IVA ed evitando penalizzazioni rispetto ad imprese costruttrici che non abbiano posto in essere tali forme di locazioni, tra l’altro socialmente meritevoli di apprezzamento. Si ritiene in dottrina (p. es. studio n. 144/2007 del Consiglio Nazionale del Notariato) che il tenore “generico” della norma la renda applicabile anche con riferimento a locazioni poste in essere in attuazione di forme di pianificazione privata, e non solo di edilizia residenziale pubblica di cui alla L.865/1971 e successive modifiche, alla sola condizione che sussista una convenzione tra l’impresa costruttrice e la Pubblica Amministrazione. Rispetto alle cessioni di abitazioni, assai più articolata risulta la struttura del regime IVA di cui all’art. 10, n. 8 ter del DPR n.633/1972,in forza del quale, come noto, l’affermato principio di esenzione Iva delle cessioni di immobili strumentali nei fatti si traduce in un prevalente regime di imponibilità IVA, dove l’eccezione (l’imponibilità IVA) in pratica diviene la regola. 13 La declinazione delle quattro ipotesi di imponibilità IVA stabilite dal citato art. 10, n. 8 ter deve essere necessariamente incrociata con la previsione di applicabilità obbligatoria del “reverse charge” di cui al successivo art. 17,6° c., lett. a bis) per le ipotesi di cui alle lettere b) (cessioni a soggetti passivi IVA con pro rata di detrazione pari o inferiore al 25%) e d) (imponibilità IVA per opzione espressa nell’atto di cessione) del medesimo art.10,n.8 ter. Il caso più delicato, fra i quattro ivi delineati, è quello di cui alla lettera b) dell’art.10, n.8 ter. L’applicazione obbligatoria dell’IVA in funzione del fatto che il pro rata di detraibilità del cessionario sia pari o inferiore al 25% e la necessità di fare riferimento in atto alla percentuale di detraibilità dell’anno precedente dichiarata dallo stesso cessionario potrebbero infatti comportare che in atto il cedente applichi il regime di esenzione da IVA a fronte della dichiarazione, resa dal cessionario, di supero della soglia del 25% nell’anno precedente, ma che poi il cedente debba intervenire per porre in essere le opportune rettifiche qualora il cessionario ex post gli comunichi che il pro rata dell’anno in cui l’operazione ha avuto compimento si è rivelato inferiore alla predetta soglia: in tal caso, dovrebbe essere stornata la fattura già emessa in esenzione da IVA (l’atto sarà stato in tal caso sottoposto a imposta di registro fissa e alle imposte ipotecaria e catastale proporzionali; la rettifica della detrazione assolta a monte dal cedente non sarà dovuta solo qualora l’immobile sia già al di fuori del periodo decennale di rettifica della detrazione IVA) ed emessa una nuova fattura, peraltro senza applicazione di IVA in quanto la fattispecie ricade sotto il reverse charge. In tali casi è buona prassi evitare di sottoporsi alle incertezze legate all’aleatorietà della percentuale di pro rata della controparte cessionaria, svincolandosi attraverso l’esercizio in atto dell’opzione per l’applicazione volontaria dell’IVA (n. 8 ter,lett. d), anche in questo caso con reverse charge obbligatorio. Nel caso il cessionario (o il locatario, nel caso di locazione, essendo il meccanismo analogo) sia un ente non commerciale che dichiari di voler destinare l’immobile strumentale all’esercizio dell’attività istituzionale, si avrà applicazione obbligatoria dell’IVA (circ. n. 27/2006); nel caso la dichiarazione sia di voler adibire il bene all’esercizio promiscuo di attività istituzionali e commerciali, secondo l’Ag. delle Entrate (ris. n. 40/2007) si avrà applicazione obbligatoria dell’IVA sull’intero prezzo (o canone di locazione). L’acquisto da parte di un privato di un immobile strumentale con applicazione dell’IVA si ritiene comporti il diritto alla detrazione qualora il bene venga poi destinato ad attività imprenditoriali o di lavoro autonomo. Immobili delle cooperative edili Per la rilevanza del tema, pare opportuno ricordare che, per quanto riguarda le cooperative edili, l’art. 4 ter, commi 4, 5 e 6,del D.L. 78/2009 (conv. dalla L. n. 102/2009) con decorrenza 5.8.2009 ha abrogato le agevolazioni in materia di IVA esistenti da molti anni e relative alla determinazione in misura ridotta della base imponibile (per le cessioni agli associati di abitazioni principali su aree in proprietà o in diritto di superficie da parte delle cooperative a proprietà divisa e per i corrispettivi periodici delle cessioni in godimento di alloggi agli associati da parte delle cooperative a proprietà indivisa), nonché per l’individuazione del momento impositivo IVA in quello di stipula del rogito, in deroga alle regole generali e quindi senza rilevanza del previo pagamento di eventuali acconti. Tali norme agevolative, ora abrogate, erano contenute nell’art. 3, commi 2 e 3, del D.L.90/1990 (conv. dalla L. n. 165/1990), nell’art. 1, 3° c. del D.L. 417/91 (conv. dalla L. 66/92) e nell’art. 6, comma 4 del DPR 633/72. Costituzione di diritto di superficie a tempo determinato su terreno agricolo La risoluzione n. 112/E del 28.4.2009 si è soffermata sulla ipotesi della costituzione del diritto di superficie a tempo determinato (25/30 anni) su un terreno ubicato in zona territoriale omogenea agricola (E/5) – zona di preminente interesse agricolo con perimetrazione di ambito per impianti fotovoltaici – sul quale realizzare impianti fotovoltaici per la produzione di energia elettrica. L’Agenzia delle Entrate nella circostanza ha ritenuto che: ‐ stanti le previsioni urbanistiche della zona, che consentono la possibilità di realizzare sui terreni in questione impianti fotovoltaici, non venga meno la destinazione agricola dei fondi sotto il profilo urbanistico e, conseguentemente, fiscale, non intervenendo, per effetto della costruzione degli impianti, alcuna variazione “automatica” della classificazione del terreno da agricola a edificabile; ‐ conseguentemente, ai fini delle imposte indirette, la costituzione del diritto di superficie (da stipularsi, ex art. 1350 cod. civ., per atto pubblico o scrittura privata, a pena di nullità, e da trascrivere ai sensi dell’art. 2643) costituirà cessione fuori campo IVA ai sensi dell’art. 2, 3° c. del DPR n. 633/72, come tale da assoggettare a imposta di registro proporzionale del 15% (art. 1, Tar. Parte I all. al DPR n. 131/86) e alle imposte ipocatastali (2%+1%); ‐ ai fini delle imposte dirette, posta l’equiparazione ex art. 9, 5° c. del DPR n. 917/86, fra cessioni a titolo oneroso e atti che comportano la costituzione o il trasferimento di diritti reali di godimento, i corrispettivi conseguiti (nella fattispecie, in regime di reddito di impresa) costituisce plusvalenza imponibile ex art. 86 del TUIR. Peraltro, secondo la risoluzione in discorso, detta plusvalenza non può essere determinata mediante confronto fra corrispettivo e costo non ammortizzato (ai sensi dell’art. 86, 2° c. del TUIR) in quanto << nel caso in esame, non si tratta di una 14 cessione in senso proprio, bensì della costituzione di un diritto reale di godimento, per la quale non é possibile individuare un costo storico, poiché il diritto nasce solo al momento della sua costituzione: la piena proprietà non incorpora in sé, per così dire in potenza, anche l'eventuale diritto di superficie. Quest'ultimo, infatti, rappresenta una deroga al principio dell'accessione, deroga in virtù della quale il proprietario del suolo non acquista la proprietà del bene che insiste o che sarà costruito sul suolo stesso. La costituzione del diritto di superficie, pertanto, non intacca la proprietà del suolo, ma impedisce che la stessa si espanda a ciò che insiste sopra il suolo (o sotto di esso). Soltanto alla scadenza dello stesso ci sarà un espandersi della proprietà a ciò che é stato costruito, cosa che tuttavia sembra esclusa nel caso in esame, dal momento che, come sopra ricordato, la legge impone l'obbligo del ripristino dello stato dei luoghi a carico dell'esercente a seguito della dismissione dell'impianto. Si ricorda, inoltre, il principio affermato ai fini della deducibilità del costo del terreno, in base a cui l'acquisto del diritto di superficie non é comprensivo del valore del terreno e il diritto di superficie non incorpora il valore del terreno e che soltanto l'acquisto del diritto di superficie a tempo indeterminato é sostanzialmente assimilabile all'acquisto in proprietà del terreno stesso (cfr. ris. 5.7.2007, n. 157/E; ris. 27.7.2007, n. 192/E), mentre con il diritto di superficie a tempo determinato non esiste un definitivo depauperamento in capo al proprietario. Pertanto, il corrispettivo per la costituzione del diritto di superficie su un bene patrimoniale o strumentale rappresenta un componente positivo di reddito imponibile quale plusvalenza, che, qualora ne ricorrano i presupposti previsti dall'art. 86, 4° c., del TUIR, potrà essere rateizzata, tenendo conto del periodo di possesso del terreno, dal momento che trattasi della costituzione di un diritto reale e non di un diritto personale di godimento>>. ‐ <<ai fini dell'IRAP, in virtù dell'art. 5, 3° c., D. Lgs. n. 446/97, come modificato dalla L. 244/07, "...le plusvalenze e le minusvalenze derivanti dalla cessione di immobili che non costituiscono beni strumentali per l'esercizio dell'impresa, né beni alla cui produzione o al cui scambio é diretta l'attività dell'impresa, concorrono in ogni caso alla formazione del valore della produzione". Trattamento analogo deve essere riservato alle plusvalenze da cessioni di beni strumentali. Si ritiene, pertanto, che nel caso in esame la plusvalenza in parola concorra alla formazione del valore della produzione netta imponibile ai fini IRAP>>. Per completezza, segnaliamo che le richiamate risoluzioni nn. 157/E e 192/E del 2007 avevano chiarito ‐ ai fini delle imposte dirette e dopo l’entrata in vigore dell’art. 36, commi 7, 7 bis e 8 del D.L. n. 223/2006 ‐ la perdurante possibilità di ammortizzare il diritto di superficie acquisito a tempo determinato, proprio in quanto il diritto di superficie (nella duplice sua possibile configurazione civilistica di “ius aedificandi”, ossia di acquisto del diritto di costruire su di un suolo altrui inedificato, o di “proprietà superficiaria”, ossia di acquisto della proprietà di una costruzione già esistente), se acquisito a tempo determinato, non incorpora il valore del terreno. Le aree destinate a impianti e attrezzature pubbliche Con la ris. n. 170/E del 3.7.2009 l’Ag. delle Entrate ha affrontato in modo approfondito l’argomento delle aree destinate a impianti e attrezzature pubbliche (ad es.: verde pubblico, impianti sportivi attrezzati, etc.), per le quali si dibatte circa la natura edificabile o meno ai sensi dell’art. 36 del D.L. n. 223/2006. La risoluzione, richiamata la recente giurisprudenza della Corte di Cassazione in tema di indennità di espropriazione (sent. nn. 1626/2006 e 19591/2008) ai sensi della quale l’edificabilità di un’area ricomprende non solo l’edificabilità abitativa ma ogni intervento che possa rientrare nel concetto di edificazione, ha conformemente concluso che se di regola le aree rientranti tra quelle destinate a impianti e attrezzature pubbliche di interesse generale non sono qualificate edificatorie, esse possono essere definite tali qualora il vincolo di inedificabilità, in presenza di determinate condizioni, possa essere superato. Tali condizioni, secondo l’indirizzo della Corte di Cassazione, si estrinsecano nella possibilità di attuare interventi edificatori a opera dei privati e, in ragione di ciò, qualora l’area non sia effettivamente destinata a uso esclusivamente pubblicistico e siano possibili iniziative edificatorie private o promiscue, l’edificabilità del suolo non può essere esclusa in modo assoluto. Il tema assume rilevanza sotto vari profili: in primo luogo per individuare il corretto regime applicabile ai fini di vari tributi (p.es: IVA o registro; ICI su base catastale come area non edificabile o a valore di mercato come area edificabile), in secondo luogo per la determinazione della base imponibile, a valori venali o a valori catastali, e conseguentemente anche ai fini delle procedure di accertamento. La cessione di azienda comprensiva di immobili e il conferimento immobiliare:problematiche relative all’applicazione delle imposte ipotecaria e catastale Si segnala che il conferimento di immobili in società, così come la cessione di azienda nella quale siano presenti immobili, ai fini dell’imposta di registro consentono di dedurre le eventuali passività gravanti sui rispettivi asset (l’immobile o l’azienda comprendente immobili, nei due casi); diversamente, ai fini delle imposte ipotecarie e 15 catastali, l’imponibile – ancorché il valore dell’immobile sia comunque assunto nella stessa misura in cui viene dichiarato, o definito a seguito di accertamento, ai fini dell’imposta di registro – viene determinato dall’Amministrazione Finanziaria al lordo delle medesime passività; tesi condivisa da tempo, in più sentenze, dalla stessa Corte di Cassazione. La permuta fra immobili (Artt. 11 e 13 del DPR n. 633/72; artt. 40, 2° c. e 43, 1° c., lett. b) del DPR n. 131/86) Un caso che nella prassi immobiliare si verifica non di rado è quello della permuta, spesso fra un’area edificabile ceduta da un privato a un’impresa di costruzioni in cambio di una o più unità immobiliari di futura costruzione integrata da un conguaglio monetario. Sotto il profilo IVA ‐ che assume rilievo allorquando una o entrambe le cessioni in permuta sono soggette a IVA ‐ si ricorda che le due operazioni devono essere considerate e trattate in modo separato e assoggettate al rispettivo regime (IVA e registro, come autonomamente applicabili, con le rispettive aliquote di imposta), ai sensi dell’art. 11 del DPR n. 633/72 e dell’art. 40, 2° c. del DPR n. 131/86. In tal caso, per espressa deroga ai principi generali disposta dall’art. 13, 2° c., lettera d) del DPR n. 633/72, la base imponibile ai fini IVA delle cessioni e delle prestazioni di servizi in ipotesi di permuta è costituita dal valore normale dei beni e dei servizi che formano oggetto di ciascuna di esse. Diversamente accade qualora entrambe le cessioni in permuta rientrino nel regime dell’imposta di registro, nel qual caso l’applicazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale ha luogo sul valore del bene che da luogo all’applicazione della maggiore imposta di registro, tenendo conto di eventuali agevolazioni applicabili ai beni stessi. Nell’ipotesi in esame di permuta fra area edificabile ceduta da un privato dietro permuta di unità immobiliari erigende da parte dell’impresa costruttrice – esaminata nella ris. Min. Fin. n. 360918 del 5.8.1978 ‐ la tassazione avrà luogo con le seguenti modalità: ‐ la tassazione della cessione in permuta operata dall’impresa di costruzioni – soggetta a IVA in quanto cessione di unità di nuova costruzione ‐ avrà luogo sul valore normale delle erigende unità immobiliari cedute in permuta; nel caso, frequente, in cui sia pattuito un conguaglio in danaro lo stesso non rileverà ai fini della determinazione della base imponibile; ‐ per la tassazione della cessione del terreno effettuata dal privato (soggetta a imposta di registro) la base imponibile sarà costituita dal valore venale dell’area ceduta dichiarato in atto (valore che dovrebbe risultare in linea con il valore venale degli appartamenti permutati più il conguaglio in danaro) se ritenuto congruo; in caso contrario, dal valore venale accertato dall’ufficio (art. 51 del T.U.R.). Nel caso invece in cui il cedente l’area sia anch’esso un soggetto IVA, la base imponibile è data dal valore normale dell’area stessa. Nell’ipotesi di stipula e di registrazione di un contratto preliminare (permuta di cosa presente – l’area edificabile ‐ dietro cosa futura) la valutazione di congruità dei valori dovrà essere riferita a tale momento e non alla data di stipula del successivo atto notarile. Il momento impositivo della cessione degli erigendi appartamenti è rappresentato dalla data della cessione dell’area che ne costituisce il corrispettivo (ris. n. 360918 del 5.8.1978, che richiama la sent. della Corte di Cassaz. n. 4842/1982, confermata dalla successiva sentenza della Corte di Cassazione n. 10510/1991) e non dalla data di stipula del successivo atto di cessione degli appartamenti frattanto costruiti. L’assegnazione ai soci, l’autoconsumo e il conferimento L’assegnazione (e l’autoconsumo) di immobili effettuata da un soggetto IVA (art. 2, 2° c., n. 6 del DPR n. 633/72) è trattata come una normale cessione per quanto riguarda le fattispecie, i regimi (IVA o registro) e le aliquote applicabili, ma l’imponibile è dato dal prezzo di acquisto o, in mancanza, dal prezzo di costo dei beni o di beni simili, “determinati nel momento in cui si effettuano tali operazioni” (art. 13, 2° c, lettera c) del DPR n. 633/72,come modificato dall’art. 24 della “Legge Comunitaria 2008” n. 88/2009; in precedenza, la base imponibile di queste operazioni “senza corrispettivo” era data dal “valore normale”): circa il concreto significato della nuova nozione, con particolare riferimento alla locuzione di natura temporale (“determinati nel momento in cui si effettuano tali operazioni”), dal significato ambiguo, occorre notare come manchino ancora oggi indicazioni operative da parte dell’Agenzia delle Entrate su come procedere per addivenire alla rideterminazione del prezzo di acquisto o di costo nel momento in cui si effettuano le operazioni di assegnazione/estromissione. Il tema è stato affrontato in alcuni studi da autorevole dottrina (ci limitiamo a citare in questa sede la circolare Assonime n. 42/2009, pur non mancando anche contributi di autorevoli studiosi) senza pervenire a soluzioni operative assolutamente certe (soprattutto per quanto riguarda la modalità di quantificazione e di depurazione dell’eventuale “deperimento” da dedurre dal costo del bene). Pare peraltro potersi affermare con sicurezza che tale nuova nozione non vada concettualmente identificata con quella di “valore normale”, dovendosi piuttosto considerare come punto di partenza il prezzo di acquisto o di costo del 16 bene (purché l’IVA sia stata detratta), al quale si devono poi aggiungere gli eventuali miglioramenti duraturi (sempre se con IVA detratta) e dedurre, previa quantificazione (come detto, problematica anche per l’assenza di indicazioni operative dell’Agenzia delle Entrate sulla procedura di calcolo “condivisa” da seguire), il deterioramento subito dal bene fra la sua acquisizione e la sua dismissione. Nel calcolo di cui trattasi non assumono rilievo né i ricarichi, né eventuali costi del personale utilizzato (ad esempio, per effettuare interventi incrementativi in economia sul bene). La nozione, come si vede, in tal modo effettivamente si discosta da quella di “valore normale” e tende a misurare il valore residuo del bene all’atto del suo prelievo dall’ambito imprenditoriale o professionale. Ricordiamo anche che se (e per quanto) l’IVA non fosse stata detratta, l’autoconsumo o l’assegnazione ai soci o le cessioni gratuite (di immobili o di altri beni) non devono essere assoggettati a tale tributo, restandone esclusi, ciò che accade, per esempio, per gli acquisti fatti prima dell’introduzione dell’IVA (1 gennaio 1973), per gli acquisti fatti da soggetti privati e negli altri casi in cui per ragioni di carattere normativo o fattuale l’IVA non è stata detratta. Scopo delle norme in esame è infatti di evitare che beni per i quali l’IVA è stata detratta a monte, attraverso forme di estromissione senza corrispettivo dal ciclo produttivo (di impresa o di lavoro autonomo) possano essere immessi in consumo “detassati”, con ciò alterando anche la parità di trattamento con i normali consumatori, rischio che non sussiste laddove l’IVA non sia stata invece detratta. L’assegnazione di immobile soggetta a imposta di registro è invece regolata dall’art. 4 della Tariffa Parte I allegata al DPR n. 131/86, che fa rinvio alle aliquote previste per le cessioni di beni e diritti immobiliari stabilite dall’art. 1 della medesima Tariffa, fatte salve due eccezioni che godono di trattamenti di aliquota più favorevoli (4%) in quanto equiparate ai conferimenti (a loro volta, normalmente trattati come le cessioni, sotto il profilo delle aliquote, salve appunto le due ipotesi in questione previste dall’art. 4, 1° c., lett. a) n.2 della Tariffa parte I allegata al DPR n. 131/86): ‐ fabbricati strumentali destinati all’esercizio di attività commerciali non suscettibili di altra destinazione senza radicali trasformazioni ( 4% anziché 7%) ‐ aree destinate alla costruzione dei predetti fabbricati o a loro pertinenza (4% anziché 8%) purché l’edificazione sia compiuta entro cinque anni dall’assegnazione. La base imponibile è la stessa della cessione, tuttavia, mancando un corrispettivo, rileva necessariamente il valore dichiarato in atto, se ritenuto congruo dall’Agenzia delle Entrate in sede di verifica; in caso contrario il valore venale in comune commercio come accertato e definito. In tema di conferimenti di immobili, ricordiamo come non esista in dottrina unanimità di vedute circa la determinazione della base imponibile, in base al valore del bene conferito piuttosto che sulla base del valore delle quote o azioni ricevute, essendoci autorevoli fautori di entrambe le tesi. La divergenza è determinata dall’assenza di una norma specifica, che invece esiste per l’assegnazione, cosicché vi è chi ritiene di dover assimilare il conferimento alla permuta (facendo quindi riferimento al valore normale del bene ceduto) e chi invece alla cessione a titolo oneroso, nel qual caso rileverebbe il corrispettivo, dato nella fattispecie dal valore delle azioni o quote ricevute. Nuova nozione di “valore normale”ai fini IVA Si ritiene opportuno ricordare anche che, sempre a opera dell’art. 24 della L. n. 88/2009, è stata riformulata la nozione di “valore normale” in ambito IVA (Art. 14, DPR n.633/72) e sono state introdotte alcune norme, contenute nell’art. 13, in materia di determinazione della base imponibile (con modalità diverse dall’assunzione dei corrispettivi pattuiti, come invece di regola avviene) in specifiche ipotesi normative caratterizzate dal fatto che l’effettuazione delle operazioni stesse ha luogo fra soggetti legati fra loro da rapporti di controllo o di collegamento. Trattasi di temi di carattere generale ‐ e non di esclusivo interesse del settore immobiliare ‐ che possono peraltro assumere notevole rilevanza anche in tale ambito e sulle quali mancano, allo stato, specifiche indicazioni dell’Agenzia delle Entrate. Nuovo obbligo di indicare i dati catastali nei contratti di locazione Ricordiamo che la manovra finanziaria estiva 2010 ha introdotto l’obbligo di indicare nei contratti di locazione i dati catastali degli immobili che ne sono oggetto (art. 19, comma 15, del D. L. n. 78/2010 conv. dalla L. n. 122/2010):<<La richiesta di registrazione di contratti, scritti o verbali, di locazione o affitto di beni immobili esistenti sul territorio dello Stato e relative cessioni, risoluzioni e proroghe anche tacite, deve contenere anche l'indicazione dei dati catastali degli immobili. La mancata o errata indicazione dei dati catastali è considerata fatto rilevante ai fini dell'applicazione dell'imposta di registro ed è punita con la sanzione prevista dall'articolo 69 del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131>>. 17 Nuovo obbligo di attestare la conformità fra situazione catastale e situazione di fatto nei contratti comportanti trasferimento di immobili o di diritti reali immobiliari Ricordiamo anche che l’art. 19, comma 14, del D.L. n.78/2010, come modificato in sede di conversione dalla L. n. 122/2010, ha introdotto nell’art. 29 della L. n. 52/1985 una importantissima norma (comma 1 bis) secondo la quale <<Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione resa in atti dagli intestatari,della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale, La predetta dichiarazione può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari>>. La norma sopra richiamata è stata oggetto di approfondito commento da parte delle circolari n. 2 (del 9.7.2010) e n. 3 (del 10.8.2010) dell’Agenzia del Territorio, alla cui lettura facciamo rinvio per ogni opportuno approfondimento tecnico. Ci limitiamo in questa sede a segnalare che la citata circolare n. 3/2010 ha espressamente escluso dall’ambito di applicazione della norma (che fa riferimento alle “unità immobiliari urbane”) tutte quelle porzioni immobiliari che, in relazione alle finalità proprie dell’inventario catastale, necessitano di essere comunque dichiarate al mero scopo di completare la conoscenza del patrimonio immobiliare. Si fa espresso riferimento,da una parte, a quegli immobili –o porzioni – elencati nelle categorie fittizie del gruppo “F”,menzionate nell’art. 3,c. 2, del D.M. Finanze 2.1.1998, n.28 (aree urbane, unità collabenti, unità in corso di costruzione, unità in corso di definizione, lastrici solari) e, dall’altra, ai cosiddetti “beni comuni non censibili” (cioè beni comuni a più unità immobiliari e privi di rendita),che vengono individuati,di massima, nelle seguenti tipologie: androni, scale, aree di passaggio, cortili e terrazzi condominiali, ecc.). Appare evidente come i predetti nuovi obblighi normativi,di carattere catastale, impongano una ben più attenta pianificazione delle attività che il locatore e il cedente devono ora svolgere (o preoccuparsi di far svolgere a un professionista di fiducia, con congruo anticipo) prima di poter locare o trasferire un immobile e come essi siano ben suscettibili di comportare (a fronte di maggiori costi professionali) forti miglioramenti sul piano della coincidenza fra la situazione catastale e lo stato di fatto degli immobili, ciò che a sua volta può determinare anche importanti riflessi di carattere fiscale: ad esempio, da un riallineamento fra la situazione catastale e quella di fatto potrebbe derivare l’accatastamento di porzioni che in passato ne erano prive, un cambio della categoria catastale, della classe, della consistenza o della rendita del bene, tali da poter anche comportare l’assoggettamento a un’imposta anziché a un’altra (p. es., al regime IVA anziché dell’imposta di registro) e/o modifiche nella determinazione della base imponibile ai fini delle imposte di registro,ipotecaria e catastale (si pensi, ad esempio alla possibilità o al venir meno della possibilità, a seguito del corretto accatastamento del bene, di fare ricorso al criterio del c.d. “prezzo valore”), nonché dell’ICI, in quanto commisurate a dati catastali diversi e allineati alla situazione di fatto rispetto a quelli preesistenti. Per completezza segnaliamo la recentissima divulgazione di un’ulteriore circolare dell’Ag. del Territorio (n. 7 del 18.11.2011) avente a oggetto aspetti attinenti alle tematiche qui esaminate. Accordi per la riduzione del canone La ris. n. 60/E del 28.6.2010 ha precisato che l’accordo tra locatore e conduttore per ridurre il canone di locazione inizialmente pattuito, fattispecie non rara soprattutto in tempi di crisi, non deve essere necessariamente comunicata agli uffici delle Entrate in quanto gli artt. 3 e 17 del DPR n. 131/1986 determinano in maniera esplicita gli eventi, successivi alla conclusione del contratto, che devono essere automaticamente assoggettati a registrazione, individuandoli nelle cessioni, risoluzioni e proroghe: la riduzione del canone, che consiste esclusivamente nella modifica di un patto già in essere, non comporta la fine del precedente contratto, né il versamento di una maggiore imposta. In tal senso si era già espressa la Corte di Cassazione, sez. III, del 9 aprile 2003, n. 5576, laddove aveva specificato che «la novazione oggettiva del rapporto obbligatorio postula il mutamento dell’oggetto o del titolo della prestazione» mentre «le sole variazioni del canone non sono indice di novazione di un rapporto di locazione». Qualora quindi venga accordato uno sconto sul canone di locazione e lo stesso venga ratificato in un nuovo patto, quest’ultimo non deve essere registrato in termine fisso. Occorre tuttavia evidenziare che il canone di locazione è la base imponibile per l’imposta di registro, per l’IVA e per le imposte sui redditi. Ne consegue che, per garantire la certezza dell’accordo e renderlo così opponibile a terzi (tra cui proprio l’Amministrazione Finanziaria), è comunque opportuno, se non necessario, procedere alla registrazione volontaria a tassa fissa di 67 Euro. 18 1.4 Il reverse charge nel settore immobiliare ed edile (Art. 17, 6° c., lettere “a” e “a bis”) A partire dal 2006 è stata prevista per il settore immobiliare, con finalità antievasive dell’IVA, l’applicazione del reverse charge ad alcune importanti fattispecie. Le norme in questione si riferiscono a due tipi di fattispecie ben distinte. La lettera “a bis” si riferisce infatti alle cessioni (o, per meglio dire, agli atti di trasferimento della proprietà e di trasferimento o costituzione di diritti reali di godimento, secondo la più ampia nozione di cui all’art. 2, 1° c. del DPR n.633/72) di fabbricati nelle sole ipotesi contemplate dall’art. 10, n. 8 ter, lettere b) e d) del DPR n.633/72, entrambe relative agli immobili strumentali. Restano pertanto estranei al reverse charge i trasferimenti di immobili abitativi e di aree edificabili e relativi diritti reali, di terreni agricoli (questi ultimi sono esclusi peraltro da IVA),nonché i trasferimenti di immobili strumentali non rientranti nell’ambito delle citate lettere b) e d),bensì sotto le lettere a) e c) del richiamato art. 10,n. 8 ter, del DPR n. 633/72. La lettera “a” riguarda invece i rapporti di subappalto e, più precisamente, <<le prestazioni di servizi, compresa la prestazione di manodopera, rese nel settore edile da soggetti subappaltatori nei confronti delle imprese che svolgono l’attività di costruzione o ristrutturazione di immobili ovvero nei confronti dell’appaltatore principale o di un altro subappaltatore. La disposizione non si applica alle prestazioni di servizi rese nei confronti di un contraente generale a cui venga affidata dal committente la totalità dei lavori>>. Il meccanismo di inversione contabile all’esame non opera quindi nel rapporto fra il committente e l’appaltatore principali, bensì a valle di quest’ultimo. Le Entrate assimilano all’appalto il contratto d’opera, mentre reputano che esulino dal reverse charge le prestazioni d’opera intellettuale resse da professionisti, non configurandosi come prestazioni di manodopera e non concorrendo alla materiale realizzazione del manufatto. A differenza della fattispecie di cui alla lettera “a bis”, la norma in questione si applica indistintamente agli immobili abitativi e a quelli strumentali. A fronte delle conseguenze finanziarie negative che il sistema del reverse charge comporta per i subappaltatori, sono state previste specifiche norme volte ad agevolare il recupero dei crediti IVA che tendono a formarsi mediante compensazione o rimborsi assistiti da facilitazioni rispetto a quanto previsto dalle regole generali. Da un punto di vista applicativo la difficoltà principale si incontra nella individuazione delle prestazioni che ricadono nell’ambito del reverse charge. Soprattutto fra il 2006 e il 2007 l’Ag. delle Entrate ha fornito in numerosi documenti di prassi svariate esemplificazioni e indicazioni. E’stato così chiarito che il meccanismo si applica alle prestazioni che configurano appalto o contratto d’opera (prestazioni di “fare”) e non anche alle semplici cessioni tout court, neppure nella variante delle cessioni con posa in opera. Tale distinzione (fra prestazioni di servizi e cessioni con posa in opera), spesso sfuggente, è stata a sua volta, non senza difficoltà, affrontata dall’Amministrazione Finanziaria sin dagli anni successivi all’entrata in vigore dell’IVA in quanto rilevante per la corretta applicazione del tributo alle prestazioni di servizi manutentivi, talvolta qualificabili quali semplici cessioni con posa in opera alle quali si rende applicabile non la disciplina dei servizi ma, appunto, quella delle cessioni. La linea di discriminazione fra prestazione di servizio e cessione di bene è stata individuata (spesso più sul piano concettuale che della concreta individuazione pratica) nella prevalenza del “fare” (prestazione di lavoro) sul “dare” (cessione) e sulla natura e origine dei beni oggetto della prestazione, che possono essere beni sostanzialmente standardizzati (nei quali la prestazione lavorativa è diretta ad adattare il bene alle esigenze del cliente o a consentirne la fruizione, senza però modificarne la natura) piuttosto che configurare la realizzazione di un “qualcosa di nuovo”, ossia il conseguimento di un risultato diverso e nuovo rispetto al complesso dei beni utilizzati per l’esecuzione dell’opera, nel qual caso la prestazione di servizi si deve ritenere assorbente rispetto alla cessione del materiale impiegato (cfr., p. es., la ris. n. 220/E/2007). Non determinante risulta la qualificazione formale del contratto attribuita dalle parti (c.d. “nomen iuris”), dovendosi compiere, di volta in volta, una valutazione della sua intrinseca natura e della finalità perseguita dai contraenti. Tra gli ulteriori elementi da valutare per la corretta configurazione dell’operazione e per il suo assoggettamento o meno al reverse charge obbligatorio assumono rilievo la prevalenza o meno del valore dei materiali e dei beni rispetto alla prestazione d’opera; la circostanza che i beni siano prodotti o commercializzati dalla stessa impresa che li assembla e pone in opera, fermo restando che, in presenza di un risultato complesso diverso e nuovo rispetto alla semplice somma dei beni che lo compongono, la stessa Ag. delle Entrate ha riconosciuto la sussistenza di un rapporto di servizio e non di una semplice cessione con posa in opera. Con riferimento al tema del reverse charge nei contratti di subappalto, l’Ag. delle Entrate ha ritenuto di poter individuare i soggetti operanti nel settore edile (e quindi interessati al predetto meccanismo) in quelli caratterizzati da un codice attività ricadente nella sezione “F” della tabella Atecofin 2004 (poi sostituita dalla tabella Ateco 2007) se avente come prime due cifre “45” (sulla base delle note esplicative dei codici Atecofin) con la precisazione che entrambe le parti devono presentare tale requisito e quindi rientrare nel settore edile. Non rileva invece la natura del committente principale dell’opera, che potrebbe anche non essere un soggetto che rientra nel settore edile, posto che il reverse charge opera solo – quando esso opera – “a valle” del rapporto fra committente principale e appaltatore 19 principale (p. es: il reverse charge opera fra appaltatore principale e subappaltatore e nei rapporti fra subappaltatori). Peraltro, secondo le Entrate, il reverse charge si applicherebbe anche con riferimento alle prestazioni oggettivamente rientranti nei codici del tipo “F 45” ancorché rese, quali “prestazioni secondarie”, tra soggetti aventi codici ATECO non ricompresi in tale ambito in quanto riferiti alle loro attività tipiche e ricorrenti (secondo la circolare Assonime n. 45/2007, invece, per l’applicazione del reverse charge è necessario che l’appaltatore sia un soggetto che svolge attività edilizia non occasionale, mentre è condivisa l’impostazione estensiva dell’Ag. delle Entrate relativamente ai subappaltatori). Le tipologie di opere di cui ai codici sopra richiamati sono,in sintesi, le seguenti: lavori generali di costruzioni, lavori speciali di costruzione per edifici e opere di ingegneria civile, lavori di installazione dei servizi in un fabbricato,lavori di completamento degli edifici. Non rientrano nel reverse charge (in quanto estranee alla sez. “F”) le prestazioni (quali l’installazione, l’adattamento, il montaggio) semplicemente accessorie alla cessione di beni e materiali da parte di imprese aventi per oggetto della propria attività la produzione e/o la commercializzazione dei beni stessi: in questi casi, infatti, l’accessorietà della prestazione comporta che permanga e prevalga la codifica dell’operazione principale,consistente nella produzione (sez. “D” –settore manifatturiero ‐ di Ateco) o nella commercializzazione (sez. “G” – settore del commercio all’ingrosso e al dettaglio). In alcuni documenti di prassi l’Ag. delle Entrate ha affrontato il caso delle strutture associative (consorzi e società consortili; ATI, ma in questo caso con distinzioni a seconda che abbia o meno rilevanza esterna: cfr ris. n. 172/2007) concludendo,dopo avere modificato l’orientamento assunto in un primo momento, che se la struttura associativa applica il reverse charge nei confronti del proprio committente, allora anche i rapporti fra la struttura e i propri associati devono sottostare al medesimo criterio. Stessa conclusione per il rapporto fra la cooperativa e i propri soci. Circa il montaggio e smontaggio di ponteggi, lo stesso rientra fra le prestazioni di servizio (come tale, soggetto a reverse charge in presenza degli altri requisiti) salvo che il prestatore non operi come mero esecutore delle direttive del committente, senza l’autonomia organizzativa che rappresenta un elemento fondante dell’appalto. Analogamente, il noleggio con manovratore di macchine e attrezzature per la costruzione o la demolizione (“nolo a caldo”) non rientra nel reverse charge, benché caratterizzato da codice ATECO di tipo “F 45”, in quanto reso in base ad accordo negoziale (il noleggio) diverso dalle tipologie contrattuali (appalto o contratto d’opera) rilevanti ai fini dell’inversione contabile. Tuttavia, il reverse charge si applicherà qualora l’obbligazione contrattuale non preveda il semplice noleggio del mezzo con conducente, ma piuttosto una prestazione di risultato ‐ la demolizione o l’edificazione (ris. n. 205/2007) ‐ da attuarsi anche con l’apporto di tali risorse e con autonomia organizzativa da parte del soggetto che rende disponibile il noleggio: in tal caso, infatti, non si avrebbe più semplice noleggio (sia pure con conducente) caratterizzato da mera esecuzione materiale delle direttive del committente, bensì una vera e propria obbligazione di risultato. Interessante è anche il caso in cui la cessione di beni con posa in opera (non soggetta a reverse charge) sia materialmente eseguita non dal fornitore ma da un terzo dallo stesso incaricato: neppure a questo secondo rapporto si applica il reverse charge in quanto appalto, e non subappalto, posto che la prestazione che sta a monte costituisca una cessione di beni con posa in opera e non una prestazione di servizio (in appalto o con contratto d’opera): cfr. le risoluzioni n. 148/2007, 164/2007 e 172/2007. Il reverse charge non si applica, nel caso del project financing, al rapporto fra le società di project financing e le imprese a cui queste affidino l’esecuzione delle opere (ris. n. 101/2008): ciò in quanto nel “P.F.” (contratto di concessione pubblica) l’incertezza economico – finanziaria resta a carico del concessionario (aggiudicatario dei lavori e titolato per diritto alla successiva gestione delle opere), che non appare quindi qualificabile come mero appaltatore. I rapporti a valle fra concessionario e imprese esecutrici non sono quindi subappalti ma appalti e non sottostanno pertanto al reverse charge. Diversa l’ipotesi in cui si verta nel vero e proprio appalto pubblico, nel quale l’appaltatore risponde della sola buona esecuzione delle opere e non della loro successiva gestione, nel qual caso si rientra nei normali canoni interpretativi che prevedono l’applicazione del reverse charge alle prestazioni “a valle” della principale, se e in quanto subappalti. Tale criterio,al ricorrere di tutte le altre condizioni, è stato ritenuto applicabile anche nel caso di rapporto “In house providing” (ris. n. 155/2008), a nulla rilevando la circostanza che fra l’ente pubblico committente e l’impresa appaltatrice partecipata sussista un rapporto per così dire “interorganico”, quasi come se l’appaltatore operasse alla stregua di un ufficio interno dell’ente committente. L’errata qualificazione del rapporto contrattuale dal quale consegua una errata applicazione del reverse charge comporta conseguenze sanzionatorie rilevanti (cfr. art. 6, comma 9 bis, D.Lgs. n. 471/97), ancorché il diniego alla detrazione dell’IVA (sanzione ulteriore e impropria, affermata in un primo momento dall’Amministrazione Finanziaria) sia stato poi fugato (ris. n. 56/2009), al fine di salvaguardare il principio di neutralità dell’IVA, a seguito della sentenza della Corte di Giustizia U.E. 8.5.2008 (cause riunite C 95/07 e C 96/07) relativamente ai casi in cui gli obblighi sostanziali siano stati soddisfatti, ancorché incorrendo in errore nell’applicazione del corretto regime (a seconda dei 20 casi, reverse charge oppure criterio ordinario) e pertanto dovendo comunque sottostare all’applicazione delle sanzioni. Occorrerà quindi verificare caso per caso se il cedente/prestatore o il cessionario/committente abbiano o meno assolto l’IVA: il primo soggetto addebitandola erroneamente, anziché fare applicazione del reverse charge, e dovendola poi versare all’Erario; il secondo soggetto assolvendola con la regolare doppia annotazione in applicazione del reverse charge pur facendo applicazione di tale modalità al di fuori dei presupposti di legge). 1.5 Gli appalti e le prestazioni di servizio per manutenzioni e ristrutturazioni in regime IVA La materia è caratterizzata da una sostanziale stabilità normativa ed è regolata dal principio di equiparazione fra prestazioni di servizio e atti traslativi (circa l’aliquota applicabile) di cui all’art. 16, 3° c. del DPR n. 633/72 (<<Per le prestazioni di servizi dipendenti da contratti d’opera, appalto e simili che hanno per oggetto la produzione di beni e per quelle dipendenti da contratti di locazione finanziaria, di noleggio e simili, l’imposta si applica con la stessa aliquota che sarebbe applicabile in caso di cessione dei beni prodotti, dati con contratti di locazione finanziaria, noleggio e simili>>). Nel fare necessariamente rinvio, per limiti di spazio, alla consultazione delle numerose specifiche fattispecie previste nelle tabelle allegate al DPR n. 633/72, ricordiamo che la legge finanziaria per il 2010 (L. n. 191/2009, art. 2, c. 11) ha segnato la “messa a regime” dell’aliquota intermedia del 10% prevista per le prestazioni di manutenzione ordinaria e straordinaria effettuate su edifici a prevalente destinazione abitativa privata dalla L. n. 488/99 (art. 7, 1° c., lett. b) e più volte prorogata, ma, sino a tale momento, “a termine” (da ultimo,con la L. n. 244/2007, art. 1, comma 18). Ricordiamo anche che per gli interventi di recupero di grado superiore alla manutenzione ordinaria e straordinaria (in pratica, per i restauri e i risanamenti conservativi, per le ristrutturazioni edilizie e urbanistiche) operava, e tuttora opera, “a regime”, ormai da molti anni, la previsione di cui al n. 127 quaterdecies della Tab.A/III allegata al DPR n.633/72, applicabile senza limitazioni temporali e senza distinzione tipologica fra case di abitazione e altri edifici a carattere non residenziale. Inoltre, per le manutenzioni straordinarie di edifici di edilizia residenziale pubblica, l’aliquota del 10% era prevista dal n. 127 duodecies della medesima tab. A/III. L’aliquota del 10%, ora prevista a regime per le manutenzioni ordinarie e straordinarie, può essere peraltro applicata non alla totalità della prestazione, ma a una base imponibile “ridotta” ove ci si trovi in presenza di beni c.d.”significativi” di cui al D.M. 29.12.1999: in presenza di tali beni, infatti, l’aliquota del 10% risulta applicabile al doppio della differenza fra il corrispettivo totale della prestazione e il valore del bene “significativo”, mentre l’eventuale differenza sconterà l’aliquota IVA ordinaria. Di fatto, l’intero corrispettivo sarà assoggettabile a IVA 10% qualora non vi sia utilizzo dei suddetti “beni significativi” oppure qualora il valore degli stessi non ecceda la metà del corrispettivo totale dell’intera prestazione. Per la configurazione dell’operazione in termini di prestazione di servizio (appalto,opera e simili), anziché come mera cessione di beni con posa in opera (non agevolabile), rinviamo ai chiarimenti già forniti trattando del reverse charge. Merita un approfondimento il tema della corretta individuazione dell’aliquota alle cessioni di materie prime o semilavorate e di beni “finiti” nel settore dell’edilizia, distinzione fondata sul principio della “mancata perdita della propria individualità, pur incorporandosi nell’immobile una volta utilizzati,ciò che ne consente la sostituzione in modo assolutamente autonomo dalla struttura della quale fanno parte”, che caratterizza soltanto i beni “finiti”, e non anche le materie prime e i semilavorati. Tale principio è stato affermato, approfondito, esemplificato e ribadito nel tempo in molteplici documenti di prassi, anche molto risalenti ma ancora attuali (cfr., p. es., le circolari n. 25/1979, 14/1981, 1/1994, 142/1994 e la ris. 39/96). Tra i beni finiti l’Amministrazione Finanziaria fa rientrare, ad esempio, ascensori, montacarichi, infissi esterni e interni, sanitari, prodotti per impianti idrici e di riscaldamento, nonché le relative prestazioni accessorie di posa in opera. Viceversa, non considera tali quelli che, pur essendo prodotti finiti per il cedente, costituiscono materie prime o semilavorate per il cessionario, quali ad es. mattoni, maioliche, chiodi, materiali e prodotti dell’industria lapidea in qualsiasi forma e grado di lavorazione, materiali inerti quali polistirolo liquido e o in granuli, leganti e loro composti; laterizi quali tegole,mattoni, comignoli; manufatti in gesso, cemento, laterocemento, ferro cemento,fibrocemento; materiali per pavimentazione interna o esterna e per rivestimenti quali moquette, pavimenti in gomma o in pvc, piastrelle di gres,marmo,maiolica, ceramica, lastre di marmo,listoni e doghe in legno, perline, pannelli di legno per rivestimenti, linoleum, carte da parati, piastrelle da rivestimento murale in sughero, battiscopa; materiali da coibentazione, impermeabilizzanti,isolanti flessibili in gomma per tubi. Ciò premesso, la normativa distingue fra cessioni di beni finiti e cessioni di materie prime o semilavorate, limitando l’applicazione dell’aliquota ridotta ai beni finiti acquistati da un soggetto che li impiega direttamente in realizzazioni agevolate svolte “in economia” o anche mediante appalto o subappalto: pertanto, lo stesso bene finito sconterà l’aliquota IVA ridotta se ceduto a un privato che costruisce la casa di abitazione non di lusso, l’aliquota ordinaria se compravenduto in uno stadio antecedente (p. es. tra produttore e grossista o tra grossista e commerciante). 21 Per la sistematica individuazione delle aliquote non ordinarie (4% o 10%, a seconda dei casi) applicabili nelle varie fattispecie facciamo rinvio alla consultazione delle tabelle allegate al DPR n. 633/72. L’Amministrazione Finanziaria ha avuto modo di precisare (ris. n. 353485/1982) che l’applicabilità dell’aliquota ridotta presuppone anche che oggetto di cessione sia il bene finito nel suo complesso, con o senza posa in opera, e non sue singole parti componenti. Circa le materie prime e semilavorate, si applica l’aliquota ordinaria in caso di compravendita, anche se con posa in opera,mentre si rendono applicabili le aliquote inferiori nel caso esse confluiscano all’interno di prestazioni di servizio (appalto,contratto d’opera e simili) agevolate. In questi ultimi casi è applicabile l’aliquota ridotta anche alle materie prime o semilavorate impiegate per realizzare l’opera commissionata dal cliente (ad. es. un impianto tecnologico): con aliquota 4% per gli interventi di cui al n. 39, Tab. A/II; del 10% per quelli di cui ai nn. 127 septies, duodecies e quaterdecies della Tab. A/III,ma anche per gli interventi manutentivi ordinari e straordinari di cui all’art. 7, 1° c., lett. b), L. n. 488/99 posti a regime dalla L. n. 191/2009. Pare utile richiamare, facendo rinvio alla loro lettura, alcune circolari dell’Ag. delle Entrate di ampio respiro, risalenti nel tempo ma ancora attuali e utili per molteplici fini interpretativi in ambito immobiliare, quali la n. 151/1999,la n. 247/1999 e la n. 71/2000. Circa il principio di equiparazione fra prestazioni in appalto e cessioni richiamiamo, anche per l’interesse generale che la stessa riveste (ancor più in considerazione del fatto che spesso le imprese sono – probabilmente per timore ed ignoranza della materia ‐ recalcitranti a riconoscere al cliente committente i benefici dell’aliquota ridotta) la recente risoluzione n. 22/E del 22.2.2011. Tale risoluzione ha confermato che anche agli interventi “fuori capitolato” relativi alla costruzione di abitazione “prima casa” (p. es. finiture migliorative o addizioni non previste dal capitolato), ancorché commissionati dall’acquirente finale (nello specifico, trattavasi di socio di cooperativa edilizia a proprietà divisa, ma il principio vale in generale) ad una impresa appaltatrice, anziché all’impresa costruttrice (concetto da intendersi secondo la nozione fiscale di “impresa costruttrice”), è applicabile l’IVA 4% (nn. 39 e 21 Tab.A/II DPR 633/72. Committenti agevolati possono essere imprese costruttrici per la rivendita, cooperative edilizie e loro consorzi o persone fisiche in possesso dei requisiti prima casa. La circolare 219/2000 aveva già applicato detto principio al caso dell’ampliamento. Condizione necessaria è che l’abitazione conservi caratteristiche non di lusso (da valutarsi non in base alla categoria catastale dell’immobile, bensì secondo i requisiti prescritti dal D.M. 2.8.1969) e che il committente abbia reso le prescritte dichiarazioni in ordine alla sussistenza dei requisiti prima casa. 1.6 Le agevolazioni per l’acquisto della “prima casa” e delle relative pertinenze nelle imposte indirette: importanti recenti precisazioni della prassi e della giurisprudenza Con la circolare n. 31 del 7.6.2010, interamente dedicata alle agevolazioni per l’acquisto della “prima casa”, l’Ag. delle Entrate ha fornito importanti interpretazioni sulle seguenti fattispecie: Trattamento fiscale delle pertinenze destinate a servizio di case di abitazione acquisite senza fruire delle agevolazioni “ prima casa ” Pertinenza di immobile acquistato prima che fossero istituite le agevolazioni “prima casa”. Domanda: un contribuente intende acquistare da un costruttore un box da destinare a pertinenza dell’abitazione non di lusso nella quale risiede. Tenuto conto che per l’acquisto dell’abitazione non ha fruito delle agevolazioni “prima casa” in quanto, all’epoca dell’acquisto (1978), la normativa vigente non contemplava tale previsione, chiede di conoscere se possa fruire di dette agevolazioni per l’acquisto della pertinenza. Risposta: In base alla disposizione recata dalla Nota II‐bis), punto 3, in calce all’art. 1 della Tariffa, Parte Prima, allegata al D.P.R. n. 131/86, (TUR), le agevolazioni “prima casa” spettano anche in relazione all’acquisto delle unità immobiliari classificate o classificabili nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, limitatamente ad una per ciascuna delle predette categorie, “…che siano destinate a pertinenza della casa di abitazione oggetto dell'acquisto agevolato”. Fondandosi sulla lettera della previsione normativa, l’amministrazione finanziaria, con circolare n. 19/E del 1.3.2001 (par. 2.2.2), ha escluso l’applicazione del beneficio nell’ipotesi di pertinenza da destinare ad un immobile acquistato in regime ordinario. Con il medesimo documento di prassi ha, tuttavia, chiarito che le agevolazioni “prima casa” si rendono applicabili anche quando il bene acquistato con atto separato costituisca pertinenza di una casa di abitazione ceduta da una impresa costruttrice, senza l’applicazione della specifica aliquota Iva ridotta, prima del 22 maggio 1993 (data in cui è stata soppressa l’applicazione dell’aliquota del 4 % prevista per tutte le cessioni di abitazioni effettuate da costruttori ed è stata limitata l’applicazione dell’aliquota stessa alle sole ipotesi di acquisto della c.d. “prima casa” (D.L. 22.5.1993, n. 155, conv. dalla L. 19.7.1993, n. 243). La suddetta deroga trova fondamento nella considerazione che, fino alla data del 22.5.1993, l’aliquota da applicare alle cessioni di abitazioni effettuate da costruttori (4%) coincideva con l’aliquota prevista per l’acquisto della “prima 22 casa”, circostanza che rendeva superflua la richiesta di fruizione del regime agevolato, pur sussistendo le condizioni per il riconoscimento. Sebbene, in via generale, la normativa di riferimento e la prassi correlata richiedano, ai fini del riconoscimento delle agevolazioni “prima casa” alle pertinenze, che queste ultime accedano ad un’abitazione acquisita fruendo dei medesimi benefici, occorre rilevare che un’interpretazione della disposizione recata dalla citata Nota II‐ bis), punto 3 del TUR, strettamente aderente al tenore letterale risulterebbe contraria all’obiettivo che il legislatore ha inteso perseguire attraverso la previsione del regime di favore, che può essere individuato nella volontà di agevolare l’acquisto dell’abitazione non di lusso e delle sue pertinenze, in ossequio ai principi sanciti dall’art. 47, comma II, della Costituzione secondo cui “la Repubblica favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione…”. Alla luce di tali considerazioni, si ritiene che la normativa di favore prevista per la “prima casa” possa trovare applicazione anche in relazione all’acquisto del bene pertinenziale destinato a servizio di un’abitazione acquisita senza fruire dei suddetti benefici in quanto non ancora previsti dalla normativa vigente al momento del trasferimento. Pertinenza di immobile acquisito allo “stato rustico” per il quale non si è fruito delle agevolazioni “prima casa”. Domanda: un contribuente intende acquistare un locale di categoria catastale C/2 (magazzini e locali di deposito) da destinare a pertinenza dell’abitazione principale. Il contribuente precisa di avere acquistato l’abitazione principale allo “stato rustico” e di non avere goduto dei suddetti benefici in quanto, al momento del perfezionamento del contratto (1994), non era riconosciuta la spettanza delle agevolazioni “prima casa” in relazione agli atti di trasferimento di immobili non ultimati, soggetti ad imposta di registro. In considerazione di tale circostanza, chiede se possa fruire delle agevolazioni “prima casa” per l’acquisto della pertinenza. Risposta: In ossequio alla ratio della normativa in commento, deve ritenersi ammesso il riconoscimento delle agevolazioni “prima casa” anche sull’atto di acquisto di pertinenze destinate ad essere asservite ad un immobile che non ha fruito delle agevolazioni “prima casa” poiché acquistato, da privati, allo “stato rustico”, pur sussistendo, all’epoca dell’acquisto, le condizioni oggettive e soggettive richieste dalla Nota II‐bis), punto 1, posta in calce all’articolo 1 della Tariffa, Parte Prima, del TUR. Al riguardo si precisa che, mentre il DPR n. 633/72, recante la disciplina dell’IVA, contempla espressamente le case di abitazione non di lusso, ancorché non ultimate, tra quelle che possono godere del trattamento agevolato (Tab. A, parte II, n. 21), in materia di imposta di registro non è prevista un’analoga disposizione. L’applicazione dei benefici “prima casa” agli immobili in corso di costruzione è stata, quindi, riconosciuta in via interpretativa dall’Amministrazione Finanziaria con la circ. n. 19/E del 1.3.2001. Ai fini del godimento del regime di favore in esame, si rende però necessario che l’acquirente dichiari nell’atto di acquisto della pertinenza di possedere, al momento del rogito, tutti i requisiti di legge. Ampliamento di abitazione acquisita senza fruire delle agevolazioni “ prima casa ” Acquisto di un nuovo alloggio da accorpare ad altra abitazione per la quale non si è fruito delle agevolazioni “prima casa” Domanda: un soggetto chiede se possa usufruire delle agevolazioni “prima casa” in relazione all’atto di acquisto di un alloggio da accorpare ad altro immobile già di proprietà. Il contribuente riferisce di avere acquistato l’immobile da ampliare nel 2007 senza godere del trattamento di favore in commento, per difetto, al momento del rogito, delle condizioni e dei requisiti di legge. Risposta: con ris. n. 25 del 25.2.2005 e con la circolare n. 38 del 12.8.2005, l’Amministrazione Finanziaria, recependo il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui “le agevolazioni prima casa possono riguardare anche alloggi risultanti dalla riunione di più unità immobiliari che siano destinate dagli acquirenti, nel loro insieme, a costituire un’unica unità abitativa” (ex multis, Cassazione Civile, sez. I, 22.1.1998, n. 563; Cassaz. Civile, sez. V, 14.5.2007, n. 10981), ha riconosciuto la possibilità di applicare le agevolazioni “prima casa” all’acquisto contemporaneo di due alloggi contigui destinati a costituire un’unica unità abitativa. Il beneficio è stato riconosciuto, inoltre, al proprietario di alloggio, già acquisito con le suddette agevolazioni, in relazione all’atto di acquisto di un altro immobile adiacente da accorpare al primo. Con la ris. n. 142 del 4.6.2009 è stata estesa l’applicabilità delle agevolazioni “prima casa” all’atto di trasferimento di un immobile destinato all’ampliamento di un’abitazione precedentemente acquisita senza fruire del regime di favore, in quanto non previsto dalla normativa vigente ratione temporis. Ciò premesso, e tenuto conto, altresì, della evidente volontà del legislatore di favorire gli interventi finalizzati al miglioramento delle condizioni di utilizzo della prima casa, la scrivente è del parere che l’agevolazione vada riconosciuta anche nell’ipotesi in cui il contribuente non abbia fruito delle agevolazioni “prima casa” per l’acquisto dell’abitazione da ampliare non per la mancanza di una previsione normativa che riconoscesse il trattamento di favore ma perché risultava già titolare, al momento della stipula del precedente atto di trasferimento, di altro immobile 23 acquisito con le agevolazioni “prima casa”. L’agevolazione sul nuovo acquisto trova, peraltro, applicazione a condizione che i due alloggi accorpati costituiscano un’abitazione unica rientrante nella tipologia degli alloggi non di lusso, in base alle prescrizioni recate dal decreto 2 agosto 1969. Compete all’Ufficio locale la verifica, anche sulla base delle risultanze catastali, dell’intervenuto accorpamento degli immobili e della loro consistenza, complessivamente considerata. Resta inteso che, nel caso in esame, si rende comunque necessaria la ricorrenza di tutti gli altri requisiti di cui alla Nota II‐bis), posta in calce all’articolo 1 della Tariffa, parte prima, allegata al TUR, vale a dire l’ubicazione dell’immobile nel comune in cui l’acquirente ha o stabilisca entro 18 mesi dall’acquisto la propria residenza; la dichiarazione di non essere titolare di diritti reali su altri immobili siti nello stesso comune; la dichiarazione di non essere titolare di diritti reali su altra casa di abitazione acquistata con le agevolazioni “prima casa”. Al riguardo, è opportuno precisare che nell’ipotesi di acquisto di alloggio da accorpare ad altro contiguo, già di proprietà, in modo da costituire un’unica unità abitativa, la dichiarazione di non essere titolare di diritti reali su altra casa di abitazione nel territorio del comune, dovrà intendersi riferita ad immobili diversi da quello da ampliare. Alienazione infraquinquennale dell’immobile agevolato e successivo acquisto dell’abitazione principale Requisiti dell’immobile oggetto del riacquisto Domanda: un soggetto ha acquistato un’abitazione beneficiando delle agevolazioni previste per l’acquisto della “prima casa” ed intende procedere, prima che sia decorso il termine quinquennale dall’acquisto agevolato, alla rivendita dello stesso immobile ed al successivo riacquisto, entro un anno, di altro immobile da adibire ad abitazione principale. Il contribuente precisa che, successivamente al primo acquisto agevolato, ha acquistato un secondo immobile nello stesso comune ove è sita la nuova abitazione che intende acquistare per non decadere dall’agevolazione. Il contribuente chiede, pertanto, di conoscere se la circostanza che, al momento del riacquisto del nuovo immobile da adibire ad abitazione principale, egli risulti già in possesso di un immobile sito nello stesso comune, costituisca condizione ostativa alla conservazione dei benefici fiscali fruiti in relazione al primo immobile. Risposta: ai sensi della nota II –bis), comma 4, dell’art. 1, della Tar. parte prima, all. al TUR, è prevista la decadenza dal regime agevolato previsto per l’acquisto della “prima casa” in caso “…di trasferimento per atto a titolo oneroso o gratuito degli immobili acquistati con i benefici… prima del decorso del termine di cinque anni dalla data del loro acquisto”. In tale ipotesi, l’Ag. delle Entrate provvede al recupero della “differenza fra l'imposta calcolata in assenza di agevolazioni e quella risultante dall'applicazione dell'aliquota agevolata”, nonché all’irrogazione della sanzione amministrativa pari al 30% della differenza medesima. Devono, inoltre, essere recuperate le maggiori imposte ipotecarie e catastali, maggiorate della sanzione amministrativa del 30%. La revoca dell’agevolazione non ha luogo, invece, “…nel caso in cui il contribuente, entro un anno dall’alienazione dell’immobile acquistato con i benefici (prima casa), proceda all’acquisto di altro immobile da adibire a propria abitazione principale”. In base a quanto previsto dalla citata nota II‐bis), al fine di impedire il verificarsi dell’ipotesi di decadenza dal regime agevolato prevista in caso di cessione infraquinquennale dell’immobile, occorre procedere all’acquisto di altro immobile da adibire ad abitazione principale. E’, quindi, indispensabile che il nuovo immobile acquistato sia utilizzato come dimora abituale del contribuente. Stante la formulazione della norma, deve ritenersi che il mantenimento delle agevolazioni non sia subordinato alla sussistenza delle condizioni richieste (ai fini della fruizione delle “agevolazioni prima casa) dalla lettera a), b) e c) del comma 1 della citata nota II–bis). Tale interpretazione trova conferma negli orientamenti della Corte Costituzionale che, con l’ordinanza n. 46 del 9.2.2009, ha avuto modo di affermare che “…il legislatore con il denunciato ultimo periodo del comma 4 della nota II‐bis della parte prima della Tariffa allegata al DPR n. 131 del 1986, ha inteso disciplinare una fattispecie del tutto diversa da quella dell’accesso alle agevolazioni, stabilendo non una reiterazione delle agevolazioni medesime, ma un’eccezione alla regola della decadenza da tali benefici prevista dal primo periodo dello stesso comma; eccezione che opera esclusivamente nel caso in cui il contribuente, entro un anno dall’alienazione, proceda all’acquisto di un altro immobile da adibire a propria abitazione principale..” e, pertanto, “…non è irragionevole che il legislatore, al fine di consentire al contribuente di evitare la decadenza dalle suddette agevolazioni, richieda, con riferimento all’acquisto del secondo immobile, una condizione diversa e più restrittiva (la destinazione della casa ad abitazione principale) rispetto a quelle stabilite, per la concessione delle agevolazioni …”. Con riferimento al quesito proposto deve quindi ritenersi che non risulti ostativa alla conservazione dell’agevolazione “prima casa”, fruita in relazione all’acquisto del primo immobile, la circostanza che, tra il primo acquisto agevolato ed il successivo riacquisto infrannuale, il contribuente sia entrato in possesso di altro immobile nello stesso comune in cui è situato quello che si intende riacquistare. 24 Il ricorrere dei requisiti previsti dalle lettere a), b) e c) del comma 1 della citata nota II‐bis) deve essere verificato, infatti, solo nell’ipotesi in cui il contribuente intenda accedere, anche per il secondo acquisto, alle agevolazioni “prima casa”. I medesimi requisiti devono ricorrere inoltre, ai fini dell’applicazione della disciplina di cui all’art. 7 della legge 23.12.1998, n. 448, che prevede la concessione di un credito d’imposta a favore dei contribuenti che acquistano, entro un anno dall’alienazione dell’immobile per il quale si è fruito dell’aliquota agevolata, un’altra casa di abitazione “non di lusso”. Invero, in tale ultima ipotesi il legislatore ha subordinato espressamente la concessione del credito al ricorrere “…delle condizioni di cui alla nota II‐bis all'articolo 1 della Tariffa, parte I, allegata al testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131…”. Riacquisto di immobile sito fuori del territorio nazionale Domanda: un contribuente riferisce di aver acquistato un immobile in Italia godendo del trattamento di favore riservato agli atti di acquisto della “prima casa” e di volerlo rivendere, entro cinque anni, in vista del trasferimento della propria residenza principale in Francia. Chiede di conoscere se l’acquisto di un immobile abitativo in Francia, entro un anno dalla vendita dell’immobile acquistato con le agevolazioni “prima casa”, consenta di evitare la decadenza dal beneficio di cui al comma 4, della nota II‐bis) all’articolo 1 della Tariffa, parte I, allegata al TUR. Risposta: come ricordato, si decade dalle agevolazioni “prima casa” nell’ipotesi “…di trasferimento per atto a titolo oneroso o gratuito degli immobili acquistati con i benefici…prima del decorso del termine di cinque anni dalla data del loro acquisto”. La decadenza viene esclusa “…nel caso in cui il contribuente, entro un anno dall’alienazione dell’immobile acquistato con i benefici (prima casa), proceda all’acquisto di altro immobile da adibire a propria abitazione principale”. In base anche quanto precisato dalla Corte Costituzionale nell’Ordinanza n. 46 del 9.2. 2009, tale previsione costituisce una eccezione alla regola della decadenza dai benefici “prima casa” in caso di vendita infraquinquennale dell’immobile, eccezione che può trovare applicazione solo nell’ipotesi in cui l’immobile, oggetto del riacquisto, venga adibito ad abitazione principale del contribuente. La riportata disposizione conferisce, infatti, primaria rilevanza a tale requisito, la cui sussistenza deve essere verificata ai fini della esclusione della regola decadenziale. Proprio al fine di assicurare il rispetto di tale condizione, deve ritenersi che anche nell’ipotesi in cui l’immobile acquistato sia situato in uno Stato estero non si decade dall’agevolazione, sempreché sussistano strumenti di cooperazione amministrativa che consentono di verificare che effettivamente l’immobile ivi acquistato sia stato adibito a dimora abituale. Possibilità di fruire nuovamente delle agevolazioni “prima casa” se l’alloggio che si possiede non è più idoneo Con la ris. n.86 del 20.8.2010 l’Ag. delle Entrate ha esaminato, con esito solo in parte favorevole ai contribuenti, una interessante fattispecie in tema di agevolazioni prima casa nella quale l’istante faceva richiamo ai principi dell’innovativa ordinanza della Corte di Cassazione n. 100 dell’8.1.2010 che ha affermato la possibilità di fruire delle agevolazioni “prima casa” anche nell’ipotesi in cui il beneficiario risulti già titolare di altro alloggio che non sia “concretamente idoneo, per dimensioni e caratteristiche complessive, a sopperire ai bisogni abitativi suoi e della famiglia”. L’istante ‐ in comunione legale con il coniuge e residente in un immobile che il coniuge aveva acquistato prima del matrimonio fruendo delle agevolazioni “prima casa”, composto da due vani ed accessori e considerato non più adeguato alle esigenze abitative della famiglia formata da tre persone ‐ chiede conferma di poter fruire dell’agevolazione “prima casa” per l’acquisto di una nuova abitazione che risulti idonea alle esigenze abitative del proprio nucleo familiare invocando fondamento proprio nell’ordinanza n. 100/2010. Al riguardo, la ris. n.86/2010 ha precisato che i requisiti soggettivi ed oggettivi indicati dalla normativa “prima casa” devono ricorrere congiuntamente, sottolineando che detta disposizione ha natura agevolativa e, in quanto tale, non è suscettibile di interpretazione che ne estenda la portata applicativa ad ipotesi non espressamente contemplate. Costituisce, quindi, condizione ostativa alla fruizione dell’agevolazione c.d. “prima casa”, tra l’altro, la titolarità esclusiva o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà o reali di altra casa di abitazione nel comune in cui è situato l’immobile da acquistare, come, tra l’altro, espresso nella ris. n. 25/E/2005 ove è stato precisato che costituisce condizione ostativa ai benefici “prima casa” “la titolarità di altra casa di abitazione nello stesso comune del nuovo acquisto, ovvero, acquistata con le agevolazioni, indipendentemente dal luogo in cui la stessa è posta”. Il riferimento operato dalla vigente normativa all’ampia nozione di “casa di abitazione” porta a ritenere che la fruizione dell’agevolazione debba essere esclusa in tutti i casi in cui il soggetto che intende fruire dell’agevolazione risulti già in possesso nello stesso comune o nell’intero territorio nazionale, se acquistato con le agevolazioni, di un 25 immobile ad uso abitativo. Non è richiesta dalla norma la verifica del concreto utilizzo che dell’immobile viene fatto, né con riferimento alle case di abitazione che il contribuente già possiede e che possono precludere l’accesso all’agevolazione, né con riferimento all’immobile che si intende acquistare. Com’è noto, infatti, l’applicazione della vigente disposizione in materia di agevolazioni “prima casa” non risulta subordinata alla condizione, più restrittiva, che l’immobile oggetto del trasferimento agevolato venga destinato ad “abitazione principale” dell’acquirente e, pertanto, l’agevolazione trova applicazione con riferimento a tutti gli immobili che abbiano natura abitativa e che non abbiano le caratteristiche “di lusso” di cui al DM 2.8.1969. Con circ. n. 19/E del 1.3.2001, è stato, infatti, chiarito che l’agevolazione “prima casa”, oltre ad essere subordinata alla tipologia del bene oggetto del trasferimento (requisiti oggettivi e dunque qualità abitative sotto l’aspetto catastale), ha riguardo (…) alla titolarità di diritti su altra casa di abitazione da parte dell’acquirente stesso. A parere della scrivente, i richiamati principi non risultano derogati dalle interpretazioni rese dalla Cassazione con l’ordinanza n. 100 dell’8.1.2010 nella quale è stato riconosciuto il diritto di fruire delle agevolazioni “prima casa” anche al contribuente proprietario di altro immobile che per dimensioni e caratteristiche non risultava idoneo a sopperire ai bisogni abitativi del contribuente e della sua famiglia. La questione oggetto di tale pronuncia riguarda, infatti, una fattispecie particolare, nella quale il contribuente risultava già titolare di un locale assolutamente inadatto a fungere da abitazione (peraltro, l’immobile era di soli 22 mq). I principi interpretativi espressi dalla citata ordinanza non sono suscettibili di essere estesi alla fattispecie prospettata nella presente istanza di interpello in quanto non si ritiene che la situazione prospettata (due vani catastali per tre componenti del nucleo familiare) concretizzi una ipotesi di assoluta inidoneità (quale può essere, ad esempio, l’inagibilità) dell’immobile all’uso abitativo. Ciò premesso, appare utile rilevare, tuttavia, che dall’esame dell’istanza e dei documenti inviati si evince che l’immobile in cui abita il contribuente è stato acquistato dal coniuge prima di contrarre matrimonio e, pertanto, l’istante non risulta proprietario pro quota di detto immobile. In considerazione di tale circostanza, si precisa, quindi, che il contribuente può fruire in relazione all’acquisto di un nuovo immobile delle agevolazioni “prima casa”. Resta inteso che, come precisato con circ. n. 38 del 12.8.2005, nell’ipotesi in cui uno solo dei due coniugi, in regime di comunione di beni, possegga i requisiti soggettivi per fruire dell’agevolazione “prima casa” (in quanto l’altro coniuge prima del matrimonio ha acquistato un’abitazione avvalendosi di detta agevolazione) il beneficio fiscale risulta applicabile nella misura del 50 per cento, ossia limitatamente alla quota acquistata dal coniuge in possesso dei requisiti richiesti per avvalersi dell’agevolazione “prima casa”. Questa, dunque, la tesi sostenuta dall’Ag. delle Entrate nella ris. 86/2010, alla luce della quale si negano pertanto le agevolazioni “prima casa” all’altro coniuge, in quanto già possessore nel comune di residenza di altra abitazione acquistata in passato fruendo delle agevolazioni stesse. In proposito, si può osservare come l’Agenzia delle Entrate abbia argomentato in merito all’ordinanza della Cassazione n. 100 dell’8.1.2010, invocata dallo stesso interpellante, omettendo peraltro di considerare il contenuto di altra recente e importante ordinanza della Cassazione – la n. 15426 del 1.7.2009 ‐ secondo la quale <<(…) nel caso di acquisto di appartamento a uso abitativo da parte di uno dei coniugi in regime di comunione legale, l’altro ne diviene comproprietario ex art. 177 c.c., con diritto a fruire delle agevolazioni fiscali contemplate in relazione all’acquisto della “prima casa” anche se sprovvisto dei requisiti di legge, sussistenti solo in capo al coniuge acquirente (cfr. Cass. 14237/00,8643/01). (…) a tale conclusione si è, in particolare, pervenuti in base al rilievo che l’acquisto della comproprietà di un bene da parte dei coniugi in forza dell’art. 177 c.c. si differenzia ontologicamente dall’acquisto in comune del bene stesso, giacché colui che diviene proprietario di metà del bene – che, acquistato dal coniuge (presumibilmente con denaro proprio), è da questi fatto ricadere nella comunione legale – non si rende “acquirente” del bene stesso, ma lo riceve per volontà della legge>>. Pertanto, alla stregua dell’ordinanza n. 15426/2009, qualora il coniuge in regime di comunione legale (non proprietario di altro immobile precedentemente acquistato con le agevolazioni) acquisti l’abitazione con le agevolazioni “prima casa”, si dovrebbe concludere che anche sulla quota che “ricade passivamente” nella (com)proprietà dell’altro coniuge in comunione legale non possano essere negate le agevolazioni, non rilevando le considerazioni circa la sussistenza o meno dei requisiti agevolativi (soggettivi o oggettivi) allo stesso riferibili. Possibilità di rinunciare alle agevolazioni per l’acquisto della “prima casa” già volta fruite Di notevole rilevanza è il contenuto della recentissima ris. Ag. Entrate n. 105 del 31.10.2011. Questi i suoi contenuti principali, alcuni dei quali già noti ma opportunamente riepilogati, altri decisamente innovativi: ‐ ai fini della corretta valutazione del requisito di residenza il cambio di residenza si considera avvenuto nella stessa data in cui l’interessato rende al comune (art.18, c. 1 e 2, DPR n. 223/1989, n. 223 ‐ Regolamento anagrafico della popolazione residente) la dichiarazione di trasferimento (circ. n. 38/E/2005) ‐ la dichiarazione dell’acquirente di volere stabilire la residenza nei 18 mesi è prevista dalla legge a “pena di decadenza” dall’agevolazione. Il mancato trasferimento nel termine comporta, quindi, la perdita dell’agevolazione. 26 La decadenza si verifica alla scadenza del 18° mese dalla data dell’atto ‐ nessuna norma prevede la possibilità di rinunciare su base volontaria alle agevolazioni “prima casa”: il rapporto giuridico‐ tributario che sorge a seguito della dichiarazione resa in atto dal soggetto acquirente e avente ad oggetto il possesso dei requisiti prescritti dalla norma di cui alla Nota II‐bis) deve ritenersi perfezionato laddove dette condizioni risultino effettivamente sussistenti. Pertanto, conseguita l’agevolazione “prima casa” questa non sarà più revocabile dalla parte (tra le altre, Corte di Cassazione, sent. 28.6.2000 n. 8784). In particolare, la Cassazione ha chiarito che “non è possibile conseguire l’agevolazione prevista per l’acquisto della prima casa, …, previa rinunzia ad un precedente analogo beneficio, conseguito in virtù della medesima disciplina (…). Dall’orientamento giurisprudenziale richiamato deve escludersi, pertanto, che il soggetto acquirente, che abbia reso la dichiarazione in atto di possedere i requisiti prescritti dalla norma di cui alla Nota II‐bis), possa in data successiva rinunciare alle agevolazioni “prima casa” fruite ‐ considerazioni diverse possono invece svolgersi, a parere dell’Ag. delle Entrate, laddove la dichiarazione resa in atto dal contribuente non attenga alla sussistenza delle condizioni necessarie per fruire dei benefici (impossidenza di una abitazione sita nel medesimo comune dell’immobile che si intende acquistare, novità nella fruizione dell’agevolazione e residenza nel comune in cui è sito l’immobile) ma sia, invece, riferita all’impegno che il contribuente assume di trasferire la propria residenza nel termine di 18 mesi dalla data dell’atto. In tal caso, l’effettivo realizzarsi del requisito della residenza prescritto dalla norma dipende, infatti, da un comportamento che il contribuente dovrà porre in essere in un momento successivo all’atto. In sostanza, la dichiarazione resa risulterà mendace e, pertanto, si realizzerà la decadenza dall’agevolazione, solo qualora, decorsi i 18 mesi, il contribuente non abbia proceduto al cambio di residenza. Proprio in considerazione della peculiarità di tale condizione, il cui verificarsi dipende da un comportamento del contribuente, l’Agenzia ritiene che, laddove sia ancora pendente detto termine di 18 mesi, l’acquirente che si trovi nelle condizioni di non poter rispettare l’impegno assunto, anche per motivi personali, possa revocare la dichiarazione di intenti formulata nell’atto di acquisto dell’immobile. A tal fine, l’acquirente che non intende adempiere all’impegno assunto in atto è tenuto a presentare una apposita istanza all’ufficio presso il quale l’atto è stato registrato, con la quale revoca la dichiarazione d’intenti espressa in atto di volere trasferire la propria residenza nel comune nel termine di 18 mesi dall’acquisto e richiede la riliquidazione dell’imposta assolta in sede di registrazione. Tale istanza deve essere presentata sia nel caso in cui l’atto per il quale si sia fruito delle agevolazioni “prima casa” sia stato assoggettato ad imposta di registro che per quelli assoggettati ad IVA. A seguito della presentazione dell’istanza, l’ufficio procederà alla riliquidazione dell’atto di compravendita e alla notifica di avviso di liquidazione dell’imposta dovuta (differenza tra l’IVA determinata con l’aliquota applicabile in assenza di agevolazione e quella agevolata) e degli interessi calcolati dalla data di stipula dell’atto di compravendita ‐ non trova, invece, applicazione la sanzione pari al 30 per cento di cui all’art. 1, 4° c., della Nota II ‐bis) all. al TUR in quanto entro il termine di 18 mesi dalla data dell’atto non può essere imputato al contribuente il mancato adempimento dell’impegno assunto, cui consegue la decadenza dall’agevolazione ‐ decorso invece il termine di 18 mesi dalla data dell’atto senza che il contribuente abbia provveduto a trasferire la residenza o a presentare all’ufficio dell’Agenzia istanza con la quale revoca la dichiarazione di intenti, si verifica la decadenza dall’agevolazione “prima casa” fruita in sede di registrazione dell’atto. La richiamata Nota II‐bis) prevede che in caso di decadenza l'Ufficio presso cui sono stati registrati i relativi atti deve recuperare dagli acquirenti la differenza fra l'imposta calcolata in assenza di agevolazioni e quella risultante dall'applicazione dell'aliquota agevolata con gli interessi, nonché irrogare la sanzione amministrativa pari al 30 % della differenza medesima ‐ decorso il termine di 18 mesi per il trasferimento della residenza e verificatasi, pertanto, la decadenza dall’agevolazione, il contribuente potrà comunque accedere, ricorrendone i presupposti, all’istituto del ravvedimento operoso, beneficiando di una riduzione della sanzione: il contribuente è tenuto a presentare apposita istanza all’Ufficio presso il quale è stato registrato l’atto, con la quale dichiara l’intervenuta decadenza dall’agevolazione e richiede la riliquidazione dell’imposta e l’applicazione delle sanzioni in misura ridotta. A seguito dell’istanza, l’ufficio procederà alla riliquidazione dell’atto portato alla registrazione e alla notifica di apposito avviso di liquidazione dell’imposta dovuta oltre interessi dalla data di stipula dell’atto di compravendita. Sono, inoltre, dovute le sanzioni pari al 30 per cento dell’imposta opportunamente ridotta, ricorrendone i presupposti, in applicazione dell’istituto del ravvedimento operoso (art. 13 D.Lgs. n. 472 del 1997). Nella particolare fattispecie, i diversi termini a cui l'art. 13 del D.Lgs. n. 472/1997 ricollega differenti riduzioni delle sanzioni decorrono dal giorno in cui si è verificata la decadenza dall'agevolazione, ossia dal giorno in cui maturano i 18 mesi dalla stipula dell'atto. Tale procedura deve essere seguita sia con riferimento agli atti assoggettati ad imposta di registro che ad IVA. Il contribuente potrà perfezionare il ravvedimento con il pagamento della maggiore imposta, sanzioni ed interessi, nel termine di 60 giorni dalla notificazione dell'avviso di liquidazione. 27 1.6 I trasferimenti immobiliari in regime di imposta di registro e le prospettive di soppressione delle fattispecie agevolative L’argomento deve essere inquadrato sotto un duplice profilo con la precisazione che allo stato non costituisce materia affatto definita. In primo luogo occorre ricordare quanto previsto dal D. Lgs.n. 23/2011 (“Disposizioni in materia di federalismo fiscale”),il cui art. 10 prevede,con decorrenza dall’1 gennaio 2014, in concomitanza con l’entrata a regime del riordino della fiscalità comunale (IMU,Imposta Municipale Secondaria, etc.),che ‐ la Tariffa Parte prima del DPR n. 131/86 –Testo Unico dell’Imposta di Registro (TUR) e le relative note siano rispettivamente sostituita e abrogata,mantenendo in vita soltanto l’agevolazione per l’acquisto della “prima casa” (salvo che per le unità di categoria catastale A/1, A/8 e A/9; si noti che oggi l’esclusione dall’agevolazione “prima casa” opera invece con riferimento ai fabbricati abitativi “di lusso” individuati ai sensi del D.M. 2 agosto 1969) con aliquota ridotta al 2% (ora 3%), con un minimo di Euro 1.000,00 e con contestuale esenzione dalle imposte ipotecaria, catastale,di bollo, dai tributi catastali e dalle tasse ipotecarie. ‐ che gli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere e gli atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento,compresi la rinuncia pura e semplice agli stessi,i provvedimenti di espropriazione per pubblica utilità e i trasferimenti coattivi siano assoggettati a imposta di registro con aliquota del 9% (attualmente 7% per i fabbricati, altrimenti 8%),con un minimo di Euro 1.000,00, ma con contestuale esenzione dalle imposte ipotecaria, catastale,di bollo, dai tributi catastali e dalle tasse ipotecarie ‐ in relazione a quanto sopra, siano soppresse tutte le esenzioni e le agevolazioni tributarie,anche se previste in leggi speciali. Quest’ultima previsione – se sarà attuata nei termini sopra indicati – farebbe pertanto venire meno tutte le esenzioni e le agevolazioni, relative all’ambito dei trasferimenti immobiliari soggetti al regime dell’imposta di registro (almeno così riteniamo, dato il contesto in cui la norma è calata, nonostante la formulazione estremamente ampia, se non addirittura indeterminata), che si sono andate stratificando nel tempo, alcune contenute in modo “organico” nel corpo del TUR, altre in norme speciali. Tra le tantissime misure di cui trattasi, alcune fra quelle di maggiore interesse per le imprese del settore immobiliare (ribadiamo,nell’ambito della disciplina soggetta al regime dell’imposta di Registro e non dell’IVA) sono le seguenti (l’aspetto agevolativo deve essere apprezzato rispetto alle aliquote di imposta ordinarie,che sono attualmente rappresentate dal 7% o 8% per l’imposta di registro, dal 2% o 3% per l’imposta ipotecaria, dall’1% per l’imposta catastale): ‐ trasferimento di immobili di interesse storico, artistico e archeologico (ex L. n. 1089/1939; attualmente, D. Lgs. n. 42/2004, c.d. Codice Urbani): 3% (registro) + 2% (ipotecaria; 3% se trattasi di immobile strumentale trasferito da impresa,sia in esenzione da IVA che se imponibile IVA) + 1% (catastale). Su questa fattispecie occorre segnalare una divergenza fra la prassi dell’amministrazione finanziaria e quanto sostenuto da parte della dottrina. Secondo l’Agenzia delle entrate, infatti, all’ipotesi de qua non si renderebbero applicabili le imposte ipotecaria e catastale in misura fissa (nonostante ciò sia rilevabile per entrambe le imposte dalla lettura del D. Lgs. n. 347/1990, rispettivamente nelle note all’art. 1 della Tariffa dell’imposta ipotecaria e all’art. 10.2 per l’imposta catastale) bensì le imposte proporzionali (2%+1%). Le ragioni di tale interpretazione, che l’Agenzia delle Entrate imputa a un mero slittamento dei periodi di cui all’art. 1 della tariffa Parte Prima del TUR, in mancanza di una esplicita volontà agevolativa mai espressa da parte del legislatore, sono illustrate nella circolare n. 52/E/2002: benché il riferimento in tale pronuncia di prassi, antecedente alla emanazione della “Bersani – Visco”, ma anche in alcuni manuali, sia all’aliquota del 2% (per l’imposta ipotecaria), a seguito delle modifiche apportate dal D.L. n. 223/2006, ove si ritenga di aderire alla tesi dell’Amministrazione Finanziaria e in presenza di immobili strumentali (ceduti da imprese), l’aliquota applicabile è divenuta quella del 3% (ancora 2%, invece, per gli immobili non strumentali). L’agevolazione in questione interessa anche gli immobili dichiarati di interesse paesaggistico. Sempre in tema di immobili vincolati, ma con riferimento alla determinazione della base imponibile ai fini dell’imposta di registro, richiamiamo il contrasto giurisprudenziale che, da molti anni, è in atto circa la possibilità di determinare la base imponibile cui commisurare le imposte indirette per il trasferimento di tali immobili con l’applicazione del criterio catastale di cui all’art. 11.2 della L. n. 413/91: sul punto, la giurisprudenza prevalente (anche a livello di Corte di Cassazione) è contraria all’applicabilità di tale agevolazione, pur non mancando alcune pronunzie favorevoli della Commissione Tributaria Centrale e di alcune Commissioni di 1° e di 2° grado; ‐ trasferimento di fabbricati in esenzione da IVA (ai sensi dell’art. 10, n. 8 bis, del DPR n. 633/72) da imprese a favore di altre imprese che hanno per oggetto esclusivo o principale dell’attività esercitata la rivendita di beni immobili, a condizione che nell’atto l’acquirente dichiari che intende trasferirli entro tre anni: 1%+imposte fisse ipotecaria e catastale. L’agevolazione interessa solo immobili abitativi esenti da IVA, ceduti in esenzione di IVA da imprese a 28 ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ immobiliari di compravendita (non si rende pertanto applicabile a cessioni effettuate da privati, come confermato dall’Ag. Entrate nella risposta all’interrogazione parlamentare 17.6.2009, n. 5 – 01457,né a cessioni fuori campo IVA, caso esaminato nella ris. n.93/E/99 relativamente alla cessione operata da un ente regionale di sviluppo agricolo). La riforma “Bersani – Visco” ha ampliato le ipotesi in cui la cessione di abitazioni ha luogo in regime di esenzione da IVA e in cui, pertanto, l’agevolazione in questione può trovare concreta applicazione: si pensi al caso in cui una società di trading immobiliare acquisti unità abitative da un’impresa di costruzioni o di ristrutturazioni trascorsi 4 anni dalla ultimazione. E’ prevista la decadenza dalle agevolazioni in caso di mancato trasferimento entro tre anni (assistita da sanzione del 30% e da interessi di mora), ma è anche ipotizzabile che tale decadenza possa essere evitata operando il trasferimento ad altra società di trading immobiliare. Il soggetto cessionario (se in forma di società) deve avere indicato nell’oggetto sociale lo svolgimento di attività di compravendita immobiliare in via principale o esclusiva, svolgerla in fatto e avere codice attività congruente; trasferimento di terreni edificabili: 8%+2%+1%; trasferimento di terreni agricoli e loro pertinenze a favore di soggetti diversi dagli imprenditori agricoli a titolo principale o di altri soggetti assimilati per legge: 15%+2%+1%; trasferimento di terreni agricoli e loro pertinenze a favore di imprenditori agricoli a titolo principale o di altri soggetti assimilati per legge: 8%+2%+1%; trasferimenti di immobili inseriti in piani particolareggiati diretti all’attuazione di interventi di edilizia residenziale comunque denominati a condizione che l’intervento cui è finalizzato il trasferimento venga completato entro cinque anni dalla stipula dell’atto: 1%+3%+1%. La disciplina (trattasi di normativa a regime, in quanto la previsione è stata appositamente inserita direttamente nelle tariffe del TUR e del T.U. dell’Imposta Ipotecaria) è stata reintrodotta, con modificazioni, dalla L. n. 244/2007, con effetto dagli atti stipulati dall’1.1.2008 (in passato, esisteva un’agevolazione simile introdotta nell’ordinamento dall’art. 33.3 della L. n. 388/2000). La genericità della previsione normativa (che non replica la formulazione dell’art. 3 della L. n. 388/2000, che invece richiedeva espressamente ai piani particolareggiati regolarmente approvati ai sensi della normativa statale o regionale) lascia pensare che essa sia applicabile a prescindere dall’intervenuta approvazione del piano particolareggiato e della correlata stipula della convenzione edilizia, se necessaria (e che, dunque, la nuova normativa si applichi all’edilizia convenzionata e non, anche non residenziale) ma che sia sufficiente la semplice adozione dello strumento particolareggiato da parte del Comune (in tal senso si è pronunciato il Consiglio Nazionale del Notariato nello Studio n. 18‐2008T). Inoltre, si ritiene che la norma sia applicabile sia ai terreni che ai fabbricati non ravvisando ragioni per non poter estendere anche a essa l’orientamento di prassi espresso nella circolare n. 6/E/2001. L’applicazione della norma è condizionata alla circostanza che l’ intervento cui è finalizzato il trasferimento venga completato entro cinque anni dalla stipula dell’atto ed è pertanto più restrittiva della preesistente norma di cui all’art. 33.3 della L. n. 388/2000 che si limitava a richiedere che l’utilizzazione dell’area avvenisse entro cinque anni dal trasferimento, locuzione con riguardo alla quale l’Ag. Entrate aveva chiarito nella circ. n. 11/E/2002 che la condizione doveva ritenersi soddisfatta se entro il quinquennio i lavori di costruzione fossero stati avviati ed esistesse un rustico comprensivo delle mura perimetrali delle singole unità, la cui copertura sia stata ultimata, ai sensi dell’art. 2645 bis, 6° c., cod. civ. In caso di mancato rispetto della condizione si ritiene debba essere integrata l’imposta di registro con gli interessi, ma senza sanzioni; trasferimenti di immobili inseriti in piani di recupero: Euro 168 + Euro 168 + Euro 168: l’agevolazione riguarda i trasferimenti di fabbricati e terreni inseriti in piani di recupero, di iniziativa pubblica o privata (in questo secondo caso solo se convenzionati) di cui agli artt. 27 e segg. della L. n. 457/78 a favore dei soggetti che attuano l’intervento di recupero. Trattasi di agevolazione introdotta dall’art. 5 della L. n. 168/82 applicabile anche in caso di permute attuate nell’ambito dei piani di recupero. Sull’agevolazione de qua si sono pronunciate la Corte di Cassazione con la sent. n. 14478/2003, nonché l’Ag. delle Entrate con la recente risoluzione n. 181/2007, nella quale ha ricordato come i piani di recupero, pur potendo incidere sul tessuto urbanistico, si sostanzino principalmente in interventi su manufatti da recuperare e non su aree inedificate, essendosi il Consiglio di Stato più volte pronunciato sull’illegittimità di un piano di recupero che riguardi aree completamente inedificate (Cons. di Stato n. 181/96). Con la ris. n. 383/2002 l’Ag. delle Entrate si era soffermata sulla circostanza che i piani di recupero sono strumenti attuativi che nascono per adattare il tessuto edilizio e urbanistico esistente a specifiche finalità di eliminazione di particolari situazioni di degrado, per cui devono prevedere interventi su edifici da recuperare o risanare di cui all’art. 31 della L. n. 457/78, lettere da “a” a “e”; cessione di immobili in attuazione di programmi di edilizia residenziale pubblica di cui alla L. 865/71 (art. 32, 2° c., del DPR n. 601/73: imposta di registro fissa ed esenzione dalle imposte ipotecaria e catastale. L’Ag. delle Entrate ha chiarito (cfr. ris. nn. 215 e 333/2007, 66/2008 e 69/2009) che l’agevolazione richiede i requisiti soggettivi e oggettivi necessari a caratterizzare l’edilizia residenziale pubblica di cui alla L. n. 865/71 e che quindi si tratti di 29 alloggi di edilizia residenziale pubblica acquisiti, realizzati o recuperati dallo Stato, Enti territoriali, IACP/ATER e loro consorzi, alloggi di proprietà delle Poste, alloggi non di servizio di proprietà delle Ferrovie, alloggi acquisiti dagli enti di sviluppo, alloggi acquisiti dal Ministero del Tesoro già di proprietà di enti previdenziali disciolti; inoltre (Cassazione n. 7062/94), la vendita degli alloggi deve essere effettuata in attuazione di programmi di edilizia residenziale pubblica previsti al titolo IV della L. n. 865/71 affidati a IACP, cooperative edilizie, società con prevalente partecipazione statale, con esclusione di qualsiasi programma, sia pure introdotto da altro ente pubblico, quale una Regione. La medesima agevolazione si applica anche agli atti aventi a oggetto il trasferimento della proprietà di aree destinate all’edilizia economica popolare (aree PEEP ex L. 167/62), a insediamenti produttivi (aree ricadenti in PIP ex art. 27, L. 865/71) o alla concessione del diritto di superficie su tali aree (cfr anche ris. n. 72/2009 che ha ritenuto inapplicabile l’agevolazione alla cessione di aree al soggetto attuatore dopo che esso abbia realizzato intervento attuativo del piano in quanto, per il principio di accessione (art. 934 c.c.), l’oggetto della cessione non sarebbe più un’area ma un fabbricato. Il regime agevolato si applica anche alla cessione gratuita al Comune di aree e opere di urbanizzazione a scomputo, parziale o totale, degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria. L’Ag. delle Entrate si è pronunciata in senso favorevole con la ris. n. 166/2009. Possono beneficiare dell’agevolazione anche le cessioni di aree e opere effettuate dalle imprese di costruzione, che restano escluse dal campo applicativo dell’IVA a norma dell’art. 51 della L. n. 342/2000, a condizione che dette cessioni rappresentino adempimenti posti a carico dell’impresa concessionaria dalla Convenzione Edilizia stipulata con il Comune. L’esclusione da IVA non può essere estesa anche alla cessione di aree e manufatti che, ancorché effettuata a scomputo degli oneri di urbanizzazione, non costituiscono opere di urbanizzazione in senso tecnico ex art. 4, L. 847/64 e 865/71, quali ad esempio un’area con annesso fabbricato adibito a scuola materna e/o circolo ricreativo, una porzione di fabbricato da adibire a centro civico, un’area su cui l’impresa lottizzante, a norma della convenzione edilizia stipulata con il Comune, non sia tenuta a realizzare opere di urbanizzazione: se la cessione di aree e manufatti attuata a scomputo di oneri di urbanizzazione ricade al di fuori dell’art. 51 della L. n. 342/2000 essa configura un’operazione permutativa disciplinata dall’art. 11 del DPR n. 633/72, la cui base imponibile è determinata dal valore normale dell’immobile ceduto ai sensi dell’art. 13.2 del DPR n. 633/72. Oltre al riordino legato all’attuazione del “federalismo fiscale” esiste peraltro anche un secondo profilo,derivante dai provvedimenti fiscali emanati nell’estate 2011,che deve essere considerato con riferimento,più in generale, alle misure agevolative in senso lato. Ci riferiamo a quanto previsto dall’art. 1,c.6,lettera “a”, del D.L. 138/2011 (conv. dalla L.148/2011),che è peraltro intervenuto sull’art. 40,c. 1 ter e 1 quater del D.L. 98/2011 (conv. dalla L. 111/2011). Il combinato disposto di tali norme ha stabilito la riduzione generalizzata di tutti i regimi di esclusione,esclusione e favore fiscale pari al 5% per il 2012 e al 20% dal 2013. In alternativa, anche solo parziale, alla predetta riduzione la citata norma del D.L. 138/2011 prevede che possa essere disposta,mediante DPCM, su proposta del Ministro dell’Economia e delle Finanze, la rimodulazione delle aliquote delle imposte indirette e delle accise. I suddetti tagli ai benefici fiscali non diventeranno efficaci se, entro il 30.9.2012, saranno adottati provvedimenti legislativi in materia fiscale e assistenziale aventi a oggetto il riordino della spesa sociale (Delega per la riforma fiscale e assistenziale all’esame del Parlamento). Le misure di riordino dovranno assicurare effetti positivi ai fini dell’indebitamento netto pari a Euro 4 miliardi per il 2012, 16 miliardi per il 2013 e 20 miliardi per il 2014. Si noti che già dall’intervenuto aumento dell’aliquota ordinaria IVA dal 20% al 21% è atteso un maggior gettito stimato in circa Euro 4,2 miliardi annui nel triennio 2012 – 2014. Quanto sopra previsto è suscettibile pertanto di tradursi in tagli o inasprimenti di numerose misure di favore proprie (anche) dell’ambito immobiliare,tra le quali – ma non soltanto ‐ le detrazioni del 36% e del 55% (peraltro in scadenza, rispettivamente, il 31.12.2012 e il 31.12.2011). 2) Esenzione IVA, rettifica della detrazione e separazione delle attività (DPR n. 633/72, artt. 19, 19 bis, 19 bis 1 e 2, 36) Come noto, l’effettuazione di operazioni esenti da IVA può penalizzare pesantemente le imprese e i lavoratori autonomi sia riducendo il diritto alla detrazione nell’anno di riferimento del pro rata, sia imponendo ex post la rettifica della detrazione per determinati acquisti effettuati in annualità precedenti. Il tema, assai delicato e non sempre chiaro dal punto di vista sia normativo che operativo, non interessa il solo settore immobiliare (potendo avere valenza generale per svariate attività), ma trova proprio nel settore immobiliare uno dei settori più critici. 30 Salvo quanto poi si dirà relativamente alle imprese specificamente operanti per attività tipica nel settore immobiliare ed edile, alle imprese (e ai lavoratori autonomi) in generale (che ovviamente ben possono porre in essere anche operazioni di natura immobiliare ‐ cessioni o locazioni ‐ pur non esercitando tale attività in via principale e tipica) si rendono applicabili, tra le altre e per quanto più qui interessa, le seguenti disposizioni: ‐ la norma di cui all’art.19, 3° c., lett. a), del DPR n. 633/72 che per le operazioni di locazione e di cessione di immobili sia abitativi che strumentali (e operazioni a queste assimilate dalla legge) “disapplica” la disposizione di carattere generale di cui al 2° comma del medesimo articolo ai sensi della quale <<Non è detraibile l’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni e servizi afferenti operazioni esenti o comunque non soggette all’imposta, salvo il disposto dell’art.19 bis 2>>; ‐ la normativa di cui all’art.19 bis 2 relativa agli obblighi di rettifica della detrazione IVA; ‐ la norma che sancisce l’indetraibilità oggettiva dell’IVA relativa all’acquisto,manutenzione, recupero o gestione di fabbricati abitativi (art. 19 bis 1,1° c.,lettera i), salvo che per le imprese che hanno per oggetto esclusivo o principale dell’attività esercitata la costruzione dei predetti fabbricati o porzioni. Questa disposizione non si applica, comunque, ai soggetti che esercitano attività che danno luogo ad operazioni esenti di cui al n. 8 dell’art. 10 che comportano la riduzione della percentuale di detrazione a norma dell’art. 19,5° c., e dell’art. 19 bis; ‐ la norma di cui all’art.19 bis (in tema di calcolo della percentuale di detrazione) ai sensi della quale per il calcolo di detta percentuale non si tiene conto,fra le altre operazioni ivi precisate (cessioni di beni ammortizzabili, passaggi interni, alcune operazioni fuori campo IVA), delle operazioni esenti di cui all’art. 10, primo comma, n. 27 quinquies, e, quando non formano oggetto dell’attività propria del soggetto passivo o siano accessorie alle operazioni imponibili, delle altre operazioni esenti indicate ai numeri da 1) a 9) del predetto art. 10, ferma restando l’indetraibilità dell’imposta relativa ai beni e servizi utilizzati esclusivamente per effettuare queste ultime operazioni. Peraltro, relativamente al settore immobiliare, nel quale le locazioni e le cessioni di immobili non costituiscono semplici operazioni “estemporanee”, bensì vere e proprie attività tipiche e ricorrenti per la realizzazione dell’oggetto sociale, più che l’indetraibilità specifica ex art. 19, 2° c. assume rilievo il principio di detraibilità in base al pro rata generale (c.d. “indetraibilità per masse”) ai sensi dell’art. 19, 5° c. del medesimo DPR n. 633/72. Circa l’applicazione del pro rata, ricordiamo che nel settore immobiliare non si rende fisiologicamente applicabile la norma (esclusione ‐ sia dal numeratore che dal denominatore del rapporto di pro rata ‐ delle operazioni di cui ai nn. da 1 a 9 dell’art. 10 del DPR n.633/72) prevista all’art. 19 bis,2° c. del DPR n. 633/72, relativamente alle locazioni, affitti e cessioni contemplate ai nn. 8, 8bis e 8 ter del medesimo art. 10. Al settore immobiliare sono dedicate alcune previsioni speciali (deroghe) di cui all’art. 19 bis 1,lett. i): la prima parte di detta lettera sancisce infatti,in via generale,la non detraibilità “oggettiva” dell’IVA relativa all’acquisto di fabbricati, o loro porzioni,a destinazione abitativa,e neppure di quella relativa alla locazione, manutenzione, recupero o gestione degli stessi, facendo poi tuttavia salve ‐ le imprese che hanno per oggetto esclusivo o principale dell’attività esercitata la costruzione (o il recupero) dei predetti fabbricati o loro porzioni (ma non più,come invece accadeva fino alla manovra “Bersani –Visco” dell’estate 2006, anche le imprese dedite alla compravendita immobiliare) ‐ ed escludendo comunque dalla prescrizione di indetraibilità “oggettiva” dell’IVA i soggetti che esercitano attività che danno luogo a operazioni esenti di cui al n. 8 dell’art. 10 e che comportano la riduzione della percentuale di detrazione a norma degli artt. 19, 5° c. e dell’art. 19 bis: trattasi tipicamente delle imprese che effettuano attività di locazione immobiliare in parte imponibile e in parte esente da IVA quali le imprese immobiliari di gestione ma anche, ancor più in tempi di crisi generalizzata, le imprese dedite alla costruzione/recupero di immobili abitativi propri che,nell’attesa di riuscire a venderli all’esito degli interventi di costruzione/recupero, possono ben valutare (come soluzione preferibile o meno penalizzante) di locarli, magari in via temporanea finalizzata a evitare sacrifici eccessivi nei prezzi di vendita e in attesa del ripristino di migliori condizioni di mercato. Come già detto, dal “favorevole” binomio di deroghe che precedono dall’estate del 2006 restano escluse le imprese dedite al trading immobiliare, per le quali, con l’emanazione della manovra Bersani –Visco, non è più considerata detraibile, per preclusione oggettiva, l’IVA per l’acquisto,la manutenzione e la gestione delle unità abitative, imprese che in precedenza erano invece esonerate dall’applicazione di detta norma al pari delle imprese dedite alla costruzione e/o al recupero degli immobili. Quanto precede ferma la possibilità anche per dette imprese di evitare la preclusione oggettiva della detrazione dell’IVA nel caso che esse comunque operino in regime di pro rata, ad esempio perché le cessioni da esse poste in essere riguardano, almeno in parte, immobili abitativi esenti da IVA. Per porre un argine, seppur parziale, ai penalizzanti effetti derivanti dallo svolgimento di attività esenti da IVA, sono state introdotte nel tempo alcune norme speciali che consentono di gestire con contabilità separata parti della propria attività rispettivamente caratterizzate da differenti regimi IVA in termini di imponibilità o di esenzione. 31 E’ infatti espressamente prevista all’art. 36, 3° c., ultima parte, del DPR n. 633/72 (nell’ambito della più generale possibilità di optare per l’applicazione separata dell’IVA, relativamente ad alcuna delle attività esercitate, consentita ai soggetti che esercitano più imprese o più attività nell’ambito della stessa impresa o più arti e professioni) la facoltà di optare per la separazione delle attività per le imprese che effettuano ‐ sia locazioni, esenti da IVA, di fabbricati o porzioni di fabbricato a destinazione abitativa che comportano la riduzione della percentuale di detrazione a norma dell’art. 19,c. 5, e dell’art.19 bis ‐ sia locazioni di altri fabbricati o di altri immobili soggette a IVA con riferimento a ciascuno di tali settori di attività. Di tale possibilità poterono ad esempio fruire anche le imprese di assicurazione e gli istituti di credito (caratterizzati da attività tipiche esenti da IVA, quali l’esercizio dei rami assicurativi e del credito) quando verso la fine degli anni ’80 fu introdotta l’IVA a carico delle sole locazioni di immobili strumentali (fino a quel momento esenti al pari delle locazioni abitative, e delle attività di locazione immobiliare più in generale, nonché delle attività assicurative e bancarie): l’opzione per la contabilità separata permise la detrazione dell’IVA sostenuta sulle spese afferenti gli immobili strumentali locati in regime di IVA, con beneficio conseguente anche in capo ai conduttori di detti immobili che poterono cessare di subire l’aggravio economico dato dal riaddebito dell’IVA fino a quel momento non detratta dalle compagnie e dagli istituti di credito. Fatto salvo quanto precede per l’ambito delle locazioni, sottolineiamo che la separazione contabile è comunque esperibile, in via generale, tra attività contraddistinte da codici attività differenti: quindi, per quanto riguarda l’ambito immobiliare, tra attività di costruzione e rivendita immobiliare (cod. Ateco 2007 n. 41.20.00) e attività di pura rivendita (cod. 68.10.00) e tra attività di costruzione e rivendita immobiliare (cod. Ateco 2007 n. 41.20.00) e attività di locazione di immobili propri (cod. Ateco 68.20.01). In mancanza di una norma speciale analoga all’art. 36, 3° c., la separazione contabile in due distinte gestioni (costruzione e rivendita di fabbricati abitativi da un lato; costruzione e rivendita di fabbricati strumentali e di terreni edificabili dall’altro) non è invece ipotizzabile per le imprese che effettuano sia costruzioni che rivendite di immobili in quanto aventi il medesimo codice attività (41.20.00); e non lo è neppure la separazione dell’attività di rivendita (cod. 68.10.00) tra immobili abitativi da un lato e di altro genere dall’altro. Gli effetti pregiudizievoli della promiscuità fra attività esenti e imponibili – se non ovviabili attraverso la separazione contabile delle attività ‐ può essere molto rilevante in linea generale e per il settore immobiliare in particolare. Tra gli esempi che spesso si forniscono vi sono i casi ‐ dell’impresa che, mentre costruisce un fabbricato (subendo l’addebito dell’IVA da parte di consulenti e appaltatori), loca alcune unità abitative (rimaste momentaneamente invendute) in esenzione di IVA. In assenza di altre operazioni attive e imponibili (p. es: la fatturazione di acconti soggetti a IVA per la vendita di unità in costruzione soggette a tale imposta) ne deriverebbe un pro rata di detraibilità pari a zero; oppure ‐ dell’impresa che, mentre costruisce per la vendita, compra (da terzi) e rivende immobili abitativi, senza operare attività di recupero, e quindi in regime di esenzione IVA. In generale, l’applicazione del pro rata generale esclude l’indetraibilità specifica dell’IVA passiva relativa a operazioni attive esenti, ma a condizione che queste ultime concorrano alla formazione del pro rata e non ne siano invece escluse (cfr. art. 19 bis, 2° c. ). Detto della detrazione e della possibile separazione fra attività aventi differenti codici attività, esaminiamo ora la rettifica della detrazione: questo istituto riguarda le operazioni passive effettuate in anni precedenti, laddove invece la detraibilità (e l’indetraibilità) interessa le operazioni passive effettuate nel periodo di imposta. Pertanto, nel caso di acquisto e di cessione di immobili effettuati nello stesso anno non rileva l’istituto della rettifica, ma semmai la misura definitiva del pro rata dell’anno, che può risultare differente da quella applicata, in via provvisoria e salvo conguaglio, all’atto dell’acquisto, sulla base del dato dell’anno precedente o, in caso di nuova attività, in via presunta, come disposto dall’art. 19,5° c. (cfr. anche circ. n. 12/E/2007 e ris. n. 317/E/2007 dell’Ag. delle Entrate). La rettifica che interessa i fabbricati (sempre considerati dall’art. 19 bis 2, 8° c., agli effetti del medesimo articolo, quali beni ammortizzabili, quindi anche se costituenti beni merce o se aventi natura abitativa) rientra, con alcuni adattamenti specifici, nella tipologia di rettifica relativa ai beni ammortizzabili (altra tipologia di rettifica riguarda i beni non ammortizzabili e i servizi) intesi quali beni suscettibili di essere utilizzati per più esercizi. Scopo dell’istituto della rettifica della detrazione IVA (a favore o a sfavore del contribuente) è di monitorare e, ove ricorrano le condizioni di legge, di garantire una sufficiente correlazione nel tempo fra la detrazione IVA e il tipo di utilizzo del bene sotto il profilo del regime IVA a esso applicato: il periodo di osservazione per i fabbricati è di dieci anni (anziché di cinque anni,come invece stabilito in linea generale per i beni ammortizzabili), decorrente dall’acquisto o dalla costruzione, mentre per i terreni edificabili il decennio decorre dalla data di ultimazione dei fabbricati su di essi realizzati (le aree 32 edificabili non hanno quindi autonomia sotto il profilo della rettifica in quanto vi vengono assoggettate unitamente al fabbricato che su di esse insiste). Per i beni ammortizzabili (genere in cui, come detto, ricadono tutti i fabbricati) la rettifica è effettuata anno per anno,con riferimento a tanti quinti (per gli immobili trattasi invece di decimi) quanti sono gli anni mancanti al compimento del periodo di osservazione. La rettifica può derivare dal realizzarsi di una causa sopravvenuta di indetraibilità specifica consistente nell’impiego del bene in una operazione esente esclusa dal calcolo del pro rata (art.19 bis 2,commi 1 e2,quest’ultimo relativo ai beni ammortizzabili) oppure da variazione del pro rata generale di detrazione superiore a dieci punti (o anche al di sotto di tale soglia, per scelta del contribuente, ai sensi e con gli effetti previsti dall’art. 19 bis 2,4° c., u. p.). Nel primo caso (rettifica per indetraibilità specifica), la rettifica sarà operata in unica soluzione, per l’intero importo già detratto, se la destinazione a operazione esente che non concorre al pro rata ha luogo nel primo anno di utilizzazione,altrimenti per tanti quinti (decimi per gli immobili) quanti sono gli anni mancanti al compimento del decennio di osservazione. Nel secondo caso (rettifica per variazione del pro rata) la rettifica avviene con riferimento al bene ammortizzabile e ai servizi di trasformazione,riattamento,ristrutturazione del bene stesso e ha luogo ogni anno in base a un decimo della differenza fra la detrazione spettante in base al pro rata dell’anno in corso e la detrazione operata inizialmente (anno di riferimento) in base al pro rata esistente in tale momento. Se l’anno di riferimento (che si identifica in quello di entrata in funzione,ossia di “primo utilizzo”) non coincide con l’anno di acquisto o di costruzione, occorre eseguire una prima rettifica di riallineamento, per tutta l’imposta relativa al bene, in base alla percentuale di detrazione “definitiva” propria dell’anno di entrata in funzione, anche se lo scostamento del pro rata fosse inferiore a dieci punti. Le rettifiche successive, invece, avranno luogo,come detto, nei quattro anni successivi alla entrata in funzione (per i beni ammortizzabili in generale) o, per gli immobili, nei nove anni successivi all’anno di acquisto o di ultimazione della costruzione (art. 19 bis 2, 8° c. e circ. n. 12/E/2007), rispettivamente per 1/5 e per 1/10 della differenza fra il pro rata definitivo proprio di ciascun anno di competenza e quello dell’anno di riferimento. Nel caso di dismissione del bene nel corso del periodo di osservazione la rettifica deve essere operata, per tutti i quinti (o i decimi) mancanti, in unica soluzione,con la particolarità, che può risultare favorevole al contribuente, che in caso di cessione imponibile del bene si può comunque assumere un pro rata convenzionale di detraibilità dell’anno di competenza pari al 100% (anche qualora il pro rata dell’anno di cessione fosse inferiore al 100%), peraltro con il limite che l’IVA detraibile non può eccedere quella applicata in sede di cessione (art. 19 bis 2, 6° c.). Nel caso di fusioni, scissioni, cessioni o conferimenti di aziende o di rami aziendali, opera il principio di continuità e si considera quale data di acquisto o costruzione quella originaria in seno alla società fusa,scissa o conferente,che è tenuta a fornire i dati rilevanti ai fini delle rettifiche (art.19 bis 2,7°c.). Si consideri che la ris. n. 178/E/2009 ha confermato che in caso di interventi di ampliamento, ristrutturazione,ammodernamento di fabbricati il periodo di osservazione decorre dalla data di ultimazione dell’intervento. Utili indicazioni sulle operazioni straordinarie sono contenute anche nelle risoluzioni n. 344/2002 e 184/2008. In applicazione del principio di tutela del “legittimo affidamento” affermato dalla giurisprudenza comunitaria,onde far salvi i comportamenti adottati dai contribuenti sulla base della normativa previgente, l’art.35,c. 9, del D.L. n.223/2006,come modificato in sede di conversione a opera della L. n. 248/2006 (c.d. manovra “Bersani – Visco”), ha previsto una serie di esoneri all’obbligo di rettifica della detrazione al fine di limitare l’impatto negativo che sarebbe derivato per le imprese rispetto alla situazione precedente,e ciò soprattutto con riferimento agli immobili abitativi, maggiormente interessati dall’ampliamento delle ipotesi di esenzione derivate dalla riforma. La circ. n.12/2007, in particolare, ha fornito svariati chiarimenti al riguardo, distinguendo i comportamenti da adottare in funzione sia della tipologia di immobili (abitativi o strumentali) che della tipologia di imprese (costruttrici/ “ristrutturatrici” o “altre imprese”, con questa ultima dizione riferendosi alle imprese di compravendita immobiliare, essendo queste le uniche imprese che, al pari di quelle di costruzione/ristrutturazione, prima della manovra “Bersani – Visco” effettuavano cessioni di immobili abitativi imponibili con IVA): da notare come la circolare abbia opportunamente sottolineato che l’affrancamento dall’obbligo di rettifica, laddove previsto, può operare solo per le operazioni per le quali il regime di esenzione si è reso applicabile in conseguenza delle modifiche introdotte dalla manovra “Bersani – Visco” e non anche nelle ipotesi in cui l’immobile doveva ritenersi destinato alla effettuazione di operazioni esenti già in base alla normativa antecedente al 4 luglio 2006. Dalla combinazione dei due criteri di esonero si ottiene il seguente quadro di esoneri dall’obbligo di rettifica e,”per differenza”, la casistica nella quale sussiste obbligo di rettifica della detrazione in caso di impiego degli immobili in operazioni esenti da IVA dopo il 4.7.2006 e se entro il termine decennale di osservazione fiscale: ‐ imprese di costruzione/ristrutturazione: esonero per le abitazioni che prima del 4.7.2006 avevano già compiuto quattro anni dalla ultimazione degli interventi; 33 ‐ ‐ imprese di trading (ossia, imprese aventi per oggetto esclusivo o principale dell’attività esercitata la rivendita di immobili): esonero da rettifica per i fabbricati posseduti al 4.7.2006; per tutti i soggetti passivi IVA, relativamente ai fabbricati strumentali, esonero dalla rettifica se le operazioni derivanti da contratti stipulati dopo il 4.7.2006 (locazioni o cessioni) sono soggette a IVA; obbligo di rettifica se invece non viene esercitata l’opzione per l’applicazione di tale imposta. La circ. 12/E/2007 ha in proposito sottolineato l’irrilevanza del cambio di regime IVA (da imponibile a esente) che, per effetto della riforma, avrebbe potuto interessare i contratti di locazione già in corso al 4.7..2006, ferma la possibilità, per tutti i contratti di locazione stipulati prima della conversione in legge della manovra (12.8.2006), di optare per l’applicazione dell’IVA al fine di evitare pregiudizi al pro rata di detraibilità. Per limiti di spazio, facciamo rinvio alla lettura della circolare n. 12/2007 per ulteriori interessanti approfondimenti contenuti nella stessa. Ricordiamo anche che il termine oltre il quale la cessione di immobili abitativi, da parte delle imprese costruttrici degli stessi, deve essere attuata in regime di esenzione da IVA, anziché di imponibilità, è stato elevato da quattro a cinque anni,con effetto dall’1.1.2011, dall’art. 1,c.86, della L. n. 220/2010; misura adottata in relazione al periodo di grave e perdurante crisi che ha colpito ormai da diversi anni il settore immobiliare al fine di evitare gli effetti nefasti che sarebbero derivati alle imprese stesse – nei termini sopra ricordati di peggioramento del pro rata di detrazione e di obblighi di rettifica dell’IVA ‐ da una cessione “IVA esente” su vasta scala di unità costruite negli ultimi 4 anni e rimaste invendute. Il problema si ripresenterà ovviamente alla fine del corrente anno. Per utili approfondimenti in chiave critica sui temi della detrazione IVA e della rettifica della stessa facciamo rinvio ai recenti studi del CNDCEC “Cessioni di unità abitative in esenzione da IVA tra rettifica della detrazione specifica e pro rata generale” del 2.3.2011 e “La detraibilità del tributo IVA sugli acquisti relativi ad immobili ad uso abitazione concessi in locazione in forma imprenditoriale per finalità turistiche” del 18.4.2011, ricchi di richiami alla prassi e alla giurisprudenza,anche comunitaria. 3) Temi relativi all’imposizione diretta sugli immobili. Locazioni, redditi diversi, strumentalità: normativa, orientamenti dell’Agenzia delle Entrate e giurisprudenza. L’imposizione dei redditi immobiliari ai fini IRPEF, IRES e IRAP La materia è stata caratterizzata in questi ultimi anni da una sostanziale stabilità normativa, sia in assoluto che rispetto agli altri settori impositivi. Il quadro normativo si è evoluto nel corrente anno con l’introduzione della cedolare secca (art. 3 del D. Lgs. n. 23 del 14.3.2011), per i cui approfondimenti facciamo rinvio all’ampia circolare n. 26 dell’1.6.2011, pur avvertendo che sussistono ancora significative aree di dubbio della disciplina. La cedolare secca non è comunque applicabile a soggetti diversi dalle persone fisiche e neppure alle società semplici. La struttura generale dell’imposizione dei canoni di locazione Trattasi di argomento sufficientemente noto, bene illustrato nelle istruzioni alla dichiarazione dei redditi e,come già osservato, caratterizzato negli ultimi anni da una sostanziale stabilità. Ci limiteremo pertanto in questa sede a richiamarne l’impostazione nelle sue linee essenziali. Persone fisiche che agiscono in veste privata (artt. da 25 a 43 del TUIR e istruzioni al quadro “B” (per i fabbricati) e “A” (per i terreni) di Unico e del mod.730. L’imposizione dei redditi da fabbricati deriva,di massima,dal confronto fra la rendita catastale,rivalutata del 5%, e il canone di locazione (forfettariamente ridotto del 15%, salvo casi limitati – relativi alla zona di Venezia ‐ in cui esso è elevato al 25%), assumendosi quale base imponibile il maggiore fra i due termini. Tale impostazione vale anche per gli immobili a destinazione non abitativa. Per gli immobili abitativi sono previste ipotesi varie particolari, illustrate nelle istruzioni alla dichiarazione dei redditi, fra cui giova ricordare: ‐ l’abitazione principale (e le relative pertinenze), di fatto interamente detassata nel quadro “RN”, benché dalla compilazione del quadro “B” emerga un imponibile dato dalla RCR; ‐ le ormai poche locazioni a equo canone, per le quali si assume quale imponibile il canone di locazione decurtato del 15%, fatti salvi alcuni casi particolari, fra i quali ricordiamo: il mancato incasso di qualsiasi canone causa morosità,nel 34 qual caso si tassa la RCR; la sospensione della procedura esecutiva di sfratto, nel qual caso vige l’agevolazione della mancata tassazione dell’eventuale reddito; ‐ le locazioni a canone concordato in comuni ad alta densità abitativa (cfr. appendice alle istruzioni della dichiarazione) per le quali la tassazione opera su una base imponibile ulteriormente abbattuta del 30% rispetto a quella determinata in via ordinaria; ‐ gli immobili abitativi tenuti a disposizione (ulteriori rispetto all’abitazione principale del possessore o dei suoi familiari,questi ultimi sostanziandosi nel coniuge,nei parenti entro il 3° grado e negli affini entro il 2°), per la cui individuazione operano tuttavia alcune rilevanti esclusioni (quali: gli immobili utilizzati per l’esercizio di arti, professioni o imprese commerciali, quelli dati in uso gratuito a un proprio familiare a condizione che lo stesso vi dimori abitualmente e ciò risulti dalla iscrizione anagrafica; unità in comproprietà utilizzata come abitazione principale da uno o più comproprietari diversi dal dichiarante; u.i. tenuta a disposizione in Italia da contribuenti residenti all’estero – limitatamente a una sola unità immobiliare ‐ o già utilizzata come abitazione principale da contribuenti trasferiti temporaneamente in altro comune), nel qual caso la RCR viene incrementata di 1/3; ‐ come chiarito dalle istruzioni alla dichiarazione dei redditi e dall’apposita precisazione fornita in appendice, gli immobili inagibili o distrutti a seguito di eventi sismici o calamitosi devono essere comunque dichiarati ma sono esclusi da tassazione, a condizione che il Comune abbia rilasciato una dichiarazione comprovante tale stato. In altri casi meno radicali occorre instaurare una pratica volta a ottenere la revisione al ribasso della rendita catastale ‐ che sarà così adottata quale nuova R.C. ai fini impositivi ‐ utilizzando, fino alla sua attribuzione, una rendita presunta; in mancanza di tale adempimento o di mancato accoglimento della istanza, operano i criteri di tassazione generali; ‐ canoni di locazione di immobili a uso abitativo non percepiti a causa di morosità: in questa ipotesi l’art. 26, 1° c., del TUIR prevede che gli stessi non concorrano a formare il reddito soltanto a partire dal periodo di imposta in cui si conclude il procedimento di giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore,riconoscendo un credito di imposta di ammontare pari alle imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti come accertati nel predetto procedimento giurisdizionale di sfratto. Le istruzioni in appendice alla dichiarazione dei redditi chiariscono il meccanismo di riliquidazione delle imposte. Fra i codici relativi ai casi particolari è previsto il n.4, da indicare nel caso in cui il procedimento di convalida di sfratto per morosità si sia concluso entro il termine di presentazione della dichiarazione. Ricordiamo che non danno luogo a redditi di fabbricati ‐ e non devono pertanto essere dichiarate ‐ numerose ipotesi elencate nelle istruzioni alla dichiarazione, tra le quali richiamiamo le fattispecie degli immobili rurali (abitativi e strumentali) e agrituristici, degli immobili adibiti esclusivamente alla propria attività professionale e di impresa, degli immobili per i quali sono stati rilasciati provvedimenti di recupero di livello superiore (restauro, risanamento conservativo e ristrutturazione) limitatamente al periodo di vigenza del provvedimento e purché non utilizzati. Alla posizione in cui si trova il pieno proprietario deve essere equiparato il titolare di diritti reali, fra i quali riveste particolare rilievo ‐ per l’ampiezza che lo caratterizza – il diritto di usufrutto (Art. 26 TUIR). Gli immobili concessi in comodato non devono essere dichiarati dal comodatario ma dal concedente in quanto tale diritto non assume natura reale ma personale. Ricordiamo sul tema le importanti risoluzioni dell’Ag. Entrate n. 381 del 14.10.2008 e n. 394 del 22.10.2008,secondo le quali: ‐ il canone di locazione deve essere comunque imputato al comodante e non al comodatario – locatore, conclusione innovativa ed accolta con una certa sorpresa e perplessità in dottrina in ragione della distorsione che rappresenta rispetto al principio di capacità contributiva di cui all’art. 53, 1° c. della Costituzione, per ragioni di carattere fattuale (il comodante può non essere affatto a conoscenza dei redditi derivanti al comodatario per effetto della locazione dallo stesso posta in essere, sempre se legittima sul piano privatistico in funzione anche degli accordi assunti inter partes e se non elusiva sul piano tributario) e anche alla luce della esistenza della norma di cui all’art. 67, 1° c.,lettera h) del TUIR, sotto la quale si riteneva di dover far rientrare anche i redditi eventualmente derivanti da locazioni poste in essere dal comodatario; ‐ in caso di donazione con riserva di usufrutto con concessione in comodato dell’immobile dal titolare del diritto di usufrutto al donatario/nudo proprietario/comodatario il reddito fondiario deve essere comunque dichiarato in capo all’usufruttuario, a nulla rilevando l’eventuale concessione dell’immobile in comodato. Un’ ipotesi che ha dato luogo a infinite discussioni in giurisprudenza e nella prassi dell’Ag. delle Entrate (alla quale le istruzioni alla dichiarazione non riservano spazio) è quella degli immobili soggetti a vincolo storico/artistico/ architettonico (attualmente normati dal D. Lgs. n. 42/2004), introdotta dall’art. 11, 2° c. della L. n.413/91 (<<In ogni caso,il reddito degli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico è determinato mediante l’applicazione della minore fra le tariffe d’estimo previste perle abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato>>). 35 All’esito del lungo e assai travagliato percorso giurisprudenziale e dei sofferti adeguamenti della prassi amministrativa, si può affermare che per tali immobili si può fruire del beneficio sopra citato se di proprietà di persone fisiche, di società semplici o di enti non commerciali (sia se locati che se sfitti, sia se abitativi che se a uso strumentale) o anche di imprese, ma in questo caso solo se diversi dai beni merce e dagli immobili strumentali per natura, essendo questi tassati secondo le risultanze del conto economico e non in base al criterio dei redditi fondiari: di fatto, in regime di impresa l’agevolazione si rende applicabile ai soli immobili patrimonio (sfitti o locati). In tal senso,Cass. Trib. 16.12.2009,n. 26343; Cass. sez. VI Civile n. 07542 del 9.3.2011; ris. Ag. Entrate n. 99/2006. Gli immobili delle imprese (Le norme di riferimento sono principalmente rappresentate dagli artt. 43, 65, 90 e 95, 2° c. del TUIR). Ai sensi del combinato disposto degli art.43, 2° c. e 90 del TUIR, e tenendo conto anche di quanto disposto dall’art. 65, 2° c. dello steso TUIR, (Articolo 43 ‐ Immobili non produttivi di reddito fondiario) 1. Non si considerano produttivi di reddito fondiario gli immobili relativi ad imprese commerciali e quelli che costituiscono beni strumentali per l'esercizio di arti e professioni. 2. Ai fini delle imposte sui redditi si considerano strumentali gli immobili utilizzati esclusivamente per l'esercizio dell'arte o professione o dell'impresa commerciale da parte del possessore. Gli immobili relativi ad imprese commerciali che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni si considerano strumentali anche se non utilizzati o anche se dati in locazione o comodato salvo quanto disposto nell'articolo 65, comma 1. Si considerano, altresì, strumentali gli immobili di cui all'ultimo periodo del c. 2 dell'art. 95 per il medesimo periodo temporale ivi indicato. (Articolo 90 ‐ Proventi immobiliari) 1. I redditi degli immobili che non costituiscono beni strumentali per l'esercizio dell'impresa, ne' beni alla cui produzione o al cui scambio e' diretta l'attività dell'impresa, concorrono a formare il reddito nell'ammontare determinato secondo le disposizioni del capo II del titolo I per gli immobili situati nel territorio dello Stato e a norma dell'art. 70 per quelli situati all'estero. Tale disposizione non si applica per i redditi, dominicali e agrari, dei terreni derivanti dall'esercizio delle attività agricole di cui all'art.32, pur se nei limiti ivi stabiliti. In caso di immobili locati, qualora il canone risultante dal contratto di locazione ridotto, fino ad un massimo del 15% del canone medesimo, dell'importo delle spese documentate sostenute ed effettivamente rimaste a carico per la realizzazione degli interventi di cui alla lettera a) del c.1 dell'art. 3 del DPR 380/ 2001 risulti superiore al reddito medio ordinario dell'unita' immobiliare, il reddito e' determinato in misura pari a quella del canone di locazione al netto di tale riduzione. 2. Le spese e gli altri componenti negativi relativi ai beni immobili indicati nel comma 1 non sono ammessi in deduzione. (Art. 65 – Beni relativi all’impresa) 2. Per le società in nome collettivo e in accomandita semplice si considerano relativi all'impresa tutti i beni ad esse appartenenti, salvo quanto stabilito nel comma 3 per le società di fatto (…..) gli immobili delle imprese possono ricadere in più casistiche, alle quali si applicano regimi di imposizione differenti. In tutti i casi, peraltro, anche nelle ipotesi ricadenti sotto l’art.90, caso in cui la determinazione dei redditi segue i criteri “fondiari”, il reddito prodotto è comunque qualificabile quale reddito di impresa, e non quale reddito di fabbricati. Ciò premesso, si distinguono le seguenti casistiche: ‐ immobili merce, tassati in base alle risultanze scaturenti dal conto economico (“a costi e ricavi”) ‐ immobili strumentali, per destinazione o per natura, anch’essi tassati “a costi e ricavi”. Gli immobili strumentali per destinazione sono individuati in base alla circostanza che siano utilizzati esclusivamente per l’esercizio dell’arte e professione o dell’impresa commerciale da parte del possessore (art. 43,2° c.). Ove ricorrano entrambe le ipotesi (ossia,immobile strumentale sia per destinazione che per natura) prevale la prima qualificazione (circ. n.57/E/2001). Nel caso di abitazione utilizzata come ufficio,anche in assenza di corretta variazione catastale in A/10, ricorre la strumentalità per destinazione. Sono anche considerati immobili strumentali per destinazione l’alloggio del portiere annesso a un opificio industriale (ris. 4.2.1982 n. 9/885), come 36 ‐ tale ammortizzabile, e, più in generale, gli alloggi concessi al personale adibito al personale che debba permanere in loco con funzioni di sorveglianza e di monitoraggio di processi produttivi (C.T. C. n. 761/94). Gli immobili strumentali per natura (“non suscettibili di diversa destinazione senza radicali trasformazioni,anche se non utilizzati o anche se dati in locazione” – art. 43, 2° c.) sono stati meglio individuati dalla prassi dell’Ag. delle Entrate,ormai consolidata, uniforme e risalente alla fine degli anni ’80, negli immobili censiti o censibili catastalmente nelle categorie A/10 (ma solo se in base a licenza o concessione edilizia, anche in sanatoria a seguito di condono), B, C, D, E. Una particolare categoria di immobili strumentali “ex lege” e “pro tempore” è quella richiamata dall’art. 43, 2° c., u. p. del TUIR, meglio definita all’art. 95, 2° c., u. p.: trattasi dei fabbricati concessi in uso ai dipendenti che abbiano trasferito la loro residenza anagrafica per esigenze di lavoro nel comune in cui prestano l’attività per il periodo di imposta in cui si verifica il trasferimento e nei due successivi, ipotesi che consente all’impresa di dedurre integralmente canoni e spese dell’unità immobiliare, altrimenti deducibili per un importo non superiore a quello che costituisce reddito per il dipendente stesso a norma dell’art. 51, 4° c., lettera c) del TUIR. immobili “patrimonio”, soggetti a imposizione,in linea di massima, secondo i criteri fondiari già esaminati per le persone fisiche (qualora gli immobili siano ubicati nel territorio dello Stato,altrimenti in base all’art. 70 se situati all’estero) , salvo il fatto che la deduzione riconosciuta dalla legge è limitata al 15% del canone di locazione come per le persone fisiche, ma non ha carattere forfettario, dovendo essere documentata nella sua effettività: in pratica, la percentuale del 15% rappresenta un tetto massimo di spesa, la deduzione effettiva dovendo essere operata secondo le spese – limitatamente a quelle di carattere ordinario ‐ effettivamente sostenute: in questa categoria vengono fatti rientrare, di fatto, gli immobili a destinazione residenziale, individuati secondo la categoria catastale (“A”, esclusa la cat. A/10), sia se locati che se sfitti. In quest’ultimo caso, secondo la prassi dell’Ag. delle Entrate, si rende applicabile la maggiorazione di 1/3 della R.C. ancorché tale norma (art. 41 del TUIR) appaia concepita soprattutto pensando alle persone fisiche. La norma di riferimento è rappresentata dall’art.90 del TUIR. E’ importante ricordare come l’art. 1, comma 35, della L. n. 244/2007 – costituente in modo espresso “norma di interpretazione autentica” ‐ abbia chiarito,anche in questo caso all’esito di discussioni e contenziosi pluridecennali, come fra le spese e gli altri componenti negativi di reddito già implicitamente “ricompresi” nella quantificazione della rendita catastale (componenti che non sono deducibili nell’ambito del conto economico,ma devono essere riprese a tassazione a mezzo di variazioni in aumento nella dichiarazione dei redditi) non vi siano gli interessi passivi relativi a finanziamenti contratti per l’acquisizione degli immobili in questione. Gli interessi passivi nel reddito di impresa Quanto poi al tema degli interessi passivi, la L. n. 244/2007 (art. 1,c.33) ha rimodulato la disciplina per i soggetti che producono reddito di impresa in regime di IRES, disciplina commentata in particolare dalle circolari n. 19/E/2009 e n. 37/E/2009 e imperniata sulla compresenza di interessi attivi e passivi e sul risultato operativo lordo conseguito dalla gestione caratteristica. Il vigente art.96 del TUIR stabilisce in sintesi che ‐ gli interessi passivi e oneri assimilati (diversi da quelli compresi nel costo dei beni ai sensi dell’art.110, c. 1, lett. b) del TUIR) sono deducibili in ciascun periodo di imposta fino a concorrenza degli interessi attivi e dei proventi assimilati derivanti da contratti di mutuo, di locazione finanziaria, da emissione di obbligazioni e titoli similari e da ogni altro rapporto avente causa finanziaria (art.96, c.3). Restano esclusi gli interessi passivi impliciti dei debiti commerciali mentre si considerano gli omologhi interessi impliciti commerciali attivi; ‐ l’eventuale eccedenza negativa è deducibile nel limite del 30% del ROL della gestione caratteristica; ‐ come sopra osservato,restano esclusi dall’ambito della’art. 96 gli interessi passivi e oneri assimilati compresi nel costo dei beni ai sensi dell’art. 110.1.b del TUIR. Tale norma dispone che si comprendono nel costo dei beni anche gli oneri accessori di diretta imputazione, esclusi gli interessi passivi e le spese generali, con le seguenti eccezioni: 1) nel costo di acquisto o di fabbricazione dei beni materiali ed immateriali strumentali per l’esercizio dell’impresa si comprendono gli interessi passivi iscritti in bilancio ad aumento del costo per effetto di disposizioni di legge; 2) nel costo degli immobili alla cui produzione è diretta l’attività dell’impresa (immobili “merce”) si comprendono gli interessi passivi sui prestiti contratti per la loro costruzione o ristrutturazione: si evidenzia pertanto una asimmetria in quanto gli interessi passivi relativi all’acquisizione di immobili destinati alla successiva rivendita (imprese di trading immobiliare) o locazione (immobiliari di gestione) non si possono includere nel costo degli immobili stessi e restano pertanto soggetti alla verifica di cui all’art. 96; al contrario, i medesimi interessi passivi sostenuti per la produzione (costruzione/ristrutturazione) dell’immobile (imprese di costruzione), se a ciò è diretta l’attività dell’impresa, possono essere capitalizzati. La circolare n. 47/E/2008, par. 5.4, ha precisato che l’eventuale capitalizzazione di interessi passivi sul valore di iscrizione di “immobili patrimonio” è in ogni caso priva di rilevanza fiscale, cosicché, se tali interessi sono stati 37 sostenuti su finanziamenti contratti per l’acquisto, rientreranno nell’ambito dell’art. 96, se invece sono stati sostenuti su finanziamenti non aventi tale funzione saranno integralmente indeducibili ex art.90,c.2. In particolare, come abbiamo avuto già modo di rilevare, rientreranno nell’art. 96 gli interessi passivi di finanziamento finalizzati all’acquisto o alla costruzione di immobili patrimonio in quanto tali oneri non sono ricompresi nell’art. 90,2° c. del TUIR, come riconosciuto dalla norma di interpretazione autentica di cui all’art. 1,c. 35,della L. n. 244/2007. Restano invece indeducibili (ex art. 90.2 TUIR), per gli immobili patrimonio, gli interessi di altra natura (p. es, gli interessi di funzionamento e quelli finalizzati a interventi di manutenzione straordinaria o ordinaria). In base all’art. 1,c.36 della L.n. 244/2007 non rilevano ai fini dell’art.96 del TUIR e sono integralmente deducibili gli interessi passivi relativi a finanziamenti garantiti da ipoteca su immobili destinati alla locazione: trattasi di norma incentivante e temporanea, con un termine legato a una non meglio precisata riforma della fiscalità immobiliare, senza pertanto una precisa scadenza (potremmo dire che trattasi di norma “a tempo determinato ma di durata indefinita”). L’Agenzia delle Entrate (circ. n. 37/2009) riferisce l’applicabilità della norma in esame alle imprese immobiliari di gestione, come definite nella ris. n. 323/2007,ai sensi della quale tali sarebbero le imprese il cui valore del patrimonio assunto a valori correnti è prevalentemente costituito da immobili diversi da quelli alla cui produzione o al cui scambio è effettivamente diretta l’attività,nonché dagli immobili direttamente utilizzati nell’esercizio dell’impresa: si tratta delle imprese la cui attività consiste principalmente nella mera utilizzazione passiva degli immobili “patrimonio” e “strumentali per natura” (ossia, diversi dagli “immobili strumentali per destinazione” e “merce”) destinati alla locazione, quindi sia se di natura “residenziale” che “commerciale”. La piena deducibilità degli interessi passivi di cui trattasi richiede comunque che il finanziamento ipotecario abbia ad oggetto gli stessi immobili successivamente destinati alla locazione. Come conseguenza di quanto detto, è bene ribadirlo, gli interessi passivi sostenuti per l’acquisto o la costruzione di immobili destinati alla locazione e garantiti da ipoteca da parte di un’impresa immobiliare sono integralmente deducibili,al di fuori del meccanismo di cui all’art.96, indipendentemente dalla tipologia di immobile (“patrimonio” o “strumentale per natura”) cui si riferisce il finanziamento ipotecario. Analoga conclusione vale se gli immobili sono detenuti nei casi di cui trattasi in forza di un contratto di leasing (principio di neutralità fiscale rispetto alle scelte aziendali di acquisto in proprietà o tramite locazione finanziaria ormai consolidato nella legislazione e nella prassi dell’Amministrazione finanziaria). La “Participation exemption” (art.87 TUIR) Merita un cenno in questa sede anche il tema della “participation exemption”, con riferimento alle imprese immobiliari di gestione. Trattasi di un regime di esenzione che, a determinate condizioni previste dall’art.87 del TUIR, neutralizza (dall’1.1.2008 nella misura del 95%) le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni possedute da imprese commerciali. Come segue: 1) possesso della partecipazione dal primo giorno del 12° mese precedente quello di cessione,considerando cedute per prime le azioni o quote acquisite in data più recente 2) iscrizione della partecipazione tra le immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio chiuso durante il periodo di possesso 3) residenza fiscale della partecipata in uno Stato o territorio che consente lo scambio di informazioni con l’Italia e prevede un congruo livello di tassazione, salvo dimostrazione con interpello che dal possesso della partecipazione non è stato conseguito, sin dall’inizio del periodo di possesso, l’effetto di localizzare i redditi in tali Stati o territori 4) esercizio da parte della partecipata (se non quotata) di un’impresa commerciale ex art. 55 TUIR I requisiti della residenza e della commercialità devono sussistere ininterrottamente dall’inizio del terzo periodo di imposta anteriore al realizzo della plusvalenza o, se la società immobiliare partecipata sia stata costituita da meno di tre anni, a condizione che in tale periodo i beni patrimoniali destinati all’attività commerciale siano stati prevalenti. La circolare 10/E/2005 (par. 5.5) ha confermato che l’esenzione spetta solo se il patrimonio immobiliare di natura “commerciale” è prevalente rispetto all’attivo patrimoniale. Peraltro, l’art.87,c. 1,lett. d) pone una presunzione assoluta di non commercialità relativamente alle partecipazioni in società di mera gestione immobiliare, in cui il patrimonio sia prevalentemente costituito da immobili non destinati alla compravendita, né utilizzati direttamente nell’attività d’impresa. Presunzione legata all’esigenza di evitare che la detassazione della plusvalenza sia utilizzabile in modo strumentale nei trasferimenti di patrimoni composti in prevalenza da immobili non strumentali,né merce. La participation exemption si può invece applicare alle partecipazioni in società di costruzione e/o di trading immobiliare. Per quanto riguarda società con attività mista occorre verificare caso per caso se, pur in presenza di tutte 38 le altre condizioni poste dalla legge, sussista il requisito di prevalenza degli immobili non destinati alla compravendita né utilizzati direttamente nell’attività d’impresa,ciò che precluderebbe appunto la possibilità di fruire dell’istituto giuridico in questione. In presenza dei requisiti PEX le minusvalenze sono totalmente indeducibili mentre, in assenza degli stessi,a fronte della tassazione delle plusvalenze si gode della deducibilità delle minusvalenze (totale per i soggetti IRES,al 60% per i soggetti IRPEF, per i quali dall’1.1.2009 la percentuale di esenzione delle plusvalenze è stata ridotta al 50,28%). Al fine di verificare se scatti o meno la presunzione di non commercialità a carico della società immobiliare partecipata che esercita un’attività mista giovano alcuni chiarimenti forniti dalla prassi amministrativa: A) fanno scattare la presunzione di non commercialità gli immobili residenziali e gli immobili strumentali per natura costituenti immobilizzazioni, concessi in uso o godimento a terzi,anche mediante affitto di azienda, esclusi gli impianti e gli immobili concessi in leasing B) non fanno scattare la presunzione di non commercialità gli immobili merce delle imprese di costruzione o di rivendita, gli immobili utilizzati direttamente (c.d. “strumentali per destinazione”), gli impianti anche se concessi in godimento, gli immobili concessi in leasing, i terreni su cui viene svolta l’attività agricola. Uno dei casi particolari approfonditi dall’Ag. delle Entrate è quello degli immobili merce che siano stati temporaneamente locati: la ris. 152/E/2004 richiama la necessità di valutare l’effettiva attività esercitata dall’impresa immobiliare indipendentemente dall’oggetto sociale e dalla classificazione degli immobili in bilancio. Se la società svolge in concreto attività di costruzione e/o compravendita, la temporanea locazione a terzi degli immobili merce non rende necessario tenere conto di essi ai fini della presunzione di non commercialità. Se invece l’impresa si presenta formalmente come impresa di costruzione e/o compravendita,ma in fatto esercita attività di gestione del proprio patrimonio immobiliare mediante la locazione a terzi degli immobili pur iscritti fra le rimanenze,allora di questi ultimi occorre tenere conto ai fini della verifica circa la presunzione di non commercialità. Per la verifica dell’effettiva attività svolta rilevano il numero e l’entità delle operazioni di compravendita rispetto a quelle di locazione, nonché la durata delle locazioni temporanee relative agli immobili formalmente destinati alla vendita,ma in realtà concessi a terzi. Per l’Ag. Entrate (ris. 323/2007) gli immobili in ristrutturazione non rientrano fra quelli utilizzati direttamente dall’impresa, ma rientrano fra quelli la cui prevalenza fa scattare la presunzione di non commercialità; inoltre, l’esercizio di impresa commerciale per un triennio decorre non dall’acquisizione del fabbricato, ma dalla conclusione dei lavori di recupero (caso di società di gestione immobiliare che ha ristrutturato un complesso di propri fabbricati per destinarlo ad attività alberghiera). Quanto agli “impianti e fabbricati utilizzati direttamente nell’esercizio dell’impresa”, tale nozione è stata interpretata dall’Ag. delle Entrate in modo diverso da quella di “immobili strumentali per destinazione” di cui all’art. 43.2,primo periodo del TUIR. La strumentalità per destinazione presuppone,come già detto,un utilizzo esclusivo dell’immobile per l’esercizio dell’attività commerciale; nella disposizione “impianti e fabbricati utilizzati direttamente nell’esercizio dell’impresa” tale esclusività invece manca, cosicché la circ. 10/E/2005 (par. 2.5) ha chiarito che tali immobili rientrano tra quelli che non fanno scattare la presunzione di non commercialità, se utilizzati promiscuamente per l’attività di impresa e per esigenze personali e familiari dei soci, sia pure limitatamente al 50% del loro valore corrente. Anche nel caso di affitto di azienda con componente immobiliare (può essere il caso dei centri commerciali) non si considerano direttamente utilizzati nell’esercizio dell’impresa i fabbricati rientranti nel perimetro del contratto di affitto di azienda, al pari di quanto già detto per gli immobili locati o concessi in godimento a terzi. Si noti peraltro come si presenti assai spesso nella gestione dei centri commerciali di proprietà di una società immobiliare di gestione la situazione in cui il contratto di affitto di azienda preveda un corrispettivo non solo a fronte della concessione in godimento dell’immobile, ma anche di servizi accessori,spesso molteplici,rilevanti e articolati offerti dalla proprietà. In tali casi ci si trova di fronte a una gestione attiva del centro, e non più di semplici locazioni, cosicché l’Ag. delle Entrate ha riconosciuto che i fabbricati oggetto di gestione attiva, la cui locazione è strettamente connessa a una serie di servizi aventi rilevante incidenza sul corrispettivo dell’affitto di azienda, possono essere esclusi dall’ambito degli immobili soggetti alla presunzione di “non commercialità” (Interrogazione posta in Commissione Finanze della Camera del 9.2.2005). Possiamo concludere quindi che le plusvalenze generate dalla cessione di partecipazioni in società immobiliari di gestione non godono di regola della participation exemption in quanto in prevalenza beni patrimonio o beni strumentali per natura locati o concessi in comodato a terzi o a soci,mentre tale istituto è applicabile alle imprese di costruzione o di trading immobiliare. Situazioni intermedie devono essere esaminate caso per caso,al fine di verificare se si abbia prevalenza della componente “statica” (beni patrimonio o strumentali per natura) o di quella “dinamica” (immobili merce costruiti per la vendita o acquistati per la rivendita): da questo punto di vista è bene ribadire l’orientamento dell’Amministrazione Finanziaria, che non si limita a constatare la classificazione di bilancio 39 dell’immobile (se, per esempio,lo stesso è contabilizzato fra le rimanenze), ma và a verificare se, effettivamente, tale bene è realmente destinato alla vendita o non, piuttosto,alla locazione o tenuto a disposizione dei soci. Deducibilità dei costi per due diligence contabile e fiscale. Da ultimo, segnaliamo la recentissima sentenza della CTR Lazio 225/37/11, dep. il 27/9/2011, che ha ribaltato la sentenza emessa in primo grado. Secondo la CTR sono deducibili dal reddito i costi della due diligence contabile, fiscale ed estimativa (finalizzata appunto alla valutazione di una partecipazione da cedere in regime di esenzione) e tutti gli altri costi sostenuti per l’attività preparatoria di una cessione di partecipazione ricompresa nella participation exemption (consulenze e servizi d’impresa e di liberi professionisti),restando invece indeducibili i costi direttamente e specificamente connessi alla cessione quali spese notarili e di mediazione. Secondo l’Amm.ne Finanziaria, l’art. 4, lett. “e”, della Legge Delega n. 80/2003 (ai sensi del quale i costi direttamente connessi con la cessione di partecipazioni dotate dei requisiti per l’esenzione devono essere considerati indeducibili) si estenderebbe anche alle spese sostenute in funzione preparatoria della cessione esente,mentre per la CTR Lazio sono indeducibili solo quelli sostenuti “in occasione” della cessione (notaio,provvigioni e simili), restando invece deducibili quelli sostenuti non “in occasione”ma “in preparazione” (ossia,quale presupposto) della cessione, anche perché gli stessi non possono essere collegati specificamente alla realizzazione della plusvalenza esente, non avendo legame con il valore della partecipazione o con il corrispettivo ricavato dalla sua cessione. Si segnala che oggi l’indeducibilità dei costi “direttamente connessi” risulta in modo indiretto dall’art. 109, c. 5 del TUIR, che non consente la deduzione di costi riferibili a beni da cui derivano proventi esenti. Sale and lease back con pre‐ammortamento del finanziamento Nella circolare n. 38/E/2010 l’Ag. delle Entrate ha esaminato una questione interessante relativa al lease back. Domanda : nell’ipotesi in cui una società di capitali ceda ad una società di leasing un immobile strumentale (il cui costo storico residuo risulta pari a 10.000.000 di euro) ad un prezzo pari a 9.000.000 di euro (corrispondente al valore di mercato dello stesso) realizzando una “minusvalenza a valore di mercato” di euro 1.000.000, si chiede di sapere se la suddetta minusvalenza imputata a conto economico, in ragione della corretta applicazione dei principi contabili nazionali, ai fini fiscali sia interamente deducibile nell’esercizio, oppure se debba essere correlata alla durata del contratto di locazione finanziaria. Risposta: come precisato nella circolare 30.11.2000, n. 218/E, nel contratto di sale and lease back sussistono, ai fini fiscali, due distinte operazioni: la cessione del cespite e la locazione finanziaria del bene stesso. Ne consegue che, in relazione alla cessione del bene strumentale oggetto del contratto di sale and lease back, trova applicazione la disciplina fiscale ad essa ordinariamente riferibile. Di conseguenza, ai fini delle imposte sui redditi, la cessione del bene alla società finanziaria, avendo ad oggetto un bene strumentale, può generare (in capo al cedente) una plusvalenza, imponibile ai sensi dell’articolo 86 del TUIR, ovvero una minusvalenza, deducibile ai sensi dell’articolo 101 del TUIR. Il principio secondo cui il contratto di sale and lease back comporti il trasferimento giuridico del diritto della proprietà del bene, ossia si concretizzi in un’operazione a tutti gli effetti realizzativa, è stato ribadito nelle recenti circolari del 13.3.2009, n. 8/E e del 19.3.2009, n. 11/E con riferimento alla disciplina della rivalutazione dei beni immobili relativi all’impresa. Sul piano civilistico, alla luce delle modifiche apportate dall’art. 16 del D.Lgs. 28.12.2004, n. 310 ‐ che ha introdotto il comma 4 all’art. 2425‐bis del cod. civ. ‐ si evidenzia che le plusvalenze da lease back sono ripartite in funzione della durata del contratto di locazione. In altri termini, in sede civilistica il contratto di sale and lease back è stato qualificato come un contratto complesso di durata, da cui derivano corrispettivi periodici. Posto che la modifica dell’articolo 2425‐bis del codice civile non è stata accompagnata da una corrispondente modifica in ambito fiscale, devono ritenersi confermati i principi espressi nella circolare n. 218/E del 2000 e nei successivi documenti di prassi sopra citati, in virtù dei quali il regime tributario applicabile alla plusvalenza derivante da un’operazione di sale and lease back deve necessariamente essere quello previsto dall’art. 86 e dall’art. 109, comma 2, lett. a) del TUIR. Pertanto, la plusvalenza concorre integralmente alla formazione del reddito imponibile nell’esercizio in cui è realizzata ovvero, qualora ricorrano i presupposti previsti dalla legge, in quote costanti nell’esercizio stesso e nei successivi ma non oltre il quarto (cfr. risoluzione del 25 agosto 2009, n. 237/E). Coerentemente, nell’ipotesi in cui dall’operazione di lease back emerga una minusvalenza a valore di mercato, nei limiti di quanto imputato a conto economico nell’esercizio di competenza, si ritiene che la stessa sia deducibile nell’esercizio medesimo ai sensi del combinato disposto degli articoli 101 e 109, comma 2, lettera a) del TUIR. Gli immobili di artisti e professionisti Ai sensi dell’art. 43, 1° c., TUIR non sono produttivi di reddito fondiario gli immobili che costituiscono beni strumentali per gli artisti e per i professionisti. Come già rilevato, in tali casi di utilizzo esclusivo per fine artistico e professionale, il bene non deve essere dichiarato nel quadro “B”. L’art. 54, commi 2 e 3 (per le plusvalenze e minusvalenze vedansi 40 anche i commi 1 e 1 bis), del TUIR disciplina il trattamento degli immobili di artisti e professionisti, invero in modo talvolta poco chiaro e ancor più soggetto a improvvise modificazioni di regime, con conseguente stratificazione di norme succedutesi nel tempo, ma applicabili anche a distanza di molti anni in quanto ancorate all’epoca in cui si erano manifestati gli originari presupposti applicativi in capo al contribuente. Oltre a quanto precisato nelle presenti note, ricordiamo che sul tema si sono soffermate con particolare attenzione le circolari IRDCEC n. 19 del 4.6.2010 e n. 1 del 12.5.2008. I principali indirizzi che si desumono dall’analisi e dalla scomposizione dell’art.54 del TUIR possono essere così riassunti schematicamente: ‐ quote di ammortamento deducibili in base al D.M. 31.12.1988, con applicazione della norma che impone lo scorporo dei terreni (art. 36,commi 7 e 7 bis,D.L. n. 223/2006), ma solo per gli immobili acquistati nel periodo 1.1.2007 – 31.12.2009 (art. 1,335° c., L. n.296/2006),con deducibilità per il triennio 2007/2009 ammessa nei limite di 1/3 dei coefficienti ministeriali e solo a partire dal 1.1.2010 per intero limitatamente agli immobili acquisiti nel suddetto triennio; ‐ immobili assunti in leasing: deducibilità,nel periodo di imposta in cui maturano, dei canoni di locazione finanziaria in presenza di contratti di durata non inferiore alla metà del periodo di ammortamento corrispondente (nel caso degli immobili, con un minimo di otto anni e un massimo di quindici) ma,a nche in questo caso, solo per gli immobili acquistati nel periodo 1.1.2007 – 31.12.2009 (art. 1, 335° c., L. n.296/2006); irrilevanza,per contro,dei canoni di leasing stipulati oltre il 31.12.2009 e indeducibilità altresì della rendita catastale (ris. n. 13/E/2010); ‐ spese di ammodernamento, ristrutturazione, manutenzione di immobili – se non imputabili a incremento del costo del bene ‐ deducibili nel periodo di imposta di sostenimento nel limite del 5% del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili determinato all’inizio dell’anno dal libro dei cespiti ammortizzabili; eccedenza deducibile in quote costanti nei cinque periodi di imposta successivi; ‐ per gli immobili utilizzati promiscuamente, a condizione che il contribuente non disponga nel medesimo comune di altro immobile adibito esclusivamente all’esercizio dell’arte o professione, è deducibile il 50% della R.C. o del canone di locazione o del canone di leasing; in questo ultimo caso,tuttavia, sembrerebbe solo per i contratti di leasing stipulati nel triennio 2007/2010 (cfr. nota 12 della circolare IRCDEC 19/2010,nella quale si riferisce circa la risposta data dal sottosegretario Grandi il 17.4.2007 a interrogazione parlamentare); ‐ le spese per i servizi relativi ai predetti immobili utilizzati promiscuamente, nonché quelle relative all’ammodernamento, ristrutturazione, manutenzione degli immobili utilizzati, che per le loro caratteristiche non sono imputabili a incremento del costo dei beni, sono anch’esse deducibili nella misura del 50%; ‐ rilevanza delle plusvalenze e minusvalenze nei casi previsti dai commi 1, 1 bis e 1 ter dell’art.54,limitatamente agli immobili acquistati nel triennio2007 – 2010 (ris. n. 13/2010). Nella circolare n. 38/E/2010 (risposta 3.2), a domanda sulla misura in cui sono deducibili dal reddito di lavoro autonomo le quote di ammortamento degli immobili strumentali di proprietà dei professionisti (100% o meno? Rileva la data di acquisizione dell'immobile a tale scopo?), l’Ag. delle Entrate ha così risposto:<< L'art. 54, c. 2, del TUIR, come modificato dall'art. 1, c. 334, lettera c), della legge 27.12.2006, n. 296, prevede che per i beni strumentali per l'esercizio dell'arte o della professione, compresi gli immobili, "sono ammesse in deduzione quote annuali di ammortamento non superiori a quelle risultanti dall'applicazione al costo dei beni dei coefficienti stabiliti per categorie di beni omogenei, con decreto del Min. dell'Economia e della Finanze" (D.M. 31.12.1988). La previsione in questione è a carattere temporaneo, dato che il comma 335 dell'art. 1, della L. n. 296/2006 stabilisce che le disposizioni in materia di deduzione delle quote di ammortamento e dei canoni di locazione finanziaria, relativamente agli immobili strumentali all'esercizio dell'attività di lavoro autonomo, si applicano agli immobili acquistati nel periodo dal 1° gennaio 2007 al 31 dicembre 2009 e che gli importi deducibili, con i coefficienti di cui al Decreto del Ministero delle finanze, sono ridotti, nel triennio 2007‐2009, ad un terzo. La stessa disposizione precisa che, ai fini del calcolo delle quote di ammortamento deducibili dei beni immobili strumentali, si applica l'art. 36, commi 7 e 7‐bis, del D.L. 4.7.2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4.8.2006, n. 248 , secondo cui non è deducibile il costo delle aree occupate dalla costruzione e di quelle che ne costituiscono pertinenza; in mancanza di separato acquisto, il costo delle aree è determinato in misura pari al maggior valore tra quello esposto in bilancio nell'anno di acquisto e quello corrispondente al 20% del costo complessivo del fabbricato. Il sistema delineato dall'art. 54, comma 2, del TUIR ha previsto per i professionisti la possibilità di ammortizzare il costo di acquisizione degli immobili strumentali se il diritto reale è acquisito nel periodo 2007‐2009, ossia nell'arco temporale in cui trova applicazione la disposizione transitoria che consente la deduzione delle quote di ammortamento relativamente agli immobili strumentali all'esercizio dell'attività di lavoro autonomo. Pertanto per gli immobili acquisiti in proprietà in detto triennio sono deducibili quote di ammortamento, in base al principio di competenza, applicando al costo di acquisto dell’immobile (costo storico di acquisizione aumentato degli oneri di diretta imputazione), le aliquote previste dal D.M. 31.12.1988, 41 che rappresentano il limite massimo ammesso in deduzione per ciascun periodo d’imposta. Tuttavia detta deducibilità per il triennio è ammessa nei limite di 1/3 dei coefficienti ministeriali; a partire dal 1° gennaio 2010 devono, invece, essere applicati i coefficienti per intero. Nel costo ammortizzabile va escluso il costo delle aree occupate dalla costruzione (e dalle pertinenze). Per gli immobili acquisiti dopo il triennio in questione non sono ammesse in deduzione quote di ammortamento. Pertanto ai fini della deducibilità delle quote di ammortamento rileva il periodo di acquisizione in proprietà. L’IRAP e gli immobili Nel vigente regime IRAP, come risultante a seguito delle modifiche introdotte con la L. n. 244/2007 a valere dall’1.1.2008, possiamo distinguere le seguenti principali casistiche. L’IRAP per le società di capitali diverse da banche e imprese di assicurazione (Art. 5 D. Lgs. n. 446/97) e per le società di persone in caso di opzione ((Art. 5 bis, c.2, D. Lgs. n. 446/97): la base imponibile è determinata in linea di massima come differenza tra valore e costi della produzione risultanti dal conto economico (lettere a) e b) dell’art. 2425 c.c). Pertanto, a prescindere dalla tipologia di immobile, rilevano ai fini IRAP, nella loro effettiva consistenza (senza rilievo della rendita catastale e dei criteri fondiari), i canoni di locazione e le spese a essi relative. Le plusvalenze e le minusvalenze su immobili strumentali – secondo l’interpretazione dell’Ag. delle Entrate ‐ rilevano ai fini IRAP non più solo se a carattere ordinario, ma anche se allocate nell’area straordinaria del conto economico (cfr. circ. Ag. Entrate n. 27/2009 e istruzioni alla dichiarazione IRAP). Concorrono poi alla base imponibile IRAP anche le plusvalenze e le minusvalenze relative a immobili patrimonio, fino al 31.12.2007 escluse. Sul fronte degli ammortamenti, rilevano anche ai fini IRAP – sempre secondo l’Ag. delle Entrate ‐ le norme che impongono lo scorporo del terreno sia per gli immobili in proprietà che per quelli in leasing (circ. n. 38/E/2010, risp. 1.6). Anche gli immobili merce, naturalmente,concorreranno alla base imponibile IRAP in base alle risultanze del conto economico Saranno altresì deducibili le spese di manutenzione se risultanti dal conto economico ovvero, se capitalizzate, sotto forma di maggiori ammortamenti. L’ICI è divenuta espressamente indeducibile (art. 5,3° c., D. Lgs. n.446/97). Per l’applicazione del “regime” IRAP in questione, previsto per le società di capitali, possono optare (irrevocabilmente per un triennio) anche le società di persone in contabilità ordinaria (art. 5 bis, c.2 del D. Lgs. n. 446/97). L’IRAP per le società di persone (in assenza di opzione) e per gli imprenditori individuali (Art. 5 bis D. Lgs. n. 446/97) Per le società di persone che non optano per l’applicazione dell’IRAP secondo i criteri prescritti dall’art. 5 per le società di capitali concorrono alla base imponibile i proventi e gli oneri indicati nell’art. 5 bis, 1°c., del D. Lgs. n. 446/97,ossia i ricavi di cui all’art. 85, c.1,lettere a), b), f), g) del TUIR, le variazioni delle rimanenze finali di cui agli artt. 92 e 93 del TUIR, i costi delle materie prime, sussidiarie e di consumo, delle merci, dei servizi, gli ammortamenti dei beni strumentali materiali e immateriali e i canoni di locazione, anche finanziaria, dei beni strumentali all’esercizio dell’impresa (non però la quota relativa agli oneri finanziari). Tali componenti devono essere assunte ai fini IRAP secondo le regole di qualificazione, imputazione temporale, classificazione valide ai fini IRPEF. Praticamente, come già per il passato, i componenti rilevanti ai fini IRAP continueranno di fatto a rilevare nella misura stabilita per le imposte sui redditi. Di massima, per quanto attiene all’ambito immobiliare, ‐ non rilevano ai fini IRAP le plusvalenze e le minusvalenze relative a immobili strumentali e patrimonio, né i canoni di locazione attivi se non rientranti nell’ambito dell’art. 85 del TUIR ‐ assumono rilevanza i canoni di locazione che costituiscano ricavi ex art. 85 TUIR, i ricavi derivanti dall’alienazione degli immobili merce, le variazioni di magazzino riferibili ai medesimi immobili merce. Anche per questi soggetti l’ICI è indeducibile. Le modifiche al riporto delle perdite per i soggetti IRES, le società in perdita “ricorrente”, la disciplina delle società non operative, la tassazione dei beni d‘impresa concessi in godimento a soci e familiari a condizioni di favore: le novità introdotte dalle manovre fiscali estive 2011 La disciplina delle società non operative è essenzialmente contenuta nell’art. 30 della L. n. 724/1994 (e successive modificazioni). Essa riguarda anche, e di frequente, le società proprietarie di immobili, ma non rappresenta una disciplina specifica, né esclusiva, del settore immobiliare. 42 Con la manovra di ferragosto il legislatore ha introdotto ulteriori norme (riferite alle società in perdita ricorrente e a quelle che concedono in uso a soci e familiari beni dell’impresa a condizioni “sottomercato”) tendenti a ridurre l’area dell’elusione e dell’erosione, norme di carattere generale e di grande interesse anche per il settore immobiliare. Modifiche al riporto delle perdite dei soggetti IRES Prima di esaminare le richiamate norme della “Manovra di ferragosto”) si ritiene però necessario ricordare la modifica introdotta dall’art. 23, c. 9 del D.L. n. 98 del 6.7.2011 (conv. dalla L. n. 111 del 15.7.2011) in materia di riporto delle perdite di impresa,che ha sostituto l’art. 84, 1° e 2° c.,del TUIR. La modifica si sostanzia in quanto segue: 1) <<La perdita di un periodo di imposta,determinata con le stesse norme valevoli per la determinazione del reddito, può essere computata in diminuzione del reddito dei periodi d’imposta successivi (N.B.: sono state eliminate le parole “ma non oltre il quinto”) in misura non superiore all’80% del reddito imponibile di ciascuno di essi e per l’intero importo che trova capienza in tale ammontare. Per i soggetti che fruiscono di un regime di esenzione dell’utile la perdita è riportabile per l’ammontare che eccede l’utile che non ha concorso alla formazione del reddito negli esercizi precedenti. La perdita è diminuita dei proventi esenti dall’imposta diversi da quelli di cui all’art.87 (“participation exemption”) per la parte del loro ammontare che eccede i componenti negativi non dedotti ai sensi dell’art. 109, c. 5. Detta differenza potrà tuttavia essere computata in diminuzione del reddito complessivo in misura tale che l’imposta corrispondente al reddito imponibile risulti compensata da eventuali crediti di imposta,ritenute alla fonte a titolo di acconto, versamenti in acconto, e dalle eccedenze di cui all’art. 80>>. 2) <<le perdite realizzate nei primi tre periodi d’imposta dalla data di costituzione possono,con le modalità previste al comma 1, essere computate in diminuzione del reddito complessivo dei periodi d’imposta successivi (N.B.: sono state eliminate le parole “senza alcun limite di tempo”,ma trattasi di modifica puramente formale e di coordinamento con il comma 1) entro il limite del reddito imponibile di ciascuno di essi e per l’intero importo che trova capienza nel reddito imponibile di ciascuno di essi a condizione che si riferiscano ad una nuova attività produttiva>>. Circa le predette modifiche possiamo osservare quanto segue: 1) viene eliminato il limite temporale di 5 anni per il riporto delle perdite,ma viene introdotto un limite quantitativo al riporto stesso pari all’80% dell’imponibile; 2) per le imprese di nuova costituzione, limitatamente alle perdite dei primi tre periodi d’imposta dalla costituzione, non opera il predetto limite dell’80%. Non è stato invece modificato l’art. 8 del TUIR e pertanto il riporto delle perdite per società di persone e imprese individuali continua a poter operare per l’intero importo che trova capienza nei redditi dei periodi successivi, ma non oltre il quinto,con i limiti ivi precisati. Allo stato attuale non sono state ancora emanate istruzioni dall’Agenzia delle Entrate. L’argomento è stato invece esaminato dal CNDCEC nella circolare n. 24 del 14.9.2011, alla quale facciamo rinvio, richiamando peraltro in questa sede i dubbi (par. 11) circa la decorrenza delle nuove regole. Al riguardo, osserva la circolare che, in base all’art. 23, c.6,del D.L.98/2011, le disposizioni del medesimo articolo si applicano a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del decreto (il D.L. 98 del 6.7.2011 è stato pubblicato sulla G.U. n. 155 del 6.7.2011 ed è entrato in vigore lo stesso giorno) e che anche dalle indicazioni ritraibili dalla Relazione governativa di accompagnamento e dalla Relazione tecnica tale affermazione sembra confermata. Pertanto, sembrerebbe che le perdite pregresse maturate prima dell’esercizio in corso alla data di entrata in vigore del Decreto debbano continuare a seguire le vecchie regole. Sul punto la circolare esprime però il dubbio che invece anche a esse si debba estendere il nuovo trattamento (in parte più favorevole per il venir meno del limite di riporto quinquennale), stante la finalità della norma, espressa nella relazione di accompagnamento, di fornire sostegno alle imprese che escono dall’attuale crisi economico – finanziaria e che si trovano ad avere ingenti volumi di perdite pregresse che potrebbero non essere utilizzabili nell’arco di un quinquennio. Alla luce di tale enunciazione, la circolare conclude, sia pure con formula dubitativa e auspicando un chiarimento di prassi amministrativa, che l’unica soluzione coerente con lo spirito della norma e in ottica di sistematicità sia quello di applicare le nuove regole anche alle perdite conseguite prima del periodo di imposta 2011. Esamineremo ora le novità introdotte per le società “non operative” o “di comodo” (o presunte tali) dalla manovra di ferragosto (D.L. n.138 del 13.8.2011,conv. dalla L. n. 148 del 14.9.2011, art. 2, commi da 36 quinquies a 36 duodevicies), non senza avere prima ricordato che la disciplina di base delle società non operative è contenuta nell’art. 30 della L. n. 724/1994 e sue successive modificazioni. 43 Le società in perdita “ricorrente” Tale argomento è oggetto dei commi da 36 quinquies a 36 duodecies del D.L.138, introdotti dalla legge di conversione. Mancano allo stato documenti interpretativi dell’Ag. Delle Entrate,mentre è stata emanata una interessante circolare interpretativa del CNDCEC (n. 25 del 31.10.2011). In sintesi, le nuove norme prevedono quanto segue: ‐ l’aliquota IRES dovuta dai soggetti indicati nell’art. 30, c. 1, L. 724/1994 è applicata con una maggiorazione del 10,5% (dieci virgola cinque per cento). Sulla quota del reddito imputato per trasparenza, ex art. 5 TUIR, dai soggetti “non operativi” a soggetti IRES trova comunque applicazione detta maggiorazione; ‐ i soggetti “indicati nel predetto art. 30.1” che hanno optato per la tassazione di gruppo assoggettano autonomamente il proprio reddito imponibile alla maggiorazione e provvedono al relativo versamento; lo stesso farà la partecipante che abbia esercitato analoga opzione per la tassazione di gruppo; ‐ i soggetti “indicati nel predetto art. 30.1” che hanno esercitato in qualità di partecipati l’opzione per la trasparenza fiscale (artt. 115 o 116 TUIR) assoggettano autonomamente il proprio reddito imponibile alla maggiorazione e provvedono al relativo versamento; i soggetti “non operativi” che hanno esercitato in qualità di partecipanti l’opzione per la trasparenza fiscale (art. 115 TUIR) assoggettano il proprio reddito alla maggiorazione senza tenere conto del reddito a loro imputato dalla partecipata; ‐ le predette disposizioni si applicano a decorrere dal periodo d’imposta successivo all’entrata in vigore della legge di conversione n. 148 del 14.9.2011 (pubblicata sulla G.U. n. 216 del 16.9.2011, in vigore dal 17.9.2011) e nella determinazione degli acconti dovuti per il periodo di prima applicazione si assume,quale imposta del periodo precedente, quella che si sarebbe determinata applicando le predette nuove disposizioni; ‐ pur non ricorrendo i presupposti di cui all’art. 30, c. 1, L. 724/94, i soggetti ivi indicati che presentano dichiarazioni in perdita fiscale per tre periodi di imposta consecutivi sono considerati non operativi a decorrere dal successivo quarto periodo d’imposta ai fini e per gli effetti dell’art. 30.Restano ferme le cause di non applicazione della disciplina in materia di società operative di cui all’art. 30,L. 724/94; la disciplina sulle perdite ricorrenti si applica però anche qualora, nei tre periodi di imposta consecutivi, i soggetti interessati siano per due periodi in perdita fiscale e in uno abbiano dichiarato un reddito inferiore all’ammontare determinato ex art. 30,c. 3,L. 724/94. Anche queste disposizioni si applicano a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione. Nella determinazione degli acconti dovuti per il periodo di imposta di prima applicazione si assume,quale imposta del periodo precedente, quella che si sarebbe determinata applicando le disposizioni stesse. Da quanto sopra esposto e con l’ausilio della circolare CNDCEC n. 25/2011, si evince quanto segue: ‐ le recenti modifiche normative operano in due direzioni in quanto elevano l’IRES (al 38%) e ampliano la platea dei soggetti interessati alla disciplina delle società “non operative”; la disciplina generale delle società non operative non è stata modificata e quindi continua a operare per quanto riguarda, per esempio, il test di operatività,la determinazione del reddito minimo, gli effetti ai fini IVA e IRAP; ‐ non rientrano – come già non rientravano – nella disciplina delle “non operative” le società semplici, le cooperative,le mutue assicurazioni e le società consortili, gli enti commerciali e non commerciali; ‐ la maggiorazione IRES interessa solo i soggetti passivi a tale tributo che non superano il test dei ricavi figurativi e, da adesso in poi,anche quelle in perdita sistematica, che saranno considerate non operative “per presunzione”, a prescindere o meno dal superamento del test di operatività; la maggiorazione si applica al reddito imponibile complessivo netto, quindi anche alla parte di reddito dichiarato che risultasse eccedente quello minimo; ‐ in presenza di perdite fiscali pregresse la maggiorazione dovrebbe applicarsi al reddito complessivo al netto delle stesse, il cui utilizzo soggiace ora al limite dell’80% disposto dal D.L.98/2011, fermo restando che ciò non può determinare un reddito inferiore a quello minimo previsto ex lege; ‐ la disciplina della maggiorazione contiene norme di dettaglio per le società trasparenti e la tassazione di gruppo; ‐ la presunzione di non operatività per le società in perdita reiterata opera dal quarto periodo d’imposta successivo, con decorrenza (per periodi allineati all’anno solare) dal 2012 (Unico 2013): quindi, le risultanze economiche del 2011 (anche se tale periodo non chiudesse in perdita fiscale, ma con un reddito imponibile inferiore a quello minimo) sono immediatamente interessate dalla nuova disciplina e anzi possono risultare determinanti per le sorti del triennio 2009/2010/2011; si ritiene restino escluse dalla disciplina, per il triennio in corso, le società costituite nel 2010 o nel 2011 in quanto mancherebbe loro la copertura triennale di osservazione prevista dalla norma; ‐ il triennio da considerare è “mobile” e la disciplina scatta (se ricorrono i presupposti legali) dal periodo successivo (p. es: dal 2014 per il triennio 2011 – 2013); se nell’anno in cui risulta “di comodo” la società dichiara un reddito superiore a quello minimo non sarà di comodo nel periodo successivo; ‐ non è chiaro se nel computo del triennio vadano considerati i periodi interessati da cause di esclusione/ disapplicazione della disciplina delle società di comodo o se la loro presenza interrompa la successione di 44 ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ dichiarazioni in perdita (o “sotto soglia”) che fanno scattare la presunzione di non operatività; peraltro, la circolare Ag. Entrate 25/2007 ha affermato che nella determinazione dei ricavi presunti e di quelli effettivi occorre considerare i due periodi d’imposta precedenti a quello in osservazione, anche se interessati da cause di esclusione, e tale affermazione induce a pensare che non assuma rilevanza la presenza di cause di esclusione neanche ai fini del triennio interessato da perdite; per l’acconto relativo al 2012 si deve rideterminare l’imposta del periodo precedente come se la nuova normativa fosse stata già in vigore: occorre quindi verificare se nel triennio 2008 ‐2010 erano maturati i presupposti per essere considerati “non operativi” e, in caso affermativo, dichiarare un’imposta virtuale per il 2011 secondo le nuove regole e utilizzare la stessa come base storica per l’acconto 2012, salvo utilizzare il metodo previsionale e versare quindi gli acconti al 27,5% qualora si ritenga di realizzare nel 2012 i requisiti di “operatività”; si ritiene che le perdite conseguite nei periodi in cui opera la presunzione di non operatività non siano riportabili; la presunzione di non operatività basata sulle perdite è in controtendenza con la modifica della disciplina delle perdite apportata all’art. 84 TUIR a opera del D.L.98/2011 (che ha consentito il riporto senza limiti di tempo delle perdite, per intero per il triennio dalla costituzione della società e per i periodi successivi con il limite dell’80%) posto che non sono escluse dalla disciplina della non operatività le perdite del primo triennio e che il reddito del quarto anno (ove fosse il primo periodo di utile) sarebbe penalizzato dalla maggiorazione di aliquota IRES al 38%; anche i soggetti in perdita reiterata possono fruire delle varie cause di disapplicazione previste in passato per legge,con il Provvedimento Direttoriale 14.2.2008 n. 23681 o con circolari dell’Ag. delle Entrate oppure possono presentare istanza di interpello ove non rientrino in nessuna delle ipotesi “predeterminate”, come spesso accade; tra le cause di disapplicazione automatica contemplate nel Provv. Dirett. 14.2.2008 ve ne sono alcune che possono interessare anche le società immobiliari: a) stato di liquidazione; b) periodi precedenti a quello di inizio di procedure concorsuali, d) possesso di immobili locati a canone vincolato (ex L. 431/98 o in base ad altre norme) o a enti pubblici; f) soggetti che hanno ottenuto l’accoglimento dell’istanza di disapplicazione in relazione a un precedente periodo d’imposta per circostanze oggettive precisate nell’istanza e che non hanno subito modificazioni nei periodi successivi,disapplicazione che opera limitatamente alle predette circostanze oggettive . Si osserva peraltro che la fattispecie sub d) costituisce ipotesi di disapplicazione parziale, in presenza della quale occorre effettuare comunque il test di operatività per verificare se il riconoscimento della causa di disapplicazione è o meno sufficiente per rientrare nell’ambito delle società operative. A tal fine, nel test di operatività e nella determinazione del reddito minimo presunto occorre sterilizzare l’influenza dei beni per i quali è stata riconosciuta la causa di disapplicazione. Se la società resta comunque non operativa è possibile presentare istanza di disapplicazione qualora esistano altre situazioni oggettive che esonerino dal rispetto dei ricavi e del reddito minimi. Quanto poi all’ipotesi sub a) le società in liquidazione che si impegnano,in dichiarazione dei redditi, a richiedere la cancellazione dal registro delle imprese entro il termine di presentazione della dichiarazione successiva sono sollevate dall’onere di dimostrare che la liquidazione è effettiva; nell’ipotesi di disapplicazione parziale (p. es: società immobiliari e holding) deve essere chiarito se l’eventuale superamento del test di operatività possa comunque escludere l’applicazione della normativa alle società in perdita sistematica che sono considerate “di comodo” a prescindere dall’esito del test di operatività; in caso di interpello occorre chiarire se per le società con perdite triennali gli interpelli eventualmente presentati e accolti in passato si possono ritenere ancora validi,senza necessità di ripresentarli. Sul tema dell’interpello è importante sottolineare che la Corte di Cassazione ha affermato (sent. 8663/2011) che il provvedimento del Direttore dell’Ag. Entrate che contenga il diniego della disapplicazione è da considerare alla stregua di un diniego di un’agevolazione,quindi è impugnabile autonomamente presso le Commissioni Tributarie; ne consegue che l’impugnazione è indispensabile per far valere i presupposti di disapplicazione, ciò che non sarebbe possibile in sede di ricorso contro l’accertamento: tale conseguenza – osserva sempre la circolare 25/IR – non dovrebbe però valere per le mancate impugnazioni dei provvedimenti di rigetto emanati prima della sentenza 8663/2011 in quanto la stessa Agenzia Entrate aveva affermato nella circ. 7/E/2009 la non impugnabilità di tali Provvedimenti di diniego, peraltro ribadita in calce agli stessi (in tal senso sent. 154 del 21.9.2011 CTP di Reggio Emilia); nel caso non sia sufficiente ricorrere a cause di esclusione predeterminate, come detto, si può presentare un’istanza di disapplicazione (interpello) in presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento di ricavi, incrementi di rimanenze e proventi, nonché del reddito minimo, o che non hanno consentito di effettuare operazioni rilevanti ai fini IVA in misura non inferiore a quella presunta in base all’applicazione degli appositi coefficienti: devono essere situazioni “oggettive”, indipendenti dalla volontà dei soggetti interessati. E’dubbio se nel caso di società in perdita siano proponibili in sede di interpello tali “situazioni oggettive” posto che la qualificazione di società “di comodo” prescinde dal mancato superamento del test di operatività. La circolare al riguardo ritiene che le motivazioni a base delle istanze debbano in tali casi riguardare la economicità dei comportamenti imprenditoriali, da valutare tenendo conto della complessiva situazione 45 ‐ contrattuale e aziendale e la presenza di situazioni particolari che potrebbero avere causato le perdite: ad es., imprese che producono redditi a formazione pluriennale,come le imprese di costruzione, che nel triennio possono avere prodotto perdite, a cui può fare seguito un quarto periodo a partire dal quale sono dichiarati i ricavi derivanti dal buon fine delle attività precedentemente svolte (quanto precede,ferma la circostanza che l’incremento delle rimanenze durante il periodo di costruzione assume comunque rilevanza per il confronto con i ricavi presunti); la circolare 25/IR ritiene che la presenza di una causa di esclusione o disapplicazione assuma rilievo e debba essere verificata con riguardo al solo periodo di imposta nel quale dovrebbe,altrimenti, applicarsi la disciplina della non operatività per perdite reiterate (ad es. il 2012) e non in relazione alla verifica del presupposto relativo al triennio precedente (2009 – 2011); La disciplina delle società non operative o “di comodo” Esaminate le recentissime novità in materia di società non operative è opportuno completare l’argomento con un richiamo alla disciplina generale di tali soggetti, preesistente ai provvedimenti dell’estate 2011. La disciplina di base delle società non operative (contenuta nell’art. 30 della L. 724/1994) ha finalità antielusiva e interessa,per quanto riguarda gli immobili, le società che possiedono immobili classificati fra le immobilizzazioni (strumentali per natura o per destinazione e “patrimonio”), e può portare,all’esito dei test di operatività prescritti dalla norma,a determinare un reddito minimo “legale” presunto,con valenza ai fini IRPEF/IRES/IRAP, che potrebbe risultare superiore a quello dichiarato dal contribuente sulla base delle risultanze economiche di periodo normalmente determinate. Ulteriori misure di sfavore per tali contribuenti sono poi previste sotto altri profili fiscalmente rilevanti, quali limitazioni e divieti nel riporto delle perdite e nell’utilizzo e compensazione dei crediti IVA. In ragione di quanto sopra precisato, stante la rilevanza degli immobili costituenti immobilizzazioni, e non anche di quelli classificati nell’attivo circolante, alla disciplina delle società di comodo risultano particolarmente esposte, nel settore immobiliare, le società immobiliari di gestione mentre assai meno interessate saranno le imprese di costruzione e quelle di trading, almeno in linea di principio. Peraltro, la circ. Ag. Entrate n. 25/2007 e la ris. n. 2/2008 hanno sottolineato che l’esclusione degli immobili merce è condizionata al fatto che l’iscrizione nell’attivo circolante sia corretta,ciò che accade se l’immobile è effettivamente destinato alla vendita e non a investimento durevole. E’ stato così suggerito da Assonime (circ. 43/2007) di considerare,in via prudenziale, ai fini in questione, gli immobili merce se locati, temporaneamente o meno. Tale indirizzo è stato rafforzato dalle conclusioni contenute nella ris. n. 152/2004, in materia di participation exemption, ma suscettibile di estensione in quanto espressione di un principio più generale di prevalenza della realtà fattuale su quella formale. Poiché la disciplina all’esame riguarda le sole società, gli imprenditori individuali restano esclusi dalla problematica. Preme ricordare che sussistono svariate cause di esclusione dalla normativa in questione al ricorrere delle ipotesi previste dall’art. 30, 1° c. della L. 724/94 e dal Provvedimento dell’Ag. delle Entrate del 14.2.2008 o nel caso di accoglimento di apposita istanza di disapplicazione presentata ai sensi del comma 4 bis del medesimo art. 30. Inoltre, stante la tassativa individuazione dei soggetti a cui la normativa si rende applicabile operata dall’art. 30, restano escluse dalla sua portata le società semplici, le cooperative le società consortili. Per l’individuazione e analisi delle numerose cause di esclusione “predeterminate” rinviamo alle norme sopra richiamate. In questa sede, in quanto di specifico interesse del settore immobiliare, richiamiamo il caso delle società che dispongono di immobili concessi in locazione a enti pubblici o a canone vincolato, limitatamente a tali immobili, o che detengono partecipazioni in società non di comodo o escluse dalla disciplina limitatamente a tali partecipate. Ricordiamo che nel caso in cui vi sia stato accoglimento dell’istanza di disapplicazione occorre barrare le apposite caselle segnaletiche previste nei riquadri di Unico e omettere la compilazione del prospetto di verifica dell’operatività. Non rilevano ai fini della determinazione dei ricavi minimi gli immobili detenuti con contratto di locazione non finanziaria o in comodato, gli immobili concessi in usufrutto se a titolo gratuito e quelli costituenti immobilizzazioni in corso, non essendo ancora idonei a produrre proventi. La percentuale da applicare al costo fiscalmente riconosciuto ex art. 110 TUIR (per gli immobili in proprietà; al costo sostenuto dal concedente per quelli in leasing, se disponibile, altrimenti alla somma delle quote capitali dei canoni e al prezzo di riscatto: secondo la circ. n. 25/E/2007, tali criteri devono essere mantenuti anche a seguito del riscatto al fine di garantire omogeneità e continuità) al fine di determinare i ricavi minimi è il 6%, ridotta al 5% per gli uffici A/10,al 4% per le abitazioni acquisite nell’esercizio e nei due precedenti, all’1% per gli immobili ubicati in comuni con meno di 1.000 abitanti. Per altre tipologie di beni,diversi dagli immobili, sono previsti dall’art. 30,1° c. della L. n. 724/94 altri coefficienti. Relativamente agli immobili che abbiano subito processi di rivalutazione legale,stante il riconoscimento differito nel tempo degli effetti, occorrerà modulare conseguentemente i coefficienti utilizzabili. Per la determinazione dei ricavi minimi occorre applicare i coefficienti di legge alla media dei valori dell’esercizio e dei due precedenti,anche in presenza di cause di disapplicazione della disciplina delle società non operative, e anche se il 46 bene non fosse stato posseduto per l’intero triennio. Se invece la società è costituita da meno di tre periodi di imposta si divide per due (nel primo periodo di imposta della società la disciplina de qua non opera ex lege). Occorre inoltre ragguagliare i valori sia se il bene è stato acquisito nel corso del periodo di imposta, sia se il periodo di imposta fosse di durata diversa dall’anno. Se dal raffronto fra i ricavi minimi e quelli effettivi (anch’essi da mediare sul triennio) emerge che i primi sono superiori ai secondi si rende applicabile la disciplina delle società non operative, con tutte le conseguenze,le limitazioni e i divieti stabiliti dalla legge, inclusa l’attribuzione del reddito minimo presunto. Tale reddito minimo si determina applicando i coefficienti previsti dall’art.30, c. 3 (4,75% per gli immobili in generale; 3% se abitativi e acquisiti o rivalutati nell’esercizio e nei due precedenti; 4% se uffici A/10; 0,9% se immobili ubicati in comuni con popolazione inferiore a 1.000 abitanti) al valore delle categorie di beni posseduti o detenuti in leasing ivi indicati. Nel caso il reddito derivante dalla dichiarazione sia inferiore a quello minimo, andrà allineato conseguentemente. Ai fini IRAP, il reddito minimo di cui sopra costituisce l’aggregato di partenza su cui determinare la base imponibile di tale imposta, da aumentare dei compensi di lavoro e degli interessi passivi e da cui dedurre le agevolazioni e le deduzioni riconosciute ai fini del tributo. L’art. 30,c. 4 bis, prevede che <<In presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini IVA di cui al c. 4, la società interessata può richiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive ai sensi dell’art. 37 bis del DPR n. 600/1973>> alla competente Direzione Generale delle Entrate. In caso di accoglimento dell’istanza, la società non è obbligata al rispetto delle prescrizioni poste dalla normativa sulle società di comodo. Da notare che, secondo la circ. n. 5/E/2007, è possibile presentare l’istanza anche qualora la società sia di comodo per i ricavi ma non per il reddito, ossia se il reddito dichiarato è comunque superiore a quello minimo presunto,nel qual caso resta esclusa l’applicazione delle misure restrittive relative alla determinazione della base imponibile IRAP e le limitazioni relative ai crediti IVA. Nell’istanza devono essere rappresentate e dimostrate le situazioni oggettive che hanno reso impossibile il raggiungimento dei ricavi, del reddito e del volume di affari minimi di legge. Il mancato raggiungimento dei ricavi minimi è spesso legato al non normale svolgimento dell’attività, che l’istante può chiedere di far valere ai fini disapplicativi. Si noti che lo stato di liquidazione (circ. n. 5/E/2007) configura potenzialmente una situazione che autorizza la presentazione dell’istanza ma che non comporta, ovviamente,l’automatica esclusione dalla disciplina delle società di comodo,dovendosi dare compiuta dimostrazione documentale dell’andamento concreto dell’attività liquidatoria, della sua serietà e della impossibilità di raggiungere i parametri minimi di legge nonostante le iniziative attuate. Con riferimento all’ambito immobiliare, la prassi (cfr. circ. n. 5 e n. 44/E/2007) ha individuato situazioni che,se dimostrate, possono condurre alla disapplicazione della norma, quali: presenza di soli immobili in costruzione non idonei a produrre ricavi, dimostrata impossibilità di praticare canoni locativi sufficienti o di modificare quelli derivanti dai contratti in corso, temporanea inagibilità dell’immobile, attesa di provvedimenti amministrativi per l’edificazione su aree di proprietà, locazione a soggetti pubblici con canoni modesti ma congrui secondo il parere dell’Ag. del Territorio,inedificabilità di terreni in dipendenza di vincoli apposti da leggi regionali. Secondo la circ. n. 25/2007, inoltre,la disapplicazione può conseguire nei casi in cui il canone,anche se non congruo, è comunque in linea con le quotazioni OMI. La circ. n. 44/2007 ha per contro ritenuto inidonei alla disapplicazione della disciplina i seguenti elementi: possesso di terreni agricoli incolti in quanto i soci si dedicano ad altra attività, modestia dei canoni locativi in quanto derivanti da contratti risalenti nel tempo se la mancata modifica dipende dalla società istante, la circostanza che la società che conduce in locazione gli immobili abbia la medesima compagine sociale di quella che ne è proprietaria e li loca. Di recente,è stata resa nota con un certo risalto la sentenza 50/8/10 della CTP di Treviso che ha affermato che non compete lo status di società non operativa a un soggetto proprietario di un capannone rimasto sfitto per parecchio tempo per ragioni di mercato, stanti i mutati standard costruttivi e l’esistenza nel comune di immobili maggiormente idonei all’attività artigianale,non dipendendo ciò da scelte della proprietà, ma da circostanze di fatto. Per ulteriori approfondimenti circa l’interpello facciamo rinvio alla circolare riepilogativa e a carattere generale n. 32/E del 14.6.2010,nella quale l’Ag. delle Entrate ha ribadito il carattere obbligatorio dell’interpello ex art. 37 bis,categoria della quale fa parte anche quello per il tema qui all’esame, affermando peraltro la natura non vincolante della propria risposta/parere e la possibilità per l’istante di dimostrare anche successivamente la sussistenza delle condizioni che legittimano l’accesso al regime derogatorio della disciplina stabilita ex lege. La tassazione dei beni d’impresa concessi in godimento a soci e familiari a condizioni di favore Ricordiamo che all’inasprimento apportato alla disciplina delle società “non operative” la recente manovra di ferragosto ha affiancato alcune norme in materia di utilizzo di beni dell’impresa da parte di soci o familiari a condizioni 47 “sottomercato”. Anche tali norme sono state introdotte dall’art. 2 del D.L. 138/2011 in sede di conversione in legge (commi da 36 terdecies a 36 duodevicies). E’ stato così integrato l’art. 67 del TUIR prevedendo ‐ che la differenza tra il valore di mercato e il corrispettivo annuo per la concessione in godimento di beni dell’impresa a soci o familiari dell’imprenditore costituisca “reddito diverso” (nuova lett.”h ter”), ovviamente se lo stesso non costituisca reddito di altro tipo (di capitale,impresa,lavoro autonomo o dipendente) e che come tale essa concorra alla formazione del reddito imponibile del socio o familiare utilizzatore ‐ che i costi relativi ai beni dell’impresa concessi in godimento a soci o familiari dell’imprenditore per un corrispettivo annuo inferiore al valore di mercato del diritto di godimento non sono in ogni caso ammessi in deduzione dal reddito imponibile ‐ l’Ag. delle Entrate procede a controllare sistematicamente la posizione delle persone fisiche che hanno utilizzato i beni concessi in godimento e ai fini della ricostruzione sintetica del reddito tiene conto,in particolare, di qualsiasi forma di finanziamento o capitalizzazione effettuata nei confronti della società; ‐ a fini di controllo l’impresa concedente o il socio o familiare dell’imprenditore comunicano all’Ag. delle Entrate i dati relativi ai beni concessi in godimento e che per l’omissione di detta comunicazione, o la trasmissione con dati incompleti o non veritieri, è dovuta,in solido, una sanzione amministrativa pari al 30% della differenza tra il valore di mercato e il corrispettivo annuo; oppure, qualora ricorra tale ipotesi ma i contribuenti si siano comunque conformati alle nuove disposizioni (ossia: tassazione della differenza in capo al beneficiario e mancata deduzione dei costi da parte dell’impresa), sempre in solido,la sanzione di cui all’art. 11, c. 1,lett. a) del D. Lgs. 471/1997 (da Euro 258 a Euro 2.065): in attuazione di tale disciplina è stato emanato il Provvedimento del Direttore dell’Ag. delle Entrate prot. n. 166485 in data 16 novembre 2011. Tale Provvedimento stabilisce che ‐ i soggetti che esercitano imprese individuali o collettive comunicano i dati anagrafici dei soci o familiari dell’imprenditore che hanno ricevuto in godimento beni dell’impresa,nonché effettuano qualsiasi forma di finanziamento o capitalizzazione nei confronti della società concedente ‐ la comunicazione può essere assolta in via alternativa dall’impresa concedente o dal socio o familiare dell’imprenditore, deve essere effettuata per ogni bene concesso in godimento nel periodo di imposta,ovvero per ogni finanziamento o capitalizzazione realizzati nello stesso periodo,obbligo che sussiste anche per i beni per i quali il godimento permane nel periodo d’imposta in corso al 17.9.2011, così come per i finanziamenti o capitalizzazioni in corso nello stesso periodo ‐ la comunicazione deve essere effettuata anche per i beni concessi in godimento dall’impresa ai soci, o familiari di questi ultimi, o ai soci o familiari di altra società appartenente al medesimo gruppo ‐ l’obbligo della comunicazione non sussiste quando i beni concessi in godimento al singolo socio o familiare dell’imprenditore, diversi da quelli da indicare nelle categorie “autovettura”, “altro veicolo”,”unità da diporto”, “aeromobile”, “immobile” siano di valore non superiore a 3.000 Euro al netto dell’IVA applicata ‐ la comunicazione deve essere effettuata entro il 31 marzo dell’anno successivo a quello di chiusura del periodo di imposta in cui i beni sono concessi in godimento (la comunicazione deve essere effettuata nel medesimo termine anche per i beni per i quali nel periodo d’imposta precedente è cessato il diritto di godimento) ed entro il 31.3.2012 per quelli concessi in godimento nei periodi di imposta precedenti a quello di prima applicazione del Provvedimento. E’ facilmente rilevabile come il provvedimento attuativo in questione abbia dato alle disposizione di legge un’applicazione assai ampia e con profili di retroattività in quanto finalizzato a raccogliere senza sforzo anche informazioni finalizzate all’applicazione del nuovo redditometro. ‐ per completezza, ricordiamo anche che sono stati emanati negli ultimi mesi anche altri due Provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle Entrate finalizzati alla raccolta di informazioni utili per l’applicazione degli strumenti di accertamento di ultima generazione: ci riferiamo ai provvedimenti del 5.8.2011 n. 119563 e al provvedimento integrativo in data 21.11.2011, n. 165979, aventi a oggetto la raccolta di informazioni da parte di operatori che svolgono attività di locazione (finanziaria e operativa) e/o noleggio, tra i quali non è chiaro se siano ricomprese anche le locazioni ordinarie (tale interpretazione è stata infatti smentita nel corso di un recente convegno da parte di esponenti dell’Amministrazione Finanziaria, ma non ancora formalizzata ufficialmente, neppure in sede di emanazione del provvedimento del 21.11.2011). Le predette disposizioni si applicano a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore (17.9.2011) della legge di conversione del D.L. 138/2011 (L. 148/2011). Nella determinazione degli acconti dovuti per il periodo di imposta di prima applicazione si assume quale imposta del periodo precedente quella che si sarebbe determinata applicando le nuove disposizioni. 48 Il complesso di norme che abbiamo esaminato può evidentemente indurre i contribuenti a valutare con attenzione l’opportunità di rinunciare allo schermo societario, posto che la perdurante sussistenza dello stesso può risultare troppo costosa (in termini gestionali e fiscali) e priva di reali ragioni. Tuttavia, a fronte di tale prevedibile necessità, il legislatore non ha sinora accompagnato le nuove misure di inasprimento da corrispondenti norme che agevolino in qualche misura lo scioglimento o la trasformazione in società semplice (non soggetta alle norme sulle società non operative, ma sempre che tale tipo di società sia compatibile con l’attività svolta che,come noto,non deve avere carattere commerciale ma essere di tipo agricolo o, per quanto interessa il settore immobiliare, sostanzialmente statico), come invece era stato spesso fatto in passato. In attesa di verificare se il nuovo Governo riterrà di emanare norme in tale senso, magari accompagnando le misure agevolative con un inasprimento dei coefficienti moltiplicatori delle rendite catastali in corrispondenza della possibilità di utilizzare nella fuoriuscita i valori catastali rivalutati ‐ o se l’Ag. delle Entrate integrerà le ipotesi di disapplicazione automatica in relazione alla nuova disciplina di sfavore, ricordiamo che sul piano delle imposte sui redditi la trasformazione (e l’assegnazione ai soci) è suscettibile di comportare l’emersione di plusvalenze imponibili, da valutare secondo il “valore normale” (da raffrontare con il costo fiscale non ammortizzato del bene), imponibili ai sensi dell’art.86 (c.1 lett. “c” e c. 3) del TUIR (assegnazioni ai soci o destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa). In presenza di perdite pregresse elevate può essere opportuno procedere comunque all’operazione anche qualora le plusvalenze imponibili fossero rilevanti e ciò in considerazione del fatto che se lo stato di non operatività persiste si perde,tra l’altro,anche l’eventuale credito IVA. Ricordiamo che l’eventuale emersione di minusvalenze da assegnazione di beni ai soci non è invece riconosciuta fiscalmente in quanto l’art. 101, 1° c. del TUIR non richiama l’art.86, 1° c. lett. c). Sul piano delle imposte indirette,e segnatamente dell’IVA,ricordiamo che costituiscono cessioni di beni le operazioni elencate dall’art. 2, c.2, nn. 4, 5, 6 del DPR n.633/72 e che in tali ipotesi la base imponibile IVA è determinata in modo “anomalo”, e potenzialmente più favorevole, secondo quanto disposto dall’art. 13, c. 2,lett. c,sempre che fosse stata detratta l’IVA in sede di acquisto (condizione che può non sussistere con riguardo alle unità residenziali ex art.19 bis 1,lett. “i”). Facciamo rinvio sul punto a quanto già precisato in tema di assegnazioni nell’ambito del primo capitolo, dedicato alle imposte indirette. In mancanza di assoggettabilità a IVA è dovuta l’imposta di registro proporzionale in termine fisso (nonché le imposte ipotecaria e catastale) con le aliquote di cui all’art. 4 della Tariffa Parte Prima del DPR n.131/86: trattasi delle stesse aliquote dovute per il caso di normale cessione (inclusa la possibilità di applicare le agevolazioni “prima casa”), salvo che per i casi di fabbricati destinati all’esercizio di attività commerciali e non suscettibili di altra destinazione senza radicali trasformazioni e delle aree destinate all’utilizzo per la costruzione dei medesimi fabbricati (condizione che l’edificazione abbia luogo entro cinque anni dall’assegnazione) o come pertinenze degli stessi,ipotesi nelle quali l’aliquota è quella ridotta del 4%. Le valutazioni di opportunità risentiranno anche delle conclusioni circa l’applicabilità o meno alle perdite fiscali realizzate fino al 2010 dei nuovi limiti introdotti dal D.L. 98/2011 che comporterebbero l’impossibilità di compensare il 20% del reddito con le perdite pregresse (ricordiamo che la nuova disciplina sul riporto delle perdite non interessa le società di persone, ma solo quelle di capitali). Ricordiamo anche che le nuove norme sull’utilizzo delle perdite pregresse nei limiti dell’80% sono suscettibili di riflettersi anche in fase di liquidazione della società. Tale limitazione non dovrebbe peraltro applicarsi in sede di conguaglio finale,ma solo rispetto ai periodi intermedi, conguaglio finale che si attua solo nel caso in cui la liquidazione duri meno di cinque periodi d’imposta, durata oltre la quale il reddito dei periodi intermedi diviene definitivo. Per quanto riguarda invece l’ipotesi che la società permanga in vita e che essa sia proprietaria di immobili non utilizzabili (p. es., inagibili) è opportuno porre in essere sia sul piano catastale che sul piano amministrativo (richiesta di riconoscimento dell’inagibilità) ogni atto che possa oggettivamente comprovare tale situazione al fine di supportare un’eventuale istanza di disapplicazione,anche se solo parziale. Gli immobili rurali (art 42 del TUIR e art.9 del D.L.n. 557/93) Ai sensi dell’art. 42 del TUIR non si considerano produttivi di reddito di fabbricati le costruzioni o porzioni di costruzioni rurali, e relative pertinenze, appartenenti al possessore o all’affittuario dei terreni cui servono e destinate effettivamente agli usi agricoli indicati nelle successive lettere da a) a d). Peraltro, ai fini del riconoscimento della qualifica di ruralità ai fini fiscali, occorre fare riferimento all’art.9 del D.L. 557/93, conv. dalla L. n. 133/94, più volte modificato, nel quale sono analiticamente indicate, per i fabbricati abitativi e per quelli strumentali, le condizioni al cui ricorrere sussiste la ruralità (condizioni per la cui analitica individuazione facciamo necessariamente rinvio al citato provvedimento). Non possono, in ogni caso,fruire della qualificazione di immobile rurale i fabbricati abitativi appartenenti alle categorie A/1 (abitazioni signorili) e A/8 (abitazioni in ville) o che abbiano le caratteristiche di lusso di cui al D.M. Lavori Pubblici 2.8.1969. Le disposizioni di esonero sopra menzionate traggono origine dalla circostanza 49 che il reddito fondiario dei fabbricati rurali è già ricompreso in quello catastale (dominicale) dei terreni a cui risultano asserviti. Tale conclusione vale anche dopo che la legge ha istituito il Catasto dei Fabbricati,con obbligo di denuncia e allibramento nello stesso anche dei fabbricati rurali: la rendita catastale ad essi attribuita,infatti, resta una rendita virtuale e priva di effetti concreti fino a quando permane il requisito di ruralità. I fabbricati che perdono detto requisito devono invece essere dichiarati nel quadro RB con i normali criteri, utilizzando la R.C. presunta nella eventualità in cui siano ancora sprovvisti di quella definitiva. Sul tema è opportuno fare rinvio al contenuto della ris. n. 207/E/2009, nella quale l’Ag. delle Entrate, riscontrando un quesito in materia di successioni, ha confermato con estrema chiarezza che la finalità dell’istituzione del nuovo Catasto dei Fabbricati, e dell’allibramento in seno a esso anche dei fabbricati in possesso dei requisiti rurali, è di tipo inventariale e che la rendita catastale attribuita ai fabbricati assume autonoma rilevanza fiscale solo al venir meno della ruralità. Nel caso specifico, pertanto, l’Ag. delle Entrate ha confermato la possibilità di dichiarare ai fini successori un valore non inferiore a quello catastale del terreno (R.D. per 1,05 per 75 volte), ignorando così il valore catastale del fabbricato a esso asservito, in quanto assorbente anche quello proprio dell’edificio (se e fino a quando asservito). Un tema di grande attualità relativo ai fabbricati rurali è quello relativo al loro accatastamento nelle categorie A/6 (se abitativi) o D/10 (se strumentali). La questione è sorta con riferimento al diritto alla esenzione dall’ICI,ma ha ora assunto una valenza fiscale più ampia. Ricordiamo che circa la spettanza dell’esenzione ICI per i fabbricati rurali è sorto un discreto contenzioso, originato dall’iniziale vuoto legislativo, poi colmato con una successione di interventi normativi, in particolare con l’art. 23,c.1 bis, del D.L. n.207/2008 (conv. dalla L. n. 14/2009), avente espressa valenza di norma di interpretazione autentica (ex art. 1,c. 2 della L. n. 212/2000 – Statuto del Contribuente):<<(…) non si considerano fabbricati le unità immobiliari, anche iscritte o iscrivibili nel catasto fabbricati, per le quali ricorrono i requisiti di ruralità di cui al D.L. n. 557/93,art. 9 (…)>>. Tale intervento normativo sembrava idoneo a risolvere ogni problema interpretativo e a porre fine al contenzioso già pendente. Invece, con sorpresa, la Corte di Cassazione ha affermato in più sentenze (anche a sezioni unite; ex plurimis, n. 18565 del 21.8.2009 a Sezioni Unite e n. 2953 del 14.1.2010), accogliendo i rilievi dei Comuni e nonostante il contrario avviso dell’Agenzia del Territorio, la necessità (ulteriore e non prevista dalla legge) che per il riconoscimento della ruralità (e, conseguentemente, per il diritto all’esenzione da ICI) sussista in capo ai fabbricati l’ulteriore requisito dell’accatastamento nelle categorie A/6 (se abitativi) o D/10 (“fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole” se strumentali); diversamente, tale riconoscimento non può avvenire e il contribuente, qualora intenda far valere la propria richiesta di esenzione, ha l’onere di impugnare il difforme classa mento catastale. Come detto, contro tale orientamento si è pronunciata,con dovizia di argomentazioni, l’Ag. del Territorio, tuttavia, anche successivamente alla sua nota n. 10933 del 26.2.2010, la Corte di Cassazione ha confermato, in altre decisioni (p. es: Sent. n. 7104 del 24.3.2010), il proprio orientamento come sopra delineato. La questione è stata quindi affrontata nuovamente per via legislativa con l’art. 7, commi 2 bis, 2 ter, 2 quater, del D.L. n. 70/2011 (aggiunti in sede di conversione dalla L. n. 106 del 12.7.2011) che,in sintesi, prescrivono quanto segue: ‐ ai fini del riconoscimento della ruralità degli immobili ai sensi dell’art. 9 del D.L. n. 557/93 i soggetti interessati possono presentare all’Agenzia del Territorio, entro il 30 settembre 2011, domanda di variazione per l’attribuzione delle categorie A/6 o D/10 recante dichiarazione autocertificata che l’immobile possiede, in via continuativa dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda, i requisiti di ruralità dell’immobile necessari ai sensi del citato art. 9, D.L. n. 557/93; ‐ entro il 20 novembre 2011 (duemilaundici) l’Ag. del Territorio, previa verifica della sussistenza dei requisiti, convalida la certificazione e riconosce la categoria catastale richiesta. Qualora entro detto termine l’Ag. del Territorio non si sia pronunciata, <<il contribuente può assumere in via provvisoria per ulteriori dodici mesi l’avvenuta attribuzione della rendita catastale richiesta>>. Qualora tale attribuzione sia invece motivatamente negata entro il 20 novembre 2012 (duemiladodici), il contribuente è tenuto al pagamento delle imposte non versate, degli interessi e delle sanzioni determinate in misura raddoppiata rispetto alla normativa vigente; L’attuazione di quanto precede è stata data con D.M. 14.9.2011 che ha, tra l’altro, istituito la classe “R”, senza determinazione della R.C., per le unità a uso abitativo per le quali sussistono i requisiti di ruralità ex art. 9 del D.L. n. 557/93, censite nella categoria catastale A/6, e ha previsto la stima diretta per le u.i. strumentali all’attività agricola censite nella cat. D/10. Come rilevabile, le recenti disposizioni sopra illustrate possiedono valenza fiscale che trascende l’ambito dell’ICI ‐ dal quale la vicenda ha tratto origine – e assumono rilievo certamente anche ai fini delle imposte sui redditi. Ricordiamo peraltro, per quanto riguarda l’ambito dell’IVA, che la tabella A, parte II, allegata al DPR n. 633/72 contempla alcune fattispecie relative specificatamente ai fabbricati rurali. In sintesi: ‐ il n. 21 bis della tab. A/II prevede l’aliquota ridotta per le cessioni di costruzioni rurali a uso abitativo (del proprietario del terreno o di altri addetti alle coltivazioni dello stesso o all’allevamento del bestiame e alle attività connesse) poste in essere dalle imprese costruttrici, ancorché non ultimate, sempre che ricorrano le condizioni di 50 ‐ ‐ cui all’art. 9,c. 3,lettere c) ed e) del D.L. n. 557/93: la lettera e) esclude dal riconoscimento della ruralità ai fini fiscali <<i fabbricati ad uso abitativo che hanno le caratteristiche delle unità immobiliari urbane appartenenti alle categorie A/1 e A/8, ovvero le caratteristiche di lusso previste dal D.M. Lavori Pubblici 2.8.1969>>; questa norma ha il fine di evitare che immobili con caratteristiche – catastali o fattuali – di elevato pregio possano fruire impropriamente di agevolazioni fiscali sia ai fini delle imposte dirette che (in quanto richiamati dalla tabella A/II del DPR n. 633/72) dell’IVA. In relazione a quanto detto, pertanto, il trattamento IVA non dovrebbe subire alterazioni da quanto recentemente disposto dall’art. 7, commi 2 bis, 2 ter, 2 quater, del D.L. n. 70/2011; il n. 24 prevede l’aliquota ridotta per i beni, escluse le materie prime e semilavorate, forniti per la costruzione in economia non solo dei fabbricati Tupini, ma anche delle costruzioni rurali a uso abitativo di cui al n. 21 bis; il n. 39 prevede l’aliquota ridotta per gli appalti rivolti,tra l’altro,alla realizzazione delle costruzioni rurali di cui al n. 21 bis. L’imposizione dei redditi diversi (artt. 67 e segg. TUIR) e la riapertura dei termini per la rideterminazione del valore fiscale dei terreni edificabili e agricoli (art. 7,c. 2, del D. L. n. 70/ 2011 convertito dalla L. n. 106/2011) E’ noto che per le società semplici (e per gli enti non commerciali prodotti al di fuori dell’attività commerciale eventualmente esercitata) la determinazione dei redditi ha luogo in modo analogo a quanto previsto per le persone fisiche operanti in veste “privata” (non nell’esercizio di imprese o di arti e professioni), ossia per singole categorie di reddito (redditi agrari, fondiari, diversi, di capitale, di lavoro autonomo), e non in modo”cumulativo e assorbente” come accade nel reddito di impresa. Pertanto, anche le società semplici, se proprietarie di immobili, possono produrre redditi fondiari derivanti dal possesso di fabbricati o di terreni e redditi diversi, questi ultimi ritraibili dalle plusvalenze conseguite dalla dismissione di tali beni (cessione, costituzione di diritti reali a favore di terzi, tipicamente di usufrutto o di superficie) o anche per la dichiarazione del reddito (effettivo o fondiario) derivante dal possesso di immobili ubicati all’estero. In relazione alla possibilità di produrre redditi diversi e di subire in tal modo un’imposizione IRPEF, nell’ultimo decennio (a partire dalla L. n.448/2001, artt.5 e 7), limitatamente ai soggetti già citati (società semplici, persone fisiche operanti in veste di “privati” ed enti non commerciali) e alle plusvalenze relative alle partecipazioni societarie e ai terreni agricoli ed edificabili, è stata emanata una normativa “speciale” (più volte riproposta attraverso frequenti “riaperture” periodiche) tendente a consentire e anzi a favorire la rideterminazione a pagamento (con aliquota del 4% da applicare al valore periziato dell’immobile) del valore dei terreni, sia agricoli che edificabili, ma non anche dei fabbricati, da raffrontare con il prezzo di cessione ai fini del calcolo della plusvalenza imponibile, in tal modo azzerata o ridotta. Attualmente è “aperta” una “finestra” (30.6.2012) ‐ entro la quale è possibile rivalutare i terreni agricoli ed edificabili posseduti all’1.7.2011 (e i diritti reali a essi relativi) ‐ disposta dall’art.7, c. 2, lett. dd) del D. L. n. 70/ 2011, convertito dalla L. n. 106/2011. Le successive lettere da ee) a gg) hanno finalmente risolto alcune problematiche connesse alla possibilità di recuperare l’imposta sostitutiva da parte dei contribuenti che si siano avvalsi più volte della possibilità di rivalutare il valore dei terreni, novità commentate dall’Ag. delle Entrate con la circ. 24.10.2011,n. 47 che contiene anche un utile riepilogo delle norme che nel tempo,a fare data appunto dal 2001,hanno periodicamente consentito ai contribuenti di operare la rideterminazione volontaria dei valori fiscali dei terreni posseduti, pagando un’imposta sostitutiva pari al 4% del valore rivalutato, e degli interventi interpretativi emanati dall’Agenzia delle Entrate su tale tema. Come detto, l’attuale normativa consente di rideterminare il valore fiscale dei terreni posseduti alla data dell’1 luglio 2011 sostituendo tale nuovo valore all’originario costo di acquisto e “contrapponendolo” poi all’eventuale corrispettivo di cessione del bene ai fini della quantificazione dell’eventuale plusvalenza. Il valore rivalutato non può essere peraltro incrementato degli oneri inerenti (inclusa l’eventuale imposta di successione o di donazione), tranne che della spesa sostenuta per redigere la perizia giurata di stima del nuovo valore (art. 7,c.5, L. n. 448/2001), perizia che deve essere redatta entro il 30 giugno 2012. La perizia deve essere redatta e giurata prima della cessione dei terreni in quanto il valore periziato deve essere indicato nell’atto di cessione stesso. Il versamento dell’imposta sostitutiva deve essere effettuato entro il 30.6.2012 in unica soluzione o può essere rateizzato fino a tre rate annuali di pari importo (30.6.2012, 30.6.2013 e 30.6.2014) pagando contestualmente alle rate successive alla prima anche gli interessi calcolati al tasso del 3% annuo. Il versamento oltre il termine del 30.6.2012 (in unica soluzione o della prima rata ) non consente di utilizzare il valore rivalutato e l’imposta così versata può essere richiesta a rimborso. Nel caso invece il termine del 30.6.2012 sia rispettato (o operando il versamento dell’imposta sostitutiva in unica soluzione o effettuando il versamento della prima rata) si considera perfezionata l’opzione per la rideterminazione dei valori e il contribuente può immediatamente avvalersi di tale nuovo valore “di carico” ai fini del calcolo dell’eventuale plusvalenza da realizzo. 51 Peraltro, una volta effettuato il versamento dell’imposta sostitutiva (o di almeno una rata), se il contribuente non tiene conto del valore così rideterminato non ha diritto al rimborso dell’imposta sostitutiva ma è anzi obbligato a completare i versamenti rateali,essendosi perfezionata con il primo versamento l’opzione per la rideterminazione del valore e con essa l’obbligazione tributaria. Un aspetto della prassi dell’Agenzia delle Entrate assai criticato in passato, ma confermato in più occasioni (cfr. p. es. la ris. n. 263/E del 10.6.2008), è quello (espresso nella circ. 27/E/2003) che richiedeva l’effettuazione ex novo del versamento dell’imposta qualora ci si intendesse avvalere più volte delle”finestre” che, periodicamente, la legge riproponeva per operare la rivalutazione: ogni volta era quindi necessario versare l’imposta sostitutiva sul nuovo valore attestato dal perito ed effettuare il corrispondente versamento di imposta, senza poter scomputare l’imposta eventualmente già versata in passato in occasione di precedenti analoghe rivalutazioni. Le imposte versate in passato potevano essere recuperate solo presentando richiesta di rimborso ex art. 38 del DPR n. 602/1973 entro i 48 mesi successivi al versamento. Tale aspetto è stato ora finalmente superato. Infatti, importante novità contenuta nell’art. 7, c. 2, lettera ee) del D.L. n.70/2011 è che chi si avvale della facoltà di rideterminare il valore di terreni e partecipazioni può,rispetto al passato, scomputare dall’imposta ora dovuta l’imposta sostitutiva (per l’intero o, in caso di rateazione, le rate già versate) che fosse stata già corrisposta in occasione di eventuali precedenti rideterminazioni del valore dei medesimi immobili attuate in dipendenza di precedenti riaperture. In tal modo, l’imposta sostitutiva ora dovuta può anche essere azzerata o, se residuasse una differenza da versare, la stessa può essere pagata in unica soluzione o rateizzata in tre tranches con gli interessi. Chi non volesse avvalersi della nuova rideterminazione ma avesse fruito della precedente (riferita ai terreni posseduti all’1.1.2010,con termine per la perizia e per il pagamento dell’imposta sostitutiva fissati al 31.10.2010 dall’art. 2 della L. n. 191/2009) può dedurre dall’imposta ancora dovuta (in caso di rateazione) quanto eventualmente già versato per rideterminazioni di valore ancora precedenti. La lettera ff) dell’art. 7,c.2, del D.L. 70/2011 regola poi il caso di chi non deduca dall’imposta sostitutiva ora dovuta per la nuova rideterminazione del valore quanto già versato per precedenti rivalutazioni del medesimo bene,consentendogli di richiedere il rimborso entro 48 mesi dalla data di versamento della nuova imposta o della sua prima rata. La lettera gg) contempla poi l’ipotesi in cui siano state versate in passato, avvalendosi di precedenti rideterminazioni di valore, più imposte sostitutive: in tal caso il termine di rimborso di 48 mesi si calcola dalla data di versamento dell’imposta dovuta per l’ultima (ossia,la più recente) rideterminazione effettuata o,se tale termine fosse già scaduto,presentando istanza di rimborso entro il 12 maggio 2012. Il rimborso non può in ogni caso essere superiore all’importo dovuto in base all’ultima rideterminazione di valore effettuata. La circolare n.47/2011 in rassegna regola infine alcune ipotesi in cui penda contenzioso oppure siano state già rigettate precedenti istanze di rimborso. Da notare che a fini di controllo i valori rideterminati dei terreni devono essere indicati nel quadro RM di Unico e che ciò vale anche per coloro che presentano il mod.730 (costoro dovranno pertanto presentare anche il suddetto quadro RM con il relativo frontespizio entro il termine di presentazione di Unico). Si ricorda che a termini della L. 448/2001 (art.7,c.6) il valore rideterminato costituisce anche valore normale minimo ai fini delle imposte indirette (registro,ipotecaria e catastale) dovute per il trasferimento del terreno. Peraltro (circ. 15/E/2002), nel caso in cui il venditore,dopo avere usufruito della rivalutazione, ritenesse di discostarsi dal valore “minimo” così rideterminato (ciò che potrebbe accadere,ad es.,in dipendenza di un deprezzamento del bene, di modifiche intervenute negli strumenti di pianificazione urbanistica o di una involuzione del mercato), può farlo: in tal caso, ai fini delle imposte sui trasferimenti varranno le ordinarie norme che presiedono alla determinazione della base imponibile, mentre ai fini delle imposte dirette la plusvalenza dovrà essere determinata assumendo il costo o il valore di acquisto determinato in via ordinaria ex art. 68 (già 82) del TUIR, senza considerare come effettuata la rivalutazione. La ris. 111/2010 aveva riconosciuto la possibilità di rideterminare “al ribasso” il valore del bene che fosse stato già interessato da precedenti rivalutazioni, senza però riconoscere il diritto di dedurre quanto fosse stato precedentemente versato. Ora, alla luce dell’innovativo disposto dell’art. 7,c. 2,D.L. n.70/2011, si ritiene che tale rideterminazione al ribasso possa essere effettuata senza dover pagare nulla. Detto preliminarmente – in quanto novità recente ‐ della riapertura offerta alla rideterminazione del valore dei terreni ai fini IRPEF, e prima di esaminare le norme che regolano la tassazione delle plusvalenze immobiliari nell’ambito dei redditi diversi immobiliari, riteniamo opportuno ricordare che sono tuttora in vigore le importanti norme di cui all’art. 1,c. 496,della L. n. 266/2005, in forza delle quali alle plusvalenze relative a cessioni di terreni non edificabili e di fabbricati rientranti nell’ambito dei redditi diversi (art. 67,c.1, lett. b) del TUIR) si rende applicabile, se richiesta, un’imposta sostitutiva del 20%. 52 Ricordiamo anche la norma “gemella” di cui al successivo comma 497, che consente che alle cessioni di abitazioni e relative pertinenze (non anche di terreni) a favore di persone fisiche “private” (cessioni da qualunque soggetto effettuate) l’acquirente persona fisica possa richiedere l’applicazione del valore catastale ai fini delle imposte indirette (è l’unica fattispecie rimasta, insieme a quella relativa alla determinazione dell’imponibile per le imposte sulle donazioni e sulle successioni, in cui opera ancora il valore catastale). Dell’esistenza di tali norme è opportuno ricordarsi anche nell’effettuare i calcoli di convenienza circa l’opportunità o meno di avvalersi delle norme sulla rideterminazione dei valori dei terreni. Passando all’esame delle norme in materia di redditi diversi, ricordiamo che quelle che interessano il settore immobiliare sono contenute principalmente negli artt. 67 (lettere “a” e “b”) e 68 (1° e 2° c.) per quanto riguarda le plusvalenze immobiliari, nonché negli artt. 67,lettere e), f) e h), e 70 (per alcune tipologie reddituali, tra cui i redditi degli immobili all’estero). Ricordiamo ancora una volta (prima di passare all’approfondimento delle principali norme che possono interessare principalmente le persone fisiche, le società, gli enti non commerciali) che proprio in relazione all’esistenza di norme che colpiscono le plusvalenze derivanti da trasferimenti immobiliari posti in essere da tali soggetti può sussistere interesse alla rivalutazione a pagamento dei terreni (edificabili e agricoli, ma non anche dei fabbricati, in quanto mai ricompresi nella normativa in questione) prevista dalle norme più volte riproposte nell’ultimo decennio. Queste le principali norme del TUIR che interessano i redditi diversi immobiliari. ‐ art.67, 1° c., lett. a) e b) relative alla individuazione delle fattispecie imponibili in tema di plusvalenze derivanti da cessione a titolo oneroso di fabbricati e di terreni (cui devono equipararsi la costituzione o il trasferimento dei diritti reali di godimento a essi relativi,nonché il conferimento in società,come disposto dall’art.9, 5° c. del TUIR) ‐ art. 68, 1°e 2° c., che disciplinano la determinazione della base imponibile nei casi di cui sopra; ‐ art. 67, 1° c., lett. e), f) h) dedicate rispettivamente ai redditi fondiari non determinabili catastalmente,ai redditi di beni immobili situati all’estero, ai redditi derivanti dalla concessione in usufrutto e dalla sublocazione di immobili; ‐ art.35 del DPR n. 327/2001 (T.U. degli Espropri) e art.1,comma 444, della L. n. 266/2005 relativi alle indennità di esproprio (ovvero ai corrispettivi di cessione volontaria o al risarcimento del danno per acquisizione coattiva) e di occupazione relative a terreni posti all’interno delle zone omogenee A, B, C, D di cui al D.M. 2.4.1968,come definite dagli strumenti urbanistici (trattasi dei centri storici, delle zone di completamento,di espansione e industriali; restano invece escluse da imposizioni le corrispondenti somme se derivanti da atti relativi a terreni posti in zone agricole “F” o destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale). Le predette norme in materia espropriativa originano peraltro dall’art. 11 della L. n. 413/91; Ricordiamo anche (per le persone fisiche e per le società semplici) il disposto dell’art. 17,lett. g) bis del TUIR, che prevede l’assoggettamento a tassazione separata (ex art. 21 TUIR) delle plusvalenze di cui all’art. 67, 1°c., lett.b) realizzate a seguito di cessione a titolo oneroso di terreni edificabili: si noti che, ai sensi del successivo 3° c. dell’art. 17, il contribuente persona fisica che abbia conseguito la plusvalenza in veste di privato, e non nell’esercizio di imprese commerciali, ha facoltà di non avvalersi della tassazione separata facendolo constare espressamente nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta in cui è avvenuta o ha avuto inizio la percezione; se conseguite da persone fisiche nell’esercizio di imprese commerciali individuali, tali plusvalenze sono tassate separatamente a condizione che ne sia fatta richiesta nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta in cui sarebbero imputabili come componenti del reddito di impresa. Per quanto riguarda le modalità di determinazione della base imponibile osserviamo quanto segue con riferimento alle diverse fattispecie imponibili: ‐ terreni lottizzati (art. 67, 1° c., lett. “a” e art. 68, 1° c. e 2° c. del TUIR): la “nozione” di tale fattispecie è fornita, per la verità in modo non chiarissimo, nell’appendice a Unico Persone Fisiche, fascicolo 2, alla quale facciamo rinvio; richiamiamo inoltre l’importante ris. n. 319/E/2008, in base alla quale la lottizzazione si configurerebbe dopo che il Comune abbia approvato la convenzione di lottizzazione e non il solo piano di lottizzazione, come invece argomentato dalla Corte di Cassazione in alcune sentenze del passato (n. 15208/2001; n. 6836/2001; n. 15377/2002), peraltro superate dalla più recente sent. n. 26275/2007, richiamata appunto dalla ris. 319/2008. L’Agenzia delle Entrate ha anche affermato (ris. n. 2704 del 1981) che il semplice frazionamento catastale di un terreno non costituisce operazione incrementativa diretta ad agevolare la successiva vendita, né può essere assimilato alla lottizzazione. 53 Circa le modalità di determinazione della plusvalenza ai sensi dell’art. 68, c. 1 del TUIR (“corrispettivi percepiti nel periodo di imposta meno prezzo di acquisto o costo di costruzione del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente il bene medesimo”), si richiama quanto precisato all’art. 68, c. 2, ossia che ‐ per i terreni acquistati oltre cinque anni prima dell’inizio della lottizzazione o delle opere si assume come prezzo di acquisto il valore normale nel quinto anno anteriore. ‐ il costo dei terreni stessi acquisiti gratuitamente sono determinati tenendo conto del valore normale del terreno alla data di inizio della lottizzazione o delle opere o a quella di inizio della costruzione. ‐ Terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria (art. 67, 1° c., lett. “b” e art. 68, 1° c. e 2° c. del TUIR): con tale locuzione si intendono i terreni qualificati come edificabili dal PRG o, in mancanza, dagli altri strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione (Cfr. Istruzioni a Unico Persone Fisiche 2011, quadro RM, pag. 12; art. 36, c. 2, D.L. n. 223/2006 conv. dalla L. n. 248/2006). Circa le modalità di determinazione della plusvalenza (“corrispettivi percepiti nel periodo di imposta meno prezzo di acquisto, aumentato di ogni altro costo inerente il bene medesimo”), si richiama quanto precisato all’art. 68, c. 2, ossia che ‐ il costo dei terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria è costituito dal pezzo di acquisto aumentato di ogni altro costo inerente, rivalutato in base alla variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati nonché dell’INVIM ‐ per i terreni acquisiti per effetto di successione o donazione si assume come prezzo di acquisto il valore dichiarato nelle relative denunce ed atti registrati, o in seguito definito e liquidato, aumentato di ogni altro costo successivo inerente, nonché dell’INVIM e dell’imposta di successione. La Corte Costituzionale con sentenza additiva (n. 328/2002) ha stabilito che anche per i terreni edificabili acquisiti per successione o donazione il valore dichiarato nelle relative denunce (o successivamente accertato, definito e liquidato) deve essere rivalutato con l’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati per evitare disparità di trattamento con l’ipotesi di acquisto a titolo oneroso dei medesimi terreni per i quali la norma già prevedeva tale rivalutazione (cfr. anche circolari n. 81/2002 e n. 6/2006 e ris. 319/2008). Richiamiamo l’attenzione sul fatto che sia per le aree edificabili che per quelle lottizzate è prevista l’imposizione delle plusvalenze senza il limite di cinque anni invece stabilito con riguardo ai fabbricati e ai terreni agricoli. Inoltre, sempre con riferimento sia alle aree edificabili che a quelle lottizzate, per entrambe le quali la norma del TUIR (art. 68, c.1) contiene la locuzione <<aumentato di ogni altro costo inerente il bene medesimo>>, in tema di determinazione della base imponibile rileva la recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 17595 del 22.6.2011, dep. il 23.8.2011) ove è stato affermato il principio (che supera la lettera della norma) secondo cui i costi suscettibili di incrementare il valore iniziale del bene sono solo le spese incrementative, ossia “quelle spese che determinano un aumento della consistenza economica del bene o che incidono sul suo valore,nel momento in cui si verifica il presupposto impositivo” e non anche le spese che non apportano maggior consistenza o maggior valore all’immobile perché attengono solo alla manutenzione e/o alla buona gestione del bene. Sono stati così interpretati in modo restrittivo i richiami a “ogni altro costo inerente” contenuti nel vecchio art. 82 del TUIR, ora art. 68, 1° e 2° c.). ‐ Terreni agricoli: sono regolati dall’art. 67, lett. b) e dall’art. 68, 1° c. del TUIR. Caratteristica saliente è che le plusvalenze da essi generate non sono imponibili una volta decorsi cinque anni dalla data di acquisto, né se pervenuti per successione. Nel caso di donazione il quinquennio deve essere determinato con riferimento alla data di acquisto in capo al donante, al pari del prezzo di acquisto. Ricordiamo che per tali terreni (a differenza di quelli edificabili e delle aree lottizzate) si rende applicabile la disposizione di cui all’art. 1, c. 496 della L. n. 266/2005, ai sensi della quale si può tassare, in sede di atto notarile, la plusvalenza con un’imposta sostituiva del 20% (sempre che si configuri come reddito diverso e che non siano ancora decorsi i cinque anni fiscalmente rilevanti ai fini dell’imponibilità). ‐ fabbricati: vale sostanzialmente tutto quanto appena detto per i terreni agricoli, con l’aggiunta che per tali beni si configura una ulteriore fattispecie non imponibile laddove tra il loro acquisto o la loro costruzione e la successiva vendita non siano ancora decorsi i cinque anni, purché per la maggior parte di tale periodo l’unità immobiliare urbana sia stata adibita ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari. Osserviamo che mancano circolari dell’Agenzia delle Entrate che operino un inquadramento organico e sistematico della disciplina dei redditi diversi immobiliari, pur costituendo tali norme un corpus significativo, spesso caratterizzato da difficoltà interpretative di notevole spessore, e nonostante i valori imponibili in gioco siano assai elevati,come sempre accade quando si ha a che fare con gli immobili. Esistono invece svariate circolari e risoluzioni relative alle 54 rideterminazione a pagamento dei valori dei terreni, nonché una significativa produzione di risoluzioni dell’Amministrazione Finanziaria riferite a casi specifici, che aiutano a ricostruire la disciplina. Prima di esaminare alcune delle pronunce più significative di questi ultimi anni, è opportuno ricordare che ai sensi dell’art.9, 5° c. del TUIR <<Ai fini delle imposte sui redditi le disposizioni relative alle cessioni a titolo oneroso valgono anche per gli atti a titolo oneroso che importano costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento e per i conferimenti in società). L’Agenzia delle Entrate ha in più occasioni ribadito tale principio (anche con riguardo alle servitù, alle cessioni di volumetrie o di diritti di rilocalizzazione) e ha altresì riconosciuto la possibilità di rivalutare sia la nuda proprietà che i diritti reali, in genere di usufrutto o di superficie. Circa le cessioni di volumetrie giova ricordare quanto recentemente disposto (ai fini civilistici, a integrazione dell’art. 2643 cod. civ.) dal D.L. “Sviluppo” n. 70/2011 (art. 5, comma 3), conv. dalla L. n. 106/2011, ossia che sono trascrivibili nei registri immobiliari «i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale ». La cessione di diritti volumetrici (o “cessione di cubatura”), secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione (condivisa dal Min. Fin. con ris. 17/8/76 n. 250948, richiamata dalla ris. Ag. Entr. n. 233/2009) si concretizza nell’atto a titolo oneroso, a cui il Comune presta assenso, con cui il proprietario del fondo cui inerisce une determinata cubatura distacca,in tutto o in parte, la facoltà inerente al suo diritto di costruire in base agli strumenti urbanistici e,formando un diritto a sé stante, lo trasferisce definitivamente a beneficio del fondo dell’acquirente. Ai fini tributari tale trasferimento è assimilabile a quello di un diritto reale immobiliare (usufrutto, servitù, superficie, etc.) poiché il cedente perde il diritto di costruire per la cubatura ceduta a favore del cessionario. Pertanto, alla cessione di cubatura effettuata da una persona fisica in veste privata (o,più in generale, poste in essere al di fuori del regime IVA) si applica l’imposta di registro con le aliquote previste dall’art. 1, Tar. Parte I, DPR 131/86 (T.U. di Registro) in relazione alla tipologia di bene cui si riferisce la cubatura ceduta e al soggetto cessionario. Le cessioni di cubatura possono rientrare nel campo dell’IVA (art. 2, 1° c., DPR n. 633/72) se relative ad aree edificabili appartenenti a soggetti IVA. Come poc’anzi detto, l’art. 3 del D.L.“Sviluppo” (13.5.2011 n.70, conv. dalla L.12.7.2011 n.106) <<al fine di garantire certezza nella circolazione dei diritti edificatori>> ha integrato l’elenco degli atti che (art. 2643 cod. civ.) si devono rendere pubblici mediante trascrizione nei registri immobiliari, inserendo il nuovo n. 2 bis relativo ai <<contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale>>. Pertanto, le cessioni di cubatura sono ora assoggettate a obbligo di trascrizione e a imposta ipotecaria, mentre continuano a non essere soggette a imposta catastale. Ai fini delle imposte sui redditi anche la cessione di cubatura rientra tra le ipotesi contemplate dall’art. 9, 5° c. del TUIR (che dichiara applicabili le disposizioni relative alle cessioni a titolo oneroso anche agli atti a titolo oneroso che importano costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento,cui – come detto ‐ le cessioni di volumetria sono fiscalmente equiparate, nonché agli atti di conferimento in società) e,di conseguenza, possono configurare realizzo di plusvalenze imponibili,per cassa, quali redditi diversi ex artt. 67, 1° c. lett. b) e 68, 1° c. del TUIR. In pratica, se le cessioni di cubatura riguardano aree fabbricabili sono in ogni caso imponibili e suscettibili di tassazione separata o, in caso di opzione, in forma ordinaria; se riguardano terreni agricoli lo sono se tra l’acquisto del terreno e la cessione intercorrono meno di 5 anni mentre non lo sono in caso di acquisizione per successione o se la cessione ha luogo dopo 5 anni dall’acquisto del terreno. Per i terreni non edificabili,in caso di imponibilità della plusvalenza, in alternativa alla tassazione IRPEF ordinaria, si può optare per l’imposta sostitutiva del 20% di cui all’art. 1,c. 496,L. n. 266/2005. Di seguito richiamiamo, con riferimento a fattispecie che, di massima, possono essere di interesse anche per le società semplici immobiliari, alcune recenti pronunce, fra le più interessanti, della prassi amministrativa in materia di rideterminazione del valore dei terreni di redditi diversi. Tra le molte pronunce interessanti, meritano di essere citare le seguenti: ‐ due chiarimenti, fra loro strettamente connessi, forniti dalla circolare 12.3.2010, n. 12 (risp. 6.1 e 6.2), hanno confermato la possibile rivalutazione sia della nuda proprietà che del diritto di usufrutto relativi a terreni e chiarito la relazione che si crea ai fini fiscali nel momento in cui si estingue l’usufrutto, negando la possibilità per il nudo proprietario, alla estinzione dell’usufrutto, di avvalersi del maggior valore eventualmente rideterminato dall’usufruttuario. ‐ la ris. n. 395 del 22.10.2008, nella quale la cessione di fabbricati ricadenti in un piano di recupero, destinati alla demolizione e alla successiva ricostruzione con incrementi di volumetria, è stata equiparata alla cessione di terreni edificabili (e non di fabbricati) con conseguente possibilità di operarne la previa rivalutazione; si segnala che tale 55 ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ orientamento è tutt’altro che condiviso in dottrina e che la stessa Ag. delle Entrate ha chiarito che ai fini IVA in un caso analogo prevale l’”identità” del fabbricato su quella dell’area (circ.28/2011,risposta 1.2) la ris. n. 233 del 20.8.2009, nella quale la cessione dei diritti di rilocalizzazione di fabbricati è stata considerata analoga alla cessione di cubatura (e non di fabbricato), da trattare pertanto come trasferimento di diritto reale su terreno, agricolo o edificabile a seconda del caso concreto. Merita di essere precisato che il diritto di rilocalizzazione è un istituto del diritto urbanistico previsto dalle normative regionali ai sensi del quale ai proprietari di immobili espropriati o ceduti all’ente incaricato di realizzare un’opera (per essere demoliti o utilizzati in modo diverso) viene attribuita una potenzialità edificatoria ‐ pari per volume, superficie e destinazione d’uso a quella dell’edificio ceduto o espropriato ‐ da sfruttare in altra zona del comune. Con la concessione del diritto di rilocalizzazione i Comuni attuano pertanto in altra zona la ricostruzione di siti urbani e rurali non compatibili con la realizzazione di opere pubbliche in modo da mantenere in vita il tessuto sociale, abitativo e produttivo della comunità locale. La sintesi che precede è tratta dalla ris. Ag. Entrate n. 233/2009. Tale risoluzione ha precisato che il riconoscimento del diritto non ha la funzione di ristorare la perdita fisica o funzionale dell’immobile divenuto inagibile (in quanto già ristorata con l’indennità di esproprio o con il prezzo di cessione bonaria), ma di mantenere inalterata la potenzialità edificatoria del terreno su cui l’edificio insisteva. Il diritto di rilocalizzazione può essere utilizzato direttamente dal proprietario cedente o espropriato su altro terreno o può essere ceduto a terzi: la cessione a titolo oneroso configura un’ipotesi analoga alla cessione di cubatura e produce effetti assimilati al trasferimento di diritti reali immobiliari, accrescendo il limite di edificabilità del terreno beneficiato e, del pari, riducendo quello del terreno di provenienza: è pertanto applicabile l’art.9,5° c., del TUIR e, se la cessione del diritto è posta in essere da un soggetto IRPEF, l’eventuale plusvalenza può configurare reddito diverso, tassabile per cassa, con le regole stabilite per i terreni edificabili o agricoli dagli artt.67,1° c., lett. b) e 68 del TUIR. L’eventuale plusvalenza imponibile sarà data dalla differenza fra il corrispettivo pattuito (per la parte incassata nel periodo di imposta di riferimento) per la cessione del diritto e il prezzo di “acquisto” del diritto ceduto (aumentato di ogni altro costo inerente) da determinare mediante perizia che stabilisca il valore della volumetria edificabile rispetto al valore del terreno. Il costo della perizia, se sostenuto e rimasto a carico del cedente, può essere portato in aumento del costo del diritto. E’ importante osservare che la ris. 233 non ha condiviso né la tesi che il corrispettivo percepito per la cessione del diritto di rilocalizzazione non sarebbe comunque imponibile in quanto non contemplato tra le fattispecie dell’art. 67 suscettibili di produrre redditi diversi, né – in via subordinata – che la stessa possa essere assimilata alla cessione di un fabbricato, come noto non imponibile una volta trascorsi almeno 5 anni dall’acquisto o dalla costruzione, né (anche prima del quinquennio) se per la maggior parte del periodo di possesso il bene è stato adibito ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari. la già citata ris. n.319 del 24.7.2008, che ha chiarito la distinzione fra la fattispecie della cessione di terreni edificabili e la diversa fattispecie di cessione di terreni soggetti a lottizzazione, caratterizzate da un differente trattamento fiscale, pur se suscettibili entrambi di configurare il realizzo di redditi diversi; la ris. n. 379 del 10.10.2008,che ha esaminato l’ipotesi di costituzione, dietro corrispettivo, del diritto di servitù di passaggio a tempo determinato a favore di un fondo attiguo e la modalità di calcolo della plusvalenza, ritenuta imponibile quale reddito diverso ex art. 67, 1° c., lett. b) del TUIR. L’Ag. delle Entrate ha espresso nell’occasione l’avviso che la plusvalenza dovesse essere determinata per differenza fra il corrispettivo pattuito e la frazione del prezzo di acquisto originario (aumentato di ogni altro costo inerente) fondato sul rapporto tra il valore complessivo attuale del terreno (nello specifico, con destinazione agricola) e il corrispettivo percepito per la costituzione della servitù; nel caso in questione,inoltre, posto che l’indennità di servitù sarebbe stata corrisposta in dieci annualità, è stata affermata la necessità di rispettare il principio di cassa e quindi di computare la plusvalenza nella percentuale riferibile a ogni singola annualità di incasso; sempre in materia di servitù, per l’esattezza di rinuncia a servitù, la ris. 210/E/2008; la risoluzione n. 460 del 2.12.2008, che ha approfondito le condizioni e le modalità di individuazione del momento in cui possono assumere rilevanza anche fiscale, ai sensi e per gli effetti dell’art. 36,2° c. del D.L. n. 223/2006, conv. dalla L. n. 248/2006, le modificazioni nel regime urbanistico delle aree (da agricole a edificabili o, proprio come nel caso in questione,anche in direzione opposta), riaffermando il principio secondo cui è necessario avere riguardo, caso per caso, alle specifiche prescrizioni della normativa urbanistica; nel caso di specie è stata così riconosciuta, a determinate condizioni, l’irrilevanza fiscale della plusvalenza derivante dalla cessione di terreni, già edificabili e poi declassati ad agricoli da un piano urbanistico non ancora perfezionato. Nel caso contrario, ove avesse prevalso la natura edificabile, i terreni sarebbero stati suscettibili di produrre plusvalenza imponibile in ragione del diverso, e ben più ampio,regime che caratterizza le aree edificabili rispetto a quelle agricole; la ris. n. 112/2009 che ha, tra l’altro, affermato l’imponibilità per intero del corrispettivo derivante dalla costituzione di un diritto di superficie a tempo determinato (ossia, al lordo, senza poter cioè dedurre da tale 56 ‐ corrispettivo alcun costo iniziale, mancando un acquisto a titolo oneroso di tale diritto da parte del soggetto che poi costituisce il diritto di superficie). La risoluzione ha chiarito anche che la costituzione di un diritto di superficie a tempo indeterminato è invece equiparata alla cessione del diritto di proprietà; la ris. n. 23/2009 che approfondisce il tema della individuazione del momento in cui il fabbricato viene ad esistenza (ex art. 2645 bis c.c.), rilevante per comprendere in taluni casi quale sia l’oggetto della vendita (un fabbricato, ancorché non ancora completato,oppure un’area edificabile, anzi parzialmente edificata) e anche per avviare il computo dei cinque anni oltre i quali la plusvalenza, se effettivamente relativa alla cessione di un fabbricato e non di un’area edificabile, non è più imponibile. A conclusione di quanto sin qui esaminato possiamo trarre la conclusione che, per l’estrema articolazione delle norme che regolano la determinazione della base imponibile delle plusvalenze di cui all’art. 67, lettere a) e b) del TUIR, e per la pluralità di fattispecie e di regimi (ordinario, a tassazione separata,imposizione sostitutiva del 20% di cui all’art. 1,c. 466 della L. n. 266/2005) la rideterminazione del valore dei terreni deve essere valutata – in termini di convenienza e di opportunità – caso per caso, tenendo conto anche del fatto che le regole del TUIR relative alla imposizione dei terreni lottizzati appaiono più favorevoli di quelle applicabili ai terreni edificabili. E’ bene anche ricordare che è possibile rideterminare con perizia al ribasso il valore dei terreni e che ciò può risultare opportuno,ove si abbia l’intenzione di cederli, in quanto, una volta rideterminato tale valore, lo stesso costituisce valore normale minimo ai fini delle imposte sui trasferimenti e che se si disattende la valutazione peritale relativa alla rivalutazione del bene la stessa perde completamente efficacia: l’Amministrazione può così “liberamente” accertare il valore di trasferimento ai fini delle imposte indirette,in base alle regole generali, e anche il valore iniziale torna a essere determinato in base alle norme di cui agli artt. 67 e 68 del TUIR. L’eventuale rideterminazione al ribasso consente quindi,ove necessario, di innalzare il valore fiscale “di carico” rilevante ai fini dei redditi diversi e di abbassare al contempo la soglia minima da rispettare per quanto riguarda il valore di trasferimento ai fini delle imposte indirette. Le recenti norme introdotte dal D.L.”Sviluppo” 70/2011 agevolano non poco tale strategia, permettendo finalmente di compensare l’imposta sostitutiva eventualmente versata per precedenti rivalutazioni da quella ora dovuta,ma sino a concorrenza di quest’ultima,senza poter pretendere il rimborso di eventuali eccedenze già corrisposte in passato. Per chi volesse ulteriormente approfondire l’interessante, ma complesso, tema dei redditi diversi segnaliamo alcune ulteriori interessanti, recenti pronunzie di prassi amministrativa che, per ragioni di spazio, non è possibile qui esaminare: ris. 333/2008, ris. 188/2009, ris. 111/2010. Esaminate le principali fattispecie di redditi diversi in ambito immobiliare è opportuno anche effettuare un cenno alla fattispecie individuata all’art. 67, lett. h), ossia ai << redditi derivanti dalla concessione in usufrutto e dalla sublocazione di beni immobili>>. Tale fattispecie è riferita dall’Amministrazione Finanziaria al caso della sublocazione e, per quanto riguarda la concessione in usufrutto di immobili, al momento della “costituzione” del diritto, mentre l’eventuale successiva cessione del diritto stesso da parte dell’usufruttuario rientrerebbe nella regola generale dell’art. 67, lett. b), del TUIR, giusta quanto previsto dall’art. 9, c. 5 del TUIR. Tale interpretazione – peraltro risalente alla ormai lontana ris. Min. Fin. n.. 20/93 – è stata criticata da autorevole dottrina in quanto la lettera h) dell’art. 67 riguarderebbe, oltre alla sublocazione, il caso in cui l’usufruttuario ceda il proprio diritto solo per una parte della sua durata, mentre i redditi ritratti sia nella fase di costituzione del diritto che di cessione dello stesso per l’intera sua durata residua rientrerebbero nell’ambito dell’art. 67, lett. b). La determinazione dell’imponibile nella fattispecie all’esame (lettera h) è regolata dall’art. 71, c. 2, ai sensi del quale i redditi sono costituiti dalla differenza tra l’ammontare percepito nel periodo di imposta e le spese specificamente inerenti alla loro produzione. Giova precisare che l’eventuale locazione dell’immobile da parte dell’usufruttuario (se persona fisica o società semplice, ma anche per le imprese commerciali nel caso di beni patrimonio) si configura invece come reddito fondiario, e non quale reddito diverso, in quanto alla posizione in cui si trova il pieno proprietario deve essere equiparato il titolare di diritti reali ai sensi dell’art. 26 del TUIR. Alla fattispecie della sublocazione (generatrice di reddito diverso ai sensi dell’art. 67, lett. h), veniva generalmente ricondotta anche l’ipotesi della locazione posta in essere dal comodatario, impostazione che è stata però “spiazzata” dalle risoluzioni n. 381 del 14.10.2008 e n. 394 del 22.10.2008. Tali risoluzioni hanno infatti precisato che il reddito ritratto dall’eventuale locazione (da parte del comodatario) di immobili concessigli in comodato (dal proprietario o usufruttuario) non devono essere dichiarati dal comodatario (come redditi diversi) ma dal comodante in quanto il diritto di comodato non assume natura reale ma personale. Secondo le citate risoluzioni n. 381 e n. 394 del 22.10.2008: 57 ‐ ‐ il canone di locazione deve essere comunque imputato al comodante e non al comodatario – locatore, conclusione innovativa ed accolta con una certa sorpresa e perplessità in dottrina in ragione della distorsione che rappresenta rispetto al principio di capacità contributiva di cui all’art. 53, 1° c. della Costituzione, per ragioni di carattere fattuale (il comodante può non essere affatto a conoscenza dei redditi derivanti al comodatario per effetto della locazione dallo stesso posta in essere, sempre se legittima sul piano privatistico in funzione anche degli accordi assunti inter partes e se non elusiva sul piano tributario) e anche alla luce dell’esistenza della norma di cui all’art. 67, 1° c.,lettera h) del TUIR, sotto la quale si riteneva di dover far rientrare anche i redditi eventualmente derivanti da locazioni poste in essere dal comodatario; in caso di donazione con riserva di usufrutto con concessione in comodato dell’immobile dal titolare del diritto di usufrutto al donatario/nudo proprietario/comodatario il reddito fondiario deve essere comunque dichiarato in capo all’usufruttuario, a nulla rilevando l’eventuale concessione dell’immobile in comodato. La tassazione in Italia dei redditi degli immobili posseduti all’estero (Art. 70, 2° c. del TUIR) Ai sensi dell’art. 70, c. 2 del TUIR: << I redditi dei terreni e dei fabbricati situati all'estero concorrono alla formazione del reddito complessivo nell'ammontare netto risultante dalla valutazione effettuata nello Stato estero per il corrispondente periodo di imposta o, in caso di difformità dei periodi di imposizione, per il periodo di imposizione estero che scade nel corso di quello italiano. I redditi dei fabbricati non soggetti ad imposte sui redditi nello Stato estero concorrono a formare il reddito complessivo per l'ammontare percepito nel periodo di imposta, ridotto del 15 per cento a titolo di deduzione forfetaria delle spese.>>. In ordine agli immobili posseduti all’estero, rammentiamo che a partire dal periodo di imposta 2009 la disciplina è stata modificata, rendendone obbligatoria comunque l’indicazione nel quadro RW, anche in assenza di concreta produzione di reddito, rilevando ora, in astratto, ai fini degli obblighi di monitoraggio, la loro potenzialità reddituale. Circa le ipotesi di tassazione di detti immobili (sia terreni che fabbricati), previste ma disciplinate assai sinteticamente dall’art.70, 2° c. del TUIR, con l’aiuto delle istruzioni alla dichiarazione dei redditi (Quadro RL di Unico, rigo 12), peraltro fuorvianti almeno su un punto, come si dirà, e della risoluzione della DRE Lombardia prot. 12115 del 15.2.2010 è possibile enucleare le seguenti ipotesi: 1) nessuna percezione di reddito e, al contempo, non assoggettabilità dell’immobile a imposizione nello Stato estero secondo criteri legali (ad es., in base a parametri catastali): non deve essere dichiarato nulla neppure in Italia nel quadro RL; 2) immobile tassabile all’estero in base a tariffe d’estimo o criteri similari: deve essere indicato nella dichiarazione italiana l’ammontare risultante dalla valutazione effettuata dallo Stato estero ridotto delle spese ivi riconosciute, avvalendosi del credito di imposta per le imposte pagate all’estero ex art. 165 TUIR; 3) percezione di reddito ma non imponibilità dello stesso all’estero: si deve dichiarare in Italia il canone di locazione percepito ridotto del 15% a titolo di deduzione forfetaria delle spese; 4) canone locativo percepito e soggetto a imposizione all’estero: si deve dichiarare anche in Italia l’ammontare dichiarato all’estero; in questo caso, peraltro, le istruzioni al quadro RL affermano che l’ammontare già dichiarato nello Stato estero và indicato in Italia <<senza alcuna deduzione di spese>> e che <<Spetta anche in questo caso il credito di imposta per le imposte pagate all’estero>>. Secondo la citata risoluzione 15.2.2010 della DRE della Lombardia, invece, anche in questo caso il reddito può essere dichiarato al netto delle spese effettivamente sostenute nello Stato estero e ivi ammesse in deduzione e ciò al fine di evitare una ingiustificata disparità di trattamento rispetto ai soggetti che possiedono immobili in Stati che non li assoggettano a imposizione e che comunque godono in Italia della deduzione forfetaria del 15%; nell’ipotesi, stando alle istruzioni ministeriali, i soggetti rientranti nel caso 4 sarebbero tassati anche in Italia e su un affitto lordo. L’imposizione dei fondi comuni di investimento immobiliare di diritto italiano In relazione all’importanza assunta da questi strumenti e alle peculiarità che ne caratterizzano il regime fiscale merita di essere brevemente delineata l’imposizione dei fondi immobiliari, peraltro più volte modificata nel tempo a partire dalla emanazione della prima legge che li ha disciplinati nel nostro Paese (L. n.86/94). La disciplina generale (civilistica e “pubblica”) dei fondi comuni di investimento è principalmente contenuta nel Testo Unico della Finanza (D. Lgs. n. 58/98), nel Regolamento Ministeriale D.M. 228/99, come più volte modificati e integrati, e nel Regolamento sulla Gestione del Risparmio della Banca d’Italia del 14.4.2005. Sul piano giurisprudenziale si segnala la sostanziale mancanza di casistiche, salva l’importantissima sentenza della Corte di Cassazione ‐ Sezione Prima Civile n. 16605 dell’8 giugno 2010, che ha fatto chiarezza sul fondamentale tema, dibattuto anche in dottrina, del rapporto fra la Società di Gestione del Risparmio (SGR) e il Fondo Comune di 58 Investimento,chiarendo che il secondo, privo non solo di personalità giuridica, ma anche di soggettività giuridica distinta da quella della SGR, altro non è se non un patrimonio separato (sia pure con profili “sui generis”) della SGR. I partecipanti al Fondo, pertanto, sono titolari di diritti di credito legati al possesso delle quote del Fondo,ma privi sia di diritti reali “diretti” sul patrimonio del Fondo, sia di poteri di ingerenza gestoria nei confronti della SGR se non nei limiti normativamente previsti e disciplinati in quanto riuniti in assemblea (dei Partecipanti, appunto). Dal punto di vista fiscale la disciplina è principalmente contenuta nel D.L. n. 351/2011 (artt.6 e seguenti), più volte modificato, nell’art. 82, commi 17 e segg. del D.L. 112/2008 (conv. dalla L. n.133/2008), e nei provvedimenti di seguito richiamati (Art. 32 del D.L. 78/2010, conv. dalla L. n. 122/2010, modificato e integrato a opera dell’art. 8, c.9, del D.L. n.70/201, conv. Dalla L. n. 106/2011). In sintesi possiamo così delineare l’attuale, articolata, disciplina fiscale dei fondi comuni di investimento immobiliare secondo le condizioni da ultimo stabilite, in sede di conversione in legge, dall’art. 8, c.9 del D. L. n. 70/2011 (che ha apportato rilevanti modifiche all’art.32 del D.L. 78/2010): ‐ i Fondi non sono soggetti alle imposte sui redditi e all’IRAP se partecipati esclusivamente da soggetti istituzionali qui precisati (Stati, enti pubblici, OICR, forme di previdenza complementare ed enti di previdenza obbligatoria,imprese assicurative limitatamente agli investimenti destinati alla copertura delle riserve tecniche, intermediari bancari e finanziari assoggettati a forme di vigilanza prudenziale, soggetti e patrimoni indicati in precedenza costituiti all’estero in Paesi o territori che consentano uno scambio di informazioni finalizzate a individuare i beneficiari effettivi del reddito o del risultato della gestione e sempreché siano indicati nel D.M. di cui all’art. 168 bis, c. 1, del TUIR, enti privati residenti in Italia che perseguano esclusivamente le finalità indicate nell’art. 1, c. 1, lett. c bis del D. Lgs. n. 153/1999, nonché società residenti in Italia che perseguano esclusivamente finalità mutualistiche, veicoli costituiti in forma societaria o contrattuale partecipati in misura superiore al 50% dai soggetti già indicati), oltre che da soggetti non compresi fra quelli sopra indicati che possiedano quote del Fondo inferiori o pari al 5% del patrimonio dello stesso (cosiddetti “Fondi virtuosi”) ‐ per i Fondi il cui assetto partecipativo non risulti in linea con le specifiche sopra precisate (ossia,per i cosiddetti “fondi non virtuosi”), ferma l’applicazione degli artt. 6, 8 e 9 del D. L. n. 351/2001 anche a detti Fondi, i redditi conseguiti dal Fondo e rilevati nei rendiconti di gestione sono imputati per trasparenza ai partecipanti (se diversi dai soggetti istituzionali sopra citati) che possiedano quote del Fondo superiori al 5% del relativo patrimonio, percentuale da rilevare al termine del periodo di imposta (o, se inferiore, del periodo di gestione del Fondo) in proporzione alle quote del Fondo da essi detenute: ai fini di detta verifica si tiene conto delle partecipazioni detenute direttamente o indirettamente per il tramite di società controllate, fiduciarie o per interposta persona; il controllo societario è individuato ex art. 2359,1° e 2° c., cod. civ. anche per le partecipazioni possedute da soggetti diversi dalle società; si tiene conto anche delle partecipazioni imputate ai familiari indicati nell’art. 5, c. 5, del TUIR ‐ i Fondi non subiscono ritenute o imposte sostitutive su gran parte dei redditi di capitale da essi percepiti ‐ per i Fondi gli immobili sono considerati beni ammortizzabili e danno diritto alla detrazione IVA ‐ gli immobili e i diritti reali immobiliari posseduti dai Fondi sono soggetti a ICI secondo le ordinarie norme di legge ‐ per i soggetti “istituzionali” sopra citati e per quelli che possiedono quote del Fondo in percentuali non superiori al 5% del patrimonio del Fondo la SGR opera una ritenuta del 20% (a titolo di imposta per i sottoscrittori persone fisiche che possiedono le quote al di fuori dell’esercizio di imprese commerciali, società semplici ed enti non commerciali, diversamente, a titolo di acconto) sia sui proventi distribuiti dai Fondi durante la loro vita che sulla differenza tra il valore di riscatto o di liquidazione delle quote e il costo di sottoscrizione o di acquisto documentato dal partecipante; la ritenuta d’imposta del 20% viene applicata anche ai redditi imputati per trasparenza a soggetti non residenti ‐ in caso di cessione le quote dei fondi “non virtuosi” sono assimilate alle cessioni di partecipazioni in società commerciali di cui all’art. 5 del TUIR e per l’imposizione delle plusvalenze, quali redditi diversi di natura finanziaria, si applica l’art. 68, 3° c., del TUIR con equiparazione alle partecipazioni societarie qualificate; sempre in caso di cessione, il costo delle quote è aumentato o diminuito, rispettivamente, dei redditi e delle perdite imputati ai partecipanti al Fondo ed è altresì diminuito,fino a concorrenza dei risultati di gestione imputati, dei proventi distribuiti ai partecipanti; in caso di cessione le quote dei Fondi “virtuosi” sono comunque soggette alla disciplina prevista per i redditi diversi e le eventuali plusvalenze scontano un’imposta del 12,5% ‐ per i proventi spettanti a soggetti residenti in Stati con i quali siano in corso accordi contro le doppie imposizioni è possibile applicare l’aliquota prevista dalla Convenzione acquisendo in capo al sostituto d’imposta una dichiarazione del soggetto non residente beneficiario effettivo da cui risultino i dati identificativi dello stesso, la sussistenza di tutte le condizioni previste per l’applicazione del regime convenzionale e gli eventuali elementi necessari per determinare la misura dell’aliquota applicabile, nonché un’attestazione dello Stato estero di residenza da cui risulti la residenza del beneficiario 59 ‐ la predetta ritenuta non si applica ai proventi distribuiti ai partecipanti che siano forme di previdenza complementare di cui a D.Lgs. n. 124/1993, OICR (Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio) istituiti in Italia, fondi pensione, OICR esteri se istituiti in Stati o Territori non “black list” (ex art. 168 bis del TUIR), enti e organismi internazionali costituiti in base ad accordi internazionali resi esecutivi in Italia, banche centrali o organismi che gestiscono le riserve ufficiali dello Stato ‐ per i partecipanti ai Fondi (se soggettivamente diversi dai partecipanti istituzionali e qualora detti partecipanti “non istituzionali” possedessero al 31.12.2010 percentuali del patrimonio del Fondo superiori al 5%) è previsto dall’art. 8, c.9, del D.L. n.70/2011 un prelievo a titolo di imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, con aliquota del 5%, da applicare al valore medio delle quote del Fondo da tali soggetti possedute nel periodo d’imposta 2010 ‐ è poi prevista la possibilità che la SGR (con riferimento ai Fondi che alla data del 31.12.2010 fossero “non virtuosi” sul piano dei soggetti partecipanti e delle quote di partecipazione dagli stessi possedute in misura superiore al 5% del Fondo) deliberi entro il 31.12.2011 (previa delibera dell’Assemblea dei Partecipanti al Fondo) la liquidazione del Fondo, quale alternativa all’assunzione di un assetto dei partecipanti al Fondo conforme alle nuove previsioni normative (in questo secondo caso il Fondo diventa “virtuoso” e potrà godere appieno dei benefici fiscali previsti per i Fondi “virtuosi”): in caso di liquidazione del Fondo la SGR opera un prelievo del 7% (sostitutivo delle imposte sui redditi) sul patrimonio netto del Fondo risultante dal relativo rendiconto al 31.12.2010; con analoga aliquota d’imposta sostitutiva verranno poi tassati, di anno in anno (a partire dall’1.1.2011 e fino alla conclusione della liquidazione del Fondo), i risultati del Fondo in corso di ‐ nell’art. 8 del D. L. n.70/2011 è stata pertanto prevista anche una serie di importanti norme “transitorie” intese a favorire la liquidazione dei Fondi “non virtuosi” alla data del 31.12.2010 i cui partecipanti non intendano adeguarsi per il futuro al mutato regime impositivo introdotto dal medesimo D. L. n. 70/2011 e reputino quindi preferibile deliberare la messa in liquidazione del patrimonio del Fondo a cura della SGR. Detto della normativa in tema di imposte dirette, certamente divenuta penalizzante nell’ultimo biennio, ricordiamo peraltro che continuano a esistere svariate norme, introdotte negli anni passati (tra il 2001 e il 2006) tendenti a favorire l’istituzione dei Fondi Immobiliari e l’apporto a essi di immobili e di diritti reali immobiliari. Tra queste norme a carattere agevolativo ricordiamo le principali,come segue: ‐ il conferimento ai Fondi di una pluralità di immobili prevalentemente locati al momento dell’apporto non è soggetto a IVA (in quanto assimilato al conferimento di azienda) e sconta le imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa; ‐ agli atti di sottoscrizione di quote del Fondo mediante apporto di immobili si applica l’imposta fissa di registro; ‐ le plusvalenze conseguite in caso di apporto (di immobili o di diritti reali immobiliari) ai Fondi Immobiliari può essere assoggettata a un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’IRAP con aliquota del 20% (come per le SIIQ), applicabile sia alle persone fisiche che ai soggetti IRES, tanto ai beni immobilizzati (quindi, tecnicamente, produttivi di plusvalenze) quanto ai “beni merce”; ‐ le volture catastali e le trascrizioni relative a cessioni ai Fondi Immobiliari di immobili strumentali (ex art. 10,n. 8 ter del DPR n. 633/72) continuano a scontare le imposte ipotecaria e catastale in misura ridotta alla metà (0,5% + 1,5% anziché 1% + 3%). A livello di prassi amministrativa, i principali documenti illustrativi dei regimi fiscali dei Fondi di investimento Immobiliari (e dei proventi conseguiti dai loro partecipanti, così come delle agevolazioni in fase di apporto), nelle varie forme in cui essi si sono succeduti nell’ultimo decennio, sono i seguenti: ‐ circolari nn. 47/2003, 38/2004, 22/2006, 8/2008 (par.7.2.e 7.3), 61/2008,11/2011; ‐ risoluzioni nn. 310/2002, 150/2003, 186/2008, 389/2008, 46/2011. Allo stato non è stato ancora emanato dall’Agenzia delle Entrate alcun documento interpretativo delle novità introdotte dall’art.8, c. 9, del D.L. n.70/2011, alle quali – come segnalato ‐ molte SGR dovranno dare attuazione,con riferimento a molti fondi immobiliari, entro il corrente anno. Sul piano “storico” e, per così dire, “filosofico” (con riguardo alla filosofia che ha ispirato il nostro legislatore nel delineare il quadro di norme fiscali applicabili ai Fondi Immobiliari) sottolineiamo che a un periodo nel quale i Fondi Immobiliari sono stati fortemente incoraggiati dal nostro legislatore fiscale ‐ sia nella fase istitutiva e di apporto, che nella successiva fase “a regime” (periodo durato dal 2001 al 2007) ‐ ne è seguito un altro (dal 2008 in poi) nel quale il trattamento fiscale dei Fondi Immobiliari e dei loro partecipanti, ai fini delle imposte sui redditi, è stato invece gestito con grande diffidenza e più volte modificato, in quanto ritenuto foriero di abusi e di elusione, cosa peraltro vera soltanto in casi sporadici e comunque non con riferimento ai frequenti casi in cui le quote del Fondo siano possedute 60 da società di diritto italiano soggette a imposizione IRPEF o IRES. Ne è così derivato un assetto tributario (quello attualmente in vigore) piuttosto articolato e macchinoso sul piano dell’imposizione sui redditi (anche caratterizzato da profili di grave retroattività di fatto e di violazione del basilare principio “dell’affidamento”) che, di certo,non favorisce l’istituzione di nuovi Fondi Immobiliari, né lo sviluppo dei Fondi già in essere; assetto caratterizzato pertanto da effetti “prociclici” del tutto indesiderabili in una congiuntura di grave crisi dell’intero settore immobiliare, ancor più discutibile ove si pensi che le SGR sono soggetti istituzionali e vigilati,con tutto quanto ne consegue sul piano del controllo dell’evasione e delle buone pratiche, sia fiscali che gestionali. Accanto a un siffatto assetto normativo ‐ improntato a diffidenza per quanto riguarda l’imposizione diretta dei Fondi e dei loro partecipanti ‐ continua peraltro a sopravvivere un secondo insieme di norme, come sopra illustrate, che tendono ancora a favorire in varie forme la cessione e l’apporto di immobili e di diritti reali immobiliari ai Fondi. 4) Le principali detrazioni e agevolazioni ai fini IRPEF (36%,55%, mutui, locazioni) Si ricorda, preliminarmente, che mentre le detrazioni fiscali del 36% e quella per gli interessi passivi sui mutui non sono in scadenza alla fine del corrente anno (la prima essendo stata prorogata fino al 31.12.2012 dall’art.2, c. 10, della legge finanziaria per il 2010, L. n. 191/2009, e la seconda essendo “a regime”), viceversa per la detrazione del 55% l’attuale termine di efficacia è previsto proprio al 31 dicembre 2011. Circa tale importante detrazione occorre pertanto verificare se il governo deciderà o meno la proroga. Di seguito verranno esaminate per le tre tematiche sopra richiamate (detrazioni del 36%, del 55% e per gli interessi sui mutui) le principali novità intervenute nell’ultimo biennio. La detrazione del 55%. Ricordiamo innanzitutto che la detrazione in questione opera sia ai fini IRPEF che ai fini IRES e che pertanto anche le società sono a essa interessate, anche se con fortissime restrizioni. Infatti, l’Agenzia delle Entrate in via interpretativa ha ritenuto di dover limitare l’applicazione della normativa a unità immobiliari o a edifici o a parti di edifici residenziali già esistenti, di qualunque categoria catastale, anche se rurali,compresi quelli strumentali per l’attività dell’impresa o della professione. La prova dell’esistenza può essere fornita dall’iscrizione in Catasto o dalla richiesta di accatastamento e dal pagamento dell’ICI, se dovuta. Non sono agevolabili le spese effettuate su immobili in corso di costruzione e ciò in linea con le norme comunitarie secondo le quali gli edifici di nuova costruzione devono rispondere a prescrizioni minime di prestazione energetica in relazione alle condizioni climatiche locali e alla tipologia di immobile. Altre limitazioni sono state formulate dall’Ag. delle Entrate con riguardo alla necessità che ‐ l’edificio sia già dotato di impianto di riscaldamento negli ambienti oggetto dell’intervento qualora si intenda sostituire tale impianto fruendo della detrazione: non è pertanto ammessa a detrazione la semplice installazione ex novo del riscaldamento in ambienti che ne siano sprovvisti; la regola non vale se si installano pannelli solari ‐ nelle ristrutturazioni per le quali è previsto il frazionamento con aumento del numero delle unità immobiliari sia realizzato un impianto termico centralizzato a servizio delle unità stesse - nelle ristrutturazioni con demolizione e ricostruzione sia attuata una “fedele ricostruzione” (ossia, con rispetto della sagoma e del volume preesistenti); diversamente, non si configurerebbe una ristrutturazione ma una vera e propria nuova costruzione. Pertanto, la demolizione e ricostruzione con ampliamento non consentono le detrazioni perché la presenza dell’ampliamento configura nuova costruzione. ‐ in caso di ristrutturazione senza demolizione dell’esistente e ampliamento la detrazione spetta solo per le spese riferibili alla parte di edificio preesistente. In questo caso, inoltre, l’agevolazione non può comunque riguardare gli interventi di riqualificazione energetica globale dell’edificio in considerazione del fatto che per tali interventi occorre individuare il fabbisogno di energia primaria annua riferita all’intero edificio, comprensivo pertanto anche dell’ampliamento, in precedenza non esistente. Sui temi che precedono, stante la loro particolare rilevanza, l’Ag. delle Entrate ha avuto più volte modo di rispondere a quesiti dei contribuenti. Questo il chiarimento fornito dall`Ag. delle Entrate con la circolare n. 39/E/2010. Un contribuente ha chiesto di poter usufruire della detrazione del 55% con riferimento a due differenti fattispecie, di cui la prima relativa a lavori di riqualificazione energetica realizzati su un’abitazione oggetto di demolizione e ricostruzione con ampliamento, e la seconda riferita ad interventi eseguiti su un`immobile esistente, sul quale si andavano a realizzare anche lavori di 61 ampliamento. In merito, l’Agenzia, dopo aver ribadito che la detrazione é applicabile per i soli lavori energetici realizzati su fabbricati esistenti, e non anche alle nuove costruzioni, ha precisato che: 1. in caso di demolizione e ricostruzione con ampliamento del fabbricato, l’agevolazione non può spettare. Come già chiarito nella circolare n. 36/E/2007, infatti, in presenza di un edificio oggetto di demolizione e ricostruzione, la detrazione é applicabile solo nell’ipotesi in cui la ricostruzione sia “fedele”, in termini di sagome e volumetria, rispetto al fabbricato preesistente. Solo in tal caso l’intervento può qualificarsi, complessivamente, come “ristrutturazione edilizia” dell’edificio esistente (ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d, del D.P.R. 380/2001). Diversamente, se, nella ricostruzione, si va ad ampliare la volumetria del fabbricato, si configura, nel suo complesso, una nuova costruzione (ai sensi della lett. e, del citato art. 3, del D.P.R. 380/2001), come tale esclusa dall’agevolazione; 2. in caso di ristrutturazione con ampliamento (senza demolizione) di un fabbricato esistente, l’agevolazione spetta per le sole spese riferibili all’edificio già esistente, mentre é esclusa per quelle imputabili alla parte ampliata, e comunque limitatamente a quegli interventi per i quali é possibile operare tale distinzione. L’Agenzia delle Entrate ha precisato che non possono in ogni caso rientrare nell’ambito applicativo della detrazione gli interventi di “riqualificazione globale” dell’edificio in quanto, per questi, l’agevolazione é subordinata al rispetto di determinati valori limite di fabbisogno di energia primaria annuo (di cui all’Allegato A del D.M. 11 marzo 2008), da calcolarsi con riferimento all’intero edificio, comprensivo, quindi, anche della porzione ottenuta dall’ampliamento. Diversamente, possono ritenersi agevolati gli altri interventi energetici (riguardanti, in particolare, gli interventi di carattere energetico relativi alle strutture opache orizzontali e verticali, alla sostituzione di finestre comprensive di infissi, all’installazione di pannelli solari per la produzione d’acqua calda ed alla sostituzione di impianti di riscaldamento), per i quali la detrazione é subordinata alle caratteristiche tecniche dei singoli elementi costruttivi (pareti, infissi etc.) o dei singoli impianti (caldaie, pannelli solari, etc.), fermo restando che, qualora con tali interventi siano realizzati impianti a servizio dell’intero edificio (ivi compresa anche la parte ampliata), la detrazione del 55%, calcolata solo sulla non potendo essere riconosciuta sulla parte di spesa riferita all’ampliamento, deve essere parte di spese riferibili alla porzione preesistente del fabbricato,in quanto la detrazione spetta solo per queste. A tal fine, ribadendo quanto già chiarito nella circolare n. 21/E/2010 (risp. 3.4), l`Agenzia ha precisato che dovrà essere utilizzato un criterio di ripartizione proporzionale, basato sulle quote millesimali. La risoluzione n. 4/E/2011 ha confermato che i predetti criteri si applicano anche a interventi posti in essere in attuazione del piano casa: le leggi regionali in materia di edilizia e di urbanistica non possono infatti influire su prescrizioni nazionali. I soggetti che possono avvalersi della detrazione del 55% sono i residenti e i non residenti,anche se titolari di reddito di impresa (persone fisiche, società di persone o di capitali), che possiedono a qualsiasi titolo l’immobile oggetto dell’intervento. Non possono avvalersi della detrazione le imprese di costruzione,ristrutturazione e vendita per le spese sostenute per interventi di riqualificazione energetica su immobili merce. La detrazione del 55% spetta solo a chi utilizza l’immobile: per una società non è possibile fruire della detrazione con riferimento agli immobili locati,neppure se trattasi di società immobiliare di gestione, in quanto le unità concesse in locazione rappresentano l’oggetto dell’attività e non beni strumentali. Di fatto, per le imprese sono suscettibili di fruire della detrazione i soli interventi realizzati su immobili strumentali per destinazione, anche se presi in leasing: in tal caso la detrazione del 55 % spetta all’utilizzatore (non al concedente) e si calcola sul costo sostenuto dalla società di leasing, senza che assumano rilevanza i canoni di locazione finanziaria. Tra le persone fisiche possono godere della detrazione anche i titolari di un diritto reale, i condomini (per gli interventi sulle parti comuni), gli inquilini, i comodatari, nonché i familiari conviventi con il possessore o detentore dell’immobile soggetto all’intervento (coniuge, parenti entro il terzo grado, affini entro il secondo grado) che sostengono la spesa; tuttavia, se i lavori sono effettuati su immobili strumentali all’attività di impresa, arte o professione i familiari conviventi non possono usufruire della detrazione. In caso di variazione della titolarità (per atto a titolo oneroso o gratuito,anche con riferimento a diritti reali) dell’immobile nel periodo di godimento dell’agevolazione le quote di detrazione residue non ancora utilizzate possono essere fruite solo dal nuovo titolare. Segnaliamo che tale regola – valida anche per il 36% ‐ è stata formalmente modificata solo per detta detrazione (e non anche per il 55%) dalla “Manovra di ferragosto 2011” (art. 2,c.12 bis e 12 ter del D.L. n. 138/2011,convertito dalla L. n. 148/2011), con effetto dal 17 settembre 2011. In forza di tale novità il venditore può scegliere se continuare a utilizzare in prima persona la detrazione del 36% oppure trasferirla all’acquirente come già previsto in precedenza. 62 Tale alternativa rende opportuno formalizzare tra le parti dell’atto di vendita apposito patto circa il trasferimento o meno della detrazione residua per chiarezza reciproca e per opporlo anche all’Amministrazione Finanziaria, senza dimenticare che la nuova previsione normativa può aprire nuovi scenari nei quali il trasferimento o meno della detrazione costituisca elemento di negoziazione del prezzo della compravendita. Benché la norma sia espressamente riferita alla detrazione del 36%, si ritiene in dottrina che forse (si attende opportuna conferma dall’Agenzia delle Entrate) la stessa sia applicabile anche in tema di 55%: ciò in quanto quest’ultima disciplina né a livello di normativa primaria (art. 1, c. 348,L. n. 296/2006) né in quella attuativa (D.M. 19.2.2007) all’origine non conteneva una specifica previsione di legge ma faceva rinvio alle modalità prescritte per il 36% (cfr. anche la circ. 36/E/2007). Successivamente, il D.M. 7.4.2008 (art. 9) ha integrato il D.M. 19.2.2007 (introducendovi l’art. 9 bis,c. 2) stabilendo espressamente che in caso di trasferimento per atto tra vivi dell’unità immobiliare residenziale sulla quale sono stati realizzati gli interventi agevolati con la detrazione del 55% le quote di detrazione non utilizzate in tutto o in parte dal cedente spettano per i rimanenti periodi di imposta all’acquirente persona fisica dell’unità immobiliare>>. Quest’ultima norma non è stata modificata dalla Manovra di ferragosto e quindi permane il dubbio circa la reale volontà del legislatore di modificare solo la disciplina del 36% (cosa peraltro, poco spiegabile,stanti le affinità che accomunano le due discipline) o se si sia trattato piuttosto di una dimenticanza e se quindi possa in qualche modo configurarsi una abrogazione implicita. In caso di decesso dell’avente diritto, il diritto alla detrazione si trasmette per intero esclusivamente all’erede che conservi la detenzione materiale e diretta dell’immobile (cfr. circ. 20/E/2011, risp. 2.2 e Guida alle agevolazioni per il risparmio energetico dell’Ag. Entrate – luglio 2011) . Non è regolata l’ipotesi della donazione: ai fini del 36% la circolare 57/E/1998 ebbe a chiarire che la disciplina della fattispecie dovesse essere la stessa della “vendita” in tutti i casi di cessione, anche a titolo gratuito. Ricordiamo infine che il beneficio rimane invece in capo al conduttore o al comodatario che abbia eseguito i lavori qualora dovesse cessare il contratto di locazione o di comodato. Ricordiamo anche che il D.L. 70/2011 (conv. dalla L. n. 106/2011 – art. 7,c.2, lettere “q” e “r”) ha eliminato dal 14 maggio 2011 l’obbligo di indicare in fattura il costo della manodopera utilizzata per l’esecuzione degli interventi agevolati (disposizione valida sia per la detrazione del 36% che per quella del 55%, per quest’ultima come confermato in via interpretativa dall’Agenzia delle Entrate) e l’obbligo di inviare al Centro di Pescara la comunicazione preventiva (prevista per il solo 36%), sostituita dall’indicazione dei dati catastali nella dichiarazione dei redditi e di altri dati richiesti a fini di controllo. Tutti i documenti, come individuati dal recente Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 2 novembre 2011, dovranno essere conservati ed esibiti su richiesta degli uffici verificatori. La detrazione del 55% non è cumulabile con altre agevolazioni fiscali previste per i medesimi interventi da altre disposizioni nazionali (p. es. il 36%, la cui scadenza – lo ricordiamo – è fissata al 31.12.2012). Qualora gli interventi rientrino sia nel 36% che nel 55% il contribuente può usufruire solo dell’una o dell’altra detrazione,rispettando i rispettivi adempimenti. Dall’1 gennaio 2009 la detrazione non è cumulabile neppure con eventuali incentivi dell’Unione Europea, delle Regioni, degli Enti locali: al concorrere di tali incentivi, pertanto, l’interessato deve scegliere se fruire della detrazione o dei contributi. La ritenuta di acconto sui pagamenti a mezzo bonifico per i quali spettano le detrazioni del 36% e del 55% Una importante novità è stata apportata dall’art.25 del D.L. 78/2010 (convertito dalla legge 122/2010), che ha introdotto la ritenuta di acconto del 10% sui pagamenti effettuati in relazione a prestazioni per le quali si intende fruire delle detrazioni del 36% o del 55%. L’art. 25 citato (titolato, eloquentemente, “Contrasto di interessi”) stabilisce che << A decorrere dal 1° luglio 2010 le banche e le Poste Italiane SPA operano una ritenuta del 10 per cento a titolo di acconto dell'imposta sul reddito dovuta dai beneficiari, con obbligo di rivalsa, all'atto dell'accredito dei pagamenti relativi ai bonifici disposti dai contribuenti per beneficiare di oneri deducibili o per i quali spetta la detrazione d'imposta. Le ritenute sono versate con le modalità di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241. Con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate sono individuate le tipologie di pagamenti nonché le modalità di esecuzione degli adempimenti relativi alla certificazione e alla dichiarazione delle ritenute operate>>. Si tratta pertanto di una misura che assume valenza generalizzata (“bonifici disposti dai contribuenti per beneficiare di oneri deducibili o per i quali spetta la detrazione d'imposta”) e dunque ben più ampia rispetto all’ambito delle detrazioni del 36% e del 55%. Il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate ‐ al quale l’art. 25 ha demandato l’individuazione delle tipologie di pagamenti, nonché le modalità di esecuzione degli adempimenti relativi alla certificazione e alla dichiarazione delle ritenute operate ‐ è stato emanato il 30 giugno 2010 (Provv. prot. n.94288/2010). 63 Tale Provvedimento ha stabilito che la ritenuta è effettuata sui pagamenti relativi ai bonifici disposti per spese per le quali sono riconosciute: ‐ la detrazione IRPEF del 36% per interventi di ristrutturazione di immobili residenziali (ex art. 1, L. 449/1997 e successive modificazioni), applicabile fino al 31.12.2012 in forza dell’art.2, c. 10, legge 191/2009; ‐ la detrazione del 55% per interventi di riqualificazione energetica degli edifici esistenti (art. 1, commi da 344 a 447 della L. n. 296/2006 e successive modificazioni, in particolare l’ art.1, commi 20‐24, della legge 244/2007), attualmente applicabile fino al periodo d’imposta 2010. E’ stato pertanto introdotto l’obbligo, per le banche e per le Poste Italiane s.p.a., “destinatarie” dei bonifici di pagamento delle spese citate, di • operare, all’atto dell’accreditamento delle somme, con obbligo di rivalsa, una ritenuta del 10% a titolo di acconto delle imposte dovute dall’impresa ricevente il pagamento • • di effettuare il relativo versamento con le modalità di cui all’articolo 17 del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241 di rilasciare la certificazione delle ritenute d'acconto effettuate al beneficiario stesso e indicare nella dichiarazione dei sostituti d’imposta i dati relativi ai pagamenti effettuati. Ai fini delle suddette detrazioni, si ricorda che, a pena di decadenza, sussiste obbligo di pagamento con bonifico bancario (anche on‐line) o postale con riferimento alle spese sostenute per le seguenti fattispecie: ‐ detrazione IRPEF del 36%: o esecuzione di interventi di recupero dei fabbricati residenziali e delle relative pertinenze, o acquisto di parcheggi pertinenziali; ‐ detrazione del 55%: o esecuzione di interventi di riqualificazione energetica da parte di persone fisiche, enti, società semplici, s.n.c., s.a.s o imprese familiari, non titolari di reddito d`impresa. Con la circolare n. 40/E/2010 l’Agenzia delle Entrate ha fornito i chiarimenti sulle nuove disposizioni, precisando, tra l’altro, che la ritenuta del 10% non si applica sull`IVA dovuta per le operazioni agevolate (<<in quanto altrimenti verrebbero alterate le caratteristiche di neutralità di tale imposta>>), IVA che, per esigenze di semplificazione, si assume pari al 20% (<< la ritenuta d’acconto del 10% deve essere operata sull`importo del bonifico decurtato dell`IVA del 20 per cento>>). Operativamente, ciò comporta che dall’ammontare complessivo del bonifico dovrà essere decurtata la quota corrispondente all`IVA (che si assume applicata con aliquota del 20%), effettuando la ritenuta sul solo importo del corrispettivo, individuato sulla base della formula: Corrispettivo da assoggettare a ritenuta del 10% = ammontare complessivo del bonifico diviso 1,20. L’Agenzia delle Entrate nella circolare 40/E/2010 ha dapprima ricordato che <<la misura dell’aliquota IVA afferente alle prestazioni di servizi e alle cessioni in esame può variare in relazione alla tipologia di spesa cui afferisce il bonifico: ad esempio, l’IVA è dovuta nella misura del 10% per i lavori di ristrutturazione edilizia su immobili abitativi, del 20% per i beni finiti acquistati per la ristrutturazione. Inoltre, nel caso in cui l’impresa che effettua la ristrutturazione fornisca anche i “beni significativi” (ascensori, sanitari, infissi, ecc.), l’IVA è dovuta nella misura del 10 per cento sul costo della manodopera e sul pari valore dei suddetti beni significativi e nella misura del 20 per cento sul restante valore degli stessi beni; l’IVA è dovuta nella misura del 20 per cento per gli interventi di riqualificazione energetica su edifici diversi da quelli abitativi>>, per poi opportunamente osservare che <<Al riguardo, occorre tener conto che il soggetto tenuto ad effettuare la ritenuta non conosce l’ammontare dell’IVA compreso nell’importo del bonifico, informazione che, anche se richiesta all’ordinante il bonifico, comporterebbe un notevole aggravio nella procedura di accreditamento e sarebbe senz’altro soggetta a margini di imprecisione. Pertanto, per esigenze di semplificazione e di economicità nonché per evitare errori determinati da una applicazione impropria della ritenuta, si assume che, ai fini dell’applicazione della norma in esame, l’IVA venga applicata con l’aliquota più elevata. Conseguentemente, la ritenuta d’acconto del 10% deve essere operata sull’importo del bonifico decurtato dell’IVA del 20 per cento>>. La misura di cui sopra non incide sugli adempimenti già previsti a carico delle imprese esecutrici degli interventi agevolati (in termini di fatturazione dei lavori), né su quelli relativi ai contribuenti beneficiari delle detrazioni (per ciò che attiene all`obbligo di pagamento con bonifico delle spese sostenute). Per le imprese beneficiarie dei pagamenti la ritenuta del 10% si traduce, evidentemente, in una minore disponibilità monetaria, evento che cade in un periodo, 64 prolungato, di generalizzate difficoltà finanziarie legate all`attuale congiuntura economica negativa ed alla “stretta creditizia” che sta vivendo il settore. La circolare 40/E/2010 ha altresì precisato che, per i lavori condominiali, che danno diritto alle citate agevolazioni, opera la sola ritenuta del 10%, mentre é esclusa quella del 4% prevista dal D.P.R. 600/1973 (in particolare,cfr. art.25‐ ter del D.P.R. 600/1973). Al riguardo, si ricorda infatti che, dal 1° gennaio 2007, il Condominio, quale sostituto d`imposta, deve operare una ritenuta del 4% sui corrispettivi pagati a fronte di prestazioni relative a contratti d’appalto di opere o servizi (quali quelli aventi ad oggetto, ad esempio, interventi di manutenzione o ristrutturazione delle parti comuni condominiali dell’edificio). Articolo 25 ter ‐ Ritenute sui corrispettivi dovuti dal condominio all'appaltatore. (In vigore dall’1 gennaio 2007; inserito dalla Legge n. 296 del 27.12.2006, art. 1) 1. Il condominio quale sostituto di imposta opera all'atto del pagamento una ritenuta del 4 per cento a titolo di acconto dell'imposta sul reddito dovuta dal percipiente, con obbligo di rivalsa, sui corrispettivi dovuti per prestazioni relative a contratti di appalto di opere o servizi, anche se rese a terzi o nell'interesse di terzi, effettuate nell'esercizio di impresa. 2. La ritenuta di cui al comma 1 é operata anche se i corrispettivi sono qualificabili come redditi diversi ai sensi dell'articolo 67, comma 1, lettera i), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917. Al fine di evitare che imprese e professionisti subiscano, sullo stesso corrispettivo, più ritenute alla fonte, l’Agenzia delle Entrate ha precisato pertanto che dovrà essere applicata la sola ritenuta del 10%, prevista dal D.L. 78/2010, <<in considerazione del carattere speciale di tale disciplina>>. Di conseguenza, il Condominio che, per avvalersi delle agevolazioni del 36% e del 55%, effettua pagamenti mediante bonifico, non dovrà operare su tali somme le ordinarie ritenute previste dal D.P.R. 600/1973. La circolare n. 40/E/2010 ha anche precisato che <<Nel caso in cui i destinatari del bonifico usufruiscano di regimi fiscali per i quali è prevista la tassazione del reddito mediante imposta sostitutiva dell’IRPEF, la ritenuta del 10 per cento operata dalla banca o da Poste SPA sulle somme loro accreditate potrà essere scomputata dalla medesima imposta sostitutiva>>. Una ulteriore interessante precisazione fornita dalla circolare n. 40/E/2010 ha riguardato i pagamenti effettuati in valuta estera da convertire in euro o in euro a soggetti non residenti: <<(…) per i pagamenti effettuati in valuta estera da convertire in euro, ad esempio in franchi svizzeri da parte di soggetti residenti a Campione d’Italia, la ritenuta deve essere operata sugli importi convertiti in euro ‐ sulla base del cambio di cui all’art. 9, comma 2, del TUIR ‐ mentre per i pagamenti effettuati in euro da convertire in valuta estera, la ritenuta deve essere operata sugli importi in euro prima della conversione in moneta estera. Inoltre, la ritenuta deve essere operata anche sulle somme accreditate su conti in Italia di soggetti non residenti. Questi ultimi potranno scomputare la ritenuta subìta dall’imposta eventualmente dovuta per i redditi prodotti in Italia o recuperare il prelievo mediante istanza di rimborso ai sensi dell’art. 38 del DPR n. 602 del 1973>>. Con risoluzione n. 65 del 30 giugno 2010 è stato istituito il codice tributo “1039” denominato “Ritenuta operata da banche e Poste Italiane Spa all’atto dell’accredito dei pagamenti relativi a bonifici disposti per beneficiare di oneri deducibili e detrazioni d’imposta, ai sensi dell’art 25 del D.L. n. 78/2010”. La misura della ritenuta di acconto è stata ridotta – con effetto dal 6 luglio 2011 (Art. 23, c. 8, D.L. n.98/2011 conv. dalla L. 111/2011; circ. 41/E/2011) ‐ dal 10% al 4% e si è in attesa di precisazioni dell’Ag. delle Entrate in merito alle modalità di scorporo dell’IVA (che,come detto, la circolare 40/E/2010 aveva in via di semplificazione chiarito poter essere sempre effettuato con l’aliquota ordinaria, all’epoca del 20%) stante l’innalzamento dell’aliquota ordinaria al 21% disposto dall’art. 2, c. 2 bis del D.L. 138/2011,inserito dalla legge di conversione n. 148/2011,con effetto dal 17 settembre 2011. Sull’argomento richiamiamo anche i contenuti delle risoluzioni n. 2/E, 3/E, 46/E del 2011 che hanno affermato che la ritenuta di acconto del 10% (ora 4%) sui bonifici per il 36% e per il 55% ‐ non si applica ai pagamenti di oneri di urbanizzazione e simili (se pagati con bonifici: non sussiste tale obbligo, infatti, per detti oneri) - non si applica ai pagamenti ai fondi immobiliari (nel caso specifico: prezzi di acquisto di box pertinenziali) in quanto non soggetti a imposte sui redditi 65 - nel caso di pagamenti a consorzio tra imprese con attività esterna, la ritenuta deve essere attuata ma può essere trasferita dal Consorzio alle imprese Consorziate in tutto o per la parte che non è scomputabile dall’eventuale IRES dovuta dal Consorzio. Altri recenti chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate relativi alla detrazione del 55% Di seguito riassumiamo alcune fra le più interessanti risposte fornite in epoca recente dall’Ag. delle Entrate,contenute in gran parte nelle circolari n. 21 e n. 38/E/2010: Realizzazione di un impianto centralizzato di riscaldamento in un fabbricato riscaldato solo in parte (solo tre appartamenti su sei) L’art. 1, comma 347, della L. n. 296/2006 stabilisce che, per gli interventi di sostituzione di impianti di climatizzazione invernale con impianti dotati di caldaie a condensazione e contestuale messa a punto del sistema di distribuzione, è prevista una detrazione dall’imposta lorda pari al 55% degli importi rimasti a carico del contribuente, fino ad un valore massimo della detrazione medesima di 30.000 euro. Con circ. 31 maggio 2007, n. 36, è stato precisato che tutti gli interventi finalizzati al risparmio energetico e tipizzati dalla richiamata normativa di riferimento sono agevolabili solo se realizzati su edifici dotati di impianto di riscaldamento funzionante, presente anche negli ambienti interessati dall’intervento medesimo, eccezion fatta per la installazione dei pannelli solari. Nell’ipotesi prospettata, solo i tre appartamenti dotati di impianto di riscaldamento nei termini precisati soddisfano la condizione cui è subordinata l’applicazione del beneficio fiscale. La detrazione del 55% non può pertanto essere riconosciuta sull’intera spesa sostenuta per l’installazione dell’impianto centralizzato di climatizzazione invernale, riferibile anche al riscaldamento delle unità prive di un preesistente impianto termico, ma deve essere limitata alla parte di spesa imputabile alle unità nelle quali tale impianto era presente, per la cui individuazione (quota di spesa detraibile) sarà utilizzato un criterio di ripartizione proporzionale basato sulle quote millesimali riferite a ciascun appartamento. Data fine lavori per interventi che non richiedono collaudo Domanda: Entro 90 giorni dalla data di fine lavori deve essere inviata all’ENEA la documentazione prevista dal decreto interministeriale 19.2.2007 e successive modificazioni. Come precisato dalla stessa Ag. delle Entrate (ris. 11.9.2007, n. 244) la data di fine lavori coincide con la data del “collaudo” ovvero dell’attestazione della funzionalità dell’impianto, a nulla rilevando il momento di effettuazione dei pagamenti. Nel caso di interventi per i quali non è previsto il collaudo (ad es., la sostituzione di finestre comprensive di infissi), ai fini del rispetto dei termini previsti per l’invio della documentazione all’Enea, la data di fine lavori può essere autocertificata dal contribuente? Risposta: Nell’ipotesi in cui, per il tipo di intervento, non sia richiesto il collaudo, si ritiene che il contribuente possa provare la data di fine lavori anche con altra documentazione emessa dal soggetto che ha eseguito i lavori (o tecnico che compila la scheda informativa),mentre non può ritenersi valida una dichiarazione del contribuente resa in sede di autocertificazione. Sostituzione del portone di ingresso Domanda: È possibile fruire della detrazione del 55% per la sostituzione delle finestre comprensive di infissi (art. 1, comma 345,L. 296/2006) anche per la sostituzione dei portoni di ingresso? Risposta: L’art. 1, comma 345, include fra gli interventi per i quali è riconosciuta la detrazione del 55% la sostituzione delle finestre comprensive di infissi. Per usufruire della detrazione in relazione a detta tipologia, il decreto interministeriale 19.2.2007, coordinato con il decreto 7.4.2008, richiede che attraverso la fornitura e posa in opera di una nuova finestra comprensiva di infisso si realizzi il miglioramento delle caratteristiche termiche delle strutture esistenti e dei componenti vetrati esistenti e, inoltre, che siano rispettati determinati requisiti di trasmittanza termica U, espressa in W/m2K, individuati sulla base del D. Lgs. n. 192/2005. Con ris. 9.12.2008, n. 475, l’Ag. delle Entrate aveva precisato che l’intervento di sostituzione dei portoni d’ingresso è riconducibile al regime agevolativo nella ipotesi in cui il serramento presenti “le medesime componenti costruttive richieste per le finestre”, quando, cioè, si tratti di porta finestra. Da ultimo, il D.P.R. 2.4.2009, n. 59, recante il regolamento di attuazione della direttiva 2002/91/CE sul rendimento energetico in edilizia, ha di fatto equiparato le porte alle finestre e alle vetrine, ai fini del rispetto dei requisiti di trasmittanza termica. In particolare, l’art. 4, comma 4, lett. c), del citato D.P.R. 59/2009 dispone che “Per tutte le categorie di edifici, così come classificati in base alla destinazione d’uso all’articolo 3 del D.P.R. 26.8.1993, n. 412, ad eccezione della categoria E.8 (E.8: edifici adibiti ad attività industriali, artigianali e assimilabili), il valore massimo della trasmittanza (U) delle chiusure apribili ed assimilabili, quali porte, finestre e vetrine anche se non apribili, comprensive degli infissi, considerando le parti trasparenti e/o opache che le compongono, deve rispettare i limiti riportati nelle tabelle 4.a e 4.b al punto 4 dell’allegato C al D.lgs. 19.8.2005, n. 192)…”.Alla luce delle disposizioni sopravvenute, il quadro normativo di riferimento deve ritenersi modificato e, 66 conseguentemente, superata la posizione espressa nella ris. n. 475/2008. Pertanto, i portoni di ingresso, anche se non risultano specificamente richiamati dall’art.1, comma 345 della L. n. 296/2006, rientrano nel campo applicativo dell’agevolazione al pari delle finestre, sempreché si tratti di serramenti che delimitano l’involucro riscaldato dell’edificio, verso l’esterno o verso locali non riscaldati, e risultino rispettati gli indici di trasmittanza termica richiesti per la sostituzione delle finestre. Applicazione della detrazione del 55 per cento in presenza di contributi comunitari, regionali o locali Domanda: L’art. 6, 3° c., D.Lgs. n. 115/2008 prevede che <<A decorrere dal 1° gennaio 2009, gli strumenti di incentivazione di ogni natura attivati dallo Stato per la promozione dell’efficienza energetica, non sono cumulabili con ulteriori contributi comunitari, regionali o locali, fatta salva la possibilità di cumulo con i certificati bianchi e fatto salvo quanto previsto dal comma 4>>, ai sensi del quale << Gli incentivi di diversa natura sono cumulabili nella misura massima individuata, per ciascuna applicazione, sulla base del costo e dell’equa remunerazione degli investimenti, con decreti del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sulla base di appositi rapporti tecnici redatti dall’Agenzia di cui all’articolo 4. Con gli stessi decreti sono stabilite le modalità per il controllo dell’adempimento alle disposizioni di cui al presente comma.>>. Alla luce di detta disposizione è possibile usufruire della detrazione del 55% per le spese finalizzate al risparmio energetico non rimborsate dal contributo? Risposta: Con ris. n. 3 del 26.1.2010 la scrivente ‐ sulla base delle indicazioni fornite dal Ministero dello Sviluppo Economico ‐ ha chiarito che la detrazione del 55% è riconducibile fra gli strumenti di incentivazione di ogni natura attivati dallo Stato, e, di conseguenza, non è cumulabile con eventuali incentivi riconosciuti, per i medesimi interventi, dalla Comunità Europea, dalle Regioni o dagli enti locali. Il medesimo dicastero ha, inoltre, precisato che l’espressione “ulteriori contributi comunitari, regionali o locali”, contenuta nel richiamato art. 6, comma 3, comprende le erogazioni, da parte della Comunità Europea, delle Regioni o degli enti locali, di somme di ogni natura, in forma diretta o a copertura di una quota del capitale e/o degli interessi. A decorrere dal 1.1.2009, per gli interventi di riqualificazione energetica rientranti nell’oggetto dell’agevolazione fiscale, è necessario scegliere se applicare la detrazione o, in alternativa, beneficiare di eventuali contributi comunitari, regionali o locali. Il contribuente può avvalersi della detrazione del 55% pur avendo richiesto per il medesimo intervento l’assegnazione di eventuali contributi erogati da enti locali o dalla Comunità Europea, fermo restando che qualora questi gli vengano effettivamente riconosciuti, ed intenda beneficiarne, dovrà restituire la detrazione già utilizzata in dichiarazione anche per la parte non coperta da contributo. A tal fine, il contribuente dovrà presentare una dichiarazione correttiva ovvero una dichiarazione integrativa a proprio sfavore secondo termini e modalità di cui all’art. 2 del D.P.R. n. 322/1998. Comunicazione all’Agenzia delle Entrate per lavori che proseguono per più periodi di imposta Domanda: è possibile beneficiare della detrazione in caso di mancato o irregolare assolvimento di tale adempimento? Risposta: Il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 6.5.2009 (che ha attuato l’art. 29, 6°c. del D.L. n. 185/2008, conv. dalla L. n. 2/2009, il quale ha previsto che per le spese sostenute nei periodi di imposta successivi a quello in corso al 31.12.2008 i contribuenti interessati alle detrazioni per gli interventi di risparmio energetico ex art. 1, commi da 344 a 347, L. n. 296/2006, debbono inviare all’Ag. delle Entrate apposita comunicazione, nei termini e secondo modalità da definirsi tramite provvedimento del Direttore dell’Ag. delle Entrate) ha approvato il modello con cui devono essere comunicate all’Ag. delle Entrate le spese sostenute per gli interventi anzidetti, nei periodi d’imposta precedenti a quello in cui i lavori sono terminati, ed ha previsto che lo stesso deve essere inviato all’Ag. delle Entrate, in via telematica, entro il marzo dell’anno successivo a quello in cui sono state sostenute le spese (per i soggetti con anno di imposta non coincidente con quello solare, entro 90 giorni dalla fine del periodo di imposta in cui le spese sono state sostenute). L’adempimento, previsto in relazione ai soli interventi di riqualificazione energetica che proseguono oltre il periodo d’imposta, è stato introdotto al fine di consentire il monitoraggio dell’onere a carico del bilancio erariale per ciascun esercizio finanziario, derivante dalla detrazione del 55%. Atteso che la norma non disciplina le ipotesi di mancato o irregolare assolvimento dell’adempimento, si ritiene che la mancata osservanza del predetto termine e l’omesso invio del modello non possano comportare la decadenza dal beneficio fiscale in commento; deve ritenersi, invece, applicabile la sanzione in misura fissa (da euro 258 a euro 2.065) prevista dall’art. 11, comma 1, D. Lgs. n. 471 del 1997, per l’omesso o irregolare invio di ogni comunicazione prescritta dalle norme tributarie. 67 Interventi di risparmio energetico realizzati mediante contratti di locazione finanziaria Domanda: L’agevolazione in materia di risparmio energetico compete anche nel caso in cui il contribuente finanzia la realizzazione dell’intervento di riqualificazione energetica mediante contratto di locazione finanziaria (art. 2, comma 2, decreto interministeriale 19 febbraio 2007). In tale ipotesi, posto che la detrazione spetta all’utilizzatore e si calcola non in relazione ai canoni di leasing, bensì sulla base del costo sostenuto dalla società di leasing, si chiede di conoscere quali sono le modalità di espletamento delle formalità connesse alla fruizione del beneficio fiscale e il soggetto sul quale gravano tali adempimenti. Risposta: Per quanto concerne le modalità di fruizione del beneficio si ritiene che si rendano applicabili le regole previste per i titolari del reddito di impresa e, pertanto, non sussista l’obbligo di pagamento mediante bonifico bancario o postale. Gli adempimenti documentali (obbligo di comunicazione all’Ag. delle Entrate per i lavori che proseguono in più periodi d’imposta, invio della scheda informativa all’ENEA) richiesti per la fruizione della detrazione dovranno essere assolti dal soggetto che si avvale della detrazione, fermo restando che la società di leasing, al fine di consentire la fruizione del beneficio dovrà fornire una documentazione che attesti la conclusione dell’intervento di riqualificazione energetica e l’ammontare del costo sostenuto su cui deve essere effettuata la detrazione. Errori od omissioni nella compilazione della scheda informativa da trasmettere all’ENEA Domanda: È possibile rettificare, anche oltre il termine di 90 giorni dalla fine dei lavori, eventuali errori commessi nella compilazione della scheda informativa che il decreto interministeriale 19.2.2007 prevede debba essere inviata all’ENEA entro 90 giorni dalla fine dei lavori, in via telematica, per usufruire della detrazione del 55%? Le ipotesi più ricorrenti riguardano: ‐ errori materiali nella indicazione dei dati anagrafici del contribuente, dei dati identificativi dell’immobile oggetto di intervento, degli altri soggetti beneficiari della detrazione, delle spese conteggiate, etc.; ‐ importi di spesa indicati in misura non corrispondente a quella effettiva per sopravvenienza di sconti o abbuoni sul prezzo preventivato ovvero perché taluni costi hanno avuto manifestazione finanziaria successivamente all’invio della scheda. Risposta: Coerentemente con quanto già affermato in relazione alla comunicazione di inizio attività richiesta per la detrazione del 36% relativa agli interventi di recupero edilizio (cfr circ. n. 34 del 4.4.2008), si ritiene che il contribuente possa correggere il contenuto della scheda informativa, anche oltre il previsto termine per l’invio mediante invio telematico di una nuova comunicazione, che annulli e sostituisca quella precedentemente trasmessa. Il nuovo invio deve riguardare non solo la scheda informativa ma anche l’attestato di qualificazione energetica, ove richiesto, in relazione alla tipologia di intervento. La comunicazione in rettifica dovrà, comunque, essere inviata entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi nella quale la spesa può essere portata in detrazione, in modo da poter calcolare la detrazione sulle spese effettivamente sostenute nell’anno al quale la dichiarazione si riferisce. Resta inteso che in caso di sconti o abbuoni intervenuti successivamente all’invio della scheda informativa, la detrazione compete solamente in relazione alle spese effettivamente sostenute; pertanto, qualora vengano restituite somme per le quali in anni precedenti si è già fruito della detrazione, tali somme devono essere assoggettate a tassazione separata ex art. 17, comma 1, lett. n‐bis), del D.P.R. n. 917/1986 (TUIR). Si ritiene, peraltro, che non sia necessario procedere alla rettifica della scheda informativa nell’ipotesi in cui sia stato indicato un nominativo diverso da quello dell’intestatario del bonifico o della fattura o non sia stato indicato che possono aver diritto alla detrazione più contribuenti. In questi casi, secondo quanto chiarito con la circ. n. 34/2008, è sufficiente che il contribuente che intende avvalersi della detrazione dimostri di essere in possesso dei documenti che attestano il sostenimento dell’onere e la misura in cui tale onere è stato effettivamente sostenuto. Sul medesimo tema l’Ag. delle Entrate è ritornata con la ris. n. 44 del 27.5.2010 al fine di chiarire il modus operandi da seguire in relazione alla presentazione dei modelli 730/2010,in scadenza il 31.5.2010. Infatti, l’Unità Tecnica Efficienza Energetica dell’ENEA aveva rappresentato che, al momento, non risultava ancora implementata la procedura informatica che consentiva di effettuare l’invio telematico della scheda rettificativa e, di conseguenza, i contribuenti che utilizzano il Modello di dichiarazione 730/2010 non avrebbero avuto la possibilità di inoltrare la predetta comunicazione rettificativa e di fruire della detrazione per le spese relative all’intervento di risparmio energetico non indicate nella scheda informativa precedentemente inviata all’ENEA. Per superare le momentanee difficoltà operative, la citata risoluzione ha riconosciuto ai contribuenti la possibilità di beneficiare della detrazione anche per le spese che non risultano dalla scheda originaria nel rispetto delle seguenti modalità: • presentando ai soggetti che prestano l’assistenza fiscale una dichiarazione sostitutiva di atto notorio ex art. 47 del Dpr 445/2000, con evidenziati i dati della scheda informativa precedentemente trasmessa all’ENEA opportunamente modificati; 68 • • • provvedendo all’invio telematico della scheda rettificativa entro 90 giorni dalla data di attivazione della procedura informatica da parte dell’Enea. I soggetti che prestano l’assistenza fiscale dovranno specificare, nelle annotazioni dei modelli di dichiarazione, che la detrazione è stata riconosciuta sulla base della dichiarazione sostitutiva di atto notorio. ove il contribuente non provveda nei 90 giorni successivi all’attivazione della procedura informatica all’invio telematico della scheda rettificativa all’ENEA, la parte di detrazione riferita alle spese in questione deve ritenersi indebita, senza che siano applicabili sanzioni nei confronti del soggetto che in sede di assistenza fiscale abbia acquisito la predetta dichiarazione sostitutiva. Nudo proprietario, usufruttuario e inquilino Nella risposta n. 3.1 della circolare n. 38/2010 l’Agenzia delle Entrate,relativamente all’ipotesi in cui si abbia sostituzione di serramenti ed infissi presso un’unità abitativa residenziale posseduta da due persone fisiche, nudo proprietario e usufruttuario, e locata ad una terza persona fisica e mediante un accordo tra il nudo proprietario e l’inquilino si ripartisca il costo per il 70% a carico del nudo proprietario e per il 30% a carico dell’inquilino, ha confermato che la detrazione spetta sia al nudo proprietario che all’inquilino per l’ammontare di spesa effettivamente sostenuto da ciascuno, ovviamente nel rispetto delle condizioni previste dalla legge: pagamento mediante bonifico bancario con identificazione del beneficiario della detrazione e del bonifico, limite di spesa € 60.000, rispetto dei parametri tecnici dell’intervento. La comunicazione all’ENEA può essere unica facendo riferimento all’unico intervento ed ai due beneficiari. La detrazione del 36% Ricordiamo che l’art.2, commi 10 ‐ 11, della Legge 23.12.2009, n.191 (Finanziaria 2010) ha disposto la proroga delle agevolazioni fiscali per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio abitativo, e precisamente: ‐ la proroga al 31.12.2012 della detrazione IRPEF del 36% per le spese di recupero dei fabbricati abitativi, nel limite di 48.000 euro per unità immobiliare; ‐ la “messa a regime” dell`IVA al 10% per gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria delle abitazioni; ‐ é stata, inoltre, prorogata per un ulteriore anno anche la detrazione IRPEF del 36% per l`acquisto di abitazioni poste in fabbricati interamente ristrutturati da imprese di costruzioni (da calcolare sul 25% del prezzo di acquisto, nel limite di 48.000 euro per unità immobiliare), reintrodotta dal 1° gennaio 2008 dalla legge Finanziaria 2008 (art.1, comma 17, lett. b, legge 244/2007). In virtù della proroga, per tale fattispecie, la detrazione spetta a condizione che: 1) gli interventi di recupero, da realizzare sull’intero fabbricato, siano eseguiti dal 1° gennaio 2008 al 31 dicembre 2012; 2) il rogito per l`acquisto delle abitazioni sia stipulato entro il 30 giugno 2013. L’art. 7, 2° c., lett. “q” ed “r” del D.L. n. 70/2011 (D. L “Sviluppo”) ai fini della detrazione del 36% ha ‐ soppresso – mediante sostituzione dell’art. 1, c. 1, lett. a) del Decreto Interministeriale Finanze ‐ Lavori Pubblici ‐ l’obbligo di preventivo invio del modello di comunicazione di avvio lavori al Centro Operativo di Pescara. Ricordiamo che la comunicazione preventiva – che non era prevista per la detrazione del 55% e neppure per l’acquisto di immobili ristrutturati, ma solo per il 36% sul recupero – viene sostituita dalla previsione di un’informativa da rendere nella dichiarazione dei redditi. E’ stata inoltre prevista l’emanazione di un Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate che individui i documenti da conservare ed esibire a richiesta degli uffici, previsione attuata con il Provvedimento del 2 novembre 2011. ‐ abrogato la condizione che l’agevolazione del 36% spetta se è indicato in fattura il costo della manodopera (formalmente, l’abrogazione è prevista rispetto alla sola L. 244/2007, dunque dall’1.1.2008 e non anche per il periodo 4.7.2006 – 31.12.2007: in realtà non c’è motivo di ritenere che la volontà abrogativa non sia completa) Entrambe le norme abrogate erano previste a pena di perdita delle agevolazioni. Come già segnalato trattando della detrazione del 55%, in sede di conversione del D.L. 138/2011 (art. 2,c. 12 bis e 12 ter) è stata modificata la disciplina che regola il trasferimento delle detrazioni in caso di cessione dell’immobile stabilendo ora che : :<<(…) le detrazioni possono essere utilizzate dal venditore oppure essere trasferite all’acquirente persona fisica>> (Il precedente testo stabiliva invece che in caso di trasferimento per atto tra vivi dell'unità immobiliare oggetto degli interventi di recupero del patrimonio edilizio di cui all’art. 1, L. 449/97 spettano all'acquirente persona fisica dell'unità immobiliare esclusivamente le detrazioni non utilizzate in tutto o in parte dal venditore. In caso di decesso dell'avente diritto, invece, la fruizione del beneficio fiscale si trasmette per intero esclusivamente all'erede che conservi la detenzione materiale e diretta del bene. 69 I principali chiarimenti forniti in epoca recente dall’Agenzia delle Entrate circa la detrazione del 36% Applicabilità della detrazione del 36% a tutti gli interventi edilizi di cui alle lettere a), b), c) e d) realizzati dal condominio su tutte le parti comuni dell’edificio residenziale definite dall’art. 1117, nn. 1, 2 e 3 del codice civile. Con la ris. n.7/E del 12.2.2010 l’Ag. delle Entrate ha chiarito che la detrazione del 36% deve intendersi riconosciuta per gli interventi edilizi di cui alle lettere a), b), c) e d) realizzati dal condominio su tutte le parti comuni dell’edificio residenziale, come definite dall’art. 1117, nn. 1, 2 e 3 del codice civile, con ciò sciogliendo il contrasto di prassi verificatosi fra l’orientamento restrittivo espresso con la ris. 84/2007 e quello estensivo contenuto nelle circolari n. 57/E del 24.2.1998 e n. 121 dell’11.5.1998 che avevano ritenuto agevolabili le spese di manutenzione della casa del portiere (contemplata tra le parti comuni dell’edifico di cui all’art. 1117 n. 2 c.c.) e, tra i servizi igienico‐sanitari, i lavori di nuova costruzione e rifacimento della fognatura (contemplata al n. 3 dell’art. 1117 c.c.). All’origine della problematica si pongono delle discrasie normative: infatti, per quanto riguarda l’individuazione delle parti comuni interessate dall’agevolazione, l’art. 1 della legge 449/1997 rinvia alle sole parti condominiali indicate dall'art. 1117, n. 1, del codice civile mentre il relativo regolamento di attuazione (Decreto interministeriale 18.2.1998 n. 41 e successive modificazioni) menziona genericamente l’art. 1117 c.c. L’Ag. Entrate ha così ritenuto che il menzionato contrasto andasse definito in aderenza al dettato del regolamento di attuazione, maggiormente rispondente alla finalità della previsione agevolativa, tesa ad incentivare gli interventi di riqualificazione del patrimonio abitativo esistente facendo emergere, nel contempo, base imponibile fiscale. Circolare multiquesiti Agenzia Entrate 20/E del 13.5.2011 Risposta 2.1a: se fattura e bonifico riportano un solo nominativo, ma l’onere è stato sostenuto da più soggetti, la detrazione spetta anche a questi indicando a) in fattura la percentuale di spesa di spettanza; b) in dichiarazione il codice fiscale del soggetto che ha effettuato l’invio della comunicazione di inizio lavori al Centro Operativo di Pescara (abrogato dal D.L. 70/11). La risposta richiama la ris. 353/08 (36%) e la circ. 34/08 (55%) che avevano risolto discrasie simili, rispettivamente, fra bonifico e comunicazione preventiva e fra scheda informativa e bonifico o fattura. Risposta 2.1b – per la detrazione del 36% sull’acquisto di immobili abitativi ristrutturati da impresa costruttrice non servono comunicazione preventiva (ora abrogata anche per i recuperi), né pagamento con bonifico; la detrazione (forfait del 25% sul prezzo di acquisto) compete rigorosamente in base alle quote di proprietà. Invece, per l’acquisto di un box pertinenziale ad abitazione la detrazione è quella del 36% sul recupero e spetta in relazione all’onere effettivamente sostenuto: occorrono comunicazione preventiva (ora abrogata) e bonifico (bancario o postale) e si può fare annotazione sulla fattura cointestata per fare constare chi abbia effettivamente sostenuto, e in quale misura, la spesa. Risposta 2.2 – L’erede può fruire delle residue quote di detrazione del 36% solo a condizione di avere immediata disponibilità dell’immobile, condizione che non sussiste qualora il bene sia concesso in comodato. Risposta 2.3 – gli addolcitori di acqua domestica (anticalcare) possono fruire della detrazione del 36% solo se l’installazione comporta modificazioni strutturali integranti opere straordinarie dell’abitazione e/o dei suoi impianti (N.B: si deve ritenere che tale condizione non debba sussistere se l’addolcitore è in comune a più unità in quanto per le parti comuni è agevolata anche la manutenzione ordinaria). Risoluzione n. 7/E del 13.1.2011 in tema di acquisto di box pertinenziali a unità residenziali con pagamento a mezzo bonifico disposto lo stesso giorno della stipula ma in orario antecedente. Per principio generale la mancanza di preliminare registrato è ostativa alla detrazione sui pagamenti di acconti non essendo riscontrabile l’effettiva sussistenza ‐ al momento del pagamento ‐ del vincolo pertinenziale. Nel caso specifico, tuttavia, la detrazione è stata riconosciuta in quanto il pagamento veniva effettuato prima, ma in ugual data, del rogito dal quale dovrà risultare la destinazione del parcheggio a servizio dell’unità residenziale. Detrazione degli interessi passivi pagati per l’acquisto dell’abitazione principale (Art. 15, 1° c., lettera b, del TUIR) Nelle circolari 23.4.2010 n. 21 e 1.7.2010 n. 39 l’Ag. delle Entrate ha fornito ulteriori chiarimenti anche relativamente a tale importante detrazione, la cui disciplina è “a regime” e normativamente assestata ormai da parecchi anni,ma pur sempre foriera di interessanti spunti interpretativi generati dalla grande varietà di fattispecie. 70 Interessi passivi pagati per l’acquisto dell’abitazione principale Domanda: Due coniugi hanno acquistato un’abitazione e stipulato un contratto di mutuo al 50%. Successivamente, uno dei due coniugi dona all’altro la sua quota e acquista nello stesso anno una nuova abitazione al 100%. Per l’anno in questione si chiede di sapere a quanto ammonta il limite massimo detraibile di interessi passivi tenuto conto del primo mutuo al 50% (limite massimo 2.000 euro) e del secondo mutuo (limite massimo 4.000 euro). Risposta: Il coniuge donatario della quota del consorte sull’abitazione principale potrà continuare a detrarre gli interessi passivi del mutuo contratto per l’acquisto dell’immobile, ai sensi dell’art. 15, comma 1, lett. b), del TUIR, solo in relazione alla parte di debito assunta con il contratto rimasta a suo carico (50%). Il donatario, a fronte del limite massimo di spesa detraibile di 4.000 euro per anno d’imposta previsto dall’art. 15, potrà fruire della detrazione per un importo non superiore al 50 per cento di detto limite, ovvero 2.000 euro. Il consorte che, in corso d’anno, si è reso acquirente e mutuatario di un’altra abitazione (100%) potrà continuare a fruire, per il periodo di tempo in cui era oltre che mutuatario anche comproprietario dell’immobile donato, della detrazione per gli interessi passivi, per la parte rimasta a suo carico (50 per cento), nonché, ricorrendone ogni altro presupposto di legge, della detrazione delle spese ammesse per il secondo mutuo per un importo complessivo annuo non superiore al limite massimo di 4.000 euro. Acquisto di un immobile da ristrutturare Domanda: Un contribuente acquista un immobile da adibire ad abitazione principale, stipulando un mutuo per acquisto, e dopo qualche mese, prima della variazione di residenza, apre una DIA comprovata dalla relativa concessione edilizia o atto equivalente. Si chiede di sapere se la detrazione degli interessi pagati per il mutuo spetta a decorrere dalla data in cui l’unità immobiliare è adibita a dimora abituale e, comunque, entro due anni dall’acquisto. Risposta: L’art. 15, comma 1, lett. b), del TUIR prevede la detraibilità, nella misura del 19%, per un importo non superiore a 4.000 euro, degli interessi passivi, e relativi oneri accessori, pagati in dipendenza di mutui contratti per l’acquisto dell’unità immobiliare da adibire ad abitazione principale entro un anno dall’acquisto stesso. La medesima disposizione stabilisce che nel caso in cui l’immobile acquistato sia oggetto di lavori di ristrutturazione edilizia, la detrazione sugli interessi passivi pagati a fronte del mutuo spetta a decorrere dalla data in cui l’unità immobiliare è adibita a dimora abituale, e comunque entro due anni dall’acquisto, a condizione che la ristrutturazione sia comprovata da concessione edilizia o atto equivalente. Conformemente a quanto precisato con circ. 20.4.2005, n. 15 (punto 4.3), si deve ritenere che anche nel caso in esame sarà possibile beneficiare della detrazione d’imposta a partire dalla data in cui l’immobile è adibito a dimora abituale e sempre a condizione che l’utilizzo come abitazione principale avvenga entro due anni dall’acquisto. Sostituzione del contratto di mutuo intestato ad un coniuge con un contratto cointestato ad entrambi Domanda: Nell’ipotesi in cui l’originario contratto di mutuo, stipulato da uno solo dei coniugi per l’acquisto in comproprietà dell’abitazione principale, è estinto e sostituito da un nuovo mutuo cointestato ad entrambi i coniugi comproprietari, dei quali uno fiscalmente a carico dell’altro, è possibile usufruire della detrazione sugli interessi passivi anche per la quota di competenza del coniuge fiscalmente a carico? Risposta: L’art. 15, comma 1, lett. b), del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) riconosce una detrazione di imposta, pari al 19 per cento, sugli interessi passivi e relativi oneri accessori, corrisposti in dipendenza di mutui garantiti da ipoteca, contratti per l’acquisto dell’unità immobiliare da adibire ad abitazione principale entro un anno dall’acquisto, per un importo non superiore a 4.000 euro. L’acquisto dell’unità immobiliare deve essere effettuato entro l’anno precedente o successivo alla data della stipulazione del contratto di mutuo. Non si tiene conto del suddetto periodo nell’ipotesi in cui l’originario contratto è estinto e ne viene stipulato uno nuovo di importo non superiore alla residua quota di capitale da rimborsare, maggiorata delle spese e degli oneri correlati. In tal caso, come affermato nella ris. 21.12.2007, n. 390, se il nuovo mutuo è di importo superiore alla residua quota di capitale, maggiorata delle spese e degli oneri correlati, la detrazione compete nei limiti della predetta quota. La previsione normativa che consente al contribuente di conservare i benefici fiscali in occasione della sostituzione del vecchio mutuo tende a non frapporre ostacoli fiscali alla libera scelta dell’interessato di estinguere il vecchio mutuo e stipularne uno nuovo. La ris. 21.2.2008, n. 57, in relazione ad una fattispecie analoga a quella in esame, ha precisato che il coniuge, il quale, a seguito della rinegoziazione del mutuo originario, stipulato da entrambi i coniugi per l’acquisto in comproprietà dell’abitazione principale, diventi unico titolare del contratto di mutuo, ha diritto ad usufruire della detrazione anche in relazione alla quota di interessi passivi originariamente riferibile all’altro coniuge. 71 Le istruzioni impartite con il predetto documento di prassi riconoscono carattere unitario all’operazione di estinzione ed accensione del nuovo mutuo, data la sostanziale continuità del rapporto originariamente stipulato, con conseguente conservazione dei benefici fiscali già riconosciuti in relazione al primo contratto. Nella fattispecie in esame si realizza una ipotesi speculare rispetto a quella esaminata nella predetta risoluzione n. 57/2008. Anche in questo caso, infatti, ove il contratto di mutuo fin dall’origine fosse stato intestato ad entrambi i coniugi, gli stessi avrebbero potuto beneficiare della detrazione sugli interessi pagati. È possibile affermare che entrambi gli intestatari del nuovo mutuo possano beneficiare della detrazione fiscale; nel caso in cui uno dei coniugi sia fiscalmente a carico dell’altro, la detrazione spetterà al coniuge non fiscalmente a carico anche per la quota di competenza di quello a carico. Resta inteso che la detrazione compete solo per gli interessi riferibili alla residua quota di capitale del precedente mutuo e nei limiti di 4.000,00 euro complessivi per entrambi i coniugi. Interessi passivi pagati per l’acquisto dell’abitazione principale in caso di trasferimento per motivi di lavoro Domanda: L’art. 15, 1° c., lett. b), del TUIR consente di continuare a fruire della detrazione degli interessi passivi pagati per l’acquisto dell’immobile adibito ad abitazione principale anche nell’ipotesi in cui il soggetto trasferisca la propria abitazione principale in un nuovo comune per motivi di lavoro. Il dipendente che fissi la nuova dimora abituale in un comune limitrofo a quello in cui si trova la sede di lavoro può continuare a beneficiare della detrazione? Risposta: Il diritto a fruire della detrazione per gli interessi passivi permane anche nel caso in cui il contribuente trasferisca la propria residenza in un comune limitrofo a quello in cui si trova la sede di lavoro. La generica formulazione adottata dalla norma “trasferimenti per motivi di lavoro” consente, infatti, di continuare a fruire della detrazione nei casi in cui la variazione dell’abitazione principale risulti oggettivamente attribuibile all’attuale situazione lavorativa del contribuente senza richiedere l’ulteriore condizione che la nuova abitazione principale sia stabilita nel medesimo comune in cui si trova la sede di lavoro. Il principio che consente la detrazione degli interessi passivi solo in relazione ad immobili adibiti ad abitazione principale può essere derogato fintantoché sussistono i presupposti previsti per avvalersi della deroga, vale a dire finché permangono i “motivi di lavoro” che hanno determinato la variazione della dimora abituale. Se, pertanto, vengono meno le esigenze lavorative che hanno determinato lo spostamento della dimora abituale non troverà più applicazione la citata deroga, con la conseguenza che, a partire dal periodo di imposta successivo a quello in cui sono venute meno le predette esigenze lavorative, il contribuente perderà il diritto alla detrazione degli interessi. Unità abitativa acquistata all’asta giudiziaria per adibirla ad abitazione principale, occupata dall’ex proprietario, per la quale sia avviato un procedimento esecutivo di rilascio: equiparabilità all’acquisto di unità locata a un conduttore al quale sia notificata entro tre mesi dall’acquisto intimazione di licenza o di sfratto per finita locazione e che entro un anno dal rilascio sia adibita ad abitazione principale. Nella risoluzione n. 385 del 14.10.2008 l’Ag. delle Entrate ha riconosciuto la possibilità di equiparare,in via analogica, benché differenti, le due fattispecie richiamate in oggetto, solo la seconda delle quali risulta espressamente prevista e normata dall’art. 15, 1° c., lett. b) del TUIR. La possibilità di detrarre gli interessi passivi sul mutuo contratto per l’acquisto all’asta resta subordinata all’attivazione dell’azione esecutiva per il rilascio nel rispetto del termine di tre mesi dal decreto di trasferimento dell’unità e che la stessa sia stata adibita ad abitazione principale entro un anno dal rilascio. Risoluzione n. 43/E del 12.4.2011 ‐ interessi passivi che maturano sul conto di finanziamento accessorio Gli interessi passivi che maturano sul conto di finanziamento accessorio sono detraibili se derivano da rinegoziazione di mutuo prima casa (per acquisto,costruzione ristrutturazione abitazione principale) finalizzato a trasformare il mutuo a tasso variabile in mutuo con rata fissa e durata variabile. La differenza fra la rata originaria e quella rinegoziata viene appunto addebitata su un conto di finanziamento accessorio che alla scadenza originaria del mutuo viene rimborsata dal mutuatario con rate costanti uguali a quelle definite con la rinegoziazione. Il parere favorevole delle Entrate deriva dal fatto che la causa della rinegoziazione coincide con quella del mutuo originario agevolabile e che anche il conto accessorio è garantito da ipoteca su immobili. Con la rinegoziazione non cambia l’importo delle rate né le scadenza, ma si prolunga la durata. 72 Ulteriori interpretazioni sulla detrazione degli interessi passivi sui mutui immobiliari sono state fornite dalla circolare multiquesiti n. 20/E del 13.5.2011 Risposta 1.1: sì alla detrazione degli interessi totali (propri e di quelli che competevano all’altro coniuge) a seguito di accollo interno del mutuo: coniugi comproprietari e cointestatari del mutuo per abitazione principale che si separano consensualmente; la quota di immobile di proprietà del marito viene trasferita alla moglie, che si accolla (accollo interno) il mutuo del marito. La separazione e i relativi accordi sono omologati dal giudice e con “atto di trasferimento di diritti immobiliari in esecuzione di decreto di omologazione di separazione consensuale tre coniugi” sono stati formalizzati il trasferimento della quota dell’immobile e l’accollo della quota di mutuo,senza tuttavia modificare il contratto di mutuo bancario, ancora cointestato. Condizioni: l’accollo deve essere formalizzato in scrittura autenticata o atto pubblico e le quietanze di pagamento interessi devono essere integrate dall’attestazione che l’intero onere è stato sostenuto dal coniuge cessionario. Invece, l’ex coniuge cedente, non essendo più proprietario, non ha più diritto alla detrazione. Risposta 1.2: sì alla detrazione degli interessi totali da parte del marito a seguito di trasferimento immobile già di proprietà della moglie (che continua ad abitarlo con i figli) in sede di separazione consensuale, senza modificazione intestazione mutuo (per risparmio di spesa). Il mutuo è quindi ancora intestato all’ex moglie ma gli interessi sono pagati dal marito cessionario. Condizioni: nella sentenza di separazione deve risultare l’obbligo di assolvere il debito in capo al marito, che deve possedere le altre condizioni di legge, l’accollo deve essere formalizzato in scrittura autenticata o atto pubblico e le quietanze di pagamento interessi devono essere integrate dall’attestazione che l’intero onere è stato sostenuto dal coniuge cessionario. L’abitazione deve essere abitazione principale (dimora abituale) del proprietario o dei suoi familiari. Il coniuge separato rientra tra i familiari finché non interviene la sentenza di divorzio,ma in questo caso la detrazione spetta se nell’immobile dimorano i figli. Risposta 1.3: sì alla detrazione degli interessi sui mutui per acquisto prima casa se la motivazione risulta nel contratto di mutuo o di compravendita o da dichiarazione resa dalla banca. In mancanza può essere autocertificata con dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà (art. 47 DPR 445/2000) dal contribuente (cfr. ris. 147/2006). In ipotesi di mutui misti (per acquisto,detraibili,e per ristrutturazione, non detraibili) la quota di mutuo e di interessi riferibile all’acquisto può essere comprovata con le medesime modalità predette, inclusa l’autocertificazione. Risposta 1.4: in caso di decesso di uno dei due intestatari l’altro può detrarre l’intera quota di interessi (max. Euro 4.000 complessivi annui) senza accollo? La circolare 122/99 aveva richiesto la regolarizzazione dell’accollo. Ora si chiarisce che, posto che il coniuge superstite e gli altri eredi subentrano comunque nel debito, la detrazione spetta anche nel periodo che precede la regolarizzazione. Inoltre, l’eventuale pagamento da parte di un solo erede gli consente la detrazione entro la misura massima consentita purché tra gli eredi intervenga un accordo (scrittura autenticata o atto pubblico) da cui risulti il soggetto che assume l’obbligo di pagare il mutuo. Risposta 1.5: Il nudo proprietario che ha contratto il mutuo per acquistare la proprietà concedendo l’usufrutto al figlio può detrarre tutti gli interessi passivi ove ricorrano le altre condizioni di legge. La circ. 17/2006 aveva già precisato che il coniuge che ha stipulato il mutuo lui solo per acquistare abitazione in comproprietà con il coniuge (non intestatario del mutuo) può detrarre tutti gli interessi. La risposta 1.5 relativa al padre nudo proprietario e al figlio usufruttuario viene fornita per analogia a quella data con la circ. 17/2006. Detrazione per canoni di locazione e altre fattispecie simili corrisposti dagli studenti fuori sede (Art. 15, 1° c., lettera i sexies del TUIR) Non spettanza della detrazione in forza di contratto di sublocazione (circ. n. 21/2010,risp. 4.3) Nella circ. 23.4.2010 n. 21, punto 4.3, l’Ag. delle Entrate ha affrontato un interessante quesito circa la possibilità di fruire della detrazione per i canoni di locazione corrisposti dagli studenti universitari fuori sede in forza di un contratto di sublocazione. D: È possibile beneficiare della detrazione del 19%, prevista dall’art. 15, 1° c., lett. i‐sexies), del TUIR per i canoni di locazione corrisposti dagli studenti universitari fuori sede, anche nell’ipotesi di subaffitto? 73 R: L’art. 15, 1° c., lett. i‐sexies), del TUIR, riconosce, a determinate condizioni, agli studenti iscritti ad un corso di laurea, la detrazione del 19 per cento dall’imposta lorda, dei canoni di locazione, per un importo non superiore a 2.633 euro, derivanti da: contratti di locazione stipulati o rinnovati ai sensi della legge 9.12.1998, n. 431, e successive modificazioni; contratti di ospitalità, nonché dagli atti di assegnazione in godimento o locazione, stipulati con enti per il diritto allo studio, università, collegi universitari legalmente riconosciuti, enti senza fine di lucro e cooperative. L’ipotesi del “subcontratto” non è contemplata tra gli schemi contrattuali indicati nell’art. 15, comma 1, lett. i‐sexies), del TUIR. In assenza di tale previsione, poiché la norma agevolativa non è suscettibile di interpretazione estensiva, la detrazione in argomento non è fruibile per i contratti di sublocazione. Non spettanza della detrazione per immobili all’estero (circ. n. 18/E/2009, risp. 5) Con la risposta n. 5 della circolare 21.4.2009, n.18 l’Ag. delle Entrate ha negatola detrazione per le spese per canoni di locazione sostenute da studenti universitari fuori sede qualora l’immobile sia ubicato all’estero. Ricordiamo che dall’1.1.2008 la detrazione in questione, introdotta con effetto dall’1.1.2007, è stata ampliata, rendendo possibile usufruirne anche per spese relative anche a <<canoni relativi a contratti di ospitalità, nonché agli atti di assegnazione in godimento o locazione, stipulati con enti per il diritto dello studio, università, collegi universitari legalmente riconosciuti, enti senza fine di lucro e cooperative>>,oltre che,come già in precedenza, attraverso la stipula di contratti ai sensi delle legge 431/1998. La risposta negativa delle Entrate è stata motivata con le seguenti considerazioni. La norma prevede una detrazione d'imposta del 19% per i canoni di locazione derivanti dai contratti di locazione stipulati o rinnovati ai sensi della L. n. 431/98, i canoni relativi ai contratti di ospitalità, nonché agli atti di assegnazione in godimento o locazione, stipulati con enti per il diritto allo studio, università, collegi universitari legalmente riconosciuti, enti senza fine di lucro e cooperative, dagli studenti iscritti ad un corso di laurea presso una università ubicata in un comune diverso da quello di residenza, distante da quest'ultimo almeno 100 Km. e comunque in una provincia diversa, per unità site nello stesso comune in cui ha sede l'università o in comuni limitrofi, per un importo non superiore a 2.633 euro. Si ritiene che il beneficio fiscale in oggetto non possa essere esteso ai contratti di locazione di unità site all'estero, in quanto la norma, facendo riferimento ai contratti di locazione stipulati ai sensi della legge n. 431/1998 e ad altri contratti abitativi stipulati con soggetti individuati dall'ordinamento nazionale (collegi universitari legalmente riconosciuti, enti senza fine di lucro etc.), sembra escludere dall'agevolazione contratti stipulati in base a normative proprie di altri ordinamenti, interpretazione, peraltro, confermata dalla relazione tecnica alla Finanziaria 2008 (che ha esteso l'agevolazione anche ad alcune ipotesi di contratti di ospitalità non previste dalla legge n. 431/ 1998), la quale, nell'effettuare le stime di gettito, ha tenuto conto dei soli studenti che alloggiano nel territorio nazionale. Circolare multiquesiti Agenzia Entrate 20/E del 13.5.2011, risposta 5.10 – Detrazione 19% per canoni locazione studenti fuori sede (art. 15.1, lett. i sexies TUIR) L’importo di Euro 2.633 è il massimo di spesa su cui applicare il 19% per ciascun genitore, a prescindere dal numero dei figli e dei relativi contratti di locazione. Se i figli sono due, a carico di entrambi i genitori, ciascuno dei due figli con un contratto a sé intestato, ogni genitore può fruire di una detrazione pari al 19% di massimo Euro 2.633, ovviamente a condizione che i canoni siano stati effettivamente pagati. Detrazione per canoni di locazione (Art. 16 del TUIR) Ricordiamo per completezza anche l’esistenza della detrazione in oggetto, assai articolata e stratificatasi nel tempo in forza di più interventi normativi, per la quale, stante la mancanza di particolari elementi di novità, facciamo rinvio alle istruzioni contenute nelle istruzioni ai modelli di dichiarazione) Detrazione per le spese di intermediazione sostenute per l’acquisto dell’abitazione principale (Art. 15, 1° c.,lett. b bis del TUIR) Nella circolare 1.7.2010 n. 39 (risp. 1.1) l’Ag. delle Entrate ha affrontato il tema della ammissibilità a detrazione, nella prima dichiarazione dei redditi utile, della spesa per intermediazione immobiliare sostenuta da un contribuente in data antecedente la stipula sia del preliminare che del rogito (ad es., al momento dell'accettazione della proposta di acquisto) per l’acquisto dell’unità immobiliare da adibire ad abitazione principale. Nel caso di specie il contribuente aveva sostenuto la spesa in data 21.04.2009, stipulato e registrato il preliminare di vendita il 03.05.2009, stipulato il rogito il 09.12.2009. L’Ag. delle Entrate,dopo avere ricordato che l’art 15, 1° c., lett. b‐bis), del TUIR prevede che sono detraibili <<dal 1 gennaio 2007 i compensi comunque denominati pagati a soggetti di intermediazione immobiliare in dipendenza dell’acquisto dell’unità immobiliare da adibire ad abitazione principale per un importo non superiore ad euro 1.000 74 per ciascuna annualità>> e che con la circolare 4.4.2008, n. 34 è stato chiarito che poiché l’agevolazione è subordinata alla condizione che l’immobile sia adibito ad abitazione principale, il beneficio viene meno nel caso in cui l’acquisto non sia stato concluso, ha confermato che nella fattispecie rappresentata al contribuente competa la detrazione d’imposta, risultando evidente che le spese sono sostenute in occasione dell’acquisto dell’abitazione principale posto che, successivamente all’accettazione della proposta di acquisto, nel medesimo anno è stato stipulato e registrato il preliminare di vendita e il contratto di acquisto definitivo (rogito). Nella circolare multiquesiti n. 20/E del 13.5.2011 la risposta 5.8 (Detrazione 19% dei compensi di intermediazione immobiliare ex art. 15.1, lett. “b” bis del TUIR per massimo Euro 1.000 all’anno:<<dal 1.1.2007 i compensi comunque denominati pagati a soggetti di intermediazione immobiliare in dipendenza dell'acquisto dell'unità immobiliare da adibire ad abitazione principale per un importo non superiore ad euro 1.000 per ciascuna annualità>>) sono state esaminate tre ipotesi, così risolte: 1) se la fattura è intestata a un solo comproprietario: occorre annotazione integrativa in fattura; 2) se la fattura è cointestata ma l’immobile è intestato a un solo proprietario: occorre anche in questo caso annotazione integrativa in fattura per fare detrarre tutto all’unico proprietario; 3) se la fattura è intestata solo a un soggetto non proprietario si ha indetraibilità anche per il proprietario dell’immobile 5) L’applicazione dell’ICI alla luce della giurisprudenza della Corte di Cassazione Nella vastissima e interessante produzione giurisprudenziale della Corte di Cassazione intervenuta negli ultimi anni ricordiamo, fra le tante pronunzie, le seguenti, in ragione della loro rilevanza. ‐ Fabbricati “neo accatastati”: le sentenze Cassazione 23.10.2006 n. 22208 e 10.10.2008 n. 24924 hanno affermato l’imponibilità del fabbricato dal momento dell’accatastamento e a prescindere dalla sua compiuta ultimazione ed effettiva utilizzazione, essendo il ricorrere di tali elementi desumibile proprio dalla circostanza che il bene sia stato denunciato al Catasto e dotato di rendita catastale. Questo orientamento, al quale molti Comuni hanno cominciato ad attenersi, comporta la necessità che il contribuente assuma un comportamento improntato a prudenza, evitando di anticipare la denuncia al Catasto di fabbricati che non siano stati ancora ultimati o utilizzati, come invece talvolta avviene per esigenze di carattere commerciale o di altra natura ‐ Immobili vincolati in ragione dell’interesse storico e artistico: a tali immobili si applica l’art. 2.5 del D.L. n. 16/1993, conv. dalla L. n. 75/1993:<< Per gli immobili di interesse storico o artistico ai sensi dell'articolo 3 L. n. 1089/39, e successive modificazioni, la base imponibile ai fini dell‘ICI é costituita dal valore che risulta applicando alla rendita catastale, determinata mediante l'applicazione della tariffa d'estimo di minore ammontare tra quelle previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è sito il fabbricato, i moltiplicatori di cui all'articolo 5, c. 2, del decreto legislativo n. 504/92>>. Si segnala l’orientamento restrittivo della Cassazione (sent. n. 13345 del 10.6.2009), contrario all’applicabilità dell’agevolazione prevista per gli immobili vincolati se censibili in cat. “D” e sprovvisti di rendita catastale. Tale fattispecie è regolata da specifica norma (l’art. 5, 3° c. D.Lgs. n. 504/92), diversa dall’art. 2.5 del D.L. n. 16/93, norma, quest’ultima, che, per essere applicabile, presuppone, per la Cassazione, la sussistenza dell’accatastamento e della R.C.; nel caso specifico, peraltro, non era stata sollevata dal contribuente contestazione circa la natura costitutiva o dichiarativa della R.C. successivamente attribuita al fabbricato. La Corte di Cassazione, Sezioni Unite, n. 5518/2011, ha affermato di recente il seguente principio di diritto: <<In materia di tassazione ai fini ICI degli immobili di interesse storico o artistico è applicabile esclusivamente la regola stabilita dal D.L. n. 16/1993, art. 2, c. 5, convertito con L. n. 75/1993, come interpretato da L. n. 342/2000, art. 74, c. 6, anche qualora per tali immobili fossero effettuati interventi di restauro e di risanamento conservativo o interventi di ristrutturazione edilizia o interventi di ristrutturazione urbanistica, quali indicati dalla L. n. 457 del 1978, art. 31, comma 1, lett. c), d) ed e)>>. Pertanto,non si applica l’art. 5, 6° c. del D.Lgs. 504/92, prevalendo la specialità della normativa prevista per gli immobili vincolati. In pratica,in caso di intervento di recupero, tali fabbricati continuano e essere tassati ai fini ICI come fabbricati vincolati e non come aree edificabili. ‐ Immobili in leasing: L’art. 3.2 del D. Lgs. n. 504/92 (immobili in leasing) nel testo in vigore dal 15.8.2009 prevede che <<Per gli immobili – anche da costruire o in corso di costruzione – concessi in locazione finanziaria,soggetto passivo è il locatario a decorrere dalla data di stipula e per tutta la durata del contratto>>. Al di là della chiarificazione apportata (“soggetto passivo anche per gli immobili da costruire o in corso di costruzione è il locatario a decorrere dalla stipula e per tutta la durata del contratto”), l’aspetto realmente innovativo della norma 75 ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ riguarda i fabbricati interamente posseduti dalla società di leasing e distintamente contabilizzati, classificabili nel gruppo catastale “D” ma non ancora censiti al Catasto con attribuzione di rendita, ai quali pure si applica ora la regola generale valida per il leasing che pone la soggettività passiva ICI in capo al locatario dalla data di stipula del contratto (e non più dall’1.1.dell’anno successivo come avveniva fino al 15.8.2009). Nel caso di locazione finanziaria di fabbricati “D contabili” (Art.5,3° c. u.p., D. Lgs. n. 504/92) il locatore o il locatario possono esperire la procedura di cui al D. M. Finanze 19.4.1994, n. 701 (DOCFA), con conseguente determinazione del valore del fabbricato sulla base della rendita proposta, a decorrere dall’1 gennaio dell’anno successivo a quello nel corso del quale tale R.C. è stata annotata negli atti catastali. In mancanza di rendita proposta il valore dei “D” contabili in leasing é determinato sulla base delle scritture contabili del locatore, il quale é obbligato a fornire tempestivamente al locatario tutti i dati necessari per il calcolo. Efficacia “retroattiva” (una volta attribuita) della R.C. (Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sent. n. 3160/2011) “a ritroso”, fino alla data della richiesta di attribuzione della R.C. stessa per gli immobili in cat. “D”, interamente posseduti da imprese e privi di rendita, per i quali l’ICI è stata provvisoriamente determinata in base ai coefficienti ministeriali (salvo successivo conguaglio, a credito o a debito, in base alla rendita catastale): è prevalsa la tesi della natura dichiarativa, e non costitutiva, della rendita catastale, a prescindere dalle date di messa in atti e di notifica (condizione, quest’ultima, di semplice utilizzabilità della R.C). Per i periodi di imposta antecedenti a quello in cui è stata richiesta la R.C., invece, la determinazione contabile dell’ICI assume valore definitivo. Pertinenze: due sentenze della Corte di Cassazione (sez. trib. civ. nn. 19638 dell’11.9.2009 e 25127 del 30.9.2009) hanno puntualizzato che il principio di pertinenzialità non è né assoluto, né incondizionato, ma devono effettivamente ricorrere le condizioni, oggettiva e soggettiva, poste dal codice civile. La sentenza 25127/09 ha anche fatto applicazione dell’abuso del diritto in materia di ICI. Efficacia della consegna dell’immobile ai fini ICI (Cassazione Sez. Tribut. sent. 18.8.2004, n. 16130): il semplice possesso dell’immobile ‐ in forza di preliminare di compravendita, accompagnato dalla consegna del bene prima del rogito notarile – è idoneo a costituire presupposto per il pagamento dell’ICI ex art. 1 del D.Lgs. n. 504/92. Nello stesso senso le sentenze della Cassazione del 10.9.2004, n. 18294, e n. 22570 del 2004. Ne consegue l’opportunità di regolare espressamente fra le parti, in via pattizia, l’obbligo di denuncia e di pagamento dell’ICI a carico del soggetto immesso nel possesso del bene. Fabbricati inagibili o inabitabili: una fattispecie dotata di particolare rilevanza, assai diffusa e spesso foriera di contenzioso, è quella relativa all’imposizione dei fabbricati inagibili (art. 8, 1° c., primo periodo del D. Lgs. n. 504/92): <<L’imposta è ridotta del 50% per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati, limitatamente al periodo dell’anno durante il quale sussistono dette condizioni. L’inagibilità o inabitabilità è accertata dall’ufficio tecnico comunale con perizia a carico del proprietario, che allega idonea documentazione alla dichiarazione. In alternativa il contribuente ha facoltà di presentare dichiarazione sostitutiva, ai sensi della L. n. 15/1968, rispetto a quanto previsto dal periodo precedente>>. La suddetta norma – che richiede la concorrenza dell’inagibilità e del non utilizzo del bene ‐ deve essere integrata con quanto previsto dall’art. 59, 1° c., lettera “h”, del D. Lgs. n. 446/97, secondo cui con regolamento i Comuni possono <<disciplinare le caratteristiche di fatiscenza sopravvenuta del fabbricato, non superabile con interventi di manutenzione, agli effetti dell’applicazione della riduzione alla metà dell’imposta prevista nell’art. 8, 1° comma, del D. Lgs. n. 504/1992>>. Secondo la circolare n. 137/E/1997, risposta 20.1, l’autodichiarazione del contribuente, esente da bollo, ex DPR 445/2000, ha una portata esaustiva e quindi sostituisce sia l’attestazione comunale che la perizia dell’ufficio tecnico. Sul tema ‐ di diffuso interesse, posto che capita non di rado che i contribuenti omettano di compiere puntualmente gli atti formali previsti dalla legge e dal regolamento comunale al fine di poter legittimamente fruire dell’abbattimento di imposta, subendo poi l’accertamento comunale per omesso parziale pagamento dell’imposta ‐ è intervenuta una importante ed equilibrata sentenza della Corte di Cassazione (n. 23531 del 26.6.2008, dep. il 12.9.2008 ) che ha sancito il principio secondo cui l’ente non può richiedere al contribuente la prova di fatti già noti. Il punto centrale della sentenza è costituito dall’applicazione dei principi di buona fede e di collaborazione fra le parti codificati nell’art. 10.1, della L. n. 212/2000 (c.d. “Statuto del Contribuente”). Secondo tale sentenza, il contribuente ha comunque diritto all’abbattimento a metà dell'ICI, anche se non ha presentato la dichiarazione di inagibilità o inabitabilità di un fabbricato, purché all'amministrazione comunale sia noto lo stato dell'immobile e a condizione, naturalmente, che esso non sia utilizzato, come espressamente richiesto dall’art. 8.1 del D. Lgs. n.504/92. In via ordinaria lo stato di inagibilità o inabitabilità deve essere accertato dall'ente impositore se il contribuente allega idonea documentazione alla richiesta di riduzione dell'imposta o se 76 presenta dichiarazione sostitutiva e autocertifica questa situazione. Per usufruire del beneficio, l'istanza deve essere inoltrata nel momento in cui il fabbricato è inagibile o inabitabile, per consentire all'ente di verificare. Tuttavia, nel rispetto dei principi dello Statuto dei diritti del contribuente (art. 10, L. n. 212/2000), il contribuente non è tenuto a provare per via documentale all'ente impositore fatti e circostanze noti e conosciute. Nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione, il Comune stesso aveva revocato la licenza per l'esercizio di una sala cinematografica per inagibilità dell'immobile. La sala non era stata più utilizzata. Pertanto, «tenuto conto del principio di collaborazione e buona fede che deve improntare i rapporti tra ente impositore e contribuente», di cui è espressione anche la regola secondo la quale non può essere richiesta la prova dei fatti documentalmente noti all'amministrazione, nessun altro onere probatorio gravava sul contribuente. Con la sentenza citata la Cassazione ha di fatto ammorbidito la propria posizione e ha rettificato i principi affermati con altre pronunce con le quali aveva escluso il beneficio in mancanza di una preventiva dichiarazione del contribuente (Sent. 661/2005). 77