SOCIAL NEUROSCIENCE
(PARTE I)
ABSRACT
Le neuroscienze sociali sono un nuovo e interdisciplinare campo volto alla comprensione di come i sistemi
biologici siano implicati nell’implementazione dei processi sociali e del comportamento.
Le neuroscienze sociali si rifanno ai concetti e metodi biologici per integrare e ridefinire le teorie del
comportamento sociale; all’opposto sfruttano anche i costrutti e i dati comportamentali e sociali per arricchire
le teorie biologiche dell’organizzazione e del funzionamento neuronale.
In questo articolo concentreremo la nostra attenzione sui progressi e sulle potenzialità delle neuroscienze
sociali, in particolare nel campo della salute mentale.
Le ricerche nelle neuroscienze sociali si sono fortemente incrementate negli ultimi anni.
Tra i campi di indagine più floridi troviamo: gli studi di brain imaging nei soggetti normali sia adulti che bambini;
i modelli animali del comportamento sociale; studi su pazienti con traumi; imaging studies su pazienti
psichiatrici; ricerche sulle determinanti sociali dei processi periferici neuronali, dell’attività neuroendocrina e
immunologica.
Abbiamo inoltre rilevato che queste aree di ricerca scorrono su binari indipendenti. Per questo il nostro
obbiettivo, in questo articolo, è quello di rivedere gli sviluppi in questi differenti campi, esaminare alcuni dei più
recenti approcci, identificare ostacoli e opportunità per il futuro avanzamento e, infine, considerare come
questi lavori possano essere impegnati per la diagnosi e il trattamento dei disturbi mentali.
È stimato che gli ominidi hanno camminato sulla terra per circa 7 milioni di anni. l’uomo sapiens si è evoluto
solo nell’ultimo 1% di questo periodo, e solo per circa il 5-10% di questo breve periodo ha acquisito le capacità
e le competenze che noi oggi riteniamo garantite. L’uomo non è l’unico bipede o il primo ad utilizzare degli
strumenti, ma è apparentemente l’unico a interrogarsi sulla storia della terra, dell’universo, dell’origine delle
specie e della base genetica della vita.
Le caratteristiche dell’uomo sapiens che furono determinanti per il nostro successo come specie sono
discusse, è però chiaro che il numero dei geni e la grandezza del nostro cervello non sono giustificazioni
sufficienti. È stato stimato da biologi, circa una decade fa, che sono necessari 100.000 geni per i processi
cellulari sottostanti il comportamento sociale umano.
Oggi è chiaro che l’uomo ha solo un quarto dei geni qui indicati. La corteccia prefrontale è particolarmente
importante per i comportamenti critici come ad esempio le funzioni esecutive e la memoria di lavoro eppure il
grado di materia grigia della corteccia prefrontale in confronto con la totalità della corteccia non è maggiore
nell’uomo rispetto a quella dei non primati, inoltre sebbene l’uomo abbia più neuroni corticali rispetto agli altri
mammiferi, esso ne ha pochi di più rispetto alle balene e agli elefanti.
Le capacità specifiche dell’uomo possono risultare da un aumentato numero di sinapsi nel cervello, da una
migliore densità cellulare, da una maggiore velocità di conduzione neuronale che incrementano il livello
generale di information processing del cervello umano. Altre capacità tipicamente umane vanno dalla mano
fornita di dita, fino alla percezione e cognizione sociale (teoria della mente, immaginazione),ai legami sociali e
infine all’linguaggio.
Insieme, queste proprietà, veicolano complesse e coordinate azioni collettive.
Conseguentemente il cervello umano si è sviluppato per trattare con complesse coordinate sociali che
richiedono elevate funzioni cognitive sociali come: imitazione, comunicazione, empatia, teoria della mente,
interazione, relazione e intenzioni collettive.
Le interazioni e relazioni sociali hanno un ruolo fondamentale sia nello sviluppo che nel trattamento delle
malattie fisiche e psicologiche dell’uomo. I processi sociali e i comportamenti sono implicati in molti disordini
mentali: l’autismo ad esempio è caratterizzato da un’incapacità nell’affiliazione e cognizione sociale; la
schizofrenia comporta una mancanza di edonismo sociale; la depressione e la percezione dell’isolamento
sociale sono distinti ma legati stati mentali; la sindrome di Williams-Beuren è correlata ad una forte
ipersocievolezza combinata con un aumento dell’ansia non-sociale; infine la psicosi è data da una mancanza
di empatia e la srutturazione di transienti ed esplosive relazioni interpersonali. Cosa è considerato un
comportamento patologico o anormale dipende in parte dalla cultura in cui questo è esperito. Per questo Ahn,
Novick & Kim ritengono che il contesto sociale può influire su come il comportamento è valutato: come
accettabile o clinicamente rilevante.
Questo è un importante sviluppo per la nostra comprensione delle connessioni tra il cervello, la mente e il
comportamento dall’ultimo secolo, ma può essere convenzionale concettualizzare individuali,e a volte isolate
unità di analisi, e specifici stadi di vita come indipendenti periodi.
Le neuroscienze sociali sono emerse dall’inizio del 1990 come un campo interdisciplinare volto alla
comprensione di come i sistemi biologici siano implicati nei processi sociali e nel comportamento. Questo
viene realizzato traendo dai concetti e metodi biologici informazioni per integrare e ridefinire le teorie del
comportamento sociale; e all’opposto sfruttano i costrutti e i dati comportamentali e sociali al fine di arricchire
le teorie biologiche dell’organizzazione e del funzionamento neuronale.
In questo articolo concentreremo la nostra attenzione sui progressi e sulle potenzialità delle neuroscienze
sociali, in particolare nel campo della salute mentale.
Un approccio strettamente biologico può spiegare lo sviluppo e il comportamento osservando l’evoluzione
delle strutture anatomiche e dei programmi genetici che si evidenziano nelle cellule viventi, isolate dalle
influenze sociali, e riferendosi al cervello come una macchina interamente biologica. Dalla prospettiva di molti
scienziati biologici sostenuta per la maggior parte del ventesimo secolo, il contributo del mondo sociale al
comportamento è da considerarsi successivo.
Infatti, i fattori sociali sono osservati con un minimale interesse per quanto riguarda argomenti come lo
sviluppo, le strutture e i processi del cervello. Nei casi in cui i fattori sociali vengono sospettati di essere
rilevanti, la loro considerazione complica gli studi riguardanti il cervello e il comportamento, e per ciò la loro
inclusione non viene definita come una priorità.
D’altra parte l’approccio degli scienziati sociali per tutto il ventesimo secolo non fu meno settario rispetto a
quello dei biologi. Le guerre mondiali, la forte depressione, le ingiustizie civili, fornivano una chiara
rappresentazione di come i fattori sociali e culturali fossero maggiormente influenti rispetto alle giustificazioni
che si originavano dai modelli riferiti ai meccanismi cellulari e molecolari. Per questa ragione i processi e gli
eventi biologici sono stati completamente ignorati.
Opponendosi a questa storica indipendenza delle discipline sociali e biologiche, sono state avanzate prove
dell’esistenza di un “cervello sociale”sia nei primati non umani che nell’uomo.
Individui con lesione all’amigdala e alla corrispondente porzione inferiore della corteccia temporale
evidenziano un decremento della risposta a stimoli minacciosi e un incremento della valutazione di fiducia
rispetto a stimoli sociali.
I soggetti prosopoagnosici che solitamente hanno lesione bilaterale ai lobi occipitali (vicino a quelli temporali)
non vanno incontro a cambiamenti nella personalità ma sviluppano altri problemi che alterano il loro
comportamento sociale:essi infatti non riconoscono i visi di persone precedentemente conosciute
(sposi)anche se ad alcuni livelli il cervello mostra una risposta, ad esempio aumenta la conduttanza cutanea
per i visi famigliari.
Nella sindrome di Fregoli, tipicamente associata a lesione all’emisfero destro, l’individuo percepisce
sconosciuti come individui famigliari, in particolare le persone vengono percepite come fisicamente differenti
ma psicologicamente identici agli individui conosciuti.
Oltre all’influenza che il cervello può avere sul comportamento è stato verificato un forte impatto anche del
comportamento sociale sul cervello stesso. Ad esempio le prime relazioni sociali sono importanti per lo
sviluppo normale del cervello e del comportamento. Il contatto fisico (tatto)è un’importante fattore per lo
sviluppo dell’attaccamento madre-figlio. Una deprivazione tattile precoce riduce il numero di recettori
glucocorticoidi (i quali controllano e riducono lo stress) situati sull’ippocampo e nel lobo frontale. Questa
alterazione è persistente e riduce la reattività al feedback negativo degli ormoni dello stress aumentando la
risposta dell’organismo agli stressors.
Nei bambini la comunicazione e l’attaccamento è molto importante come prova il fatto che questi rispondano
ai volti e tentino di esprimere delle risposte (e quindi comunicare) subito dopo la nascita. Anche nei casi in cui
il linguaggio non è ne modellato ne insegnato una qualche forma di comunicazione si sviluppa comunque. Il
compiere azioni intenzionali, o osservare compierle da conspecifici ha una doppia rilevanza neuronale: da un
lato promuove le interazioni sociali, la sincronia e la comunicazione; dall’altro queste ultime capacità
aumentano l’ossitocina nel cervello permettendo la strutturazione di legami sociali e l’abbassamento della
reattività allo stress.
L’aumento del testosterone nei primati maschi non umani favorisce i comportamenti sessuali e la disponibilità
delle femmine recettive influenza i livelli del testosterone.
L’accrescere di prove dell’importanza della relazione tra gli eventi biologici e sociali,ha incitato gli scienziati
cognitivi, sociali e biologici a collaborare più sistematicamente con un comune punto di vista il quale ritiene
che la comprensione della mente e del comportamento può essere incrementata da un analisi che comprenda
il cervello, le cellule e i geni.
Il significativo numero di articoli pubblicati annualmente nei quali le parole chiave “sociale ”o”biologico” sono
comparse ricercati attraverso midline o PsycINFO nei periodi che vanno dal 1900-1950,dal 1951-2000 e in
proiezione dal 2001-2050 è illustrato nella figura 1.
Questi dati dimostrano un significativo aumento di ricerca e interesse per i rapporti che intercorrono tra i livelli
biologici e sociali. La crescita del numero di queste ricerche suggerisce che il legame tra le neuroscienze e le
scienze sociali è praticabile e promette la costruzione di un linguaggio scientifico comune che stabilisca
collegamenti tra i concetti teorici di queste discipline.
Recenti studi indicano, per esempio, che singoli geni possono influenzare il comportamento sociale; specifiche
regioni corticali sono attivate dai volti; la regione rostrale del cingolo anteriore è impiegata sia nella reazione di
dolore fisico che in quella del dolore prodotto come reazione a eventi sociali; il dolore per la solitudine è in
gran parte ereditabile; individui con la variante frontale della demenza frontotemporale, confrontati con i malati
di Alzheimer hanno una normale cognizione generale ma una deficitaria cognizione sociale.
Un principio sottostante le neuroscienze sociali è che tutto il comportamento umano sia implementato
biologicamente. Comunque questo non significa che soltanto assunzioni di carattere biologico possano
giustificare il comportamento sociale nella sua interezza, o che il livello molecolare sia il migliore livello di
analisi atto a spiegare la sofferenza mentale o il comportamento umano. Il riduzionismo costitutivo, cioè un
approccio sistematico che esamina le parti per meglio comprendere il tutto, non deve essere confuso con un
riduzionismo eliminativo. Il riduzionismo costitutivo è uno degli approcci che le scienze utilizzano per
interpretare dei dati partendo da valori di variabili di altri livelli. In questo approccio il tutto è importante come lo
studio delle sue parti.
Ulteriormente, i costrutti fondanti sviluppati dagli scienziati comportamentali e sociali permettono di analizzare
il comportamento non dovendo riferirsi alle singole componenti delle sue azioni, ma offrendo modelli esplicativi
del sistema complesso. È esattamente paragonabile ad un chimico il quale lavora con la tavola periodica degli
elementi quotidianamente e che però non si riferisca ad essa per “cucinare”ma utilizzi delle normali ricette;
non però perché gli elementi non possano essere spiegati anche da questi elementi costitutivi.
I concetti teorici delle scienze sociali e comportamentali possono essere valutati in relazione a quelli biologici,
ma possono essere anche ridefiniti e integrati con le teorie e i metodi delle neuroscienze.
Sebbene le ricerche che possono essere comprese nel filone delle neuroscienze hanno una storia molto
lunga, si inizia a parlare di neuroscienze sociali solo dal 1992 in un articolo per designare l’associazione delle
ricerche sugli animali e sull’uomo atte generare un approccio interdisciplinare volto alla comprensione dei
sistemi biologici che sottendono il comportamento e all’uso dei metodi e concetti biologici per sviluppare e
ridefinire le teorie sociali e comportamentiste.
Le ricerche riguardanti le neuroscienze sociali si sono sviluppate fortemente da quella data.
Alcune tra le più fiorenti aree di ricerca furono: gli studi di brain imaging sui bambini e adulti; i modelli animali
del comportamento sociale; studi su pazienti con traumi; imaging studies su pazienti psichiatrici; ricerche sulle
determinanti sociali dei processi periferici neuronali, dell’attività neuroendocrina e immunologica. Questi filoni
di ricerca sembrano scorrere su canali indipendenti.
Nel 2002 il National Institute of Mental Disorder (NIMH)pubblicò un Request for Applications (RFA)riguardante
“Exploratory/Developmental Grant in Social Neuroscience”. L’intento di questo RFA era di elucidare i
meccanismi del comportamento sociale. Un grosso numero di dati riguardanti animali e uomini furono trovate
e nell’estate del 2004 il progetto era completato. L’anno successivo il NIMH promose un laboratorio volto a
identificare alcuni ambiti promettenti di ricerca con una particolare enfasi nella comprensione dei disordini
mentali. La conclusione di questo laboratorio fu che sebbene in un campo vasto come quello delle
neuroscienze sociali è normale che si proceda per differenti traiettorie, una maggiore integrazione e
comunicazione tra le ricerche animali e su soggetti umani (sia su pazienti che su soggetti normali)è positiva.
Alcuni approcci di ricerca furono identificati come maggiormente promettenti nel creare uno sviluppo
interdisciplinare nell’analisi dei meccanismi biologici e del comportamento sociale. Nella sessione successiva
ognuno di questi ambiti è stato analizzato e descritto, facendo particolare attenzione alla presenza di
argomenti quali la diagnosi e il trattamento delle malattie psichiatriche.
Successivamente un breve riassunto del laboratorio del NIMH è stato presentato.
MODELLI ANIMALI
Un importante obiettivo delle ricerche di neuroscienze sociali è la comprensione delle basi genetiche e dei
meccanismi neurobiologici che sottostanno alla socievolezza umana. Queste scoperte possono essere usate
per sviluppare nuovi trattamenti per i disturbi psichiatrici associati a degenerazioni del comportamento sociale.
Sfortunatamente le ricerche sull’uomo sono molto limitate nel proseguire questo fine, a causa della difficoltà
nel dissecare le complesse interazioni tra geni, ambiente e circuiti neuronali, che strutturano il cervello sociale.
All’opposto i modelli animali sono particolarmente utili. Essi permettono infatti, di manipolare i sistemi
molecolari e neuronali che sottostanno ai normali processi sociali.
I neuro scienziati sociali che hanno utilizzato i modelli animali hanno portato la loro attenzione dapprima sui
meccanismi regolatori del comportamento riproduttivo, sul comportamento materno e su quello aggressivo.
Recente ci si è rivolti allo studio del riconoscimento sociale e dei legami sociali.
Le ricerche che evidenziano una regolazione neuroendocrina del comportamento sessuale comparvero negli
ultimi anni 60,successivamente si evidenziarono meccanismi più dettagliati nei quali sono implicati gli steroidi
prodotti dalle gonadi nella regolazione della sessualità.
Le ricerche sul comportamento materno nei ratti e nelle pecore iniziarono alla metà degli anni 60 . Questi
evidenziarono il ruolo degli ormoni della gravidanza e dell’allattamento (estrogeni, ossitocina, prolattina) nello
sviluppare i comportamenti materni di nutrimento e attaccamento.
In questi ultimi e in successivi studi si enfatizza l’importanza dell’esperienza nello sviluppo del comportamento
materno e di altri tratti comportamentali complessi.
Più recentemente siamo divenuti più consapevoli del valore dei modelli animali per comprendere i processi
implicati nei disordini del cervello sociale.
Nel campo del genoma si acuito l’interesse per il ruolo dei singoli geni nella regolazione dei processi
comportamentali. L’ingegneria genetica emerge come un importante strumento sperimentale utilizzabile per
evidenziare il contributo dei geni individuali nei processi sociali. Alcuni studi hanno apportato un importante
contributo alla nostra comprensione della regolazione dei comportamenti riproduttivi, genitoriali e aggressivi
così come alla comprensione dalla cognizione sociale in generale. Oltre alla loro rilevanza nell’analisi del
comportamento normale, alcuni studi sui topi possono essere utilizzati come modelli per la comprensione di
talune patologie psichiatriche caratterizzate da deficit nel comportamento sociale come l’autismo.
Kwon mostra come l’azione di PTEN, un gene tumore soppressore, sul sistema nervoso centrale
selettivo(corteccia cerebrale e l’ippocampo)comporti un’ipertrofia neuronale e un’alterazione del
comportamento sociale simile a quello evidenziato nell’autismo.
Studi con i topi riguardanti l’ossitocina evidenziano l’importanza di queste ricerche nel costruire modelli sui
processi neuronali, essenziali alle neuroscienze sociali. Un’alterazione dell’ossitocina nei topi li rende incapaci
di riconoscere altri topi che avevano precedentemente incontrato. Visto che i questi animali erano del tutto
normali in compiti non sociali quali quelli olfattivi o cognitivi, i ricercatori hanno concluso che l’ossitocina
assolvesse un ruolo specifico nel processa mento dei segnali sociali. Il deficit di riconoscimento si associa ad
un alterata responsività dell’amigdala durante le situazioni di incontro sociale. L’iniezione nell’amigdala di
ossitocina riporta il grado di risposta dei topi nella norma. Ciò prova che l’ossitocina promuove l’analisi degli
stimoli-indizi sociali utili al riconoscimento. Queste scoperte sono particolarmente rilevanti nell’analisi
dell’autismo il quale è caratterizzato da una degradata analisi degli stimoli visivi sociali e da un alterata
funzionalità dell’amigdala. L’implicazione dell’ossitocina è supportata dall’evidenza di un livello più basso di
questo neurotrasmettitore nel plasma dei bambini autistici rispetto a quello dei controlli.
Recenti studi associano le manifestazioni autistiche ad un particolare gene (MET). In ogni caso non possiamo
ricondurre solamente ad un singolo ormone, neurotrasmettitore o gene l’intera manifestazione di un disturbo.
Sebbene alcuni fattori possono giocare un ruolo significativo, come la serotonina nella depressione, per
comprendere a fondo un disturbo è essenziale una profonda conoscenza dei processi psicologici e dei
meccanismi sociali all’interno dei quali agiscono i diversi fattori.
Infatti altri studi sui livelli di ossitocina dei topi illustrano l’importanza di considerare il contesto sociale negli
studi sul comportamento. Rapporti iniziali suggeriscono che le femmine con livelli alterati di ossitocina
mostrano un comportamento materno normale. Questi test sono statti condotti con femmine isolate poste in
gabbie standard. Studi più recenti esaminano il comportamento in condizioni semi naturalistiche con un
complesso ambiente sociale e dimostrano che il 100% di femmine con livelli alterati di ossitocina manifestano
comportamenti infanticidi rispetto ad un 50% dei controlli.
L’influenza del contesto sul comportamento è successivamente esemplificato da analisi comportamentali
multisituate su alcune razze di topi. Anche se il livello comportamentale è analizzato usando delle procedure
standard per ognuna delle tre diverse collocazioni sperimentali, sono stati ottenuti in alcuni casi dei risultati
contradditori suggerendo che sia la collocazione che le caratteristiche sperimentali possono influenzare i
risultati.
Siccome l’espressione comportamentale nei disturbi clinici è dipendente dal contesto, considerare il contesto
sociale è cruciale quando si sviluppano modelli animali dei costrutti sociali umani.
Nessun modello su singole specie animali può comprendere la complessità della socievolezza umana o della
salute mentale. Però studi comparativi che utilizzano un ampio gruppo di specie possono essere utilizzati per
analizzare vari aspetti del comportamento umano.
I modelli del comportamento dei piccoli roditori possono essere particolarmente utili nell’illustrare la natura e la
diversità del comportamento sociale. Le specie della prateria sono altamente socievoli e formano lunghi e
durevoli legami sociali nella coppia (un comportamento non caratteristico nelle specie di laboratorio di ratti e
topi). All’opposto i roditori che vivono nelle montagne sono specie asociali e non formano legami.
Studi farmacologici hanno dimostrato che l’ossitocina neuropeptide e la vasopressina giocano un ruolo
fondamentale nello stabilire legami sociali fra i compagni. Studi comparativi e molecolari evidenziano
differenze nella espressione cerebrale dei recettori di questo peptide il quale può essere responsabile delle
differenze del comportamento tra le specie. Specificatamente i recettori per l’ossitocina e la vasopressina sono
concentrati nel nucleo Accumbens e in altre componenti del circuito dopaminergico mesolimbico nei roditori
della prateria, ma non in quelli monogami montani.
Lo studio dei geni recettori della vasopressina in queste specie suggerisce che l’alta produzione di “elementi”
nelle regioni promotrici del gene ha come risultato differenze nell’espressione genetica tra le specie.
Sfortunatamente gli umani sono geneticamente diversi. Però possiamo acquisire ulteriori conoscenze sui
meccanismi neuronali che sottostanno alle differenze comportamentali dentro alle specie analizzando specie
introdotte in laboratorio provenienti dall’ambiente naturale. Gli uccelli contano più di 9220 specie ed un vasto
range di strutture sociali, per questo ci permettono di sottolineare le differenze neuronali tra gruppi che
differiscono tra loro solo per un aspetto di comportamento sociale.
Un recente lavoro ha mostrato, per esempio, che i neuroni nella amigdala mediale rispondono in modo
differente agli stimoli sociali a seconda che gli uccelli vivano in colonie o meno.
Studi sui roditori hanno iniziato ad esaminare le differenze individuali nel comportamento sociale.
Ad esempio variazioni nell’espressione dei recettori della vasopressina comportano differenze individuali nel
comportamento sociale. Anche nell’uomo nelle alterazioni dei geni recettori della vasopressina e nel
polimorfismo possiamo ritrovare collegamenti con l’autismo. Nonostante lo incremento di questi modelli
animali che evidenziano i meccanismi neurobiologici sottostanti i processi sociali, sussistono delle limitazioni.
L’evoluzione del cervello dei primati ha indubbiamente spostato il contributo dalle regioni subcorticali alle
regioni corticali nella regolazione del comportamento sociale.
Inoltre i modelli animali sono criticati per la comprensione globalistica del cervello sociale. Per esempio studi
lesionali sui piccoli di macaco rhesus che evidenziavano deficit alla amigdala raccolgono importanti
informazioni sul ruolo della stessa e dello sviluppo dei comportamenti sociali.
Altri studi hanno esaminato gli effetti di precoci esperienze sociali sulla neurochimica cerebrale e le relazioni
sociali adulte nei primati. Questi studi hanno rilevato che le scimmie maschio che sperimentano una
deprivazione sociale precoce hanno concentrazioni più basse di ossitocina nel fluido cerebro spinale rispetto
ai controlli¸ scoperta molto interessante alla luce degli studi sui roditori. I modelli dei primati hanno anche
contribuito ad una definizione ancora primitiva dei circuiti neuronali del cervello sociale. Si evidenziano regioni
responsive alle facce a alle espressioni facciali; più recentemente altre regini implicate nelle funzioni sociali
hanno ricevuto validazioni sperimentali negli studi sui primati non umani.
Queste ricerche enfatizzano il valore dell’uso di modelli animali nei quali si hanno regioni cerebrali e
comportamenti sociali simili a quelli umani.
Innovative tecniche permettono di evidenziare sottili e complesse motivazioni ed intenzioni sociali.
Sebbene i modelli animali possono aumentare la nostra comprensione del funzionamento normale del cervello
umano e della psicopatologia del comportamento sociale, alcune istanze possono essere avanzate.
- In primis la selezione non può agire sul singolo gene né sull’intero genoma, ma su gruppi di geni legati
funzionalmente che formano dei networks e che rispondono come unità. Singoli geni, neurotrasmettitori,
regioni cerebrali non funzionano isolatamente. Invece queste funzioni sono espresse attraverso l’interazione di
sistemi composti da più circuiti neuronali che producono il comportamento manifesto. Per questo disegni
sperimentali che investigano sistemi molecolari multipli a differenti livelli di analisi sono necessari per
massimizzare la nostra comprensione dei meccanismi neuronali sottostanti i processi sociali.
- In secondo luogo un modello animale singolo non può riflettere tutto il connotato comportamentale di una
patologia psichiatrica. Inoltre le misure comportamentali utilizzate nelle ricerche sugli animali e sull’uomo non
sono comparabili. Il DSM-IV utilizzato per classificare i disordini psichiatrici umani non può investigare i
correlati neurobiologici del comportamento dei modelli animali.
Inoltre le componenti comportamentali dei disturbi spesso vengono quantificati ed enfatizzati; Questo
approccio vorrebbe facilitare lo sviluppo di modelli animali rilevanti in questi disturbi. Piuttosto che modellare
l’analisi dei disturbi sul DSM-IV i modelli animali possono avere maggiore efficacia riferendosi a particolari
componenti comportamentali dei disordini stessi.
Aumentare la comunicazione tra la pratica clinica e le ricerche sugli animali è necessario per sviluppare
modelli animali ottimali e facilitare la trasposizione.
- Ulteriormente gli effetti dei neuro peptidi e di altri elementi neuro-chimici richiedono un funzionale sistema
nervoso centrale autonomo. Gli stati fisici e le reazioni del corpo ( incluso il sistema nervoso centrale )
possono influenzare la prontezza dell’individuo ad impegnarsi in comportamenti sociali e a regolare la
reattività negli scambi fisici e sociali.
Sono essenziali per il futuro sviluppo di questo campo metodi dinamici e non invasivi per sistemare la
fisiologia e il comportamento in condizioni di stimoli sociali ed interazioni normali.
- In ultimo i geni non si esprimono isolatamente, e i comportamenti sociali hanno valenza all’interno della
società stessa. Entrambi sussistono in una relazione dinamica con l’ambiente, tanto che i geni e l’individuo
trovano sé stessi, e nel quale vengono stabiliti i tempi i pattern e le condizioni di espressione. Questo è un
importante punto riconosciuto dai biologi comportamentali e molecolari come quanto segue: “assumere
insieme le relazioni reciproche dei geni, dell’organismo e dell’ambiente nelle quali questi tre elementi sono sia
causa che effetto”. Di qui, quando consideriamo la complessità del comportamento lo interpretiamo come un
processo cumulativo o come il risultato dell’esperienza vissuta fino a quel momento e simultaneamente come
il precursore di quello che verrà dopo.
Il principio delle ricerche traspositive implica che queste nei modelli animali pre - clinici possano portare ad
analoghi studi negli uomini. Comunque, l’applicazione delle scoperte originate dai modelli animali su quelle
umane è spesso impedito dalla mancanza di strumenti sperimentali necessari a ritrovare i sistemi neuronali
rilevanti negli uomini, così come alla scarsità di comunicazioni tra i neuro scienziati sociali umani ed animali.
Per esempio esiste un’estensiva ricerca sull’organismo animale che implica l’ossitocina e la vasopressina
nella modulazione dei vari aspetti del comportamento sociale, ma c’è una scarsità di studi che esaminano
questi stessi sistemi nell’uomo.
Ci sono comunicaizoni tra i recenti studi che mostrano un aumento dell’ossitocina intranasale nell’effetto
tampone del supporto sociale alla risposta stressogena. Lo sviluppo della PET esamina la densità dei recettori
dell’ossitocina e della vasopressina nel cervello umano, questa densità è di grande aiuto nel determinare se
questi sistemi sono sregolati nei disordini psichiatrici.
Un complementare approccio all’investigazione dei contributi sociali e neuronali al comportamento sociale può
essere ottenuto concentrandosi sulle traiettorie di sviluppo e sulla dipendenza fra processi sociali e biologici
tra umani e non umani. Ora ci concentriamo su questo.
DEVELOPMENTAL APPROCHES
I processi epigenetici e ontogenetici, l’apprendimento e forme differenti di esperienza cognitiva ed affettiva che
avvengono durante la vita contribuiscono alle differenze individuali. IL comportamento individuale è influenzato
dalle esperienze che si accumulano durante la vita. Le forme precoci di esperienza modificano la risposta alle
successive esperienze, così come queste ultime agiscono sulle prime. Difficoltà nella regolazione emotiva o
nella reazione agli stressor può essere associata con atipiche esperienze precoci. C’è accordo riguardo alle
negative conseguenze di deprivazione ed abusi, ma non tutti gli individui che hanno subito deprivazioni o
abusi mostrano outcomes negativi. Le prime esperienze possono inoltre incrementare la vulnerabilità a talune
psicopatologie o a disturbi mentali inclusi ansietà depressione schizofrenia ed autismo.
Spiegazioni del substrato neuronale del comportamento sociale sono gradualmente emerse dagli studi sui
bambini e sugli animali con atipiche precoci esperienze. Come atteso dagli studi le cause neuro biologiche e le
conseguenze di precoci avverse esperienze (soprattutto nei modelli animali) suggeriscono che i meccanismi
neuro chimici, incluso ossitocina, arginina, vasopressina, corticotropina o i loro recettori, possano avere ampie
conseguenze per lo sviluppo fisico e comportamentale. In un recente studio un bambino cresciuto in
orfanatrofio e presumibilmente ignorato per il primo hanno di vita è stato comparato con un bambino cresciuto
dai suoi genitori. Anche dopo circa tre anni di vita con una famiglia adottiva il primo mostrava livelli bassi di
ossitocina e di vasopressina. Questa stessa carenza è stata osservata nelle scimmie deprivate della madre.
Questi stessi peptidi giocano un ruolo nella regolazione dell’asse adreno pituitario ipotalamico (HPA) e
possono influenzare direttamente o indirettamente il comportamento sociale e l’emotività. L’ossitocina in
particolare può abbassare il livello dell’HPA. L’ossitocina può inoltre regolare il sistema nervoso autonomo con
potenziali conseguenze benefiche sul comportamento e l’emozione umana; ad esempio aumenta la capacità
degli individui di dimostrare fiducia.
Inoltre sistemi legati all’ossitocina giocano un ruolo in ampi sistemi neuronali capaci di mediare l’effetto
protettivo di relazioni sociali positive e di elaborare il supporto sociale. Di particolare importanza per le
neuroscienze sociali sono i meccanismi responsabili delle differenze tra individui o specie nel comportamento.
Le differenze genetiche ed i processi epigenetici possono alterare la conseguente soglia della socievolezza,
dell’emotività e dell’aggressività. I fattori epigenetici giocano un fondamentale ruolo nell’indirizzare lo sviluppo
individuale. Le ricerche animali hanno rilevato che le esperienze sociali sono importanti nello sviluppo
dell’individualità probabilmente programmando il sistema nervoso. In ultimo alcuni degli effetti delle esperienze
precoci possono essere riversati nel tempo di vita successivo. In questo modo gli effetti epigenetici possono
superare generazioni ma è importante ricordare che solo quando gli effetti sono incorporati nella vita
embrionale potranno persistere senza la loro re-esposizione per le successive generazioni.
In vista di future ricerche trasposizionali è interessante notare che trattamenti con peptidi esogeni nell’infanzia
può invertire deficit comportamentali e psicologici.
Lo sviluppo può essere deficitario se associato con stressor parentali includenti: denutrizione, trattamenti
farmacologici, antagonisti dell’ossitocina che bloccano i rispettivi recettori. Qutesto deficit può essere ridotto da
un successivo trattamento con l’ossitocina. La conoscenza di questi aspetti riguardanti la funzione di questo
neurotrasmettitore ha una rilevanza terapeutica data dalla associazione tra uno sviluppo difficoltoso e alcune
forme successive di psicopatologia.
Molte delle conseguenze di esperienze precoci (soprattutto sociali) differiscono tra maschi e femmine. E’ stato
assunto primariamente che le differenze sessuali fossero genetiche o legate alla regolazione genetica degli
ormoni delle gonadi. Nonostante questo gli studi sui modelli animali hanno dimostrato l’importanza
dell’esperienza sociale nella successiva espressione di differenze tra i sessi. Per esempio nei roditori della
prateria una precoce manipolazione dell’ossitocina comportava effetti durevoli di dimorfismo sessuale sia sul
comportamento sociale che sui recettori della vasopressina. Nelle femmine di ratto i recettori dell’ossitocina
sono sopra-regolati dal legame materno e dalle cure parentali, mentre nei maschi gli effetti della stimolazione
materna si evidenziano maggiormente nei cambiamenti della vasopressina. Questi dati supportano l’ipotesi
generale per la quale nelle femmine, l’ossitocina è un componente centrale coinvolto nella mediazione degli
effetti a lungo termine delle esperienze precoci mentre, nei machi è la vasopressina che acquista rilevanza. Le
differenze sessuali nella vasopressina appaiono soprattutto nella amigdala e nel setto laterale. Le proiezioni
dalle aree dismorfiche sessuali possono influenzare molte funzioni, e la conoscenza di questi sistemi può
portare ad una più profonda comprensione delle differenze sessuali nelle reazioni allo stress o in altri
cambiamenti emotivi. Gli ormoni dell’HPA regolano i comportamenti sociali sia nell’adulto che durante lo
sviluppo. Gli ormoni adrenergici, e specificatamente l’adenocorticoide, sono sensibili alle esperienze sociali e
gli ormoni dell’HPA possono direttamente modulare la formazione di legami fra pari. Inoltre vi sono prove nei
ratti che i recettori CRF mostrano una modificazione a lungo termine dovute alle esperienze precoci
includendo quelle associate ai legami materni e alle cure parentali.
Gli ormoni dell’HPA hanno conseguenze sullo sviluppo di comportamenti sociali e riproduttivi, attraverso
l’interazione con gli steroidi delle gonadi ed i neuropeptidi modulano l’espressione e le caratteristiche del
comportamento sociale come di quello riproduttivo. L’implicazione delle esperienze precoci e degli ormoni
dell’HPA nello sviluppo del sistema nervoso centrale è particolarmente importante nel modellamento delle
differenze sia tra specie che tra individui nella socialità. Le ricerche che esaminano i meccanismi neuronali,
attraverso le quali queste esperienze influenzano i comportamenti e il cervello, è un’area fertile delle
neuroscienze sociali.
Concludendo la comprensione dei meccanismi attraverso i quali lo sviluppo influisce sul comportamento
umano è la prova maggiore per le neuroscienze sociali per il 21° secolo.
La conoscenza delle conseguenze neuronali delle esperienze precoci è importante per trattare ed
eventualmente prevenire diverse forme di patologie. Successive ricerche che legano le differenze individuali
nei neuropeptidi alle diverse esperienze e comportamenti, sia nei soggetti normali che nei bambini a rischio,
sono necessarie. Mentre l’importanza di indirizzare le diverse questioni nello sviluppo delle neuroscienze
sociali è chiaro; allo stesso tempo esiste un altrettanto evidente bisogno di comprendere e trattare questi
individui evidenziando la traiettoria di sviluppo che li ha portati al disturbo e/o al deficit nel comportamento
sociale.
Nella prossima sessione ci interessiamo della ricerca di neuroimaging nell’adulto.
SOCIAL NEUROSCIENCE
(PARTE II)
Neuroimmagine e processi sociali
Come evidenziato precedentemente, il comportamento sociale umano è
determinato in modo complesso, con determinanti contestuali e culturali che
emergono nel comportamento normale. Un’importante implicazione di questo è
che l’espressione di un comportamento sociale specifico potrebbe essere poco
esplicativa circa le specifiche condizioni o cause scatenanti. L’attenzione a livello
di semplice comportamento riflesso, inoltre, può non essere sufficiente per
comprendere come il cervello generi comportamenti complessi o le manifestazioni
cliniche della psicopatologia. Questo è emerso già nel caso di Phineas Gage, la cui
corteccia orbitofrontale e ventromediale venne danneggiata in un incidente nel
1848. Sebbene questi si fosse ripreso e avesse cercato di tornare al lavoro, veniva
descritto come “Non-più-Gage”, nonostante non si abbia una precisa descrizione
del suo comportamento (Damasio, 1994). Da questo caso si evince l’importanza di
delineare le componenti del comportamento sociale – un complesso sforzo che
possa condurre alla comprensione di normalità e disordine dei comportamenti
sociali, della loro relazione con le psicopatologie, delle basi neurali di ogni
componente dei processi comportamentali, e di specifiche diatesi dei disordini
mentali.
L’attuale comprensione delle basi neurali del comportamento sociale umano è
ancora abbastanza limitata. Questo è imputabile non tanto alla mancanza
d’interesse nei confronti dello studio del cervello sociale, quanto alla limitatezza
dei metodi fino ad ora disponibili per la sua investigazione. Tale andamento è
cambiato drasticamente nel corso delle ultime due decadi, quando i ricercatori
hanno adottato i metodi delle neuroscienze cognitive, in particolare della
neuroimmagine funzionale al fine di studiare la cognizione sociale ed il
comportamento sociale.
Lo sviluppo e la comprensione delle basi neurali del comportamento sociale può
trarre beneficio dal processo a due vie come quello seguito dalla ricerca orientata
ai deficit cognitivi nell’ambito dei disturbi clinici.
In questo campo, le ricerche di base delle neuroscienze cognitive hanno
inizialmente stabilito modelli della working memory e delle abilità ad essa relative
che sono stati poi applicati alle disfunzioni cognitive nell’ambito dei disturbi
clinici, tra cui la schizofrenia. Le neuroscienze sociali possono seguire lo stesso
iter a due vie:
Anzitutto, la ricerca di base può essere usata per stabilire modelli normativi
dei meccanismi che supportano il funzionamento sociale in individui sani.
Secondo, questi tipi di modelli possono fornire basi concettuali e
metodologiche per spiegare come il comportamento sociale viene meno in alcuni
disturbi clinici.
La brain imaging può giocare un ruolo importante nello sviluppo di modelli grazie
al fatto che può supportare lo studio delle abilità sociali, includendo processi con
fini più evoluti che sono invece difficili da studiare negli animali.
 Da un lato, la ricerca sugli animali è stata abbandonata a fronte di modelli
sulle basi molecolari e subcorticali di forme semplici di apprendimento
affettivo, affiliazione e legami.
 Dall’altro lato il comportamento sociale umano include vari processi che
possono non essere completamente compresi dai modelli di
condizionamento alla paura dei roditori, di legami tra pari, e affini.
Da parte degli studi di brain imaging, il tempo è maturo per basarsi sulle
evidenze dei modelli animali. Gli attuali studi sull’essere umano stanno
esplorando, per esempio, i meccanismi cerebrali che permettono alle persone di
usare processi cognitivi superiori per accedere alla conoscenza su loro stessi,
delineando inferenze circa le credenze e i sentimenti degli altri, regolando le
disposizioni e le emozioni e perseguendo gli obiettivi a lungo termine.
Una più completa comprensione del comportamento sociale umano necessita di
livelli di analisi multipli – dai contesti individuali, familiari e sociali, che
incoraggiano le persone a inibire o attivare determinati comportamenti, pensieri,
o emozioni, ai livelli genetici, molecolari e sistemici.
Come discusso da Sarter, Berntson e Cacioppo, integrare le ricerche sugli animali,
sulle lesioni e sulla stimolazione diretta con la neuroimmagine può fornire
un’evidenza convergente rispetto ai legami tra la funzione psicologica e le attività
mentali che la implementano.
Il comportamento sociale può venire classificato in ampie sottocategorie che
includono:
1- Autopercezione;
2- Autoregolazione;
3- Percezione interpersonale;
4- Processi di gruppo.
Cosa si sa attualmente a proposito di queste categorie, a livelli multipli di analisi,
e sulle loro implicazioni nella psicopatologia?
Percezione del sé
I concetti di sé sono fondamentali per la salute ed il benessere. Alle persone piace
avere concetti di sé coerenti in domini consequenziali, quali salute e salute
mentale. La psicoterapia richiede sforzo e scegliere di partecipare attivamente ad
essa facilita il cambiamento terapeutico attraverso la riduzione della dissonanza
cognitiva. Le persone hanno spesso illusioni positive rispetto a se stessi che
mantengono la loro salute mentale, e il loro sistema immunitario permette e
mantiene la loro guarigione dagli eventi negativi della vita. Il concetto di sé guida
l’auto-espressione nella scrittura terapeutica che può avere effetti misurabili sulla
salute mentale. Il lavoro sul filo del rasoio nell’ambito del sé sociale include
migliori misurazioni guidate dalla teoria e sensibilità verso le questioni culturali e
identitarie che potrebbero essere importanti per l’accettabilità di interventi
terapeutici in una società sempre più multiculturale.
L’Autopercezione ha implicazioni importanti in specifiche psicopatologie. Alcuni
disordini quali la schizofrenia includono disturbi nella percezione del sé o della
propria gestione.
Allo stesso modo, disturbi nel processamento di informazioni rilevanti per il sé si
evidenziano nella depressione. È infatti centrale per svariate teorie sulla
depressione l’idea che le persone processino l’informazione riferita al sé attraverso
un filtro negativo.
In linea con questo punto di vista, una comprensione migliore dei ruoli specifici
delle regioni cerebrali coinvolte nella rappresentazione mentale del sé potrebbe
aiutare nello sviluppo di migliori strategie di riabilitazione cognitiva per il
trattamento di svariati disturbi psicologici, compresa la depressione, la
schizofrenia e i disturbi di personalità.
Una maggiore attenzione, tornando al caso di Phineas Cage, è stata riservata al
ruolo della corteccia prefrontale. Numerosi studi hanno messo in luce
un’attivazione nelle regioni prefrontali durante compiti che richiedono ai soggetti
di riflettere su se stessi o su altri. Questa è l’unica area del cervello che riceve
afferenze in tutte le modalità sensoriali ed è un’area in cui gli input provenienti
da regioni interne si congiungono con informazioni ricevute dal mondo esterno.
Per queste ragioni, la corteccia prefrontale è stata etichettata come “capo
esecutivo”, responsabile delle reazioni soggettive al mondo esterno che permette
un’efficiente navigazione nell’ambiente sociale.
Grazie alla loro interconnessione con il resto del cervello, un danno ai lobi frontali
ha conseguenze estese, ed è probabile che i deficit del lobo frontale siano coinvolti
in un ampio spettro di condizioni psicopatologiche, specialmente in termini di
impoverimento nelle abilità sociali che accompagna i disordini mentali.
Gli studi di imaging hanno documentato un ruolo ineguagliabile della corteccia
prefrontale mediale nel processamento sul sé. Il valore di questa ricerca è
supportato da Moran, Macrae, Heatherton, Wyland e Kelley i quali hanno trovato
che diversi circuiti neurali in regioni adiacenti la corteccia prefrontale supportano
aspetti cognitivi ed emozionali della riflessione sul sé. Nella ricerca, sebbene la
corteccia prefrontale mediale abbia scaricato solo di fronte a materiale
autodescrittivo, l’impatto emotivo del materiale stesso è stato individuato in una
regione adiacente la corteccia cingolata ventrale anteriore (ACC).
Fondamentalmente la ricerca indica che questa regione è ipometabolica nella
depressione unipolare. Inoltre, il decremento del metabolismo in questa regione
può essere accompagnato da una corrispondente perdita del volume corticale, che
suggerisce che alcuni dei deficit associati alla depressione maggiore possano
essere attribuibili ad una perdita di funzionalità e volume nelle regioni ventrali
dell’ ACC.
Il significato funzionale di questa scoperta è riconfermato dall’attivazione
differenziale di questa regione a fronte della percezione di espressioni facciali
emotive mostrate a depressi e a soggetti di controllo. In uno studio
particolarmente valido, Mayberg e colleghi hanno dimostrato che la stimolazione
cerebrale profonda in questa regione era efficace nell’alleviare la depressione in
pazienti resistenti al trattamento. La comprensione del ruolo dell’ACC ventrale e
delle parti adiacenti la corteccia prefrontale mediale nel processamento del sé e
delle emozioni contribuisce allo sviluppo di trattamenti efficaci per la depressione
e potenzialmente per altri disturbi mentali.
Regolazione del sé
Una capacità umana fondamentale nelle società civilizzate è l’abilità di regolare e
controllare pensieri e comportamenti. La regolazione del sé è vista qui come un
controllo superiore (esecutivo) di processi di ordine inferiore, responsabile della
programmazione e dell’esecuzione del comportamento. La regolazione del sé non
si riferisce solo ai processi esecutivi come la working memory, l’attenzione, la
memoria, la scelta, e il decision making, ma anche il controllo delle emozioni (che
include questioni emotive, di controllo e di motivazione).
Sebbene gli uomini abbiano la capacità di differire la gratificazione, controllare gli
appetiti e gli impulsi e perseverare al fine di raggiungere l’obiettivo, i fallimenti
nella regolazione del sé (abuso di droghe, violenza domestica, disordini alimentari)
sono fra i più importanti e perplimenti problemi cui la società deve fare fronte. La
regolazione del sé è importante per l’accettazione e l’aderenza di tutte le varietà di
trattamento per la salute mentale. Allo stesso modo, comprendere la natura della
regolazione del sé, i suoi progressi e fallimenti, può condurre a considerevoli
consapevolezze sui disordini mentali e sui relativi trattamenti.
I recenti sviluppi delle neuroscienze cognitive hanno aumentato la conoscenza dei
meccanismi neurali della regolazione del sé individuando tre circuiti prefrontali
primari che sono coinvolti in funzioni esecutive:
La corteccia ventromediale/orbitofrontale;
La corteccia prefrontale dorso-laterale;
L’ACC.
Per esempio, la ricerca ha coinvolto l’ACC nel monitoraggio di decisioni e nella
presa di decisione, introducendo la selezione di una risposta mai vista prima e
appropriata tra varie alternative; monitoraggio della performance; monitoraggio
dell’azione; indagine o processamento dei conflitti nella risposta; indagine o
processamento d’errore; predizione di errori; valutazione ricompensa/punizione e
percezione di dolore fisico e sociale. Tutto ciò è importante per l’autoregolazione
del comportamento. Gli studi sui primati hanno fornito evidenze convergenti circa
il ruolo della corteccia frontale nel controllo cognitivo.
Asimmetrie nella regolazione del sé e nell’inibizione dello stesso sono rilevanti per
un’ampia gamma di disordini mentali quali il disturbo ossessivo compulsivo
(OCD), la sindrome di Tourette, l’autismo, la schizofrenia, e il disordine da deficit
attentivo. Non ci sorprende, quindi, che disfunzioni dell’ACC siano state associate
con molti disordini di salute mentale – specialmente OCD e schizofrenia, disordini
che esemplificano problemi con il controllo inibitorio. In relazione all’OCD si
discute sul fatto che il processo di comparazione dello stato attuale delle cose
rispetto alle aspettative di raggiungimento dell’obiettivo sia alterato.
Altri problemi associati con il danneggiamento dell’ACC includono mutismo,
diminuzione dello stato di coscienza, neglect motorio, depressione, instabilità
emotiva, apatia, perdita di regolazione della funzione autonoma e gravi
compromissioni del comportamento sociale. Tutte cose che indicano la funzione
vitale dell’ACC nella regolazione del sé.
Il lavoro di imaging è cominciato per identificare i meccanismi neurali
sottolineando l’inibizione interna o il controllo cognitivo di pensieri e
comportamenti. L’incapacità di controllare pensieri indesiderati è un problema
centrale per i disturbi dell’umore, l’OCD e la schizofrenia. In uno studio recente,
ai soggetti è stato richiesto di sopprimere un particolare pensiero, regolare tutti i
pensieri o pensare liberamente a ciò che si voleva. I risultati hanno mostrato che
la soppressione di un particolare pensiero portava ad un’attivazione maggiore
dell’ACC, in contrasto con la condizione di libero pensiero. La soppressione di tutti
i pensieri era associata ad un’attivazione bilaterale maggiore nell’insula e nella
corteccia infero-parietale destra se comparata con la condizione di libero
pensiero. Anderson e colleghi hanno trovato che bloccare ricordi indesiderati è
associato all’attivazione della corteccia prefrontale dorso-laterale. Capire come le
persone cercano di controllare pensieri non desiderati e come questi sforzi
falliscano può indicare l’eziologia di alcuni disordini e alcuni approcci di
trattamento.
Nella società contemporanea, gli stimoli sociali sono gli elicitatori più comuni di
risposte emozionali. L’autoregolazione delle emozioni in contesti sociali, quindi, è
importante per un buon funzionamento sociale. Degno di nota in questo campo è
che l’abilità di autoregolare emozioni negative è compromessa in più della metà
dei disordini di asse I del DSM-IV (per esempio la depressione) e nella maggior
parte dei disturbi di personalità dell’asse II (disturbo borderline). Le difficoltà
legate alla regolazione delle emozioni influenzano inoltre gli esiti di disturbi fisici,
come i disturbi cardiovascolari. Un recente lavoro ha esaminato una forma
cognitiva di controllo delle emozioni nota come “Reappraisal” (Rivalutazione) che
prevede il reinterpretare il significato di eventi emozionali con termini non
emozionali. La rivalutazione di stimoli avversivi attiva il lobo prefrontale laterale e
le regioni della corteccia cingolata anteriore implicate nel controllo cognitivo, e
disattiva strutture come l’amigdala che sono state implicate nel generare le
risposte emozionali. Queste scoperte possono essere particolarmente rilevanti per
disturbi come la depressione, il PTSD (DPTS) e la fobia sociale, che hanno
mostrato un’aumentata attività dell’amigdala sia a riposo che in risposta a indizi
(cues) emotivi. Nel reappraisal differenti regioni dell’area prefrontale mediale
possono giocare ruoli particolari. Le regioni dorsali implicate nel pensiero relativo
agli altri sono coinvolte quando gli individui diventano più ansiosi concentrandosi
sugli aspetti negativi di immagini avversive. Di contro, le regioni ventrali implicate
nella valutazione della rilevanza affettiva degli eventi sono attivate quando gli
individui focalizzano l’attenzione sulla rilevanza per il sé (self-relevance) di queste
immagini. Queste scoperte possono avere implicazioni per substrati neurali
distinti per ansia e depressione, le quali sono state collegate rispettivamente ad
un’incrementata attività nella corteccia prefrontale dorso-mediale e ad una ridotta
attività nella corteccia cingolata. Prove potenzialmente utili per la
caratterizzazione dei substrati neurali di questi disordini (che includono
similitudini e differenze che sottolineano l’autoregolazione delle emozioni elicitate
dagli uomini, da stimoli animati ma non umani (tsunami) e stimoli non sociali)
fanno da garanzia alla ricerca.
Percezione interpersonale e processi di gruppo
Le relazioni sociali sono basilari per la salute e il benessere delle persone. Studi
epidemiologici hanno messo in luce che deficit nelle relazioni sociali sono un
fattore di rischio per mortalità e morbilità generale, con un effetto sul lungo
periodo pari a quello del fumo di sigarette. Mentre siamo empaticamente
connessi con un amico che ha perso un amore o sta provando a valutare l’onestà
di un potenziale dipendente, per le relazioni sociali, siano esse semplici o
complesse, è necessaria l’abilità di comprendere le intenzioni, le credenze e i
sentimenti di altre persone.
Recenti studi di neuroimmagine hanno rivelato che diversi sistemi cerebrali sono
importanti per la percezione delle persone e suggeriscono processi comuni che
fanno da base alla percezione delle persone, all’ansia sociale, al PTSD e
all’autismo.
Specifiche aree cerebrali sono state implicate nel decifrare indizi non verbali che
segnalano stati emotivi ed intenzioni comportamentali. È stato scoperto che le
caratteristiche fisiche di un indizio non verbale ed il suo valore affettivo e sociale
sono processati da strutture diverse. Per esempio, la detezione delle facce ha
mostrato di dipendere dall’integrità di una regione della corteccia temporale
inferiore conosciuta come area fusiforme delle facce. La detezione delle emozioni
veicolate da un volto, invece, dipende da altre strutture che possono decodificare
specifiche emozioni: l’amigdala è particolarmente sensibile alle espressioni di
paura, anche quando queste siano presentate così rapidamente da non essere
percepite consapevolmente, e l’insula anteriore è particolarmente sensibile alle
espressioni di disgusto.
La scoperta che strutture neurali diverse processano l’identità dei volti e
l’espressione dei volti ha iniziato a dare delle indicazioni per la ricerca clinica. Per
esempio, gli studi di neuroimmagine della percezione di volti nella popolazione
clinica ha ora mostrato che i bambini affetti da autismo falliscono nel mostrare la
normale attivazione dell’area fusiforme delle facce; che i socio-fobici presentano
un’altissima attivazione dell’amigdala a fronte di volti neutri; che gli individui con
PTSD mostrano un’elevata attivazione dell’amigdala in risposta alla presentazione
subliminale di volti spaventati; e che i depressi mostrano un effetto simile che
viene risolto da un efficace trattamento farmacologico.
Ma anche un altro gruppo di strutture è coinvolto nell’attribuzione di stati
mentali e intenzioni alle altre persone. Una rete di regioni centrate nella corteccia
prefrontale mediale e adiacenti l’ACC sono state individuate come critiche per
questa abilità. Per esempio, è stata trovata attivazione prefrontale mediale
quando gli individui formano impressioni di altri o immaginano cosa pensano o
sentono. Queste scoperte possono avere importanti implicazioni per comprendere
la percezione alterata della persona in una molteplicità di disturbi mentali,
compresa la tendenza a malpercepire le intenzioni degli altri nel disturbo
borderline di personalità e nell’ansia sociale e l’incapacità di comprendere le
intenzioni degli altri nell’autismo. In modo davvero interessante, gli studi ora
suggeriscono che alcune regioni prefrontali mediali coinvolte nella percezione
degli altri siano anche coinvolte nell’accesso alla conoscenza circa i tratti e gli
stati emotivi di sé, suggerendo qualche sovrapposizione nelle regioni coinvolte nel
giudicare se stessi e gli altri. Questa scoperta ha influenze dirette sulla
schizofrenia, che abitualmente implica confusione circa le credenze ed i
sentimenti propri con quelli delle altre persone. Più precisamente, gli schizofrenici
mostrano un minor numero di interneuroni inibitori nelle regioni cingolate
implicate nella percezione della persona.
Ad un livello rudimentale, la capacità di differenziare stimoli ostili da stimoli
positivi e di rispondere ad essi in modo appropriato è fondamentale per la
sopravvivenza; tutti gli animali hanno riflessi semplici per categorizzare e
approcciarsi o scappare da certe classi di stimoli e per comunicare con gli altri.
Una caratteristica degli umani è l’intento per cui la discriminazione valutativa
degli stimoli è formata dalla conoscenza, dalla cognizione e dai processi di
valutazione. Una gerarchia di discriminazioni valutative, che spazia dalle risposte
riflesse e dalle valutazioni automatiche alle valutazioni sul sé, ci aiuta
costantemente nel negoziare i nostri processi sociali. Questa gerarchia forma le
basi per le attitudini e le preferenze umane e può essere in parte modificata dagli
scambi sociali. Recenti dati di neuroimmagine forniscono indicazioni sui
complessi meccanismi neurali che supportano questi processi interattivi
valutativi e indicano deficit specifici nel decision making.
Lo stigma della malattia fisica e mentale opera ad un livello di gruppo o collettivo
di analisi. A causa dello stigma, le persone possono evitare di comprendere i loro
sintomi, negare la diagnosi, non aderire al trattamento o non terminare la
terapia, e questi comportamenti possono accelerare il peggioramento. La ricerca
ha ampiamente documentato lo stigma delle caratteristiche di un certo gruppo,
includendo la malattia fisica e mentale.
L’effetto congiunto della ricerca di psicologia sociale e di neuroscienze è illustrato
in uno studio che mostra che le immagini di senzatetto e tossicodipendenti non
attivano le regioni neurali prefrontali mediali tipicamente implicate nel processo
d’informazione sociale. Questi dati suggeriscono che determinate caratteristiche,
come la malattia mentale, possono causare osservatori che a volte sottostimano
gli aspetti sociali delle vittime che hanno davanti. La deumanizzazione ha un
apporto critico per il personale dei trattamenti, il pubblico che osserva e le
famiglie che circondano i soggetti con malattia mentale.
La capacità di comprendere, interagire ed entrare in contatto con gli altri è
essenziale per il benessere fisico e mentale. È una capacità così essenziale che le
incapacità sociali hanno gravi conseguenze per gli individui e per la società. Data
l’importanza critica della funzione sociale adattiva, è fondamentale che la ricerca
in neuroscienze sociali individui rilevanti meccanismi psicologici e neurali. La
ricerca di imaging promette di fornire delucidazioni sulle operazioni neurali che
supportano la salute nelle funzioni sociali e le disfunzioni sociali che
caratterizzano vari disturbi cognitivi, dell’umore e di personalità.
Riassumendo, nello scorso decennio, lo sviluppo dei metodi di neuroimmagine ha
offerto una nuova e più potente estensione di un vecchio approccio per
comprendere i meccanismi che sottostanno al comportamento. Quello che
abbiamo imparato circa le proprietà funzionali delle differenti parti del cervello
può guidare la comprensione di altri processi psicologici. Naturalmente è
importante notare che i dati di neuroimmagine sono solo correlazionali con il
comportamento e non necessariamente in rapporto causale. C’è un complicato
mappaggio one-to-one tra l’attività nelle regioni neurali e le funzioni psicologiche
(una regione è associata a molte funzioni e una funzione è distribuita su più
regioni), ma sono varie le evidenze nei pattern di attività individuati nei diversi
studi che suggeriscono che le reti distribuite possono essere associate con i
processi psicologici.
Inoltre, è possibile intervenire nel processamento neurale di specifiche regioni del
cervello, al fine di testare ipotesi causali circa le funzioni e la loro localizzazione.
Ogni intervento ha il suo gruppo di cavie [Testo originale “caveas”] e le assunzioni
localizazioniste circa la specificità di ogni intervento sono aperte a nuove
interpretazioni. Comunque, per decenni il modello lesionale è stato usato per
studiare gli effetti della localizzazione nelle regioni cerebrali dei processi
comportamentali e psicologici. Oggi è possibile interrompere o alterare il processo
neurale in aree specifiche in cervelli di animale utilizzando ritrovati e tecniche
genetiche, elettrofisiologiche e neurochimiche per poi valutare i risultati. Negli
umani, l’interruzione temporanea dell’attività neurale utilizzando la stimolazione
magnetica transcraniale offre uno strumento simile in grado di condurre a test
addizionali su ipotesi causali. Infine, la ricerca che si avvale della neuroimmagine
solleva nuove questioni e offre significati nuovi circa test vecchi.
Differenze individuali e psicopatologia
Nella pubblicazione di un seminario, Benton Underwood discute di come le
differenze individuali conducano ad una opportunità unica di studiare un’ampia
gamma di teorie psicologiche. Underwood sostiene che normalmente le differenze
individuali rivelano la struttura della funzione psicologica e di fatto possono
condurre a insight più forti rispetto a metodi convenzionali basati sui gruppi.
Kosslyn et al. hanno esteso e modificato gli argomenti di Underwood per mostrare
che i ponti tra psicologia e biologia sono più facili da gettare se le differenze
individuali sono considerate nella cornice della caratterizzazione generale della
popolazione totale:
“Sebbene tutti i membri della stessa specie
condividano gli stessi meccanismi fondamentali,
i sistemi biologici sono notoriamente ridondanti e complessi,
e questo porta a molti differenti modi di pervenire allo stesso obiettivo.
Quindi, le persone o altri animali possono differire
non solo rispetto all’efficacia di specifici meccanismi
ma anche nella frequenza secondo la quale i particolari meccanismi
sono messi in funzione
(che a turno rendono più salienti di altri).
Se alcuni tendono a confidare in una “strategia”,
per esempio la combinazione dei processi,
altri si affidano abitualmente a strategie alternative.
I dati di uscita da entrambi i gruppi possono essere
nel migliore dei casi non informativi, nel peggiore dei casi addirittura depistanti.
Dati sui gruppi ottenuti appropriatamente
possono fornire un buon punto di partenza
ma le differenze individuali devono essere rispettate
se l’intento dei ricercatori è quello di capire
la natura dei meccanismi alternativi.”
I meccanismi della cognizione sociale ed i comportamenti possono essere
investigati a vari livelli di analisi spaziando dal molecolare al sociale.
L’investigazione attraverso più livelli di analisi può beneficiare dell’attenzione
posta sia sui dati provenienti dall’osservazione dei gruppi, sia su quelli
provenienti dall’osservazione individuale. Gli studi hanno ripetutamente
dimostrato che l’ambiente più prossimo esercita una potente influenza su tutti i
tipi di comportamento sociale e che questa influenza è fortemente sottostimata da
attori e osservatori. Quando i comportamenti sociali di una persona sono
influenzati da forze situazionali, come spesso accade nel caso di individui con
serie patologie, queste differenze individuali possono emergere dal gruppo e
attirare disapprovazioni. Ad ogni modo, le differenze individuali nel
comportamento sociale a volte sono state trattate sperimentalmente come un
rumore che dev’essere minimizzato. Lo studio delle differenze individuali o la
variabilità osservata attorno alle tendenze centrali può essere un complemento
importante alla luce dei processi sociali normali nelle ricerche sui meccanismi
neurali.
Fobia, depressione, schizofrenia, autismo, psicopatia e PTSD sono tra le molte
psicopatologie caratterizzate da risposte emozionali abnormi ad una situazione
ambientale. Studi sulla popolazione non patologica hanno inoltre evidenziato che
un singolo stimolo può elicitare un’ampia gamma di risposte diverse tra gli
individui. Davidson e coll. hanno dimostrato che quando i partecipanti ricevono
stimoli che provocano un riflesso negativo di evitamento, come la paura, ed il
disgusto, la regione prefrontale destra del cervello si attiva più della sinistra,
come misurato dall’elettroencefalogramma. Di contro, quando i partecipanti
ricevono stimoli che evocano sensazioni positive, le regioni prefrontali sinistre
sono maggiormente attivate. Davidson e coll. hanno valutato che le differenze
individuali nell’attivazione di base nella regione prefrontale sinistra o destra
riflettono predilezioni per la loro attivazione e quindi possono mediare gli effetti
degli stimoli ambientali. Tomarken, Davidson, Wheeler e Doss hanno trovato
un’adeguata consistenza interna, affidabilità e stabilità test-retest per le
misurazioni effettuate con l’EEG relative all’asimmetria dell’attivazione prefrontale
in un largo numero di partecipanti, confermando la sua utilità nella valutazione
delle differenze individuali.
Davidson e coll. hanno ipotizzato che, se la regione prefrontale sinistra media le
emozioni di approccio e quella destra media le emozioni di evitamento, allora i
partecipanti con una base-line di attivazione più alta nella regione destra
dovrebbero riportare sentimenti disposizionali peggiori nelle misurazione tramite
test carta-e-matita. I dati hanno supportato tale predizione.
La ricerca sull’asimmetria dell’EEG nell’attivazione della regione prefrontale ha
rivelato associazioni con il temperamento infantile, con automisurazioni di affetti
e personalità, con risposte infantili alla separazione materna, timidezza e ansia
sociale, status socio-economico e livello basale di cortisolo nelle scimmie.
È stato scoperto che le differenze individuali nell’attivazione frontale hanno
importanti implicazioni nel comportamento sociale. I bambini che dimostrano
competenza sociale mostrano una maggiore attivazione frontale sinistra mentre
quelli che manifestano evitamento sociale presentano una maggiore attivazione
frontale destra. Una maggiore attivazione frontale destra può interagire con lo
stile di comportamento sociale implicando un comportamento non adattivo.
Inoltre, l’asimmetria frontale destra può interagire con altri indicatori di
temperamento, come il genere, implicando comportamenti sociali non adattivi nei
bambini.
Dato il ruolo delle differenze individuali nella maggiore attivazione dell’attività
frontale destra nelle sensazioni negative e nei comportamenti sociali disadattivi,
questa regione è divenuta un punto focale per gli studi sulla depressione clinica.
È importante notare che l’asimmetria frontale non sembra essere correlata alla
depressione del singolo momento situazionale. La diminuita attività della regione
frontale sinistra rispetto alla destra sembra essere collegata ad una durevole
vulnerabilità verso la depressione poiché questa asimmetria è evidenziata in
coloro che sono guariti da questo disturbo e nelle insorgenze a rischio così come
sono state misurate nei bambini con madri con una storia di depressione.
Le attivazioni dell’amigdala di fronte ad espressioni di paura dipendono dal fatto
che un individuo concepisca l’espressione come paurosa o portatrice di altre
emozioni come la sorpresa. Quando un’espressione paurosa viene vista come
espressione di sorpresa, le attivazioni dell’amigdala decrescono e aumenta invece
l’attivazione del cingolo subgenuale. Queste scoperte possono avere importanti
implicazioni nella comprensione di percezioni sociali ed emozionali anormali in
disordini come la depressione che mostra anormalità strutturali e un
ipometabolismo dell’ACC associato ad un ipometabolismo dell’amigdala. I lavori
futuri si ripropongono di mettere in relazione i disturbi clinici con disfunzioni in
altre regioni del cervello, quali il solco temporale superiore, che codificano altri
indizi non verbali socialmente rilevanti come le movenze biologiche, la direzione
dello sguardo e le immagini corporee.
Le recenti ricerche di neuroimmagine hanno esaminato come i circuiti neurali che
processano le emozioni facciali siano collegati alla suscettibilità genetica per la
depressione attraverso un legame con la serotonina. La serotonina è stata
implicata nella depressione grazie alla sua efficacia nella ricaptazione di farmaci
inibitori. È stato scoperto che il gene della variazione serotoninergica modera
l’influenza dello stress nella depressione. Gli individui che hanno un tipo di allele
delle regioni che promuovono la serotonina hanno un maggior rischio depressivo
quando esposti a stressori.
Per sintetizzare tutto questo, le investigazioni dei meccanismi neurali soggiacenti
il comportamento sociale complesso e la psicopatologia possono venire beneficiate
dall’attenzione posta sulle differenze individuali. Infatti, come detto prima,
molteplici psicopatologie possono essere definite in termini di sostanziali
differenze dalla norma nei gradi di attivazione di uno specifico meccanismo
neurale.
Probabilmente in accordo anche con la comprensione della malattia mentale nelle
sue varie forme, verrà senza dubbio richiesta un’integrazione delle informazioni
da livelli multipli di ricerche scientifiche: da livelli sociali e comportamentali a
livelli genetici e molecolari. Conseguire queste integrazioni non si configura in
modo semplice, sia perché le tecniche adeguate a tutti i livelli sono state
sviluppate solo di recente, sia perché la comunicazione tra ricercatori e clinici non
è mai stata sufficiente. Ad ogni modo, l’ottimismo che tale integrazione d’intenti
potrebbe attualmente comportare (con il risultato che non solo ci vengono fornite
informazioni sulle modalità fondamentali circa le funzioni cerebrali ma emergono
anche benefici per i pazienti) è nutrito da molteplici recenti sviluppi.
Gli endofenotipi, componenti misurabili invisibili ad occhio nudo, lungo la via che
congiunge geni e malattia, sono emersi come un nodo importante nello studio di
disturbi psichiatrici gravi. In aggiunta, attente analisi sul comportamento sociale
hanno individuato processi di componenti individuali molto specifiche e
comportamenti che possono assolvere il medesimo ruolo nello studio di disturbi
come gli endofenotipi. Tali componenti comportamentali sono state definite
“endofenotipi comportamentali” e anch’essi rendono possibile portare i metodi
delle neuroscienze (genetica, neuroimmagine) a supportare dati stati alterati.
Più nello specifico, gli endofenotipi comportamentali possono essere importanti
perché le incapacità sociali ed i disturbi affettivi sono aspetti caratteristici di tutti
i disturbi psichiatrici. Da un punto di vista diagnostico, una disfunzione sociale è
sia una caratteristica fondamentale del disturbo (ad esempio autismo, fobia
sociale, schizofrenia, qualsiasi disturbo di personalità) sia un segno clinico in
grado di fornire il punto di partenza di una diagnosi. I modelli nel delineare
l’eziologia e il corso dei disordini coinvolgono frequentemente i processi sociali.
Per esempio, i processi interpersonali hanno ruoli teorici di rilievo, non solo in
modelli riferiti allo sviluppo della depressione, ma anche relativi all’abuso di
sostanze in adolescenza e al disturbo borderline di personalità. Le difficoltà
interpersonali giocano anche un ruolo prognostico significativo; indicatori di
attitudini ostili o critiche all’interno delle famiglie sono stati messi in luce come
predittori significativi in relazione ad una molteplicità di disturbi che includono la
schizofrenia, la depressione, il disturbo bipolare e i disordini alimentari. C’è un
certo numero di aree in merito alle quali studi neurologici su pazienti hanno
contribuito alla comprensione della psicopatologia.
Nella parte rimanente di questa sezione, ritorniamo alla discussione sulla
depressione e descriviamo brevemente il disturbo antisociale di personalità come
esempio di come l’integrazione delle neuroscienze con gli studi sul
comportamento sociale abbia incrementato la nostra comprensione di questi
disturbi.
Depressione
Le teorie relative alla depressione vedono implicati processi interpersonali come
pure sistemi neurali implicati nelle emozioni come brevemente discusso nella
sezione precedente. Individui affetti da depressione, come pure quelli a rischio di
depressione, mostrano un profilo di deficit sociale e sembrano generare essi stessi
relazioni sociali cariche di stress. Lo sviluppo delle teorie relative alle emozioni e il
loro studio sistematico sugli animali e su umani hanno fornito sofisticate
prospettive nella concettualizzazione e nello studio di come i sistemi neurali
possano essere implicati nei deficit sociali e affettivi osservati nei disturbi
dell’umore.
Drevets e coll hanno studiato pazienti con disturbi familiari di depressione (pura)
usando la tomografia ad emissione di positroni. Hanno così dimostrato
anormalità nella circolazione e nel metabolismo del cervello nelle aree 24 e 25 di
Brodmann nella parte subgenuale della corteccia mediale prefrontale, un’area
implicata nel processamento di informazioni sociali e relative al sé. In aggiunta a
queste scoperte, attraverso misurazione in risonanza magnetica essi hanno
evidenziato che quest’area del cervello si presentava più piccola nei pazienti
rispetto ai controlli. Una scoperta importante alla luce del ruolo dei processi
interpersonali sullo sviluppo della depressione.
A causa dell’alta ereditarietà dei sintomi depressivi nei bambini e negli
adolescenti, l’interesse si è spostato sul ruolo dei fattori genetici nel determinare i
cambiamenti nella corteccia prefrontale subgenuale. In uno dei più mirati studi
che prevedono il coinvolgimento di imaging e genetica, è stato dimostrato che i
soggetti con l’allele breve 5HT di un polimorfismo promotorio funzionale del gene
di trasporto della serotonina presentano un decremento del volume sia
dell’amigdala, sia della corteccia prefrontale subgenuale e mostrano una
disconnessione funzionale del circuito corteccia prefrontale subgenuale-amigdala.
I soggetti con questo allele sono noti per avere un incremento d’ansia legato ai
tratti del temperamento, un’aumentata reattività dell’amigdala e un elevato
rischio di depressione. Non si sa invece se l’elevato rischio depressivo sia
secondario o no rispetto agli effetti di questi fattori genetici sui processi sociali e
sui comportamenti.
Comportamento antisociale e psicopatia
Il disturbo antisociale di personalità coinvolge una gamma di aberrazioni sociali
che includono l’indifferenza e la violazione dei diritti degli altri. Il collegato (ma
meglio definito) concetto di psicopatia si concentra sulle caratteristiche sociali
(tendenza a mentire, comportamento superficiale, irresponsabilità nelle relazioni)
e sulle caratteristiche affettive (mancanza di rimorso o pudore, incapacità di
amare e emotività superficiale) come aspetti chiave della sindrome. I deficit nella
reattività avversiva e nella paura sono ipoteticamente collegati ai deficit
sopraindicati relativi alla psicopatia. La minore risposta a cue di possibile pericolo
o punizione è pensata come indicatore del fallimento nell’imparare da risposte
punitive, le manifestazioni di disinteresse per la sofferenza altrui, la mancanza di
rimorso, e l’attenzione sulle ricompense immediate che caratterizzano la
psicopatia.
In accordo con questo modello, una MRI funzionale ha mostrato che il circuito
limbico-prefrontale (che coinvolge l’amigdala, la corteccia orbitofrontale, l’insula
anteriore e l’ACC) risultava attivato durante il condizionamento alla paura
(usando diapositive di facce neutre) in individui normali, mentre non lo era in
soggetti affetti da psicopatia. In accordo con questo punto di vista, i dati
psicofisiologici indicano che la psicopatia è collegata ad un deficit nelle risposte
autonomiche anticipatorie degli eventi di possibile pericolo e un’attivazione inibita
a fronte di stimoli emotivi negativi. È stato pensato che le disabilità funzionali
prefrontali siano in relazione a deficit comportamentali affettivi osservati in
psicopatie, così come studi strutturali hanno indicato che il disturbo antisociale
di personalità è associato con una riduzione del volume della sostanza grigia
prefrontale e che questa carenza nella sostanza grigia è connessa a deficit
elettrodermici [di conduttanza della pelle]. Queste scoperte cominciano a
condurre ad una comprensione del contributo neurale al comportamento sociale
e ai deficit comportamentali osservati nella psicopatia.
Le scoperte del workshop NIMH
Nel luglio 2005, è stato indetto un workshop del NIMH per esaminare il campo
delle neuroscienze sociali e per valutare come la missione strategica dell’istituto
nelle scienze di base e cliniche possa trarre beneficio dagli avanzamenti in questo
campo. Le sessioni del workshop si sono concentrate in maniera intensa su
questioni relative a quattro aree tematiche:
Opportunità attuali: quali sono le maggiori opportunità per un
avanzamento scientifico in questo campo? Cosa dovrebbe essere fatto per
capitalizzare queste opportunità? Qual è il lasso di tempo necessario per
ottenere benefici/scoperte significative (ad un livello di scienze di base) da
queste nuove scoperte?
Limitazioni al progresso: quali sono gli impedimenti più significativi al
progresso scientifico in questo campo? Cosa può essere fatto per mitigare
queste limitazioni? Quanto tempo ci vorrà per superarle?
Livelli di analisi: come possiamo fare connessioni efficaci tra i diversi livelli
di analisi in questo campo? Cosa costituisce la ricerca interdisciplinare per le
neuroscienze sociali? Quali vantaggi possono derivare da un simile approccio?
Implicazioni cliniche: quali problemi clinici possono essere giudicati come
in grado di trarre beneficio più direttamente dalle nuove ricerche di base nelle
neuroscienze sociali e comportamentali? Cosa deve necessariamente accadere
perché questo si verifichi? Qual è un lasso di tempo ragionevole per poter
osservare benefici clinici derivanti dalla ricerca di base in quest’area?
Dal workshop nel suo insieme è emerso un numero di osservazioni e
suggerimenti basati non solo sui report di gruppo, ma anche sui commenti e le
interazioni che hanno preso piede nelle sessioni plenarie:
1. È di importanza critica comprendere gli stati di base del sistema nervoso,
visto che sono di fondamentale importanza per la generazione di
comportamenti complessi.
2. Quando si studiano sistemi complessi le proprietà emergenti devono essere
valutate con cautela. Le dinamiche d’interazione sociale sono un primo
esempio.
3. Il contesto sociale è un modulatore chiave e anche un determinante del
comportamento complesso. Questo rende davvero importante il prendere in
considerazione gli effetti dell’ambiente sperimentale, specialmente gli effetti
dell’ambiente dello scanning MRI, quando si tenta di fare delle inferenze
circa le basi neurali del comportamento sociale complesso.
4. La ricerca di base è non traducibile per definizione, e fortemente rilevante
nella missione dell’NIMH. La ricerca di base dovrebbe operare al servizio
della missione dell’NIMH.
5. Molti disturbi psichiatrici hanno un corso temporale di sviluppo diverso.
Questo indica l’importanza delle questioni di sviluppo nelle neuroscienze
sociali.
6. L’identificazione e lo studio degli endofenotipi continuerà ad essere
importante per la comprensione dei disturbi psichiatrici. Questi sono
diagnosticati e classificati attraverso l’osservazione e l’analisi del
comportamento, incluso il comportamento sociale. Gli approcci delle
neuroscienze sociali possono essere importanti per comprendere i disturbi
psichiatrici attraverso il collegamento tra meccanismi sociali e psicologici e
meccanismi neurali.
Conclusioni
La mente umana può essere descritta come la proprietà emergente e dinamica di
un arsenale di diversi elementi: biologici, psicologici e sociali. In infanzia, la
traiettoria di crescita e gli stadi critici di sviluppo hanno particolare importanza
per quel che emerge. In un secondo tempo, il deterioramento di elementi
individuali, come le strutture anatomiche, le operazioni cognitive e le relazioni
interpersonali, può portare ad una rapida visione su come queste componenti
contribuiscono alla globalità. In uno sfortunato piccolo numero di soggetti, gli
incidenti e le malattie che compromettono le strutture ed i processi fisici,
psicologici e sociali forniscono informazioni convergenti sui contributi degli
specifici elementi. Negli umani, la capacità d’istituire legami sociali è illimitata. I
meccanismi che soggiacciono ai legami sociali sono atavici e basati su circuiti
neurali e processi endocrini radicati nell’evoluzione dei mammiferi. I meccanismi
della socialità sono meglio compresi nel contesto delle loro funzioni adattive e
delle loro origini evolutive, di sviluppo e sociali.
Comprendere il cervello e la mente umana, quando sono in salute come quando
non lo sono, richiede l’intervento di più discipline distinte con passaggi tra
prospettive scientifiche e livelli di analisi. Il campo emergente delle neuroscienze
sociali costituisce un approccio. Mentre avanza la comprensione del cervello
sociale, questa conoscenza può supportare la comprensione di meccanismi a
causa dei quali i fattori ed i deficit sociali operano come cause e conseguenze
della psicopatologia. Questa prospettiva assume mutue influenze attraverso
fattori biologici e sociali nel determinare il comportamento. Al contempo, ciò
significa che la conoscenza relativa al funzionamento umano sarà negata finché
non si lavorerà su più livelli.
Le analisi multilivello della psicopatologia richiedono una gamma di competenza
che non è simile a quella trovata nelle investigazioni effettuate da singoli
ricercatori. A tal riguardo possiamo distinguere approcci multidisciplinari da
approcci interdisciplinari. Mentre la ricerca multidisciplinare è caratterizzata
un’aggregazione di competenze, quella interdisciplinare è definita da sinergie tra
esperti che possono trasformare sia la scienza che gli scienziati. La ricerca
interdisciplinare è più rischiosa di quella multidisciplinare perché è un lavoro di
gruppo e non la semplice somma di prodotti individuali. Allo stesso tempo, i team
di lavoro interdisciplinari vanno maggiormente incontro a fallimenti. Ma con
questo rischio più alto hanno anche la possibilità di avere un migliore risultato.
Quando il team interdisciplinare ha successo, il lavoro ha la potenzialità di
produrre significative innovazioni scientifiche, produrre progressi nella soluzione
di problemi che venivano considerati come privi di soluzione e influenzare più
discipline.
Le neuroscienze sociali rappresentano tale approccio interdisciplinare allo studio
della salute e della malattia mentali. Il progresso a cui si punta è promettente, ma
questo progresso deve ancora essere realizzato. Il lavoro attorno a questo obiettivo
può beneficiare di più interazioni tra ricercatori la cui attenzione è posta sui
modelli animali, su pazienti lesionati, sulla neuroimmagine in pazienti e soggetti
normali e sui meccanismi neurali periferici. Ci sono almeno due aree della
psicopatologia che possono fornire informazioni a breve termine alla ricerca in
neuroscienze sociali: l’affidamento riponibile nei self report e la struttura e
diagnosi della psicopatologia.
Il fare affidamento su misurazioni auto riportate di sintomi psicologici è
problematico in quanto:
(a) gli stessi sintomi possono sorgere per differenti disturbi psicologici;
(b) i report si sintomi potrebbero subire un bias dovuto al contesto sociale (es
omettere dei contenuti per desiderabilità sociale, riportare più contenuti per
ottenere rinforzi secondari);
(c) le persone potrebbero non avere accesso mentale ad importanti aspetti del
loro disturbo. La disforia e lo stress percepito, per esempio, non sono
misure né sensibili, né specifiche dei disturbi psicologici.
La natura del disturbo può anche influenzare la capacità individuale di riportare
le proprie emozioni o il funzionamento sociale. Per esempio è chiaro che
all’interno dei disturbi di personalità i self report di tendenze disposizionali
differiscono dai report paralleli di pari o membri della famiglia. Queste ed altre
scoperte sottolineano l’importanza di considerare le valutazioni attraverso diversi
domini di risposta e da vari informatori al fine di ottenere un’accurata prospettiva
di alcuni aspetti del funzionamento emotivo e sociale della psicopatologia.
La ricerca su psicopatologia specifiche è limitata anche dall’incerta validità delle
diagnosi. Da una varietà di fonti emergono domande relative a questa validità
inclusa l’eterogeneità fenotipica osservata tra gli individui che condividono la
stessa diagnosi e la frequente co-occorrenza di diversi disturbi all’interno di
diversi individui – il problema della comorbidità. Il tentativo di identificare fattori
comuni all’interno di tale (o di identificare fattori caratteristici di un particolare
disturbo quando i disturbi frequentemente co-occorrono con altre diagnosi) è
arduo.
Sono disponibili varie strategie di gestione di questo problema diagnostico.
1. Gli psicopatologi hanno raccomandato l’adozione di un approccio basato
sul sintomo che si fondi sulla presenza di un sintomo specifico per
comprendere meglio i meccanismi che sottostanno al disturbo. Infatti,
invece di esaminare la diagnosi globale di schizofrenia si dovrebbe
focalizzare l’attenzione sui correlati di anedonia o disfunzione sociale
all’interno del disturbo. Questo assicura la presenza della caratteristica
che viene studiata e permette il paragone di gruppi di pazienti con la
stessa diagnosi ma senza il sintomo (permettendo il controllo di tale
variabile distraente come l’esposizione al trattamento).
2. Una seconda strategia collegata è esaminare ampie sfaccettature
differenziabili del disturbo. Questo approccio è stato usato con successo
nello studio della psicofisiologia e dei processi emotivi correlati del
“emotivo-interpersonale” vs “devianza sociale”
caratteristici della
psicopatia. I sintomi o i segni possono essere usati come correlati
dimensionali all’interno delle diagnosi o possono essere usati per creare
suddivisioni categoriali o sottotipi all’interno dei disturbi. Le
sottotipologie sono state impiegate in una molteplicità di disturbi
inclusa la schizofrenia e la psicopatia.
3. Infine ad un più ampio livello di analisi, guardando trasversalmente le
diagnosi, i modelli della struttura latente della psicopatologia
suggeriscono che lo studio dell’insieme dei processi psicopatologici
sottostante diverse diagnosi può essere un approccio più informativo
rispetto il prestare l’attenzione alle manifestazioni diagnostiche
individuali di questo insieme di processi. Secondo la logica per cui la
psicopatologia è riflesso della patologia cerebrale, la ricerca neurologica
potrebbe rendere possibile caratterizzare psicopatologie specifiche in
termini di operazioni strutturali e funzionali del cervello in specifici
contesti sociali.
La mappatura genetica delle varie specie (compresa quella umana) ha migliorato
le tecniche che spaziano dalla biologia molecolare all’elettrofisiologia di livello dei
sistemi e i continui miglioramenti nelle potenzialità dell’immagine funzionale non
invasiva hanno aumentato fortemente la fiducia che possiamo riporre in questo
metodo di ricerca. Siamo intenzionati a spianare un nuovo terreno nelle scienze
del comportamento sociale e ad applicare la conoscenza fin qua ottenuta nella
comprensione, diagnosi e trattamento dei disturbi mentali. Crediamo che le
neuroscienze sociali possano essere un fulcro per realizzare queste scoperte. La
promessa di questo campo è chiara, ora è necessario capitalizzare su di essa.