Il viaggio breve. Beneduce dal socialismo al fascismo

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Il viaggio breve.
Beneduce dal socialismo al fascismo
di
NICOLA
DE IANNI
Un recente lavoro sul primo Beneduce1 offre l’occasione per alcune riflessioni sull’anima riformista del socialismo nel difficile momento di transizione al
fascismo e pone a verifica le possibilità di generalizzare un percorso individuale definibile come eccezionale anche e soprattutto nelle sue accezioni terminologiche. Alcuni anni fa, in largo anticipo2 rispetto alle strade anguste della strumentalizzazione ideologica che la storiografia italiana stava battendo con passi
sicuri3 ed in sostanziale antiteticità con la letteratura corrente, Franco Bonelli
descrisse in modo compiuto ed essenziale i termini di quel rapporto di collaborazione soprattutto come personale col capo del governo4. La spinta veniva a
Beneduce dalla convinzione di poter, nonostante e grazie alle trasformazioni
politiche in atto, incidere comunque sugli assetti del sistema finanziario italiano, promuovendovi quelle trasformazioni strutturali frutto di una elaborazione
1
SERENA POTITO, Il primo Beneduce. 1912-1922, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2004.
Limitandoci prevalentemente ai contributi storico-economici, si veda come essi abbiano
inzio solo nel 1974. Per una cronologia dettagliata si rinvia alla nota 14 di Franco Bonelli, Alberto Beneduce (1877-1944), in ALBERTO MORTARA (a cura di), I protagonisti dell’intervento pubblico
in Italia, Ciriec, Franco Angeli editore, Milano, 1984, pp. 344-345.
3
Basterà qui citare a contrario la manifesta ostilità diffusamente accordata alla monumentale biografia defeliciana i cui primi quattro volumi apparvero rispettivamente nel 1965, 1966, 1968
e 1974. RENZO DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario: 1883-1920, Torino, Einaudi, 1965; ID.,
Mussolini il fascista. I. La conquista del potere: 1921-1925; Torino, Einaudi, 1966; ID., II. L’organizzazione dello Stato fascista: 1925-1929, Einaudi, Torino, 1968; Mussolini il Duce. I Gli anni del
consenso: 1929-1936, Einaudi, Torino, 1974.
4
Bonelli pubblicò una prima versione della voce biografica di Alberto Beneduce nel volume
VIII del Dizionario biografico degli italiani (Roma, Istituto per la enciclopedia italiana, 1966).
Pervenne successivamente ad una edizione ampliata su “Economia pubblica” (Milano, Ciriec,
1974, n. 3) ed infine alla edizione aggiornata in ALBERTO MORTARA (a cura di), I protagonisti dell’intervento pubblico in Italia, cit., pp. 329-356.
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originaria proveniente da tutt’altri ambiti. La percorribilità di quella strada trovava una giustificazione dichiarata nell’idea patriottica di servire il Paese secondo la migliore tradizione dell’alta dirigenza statale, solitamente incline a concepire la politica come una sovrastruttura di passaggio. Nel novembre del 1983,
nella giornata di studio svoltasi a Caserta per la celebrazione del 50° anniversario dell’istituzione dell’Iri, fu Piero Melograni a tornare sull’argomento5 adottando per la scelta di Beneduce la categoria già precedentemente individuata di
mussolinismo in alternativa a quella di fascismo6. Beneduce, dunque, sarebbe
stato mussoliniano anziché fascista.
Serena Potito si è proposta di studiare il primo Beneduce, quello prevalentemente politico, risalendo alle origini della sua formazione: dalle esperienze
burocratiche al ministero di Agricoltura industria e commercio, alla carriera
universitaria di statistico; dalla collaborazione con Nitti e Stringher all’Ina,
all’attività di parlamentare come socialista riformista con Bissolati; dall’esperienza di ministro del Lavoro nel governo Bonomi nel 1921-22 alla presidenza
di Crediop, dell’Opera nazionale combattenti e dell’Istituto di credito per le
opere di pubblica utilità.
In via preliminare è forse opportuno chiedersi se la periodizzazione indicata sia quella più giusta. La stessa Potito, nella prefazione, afferma che l’anno
cruciale da considerare come spartiacque del percorso biografico di Beneduce
sia il 1925, soprattutto perché “indicò una precisa svolta nel suo atteggiamento
verso la politica, che condizionò anche tutta la sua vita pubblica e le sue scelte
lavorative”7. Meglio avrebbe fatto quindi, l’autrice, a continuare l’analisi fino a
quell’anno. Si sarebbe resa conto, probabilmente, che lo spartiacque è retrodatabile all’anno precedente, al momento dell’ambiguo rifiuto di candidarsi alle
elezioni politiche del 1924. Beneduce scrisse una lettera al giornale socialista
«La Giustizia», pubblicata il 26 febbraio, affermando che non vi erano più le
condizioni per una normale e proficua azione politica. Tale posizione fu interpretata dai suoi amici come un’ulteriore conferma del degrado del contesto
democratico nazionale e quindi come una forte critica dell’azione del governo
di coalizione presieduto da Mussolini. La stessa posizione fu, viceversa, valutata in sede governativa come un’importante presa d’atto del mutato rapporto di
forze esistente per il quale già in quella data, e dunque ben prima della que-
5
PIERO MELOGRANI, L’adesione di Beneduce al regime mussoliniano, in IRI, Alberto Beneduce e i problemi dell’economia italiana del suo tempo. Atti della giornata di studio per la celebrazione del 50° anniversario dell’istituzione dell’Iri, Caserta, 11 novembre 1983, Edindustria, Roma, 1985, pp. 175-178.
6
PIERO MELOGRANI, Gli industriali e Mussolini: rapporti tra Confindustria e fascismo dal
1919 al 1929, Longanesi, Milano, 1972.
7
SERENA POTITO, Il primo Beneduce, cit., p. 16.
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stione Matteotti che sarebbe scoppiata nel mese di giugno, Beneduce prendeva
le distanze dagli amici delle opposizioni. Il riferimento che Potito fa a presunte
posizioni antigovernative di Beneduce, nel periodo aventiniano, è la conferma
di una ricorrente confusione, a suo tempo già denunciata da Bonelli, con il quasi omonimo Giuseppe Beneduce, eletto nel listone, mentre come abbiamo visto
Alberto Beneduce non si candidò8. In questo caso l’errore è dei redattori einaudiani del carteggio Turati-Kuliscioff che attribuiscono ad Alberto le posizioni di
Giuseppe9. D’altra parte, e Potito lo fa opportunamente osservare10, Nitti già
nel settembre del 1922 si era lamentato con Beneduce per la sua adesione alla
Lega italiana per la tutela degli interessi nazionali, in compagnia di “caratteristici guerrafondai”. Beneduce si era difeso, con non poco imbarazzo, negando
di aver dato adesione scritta, affermando la natura apolitica dell’associazione e
convenendo sull’opportunità di chiarire la sua posizione. Ma soprattutto introdusse quel distinguo, non irrilevante, fra finalità politica e finalità economica
che avrebbe tenuto aperta la strada ad una sua collaborazione economica col
governo, purché non caratterizzata da un esplicito pronunciamento politico. Il
1924 è dunque, per Beneduce, l’anno della costituzione dell’ Icipu (20 maggio,
un mese e mezzo dopo le elezioni politiche!), della ripresa di attività del Crediop, dell’ingresso nel consiglio della società Strade Ferrate Meridionali (Bastogi). Tutte iniziative che scaturiscono da un rapporto sempre più stretto col direttore generale della Banca d’Italia, Bonaldo Stringher, il quale con lui, prima
di lui, stava percorrendo un’analoga strada di avvicinamento al governo ed a
Mussolini.
In questa luce, gli interessanti riferimenti di corrispondenza del 1924, del
1925 e del 1933 con gli amici Giuseppe Fusco ed Adolfo Tino, che Potito riporta nelle sue conclusioni, offrono spunti importanti per una interpretazione
più ampia delle posizioni di Beneduce in merito alla scelta collaborazionista
con il regime. Essa non può limitarsi, come è stato fatto dalla maggioranza della
storiografia italiana11, ad interessare la saldatura con le posizioni nittiane: dovrebbe piuttosto riguardare anche un’analisi delle responsabilità di chi ha mes8
FRANCO BONELLI, Alberto Beneduce (1877-1944), in ALBERTO MORTARA (a cura di), I protagonisti dell’intervento pubblico in Italia, cit., p. 330, nota 2.
9
FILIPPO TURATI, ANNA KULISCIOFF, Carteggio. VI Il delitto Matteotti e l’Aventino (19231925), Giulio Einaudi Editore, Torino, 1959, pp. 295 n., 309 n., 339 n., 417.
10
SERENA POTITO, Il primo Beneduce, cit., p. 144, nota 3.
11
Si vedano, ad esempio, i contributi al convegno veneziano dell’aprile 1977, poi raccolti in
volume col titolo GIANNI TONIOLO (a cura di), Industria e banca nella grande crisi 1929-34, Etas
libri, Milano, 1978; quelli al convegno salernitano del giugno 1978, poi raccolti in volume col
titolo Mario Porzio (a cura di) La legge bancaria. Note e documenti sulla sua “storia segreta”, Il
Mulino, Bologna, 1981 ed infine quelli della già citata giornata Beneduce del novembre 1983 a
Caserta.
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so straordinarie capacità tecniche al servizio di un regime antidemocratico,
imperialista e razzista. In nome di che viene da chiedersi? “Chi si attarda a rimirare il passato pensa alla storia ed è antistorico”, scrive Beneduce nel febbraio
1933 poche settimane dopo che è stato meso a capo dell’Iri “Ogni Nazione –
aggiunge – vive la sua storia giorno per giorno, e coloro che sono fuori dall’azione sono fuori dalla realtà e dalla vita del loro Paese. La lotta nel mondo è
aspra e micidiale. È tradimento l’appartarsi”12. Come si può chiaramente dedurre, qui il problema è, con arroganza, ribaltato. È traditore Nitti, costretto violentemente all’esilio negli stessi mesi in cui Beneduce comincia riservatamente
la sua collaborazione col regime. È traditore Croce, isolato nella sua oasi napoletana di libertà. Sono traditori tutti gli antifascisti costretti a lasciare il Paese
per l’impossibilità di esprimere la propria opinione. Sono traditori tutti coloro
che, lottando contro il fascismo, ricevono condanne di anni dal Tribunale speciale o sono inviati al confino per lunghi periodi di “villeggiatura”. Un’utile
chiave di lettura – e con un personaggio come Beneduce quasi s’impone! –
sono invece le logiche di gestione del potere come esercizio di responsabilità e,
contemporaneamente, misura di realizzazione personale. Gli archivi dell’Italia
contemporanea, incluso quello personale di Beneduce, sono pieni di riferimenti che confermano lo spessore del nodo in questione. Due rapidissimi esempi
potranno bastare a dare un’idea. Il primo è riferibile alle tracce consistenti di
soddisfazione che Beneduce partecipa ai suoi familiari, vivendole con essi – si
badi, dal 1923! – ad ogni passo che consolida il suo successo personale nell’Italia fascista di Mussolini13. Il secondo è costituito dalla crescente critica che l’azione di Beneduce incontra dalla seconda meta degli anni Venti e per tutti gli
anni Trenta non solo, come è comprensibile, negli ambienti del Partito nazionale fascista, ma anche fra taluni suoi amici ed interlocutori come per esempio
Oscar Sinigaglia, Camillo Ara, Guido Jung14.
Ma conviene tornare al primo Beneduce ed alle origini del suo rapporto
con Nitti. In questo senso, quando approfondisce la questione, Potito perde
12
SERENA POTITO, Il primo Beneduce, cit., p. 176.
ARCHIVIO STORICO BANCA D’ITALIA, Relazione al Fondo N. 1- Beneduce, a cura di Angelo
Battilocchi. Si veda a pagina 8 l’indicazione della corrispondenza personale con i familiari, 18
unità, dal 1919 a 1939.
14
Oltre ai già citati contributi di Franco Bonelli si rinvia, per questi punti, a ERNESTO CIANCI,
Nascita dello Stato imprenditore in Italia, Mursia, Milano, 1977; GIANNI TONIOLO, Oscar Sinigaglia
in ALBERTO MORTARA (a cura di), I protagonisti dell’intervento pubblico in Italia, cit., pp. 400-430;
LUCIO VILLARI, Nuovi documenti storici sulla nascita dell’Iri, in Alberto Beneduce e i problemi dell’economia italiana del suo tempo, cit., pp. 87-103; ID., Le avventure di un capitano d’industria,
Einaudi, Torino, 1991; NICOLA DE IANNI, Vecchi e nuovi documenti sullo “Stato industriale”. Di un
episodio nel conflitto pubblico-privato: i riassetti della Puricelli, in La storia e l’economia. Miscellanea
di studi in onore di Giorgio Mori, Edizioni Lativa, Varese, 2003, Vol. II, pp. 291-316.
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una buona occasione di prendere le distanze da una visione automatica e piatta, ormai assurta a luogo comune, secondo cui le posizioni dell’uno si pongono
lungo una coerente linea di continuità rispetto a quelle dell’altro. Il sodalizio ha
inizio nel 1911 quando Nitti, assumendo la responsabilità del ministero di Agricoltura, industria e commercio, chiama Beneduce perché “ingiustamente perseguitato e in pericolo per le sue idee […] Beneduce era uomo di vero valore –
aggiunge Nitti – ed io lo avevo scelto e protetto perché apprezzavo la sua intelligenza e riconoscevo la sua competenza”15. Prima lo nomina suo segretario particolare e poi gli affida l’attuazione del progetto Ina. Per quanto stretti, i rapporti tra i due non arrivano mai ad una identificazione assoluta di linea politica. Nitti vagheggia la costituzione di un moderno partito liberal-radicale, mentre Beneduce è già legato ai socialisti riformisti ed ha contatti soprattutto con
Bissolati e Bonomi. Nel gennaio 1919, quando Nitti lascia polemicamente il
dicastero del Tesoro nel governo Orlando, candidandosi di fatto alla guida del
paese, è sostituito proprio dal direttore della Banca d’Italia, Stringher. Beneduce consolida il rapporto col nuovo ministro, collaudato dalla precedente lunga
frequentazione all’Ina e, nonostante i buoni rapporti, non troverà posto, nel
giugno successivo, nel ministero Nitti. È giusto, dunque, e, limitatamente al
primo periodo, Potito lo fa, non appiattire le posizioni di Nitti e Beneduce.
Conviene, anzi, continuare a prestare attenzione al differente peso politico dei
due. Quando Nitti lascia l’Italia, nel 1924, costituisce forse con Salandra l’unica alternativa a Mussolini: non a caso ha ricevuto violente intimidazioni dagli
squadristi. A quel punto Beneduce è soltanto un ex ministro del Lavoro che ha
già avviato la sua marcia di avvicinamento verso il collaborazionismo. Gli sviluppi successivi della biografia di Beneduce hanno poco in comune col pensiero nittiano. Per convincersene, basterebbe pensare alla affermata possibilità di
convivenza e collaborazione di pubblico e privato, in una presunta competitività che evidenzia piuttosto micidiali forme di conflitto di interesse conciliabili
solo in un regime dittatoriale. Appare così in tutta la sua chiarezza l’operazione
politica messa in atto da Cuccia e La Malfa sin dalla fine degli anni Quaranta
che, attraverso il recupero nittiano di Beneduce e la forzatura antifascista e prefascista, puntava in realtà ad evitare che l’Iri fosse fortemente ridimensionato,
come la Confindustria chiedeva16.
15
FRANCESCO SAVERIO NITTI, Rivelazioni. Dramatis personae, Edizioni scientifiche italiane,
Napoli, 1948, pp. 440-441.
16
NICOLA DE IANNI, Tra industria e finanza, in NICOLA DE IANNI e PAOLO VARVARO, Cesare
Merzagora il presidente scomodo, Prismi, Napoli, 2004, in particolare le pp. 35-51 e ID., Il presidente scomodo di uno strano paese. Atti del convegno Cesare Merzagora: bilancio storiografico,
testimonianze, eredità, Napoli, 8 ottobre 2004, Napoli, 2005, in particolare gli interventi di Valerio Zanone, Alessandro Polsi, Ruggero Ranieri e Franco Bonelli ed i commenti di Luciano Cafagna e Giuseppe Galasso.
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Sulla storia dell’Ina sarebbero molti i punti interessanti. Il tema pubblicoprivato, ad esempio, e l’intervento dello Stato nell’economia furono concepiti
secondo una visione fortemente innovativa. Opportunamente viene richiamato
da Potito il riferimento di Franco Bonelli alla elaborazione, da parte di Beneduce, di una teoria del rischio, come fattore insito nei fatti economici e nei
comportamenti umani e di conseguenza come spinta alla eliminazione delle
condizioni di incertezza17. Tale teoria aveva il suo retroterra nella formazione
statistico-matematica di Beneduce e trovò una feconda applicazione sulla base
delle esperienze maturate in campo assicurativo. Non meno opportuno sarebbe
stato anche il riferimento – sempre dovuto a Bonelli – all’essenza dell’influenza
di Nitti sul duplice piano dei principi e della strumentazione pratica. Sul primo
punto, cioè, l’idea di uno stato moderno che promuove la crescita, scegliendo
settori ed aree geografiche d’intervento; sul secondo, l’applicazione della parola d’ordine dell’efficienza nella pubblica amministrazione. Ciò, probabilmente,
avrebbe consentito a Potito, nella valutazione dell’esperienza dell’Ina, di dare
minor peso a tematiche quali la capillarizzazione della raccolta assicurativa per
sottolineare viceversa la novità di un intervento illuminato, soprattutto interessato alla destinazione previdenziale di utili ed investimenti. In questo senso, la
logica del monopolio pubblico nelle assicurazioni vita consisteva nel sottrarre ai
privati facili e sicuri guadagni da utilizzare con finalità diverse e come ammortizzatore economico sociale, senza per questo gravare sul bilancio dello Stato.
L’adesione di Beneduce alla guerra è descritta da Potito come entusiastica
ed incondizionata. Il percorso dello statistico casertano, confrontato con quello
di molti suoi contemporanei, in specie nazionalisti, fa pensare, invece, ad una
adesione ideologica e strumentale, generale più che personale, distante e poco
convinta, nonostante la posizione interventista assunta da Bissolati. Nello stesso periodo, anche il carteggio con Stringher rispecchia più che altro un diplomatico ed opportuno gioco delle parti, una sorta di corrispondenza dalla guerra, un viaggio all’inferno e ritorno. I reali interessi di Beneduce erano ben altri
e la necessità di non poter far mancare il suo prezioso apporto all’Ina costituì
probabilmente la valvola di sicurezza che gli dovette fare accettare la guerra, sul
piano personale, come una esperienza opportuna, necessaria e per fortuna limitata. In questo senso sarebbero molti gli esempi che si potrebbero fare, ma tutti
confermerebbero l’impressione che Beneduce era troppo smaliziato ed ancora
troppo vicino a Nitti per non prendere le distanze, nell’intimo, da quel formidabile strumento di redistribuzione dei rapporti di forza che la guerra fu18.
17
FRANCO BONELLI, Alberto Beneduce, il credito industriale e le origini dell’Iri, in IRI, Alberto Beneduce e i problemi dell’economia italiana del suo tempo, cit., pp. 72-73.
18
Di una lunga lettera di Beneduce a Nitti del 18 maggio 1915, ampiamente riportata in
nota (nota 27, p. 78), Potito omette una importante frase rivelatrice, viceversa non sfuggita a
48
L’analisi del ruolo svolto da Beneduce nella gestione dell’Opera nazionale
combattenti è correttamente valutata come necessaria integrazione e mediazione fra impegno politico ed approccio finanziario. L’Ente, istituito dal ministro
Nitti nel dicembre 1917 come forma di assistenza ai combattenti, cominciò di
fatto la sua attività soltanto con l’approvazione del Regolamento nel gennaio
1919, in singolare coincidenza con l’uscita dal governo dell’uomo politico lucano. L’attività dell’Ente, indipendentemente dalla parziale realizzazione dei suoi
obiettivi, rappresenta senza dubbio, fra le iniziative di Beneduce, quella maggiormente connessa agli interessi di categorie fortemente colpite dalla guerra e
che molto bene si inquadra nella linea politica dei socialisti riformisti. Un più
ampio successo dell’Opera nazionale combattenti certamente avrebbe contribuito a non lasciare alle forze di destra il monopolio dei contenuti sul temi della
guerra e della vittoria.
Dopo una lunga esitazione, nel novembre del 1919, Beneduce decise di
candidarsi alla Camera dei deputati, nel collegio di Caserta, con l’Unione socialista italiana. Fu eletto ed ebbe così inizio la sua attività parlamentare, fortemente condizionata sia dallo scarso successo del gruppo (che, difatti, l’anno
successivo si scioglierà), sia dalla radicalizzazione della lotta politica. Nel frattempo Nitti, dal giugno 1919, era diventato presidente del Consiglio e nelle difficoltà della crisi economica e sociale in cui il Paese si dibatteva, stava cercando, grazie anche all’aiuto di Beneduce, di allargare la base del suo governo.
Dopo un rimpasto laborioso, nel marzo del 1920, il socialista riformista Ivanoe
Bonomi entrava nel gabinetto come ministro della Guerra, proprio nelle settimane in cui uno stanco e deluso Leonida Bissolati abbandonava la scena (sarebbe morto in maggio). Beneduce caratterizzò la sua azione politica con una grande attenzione alle questioni economiche e di bilancio dello Stato, il cui deficit
creava le condizioni di una esplosione del fenomeno inflazionistico, e soprattutto con la fiducia per una maggiore, necessaria cooperazione internazionale,
specie in campo monetario. Come rappresentante italiano, egli fu presente alla
Conferenza di Bruxelles, nel settembre del 1920, e lo sarà anche due anni dopo
a Genova, senza riuscire, tuttavia, a far prevalere la sua linea moderata ed unitaria. Le onde nazionalista e fascista, da un lato, e le divisioni nel partito socialista e nel movimento sindacale, dall’altro, contribuirono a rendere sempre più
in salita la strada da percorrere e di conseguenza poco efficaci le azioni di
governo. In questo senso anche l’esperienza come ministro del Lavoro nel gabi-
Luigi de Rosa: “Poiché l’augurio più fervido e l’opera più devota accompagnano il paese nell’auspicata sua fortuna, è necessario che la Democrazia prenda oggi il suo posto diretto di responsabilità per poter condividere, nei giorni del successo, la sua parte di merito”. L. DE ROSA, I rapporti fra Beneduce e Nitti, in Istituto per la ricostruzione industriale, Alberto Beneduce e i problemi dell’economia italiana del suo tempo, cit., p. 195.
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netto Bonomi, dal luglio del 1921, dopo la riconferma a deputato avvenuta nel
maggio precedente, indica e rappresenta molto la bene la paralisi politica di
quei mesi e la forza insufficiente a fronteggiare il destabilizzante processo di
riconversione industriale in atto. Basti pensare, per fare un solo esempio, alla
ridottissima attività del Crediop, primo degli enti Beneduce, già costituito nel
1919 e da lui presieduto, che attraverso un programma di opere pubbliche
avrebbe potuto non poco alleviare il problema della disoccupazione. In definitiva, già nell’autunno del 1921, Beneduce si era reso conto che non esistevano
sufficienti margini di manovra e meditò propositi di dimissioni anche prima
della naturale caduta del governo, avvenuta nel febbraio del 1922. Potito qui
non giunge a tracciare le dovute conclusioni, perché non sufficientemente supportata dalla documentazione d’archivio. Quest’ultima, avrebbe potuto essere
integrata però, molto bene, con le interessantissime fonti a stampa (i numerosi
quotidiani di quegli anni sono una vera e propria miniera!). In realtà, è da questo periodo che Beneduce comincia a guardarsi intorno, a valutare progressivamente come inattendibili i suoi vecchi compagni, a prendere le distanze anche da
quelli con i quali aveva percorso i tratti di strada più significativi (da Nitti a Bonomi, da Giuffrida ad Amendola), per ridurre invece quelle con chi, e furono tanti
in effetti (Stringher, Introna, Menichella, Mattioli, Crespi, Conti, Bevione, Carnazza, Rossoni, Pirelli, Agnelli, Volpi, Cini, Mosconi, Sinigaglia, Guarneri, Arlotta, etc.), seguirono Mussolini nel viaggio attraverso il fascismo19. Un viaggio
mediato dalla scorciatoia della finanza, la cui lunghezza per Beneduce era, paradossalmente, inversamente proporzionale alla distanza che separava il socialismo dal fascismo.
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Ruggero Zangrandi, nel descrivere il lungo viaggio di coloro che divennero adulti durante il fascismo, così si esprimeva: “L’esposizione di questa storia vuole, perciò, fornire un’idea
complessiva di quel che è accaduto, tra il ’32 e il ’42, non a qualche decina ma a diverse migliaia
di giovani intellettuali. I quali – come chi scrive e quelli che, in quel tempo, gli furono vicini –
avevano intorno ai sette anni quando il fascismo andò al potere e, allorché ne ebbero diaciassette, si trovarono di fronte a un regime consolidato da una lunga pratica di governo, confortato dal
consenso degli adulti, consacrato dal riconoscimento di tutti i Paesi e avviato verso un avvenire
che – si diceva – avrebbe raggiunto il traguardo del secolo. E fu in tali condizioni, nel momento
di maggior fulgore e prestigio della dittatura, che intrapresero il loro lungo viaggio”. RUGGERO
ZANGRANDI, Il lungo viaggio attraverso il fascismo, Feltrinelli, Milano, VI edizione, 1976, p. 8.
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