Il viaggio breve. Beneduce dal socialismo al fascismo di NICOLA DE IANNI Un recente lavoro sul primo Beneduce1 offre l’occasione per alcune riflessioni sull’anima riformista del socialismo nel difficile momento di transizione al fascismo e pone a verifica le possibilità di generalizzare un percorso individuale definibile come eccezionale anche e soprattutto nelle sue accezioni terminologiche. Alcuni anni fa, in largo anticipo2 rispetto alle strade anguste della strumentalizzazione ideologica che la storiografia italiana stava battendo con passi sicuri3 ed in sostanziale antiteticità con la letteratura corrente, Franco Bonelli descrisse in modo compiuto ed essenziale i termini di quel rapporto di collaborazione soprattutto come personale col capo del governo4. La spinta veniva a Beneduce dalla convinzione di poter, nonostante e grazie alle trasformazioni politiche in atto, incidere comunque sugli assetti del sistema finanziario italiano, promuovendovi quelle trasformazioni strutturali frutto di una elaborazione 1 SERENA POTITO, Il primo Beneduce. 1912-1922, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2004. Limitandoci prevalentemente ai contributi storico-economici, si veda come essi abbiano inzio solo nel 1974. Per una cronologia dettagliata si rinvia alla nota 14 di Franco Bonelli, Alberto Beneduce (1877-1944), in ALBERTO MORTARA (a cura di), I protagonisti dell’intervento pubblico in Italia, Ciriec, Franco Angeli editore, Milano, 1984, pp. 344-345. 3 Basterà qui citare a contrario la manifesta ostilità diffusamente accordata alla monumentale biografia defeliciana i cui primi quattro volumi apparvero rispettivamente nel 1965, 1966, 1968 e 1974. RENZO DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario: 1883-1920, Torino, Einaudi, 1965; ID., Mussolini il fascista. I. La conquista del potere: 1921-1925; Torino, Einaudi, 1966; ID., II. L’organizzazione dello Stato fascista: 1925-1929, Einaudi, Torino, 1968; Mussolini il Duce. I Gli anni del consenso: 1929-1936, Einaudi, Torino, 1974. 4 Bonelli pubblicò una prima versione della voce biografica di Alberto Beneduce nel volume VIII del Dizionario biografico degli italiani (Roma, Istituto per la enciclopedia italiana, 1966). Pervenne successivamente ad una edizione ampliata su “Economia pubblica” (Milano, Ciriec, 1974, n. 3) ed infine alla edizione aggiornata in ALBERTO MORTARA (a cura di), I protagonisti dell’intervento pubblico in Italia, cit., pp. 329-356. 2 43 originaria proveniente da tutt’altri ambiti. La percorribilità di quella strada trovava una giustificazione dichiarata nell’idea patriottica di servire il Paese secondo la migliore tradizione dell’alta dirigenza statale, solitamente incline a concepire la politica come una sovrastruttura di passaggio. Nel novembre del 1983, nella giornata di studio svoltasi a Caserta per la celebrazione del 50° anniversario dell’istituzione dell’Iri, fu Piero Melograni a tornare sull’argomento5 adottando per la scelta di Beneduce la categoria già precedentemente individuata di mussolinismo in alternativa a quella di fascismo6. Beneduce, dunque, sarebbe stato mussoliniano anziché fascista. Serena Potito si è proposta di studiare il primo Beneduce, quello prevalentemente politico, risalendo alle origini della sua formazione: dalle esperienze burocratiche al ministero di Agricoltura industria e commercio, alla carriera universitaria di statistico; dalla collaborazione con Nitti e Stringher all’Ina, all’attività di parlamentare come socialista riformista con Bissolati; dall’esperienza di ministro del Lavoro nel governo Bonomi nel 1921-22 alla presidenza di Crediop, dell’Opera nazionale combattenti e dell’Istituto di credito per le opere di pubblica utilità. In via preliminare è forse opportuno chiedersi se la periodizzazione indicata sia quella più giusta. La stessa Potito, nella prefazione, afferma che l’anno cruciale da considerare come spartiacque del percorso biografico di Beneduce sia il 1925, soprattutto perché “indicò una precisa svolta nel suo atteggiamento verso la politica, che condizionò anche tutta la sua vita pubblica e le sue scelte lavorative”7. Meglio avrebbe fatto quindi, l’autrice, a continuare l’analisi fino a quell’anno. Si sarebbe resa conto, probabilmente, che lo spartiacque è retrodatabile all’anno precedente, al momento dell’ambiguo rifiuto di candidarsi alle elezioni politiche del 1924. Beneduce scrisse una lettera al giornale socialista «La Giustizia», pubblicata il 26 febbraio, affermando che non vi erano più le condizioni per una normale e proficua azione politica. Tale posizione fu interpretata dai suoi amici come un’ulteriore conferma del degrado del contesto democratico nazionale e quindi come una forte critica dell’azione del governo di coalizione presieduto da Mussolini. La stessa posizione fu, viceversa, valutata in sede governativa come un’importante presa d’atto del mutato rapporto di forze esistente per il quale già in quella data, e dunque ben prima della que- 5 PIERO MELOGRANI, L’adesione di Beneduce al regime mussoliniano, in IRI, Alberto Beneduce e i problemi dell’economia italiana del suo tempo. Atti della giornata di studio per la celebrazione del 50° anniversario dell’istituzione dell’Iri, Caserta, 11 novembre 1983, Edindustria, Roma, 1985, pp. 175-178. 6 PIERO MELOGRANI, Gli industriali e Mussolini: rapporti tra Confindustria e fascismo dal 1919 al 1929, Longanesi, Milano, 1972. 7 SERENA POTITO, Il primo Beneduce, cit., p. 16. 44 stione Matteotti che sarebbe scoppiata nel mese di giugno, Beneduce prendeva le distanze dagli amici delle opposizioni. Il riferimento che Potito fa a presunte posizioni antigovernative di Beneduce, nel periodo aventiniano, è la conferma di una ricorrente confusione, a suo tempo già denunciata da Bonelli, con il quasi omonimo Giuseppe Beneduce, eletto nel listone, mentre come abbiamo visto Alberto Beneduce non si candidò8. In questo caso l’errore è dei redattori einaudiani del carteggio Turati-Kuliscioff che attribuiscono ad Alberto le posizioni di Giuseppe9. D’altra parte, e Potito lo fa opportunamente osservare10, Nitti già nel settembre del 1922 si era lamentato con Beneduce per la sua adesione alla Lega italiana per la tutela degli interessi nazionali, in compagnia di “caratteristici guerrafondai”. Beneduce si era difeso, con non poco imbarazzo, negando di aver dato adesione scritta, affermando la natura apolitica dell’associazione e convenendo sull’opportunità di chiarire la sua posizione. Ma soprattutto introdusse quel distinguo, non irrilevante, fra finalità politica e finalità economica che avrebbe tenuto aperta la strada ad una sua collaborazione economica col governo, purché non caratterizzata da un esplicito pronunciamento politico. Il 1924 è dunque, per Beneduce, l’anno della costituzione dell’ Icipu (20 maggio, un mese e mezzo dopo le elezioni politiche!), della ripresa di attività del Crediop, dell’ingresso nel consiglio della società Strade Ferrate Meridionali (Bastogi). Tutte iniziative che scaturiscono da un rapporto sempre più stretto col direttore generale della Banca d’Italia, Bonaldo Stringher, il quale con lui, prima di lui, stava percorrendo un’analoga strada di avvicinamento al governo ed a Mussolini. In questa luce, gli interessanti riferimenti di corrispondenza del 1924, del 1925 e del 1933 con gli amici Giuseppe Fusco ed Adolfo Tino, che Potito riporta nelle sue conclusioni, offrono spunti importanti per una interpretazione più ampia delle posizioni di Beneduce in merito alla scelta collaborazionista con il regime. Essa non può limitarsi, come è stato fatto dalla maggioranza della storiografia italiana11, ad interessare la saldatura con le posizioni nittiane: dovrebbe piuttosto riguardare anche un’analisi delle responsabilità di chi ha mes8 FRANCO BONELLI, Alberto Beneduce (1877-1944), in ALBERTO MORTARA (a cura di), I protagonisti dell’intervento pubblico in Italia, cit., p. 330, nota 2. 9 FILIPPO TURATI, ANNA KULISCIOFF, Carteggio. VI Il delitto Matteotti e l’Aventino (19231925), Giulio Einaudi Editore, Torino, 1959, pp. 295 n., 309 n., 339 n., 417. 10 SERENA POTITO, Il primo Beneduce, cit., p. 144, nota 3. 11 Si vedano, ad esempio, i contributi al convegno veneziano dell’aprile 1977, poi raccolti in volume col titolo GIANNI TONIOLO (a cura di), Industria e banca nella grande crisi 1929-34, Etas libri, Milano, 1978; quelli al convegno salernitano del giugno 1978, poi raccolti in volume col titolo Mario Porzio (a cura di) La legge bancaria. Note e documenti sulla sua “storia segreta”, Il Mulino, Bologna, 1981 ed infine quelli della già citata giornata Beneduce del novembre 1983 a Caserta. 45 so straordinarie capacità tecniche al servizio di un regime antidemocratico, imperialista e razzista. In nome di che viene da chiedersi? “Chi si attarda a rimirare il passato pensa alla storia ed è antistorico”, scrive Beneduce nel febbraio 1933 poche settimane dopo che è stato meso a capo dell’Iri “Ogni Nazione – aggiunge – vive la sua storia giorno per giorno, e coloro che sono fuori dall’azione sono fuori dalla realtà e dalla vita del loro Paese. La lotta nel mondo è aspra e micidiale. È tradimento l’appartarsi”12. Come si può chiaramente dedurre, qui il problema è, con arroganza, ribaltato. È traditore Nitti, costretto violentemente all’esilio negli stessi mesi in cui Beneduce comincia riservatamente la sua collaborazione col regime. È traditore Croce, isolato nella sua oasi napoletana di libertà. Sono traditori tutti gli antifascisti costretti a lasciare il Paese per l’impossibilità di esprimere la propria opinione. Sono traditori tutti coloro che, lottando contro il fascismo, ricevono condanne di anni dal Tribunale speciale o sono inviati al confino per lunghi periodi di “villeggiatura”. Un’utile chiave di lettura – e con un personaggio come Beneduce quasi s’impone! – sono invece le logiche di gestione del potere come esercizio di responsabilità e, contemporaneamente, misura di realizzazione personale. Gli archivi dell’Italia contemporanea, incluso quello personale di Beneduce, sono pieni di riferimenti che confermano lo spessore del nodo in questione. Due rapidissimi esempi potranno bastare a dare un’idea. Il primo è riferibile alle tracce consistenti di soddisfazione che Beneduce partecipa ai suoi familiari, vivendole con essi – si badi, dal 1923! – ad ogni passo che consolida il suo successo personale nell’Italia fascista di Mussolini13. Il secondo è costituito dalla crescente critica che l’azione di Beneduce incontra dalla seconda meta degli anni Venti e per tutti gli anni Trenta non solo, come è comprensibile, negli ambienti del Partito nazionale fascista, ma anche fra taluni suoi amici ed interlocutori come per esempio Oscar Sinigaglia, Camillo Ara, Guido Jung14. Ma conviene tornare al primo Beneduce ed alle origini del suo rapporto con Nitti. In questo senso, quando approfondisce la questione, Potito perde 12 SERENA POTITO, Il primo Beneduce, cit., p. 176. ARCHIVIO STORICO BANCA D’ITALIA, Relazione al Fondo N. 1- Beneduce, a cura di Angelo Battilocchi. Si veda a pagina 8 l’indicazione della corrispondenza personale con i familiari, 18 unità, dal 1919 a 1939. 14 Oltre ai già citati contributi di Franco Bonelli si rinvia, per questi punti, a ERNESTO CIANCI, Nascita dello Stato imprenditore in Italia, Mursia, Milano, 1977; GIANNI TONIOLO, Oscar Sinigaglia in ALBERTO MORTARA (a cura di), I protagonisti dell’intervento pubblico in Italia, cit., pp. 400-430; LUCIO VILLARI, Nuovi documenti storici sulla nascita dell’Iri, in Alberto Beneduce e i problemi dell’economia italiana del suo tempo, cit., pp. 87-103; ID., Le avventure di un capitano d’industria, Einaudi, Torino, 1991; NICOLA DE IANNI, Vecchi e nuovi documenti sullo “Stato industriale”. Di un episodio nel conflitto pubblico-privato: i riassetti della Puricelli, in La storia e l’economia. Miscellanea di studi in onore di Giorgio Mori, Edizioni Lativa, Varese, 2003, Vol. II, pp. 291-316. 13 46 una buona occasione di prendere le distanze da una visione automatica e piatta, ormai assurta a luogo comune, secondo cui le posizioni dell’uno si pongono lungo una coerente linea di continuità rispetto a quelle dell’altro. Il sodalizio ha inizio nel 1911 quando Nitti, assumendo la responsabilità del ministero di Agricoltura, industria e commercio, chiama Beneduce perché “ingiustamente perseguitato e in pericolo per le sue idee […] Beneduce era uomo di vero valore – aggiunge Nitti – ed io lo avevo scelto e protetto perché apprezzavo la sua intelligenza e riconoscevo la sua competenza”15. Prima lo nomina suo segretario particolare e poi gli affida l’attuazione del progetto Ina. Per quanto stretti, i rapporti tra i due non arrivano mai ad una identificazione assoluta di linea politica. Nitti vagheggia la costituzione di un moderno partito liberal-radicale, mentre Beneduce è già legato ai socialisti riformisti ed ha contatti soprattutto con Bissolati e Bonomi. Nel gennaio 1919, quando Nitti lascia polemicamente il dicastero del Tesoro nel governo Orlando, candidandosi di fatto alla guida del paese, è sostituito proprio dal direttore della Banca d’Italia, Stringher. Beneduce consolida il rapporto col nuovo ministro, collaudato dalla precedente lunga frequentazione all’Ina e, nonostante i buoni rapporti, non troverà posto, nel giugno successivo, nel ministero Nitti. È giusto, dunque, e, limitatamente al primo periodo, Potito lo fa, non appiattire le posizioni di Nitti e Beneduce. Conviene, anzi, continuare a prestare attenzione al differente peso politico dei due. Quando Nitti lascia l’Italia, nel 1924, costituisce forse con Salandra l’unica alternativa a Mussolini: non a caso ha ricevuto violente intimidazioni dagli squadristi. A quel punto Beneduce è soltanto un ex ministro del Lavoro che ha già avviato la sua marcia di avvicinamento verso il collaborazionismo. Gli sviluppi successivi della biografia di Beneduce hanno poco in comune col pensiero nittiano. Per convincersene, basterebbe pensare alla affermata possibilità di convivenza e collaborazione di pubblico e privato, in una presunta competitività che evidenzia piuttosto micidiali forme di conflitto di interesse conciliabili solo in un regime dittatoriale. Appare così in tutta la sua chiarezza l’operazione politica messa in atto da Cuccia e La Malfa sin dalla fine degli anni Quaranta che, attraverso il recupero nittiano di Beneduce e la forzatura antifascista e prefascista, puntava in realtà ad evitare che l’Iri fosse fortemente ridimensionato, come la Confindustria chiedeva16. 15 FRANCESCO SAVERIO NITTI, Rivelazioni. Dramatis personae, Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 1948, pp. 440-441. 16 NICOLA DE IANNI, Tra industria e finanza, in NICOLA DE IANNI e PAOLO VARVARO, Cesare Merzagora il presidente scomodo, Prismi, Napoli, 2004, in particolare le pp. 35-51 e ID., Il presidente scomodo di uno strano paese. Atti del convegno Cesare Merzagora: bilancio storiografico, testimonianze, eredità, Napoli, 8 ottobre 2004, Napoli, 2005, in particolare gli interventi di Valerio Zanone, Alessandro Polsi, Ruggero Ranieri e Franco Bonelli ed i commenti di Luciano Cafagna e Giuseppe Galasso. 47 Sulla storia dell’Ina sarebbero molti i punti interessanti. Il tema pubblicoprivato, ad esempio, e l’intervento dello Stato nell’economia furono concepiti secondo una visione fortemente innovativa. Opportunamente viene richiamato da Potito il riferimento di Franco Bonelli alla elaborazione, da parte di Beneduce, di una teoria del rischio, come fattore insito nei fatti economici e nei comportamenti umani e di conseguenza come spinta alla eliminazione delle condizioni di incertezza17. Tale teoria aveva il suo retroterra nella formazione statistico-matematica di Beneduce e trovò una feconda applicazione sulla base delle esperienze maturate in campo assicurativo. Non meno opportuno sarebbe stato anche il riferimento – sempre dovuto a Bonelli – all’essenza dell’influenza di Nitti sul duplice piano dei principi e della strumentazione pratica. Sul primo punto, cioè, l’idea di uno stato moderno che promuove la crescita, scegliendo settori ed aree geografiche d’intervento; sul secondo, l’applicazione della parola d’ordine dell’efficienza nella pubblica amministrazione. Ciò, probabilmente, avrebbe consentito a Potito, nella valutazione dell’esperienza dell’Ina, di dare minor peso a tematiche quali la capillarizzazione della raccolta assicurativa per sottolineare viceversa la novità di un intervento illuminato, soprattutto interessato alla destinazione previdenziale di utili ed investimenti. In questo senso, la logica del monopolio pubblico nelle assicurazioni vita consisteva nel sottrarre ai privati facili e sicuri guadagni da utilizzare con finalità diverse e come ammortizzatore economico sociale, senza per questo gravare sul bilancio dello Stato. L’adesione di Beneduce alla guerra è descritta da Potito come entusiastica ed incondizionata. Il percorso dello statistico casertano, confrontato con quello di molti suoi contemporanei, in specie nazionalisti, fa pensare, invece, ad una adesione ideologica e strumentale, generale più che personale, distante e poco convinta, nonostante la posizione interventista assunta da Bissolati. Nello stesso periodo, anche il carteggio con Stringher rispecchia più che altro un diplomatico ed opportuno gioco delle parti, una sorta di corrispondenza dalla guerra, un viaggio all’inferno e ritorno. I reali interessi di Beneduce erano ben altri e la necessità di non poter far mancare il suo prezioso apporto all’Ina costituì probabilmente la valvola di sicurezza che gli dovette fare accettare la guerra, sul piano personale, come una esperienza opportuna, necessaria e per fortuna limitata. In questo senso sarebbero molti gli esempi che si potrebbero fare, ma tutti confermerebbero l’impressione che Beneduce era troppo smaliziato ed ancora troppo vicino a Nitti per non prendere le distanze, nell’intimo, da quel formidabile strumento di redistribuzione dei rapporti di forza che la guerra fu18. 17 FRANCO BONELLI, Alberto Beneduce, il credito industriale e le origini dell’Iri, in IRI, Alberto Beneduce e i problemi dell’economia italiana del suo tempo, cit., pp. 72-73. 18 Di una lunga lettera di Beneduce a Nitti del 18 maggio 1915, ampiamente riportata in nota (nota 27, p. 78), Potito omette una importante frase rivelatrice, viceversa non sfuggita a 48 L’analisi del ruolo svolto da Beneduce nella gestione dell’Opera nazionale combattenti è correttamente valutata come necessaria integrazione e mediazione fra impegno politico ed approccio finanziario. L’Ente, istituito dal ministro Nitti nel dicembre 1917 come forma di assistenza ai combattenti, cominciò di fatto la sua attività soltanto con l’approvazione del Regolamento nel gennaio 1919, in singolare coincidenza con l’uscita dal governo dell’uomo politico lucano. L’attività dell’Ente, indipendentemente dalla parziale realizzazione dei suoi obiettivi, rappresenta senza dubbio, fra le iniziative di Beneduce, quella maggiormente connessa agli interessi di categorie fortemente colpite dalla guerra e che molto bene si inquadra nella linea politica dei socialisti riformisti. Un più ampio successo dell’Opera nazionale combattenti certamente avrebbe contribuito a non lasciare alle forze di destra il monopolio dei contenuti sul temi della guerra e della vittoria. Dopo una lunga esitazione, nel novembre del 1919, Beneduce decise di candidarsi alla Camera dei deputati, nel collegio di Caserta, con l’Unione socialista italiana. Fu eletto ed ebbe così inizio la sua attività parlamentare, fortemente condizionata sia dallo scarso successo del gruppo (che, difatti, l’anno successivo si scioglierà), sia dalla radicalizzazione della lotta politica. Nel frattempo Nitti, dal giugno 1919, era diventato presidente del Consiglio e nelle difficoltà della crisi economica e sociale in cui il Paese si dibatteva, stava cercando, grazie anche all’aiuto di Beneduce, di allargare la base del suo governo. Dopo un rimpasto laborioso, nel marzo del 1920, il socialista riformista Ivanoe Bonomi entrava nel gabinetto come ministro della Guerra, proprio nelle settimane in cui uno stanco e deluso Leonida Bissolati abbandonava la scena (sarebbe morto in maggio). Beneduce caratterizzò la sua azione politica con una grande attenzione alle questioni economiche e di bilancio dello Stato, il cui deficit creava le condizioni di una esplosione del fenomeno inflazionistico, e soprattutto con la fiducia per una maggiore, necessaria cooperazione internazionale, specie in campo monetario. Come rappresentante italiano, egli fu presente alla Conferenza di Bruxelles, nel settembre del 1920, e lo sarà anche due anni dopo a Genova, senza riuscire, tuttavia, a far prevalere la sua linea moderata ed unitaria. Le onde nazionalista e fascista, da un lato, e le divisioni nel partito socialista e nel movimento sindacale, dall’altro, contribuirono a rendere sempre più in salita la strada da percorrere e di conseguenza poco efficaci le azioni di governo. In questo senso anche l’esperienza come ministro del Lavoro nel gabi- Luigi de Rosa: “Poiché l’augurio più fervido e l’opera più devota accompagnano il paese nell’auspicata sua fortuna, è necessario che la Democrazia prenda oggi il suo posto diretto di responsabilità per poter condividere, nei giorni del successo, la sua parte di merito”. L. DE ROSA, I rapporti fra Beneduce e Nitti, in Istituto per la ricostruzione industriale, Alberto Beneduce e i problemi dell’economia italiana del suo tempo, cit., p. 195. 49 netto Bonomi, dal luglio del 1921, dopo la riconferma a deputato avvenuta nel maggio precedente, indica e rappresenta molto la bene la paralisi politica di quei mesi e la forza insufficiente a fronteggiare il destabilizzante processo di riconversione industriale in atto. Basti pensare, per fare un solo esempio, alla ridottissima attività del Crediop, primo degli enti Beneduce, già costituito nel 1919 e da lui presieduto, che attraverso un programma di opere pubbliche avrebbe potuto non poco alleviare il problema della disoccupazione. In definitiva, già nell’autunno del 1921, Beneduce si era reso conto che non esistevano sufficienti margini di manovra e meditò propositi di dimissioni anche prima della naturale caduta del governo, avvenuta nel febbraio del 1922. Potito qui non giunge a tracciare le dovute conclusioni, perché non sufficientemente supportata dalla documentazione d’archivio. Quest’ultima, avrebbe potuto essere integrata però, molto bene, con le interessantissime fonti a stampa (i numerosi quotidiani di quegli anni sono una vera e propria miniera!). In realtà, è da questo periodo che Beneduce comincia a guardarsi intorno, a valutare progressivamente come inattendibili i suoi vecchi compagni, a prendere le distanze anche da quelli con i quali aveva percorso i tratti di strada più significativi (da Nitti a Bonomi, da Giuffrida ad Amendola), per ridurre invece quelle con chi, e furono tanti in effetti (Stringher, Introna, Menichella, Mattioli, Crespi, Conti, Bevione, Carnazza, Rossoni, Pirelli, Agnelli, Volpi, Cini, Mosconi, Sinigaglia, Guarneri, Arlotta, etc.), seguirono Mussolini nel viaggio attraverso il fascismo19. Un viaggio mediato dalla scorciatoia della finanza, la cui lunghezza per Beneduce era, paradossalmente, inversamente proporzionale alla distanza che separava il socialismo dal fascismo. 19 Ruggero Zangrandi, nel descrivere il lungo viaggio di coloro che divennero adulti durante il fascismo, così si esprimeva: “L’esposizione di questa storia vuole, perciò, fornire un’idea complessiva di quel che è accaduto, tra il ’32 e il ’42, non a qualche decina ma a diverse migliaia di giovani intellettuali. I quali – come chi scrive e quelli che, in quel tempo, gli furono vicini – avevano intorno ai sette anni quando il fascismo andò al potere e, allorché ne ebbero diaciassette, si trovarono di fronte a un regime consolidato da una lunga pratica di governo, confortato dal consenso degli adulti, consacrato dal riconoscimento di tutti i Paesi e avviato verso un avvenire che – si diceva – avrebbe raggiunto il traguardo del secolo. E fu in tali condizioni, nel momento di maggior fulgore e prestigio della dittatura, che intrapresero il loro lungo viaggio”. RUGGERO ZANGRANDI, Il lungo viaggio attraverso il fascismo, Feltrinelli, Milano, VI edizione, 1976, p. 8. 50