ATTUALITÀ Emergenza ambiente: la Terra è un forno Dati choc dalle Nazioni Unite. Una risposta urgente è lo sviluppo sostenibile: l’insieme delle soluzioni in grado di affrontare problematiche come l’inquinamento dell’aria, la produzione dei rifiuti o la capacità di rigenerazione delle risorse idriche Romano Trabucchi tiamo vivendo un profondo cambiamento d’epoca, come la grave crisi finanziaria ed economica delle ultime settimane si è incaricata di mostrarci in maniera drammatica. Il liberalismo esasperato, la concezione puramente “finanziaria” dell’economia, l’idolatria del mercato che ritiene di poter “vendere” qualsiasi cosa e vede nello Stato più un problema che un’opportunità hanno mostrato i loro errori e i loro limiti. Serve un nuovo approccio all’economia; occorre saper guardare al futuro. Per superare la crisi c’è bisogno di molta innovazione e della volontà di affrontare responsabilmente le sfide di un futuro molto incerto. La crisi è complessa; non è solo creditizia, ma investe l’intera economia e il nostro modo di vivere: tocca i problemi dell’ambiente e dell’energia. Ecco perché parliamo di cambiamento d’epoca. Perciò la ripresa dello sviluppo economico dovrà dare rilievo anche ai problemi dell’ambiente e puntare su un’industria nuova capace di lavorare con energia pulita e rinnovabile. Gli Stati Uniti, che sono all’origine di questa crisi mondiale, hanno oggi il nuovo presidente Barak Obama, S Romano Trabucchi è stato dirigente in grandi imprese italiane. È autore di pubblicazioni di management. Collabora a periodici e riviste ed è membro del comitato scientifico del Cfmt. 50 䡵 DIRIGENTE 11|2008 eletto con una grande e significativa partecipazione dei suoi concittadini, il quale ha più volte sottolineato, diversamente dal suo predecessore, il suo impegno per i problemi dell’ambiente. Se la crisi del ’29 ha visto il passaggio dall’economia del vapore a quella dell’elettricità, quella attuale deve essere consapevole che siamo di fronte alla terza rivoluzione industriale, quella di internet e dell’energia “dolce”. Oggi è quindi importante non separare le esigenze dello sviluppo economico da quelle della difesa dell’ambiente, come è sempre più richiesto dagli esperti e dalle autorità internazionali. Oggi ormai tutti si rendono conto che l’ecologia non è un optional, un lusso che, ad esempio, in questo momento di grave crisi economica, non possiamo permetterci. No! Le nostre azioni economiche devono in ogni modo essere “sostenibili” e contrastare il riscaldamento globale. Da questo punto di vista non possiamo perdere tempo! Ed è qui che il cambiamento e l’innovazione dovranno iniziare a costruire la “nuova” economia. Per questo è importante che le analisi delle attività economiche siano in grado di capi- re e “misurare” anche le ripercussioni che quelle attività hanno sull’ambiente. Due ricerche applicate all’economia di realtà locali italiane Il Millennium Project delle Nazioni Unite ha di recente elaborato un ampio studio sul futuro. Tra i punti più importanti ne emerge uno. Grazie alle trasformazioni realizzate dalla scienza, dalle tecnologie e dalla medicina, l’avvenire dell’uomo potrebbe essere migliore del passato, ma rischia pesantemente a causa della degradazione ambientale, delle ineguaglianze e della violenza. I governi dovrebbero impegnarsi in una strategia globale su questi fronti. Ma soprattutto ridurre drasticamente il problema del surriscaldamento globale. C’è bisogno di una strategia per lo sviluppo di un’economia controllata. Tutti gli strumenti, le innovazioni e le ricerche vanno perciò valorizzati e implementati. Lo spunto per riflettere viene dal libro “La soglia della sostenibilità, ovvero quello che il Pil non dice”, di Enzo Tiezzi, Federico M. Pulselli, Simona Bastianoni e Nadia Mar- L’aria delle grandi città è sempre più satura di gas tossici. chettini (Donzelli): un saggio utile per i manager e per gli operatori economici perché vi si trovano i problemi e i fondamenti dell’economia, che dovrà essere sempre più informata al valore della sostenibilità. A parte la complessità tecnica oggi raggiunta dal concetto di sostenibilità, tutti ricorderanno che si parla di sviluppo sostenibile quando uno sviluppo economico soddisfa i bisogni dell’attuale generazione senza compromettere le capacità di quelle future di soddisfare i propri. La sostenibilità implica perciò la necessità di limitare i consumi e le manipolazioni delle risorse naturali in funzione delle generazioni future: implica dunque un’azione consapevole e tecnicamente gestibile di conservazione della natura. L’aspetto interessante del libro è dato dal fatto che riporta concrete analisi di due economie ispirate al principio della sostenibilità: quelle delle province di Modena e di Rimini, in cui, come riconoscono i ricercatori, il sistema economico ha ormai raggiunto una soglia di crescita diseconomica, cioè tale che l’aumento di ricchezza non si traduce in un effettivo miglioramento del benessere sociale e della qualità della vita degli abitanti. È significativo che questo avvenga in due province italiane di una regione particolarmente sensibile ai problemi dello sviluppo sociale. Un esempio di applicazione di un metodo che sarebbe interessante portare a livello Paese. E che costituisce l’occasione di riprendere il discorso a favore di un’economia diversa. Come dichiarano i committenti, le due province si sono poste come obiettivo della propria azione di governance il perseguimento di uno sviluppo economico coerente con i principi della sostenibilità, anziché quello del semplice aumento del Pil, come è costante e acritica preoccupazione dei governi e dei politici. Hanno perciò mobilitato risorse e talenti per sviluppare ricerche e analisi sugli ambienti rispettivi, con particolare attenzione alle problematiche dell’inquinamento dell’aria, della produzione dei rifiuti, della capacità di rigenerazione delle risorse idriche e via dicendo. Utilizzando il nuovo indicatore Isew (Index of sustainable economic welfare), che ha apportato correzione ai semplici dati del Pil, consentendo di contabilizzare costi sociali e dan- ni ambientali a breve e a lungo termine, hanno intrapreso la strada di uno sviluppo economico più consapevole e più controllato: in una parola, sostenibile. Il libro è ricco di tante suggestioni, anche se in alcune parti è un po’ tecnico, e costituisce un nuovo contributo alla teoria e alla pratica economica reso possibile da ricercatori e docenti dell’Università di Siena – Federico M. Pulselli, Simone Bastianoni e Nadia Marchettini – coordinati e ispirati da Enzo Tiezzi, professore di chimica fisica presso quell’Università e noto per i suoi studi sull’argomento in Italia e all’estero. Oggi gli strumenti scientifici di analisi su questi temi non mancano e il volume ne presenta e illustra numerosi. Inoltre descrive un nuovo indicatore economico della sostenibilità, proposto nel 1989 da Herman Daly e John Cobb (due noti studiosi di questi problemi) per integrare le informazioni contenute nelle tradizionali analisi economiche come il Pil. Il testo riporta la concreta applicazione dell’indicatore Isew per la prima volta a livello di specifiche realtà locali. Per passare dal Pil a una misura di benessere sostenibile occorrono determinati aggiustamenti positivi e negativi. Con questi è possibile misurare anche i costi della crescita che stanno oggi aumentando più velocemente dei benefici. Scorrere il libro ci dà l’idea della complessità di questi problemi e soprattutto degli strumenti e indicatori utilizzati per cercare di tenere sotto controllo le diverse situazioni ambientali, nonché dei numerosi organismi e agenzie internazionali che se ne occupano. Pil, ambiente e benessere sociale Il principale strumento di verifica delle attività praticate dall’uomo su un territorio è la misura economica delle stesse. Questo calcolo si realizza mediante appositi strumenti della statistica economica come la misura del valore aggiunto o del prodotto lordo, il Pil. Il Pil è un indicatore di ricchezza economica: dà informazioni del䊳 DIRIGENTE 11|2008 䡵 51 ATTUALITÀ la performance economica di una società, rappresenta il valore annuale di mercato di tutti i beni e servizi acquistati in una nazione, più tutte le esportazioni al netto delle importazioni. In fondo, per i modelli di analisi economica tradizionali, il principale criterio è il mercato. Quindi tutto ciò che non è traducibile in termini monetari, come l’ambiente e il benessere sociale, sono considerati un’esternalità per il sistema. Secondo molti economisti il prodotto interno lordo di un paese non aumenta, anche se è stato distrutto un patrimonio che poteva assicurare una fonte stabile di reddito e di benessere nel futuro. Nei bilanci economici bisogna perciò inserire “indicatori ambientali”, perché l’economia è un sottosistema della biosfera finita che la sostiene. Gli aspetti ambientali e, in particolare, la disponibilità di capitale naturale, sono elementi estremamente critici per la salute di un sistema economico. Quando l’espansione dell’economia preme con troppa intensità sull’ecosistema circostante, inizia a sacrificare capitale naturale (minerali, flora, mo rivedere i parametri con i quali siamo soliti valutare il funzionamento del sistema economico (consumo quantitativo, crescita, Pil ecc.). Occorre imparare a coniugare ecologia con economia per determinare la sostenibilità delle diverse operazioni. “Il calcolo del Pil è una procedura ineludibile, necessaria per quantificare le performance economiche di un paese, ma solo attraverso una lettura comparata con altri strumenti è possibile capire quanto una nazione possa essere distante dalla sostenibilità, sia ambientale che sociale ed economica” (pag. 234). L’integrazione dei diversi strumenti è la strategia necessaria per comprendere i meccanismi che regolano la relazione fra l’uomo e l’ambiente, oggi sempre più complessa. Il capitale naturale e la soglia della sostenibilità I governi dovrebbero impegnarsi per ridurre drasticamente il problema del surriscaldamento globale. può più essere l’unico indicatore per conoscere il suo stato di salute, perché le sue informazioni sono a breve termine, mentre per gli equilibri dell’ambiente occorre avere informazioni dettagliate sul grado di sostenibilità dell’economia. Il Pil non misura, ad esempio, il consumo delle risorse naturali e non considera l’esaurimento del capitale naturale: è solo un indicatore dei flussi di liquidità o dei bilanci patrimoniali. Se si rade al suolo una foresta, il Pil 52 䡵 DIRIGENTE 11|2008 fauna, combustibili fossili ecc.), che spesso non viene rimpiazzato ottenendo una crescita diseconomica. L’umanità deve compiere la transizione verso un’economia sostenibile che presti attenzione ai limiti biofisici dell’ecosistema globale. Oggi occorre rendersi conto dell’insostenibilità di un’economia che si basa sul consumo del capitale naturale: una distruzione che chiamiamo crescita. Perciò dobbia- L’economia va dunque integrata con le scienze dell’ambiente, alla cui base ci sono le teorie della complessità, i sistemi complessi della biologia e dell’ecologia. C’è la termodinamica che diventa la base per leggere i problemi ambientali ed economici. C’è la scienza della natura di Prigogine. I problemi ambientali ed economici non sono più studiati in termini meccanicistici e reversibili, ma con modelli evolutivi e irreversibili. Il rapporto causa-effetto non è più quello lineare della fisica classica, ma è un rapporto complesso. L’uomo ha a disposizione un capitale naturale, cioè un insieme di elementi e meccanismi che sulla base di regole naturali di funzionamento trasformano la materia prima, l’energia solare, in flussi di prodotti e di servizi. “Il capitale naturale è costituito dall’insieme dei sistemi naturali (mari, fiumi, laghi, foreste, flora, fauna e territorio) e dei loro prodotti (legname, cereali, pesce ecc.), ma anche dei “servizi ecologici” che rendono possibili (biodiversità, stabilità climatica, fissazione dell’energia solare e conversione in materie prime ecc.) e che sono fondamentali per 䊳 ATTUALITÀ la vita stessa. Il capitale naturale non è statico, ma si evolve e l’uomo deve fare attenzione a questa evoluzione senza stravolgerla, conservandone gli aspetti vitali fondamentali” (pag. 120). Possiamo perciò consumare risorse tenendo presenti determinati limiti. Diceva Gregory Bateson: “Conservazione senza evoluzione è morte, evoluzione senza conservazione è follia”. Intaccando il capitale naturale i gas serra si accumulano in atmosfera e i rifiuti e gli inquinamenti in superficie. Così i meccanismi della macchina natura faticano. Gli ingranaggi si danneggiano. Intaccare il capitale naturale avviene a scapito delle generazioni future, prive dello stesso capitale naturale con la stessa capacità produttiva. Ecco il significato più immediato e più profondo del concetto di sostenibilità. Per cui è importante che, di fronte al consumo di risorse non rinnovabili, alla produzione di rifiuti e alle emissioni di gas, ai danni ambientali di lungo termine come l’assottigliamento dello strato di ozono stratosferico e la perdita di zone umide ed estuari; all’inquinamento acustico e a quello dell’acqua e dell’aria, i problemi delle diverse economie siano sottoposti ad analisi approfondite anche da parte di autorità internazionali. Si tratta di capire, di fronte a un fenomeno come il riscaldamento globale, i meccanismi attivati in natura dall’uomo e di individuare l’impatto che ciascuna nazione (o parte di essa) realizza con i suoi consumi. Gli scienziati chiamano “impronta ecologica” la traccia impressa dall’uomo sulla natura in virtù dell’estensione e profondità dei suoi consumi. Il Living Planet Report è un documento prodotto periodicamente dal Wwf, che definisce la geografia delle impronte ecologiche di 156 nazioni e misura, per ciascun paese, l’entità dello stress a cui è sottoposto l’ambiente. I dati rilevati da queste analisi sottolineano che negli ultimi 40 anni il peso dell’uo- mo sulla Terra è quasi triplicato. Paradossalmente sarebbero necessari 1,2 pianeti per sostenere ogni anno i consumi di tutti gli abitanti della Terra, se fossero uguali (e se ogni abitante della Terra assumesse lo stile di vita di un americano sarebbero necessari più di cinque pianeti come la Terra). Ciò significa che questi ritmi di consumo sono possibili solo grazie a uno sfruttamento sempre più intensivo degli stock di capitale naturale, che dovrebbero essere riservati per il mantenimento degli equilibri bio-geo-chimici della Terra per le future generazioni (pag. 123). Il problema della “conservazione” dell’ambiente per le generazioni future non ha solo un significato ecologico, ma ha anche una profonda valenza etica. Non dimentichiamo quanto ci dicono gli esperti: in pochi decenni alcune generazioni hanno praticamente esaurito i combustibili fossili che hanno impiegato 400 milioni di anni per formarsi e accumularsi, con la conseguenza di alterare il clima terrestre. Da ciò l’importanza di fare periodicamente un “bilancio ecologico” per capire se l’atteggiamento e lo stile di vita adottati da una popolazione rispettano i tempi biologici e i limiti della natura sia rispetto alle altre popolazioni (equità intragenerazionale), sia verso le generazioni future (equità intergenerazionale). I paesi industrializzati consumano molto più di quanto gli ecosistemi locali siano in grado di offrire e così sottraggono risorse e territorio produttivo a coloro i quali consumano meno (i paesi economicamente arretrati). Povertà e malnutrizione ne sono le conseguenze: sono oltre 850 milioni le persone che nel mondo soffrono la fame. Secondo il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, il 17% della popolazione mondiale (in pratica noi occidentali) consuma l’80% delle risorse della Terra. Qui viene a porsi un nuovo concetto di equità. Il problema di una giustizia globale, perché, come è stato detto, “la finitezza delle risorse è la cornice della giustizia”. Crescita o benessere? Quello di cui c’è soprattutto bisogno è di mettere in discussione l’attuale modello di crescita, quello messo in pratica dal capitalismo e i fondamenti sui quali si basa: la sua capacità di mettere a disposizione dei consumatori non solo quello che vogliono, ma anche di fare in modo che vogliano quello che si prefigge di dare loro, grazie alla potenza creatrice della sua tecnologia. Perché è proprio questa logica di fondo della creazione dei desideri ad essere oggi insostenibile. Il presupposto che i desideri possano espandersi a dismisura si è rivelato assolutamente inaccettabile su scala globale: una logica infinita in un mondo finito. Occorre che l’uomo assuma nei suoi comportamenti una nuova coscienza del limite e una nuova responsabilità! La realtà è che sempre più spesso la ricchezza economica aumenta senza tradursi in un corrispondente aumento di benessere. Con la globalizzazione e il superamento delle economie nazionali queste situazioni si sono rese sempre più critiche. Il Pil dunque non misura il benessere. Si constata una profonda divaricazione tra la curva della crescita economica misurata dal Pil e quella della pubblica felicità ricavata dai sondaggi dei sentimenti collettivi. Sono espressioni di Giorgio Ruffolo, vecchio studioso di questi problemi, il quale, in un bel libro appena uscito dal titolo Il capitalismo ha i secoli contati (Einaudi), sintetizza le cause di quella divaricazione dovute, a suo parere, a tre grosse storture: 1. il Pil conteggia solo i beni misurati in moneta; 2. il Pil non dà alcuna importanza al modo nel quale i beni sono distribuiti, applicando la ben nota legge di Trilussa: due polli a me, nessuno a te uguale un pollo a testa; 3. il Pil non dà valore ai beni forniti dalla natura che considera gratuiti e tratta il capitale naturale come se fosse un reddito. In questa impostazione è chiaro che il benessere, la “felicità” e la qualità della vita sono difficilmente compresi. 䡵 DIRIGENTE 11|2008 䡵 55