Teatro Donizetti
Casa Natale di Gaetano Donizetti
12-14 ottobre 2012
Donizetti in scena. Vedere l’opera
Convegno internazionale di studi
Abstract e Biografie
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Venerdì 12 ottobre
Teatro Donizetti - Sala Conferenze
ore 14.30
Sessione 1. Comporre la performance
presiede Francesco Bellotto
PAOLO FABBRI
Fondazione Donizetti
Università di Ferrara
Edizione Nazionale delle Opere di Gaetano Donizetti
Senza parole. Componenti non verbali nel teatro di Donizetti
Diversamente da immediati predecessori (Rossini) e contemporanei (Bellini), le parole dei suoi
poeti teatrali a Donizetti non sempre bastano: anzi, dà segni di essere perfino convinto che non tutto
si possa dire a parole. È compositore che non si limita a intonare testi verbali di genere drammatico,
ma che mostra in concreto di considerare il teatro d’opera fatto non solo di parole e musica.
Nell’atto compositivo stesso, Donizetti va sovente al di là di quanto richiesto al musicista,
spingendosi ad immaginare (e prescrivere) elementi di teatralità che oltrepassano note e parole, e
che a rigore non dovrebbero competergli. Per raggiungere i suoi obiettivi, usa anche materiali e
soluzioni ‘irregolari’, o spinge la musica sulle soglie del ‘non detto’.
Paolo Fabbri è ordinario di Storia della Musica Moderna e Contemporanea all’Università di Ferrara.
Dal 1997 è direttore della Fondazione Donizetti di Bergamo, e presidente dell’Edizione Nazionale
delle Opere di Gaetano Donizetti. Per la casa editrice LIM dirige la collana «ConNotazioni». Nel
2003 ha fondato il periodico «Musicalia. Annuario internazionale di studi musicologici», di cui è
attualmente direttore. Nel 1989 gli è stata conferita la Dent Medal, l’annuale premio musicologico
internazionale della Royal Musical Association. Già visiting professor alla University of Chicago,
nel 2001 è stato nominato socio onorario dell’American Musicological Society. Oltre a numerosi
articoli apparsi su «Studi musicali», «Rivista italiana di musicologia», «Chigiana», «Quadrivium»,
«Acta musicologica», «Music and Letters», «Analecta musicologica», «Cambridge Opera Journal»,
ha pubblicato fra l’altro i volumi: Monteverdi (EDT); Il secolo cantante. Storia del libretto d’opera
nel Seicento (Il Mulino); Metro e canto nell’opera italiana (EDT). È in stampa l’edizione critica di
Anna Bolena da lui curata.
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ALESSANDRO ROCCATAGLIATI
Università di Ferrara
Edizione Critica delle Opere di Vincenzo Bellini
Parigi-Italia 1838-41: tracce nelle didascalie, tra fonti libretti e partiture
Non sono mancate negli ultimi anni le riflessioni generali e particolari sulla natura e il
funzionamento delle didascalie nel teatro dell’Ottocento, musicale e non (Zaragoza, Guarnieri,
Zoppelli, Beghelli, chi scrive). Si può dunque partire da qualche concetto acquisito, per orientare
una ricerca che miri ad osservare come il Donizetti teatrante si rapportasse a quell’insieme di
indicazioni più o meno prescrittive che – derivate dalle fonti letterarie, depositate nei libretti, da
trasmettersi direttamente o mediatamente agli artefici dello spettacolo (cantanti-attori, scenografi,
macchinisti, attrezzisti, ecc.), variamente riportate-realizzate nelle partiture, trasfuse-completate
nelle riduzioni canto-piano – finivano per costituire un ingrediente essenziale della sua
drammaturgia per musica posta in scena.
In particolare, può risultare interessante concentrare tale indagine su un ambito cronologico ristretto
ma importante, nella vita artistica di Donizetti: gli anni attorno al suo trasferimento a Parigi (18381841). Tra opere scritte ancora o di nuovo per il circuito italiano (Poliuto, Maria de Rudenz, Adelia,
Maria Padilla, la stessa versione italiana 1840 della Figlia del reggimento) e partiture confezionate
e presentate nella capitale francese (Les Martyrs, La favorite, La fille du régiment, la pur postuma
Rita) interesserà registrare continuità e discontinuità di procedure e comportamenti creativi del
musicista alle prese coi vari “sistemi di didascalie”. Anche ovviamente in rapporto agli usi
differenziati dei teatri di destinazione e delle tradizioni di genere interessate.
Alessandro Roccatagliati (Reggio Emilia, 1960) è professore associato di Musicologia e Storia della
musica nell’Università di Ferrara, ove tiene gli insegnamenti di Drammaturgia musicale e di Forme
della poesia per musica. È vicedirettore delle riviste «Il Saggiatore musicale» e «Musicalia.
Annuario internazionale di studi musicologici». Dirige, con Fabrizio Della Seta e Luca Zoppelli, la
nuova Edizione critica delle opere di Vincenzo Bellini (Milano, Casa Ricordi, 2000 ss.) nell’ambito
della quale ha pubblicato nel 2009 (con L. Zoppelli) l’edizione dell’opera La sonnambula. La sua
produzione scientifica si concentra perlopiù sulla drammaturgia e la storia dell’opera italiana, in
particolare sul teatro di Verdi, Bellini, Rossini e Donizetti; ha dedicato studi anche a opere di
Paisiello, Mayr, Meyerbeer, Halévy e Janáček, oltre che alla storia musicale di vari centri del nord
Italia (Ferrara, Modena e Bologna su tutti). Ha scritto, tra l’altro, le monografie Giuseppe Verdi,
“Rigoletto” (Milano, Mursia) e Felice Romani librettista (Lucca, LIM).
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LUCA ZOPPELLI
Université de Fribourg
Edizione Critica delle Opere di Vincenzo Bellini
«Sul tavolino, una spada leggera». Funzioni della didascalia negli autografi donizettiani
Nel sistema testuale dell’opera italiana di primo Ottocento, la partitura è il luogo ove il compositore
annota l’insieme di prescrizioni concernenti la parte sonora dello spettacolo; décor e movimento
scenico vanno dedotti essenzialmente dal libretto e da altre fonti interne al sistema (liste di attrezzi,
descrizioni di costumi, disposizioni sceniche manoscritte). Ciò non toglie che i compositori usino
apporre in partitura didascalie di vario tipo – espressive, mimiche, di movimento, scenografiche o
d’attrezzeria – in quantità più o meno importante. Donizetti lo fa volentieri, e in misura crescente
col passar degli anni: tuttavia, anche in considerazione dei diversi ambienti produttivi in cui lavora,
non è sempre facile capire cosa lo spinga a selezionare, se non addirittura a espandere o inventare,
una didascalia da inserire nella partitura autografa. La relazione verte su un doppio interrogativo:
quello della funzionalità pratica, produttiva, degli interventi donizettiani concernenti la dimensione
scenica; e quello – parallelo – dell’eventuale pertinenza ermeneutica delle scelte di Donizetti: può
una didascalia dirci qualcosa sul suo modo di ‘vedere’ e di concepire l’insieme dello evento
scenico-musicale? Può una partitura, da mero strumento di trasmissione prescrittiva, diventare
(almeno localmente) il punto focale di una visione sintetica dello spettacolo?
Luca Zoppelli, autore de L’opera come racconto (Venezia, Marsilio, 1994), è professore ordinario
di Musicologia all’Università di Fribourg (Svizzera); dirige le Annales Suisses de Musicologie e
condirige l’Edizione Critica delle Opere di Vincenzo Bellini. Tra i suoi studi recenti in lingua
italiana, un contributo sull’apporto problematico dell’opera alla costruzione dell’identità nazionale
nel Risorgimento (negli atti del convegno L’Italia verso l’unità, Roma 2011). Di prossima
pubblicazione i suoi contributi al Verdi-Handbuch (sul processo compositivo verdiano) e al
Wagner-Handbuch (sul rapporto fra Wagner e l’opera del suo tempo), entrambi pubblicati da
Bärenreiter/Metzler, Stoccarda. Sono recentemente in volume le edizioni critiche, da lui curate, di
Sonnambula di Bellini (a quattro mani con Alessandro Roccatagliati) e Maria di Rohan di
Donizetti.
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ANTONIO ROSTAGNO
Università di Roma La Sapienza
Tradizione e uso della pantomima in Donizetti
La pantomima è una pratica teatrale di lontana tradizione, che alcune avanguardie teatrali del
Novecento recupereranno, sia pur su basi differenti (Apollinaire, ma anche i futuristi russi, Piscator,
Malipiero…). L’Ottocento italiano, forse anche per l’enorme diffusione del ballo pantomimo, che
esauriva il campo, sembra essere il secolo che più di ogni altro ha posto la pantomima ai margini
del dramma (recitato o cantato non fa differenza). D’altro canto Dahlhaus già decenni fa aveva
notato come la drammaturgia del grand opéra francese «tenda necessariamente alla pantomima»,
soprattutto nei tableaux.
Nella drammaturgia italiana della prima metà del secolo la pantomima ha funzione di aprire una
forma di teatro esclusivamente basata sul canto, di far agire il personaggio con un realismo inedito,
mimetico, addirittura proto-naturalistico, in un momento aurorale del realismo teatrale, alla fine
dell’età rossiniana. La narrazione e la conformazione del tempo del dramma ne ricevono un
inevitabile e significativo contraccolpo.
Donizetti sembra essere il compositore che più di ogni altro italiano, nella prima metà del secolo,
impiega la pantomima; e se ne può tentare un proficuo confronto con l’impiego da parte di altri
coevi, come Pacini (Saffo) o Bellini (Il pirata).
Interessa anche la costruzione della melodia delle pantomime, per lo più periodica, e progettata per
collocare nei punti di snodo fraseologico l’indicazione da parte del compositore e del librettista di
azioni gestuali precise.
Uno dei punti più significativi è nell’Assedio di Calais, dove la pantomima apre l’opera con una
presa diretta, un tempo realistico quasi cinematografico e del tutto inedito.
Antonio Rostagno si occupa di musica dell’Ottocento e primo Novecento. Le pubblicazioni
riguardano prevalentemente Giuseppe Verdi, l’ambiente culturale-musicale italiano nel suo periodo,
Robert Schumann. Ha pubblicato La musica italiana per orchestra nell’Ottocento (Olschki),
‘Kreisleriana’ di Robert Schumann (L’Epos), Gli autografi di Giuseppe Martucci alla Fondazione
Pagliara di Napoli (Lim), Violinisti-compositori a Roma nell’Ottocento (Accademia Nazionale di
S. Cecilia). Collabora con l’Istituto Nazionale di Studi Verdiani di Parma, per cui sta curando il
carteggio fra Verdi e il direttore d’orchestra Angelo Mariani. È ricercatore di Storia della musica
presso la Sapienza-Università di Roma, dove tiene gli insegnamenti di Storia della musica e
Drammaturgia musicale.
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Sabato 13 ottobre
Casa Natale di Gaetano Donizetti - Sala Ashbrook
ore 9.30
Sessione 2. Mettre en scène Donizetti: Napoli, Venezia, Parigi
presiede Gabriele Dotto
CARLO SISI
Museo Marino Marini, Firenze
La scena gotica. Donizetti e la pittura di storia
Tra le “arti sorelle” celebrate nell’Ottocento, la pittura di storia fu quella maggiormente implicata
nella raffigurazione oggettiva o nella trasfigurazione letteraria di fatti e personaggi del passato
venuti alla ribalta per dimostrate analogie con le vicende contemporanee, tra fedeltà al documento
ed urgenze sentimentali. Vie parallele, queste, che conducevano all’esito ambìto dagli artisti del
Romanticismo propensi infatti, da una parte, a sottolineare le glorie civili dei Vespri o delle
congiure antitiranniche; coinvolti, dall’altra, nella narrazione delle vicende sentimentali avvenute in
seno a quegli stessi episodi. Nel 1830, anno di composizione della Bolena, il critico Defendente
Sacchi, in presenza dei quadri di Francesco Hayez, aveva decretato la definitiva sconfitta di “tutte le
pazze e laide avventure della mitologia” e l’avvento dei “gravi ammaestramenti” della storia, con i
suoi fatti avventurosi e mirabili, i personaggi eroici e appassionati, gli scenari sublimi ed esotici.
La ricostruzione storica della scena e la variata rappresentazione dei caratteri e degli affetti dei
protagonisti dipendevano per molti aspetti dalla consuetudine che Hayez aveva con il melodramma
negli anni in cui Bellini e Donizetti lavoravano alle loro opere più compiute: in un clima, quindi, di
fruttuosi scambi fra i diversi ambiti artistici, che in teatro ottenevano una sintesi di grande
coinvolgimento popolare dovuta al sapiente intreccio della vicenda narrata, al dominio
interpretativo dei cantanti, all’effetto suscitato dall’impianto scenografico, che alla Scala e al
Carcano veniva di solito affidato a qualificatissimi operatori.
Lo stesso Felice Romani riteneva compito dello scenografo quello di riprendere con fedeltà e
“verità storica” il luogo, il tempo, l’ambiente dell’azione drammatica seguendo “le regole
dell’architettura e della prospettiva” poiché la fedele rappresentazione dei luoghi doveva
‘autenticare’ i drammi storici con vedute di monumenti fedelmente riprodotti anche se, nell’esito
finale, l’ambientazione dell’intero dramma avrebbe riflesso la temperie neogotica o
neorinascimentale che connotava il gusto del tempo, coniugando liberamente lo studio delle fonti
figurative con la fantasia alimentata dalla libertà concessa al poeta e al romanziere.
Non si deve dimenticare che fra il 1820 e il 1830 erano apparsi alla ribalta delle esposizioni il Pietro
Rossi e i Vespri Siciliani di Hayez, la Morte di Montmorency di Massimo d’Azeglio, l’Entrata di
Carlo VIII a Firenze di Giuseppe Bezzuoli; e che la traduzione del Kenilworth di Walter Scott
aveva inaugurato la fortuna italiana dello scrittore e, insieme, l’appassionato interesse per le storie
inglesi e i tenebrosi scenari entro cui esse si erano svolte. D’altra parte gli indirizzi storicistici che in
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quel giro d’anni puntavano sul recupero dello stile gotico estendendolo ad ogni aspetto del vivere
quotidiano – dagli arredi al disegno dei giardini, dalla grafica alle arti applicate, dagli abiti ai
tableaux vivants – venivano offrendo codici interpretativi anche agli spettatori del dramma in
musica, che di quelle variegate componenti costituiva la più coinvolgente sintesi
Persino Rossini, nel 1819, aveva composto La donna del lago traendola dal romanzo di Walter
Scott in anticipo sull’edizione italiana del 1821 a dimostrazione che anche nel più sorvegliato
laboratorio neoclassico era penetrato il vento delle selve caledoni; e Gaetano Donizetti, dopo
l’insuccesso napoletano della Elisabetta al castello di Kenilworth, avrebbe inaugurato con la Bolena
di Romani un trittico inglese denso di passioni e di spettacolari conflitti – i temi dell’amore,
dell’onore, della gelosia, e del tradimento - predisposti ad una traduzione musicale corrusca e
dolente che ben poteva corrispondere al temperamento espressivo proprio dei devoti di Scott e degli
appassionati della pittura di storia.
Secondo quanto scriveva Felice Romani, i romanzi di Walter Scott sapevano catturare i lettori in
vena di avventure intellettuali: se la pittura descriveva infatti i costumi di epoche lontane con
l’approssimazione richiesta dal canone romantico, il racconto spaziava invece nella varietà dei casi
e dei caratteri con l’agio concesso dalla scrittura e da un modello, quello di Scott appunto, fornito di
inesauribili risorse poiché, scrive Romani: ”avvi una peripezia che tiene agitati e sospesi gli animi
dei lettori; un pericolo che si riproduce in mille modi diversi ..; una catastrofe non aspettata, che
tiene sempre desta la curiosità di chi legge; … situazioni finalmente che non sono prevedute, colpi
di scena, per così dire, che vi sorprendono, un certo che di mistero sparso da per tutto che non vi
lascia travedere la fine…”.
Carlo Sisi sino all’ottobre 2006 è stato direttore della Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti a
Firenze, della quale ha curato l’ultimo allestimento e l’edizione del catalogo generale. Ha anche
diretto, dal 1999 al 2002, la Galleria del Costume. Dal 1998 è presidente del Museo Marino Marini
di Firenze, dove organizza eventi espositivi di arte contemporanea. Studia in special modo l’arte
italiana ed europea del XIX secolo, cui ha dedicato volumi e vari saggi oltre all’organizzazione di
numerose mostre, ultime delle quali 1861. I pittori del Risorgimento (Roma, Scuderie del
Quirinale), Il Simbolismo in Italia (Padova, Palazzo Zabarella) e Americani a Firenze (Firenze,
Palazzo Strozzi).
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MARIA IDA BIGGI
Università di Venezia Ca’ Foscari
Fondazione Giorgio Cini
Edizione Nazionale delle Opere di Giacomo Puccini
Il progetto iconografico di Bagnara per ‘Belisario’ e ‘Pia de’ Tolomei’
Attraverso l’analisi iconografica dei bozzetti di scena di due opere donizettiane, Belisario e Pia de’
Tolomei si possono confrontare le modalità di ideazione della scenografia del primo Ottocento e
capire come questa si rapportasse da un lato con le istanze dell’arte pittorica e dall’altro con le
esigenze dell’estetica teatrale e musicale.
I lavori di Francesco Bagnara, scenografo al teatro alla Fenice di Venezia dal 1820 al 1839, sono
esemplificativi delle circostanze di partecipazione dell’elemento scenografico alla realizzazione e al
successo di uno spettacolo. In dettaglio, questi due titoli mostrano l’applicazione dei due stili
dominanti, il classico e il gotico, che si legano in particolar modo al gusto dell’epoca e alla varietà
dei soggetti narrati da melodrammi e balli, pur permettendo allo scenografo di mantenere
l’autonomia della propria specifica sfera d’azione. Pur proseguendo la richiesta di soggetti a sfondo
classico, a teatro nei primi anni dell’Ottocento sono rappresentati molti testi ambientati nell’epoca
medievale e lo scenografo, seguendone i precetti, utilizza lo stile gotico, soprattutto nella sua
espressione architettonica, che contiene in sé caratteristiche tecniche che lo avvicinano a
implicazioni spirituali. Nel presente intervento si cercherà di dimostrare come anche Bagnara
contribuisca, con la sua grande abilità pittorica, all’affermazione del pittoresco e della sfera
sentimentale sulla scena.
Maria Ida Biggi insegna Storia dello Spettacolo all’Università di Venezia Ca’ Foscari e dirige il
Centro Studi per la ricerca documentale sul teatro e il melodramma europeo della Fondazione
Giorgio Cini di Venezia. Si occupa di storia della scenografia, in particolare del teatro musicale
ottocentesco e novecentesco. Inoltre ha curato numerose iniziative e pubblicazioni dedicate a
Eleonora Duse.
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ROGER PARKER
King’s College London
Edizione Nazionale delle Opere di Gaetano Donizetti
Stage circuits: Lucia migrates
The paper begins by thinking once more about the epistemological position of various staging
documents that survive from Donizetti’s time, in particular the place they might have in a “critical
edition” of his operas. This leads to examination of some such documents: a series of notes, in the
hand of Salvadore Cammarano, about how to stage Lucia di Lammermoor; then the so-called livret
de mise en scène which appeared in (loose) connection with the opera’s performance in French in
the later 1830s; then the—extremely sparse—remarks about staging that can be found in reviews of
the first Italian performances. Judged from our present-day perspective, all these types of evidence
can seem somehow mute and unresponsive, above all concerned with a level of realism that—for
us, today—is sharply disjunctive with the operatic experience. This circumstance can lead back to
the initial, philological questions, although—perhaps responsibly—with no firm conclusions.
Roger Parker è Professore di Musica al King’s College di Londra. È direttore (con Gabriele Dotto)
dell’Edizione Critica delle Opere di Gaetano Donizetti. Le sue più recenti pubblicazioni includono i
volumi Remaking the Song (University of California Press, 2006) e A History of Opera
(Penguin/Norton, 2012), scritto con Carolyn Abbate. Sta lavorando a un libro sulla musica a Londra
negli anni ‘30 dell’800.
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FLORA WILLSON
King’s College Cambridge
An Italian in Paris: Staging Donizetti’s ‘Les Martyrs’ in 1840
Premiered at the Opéra on 10 April 1840, Les Martyrs was Donizetti’s first French-language
commission and his first foray into Paris’s prestigious genre of grand opéra. Of course, Donizetti
was by no means a newcomer to the city’s operatic scene by this time: Les Martyrs followed a
premiere and the successful importation of several of his earlier works for productions at the
Théâtre Italien, performances in translation at the Théâtre de la Renaissance and, most recently, the
premiere of La Fille du régiment at the Opéra Comique. Yet despite the Parisian popularity of some
of Donizetti’s Italian works (Anna Bolena, L’elisir and Lucia above all), the reception of Les
Martyrs was ambivalent. Critics were as unimpressed by the opera’s widely publicised origins in
Poliuto as they were by the composer’s attempts to modify his style for the demands of the Opéra.
Amidst so much (Italian) music found wanting, critical attention shifted time and again to the
Opéra’s characteristically spectacular (French) staging.
In this paper I examine the opera’s mixed reception and ask, on the one hand, what it might tell us
about the position of Italian opera in Paris of the early 1840s and, on the other, how the relationship
between an opera and its staging, between visual spectacle and musical drama, was understood at
this time. By reading critical responses to Les Martyrs alongside other documents pertaining to its
staging at the Opéra, I hope to uncover traces not only of how the work was first performed, but of
how that performance might have been perceived by its audience.
Flora Willson è Junior Research Fellow al King’s College di Cambridge. Sta concludendo il suo
dottorato di ricerca sull’opera a Parigi negli anni ‘60 dell’800 e ha pubblicato articoli per
«Cambridge Opera Journal» e Cambridge Verdi Encyclopedia (in stampa, CUP). Sta inoltre
curando la nuova edizione critica de Les Martyrs di Donizetti
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SUSAN RUTHERFORD
University of Manchester
The two Donizettis: French opera versus Italian opera in Paris during the 1840s’
Writing about the Parisian performances of Roberto Devereux at the Théâtre-Italien (beginning on
27 December 1838 with Grisi, Rubini and Tamburini), Donizetti complained that the reception of
his opera was affected by the audience’s lack of knowledge of the Italian language: “siccome io
cerco servir la parola, così nasce che spesse volte non capiscono le situazioni”. Both the revisions of
his operas and the new works composed for Paris address this need to communicate narrative more
plainly through visual means. Paris was, of course, much fêted during the period for the attention
given to theatrical spectacle: on another occasion, Donizetti had remarked on the lavish staging of
Halévy’s La Juive, with its all too realistic death scene. Yet Parisian theatrical innovation was
nonetheless arguably limited to spectacle, design and costume. The high-art stages of Parisian
theatre were often criticised for their adherence to mannered conventions in acting, generally
attributed to an excessive obeisance to tradition and the Conservatoire’s rigid teaching. For
example, the Italian tenor Mario contrasted the individuality and freedom of British actors with the
constraint and formalism of their French counterparts (he himself obviously aimed at the former);
while the spontaneity and warmth of the Italian bass Luigi Lablache was much admired by French
critics. This paper will consider the way in which Italian singers such as Mario, Grisi and Lablache
not only learnt from French theatrical practice but also offered a different perspective on operatic
performance in their interpretations of key Donizetti works (particularly L’elisir d’amore and Don
Pasquale) at the Théâtre-Italien. In short, the productions of Donizetti’s operas in Paris reveal a
blurring of cultural boundaries, in which ‘two’ Donizettis were apparent: a ‘French’ Donizetti (as
claimed by Adolphe Adam) at the Salle Le Peletier, and an ‘Italian’ Donizetti at the Théâtre-Italien.
Susan Rutherford è Senior Lecturer in Music all’Università di Manchester. I suoi interessi sono
rivolti all’opera italiana del XIX secolo, alla interpretazione vocale, alla ricezione da parte della
critica. Le sue pubblicazioni includono il volume The Prima Donna and Opera, 1815-1930
(Cambridge University Press, 2006) e numerosi saggi. La sua nuova monografia, Verdi, Opera,
Women, apparirà nel 2013 per Cambridge University Press.
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Sabato 13 ottobre
Casa Natale di Gaetano Donizetti - Sala Ashbrook
ore 14.30
Sessione 3. La performance come testo
presiede Roger Parker
FRANCESCO BELLOTTO
Bergamo Musica Festival Gaetano Donizetti
Conservatorio di Venezia “B. Marcello”
Edizione Nazionale delle Opere di Gaetano Donizetti
"Accens des mots et accens des pensées". Sul rapporto fra declamazione e musica in Donizetti
La relazione si concentra su un aspetto abbastanza ignorato dagli studiosi di drammaturgia in
genere: l’influenza della declamazione sui processi compositivi ed interpretativi del teatro musicale
di epoca donizettiana.
Il percorso prende le mosse dallo studio di una quarantina circa di trattati, saggi e memorie del
periodo 1750-1850. Sono tutti testi che si occupano in maniera diretta o indiretta di tecniche di
recitazione con particolari riferimenti alla declamazione.
In prima istanza lo studio mira a definire, in modo uniforme e con terminologia controllata, i
fondamenti sui quali i trattatisti formano le loro argomentazioni. In particolare, la doppia accezione
generalmente adottata del termine “accento”, una di carattere fonologico e l’altra espressivo
(sinteticamente espressa dal titolo dell’intervento, ripreso da un pamphlet di Nicolas-Etienne
Framery del 1802), è alla base del metodo di lavoro. L’accertata (e, a detta dei contemporanei,
determinante) influenza della declamazione sulla letteratura operistica, viene indagata attraverso
testimonianze coeve e confronti fra testi poetici e loro declinazione in chiave compositiva.
Il Canto XXXIII della Commedia di Dante, testo nato per la declamazione, viene utilizzato a titolo
esemplificativo per comprendere -anche dal punto di vista del processo creativo- come la categoria
espressiva degli accenti fosse alla base della condotta drammaturgica, sovrapponendosi e talvolta
integrando le già ben note architetture determinate dalle convenzioni formali.
Francesco Bellotto. Regista, insegnante e musicologo.
Dal 1997 al 2010 è stato vicedirettore scientifico della Fondazione Donizetti di Bergamo.
Dal 2004 è Direttore Artistico del Teatro Donizetti di Bergamo, dove nel 2006 ha progettato e
fondato il Bergamo Musica Festival Gaetano Donizetti. Grazie alla programmazione del Festival, il
teatro Donizetti ha avuto un importantissimo incremento di pubblico e di visibilità internazionale.
La rassegna ha prodotto -attraverso accordi con prestigiose case discografiche (Bongiovanni,
Dynamic e Naxos)- numerosi dvd e cd audio, oggi distribuiti in tutto il mondo.
Nel 2006 e 2010 ha seguito la direzione artistica e realizzato due tournée in Giappone con recite
ospitate dai più importanti palcoscenici di quel paese.
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Tra il 2007 e il 2009 ha seguito, per conto della Fondazione Donizetti, la ristrutturazione e la
riapertura del Teatro Sociale di Bergamo Alta e della Casa Natale di Gaetano Donizetti come
consulente artistico.
Dal 1997 firma regìe di produzioni liriche per importanti istituzioni musicali nazionali ed estere,
Teatri di Tradizione e Fondazioni.
Insegna da oltre vent’anni teoria e tecniche della recitazione nei Conservatori di stato e nelle
Università italiane.
La sua attività scientifica si è rivolta principalmente allo studio della drammaturgia musicale, con
prevalente interesse per il primo Ottocento italiano. I contributi più significativi riguardano il
rapporto che intercorre fra i testi operistici e la loro messinscena.
Per la Edizione Critica delle Opere di Gaetano Donizetti ha collaborato con Paolo Rossini per la
nuova edizione critica di Deux hommes et une femme.
Fa parte del comitato scientifico della Edizione Critica delle Opere di Gaetano Donizetti e della
Edizione Nazionale delle Opere di Gaetano Donizetti, istituzione per la quale è anche Segretario
Tesoriere.
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GABRIELE DOTTO
Michigan State University Press
Edizione Nazionale delle Opere di Gaetano Donizetti
Cantava nel silenzio: indizi sull’arte scenica ottocentesca riflessa nel cinema muto di soggetto
operistico
Da qualche tempo gli studiosi di cinema hanno sfatato il precedente concetto che il cinema muto
fosse veramente silenzioso; non solo (come già si sapeva) il cinema dei primi due decenni del 900
aveva spesso un’appositamente concepita ‘colonna sonora’ d’accompagnamento dal vivo, ma
recenti studi hanno portato alla luce (e in qualche caso, restaurato) esempi di cinema muto dove la
pantomima veniva anche sincronizzata precisamente con la musica o con effetti sonori. Parimente,
lo studio storico degli albori del cinema riporta esempi di regia per scene complesse –
posizionamenti di diversi attori in movimento simultaneo, movimenti di masse ‘corali’ – che
presero a modello alcuni elementi di regia delle opere liriche. Qualche autore operante nel campo
della scenografia lirica in quegli anni lavorava anche alle sceneggiature cinematografiche – esempio
lampante, Giovacchino Forzano, librettista del pucciniano Trittico ed autore della disposizione
scenica della Turandot, il quale preferiva definirsi soprattutto autore per il cinema. Nel panorama di
questi reperti del primo cinema vi sono anche esempi di tentativi di proporre scene d’opera. Questo
intervento mira ad esplorare eventuali indizi che tali stralci di cinema sopravvissuti possono offrire,
non solo come curiosità storica di riflesso di prassi teatrali coevi o precedenti, di gesti e di
movimento nelle opere dell’Ottocento, ma anche per eventuali spunti che possono informare gli
approcci alle regie moderne.
Gabriele Dotto ha compiuto gli studi universitari e di conservatorio negli Stati uniti e in Italia. Ha
pubblicato diversi saggi sulla storia dell’opera nell’Otto e Novecento, della critica testuale,
dell’editoria musicale, ed è curatore di edizioni critiche di opere di Rossini, Donizetti, Verdi e
Puccini. A fianco all’attività di studioso, lavora da oltre tre decenni nel campo editoriale, negli Usa
con The University of Chicago Press e in Italia con Ricordi (dove divenne direttore editoriale della
storica casa milanese). Co-dirige (con Roger Parker) l’Edizione Critica delle Opere di Gaetano
Donizetti, e dirige l’Edizione Critica delle Opere di Giacomo Puccini. È membro dei comitati
editoriali delle edizioni di Giuseppe Verdi, di Vincenzo Bellini, di Giacomo Meyerbeer, di Kurt
Weill, e di G. S. Mayr. Attualmente dirige la casa editrice scientifica della Michigan State
University (USA).
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EMANUELE SENICI
Università di Roma La Sapienza
Donizetti in TV
Alcune tra le opere di Donizetti che erano in repertorio nei decenni centrali del ventesimo secolo
furono presenti nei palinsesti televisivi italiani di quel periodo con una certa frequenza. La loro
trasmissione costituisce dunque un aspetto fondamentale della recezione donizettiana nell’Italia del
Novecento, specialmente se si tiene a mente che la televisione fu il medium di maggior impatto
sociale e culturale nella seconda metà del secolo. Il primo scopo di questa relazione è quindi quello
di far luce su questo momento, finora quasi ignorato dalla musicologia. Le trasmissioni televisive di
opere donizettiane costituiscono però anche un valido punto di vista dal quale considerare alcuni
aspetti dell’incontro tra opera e televisione, che nell’Italia degli anni Cinquanta del secolo scorso
ebbero una breve ma intensa storia d’amore. In particolare, esse invitano a riflettere su alcuni aspetti
del processo di rimediazione, un processo che in questo caso deve tenere conto anche dei film
d’opera, un genere assai popolare in Italia negli anni immediatamente precedenti l’avvento della
televisione.
Emanuele Senici insegna Storia della Musica nel Dipartimento di Storia dell’Arte e Spettacolo
dell’Università di Roma La Sapienza. I suoi interessi di ricerca si concentrano sul melodramma
italiano del lungo Ottocento, sulla storiografia dell’opera in musica, e sui video di spettacoli
operistici.
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CARLO CENCIARELLI
Royal Holloway, University of London
‘Lucrezia Borgia’ in 3D
The 2011 English National Opera production of Lucrezia Borgia was a true mass media failure.
Staged by Hollywood-certified British director Mike Figgis, televised by Sky’s Art Channel with a
wealth of interactive, behind-the-scenes footage, and seen ‘live in 3D’ in selected state-of-the-art
UK cinemas - a world first - the production was slashed by critics nationwide, whether amateurs or
professionals, coming to it from opera or cinema, working on ‘old’ or ‘new’ media.
My paper takes as a starting point this unanimous critical judgement, and explores its broader
implications on our understanding of the relationship between opera and 21st century digital culture.
In particular I focus on Figgis’s controversial choice to interpolate four short 2D videos before and
between the opera’s acts. These interpolations, which combine excerpts of Donizetti’s music with
soft-porn iconography, were intended as a way of fleshing out, quite literally, the sexual and
murderous practices of the Borgias family. Their intersection with the operatic footage produces a
strong friction between two visual paradigms that, for want of a better term, we could label
‘televisual’ (the notion of opera videos as a progressively accurate surrogate of the live experience)
and ‘cinematic’ (the notion that opera videos should draw on cinema’s language to attract new
audiences), each implying a different way of imagining opera’s media future. Lucrezia, singing in
3D on stage dressed in period clothes, and speaking in 2D half naked in Figgis’s video, is caught in
the middle of these conflicting paradigms. The production’s failure thus illuminates the problematic
process of accommodation between opera and new media, in spite of the affirmative language of
marketing, with its fictions of digital convergence, universality, and flow.
Carlo Cenciarelli è assegnatario di una borsa postdottorale presso l’Università di Londra, Royal
Holloway. I suoi interessi sono rivolti alla relazione fra musica e culture visive nel XX e nel XXI
secolo, con particolare attenzione alla reinterpretazione dei canoni della musica colta occidentale
nei film e nei media digitali. Ha pubblicato per «Journal of the Royal Musical Association»,
«Twentieth-century music», «Music & Letters», e «Cambridge Opera Journal».
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FRANCESCO COTTICELLI
Seconda Università di Napoli
Regine a duello. Andrea De Rosa e ‘Maria Stuarda’ fra prosa e lirica
Nell’autunno del 2007 Andrea De Rosa mette in scena Maria Stuarda di Friedrich Schiller,
affidando a due attrici del calibro di Anna Bonaiuto e Frédérique Loliée le parti di Elisabetta e della
regina di Scozia e prosciugando – attraverso un uso sobrio e sagace dello spazio – l’impianto
melodrammatico verso un’accentuazione della tragedia storica e del conflitto interiore. Nel marzo
del 2010 il Teatro San Carlo di Napoli gli commissiona la regia di Maria Stuarda di Donizetti, in
cui si scontrano sul palcoscenico due astri della lirica quali Sonia Ganassi e Mariella Devia.
Entrambi gli spettacoli proseguono una personalissima ricerca sul valore dei classici, sulle ragioni
di un teatro che sappia ritrovare in storie esemplari motivi di riflessione sull’oggi, su una direzione
al di là di ogni problema di fedeltà, di restituzione del ‘colore’ d’epoca e capace invece di vivificare
con poche, decisive scelte un universo di passioni e idee. Ma è inevitabile che il lavoro in prosa e
l’opera instaurino un dialogo peculiare all’interno di un mondo poetico, fatto di richiami, echi,
divergenze. Accanto a un ‘ritorno’ che è anche approfondimento/ripensamento di un plot ancora
molto suggestivo (ed estremamente funzionale al teatro), merita rilievo il fatto che il duello ideale
fra i due progetti segni non solo un momento felicissimo di attualizzazione di un repertorio alto, ma
si proponga anche come esegesi di una transcodifica, che interessa il passato come il presente.
Francesco Cotticelli insegna Discipline dello spettacolo presso la Seconda Università degli Studi di
Napoli. È stato post-doc fellow presso la Ohio State University, ha lavorato a Vienna in qualità di
borsista del Ministero per la Ricerca, ed è stato professore in visita presso l’università viennese,
nonché short-term fellow presso l’Università di Yale. Ha pubblicato i volumi Le istituzioni musicali
a Napoli durante il Viceregno austriaco (Luciano), «Onesto divertimento, ed allegria de’ popoli».
Materiali per una storia dello spettacolo a Napoli nel primo Settecento (Ricordi), The Commedia
dell’Arte in Naples. A Bilingual Edition of the 176 Casamarciano Scenarios (premio
Weiss/Brown), Dell’arte rappresentativa premeditata, ed all’improvviso (edizione bilingue del
trattato di Andrea Perrucci del 1699) e ha curato l’edizione de Il Rosario di De Roberto. Dal 1998 è
membro dell’International Federation for Theatre Research e dal 2005 del Comitato scientifico della
Fondazione Pergolesi-Spontini di Jesi.
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BIANCA DE MARIO
Università di Siena
«Un’armonia celeste, di’ non ascolti?». La pazzia di Lucia tra testo e performance
Tra le scene più celebri e toccanti dell’opera italiana, la pazzia di Lucia di Lammermoor, a dispetto
del proliferare delle rappresentazioni, resta tra le pagine più controverse tanto per i musicologi
quanto per direttori e cantati. Dalla questione della tonalità d’impianto originale, all’uso della
glassharmonica anziché del flauto, passando per la cadenza interpolata del cantabile, la scena madre
del capolavoro donizettiano offre una straordinaria galleria di possibilità esecutive e suggestioni
drammaturgiche. Proprio tali consuetudini esecutive divengono spesso le vere registe di un
momento teatrale che resta cristallizzato (dalla scala, al velo di nozze) e lasciato alla sensibilità
creativa delle singole interpreti. La performance si fa storia e diviene scuola. Come cambiano allora
i significati del testo alla luce delle diverse interpretazioni? Quanto hanno influito certe regie o certe
cantanti sulla sua comprensione e sulle aspettative del pubblico e che cosa invece può essere
nuovamente riscoperto alla luce di nuovi studi e rappresentazioni? Un primo passo è cercare di
rimettersi in ascolto di quell’«armonia celeste» che risuona dentro (e fuori?) Lucia.
Bianca De Mario ha conseguito la laurea magistrale in Musicologia e Beni Musicali presso
l’Università degli Studi di Milano. Ha compiuto studi di pianoforte e di teatro e ha condotto alcuni
periodi di studio in Francia e negli Stati Uniti, dove è stata lettrice di italiano. Collabora con enti
musico-teatrali (Teatro alla Scala, Teatro Pergolesi di Jesi, MITO), centri di ricerca (Centro Studi
Pergolesi di Milano), per cui ha pubblicato saggi e programmi di sala. Sta ultimando un dottorato di
ricerca presso l’Università degli Studi di Siena.
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FRANCO LORENZO ARRUGA
Università IULM di Milano
L’errore di aiutare Donizetti. Tradizionali inadempienze e innovative incompetenze della regìa.
Testimonianze e documenti audiovisivi dopo quarant’anni di critica musicale
Questo intervento non vuole essere una rassegna statistica delle interpretazioni donizettiane del
nostro tempo; né tanto meno una polemica sull’opportunità di spettacoli tradizionali o innovativi. Si
tratta più modestamente di una riflessione su come venga considerato naturale, dagli artisti e anche
dalla critica, che, là dove la drammaturgia di Donizetti porti delle intuizioni feconde ma non
rigidamente organizzate, ma anche nelle opere più famose e definite, la regia contemporanea tenda
a applicarvi dall’esterno delle idee brillanti talora innovative e altre volte semplicemente cattivanti.
In genere, in sede di presentazione e anche di recensione, si tende a confrontare queste scelte non
con la coerenza della drammaturgia così come la definisce la partitura, ma piuttosto alla routine
consueta, per se stessa precaria e allusiva.
In questo modo le opere minori tendono a diventare dei contenitori discontinui di convenzioni e di
trovate; ma anche opere come Lucia di Lammermoor o L’elisir d’amore subiscono una sorta di
ammodernamento che non parte da un’analisi veramente moderna e corretta dell’invenzione
donizettiana. È facile così imbattersi in esecuzioni di comodo che continuano la tradizionale
approssimazione a cui è stato sacrificato Donizetti nel passato.
Franco Lorenzo Arruga ha insegnato al Dams di Brescia, alla Scuola Paolo Grassi di Milano, alla
Scuola Holden di Torino. Dal 2007 insegna Storia del Melodramma all’Università IULM di Milano.
È stato critico musicale titolare del quotidiano «Il Giornale» dal 2006, dopo esserlo stato a «Il
Giorno» dal 1968 al 2006; dal 1984 è critico musicale titolare del settimanale «Panorama». Nel
1977 ha fondato il mensile culturale «Musica Viva», che ha diretto per sedici anni.
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Domenica 14 ottobre
Casa Natale di Gaetano Donizetti - Sala Ashbrook
ore 9.30
Sessione 4. Lo spazio sonoro
presiede Paolo Fabbri
LIVIO ARAGONA
Fondazione Donizetti
Università di Milano
Istituto Superiore di Studi Musicali “G. Donizetti” di Bergamo
Misure del classicismo donizettiano. I drammi di corte
Il dramma romantico mise al centro il teatro, l’azione non verbalizzata, la commistione dei generi.
Donizetti fu evidentemente partecipe di questi mutamenti. Accanto alla linea del melodramma
romantico incandescente e frénétique, mantenne attivo un altro filone, che sembrava avere una
funzione di mediazione tra passato e presente: in parte proponeva in forma attenuata le conquiste e i
nuovi statuti della drammaturgia romantica, in parte tendeva a sfruttare rifunzionalizzandoli alcuni
aspetti del dramma di impronta classicista. Intorno alla metà degli anni Trenta questi due filoni si
intrecciano. Accanto a opere marcatamente ‘romantiche’ come Lucrezia Borgia, Lucia di
Lammermoor, Marino Faliero, compaiono altri titoli che per ambientazione possono aderire alla
definizione di ‘dramma di corte’: oltre ad Anna Bolena, Gemma di Vergy, Belisario, anche Maria
Stuarda e Roberto Devereux. In modi diversi, una costellazione di tratti, variamente articolati,
concorre a connotare questi titoli come ‘inattuali’: al di là della distanza cronologica, della
ambientazione aulica, del rango omogeneo dei personaggi tradiscono una forte propensione alla
stasi lirica e un impianto sinfonico che punta a creare, del dramma, l’‘atmosfera morale’. Questa
indagine prova a chiedersi se tali elementi possano configurare una via parallela al dramma
romantico, che passa per una poetica dell’inazione e dell’immobilità, e per la ritraduzione della
mozione degli affetti come analisi delle passioni.
Livio Aragona ha scritto su compositori e opere del primo e del secondo Novecento, e sul teatro
d’opera del Settecento e dell’Ottocento. È posseduto da un’autentica passione per il lavoro
editoriale, che esercita a vario titolo per case editrici, istituzioni concertistiche, centri di ricerca. È
responsabile con Federico Fornoni del comparto Ricerca, didattica ed editoria della Fondazione
Donizetti ed è responsabile editoriale del Festival MITO settembre musica. Insegna presso l’Istituto
Superiore di Studi Musicali di Bergamo e l’Università degli Studi di Milano, dove è anche
collaboratore alla ricerca del Centro Studi Pergolesi
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ANSELM GERHARD
Universität Bern
«Vivo non t’è concesso | escir da queste porte». Il restringimento dello spazio nella drammaturgia
donizettiana
In molti drammi romantici, lo spazio (vitale) di cui dispongono i personaggi viene poco a poco
compresso fino alla catastrofe ineluttabile. Esempi da varie opere donizettiane – in particolare
Lucrezia Borgia, Poliuto e Maria di Rohan – ci permetteranno di analizzare le scelte musicali
adoperate dal compositore per sottolineare una tale drammaturgia di “costrizione”.
Anselm Gerhard, nato a Heidelberg nel 1958, insegna dal 1994 all’Università di Berna (Svizzera).
Le sue ricerche si concentrano sul Sette e Ottocento e concernono particolarmente l’opera lirica in
Francia e in Italia, la musica per pianoforte, la storia dell’estetica musicale come questioni di
metodologia della musicologia. Il suo lavoro è stato premiato dalla Royal Musical Association di
Londra con la Dent Medal 2008.
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FEDERICO FORNONI
Fondazione Donizetti
Istituto Superiore di Studi Musicali “G. Donizetti” di Bergamo
Musicom.it, Milano
Spazializzazione del suono e psiche del personaggio. Su alcune scene donizettiane
La spazializzazione del suono è risorsa importante del teatro d’opera e, spesso, ha conseguenze ed
effetti psicologici. Si pensi al caso elementare di musica eseguita dietro le quinte (per esempio da
una banda o da un coro) nel tempo di mezzo di un’aria, che determina il cambiamento interiore del
personaggio utile a realizzare il passaggio dallo stato affettivo del cantabile allo stato affettivo della
cabaletta. È questa una situazione irrinunciabile nel primo Ottocento.
Donizetti è autore in grado di utilizzare le convenzioni del suo tempo e manipolarle per trarne
situazioni di grande efficacia che gli hanno consentito di battere nuovi sentieri. Nella sua
drammaturgia un ruolo di primo piano viene riservato all’interesse per la psiche dei personaggi, ma
anche la riuscita teatrale, scenica, dei meccanismi da lui concepiti è questione di primaria
importanza. Niente di più ovvio allora che, partendo da una soluzione assai diffusa all’epoca, che
dava modo al compositore di unire due degli elementi drammaturgici che più lo interessavano, la
sua fantasia si accendesse concependo scene di straordinaria potenza. L’intervento prende in esame
alcuni momenti di Lucrezia Borgia, Linda di Chamounix, Poliuto e La favorite con l’intento di
mostrare come Donizetti sfrutti il suono spazializzato per comunicare con immediatezza al suo
pubblico le condizioni psichiche dei protagonisti.
Federico Fornoni ha conseguito la laurea e il dottorato di ricerca in Musicologia all’Università di
Pavia (sede di Cremona). Attualmente è corresponsabile del settore Ricerca, didattica e editoria
presso la Fondazione Donizetti, direttore artistico di Musicom.it (casa di produzione musicale di
Milano) e professore a contratto all’Istituto Superiore di Studi Musicali “G. Donizetti” di Bergamo.
Ha curato i volumi Il teatro di Donizetti III: Voglio amore e amor violento (con Livio Aragona) e Il
Teatro Sociale di Bergamo. Il restauro. È co-curatore delle collane «Quaderni della Fondazione
Donizetti» e «Vox Imago» (Mondadori Electa-Musicom.it).
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MARY ANN SMART
University of California, Berkeley
Staging Kenilworth and Windsor Castle: Historical Detail and Political Intrigue in Donizetti’s
Tudor Operas
Donizetti’s so-called trilogy (Anna Bolena, Maria Stuarda, Roberto Devereux) are only the bestknown of the twenty-odd operas premiered in Italy between 1815 and 1848 that were inspired by
episodes from the Tudor court. This paper examines this vogue for Tudor queens, which
transcended the bounds of opera to encompass also spoken theatre, fiction, and popular history. I
begin by probing what political and social factors made this historical period and its flamboyant
characters so attractive in early nineteenth-century Italy. Did composers, librettists, and spectators
perceive parallels between their own context and that of the Tudors, or were they drawn to these
plots primarily for their exoticism and sensationalism? A central section of the paper places
Donizetti’s three operas in the broader context of dramatic representations of the Tudors, drawing
out dramatic and musical conventions common to many of the operas. The paper’s conclusion
focuses on the musical depiction of the court, and of court intrigue and deception, in Maria Stuarda.
Mary Ann Smart è Gladyce Arata Terrill Professor of Music presso la University of California,
Berkeley. Ha pubblicato il libro Mimomania: Music and Gesture in Nineteenth-Century Opera
(University of California Press), ha curato l’edizione critica dell’ultima opera di Donizetti: Dom
Sébastien e ha scritto gli articoli su Bellini e Donizetti per la nuova edizione del Grove Dictionary
of Music and Musicians. Nel 2007 è stata insignita della Dent Medal dalla Royal Musical
Association. Il suo libro Waiting for Verdi: Opera and Political Opinion in Itlay, 1815-1848 sarà
stampato il prossimo anno da University of California Press e ha iniziato a lavorare a un nuovo
volume che studierà gli approcci alla messinscena dell’opera in Europa e nel Nord America a
partire dagli anni ‘60 del ‘900.
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FRANCA CELLA
Dai Convegni delle Celebrazioni a oggi: panoramica sugli studi donizettiani
14 anni ci separano dai convegni delle celebrazioni donizettiane 1997-98. Il biennio di ricorrenze fu
una festa di partecipazione internazionale, una mappa di luoghi che indagarono le testimonianze
della sua formazione, una fioritura tumultuosa di entusiasmi, idee, proposte e percorsi stimolanti.
Momento irrepetibile. Era la convergenza di un periodo e processo di fortuna donizettiana molto
attivo: dai fondamenti del primo centenario (1948) all’ebbrezza giovane del primo convegno
bergamasco (1975), dove una generazione di studiosi scalpitanti presentava l’avvio baldanzoso e
indaginoso di propri sentieri pionieristici, avviati in tempi di spostamenti e contatti ancora rari, di
materiali, documenti e fonti difficili da reperire, di microfilm e riproduzioni artigianali senza aiuto
informatico; col fenomeno parallelo della Donizetti rénaissance in teatro. Il convegno del ‘92 aveva
registrato una maturità di problematiche e metodi sull’evoluzione storica dell’opera applicabili
anche a Donizetti: le edizioni critiche, la filologia dei libretti, la pratica esecutiva, l’europeismo di
scelte e fortuna erano idee già in corsa. Cantieri aperti.
Al rigoglio delle celebrazioni (e pubblicazione degli atti relativi) è seguita una fase di studi
donizettiani riflessiva, di verifiche mirate. Idee in corsa diventano linee portanti, si affilano
sull’individualità specifica di Donizetti. È del 2001 il riconoscimento ufficiale dell’Edizione
Nazionale delle Opere di Gaetano Donizetti e da allora 9 opere si sono aggiunte alle 2 preesistenti, e
altre 2 di prossima pubblicazione. Il lavoro per l’edizione critica, che coinvolge e accentra al
proprio obiettivo di ricostruzione una griglia di informazioni, letture, fonti, tecniche esecutive,
riferimenti storici, sociali, di recezione ha contribuito a formare uno sguardo di multivisione dove
ogni competenza diventa strumento di ricerca intertestuale, ma scopre, nell’arricchimento, nuova
sicurezza specialistica.
Pochi libri di rivisitazione biografica. Le novità sono nella saggistica. Decisive le Premesse storiche
ad ogni edizione critica. Il processo compositivo (già avvistato in Rossini, fertile su Verdi) prende
slancio donizettiano col rinvenimento d’un abbozzo continuativo per Maria di Rohan. La
librettologia approda alla edizione genetico-evolutiva del libretto di Pia de’ Tolomei. Oltre alle
miscellanee mirate o legate a un’occasione, si segnalano due principali veicoli di saggi: i
programmi di sala dei teatri, e le università. Qui studiosi pilota organizzano corsi, laboratori,
seminari, chiamano a confronto studiosi internazionali, passano scintille d’entusiasmo agli studenti.
Tesi donizettiane sono state la partenza di attuali studiose come Chantal Cazaux o Hilary Poriss. Un
censimento a tappeto delle tesi specifiche assegnate nelle università italiane, europee, americane
sarebbe buon mezzo per misurare in questa fase l’interesse per Donizetti.
Laurea in Lettere classiche e dottorato sul teatro di Donizetti, Franca Cella ha collaborato come
critico musicale con quotidiani («Corriere della Sera» per dodici anni) e riviste («Musica Viva»,
«Opéra International» e, attualmente, «Amadeus»). Ha pubblicato saggi sul rapporto fra libretto
d’opera, narrativa e teatro di prosa in Europa; ha scritto programmi di sala e condotto trasmissioni
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radiofoniche; ha pubblicato numerose monografie critiche di interpreti. Collabora con l’Istituto
nazionale di studi verdiani per la pubblicazione dei carteggi. Dal 2003-2004 è stata docente di
Letteratura poetica e drammatica all’Accademia di perfezionamento per cantanti lirici del Teatro
alla Scala. Nel settembre 2010 ha ricevuto a Bergamo il Premio Donizetti.
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