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NOTA A CONSIGLIO DI STATO – QUARTA SEZIONE
SENTENZA 6 ottobre 2014, n. 4976
A cura di BARBARA FENNI
Sulla natura conformativa del vincolo a verde privato
Nella sentenza in commento la Quarta sezione del Consiglio di Stato afferma che il vincolo a
verde privato ha natura conformativa, in quanto integra una prescrizione che funzionalizza la
proprietà privata alla realizzazione di obiettivi generali di pianificazione del territorio, ai quali
non si addice una natura ablatoria o sostanzialmente espropriativa.
Trattandosi di vincolo conformativo, secondo i ben noti principi espressi nella sentenza n. 179
del 1999 della Corte costituzionale, l’apposizione di un vincolo a verde privato non produce
alcun effetto risarcitorio, né risulta suscettibile di indennizzo.
IL FATTO
Il proprietario di un’area, qualificata a seguito di una seconda variante al piano regolatore in
parte come bene storico-culturale ed in parte come verde privato, impugnava davanti al Tar la
relativa delibera ritenuta sotto diversi profili illegittima. Chiedeva altresì l’accertamento del
diritto a conseguire l’indennizzo, a fronte della reiterazione del vincolo espropriativo, e del
diritto ad ottenere il risarcimento del danno.
Nelle more del giudizio il Comune procedeva a revocare il contestato provvedimento e a
riapprovare una prima delibera, in cui l’area in oggetto veniva integralmente assoggettata a
verde privato, ed una seconda in cui si definivano i criteri di indennizzo per la reiterazione dei
vincoli espropriativi in zona F.
Tali provvedimenti, nella parte in cui assoggettavano a verde privato la proprietà del ricorrente e
limitavano l’indennizzo per la reiterazione dei vincoli espropriativi alle sole zone F, venivano
impugnati, per le stesse ragioni, con un secondo ricorso.
Un terzo ricorso, infine, veniva presentato nei confronti del decreto della Giunta regionale, di
approvazione della variante, e del parere del Comitato Tecnico Regionale.
1
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I tre ricorsi, ritenuti infondati, sono stati respinti dal giudice di primo grado.
Avverso tale decisione la parte soccombente proponeva appello al Consiglio di Stato,
lamentando, innanzitutto, l’omessa pronuncia da parte del Tar su tutta la domanda e, a seguire,
l’errata qualificazione del vincolo a verde privato come vincolo conformativo e non come a
carattere sostanzialmente espropriativo, pur comportando lo stesso una inedificabilità assoluta e
il divieto di qualsiasi modificazione.
LA QUESTIONE
Il Piano Regolatore Generale, inteso come lo strumento urbanistico “finalizzato(…)ad
assicurare la migliore composizione urbanistica dei singoli insediamenti ed ad indicare la
futura configurazione del territorio comunale”1, produce l’effetto di differenziare il regime dei
suoli ed il loro valore, in quanto contiene prescrizioni relative all’edificabilità o meno delle
varie zone territoriali.
Nel disegno originario della l. n. 1150 del 1942, il Piano regolatore avrebbe dovuto contenere
solo norme regolamentari di carattere programmatico, la cui attuazione era rimessa all’adozione
di piani particolareggiati2. Tuttavia, in seguito, “la dinamica sociale e quindi edilizia ha
richiesto di anticipare in alcuni casi al momento dell’approvazione del piano regolatore
generale specificazioni che in precedenza potevano(…)essere rinviate al piano attuativo”3. Da
qui la presenza in tale strumento urbanistico anche di prescrizioni immediatamente precettive
che determinano un effetto conformativo della proprietà.
La contemporanea presenza all’interno della disciplina del piano regolatore di prescrizioni
conformative del territorio e di prescrizioni conformative della proprietà è stata pure avallata
della giurisprudenza, secondo cui “l’introduzione nel PRG di norme specifiche non è in
contrasto né alla lettera della legislazione in materia che non prevede in linea di principio
alcun rigido riparto di competenze fra PRG e piani attuativi, i quali, specie in un comune di
modesta estensione, potrebbero anche mancare, né allo spirito della legislazione stessa che
configura il PRG come strumento non per attuare una astratta classificazione di aree, ma per
1
A. FIALE, Compendio di diritto urbanistico, IX ed., Edizioni Giuridiche Simone, 2013, p. 41. Sullo strumento
urbanistico del Piano Regolatore si veda, tra gli altri, L. MAZZAROLLI, I piani regolatori urbanistici nella teoria
giuridica della pianificazione, Padova, 1962; G. VIGNOCCHI-G. BERTI, Piani regolatori, in Novissimo Dig. It.,
Torino, 1968; E. PICOZZA, Il piano regolatore generale urbanistico, Padova, 1983.
2
Si parla, al riguardo, di prescrizioni conformative del territorio rivolte direttamente anche ai singoli proprietari, titolari
rispetto ad esse di interessi legittimi e non di diritti soggettivi. Sul punto si veda P. STELLA RICHTER, Profili
funzionali dell’urbanistica, Milano, 1984, p. 105 e ss.
3
P. STELLA RICHTER, Diritto urbanistico manuale breve, III ed., Giuffrè, 2014, p. 27.
2
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operare un ordinato sviluppo degli insediamenti sul territorio, funzionali alle esigenze di chi ci
vive”4.
Se la finalità della conformazione del territorio è quella di garantire un uso razionale dello
stesso, attraverso previsioni flessibili in grado di adeguare il progetto alle esigenze del tempo in
cui verrà realizzato e la distribuzione proporzionale tra i diversi proprietari coinvolti dei
vantaggi e degli oneri connessi alla scelta pianificatoria5, le prescrizioni puntuali del piano
regolatore e dei piani attuativi producono il vero e proprio effetto conformativo della proprietà,
ovvero circoscrivono i poteri del proprietario sul bene, sia per quanto concerne le possibilità di
trasformazione che di utilizzo cui sia legittimamente possibile destinarlo.
La proprietà privata, infatti, può subire limitazioni in conseguenza di vincoli imposti dalla
pubblica amministrazione di natura conformativa o espropriativa.
I vincoli conformativi si possono definire come limitazioni alla proprietà privata che incidono su
una pluralità di soggetti indifferenziati, per il semplice fatto che questi sono proprietari di terreni
che ricadono in una determinata zona o in funzione del rapporto con una specifica opera
pubblica6. Tali prescrizioni sono costituite dalla normale disciplina limitativa che regola
l’edificabilità del territorio e che consente “uno sfruttamento edificatorio differenziato e
naturalmente limitato secondo l’interesse pubblico, senza peraltro sopprimere interamente il
valore dell’area e si concretano nelle ordinarie prescrizioni e limitazioni architettoniche
(altezze, volume, superficie, distanze e quant’altro) e funzionali (usi ammessi)”7.
In generale, si tratta di vincoli che concernono i modi di godimento e di utilizzo del bene, in cui
la proprietà di questo resta in capo al privato. Si pensi, ad esempio, al vincolo di inedificabilità
relativo alla fascia di rispetto stradale, che concerne una pluralità di beni e soggetti ed esplica
una funzione di salvaguardia della circolazione, così pure a quelli concernenti le fasce di
rispetto relative alle ferrovie, agli aeroporti, ai cimiteri, agli alvei fluviali.
I vincoli conformativi si distinguono in vicoli ricognitivi ed in vincoli urbanistici non finalizzati
all’espropriazione.
Alla prima categoria si riferisce la sentenza della Corte costituzionale n. 56 del 1968, in cui si
afferma che i vincoli di carattere paesaggistico, essendo dichiarativi di una qualità preesistente
4
Tar Lombardia, Brescia, sez. I, n. 516 del 11 giugno 2007.
P. STELLA RICHTER, Diritto urbanistico manuale breve, op. cit., 2014, p. 30 e s.
6
Cons. St., sez. IV, 30 luglio 2012, n. 4321, in Foro amm., C.d.S., 2012, 7-8, p. 1907.
7
G. C. MENGOLI, Manuale di diritto urbanistico, Giuffrè, 2014, p. 182 e s.
5
3
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degli immobili, non hanno carattere espropriativo e pertanto non sono indennizzabili ai sensi
dell’art. 42, comma 3, della Costituzione8.
Si legge nella sentenza che “i beni immobili qualificati di bellezza naturale hanno valore
paesistico per una circostanza che dipende dalla loro localizzazione e dalla loro inserzione in
un complesso che ha in modo coessenziale le qualità indicate dalla legge. Costituiscono cioè
una categoria che originariamente è di interesse pubblico, e l'amministrazione, operando nei
modi descritti dalla legge rispetto ai beni che la compongono, non ne modifica la situazione
preesistente, ma acclara la corrispondenza delle concrete sue qualità alla prescrizione
normativa. Individua il bene che essenzialmente è soggetto al controllo amministrativo del suo
uso, in modo che si fissi in esso il contrassegno giuridico espresso dalla sua natura e il bene
assuma l'indice che ne rivela all'esterno le qualità; e in modo che sia specificata la maniera di
incidenza di tali qualità sull'uso del bene medesimo.
L'atto amministrativo svolge, vale a dire, una funzione che è correlativa ai caratteri propri dei
beni naturalmente paesistici e perciò non è accostabile ad un atto espropriativo: non pone in
moto, vale a dire, la garanzia di indennizzo apprestata dall'art. 42, terzo comma, della
Costituzione”.
In definitiva, osserva la dottrina, il presupposto da cui parte la Corte nella sentenza n. 56 del
1968 è che “il bene di interesse paesaggistico sia in ogni caso un bene originariamente
caratterizzato dalla inerenza di un interesse pubblico alla sua conservazione senza alterazioni,
che può essere oggetto di semplice attività ricognitiva, dichiarativa e quindi non costitutiva, di
tale sua caratteristica intrinseca”9.
Simili considerazioni valgono anche per i beni sottoposti a vincoli idrogeologici10, o ritenuti di
rilevante interesse culturale e pertanto sottoposti a vincoli artistici11, storici, archeologici12 o
etnografici.
8
In tal senso si veda pure Corte Cass., S.U., n. 11713 del 19 novembre 1998 in cui si afferma che i beni immobili
qualificati bellezza naturale costituiscono fin dall’origine una categoria di interesse pubblico per le particolari qualità
che li caratterizzano, sicché l’amministrazione quando impone dei vincoli paesistici non pone in essere un atto
costitutivo ma solo dichiarativo di una qualità già esistente.
9
P. STELLA RICHTER, Diritto urbanistico manuale breve, op. cit., 2014, p. 36.
10
M. A. SANDULLI, voce Boschi (Diritto amministrativo), in Enc. dir., vol. V, Milano, 1959, p. 628. Secondo
l’Autore il vincolo idrogeologico costituisce una limitazione intrinseca al diritto di proprietà che trova fondamento nel
carattere naturale del bene sul quale è apposto. I vincoli idrogeologici hanno dunque carattere conformativo. In tal senso
si veda pure V. DURANTE, Proprietà IV (terriera), in Enc. giur. Treccani, vol. XXV, Roma, 1991, p. 8 e ss.
11
Consiglio di Stato, sez. VI, n. 111 del 19 gennaio 2007.
12
Tar Puglia, Bari, sez. II, n. 3815 del 3 settembre 2002. Più recentemente Cons. St., sez. VI, n. 1553 del 17 marzo
2010.
4
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Parimenti conformativi sono i vincoli urbanistici non finalizzati all’espropriazione, come quelli
che imprimono una destinazione di contenuto specifico realizzabile sia ad iniziativa pubblica
che ad iniziativa privata13. Ad esempio, afferma la giurisprudenza, “allorquando sia realizzabile
ad iniziativa privata in alternativa all’iniziativa pubblica-onde la previa ablazione del bene
costituisce una mera eventualità-il vincolo di destinazione ad attrezzature ad uso collettivo non
può considerarsi di natura espropriativa(….). In tali casi, in altri termini, trattandosi di
previsioni che si limitano ad imporre una vocazione specifica a determinate porzioni di suolo,
vocazione attuabile a mezzo di opere di pubblico interesse-senza la necessità di vere e proprie
opere pubbliche-risulta ammissibile la loro realizzazione anche su iniziativa dei proprietari,
mentre non è indispensabile la previa espropriazione da parte dell’Amministrazione
pubblica”14.
Stessa conclusione nel caso in cui una determinata zona sia destinata ad impianti sportivi15, ad
edifici per attività sanitarie, alla realizzazione di un parco giochi, a verde attrezzato e a servizi
pubblici16, a verde privato17, a parcheggio pubblico18, a verde pubblico19. In questi, come in
altre simili ipotesi, non sussiste un vincolo preordinato all’espropriazione, in quanto la
destinazione impressa all’area è suscettibile di utilizzazione economica da parte del privato.
Diversamente dai vincoli conformativi, quelli espropriativi e di inedificabilità incidono su beni
determinati, non in base al fatto che gli stessi ricadono in una zona destinata ad uno specifico
uso, ma in conseguenza della localizzazione di un’opera pubblica, di per sé non compatibile con
la proprietà privata. Essi privano quasi interamente il valore di un’area a vocazione edificatoria.
E’ necessario, in altre parole, “distinguere fra destinazioni operate nell’ambito della
zonizzazione del territorio, che sono generali e riguardano tutte le aree aventi la medesima
allocazione topografica, e le localizzazioni di singole opere pubbliche, che invece impongono
un sacrificio individualizzato ad uno o più proprietari esattamente individuati. Può parlarsi di
vincoli espropriativi soltanto nel secondo caso, laddove la pianificazione urbanistica impone un
13
Art. 2, comma 203, della l. n. 662 del 23 dicembre 1996.
Tar Emilia Romagna, Parma, sez. I., 28 ottobre 2008, n. 409. Nello stesso senso Tar Campania, Salerno, sez. II, n.
5912 del 10 maggio 2010; Cons. St., sez. IV, 11 settembre 2012, n. 4820, in Foro amm. C.d.S., 2012, 9, p. 2282.
15
Cons. St., sez. IV, 11 settembre 2012, n. 4820, in Foro amm., C.d. S., 2012, 9, p. 2282. In senso contrario Cons. St.,
sez. IV, 17 luglio 2002, n. 3999, in Riv. giur. edil,, 2003, I, p. 244.
16
Cons. St., sez. V, 6 ottobre 2000, n. 5327. In relazione a tale qualificazione alcune perplessità sono espresse da P.
VIRGA, Natura ed effetti del vincolo di “verde attrezzato”, nota a Cons. St., n. 5327 del 2000, in Urbanistica e appalti,
2001, p. 320 e s.
17
Cons. St., sez.. IV, n. 2919 del 18 maggio 2012, in Foro amm., C.d.S., 2012, 5, p. 1180.
18
Tar Toscana, sez. I, n. 2012 del 21 giugno 2010. In senso critico si veda V. SALAMONE, I vincoli urbanistici
preordinati all’espropriazione per pubblica utilità, in www.giustizia-amministrativa.it.
19
Tar Sicilia, Catania, sez. I, n. 4239 del 27 ottobre 2010; Tar Veneto, sez. II, n. 2094 del 18 maggio 2010; Tar
Campania, Napoli, sez. VII, n. 1665 del 25 marzo 2010; Tar Lazio, Roma, sez. II-bis, n. 612 del 20 gennaio 2010.
14
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sacrificio individualizzato e localizzato, mentre quando il vincolo riguarda indistintamente
categorie generali di beni, anche se preluda ad una loro futura espropriazione, si ricade
nell’ambito della potestà conformativa”
20
.
Ora se è vero, come si accennava in apertura, che nel disegno originario della l. n. 1150 del
1942 il piano regolatore doveva contenere solo disposizioni programmatiche per lasciare ai
piani attuativi l’imposizione dei vincoli, nella prassi è frequentemente accaduto che sia stato lo
stesso piano regolatore a prevederli.
A differenza dei piani attuativi, il piano regolatore ha durata illimitata, ragion per cui,
potenzialmente, anche il vincolo in esso contenuto può seguire la stessa sorte e generare un
effetto sostanzialmente espropriativo in capo al privato che non ha il potere di edificarlo.
Di tale situazione ha preso atto la Corte costituzionale nella sentenza n. 55 del 1968 in cui si
legge: “Premesso che l'istituto della proprietà privata è garantito dalla Costituzione e regolato
dalla legge nei modi di acquisto, di godimento e nei limiti, la Corte ha osservato che tale
garanzia è menomata qualora singoli diritti, che all'istituto si ricollegano (naturalmente
secondo il regime di appartenenza dei beni configurato dalle norme in vigore), vengano
compressi o soppressi senza indennizzo, mediante atti di imposizione che, indipendentemente
dalla loro forma, conducano tanto ad una traslazione totale o parziale del diritto, quanto ad
uno svuotamento di rilevante entità ed incisività del suo contenuto, pur rimanendo intatta
l'appartenenza del diritto e la sottoposizione a tutti gli oneri, anche fiscali, riguardanti la
proprietà fondiaria. Anche tali atti vanno considerati di natura espropriativa”21.
Ciò chiarito, la sentenza dichiarava incostituzionali per contrasto con l’art. 42, comma 3, della
Costituzione le disposizioni della legge urbanistica che consentivano la destinazione senza limiti
di tempo ad esproprio delle aree destinate a fini pubblici, così pure l’inedificabilità derivante da
limitazioni di zona effettuate nel pubblico interesse22 .
Alla pronuncia della Corte costituzionale seguiva l’emanazione della l. n. 1187 del 1968, meglio
conosciuta come Legge tampone, in cui all’art. 2 si disponeva che i vincoli contenuti nei piani
regolatori avrebbero perso efficacia se nei cinque anni successivi alla loro approvazione non
fossero stati emanati i relativi piani attuativi23. L’efficacia di tali vincoli, in altre parole, non
20
F. LORENZOTTI, La reiterazione dei vincoli espropriativi, in www.diritto.it.
Corte cost., n. 55 del 29 maggio 1968, in Riv. giur. edil., 1968, I, p. 777.
22
La sentenza dichiara incostituzionali gli artt. 7, nn. 2, 3 e 4, e. 40 della l. n. 1150 del 17 agosto 1942.
23
V. PARISIO, Scadenza dei vincoli di inedificabilità ed integrazione del P.R.G.: una speranza remota?, in Riv. giur.
edil., 1989, I, p. 944; P. VIRGA, Conseguenze della decadenza dei vincoli di piano regolatore, in Nuova Rass., 1988, p.
21
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poteva superare il termine di attuazione dei piani particolareggiati o di lottizzazione
convenzionata.
A tale intervento sono susseguiti una serie di atti normativi che hanno di volta in volta prorogato
i vincoli già imposti24, fino ad arrivare alla Legge Bucalossi, la n. 10 del 1977, che ha disposto il
passaggio dello ius aedificandi dal privato all’amministrazione.
In altre parole, “l’ordinamento non riconosceva più un diritto di edificazione come contenuto
normale della proprietà e che alla P.A. erano demandate l’attribuzione o la negazione di tale
diritto. I vincoli di inedificabilità posti dagli strumenti urbanistici non potevano, dunque,
considerarsi ablatori”25.
Il dato normativo veniva presto smentito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 5 del 1980
in cui si dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 14 della l. n. 10 del 1977 e si
riconosceva come il diritto di edificare continuasse ad inerire alla proprietà.
Nella successiva pronuncia n. 92 del 1982 la Consulta sosteneva che la Legge Bucalossi non
aveva regolamentato la materia dei vincoli, alla quale continuava a trovare applicazione la
disciplina contenuta nella l. n. 1187 del 1968 e, dunque, il principio della temporaneità degli
stessi ed il diritto a percepire l’indennizzo solo nei casi di loro indeterminatezza temporale.
La temporaneità del vincolo non era incompatibile con la sua reiterazione. Sempre la Corte
costituzionale precisava nella sentenza n. 575 del 1989 che entro cinque anni dall’approvazione
del piano regolatore l’amministrazione, se necessario, poteva reiterare il vincolo con una
variante o direttamente con un nuovo strumento urbanistico, fornendone adeguata motivazione e
a condizione che tale reiterazione non superasse il termine massimo di quindici anni.
In definitiva, alla scadenza dei cinque anni, decorrenti dall’approvazione del piano regolatore,
l’amministrazione o reiterava il vincolo o procedeva ad adottare i piani attuativi; in ogni caso
decorsi ulteriori dieci anni il vincolo perdeva efficacia ed il privato andava indennizzato, in
quanto destinatario di una espropriazione nascosta dietro le vesti di un atto conformativo26.
La brevità del termine di durata del vincolo espropriativo e di inedificabilità, fissato in cinque
anni, unitamente alla quantità eccessiva di terreni soggetti a vincoli per finalità pubbliche,
100; M. BRANCA, I vincoli urbanistici nella recente giurisprudenza costituzionale e amministrativa, in Giur. cost.,
1984, I, p. 1785.
24
Il riferimento è alla l. n. 756 del 1973, al D.L. 29 novembre 1975, n. 562 e al D.L. n. 781 del 26 novembre 1976.
25
A. FIALE, Compendio di diritto urbanistico, op. cit, 2013, p. 54.
26
Cass. civ., 13 maggio 1986, n. 3169.
7
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spesso basati su standard troppo elevati e pertanto difficilmente realizzabili, avevano
determinato spesso la loro reiterazione.
L’esigenza di coniugare la reiterabilità dei vincoli con quella di garantire la corresponsione di
un indennizzo, laddove tale reiterazione si fosse di fatto tradotta in una sostanziale
espropriazione, ha posto le basi per un nuovo e risolutivo intervento della Corte costituzionale.
Nella sentenza n. 179 del 1999 la Consulta dichiara incostituzionali gli artt. 7, nn. 2, 3 e 4 e 40
della l. n. 1150/1942 e l’art. 2, comma 1, della l. 1187/1968, nella parte in cui consentono alla
pubblica amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici preordinati all’espropriazione o
determinanti una sostanziale inedificabilità senza la previsione di alcun indennizzo27.
Si legge, infatti, nella sentenza che “la reiterazione in via amministrativa degli anzidetti vincoli
decaduti (preordinati all'espropriazione o con carattere sostanzialmente espropriativo), ovvero
la proroga in via legislativa(…)non sono fenomeni di per sé inammissibili dal punto di vista
costituzionale. Infatti possono esistere ragioni giustificative accertate attraverso una
valutazione procedimentale(con adeguata motivazione)dell’amministrazione preposta alla
gestione del territorio(…). Invece, assumono certamente carattere patologico quando vi sia una
indefinita reiterazione o una proroga sine die o all’infinito(…),o quando il limite temporale sia
indeterminato, cioè non sia certo,(…)”.
La legittima reiterazione del vincolo determina comunque la nascita di un obbligo indennitario.
Tale obbligo, precisa la Corte, “deve sorgere una volta superato il primo periodo di ordinaria
durata temporanea (a sua volta preceduto da un periodo di regime di salvaguardia) del vincolo
(o di proroga per legge in regime transitorio), quale determinata dal legislatore entro limiti non
irragionevoli, come indice della normale sopportabilità del peso gravante in modo particolare
sul singolo, qualora non sia intervenuta l’espropriazione ovvero non siano approvati i piani
attuativi”.
In altre parole, se è vero, come dice la Consulta, che “il potere della pubblica amministrazione
di programmazione urbanistica e di realizzazione dei progetti relativi alle esigenze generali
(…)non si può consumare per il semplice fatto della scadenza dei termini di durata dei vincoli
urbanistici innanzi delimitati, ove persistano o sopravvengano situazioni che ne impongano la
27
Corte cost., n. 179 del 1999, in Riv. giur. edil., 1999, I, p. 636. Per un commento alla sentenza si veda, tra gli altri, G.
DE MARZO, Reiterazione dei vincoli di inedificabilità e indennizzo, in Giur. it., 1999, p. 2155; V. MAZZARELLI,
Reiterazione dei vincoli urbanistici decaduti e indennizzo, in Giorn. dir. amm., 1999; A. LIGUORI, Vincoli di
inedificabilità tra potere di reiterazione ed indennizzo, in Urbanistica e appalti, 1999, p. 715; S. CIVITARESE
MATTEUCCI, La reiterazione dei vincoli urbanistici decaduti come misure “sostanzialmente espropriative”, in
Regioni, 1999, p. 812.
8
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realizzazione anche se per differenti finalità”, è altrettanto vero che “negli anzidetti casi, la
mancata previsione di qualsiasi indennizzo si pone in contrasto con i principi costituzionali
ricavabili dall’art. 42, terzo comma, della Costituzione, e di conseguenza ne deve essere
dichiarata l’illegittimità costituzionale”.
Non sono, invece, passibili di indennizzo, “ i vincoli incidenti con carattere di generalità e in
modo obiettivo su intere categorie di beni-ivi compresi i vincoli ambientali-paesistici-, i vincoli
derivanti da limiti non ablatori posti normalmente nella pianificazione urbanistica, i vincoli
comunque estesi derivanti da destinazioni realizzabili anche attraverso l'iniziativa privata in
regime di economia di mercato, i vincoli che non superano sotto il profilo quantitativo la
normale tollerabilità e i vincoli non eccedenti la durata (periodo di franchigia) ritenuta
ragionevolmente sopportabile”.
La materia è oggi disciplinata dal d. P.R. n. 327/2001 che ha raccordato le norme in materia di
espropriazione con quelle relative alla pianificazione urbanistica28.
L’art. 9 del d. P.R. n. 327/2001 ha previsto la decadenza del vincolo preordinato all’esproprio
nel caso in cui l’amministrazione non proceda nei successivi cinque anni a dichiarare la
pubblica utilità dell’opera, ovvero ad approvarne il progetto definitivo ai sensi dell’art. 12 del
T.U. Es. Il termine di cinque anni decorre dalla data di approvazione del Piano urbanistico
generale o di una sua variante che prevede la realizzazione di un’opera pubblica o di pubblica
utilità.
Al vincolo con finalità espropriativa è equiparato quello di inedificabilità non preordinato
all’esproprio, considerato che l’art. 39 del Testo Unico sull’espropriazione cita tra i vincoli
reiterabili e dunque indennizzabili anche quelli sostanzialmente espropriativi.
28
E’ opportuno precisare che la nuova disciplina risente del contributo giurisprudenziale della Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo, intervenuta dapprima in materia di occupazione acquisitiva e poi sul tema dell’indennità di espropriazione.
In materia di occupazione acquisitiva o espropriazione indiretta si ricorda la sentenza Elia s.r.l c. Italia, del 2 agosto
2001, in cui la Corte afferma che un vincolo di inedificabilità mantenuto dopo la sua scadenza e successivamente
rinnovato per un periodo complessivo di trentatré anni dalla sua imposizione viola il diritto di proprietà tutelato dell’art.
1 del protocollo n. 1 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Ancora nella sentenza Sordino c. Italia del 15
luglio 2004 si riconosce come l’impedimento di costruire perpetrato per trent’anni ha compromesso gravemente il pieno
godimento del diritto di proprietà, al punto da giustificare il riconoscimento alla parte ricorrente del diritto al
risarcimento dei danni morali.
In dottrina si veda R. INVERNIZZI, Reiterazione dei vincoli scaduti e indennizzo: teoria (italiana) e pratica (europea),
in Riv. giur. edil., 2005, 3, p. 689; E. MARTINETTI, La reiterazione di vincoli urbanistici senza indennizzo al vaglio
critico della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in Riv. giur. urb., 2006, 1-2, p. 21.
9
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La decadenza del vincolo, non seguita dalla sua reiterazione, fa sorgere da subito in capo al
comune l’obbligo di provvedere alla nuova pianificazione di tali aree, denominate zone
bianche29.
L’edificabilità di tali aree è comunque limitata, trovando applicazione la disciplina dell’art. 9
del Testo Unico dell’edilizia relativo ai comuni sprovvisti di strumenti urbanistici generali. La
norma legittima esclusivamente gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di
restauro, di risanamento conservativo, purché concernenti singole unità immobiliari o parti di
esse e, al di fuori del centro abitato, interventi di nuova edificazione nel limite della densità
massima fondiaria di 0,03 metri cubi ogni metro quadro. Infine, se si tratta di interventi
produttivi, la superficie coperta non può in ogni caso superare un decimo dell’area di proprietà.
Tale previsione si spiega, secondo la dottrina, per il fatto che “ a differenza dell’annullamento
che elimina retroattivamente la prescrizione facendo così rivivere quella precedente, la
decadenza opera ex nunc su di un vincolo che per cinque anni è stato legittimamente operante;
ciò fa sì che l’originario effetto di eliminare, sostituendola, la precedente previsione di piano
rimane fermo, senza possibilità di far rivivere alcunché”30.
Tra l’altro, afferma la giurisprudenza31, è importante distinguere l’annullamento del vincolo
contenuto in una variante allo strumento urbanistico, che in questo caso tornerà a rivivere nel
contenuto anteriore alla variante, dall’annullamento che riguarda una parte di uno strumento
urbanistico generale. In quest’ultimo caso, infatti, l’area sarà qualificata come zona bianca fino
al nuovo intervento pianificatorio del comune.
Se alla scadenza del termine quinquennale l’amministrazione necessita di reiterare il vincolo
deve, ai sensi del comma 4 dell’art. 9 del d. P.R. n. 380/2001, rinnovare la procedura di
imposizione del vincolo tenendo conto delle esigenze di soddisfacimento degli standards,
fornire un’adeguata e specifica motivazione per giustificare la reiterazione, indennizzare il
proprietario dell’area assoggettata di nuovo al vincolo32, accantonando la somma a ciò
necessaria.
29
S. FANTINI, Considerazioni sull’obbligo di provvedere alla (ri)pianificazione urbanistica e sulla discrezionalità nel
quid (nota a T.A.R. Veneto, sez. I, 21 febbraio 2005, n. 723), in Urbanistica e appalti, 2005, p. 962.
30
P. STELLA RICHTER, Diritto urbanistico manuale breve, op. cit., 2014, p. 39.
31
Tar Sardegna, Cagliari, sez. II, 12 aprile 2011, n. 340, in Foro amm. T.A.R., 2011, 4, p. 1442.
32
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nella sentenza n. 24 del 22 dicembre 1999, ha precisato che il
provvedimento con cui il Comune reitera il vincolo preordinato all’esproprio deve contenere la previsione generica
dell’indennizzo e non anche la specifica determinazione delle spese necessarie all’espropriazione e dei possibili mezzi
di copertura.
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LA DECISIONE
In prima battuta il Consiglio di Stato affronta la questione relativa al supposto vizio in cui
sarebbe incorso il giudice di primo grado nel momento in cui non si è pronunciato sul secondo
motivo di ricorso, proposto contro la delibera consiliare di adozione della seconda variante al
P.R.G.
L’infondatezza di tale doglianza, afferma il Collegio, è predicabile almeno per tre ordini di
ragioni.
In primo luogo si osserva come l’atto contestato sia stato successivamente revocato dal comune
e sostituito da altre determinazioni sicché, a rigore, l’appellante avrebbe potuto contestare la
mancata dichiarazione da parte del Tar dell’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza
di interesse.
Il perdurante interesse vantato dall’appellante alla definizione della contestazione a suo tempo
avanzata, in conseguenza degli effetti pregiudizievoli prodotti dal provvedimento, non appare
degno di nota. Premesso che il provvedimento di revoca è intervenuto in un lasso di tempo
piuttosto breve e, quindi difficilmente in grado di produrre effettivi pregiudizievoli di rilevante
entità, si osserva come il danno economico lamentato dalla parte sia stato “genericamente
dedotto, senza che siano stati forniti elementi in ordine alla sussistenza di un danno risarcibile
collegato ad un deprezzamento del valore del terreno del tutto indimostrato, con un pregiudizio
configurato solo in via ipotetica”.
Infine, osserva il Collegio, anche laddove la doglianza di natura procedurale fosse accolta, ciò
non si tradurrebbe automaticamente nel riconoscimento di un diritto al risarcimento del danno,
“non sussistendo un rapporto di automaticità tra dichiarazione di illegittimità(…)e la
produzione di una danno ingiusto suscettibile di risarcimento(…)”.
Sul punto la giurisprudenza è assolutamente consolidata33.
Chiarita così l’irrilevanza del primo motivo di ricorso, il Collegio passa ad esaminare la
principale questione di diritto sottoposta al suo esame, costituita dalla natura giuridica del
vincolo di destinazione a verde privato.
33
Cons. St., sez. V, n. 798 del 17 febbraio 2013; Cons. St., sez. VI, n. 5935 del 11 dicembre 2013. Oltre a tali pronunce,
espressamente richiamate nella sentenza in commento, si ricorda anche Cons. St., sez. IV, n. 3266 del 13 giugno 2013;
Cons. St., sez. V, n. 1196 del 30 giugno 2011. In dottrina si veda, tra gli altri, R. GIOVAGNOLI, Il risarcimento del
danno da provvedimento illegittimo, Giuffré, 2010; C. VOLPE, La responsabilità della pubblica amministrazione per
illegittimo esercizio dell’attività amministrativa, in www.giustizia-amministrativa.it; F. CARINGELLA, Risarcimento
del danno e processo amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it.
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Nello specifico si tratta di chiarire se il potere del comune di destinare talune aree a verde
privato si traduca nell’imposizione di un vincolo conformativo o in uno avente carattere
sostanzialmente espropriativo, come tale passibile di indennizzo.
A tal fine i giudici di Palazzo Spada richiamano la ben nota sentenza della Corte costituzionale
n. 179 del 1999 che, come già evidenziato in precedenza, aveva dichiarato l’illegittimità
costituzionale del combinato disposto degli artt. 7, nn. 2, 3, 4, 40 della l. n. 1150 del 1942 e
dell’art. 2, comma 1, della l. n. 1187 del 1968 che consentivano all’amministrazione di reiterare
i vincoli urbanistici scaduti preordinati all’espropriazione o comportanti inedificabilità senza
l’obbligo di corrispondere un indennizzo.
Secondo la sentenza della Corte costituzionale cinque sono le categorie di vincoli urbanistici per
i quali non sussiste obbligo di indennizzo, ovvero quelli che incidono “con carattere di
generalità e in modo obiettivo su intere categorie di beni-ivi compresi i vincoli ambientalipaesistici, i vincoli derivanti da limiti non ablatori posti normalmente nella pianificazione
urbanistica, i vincoli comunque estesi derivanti da destinazioni realizzabili anche attraverso
l’iniziativa privata in regime di economia di mercato, i vincoli che non superano sotto il profilo
quantitativo la normale tollerabilità e i vincoli non eccedenti al durata (periodo di franchigia)
ritenuta ragionevolmente sopportabile”.
Vanno diversamente indennizzati, alla scadenza quinquennale, i vincoli preordinati all’esproprio
o sostanzialmente espropriativi, quelli che superano la durata non irragionevole e non arbitraria,
ove non si proceda con l’approvazione dei piani esecutivi ed, infine, i vincoli che superano
quantitativamente la normale tollerabilità.
Per quanto concerne i vincoli espropriativi, sostanzialmente espropriativi o che comportano
comunque inedificabilità il Consiglio di Stato richiama a titolo esemplificativo una serie di
sentenze34 in cui la giurisprudenza ha pacificamente riconosciuto come sia tale solo quel vincolo
che svuoti il contenuto del diritto di proprietà, limitandone il godimento al punto da renderlo
inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale, o che ne riduca sensibilmente il valore di
scambio35.
34
Cons. St., sez. IV, n. 8531 del 3 dicembre 2010; Cons. St., sez. IV, n. 9772 del 23 dicembre 2010; Cons. St., sez. V, n.
2116 del 13 aprile 2012.
35
In tale senso si veda pure Cons. St., sez. IV, n. 5490 del 10 agosto 2004; Cons. St., sez. IV, 27 dicembre 2011, n.
6814.Nella sentenza della Corte costituzionale n. 6 del 1993, ad esempio, si afferma come l’imposizione di una servitù
militare, sebbene non determini il trasferimento coattivo del bene dal proprietario all’amministrazione, traducendosi nel
divieto per il titolare di coltivare l’area e, quindi, di utilizzarla, priva di contenuto il suo diritto di proprietà.
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Al di fuori di queste ipotesi, le prescrizioni contenute negli strumenti di pianificazione, previste
allo scopo di consentire un ordinato sviluppo e sfruttamento del territorio, hanno carattere
conformativo. Tali vincoli risultano connaturati alla proprietà, riguardano una pluralità di beni
omogenei “in funzione di un esigenza di pubblico interesse di programmazione dello sviluppo
urbanistico del territorio e non decadono”36.
A tale categoria appartiene, secondo il Consiglio di Stato, il vincolo a verde privato. Tale
vincolo, si legge nella sentenza, “deve farsi rientrare tra quelle prescrizioni che regolano la
proprietà privata alla realizzazione di obiettivi generali di pianificazione del territorio ai quali
non può attribuirsi una natura ablatoria e/o sostanzialmente espropriativa”37.
Rispetto al vincolo a verde privato, nella sentenza già citata del Tar Friuli Venezia Giulia, n.
933 del 22 dicembre 2001, si affermava che “tutti gli altri vincoli di inedificabilità, che non
siano preordinati all'espropriazione e che consentano al titolare del bene di utilizzarlo in
qualche modo(compreso il vincolo a verde privato, (…)) non costituiscono altro che espressione
del potere di pianificazione, cioè del potere della Autorità urbanistica di zonizzare il territorio
comunale, al fine di programmare l'ordinato sviluppo delle aree abitate e di salvaguardare i
valori urbanistici e ambientali esistenti”.
D’altra parte, osserva la dottrina38, il potere conformativo dell’autorità comunale, in sede di
pianificazione del territorio, di destinare alcune aree a verde privato è ipotesi diversa da quella
disciplinata dall’art. 25 della l. n. 1150 del 1942 che consente al comune, rispetto ad una
specifica area edificabile, di prevedere un indice di inedificabilità, a tutela delle aree verdi
all’interno dell’abitato, superiore a quello previsto in via generale per quella particolare zona
omogenea39; in quest’ultimo caso, infatti, il vincolo deve essere qualificato come
sostanzialmente espropriativo ai sensi dell’art. 39 del T.U. Es.
36
F. LORENZOTTI, La reiterazione dei vincoli espropriativi, in www.diritto.it.
Sul punto la sentenza in commento richiama espressamente la pronuncia del Consiglio di Stato, n. 4242 del 13 luglio
2011, sez. IV, in cui si afferma che il vincolo a verde pubblico non ha carattere espropriativo ma conformativo e come
tale non decade e non è indennizzabile, e la sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, n. 244 del 19 gennaio 2012 in cui si
riconosce come “la destinazione ad attrezzature ricreative, sportive, e a verde pubblico, ecc. data dal piano regolatore
ad aree di proprietà privata, non comporta l'imposizione sulle stesse di un vincolo espropriativo, ma solo di un vincolo
conformativo, che è funzionale all'interesse pubblico generale conseguente alla zonizzazione, effettuata dallo strumento
urbanistico, che definisce i caratteri generali dell'edificabilità in ciascuna delle zone in cui è suddiviso il territorio
comunale”. Tali sentenze, sebbene non citino esplicitamente il vincolo a verde privato, sono espressione di principi
certamente applicabili anche a questo tipo di limitazione.
38
G. C. MENGOLI, Manuale di diritto urbanistico, op. cit., 2014, p. 198.
39
In giurisprudenza si veda Cons. St., sez. IV, n. 2919 del 18 maggio 2012; Cons. St., sez. IV, n. 9372 del 23 dicembre
2010; Tar Puglia, Lecce, sez. I, n. 1417 del 31 marzo 2003, in Foro amm., 2003, p. 1067.
37
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In conclusione, si legge, “non può dunque attribuirsi alla destinazione di verde privato(…)la
natura di vincolo a contenuto sostanzialmente espropriativo con la conseguenza che, in
mancanza di una limitazione alla proprietà privata intesa sia come disponibilità che
utilizzazione del bene, è impossibile far derivare dalla anzidetta destinazione urbanistica un
effetto risarcitorio e neppure, in via subordinata, l’insorgenza di un diritto alla indennizzabilità,
situazioni soggettive di ristoro economico configurabili unicamente in presenza di un vincolo
ablatorio o limitativo dei diritti dominicali”.
L’appello viene dunque respinto e la sentenza emessa dal Tar pienamente confermata.
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