otorinolaringoiatria, prof. CONTI 11apriLe2oo8 9.3o-10.3o AUDIOLOGIA L’altra volta abbiamo visto quali sono i presupposti anatomici del funzionamento del sistema uditivo per quanto riguarda la periferia uditiva. Dobbiamo completare questi aspetti e poi entriamo nel merito dei metodi della diagnosi audiologica. La propagazione delle onde meccaniche è compito che spetta soprattutto alle strutture dell’orecchio esterno e medio: a livello della finestra ovale questa energia viene ceduta ai liquidi labirintici, la perilinfa riceve queste onde meccaniche vibratorie e le trasmette a sua volta, grazie al gioco delle finestre, alle strutture del labirinto membranoso. A questo punto la coclea, che possiamo immaginare distesa come una fettuccia, viene deformata. La coclea accoglie le strutture sensoriali, quindi fino a questo punto il trasferimento delle onde vibratorie è un meccanismo di tipo meccanico (onde elastiche che propagano la loro energia attraverso un mezzo di trasmissione). Il mezzo di trasmissione delle onde era l’aria e diventa un liquido: questo implica un’impedenza nel trasferimento dell’energia, che dall’aria al liquido è molto maggiore. Questa dispersione di energia viene rimediata dal meccanismo di guadagno che si determina a livello dell’orecchio medio: abbiamo visto che si attua un guadagno di circa 40 dB. COCLEA Le deformazioni interessano la partizione cocleare: se immaginiamo la coclea distesa vediamo che a livello della base la partizione cocleare è decisamente più stretta (1/10) rispetto a quanto è ampia a livello dell’apice della coclea. Questo significa che passando dalla base all’apice aumenta la massa della partizione cocleare e diminuisce la rigidità. Questi aspetti meccanici determinano la capacità della coclea di vibrare quando sollecitata da un’energia meccanica. L’ampiezza delle vibrazioni sarà massima per le frequenze alte nella porzione basale e massima per le frequenze medio-gravi nelle porzioni apicali della coclea. Questo è il presupposto della capacità di analisi spettrale o di frequenza che è propria della coclea. La capacità di detezione dell’ampiezza dello stimolo sonoro è molto semplicemente determinata dall’ampiezza delle vibrazioni della partizione cocleare. Avvenuta questa scomposizione del segnale sonoro, la coclea opera un’analisi del segnale in maniera istantanea e decodifica queste informazioni trasferendole alla via nervosa afferente (in particolare a livello della giunzione cito-neurale tra cellule sensoriali cocleari e sinapsi del primo neurone afferente della via uditiva, il cui ganglio è accolto nel ganglio spirale del Corti contenuto nello spessore del modiolo). 1 In una sezione del labirinto membranoso della coclea noi distinguiamo gli spazi perilinfatici, la rampa vestibolare e la rampa timpanica, che hanno rapporti rispettivamente all’origine con la finestra ovale e con la finestra rotonda; in mezzo il labirinto membranoso è colmato da endolinfa e sulla membrana basilare accoglie la partizione cocleare, con tutta una serie di elementi cellulari, che sono cellule di supporto, cellule ciliate interne ed esterne. Voi ricorderete dalla fisiologia tradizionale una doppia popolazione di elementi cellulari sensoriali cocleari, le interne e le esterne, con compiti diversi. Da almeno 10 anni a questa parte si sa che le cose non stanno esattamente così. Le cellule ciliate interne hanno caratteristiche strutturali completamente diverse dalle cellule ciliate esterne. Anche da un punto di vista della struttura in generale della coclea le differenze sono molto sensibili, perché le cellule ciliate interne, che sono disposte su una singola fila, si connettono con la stragrande maggioranza dei neuroni afferenti: il 95% almeno delle fibre afferenti prende connessione con la relativamente piccola popolazione delle cellule ciliate interne. Le cellule ciliate esterne, in realtà, ricevono soprattutto delle afferenze che dal centro del sistema nervoso uditivo arrivano alla periferia: questo le rende meno probabile come elementi sensoriali. Quando arrivano le onde viaggianti, che deformano il labirinto membranoso e quindi la partizione cocleare, questa deformazione nelle singole porzioni corrisponde a una deformazione verso il basso o verso l’alto (viste in sezione). Se la membrana basilare si flette in basso o in alto si determina un meccanismo a cesoia tra membrana basilare (che accoglie gli elementi sensoriali) e membrana tectoria (che è adagiata sulla porzione sottostante). Questo meccanismo a cesoia è il presupposto per l’eccitazione delle cellule ciliate. Le cellule ciliate interne sono di fatto gli elementi sensoriali, mentre le cellule ciliate esterne sono elementi contrattili. L’attività contrattile delle cellule ciliate esterne si trasmette alle ciglia delle stesse e fa sì che i rapporti tra le cellule ciliate interne e la membrana tectoria vengano modulati (in pratica si modifica la distanza tra le cellule ciliate interne e la membrana tectoria). Ricorderete abbastanza bene dalla fisica che se a parità di flusso noi riduciamo il calibro al punto di passaggio del fluido, la velocità aumenta: il fatto che gli spazi tra la membrana tectoria e la membrana basilare vengano ridotti dall’attività contrattile delle cellule ciliate esterne, determina, per le flessioni e deflessioni della membrana tectoria, che gli stimoli sonori vengano amplificati. Quindi le cellule ciliate esterne sono un sistema di amplificazione degli spostamenti della membrana basilare. L’attività contrattile delle cellule ciliate esterne, che può essere spontanea o determinata da stimoli sonori, può essere registrata dall’esterno come un fenomeno meccanico. Se questo fenomeno meccanico esiste noi dobbiamo registrare attività contrattile con un sistema di rilievo delle cosiddette oto-emissioni acustiche. Queste sono prodotte dall’attività contrattile delle cellule ciliate esterne e sono registrabili dall’orecchio sollecitato da uno stimolo sonoro. 2 Curva di sintonia: questo diagramma rappresenta, per le diverse frequenze, la capacità di attivazione delle cellule ciliate interne. Ad ogni frequenza corrisponde un livello di energia sonora specifico per eccitare con la massima sensibilità una certa porzione della coclea. A bassi livelli di frequenza è sufficiente un’intensità minima del segnale per attivare le cellule sensoriali e di conseguenza le fibre del nervo; man mano che ci allontaniamo da una certa porzione della coclea modifichiamo la frequenza e sarà necessaria un’intensità maggiore dello stimolo. Questo ci indica che le diverse porzioni della coclea vengono attivate da determinati suoni, ma sono attivabili anche da stimoli sonori che siano un pochino diversi come frequenza; ogni unità sensoriale e neurale ha però una frequenza per cui ha la massima sensibilità.. Questa massima sensibilità di una certa porzione della coclea è garantita dall’attività contrattile delle cellule ciliate esterne! Ne deriva che, anche se le cellule ciliate esterne non sono elementi sensoriali, un danno delle stesse comunque si traduce in una perdita di sensibilità. La perdita di sensibilità uditiva si denomina ipoacusia. Un danno delle cellule ciliate esterne quindi, prima ancora che abbia coinvolto le cellule ciliate interne, è in grado di determinare un’ipoacusia fino a un certo livello, oltre il quale le cellule ciliate interne potranno essere attivate anche senza il contributo delle esterne (a costo di una minore capacità di discriminazione in frequenza, quadro tipico delle ipoacusie neurosensoriali) . Le informazioni analizzate dalla coclea vengono trasmesse alla via afferente: il primo neurone della via afferente ha il soma cellulare avvolto nel ganglio spirale e trasmette a sua volta le informazioni al tronco encefalico con la seconda porzione del nervo VIII (branca cocleare). A livello della coclea avviene la trasduzione di un fenomeno meccanico in energia elettrica, quindi nel codice di informazione per il sistema nervoso, attraverso la giunzione cito-neurale tra le cellule ciliate interne e il primo neurone della via afferente. La coclea avrà soprattutto delle prerogative di analisi dell’intensità, con una capacità di analisi, un Δi (soglia differenziale di intensità) dell’ordine di grandezza di 1dB, una capacità di analisi di frequenza, con una soglia differenziale di frequenza ΔF dello 0,2% e un’analisi temporale, con una capacità di distinguere distanze temporali tra uno stimolo e l’altro dell’ordine di grandezza di 1 msec. Di queste prerogative , che devono poi essere trasferite come informazioni alla via afferente, risente il sistema uditivo: nel momento in cui c’è un danno che riguarda le strutture dell’orecchio esterno, medio ed interno fino alla partizione cocleare si parla di ipoacusie trasmissive; se il danno avviene oltre la giunzione cito-neurale, si parla di ipoacusie neurosensoriali (dalla coclea in su). VIA AFFERENTE UDITIVA Dalla coclea in su c’è la via afferente, che ha un primo elemento, il protoneurone della via afferente sensoriale, che è quello il cui soma sta nel ganglio spirale del Corti; questo si articola con i nuclei cocleari, dai quali origina il secondo neurone della via afferente; a questo punto si decussano le vie afferenti nella regione del complesso olivare del corpo trapezoide, per dare luogo alla via ascendente 3 (il lemnisco laterale), che raggiunge poi il collicolo inferiore (importante stazione di relay) e poi raggiunge omolateralmente il corpo genicolato mediale, che rappresenta la porzione uditiva del talamo; le radiazioni uditive propriamente dette si estendono quindi cranialmente per raggiungere l’area uditiva primaria che sta nel lobo temporale; da questa poi originano connessioni complesse con le aree uditive secondarie e con le aree uditive delle regioni parietali, essendo le informazioni uditive soprattutto in rapporto con le proprietà di analisi e di decodifica dei messaggi verbali e quindi del linguaggio. Oltre alla via descritta, che decussa controlateralmente (come avviene praticamente in tutti i sistemi sensitivi e sensoriali), esistono delle vie ipsilaterali ascendenti ed è giusto tener presente che esistono dei sistemi lemniscali e dei sistemi extra-lemniscali. Si dice che la via lemniscale sia pulita e lenta e la via extra-lemniscale sia sporca e rapida. Esiste anche un sistema ascendente le cui strutture sopra-tentoriali (telencefaliche) sono ben poche, ma che ha una struttura fondamentale nel complesso olivo-cocleare, che dal nucleo olivare si estende alla coclea e che è la via che determina la funzionalità degli elementi contrattili delle cellule ciliate esterne. In termini clinici quello che ci interessa di più è la sensibilità del sistema uditivo, quindi un aspetto tipicamente quantitativo. Alla sensibilità corrisponde la soglia uditiva, le cui alterazioni si definiscono ipoacusie. La sensibilità uditiva è determinata da molti fattori: lo stato dell’orecchio esterno, del condotto uditivo esterno, la membrana timpanica, la catena ossiculare, l’articolazione stapedoovalare, via via fino ad arrivare alle strutture sensoriali e neurali e alle strutture della via uditiva centrale. È giusto tener presente il fatto che nella progressione dell’afferenza dalla periferia uditiva verso le vie centrali si determina un progressivo arricchimento delle unità che costituiscono la via afferente: la cosiddetta ridondanza del sistema uditivo, prerogativa anche di tutti i sistemi afferenti sensitivi e sensoriali. Questo determina che, seppure vengano rispettate le prerogative di tonotopicità (capacità di analisi in frequenza), c’è una sorta di crescita a piramide con apice rivolto verso il basso, che fa sì che una lesione organica o funzionale del sistema uditivo sia, quanto più ci allontaniamo dalla periferia, meno probabilmente in grado di determinare una riduzione della sensibilità. Un’ipoacusia neurosensoriale da lesione del sistema uditivo centrale è quindi poco comune: una sordità centrale da lesione corticale è un’eventualità rara che merita una descrizione in letteratura, perché è assolutamente infrequente, pur essendo comuni in clinica le lesioni ischemiche o neoplastiche delle aree corticali temporali. METODI e OBIETTIVI DELLA DIAGNOSI AUDIOLOGICA Procedendo dalla periferia alle aree centrali abbiamo delle proprietà che si fanno via via più complesse da un punto di vista psicologico e percettivo. Se la periferia offre soprattutto un’analisi delle caratteristiche quantitative e spettrali e la loro codifica del messaggio sonoro, via via che ci estendiamo verso le porzioni centrali si sommano a queste proprietà, che però vengono tutelate dalla ridondanza del sistema uditivo centrale, elementi di analisi che fanno parte di meccanismi di processing, di 4 elaborazione dell’informazione sensoriale. Per esempio abbiamo proprietà di analisi bineurale, che sono caratteristiche del collicolo inferiore, proprietà di processing degli aspetti percettivi e cognitivi associati agli stimoli sonori, propri delle aree corticali. DIAGNOSI AUDIOLOGICA Definizione quantitativa: soglia auditiva discriminazione verbale Definizione Qualitativa: proprietà fisiologiche/ patologiche utili nella diagnosi differenziale di affezioni del sistema uditivo La definizione quantitativa e qualitativa va vista in due aspetti: uno è quello di quantificare e descrivere il danno da un punto di vista funzionale (ho un problema sensoriale e devo capire quali sono gli aspetti funzionali di questo danno sull’individuo); l’altro è quello di intendere un disturbo del sistema uditivo come il sintomo di un’affezione, che ha la sua rilevanza indipendentemente dagli aspetti funzionale (un paziente che ha un tumore dell’angolo ponto-cerebellare, al di là delle implicazioni funzionali, è un paziente che va diagnosticato e trattato perché rischia conseguenze anche gravi sulla sua salute). Metodi della valutazione diagnostica Procedure audiologiche: audiometria soggettiva audiometria obiettiva Procedure extra-audiologiche: test di laboratorio, test di biologia molecolare, analisi genetica, diagnostica per immagini, che integrano la valutazione audiologica. Le tecniche soggettive richiedono una partecipazione attiva volontaria del paziente, le tecniche di audiometria obiettiva non richiedono partecipazione attiva del paziente. Le tecniche dell’audiometria soggettiva comprendono: acumetria, che attualmente è quasi scomparsa: ad esempio lanciare una monetina per vedere se il ragazzo che non vuole fare il militare si gira e quindi svela la sua falsa sordità, oppure bisbigliare durante la visita per il rinnovo della patente (sono metodi molto grossolani); audiometria tonale liminare, volta a determinare la soglia audiometrica; audiometria tonale sopraliminare (si utilizza pochissimo); audiometria automatica (è praticamente scomparsa dall’uso clinico); audiometria vocale; audiometria infantile. Le tecniche di audiometria oggettiva si distinguono in: impedenzometria; audiometria a risposte elettriche; audiometria a risposte magnetiche; 5 oto-emissioni acustiche; imaging ( PET; SPET; RM funzionale). L’audiometria tonale liminare si basa sull’uso di un audiometro più o meno sofisticato, che è in grado di produrre dei toni puri per le diverse frequenze regolandone l’intensità e la modalità di somministrazione al paziente. È il test audiometrico per eccellenza. È rivolta a determinare la sensibilità uditiva di un paziente in un orecchio e nell’altro. Come si fa a quantificare la perdita uditiva? Con l’audiogramma tonale, che si ottiene con un diagramma che definisce, per le diverse frequenze, la sensibilità dell’udito aumentando l’energia sonora, espressa in N/m2. Queste unità di misura sono però poco maneggevoli, vengono allora convertite in una forma logaritmica la cui decima parte è il decibel. Si parla quindi di dB per definire l’entità di un suono: i decibel usati in audiologia clinica vengono anche definiti HL (hearing level). Nell’ascissa dell’audiogramma tonale troviamo una scala frequenze (che nella sensibilità dell’udito umano normale vanno da 20-20000 Hz) definite per ottave: definiamo delle frequenze campione che vanno da 125Hz fino a 8000-12000 Hz, che sono distanziate l’una dall’altra da un’ottava. La scala delle ampiezze sull’ordinata è espressa in dB, ma anch’essi sono scomodi perché in dB di pressione sonora la sensibilità va da 60 per le frequenze molto gravi a 0 per le frequenze centrali, quindi c’è una zona di massima sensibilità dell’udito che poi si perde per le frequenze più basse e più alte. Questa massima sensibilità, guarda caso, si colloca in quelle che sono le frequenze dove massima è l’energia del messaggio verbale (l’udito infatti serve all’uomo soprattutto per mantenere la comunicazione). Per semplificarlo, si inverte il diagramma e, anziché avere le relazioni che abbiamo nei diagrammi cartesiani con i valori minimi in basso, i valori minimi sono in alto e la crescita di ampiezza del segnale è verso il basso per le diverse frequenze. Dopodiché noi normalizziamo la curva da dB di pressione sonora a dB-HL, dove il livello di dB-HL è uguale a 0 indipendentemente dal livello di frequenza. Da questo punto gli incrementi di soglia vengono definiti a step di 5-10 dB in dB-HL. Abbiamo costruito così un audiogramma tonale, in cui possono essere rappresentate delle figurine che simboleggiano la distribuzione spettrale di tanti suoni familiari. IPOACUSIE Un’ipoacusia si può distinguere in vari modi, ad esempio in base alla sua entità: 0-20 dB-HL normoacusia 20-40 dB-HL ipoacusia lieve 40-55 dB-HL ipoacusia media 55-70 dB-HL ipoacusia medio-grave 70-90 Db-HL ipoacusia grave 6 oltre 90 Db-HL ipoacusia profonda Questa è una prima classificazione dell’ipoacusia, intendendo per essa una diminuzione della sensibilità uditiva , cioè un deterioramento della soglia uditiva rispetto alla normalità. Alla perdita di udito corrisponde una limitazione dell’udito e delle proprietà collegate ad esso. Questo concetto coincide con quello di IMPAIRMENT, che è il deficit sensoriale funzionale, a cui corrisponde una limitazione, disabilità, che va da un grado nullo in condizioni normali fino a difficoltà nell’apprezzare la voce umana pur in presenza di amplificazioni (protesizzazione acustica) come accade nell’ipoacusia profonda. Un altro modo per categorizzare le ipoacusie è per tipi: trasmissive neurosensoriali miste. Questa distinzione si opera con una procedura audiometrica molto semplice: mando lo stimolo sonoro per via aerea o in un campo libero o con un altoparlante o, se voglio studiare un orecchio, con l’auricolare di una cuffia, dove lo stimolo segue la via naturale di propagazione (orecchio esterno, timpano,catena ossiculare, etc…); oppure posso saltare l’orecchio esterno e medio e mandare stimoli sonori per vibrazione direttamente su un osso della teca cranica in regione mastoidea o temporale (in questo ultimo modo le onde sono trasportate direttamente alla coclea senza attraversare il sistema di trasduzione). Si parla quindi di audiometria aerea o ossea. Si possono confrontare le soglie ottenute con le 2 diverse vie riferendoci a degli standard che ci permettano di stabilire quale è il riferimento 0 normale. Dopo aver tarato gli strumenti, possiamo confrontare le soglie ottenute e distinguere le ipoacusie in trasmissive, neurosensoriali, miste. Le ipoacusie trasmissive sono quelle in cui la diminuzione della soglia uditiva è un problema che riguarda l’apparato di trasmissione (orecchio esterno fino alla finestra ovale). In questo caso osserverò un danno per via aerea e una preservazione della via ossea. Nelle ipoacusie neurosensoriali troverò un deficit sia per via aerea che per via ossea.. Non può esistere un’ipoacusia in cui la via ossea è peggiore della via aerea. Nelle ipoacusie miste la via aerea è più compromessa di quella ossea . Possiamo infine descrivere le ipoacusie come compromissione delle frequenze alte, medie o basse, per cui la morfologia dell’audiogramma sarà in discesa se c’è una perdita delle frequenze alte, sarà in salita quando il danno è per le frequenze gravi, sarà piatto o pantonale se riguarda tutte le frequenze, a “corda molle” quando riguarda solo le frequenze centrali. simona ronti 7