Psicologia dello sviluppo LO STUDIO DELLO SVILUPPO (1) NATURA E CAUSE DELLO SVILUPPO In generale ogni teoria dello sviluppo cerca sempre di rispondere a tre domande fondamentali: Qual è la natura del cambiamento che caratterizza lo sviluppo? (Quantitativa o qualitativa) Quali processi causano questo cambiamento? (fattori genetici o ambientali o un’interazione dei 2) Si tratta di un cambiamento continuo e graduale o discontinuo e improvviso? (Continuo = cambiam. di nat. quantitativa / discontinuo = qualitativa). I PRINCIPALI APPROCCI TEORICI ALLO STUDIO DELLO SVILUPPO Approccio comportamentistico: l’organismo è docile e plasmabile possiede una capacità illimitata di apprendimento il cambiamento è prodotto da cause ambientali il metodo ottimale è la sperimentazione e l’osservazione con il massimo di controllo (esperimento in laboratorio) si può sostenere che in questo approccio esiste una psico dell’apprendimento ma non dello sviluppo si può dividere in comportamentismo radicale (Skinner) e teoria dell’apprendimento sociale (Bandura) Approccio organismico: l’organismo è attivo e si autorganizza il cambiamento è la caratteristica primaria del comportamento il cambiamento è guidato da leggi regolative e risponde a principi organizzativi intrinseci il b. costruisce gradualmente la propria comprensione di Sé e del mondo attraverso un continuo interscambio con l’ambiente. il metodo ottimale è la sperimentazione e l’osservazione con un grado moderato di controllo la strategia di ricerca è evolutiva e induttiva Approccio psicoanalitico: l’organismo è simbolico e determinato dalla sua storia personale il cambiamento è l’esito di conflitti interni lo sviluppo è un cambiamento qualitativo e procede secondo stadi non si interessa alla ricostruzione delle cause e degli effetti del comportamento, ma alla storia personale degli individui e a cercarne i nessi significativi il metodo ottimale è l’osservazione col minimo di controllo (osservazione naturalistica)e l’osservazione della relazione osservatore – osservato Prospettive teoriche sullo sviluppo cognitivo Maturazionismo: la maturazione è il meccanismo che regola la comparsa delle nuove abilità lo sviluppo dovuto alla maturazione è indipendente dalla pratica e dall’esercizio sia le sequenze di maturazione comuni a tutti gli individui sia le differenze tra individui sono influenzate dall’ereditarietà. (es. intelligenza, temperamento) Comportamentismo: l’individuo è plasmato dall’ambiente lo sviluppo viene ridotto al più semplice processo d’apprendimento i meccanismi dell’apprendimento operano allo stesso modo nell’intero ciclo vitale il comportamento complesso non è che un insieme di comportamenti semplici o elementari (riduzionismo) un meccanismo esplicativo generale (per es. il condizionamento operante) va preferito ad un meccanismo che spiega una gamma ristretta di fenomeni (parsimonia) Costruttivismo: l’individuo costruisce attivamente la propria conoscenza vi è un’interazione bidirezionale tra individuo e ambiente grazie alla quale giungono a coordinarsi il pensiero infantile è qualitativamente diverso dal pensiero adulto lo sviluppo cognitivo consiste in una serie di trasformazioni, ciascuna delle quali riflette un migliore equilibrio tra individuo e ambiente gli stadi dello sviluppo cognitivo compaiono secondo una sequenza invariante e universale L’ECOLOGIA DELLO SVILUPPO Dopo gli anni ’70 si è cominciato a considerare lo sviluppo come un processo sempre calato nel contesto, un contesto non più ristretto al rapporto tra madre e bambino in famiglia o al rapporto del b. con i compagni a scuola, ma un contesto più allargato. Bronfenbrenner: fondatore dell’approccio ecologico. Individua nell’ambiente una serie ordinata di strutture incluse una nell’altra. Microsistema: situazione ambientale precisa in cui è inserito l’individuo (relazione col genitore in famiglia) Mesosistema: considera le relazioni fra microsistemi. Esosistema: condizioni di vita e di lavoro della famiglia della scuola e del gruppo di coetanei. Macrosistema: politica sociale e dei servizi che caratterizza la comunità socioculturale in cui è inserito l’individuo. Dieci anni dopo lo stesso B. ridimensionerà la sua teoria perché aveva notato un’eccessiva tendenza a dare più rilievo al contesto anziché all’individuo che si sviluppa. OPS: la principale Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in psicologia Articoli, forum di discussione tematici, libreria specializzata, opportunità di stage e lavoro, banca dati curriculum, corsi di formazione, archivio tesi di laurea e molto altro ancora… Visita la Community all’indirizzo www.opsonline.it LE DIFFERENZE INDIVIDUALI NELLO SVILUPPO Fino a qualche anno fa hanno avuto particolare seguito le concezioni stadiali delle teorie dello sviluppo cognitivo e affettivo; oggi c’è la tendenza a interessarsi non più ai soli aspetti in comune (tendenze evolutive universali) a una larga popolazione ma alle differenze individuali (interindividuali = tra individui diversi / intraindividuali = diff. Aspetti nello stesso individuo). Queste differenze individuali sono state osservate per esempio nel temperamento, definito come lo stile di comportamento di un individuo quando interagisce con l’ambiente. Chess e Thomas hanno fatto uno studio a proposito del livello di attività (caratteristica temperamentale) dalla nascita ai 10 anni. Vedi pag. 21. Differenze sono state anche individuate in variabili come la popolarità e l’acquisizione della lingua materna. METODI DI INDAGINE IN PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO Come descrivere i cambiamenti in funzione dell’età Disegni di ricerca longitudinali: lo stesso gruppo di individui viene osservato e valutato per un periodo più o meno lungo di tempo. Vantaggi: consente di seguire lo sviluppo individuale nel tempo e di rispondere a domande circa la stabilità del comportamento indagato, consente di determinare gli effetti di esperienze o condizioni antecedenti sullo sviluppo successivo. Svantaggi: metodo costoso, rischio di perdere soggetti negli anni, confusione fra i cambiamenti legati all’età e quelli di tipo sociale e storico. - A breve termine: Osservazione degli stessi soggetti in almeno due punti di età (non importa a che distanza) - A lungo termine: durata minima di 3 anni e almeno 3 osservazioni ripetute nel tempo. Disegni di ricerca trasversali: gruppi di individui di età diversa vengono confrontati nello stesso momento temporale. Vantaggi: consente di identificare differenze tra le età ma non di studiare i cambiamenti individuali in funzione del tempo, è meno costoso, veloce nell’esecuzione e facile da rplicare. Svantaggi: questa ricerca non dice nulla sullo sviluppo all’interno degli individui in quanto il comportamento viene osservato in un unico momento temporale. Gli studi trasversali sono più numerosi di quelli longitudinali. Metodi di ricerca L’esperimento: il ricercatore interviene attivamente, non osserva solo il fenomeno ma lo modifica o addirittura lo produce. Il ricercatore predispone una situazione di cui sono note le variabili. Alcune di esse le modifica lui stesso (v. indipendenti)per vedere se esse influenzano in qualche modo il comportamento indagato (v. dipendente). Per essere certi che il cambiamento della v. dipendente dipende in effetti dalla v. indipendente il ricercatore predispone una condizione di controllo (gruppo di controllo che non subisce il trattamento eseguito sul gruppo sperimentale). L’esperimento può essere condotto in laboratorio ma anche nell’ambiente naturale. Vantaggi: replicabilità e capacità di stabilire relazioni di causa – effetto tra v. dip. e v. indip. Svantaggi: i sogg. Controllati potrebbero non comportarsi in modo naturale, scarsa validità esterna (ossia non è possibile generalizzare a contesti esterni dalla sperimentazione i risultati). La validità interna invece è solitamente alta (ossia la relazione causa – effetto tra v. indip. e v. dip. è solitamente evidente). Il disegno quasi sperimentale: quando non è possibile manipolare la v. indipendente oppure assegnare casualmente i soggetti ai gruppi sperimentali e di controllo. Si confrontano tra loro gruppi la cui composizione non è casuale: si cerca un gruppo in cui la v. che vogliamo studiare sia presente naturalmente e lo si confronta con un altro gruppo il più possibile simile al primo tranne che per l’assenza della v. Il disegno correlazionale: quando non è possibile individuare gruppi che differiscono per l’aspetto che interessa il ricercatore oppure si è interessati a descrivere il rapporto tra due variabili. Questo metodo permette di misurare il grado di associazione tra v. senza manipolarle sperimentalmente e quindi senza distinguere tra gruppo sperimentale e gruppo di controllo. L’uso di questo disegno ha scopi esclusivamente descrittivi e non di ricavare conclusioni circa il rapporto causa – effetto tra le v. L’osservazione: implica la selezione di un fenomeno che ci interessa e la raccolta del maggior numero di informazioni possibile su di esso. Si predilige l’osservazione del comportamento quando si verifica spontaneamente. OSSERVAZIONE Indagare le relazioni che esistono tra le v. Non controlla le v. indip. perché il comportamento indagato potrebbe alterarsi o non verificarsi Obiettivi prevalentemente descrittivi. Non è in grado di verificare relazioni tra causa – effetto. ESPERIMENTO verificare se effettivamente esistono relazioni tra le v. Controlla la v. indip. Obiettivi esplicativi. È in grado di rilevare relazioni tra causa – effetto. Quattro tipi di studi: studio sul campo non strutturato strutturato studio in laboratorio non strutturato strutturato Due forme di osservazione: naturalistica: approccio etologico di Lorenz, Tinbergen, Piaget. L’osservatore si nasconde o si maschera per non influenzare in alcun modo il comportamento osservato. OPS: la principale Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in psicologia Articoli, forum di discussione tematici, libreria specializzata, opportunità di stage e lavoro, banca dati curriculum, corsi di formazione, archivio tesi di laurea e molto altro ancora… Visita la Community all’indirizzo www.opsonline.it controllata: l’osservatore interviene attivamente pur senza introdurre una vera e propria manipolazione sperimentale della v. indip. può essere condotta nell’ambiente naturale o in laboratorio e può essere guidata da formulazioni di ipotesi e non solo da scopi descrittivi. Validità dell’osservazione: FONTE DI ERRORE SOGETTI OSSERVATI Reattività, innaturalità SOLUZIONE Familiarizzazione, tecniche non invasive (osservazione partecipante), mascherare l’osservatore (specchio unidirezionale) OSSERVATORI Condizioni psicofisiche, capacità personali, sapere di essere valutati per l'’ttendibilità dell'osservazione RICERCATORI Aspettative e commenti, uso di schemi di codifica complessi Utilizzo di osservatori indipendenti, utilizo di buoni osservatori, controlli casuali dell’attendibilità. Evitare commenti ed interpretazioni, definizioni operative chiare delle categorie di codifica, addestrare i codificatori. Interviste e questionari: con i bambini: devono avere almeno 3 anni per le interviste e almeno 7 – 8 per i questionari perché devono possedere una buona capacità di comprensione e produzione del linguaggio. Potrebbero essere restii ad accettare perciò bisogna stimolare la curiosità, l’interesse e instaurare un clima di fiducia. Bisogna infine assicurarsi che anche il livello cognitivo sia adeguato alla comprensione delle domande. con gli adulti: tendenza a conformarsi alle aspettative dell’intervistatore. Tendenza a fare i cosiddetti errori sistematici (sottovalutare le capacità dei b. in età prescolare e sopravvalutare le capacità dei b. in età scolare). Importanza anche qui della padronanza linguistica a livello sia orale che scritto. Nel questionario le domande possono essere: Chiuse: possibilità di risposte predefinite dal ricercatore, interviste e questionari strutturati. Aperte: quando l’argomento è più complesso. Vantaggi: utile nelle indagini preliminari. Svantaggi: codifica laboriosa, raccolta di informazioni potenzialmente irrilevanti e inutili. Quale metodo scegliere? Idealmente, in ogni studio si possono impiegare diversi metodi. Se i risultati derivanti dall’applicazione di metodi diversi coincidono, le conclusioni tratte dallo studio ne risultano rafforzate. LO SVILUPPO FISICO E MOTORIO (2) LO SVILUPPO PRENATALE Agenti teratogeni: fattori ambientali che causano un danno congenito nell’embrione e nel feto. (es. rosolia contratta dalla madre nei primi 2 mesi, nicotina, droghe, scarsa o inadeguata nutrizione). Possiamo distinguere due fasi dello sviluppo prenatale: Il periodo embrionale Va dall’inizio della terza alla fine dell’ottava settimana di gestazione (1 – 2 mesi). In questo periodo l’embrione diventa un feto e cioè un organismo con caratteristiche umane riconoscibili. Iniziano a differenziarsi le cellule che danno luogo alle diverse regioni corporee e ai diversi tessuti. La testa è grande quanto il resto del corpo. Periodo di più rapida crescita dell’intera vita umana, infatti alla fine del secondo mese l’embrione è lungo circa 2,5 cm. Il periodo fetale Inizia nella nona settimana e si conclude al termine della gestazione. La testa diventa un quarto del corpo. Dal terzo mese i diversi sistemi dell’organismo cominciano a funzionare. Fin dal quarto mese la madre può avvertire i movimenti del feto. Fra il quarto e il quinto mese anche se completamente formato il feto non sarebbe in grado di sopravvivere se la connessione con la placenta venisse interrotta. Negli ultimi mesi si completano la maturazione e l’accrescimento degli organi. Il feto sembra meno attivo che nei mesi precedenti poiché crescendo ha a disposizione uno spazio minore all’interno dell’utero. Per sfruttare al max. lo spazio disponibile si pone con la testa verso il basso (posizione in cui la maggior parte dei b. si presentano alla nascita). Tra la ventiseiesima e la ventottesima settimana il feto oltrepassa la linea di demarcazione che separa la sopravvivenza dalla morte, in caso di nascita prematura. LA NASCITA E IL NEONATO Il b. viene al mondo con le competenze necessarie per sopravvivere nell’ambiente extrauterino. Il passaggio dall’ambiente intrauterino a quello extrauterino non è comunque facile infatti il neonato si trova ad affrontare una serie di compiti nuovi facilitati però da alcuni riflessi quali: il riflesso respiratorio, il riflesso di suzione , la termoregolazione autonoma (che però presenta ancora qualche difficoltà per via dell’assenza di tessuti adiposi). Durante la gravidanza il feto si prepara allo stress della nascita, in particolare al rischio di ipossia (carenza di ossigeno). Importanza del latte materno non solo per la nutrizione ma anche per i fattori di difesa contro le infezioni che contiene. LA CRESCITA PRIMA E DOPO LA NASCITA Per crescita intendiamo due tipi di fenomeni: Crescita vera e propria legata alla moltiplicazione cellulare che determina l’aumento di volume dell’organismo. OPS: la principale Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in psicologia Articoli, forum di discussione tematici, libreria specializzata, opportunità di stage e lavoro, banca dati curriculum, corsi di formazione, archivio tesi di laurea e molto altro ancora… Visita la Community all’indirizzo www.opsonline.it Processo di differenziazione e di sviluppo delle diverse funzioni corporee e psichiche, in senso sia funzionale che biochimico. La crescita è un processo continuo che tuttavia presenta ritmi e velocità diversi nelle diverse epoche dello sviluppo. Asimmetria: non tutti gli organi crescono nello stesso periodo e alla stessa velocità. Distinguiamo inoltre un periodo pre e uno postnatale di crescita. Crescita prenatale: la velocità è massima nei primi 6 mesi di vita intrauterina. Insieme all’accrescimento staturo – ponderale si modificano le proporzioni corporee. Crescita postnatale: suddivisa nelle seguenti fasi: periodo neonatale (dalla nascita alla 28° giorno), prima infanzia (0 – 2 anni), seconda infanzia (2 – 6 anni), terza infanzia (6 – 10 anni), adolescenza (dai 10 anni al completamento dello sviluppo sessuale). Dal secondo anno e per tutta l’infanzia la crescita prosegue con un ritmo meno rapido, mentre nella pubertà si verifica un nuovo consistente incremento. L’alimentazione ha un ruolo importante nel garantire una crescita equilibrata. CHE COSA SA FARE IL NEONATO? Se lo si confronta con un feto, il neonato è piuttosto autonomo. Il suo repertorio comportamentale viene descritto in termini di postura e di riflessi. Il neonato presenta un repertorio di riflessi considerati come risposte motorie primitive e involontarie. Esiste una certa differenza fra il modo di concepire il neonato secondo una concezione neurofisiologica classica e quella invece moderna: una volta il neonato veniva visto come un insieme meccanico di sistemi isolati, inerti finchè non vengono stimolati. Oggi il neonato è visto come un organismo attivo, composto da sottosistemi interconnessi, pronto a modulare la sua attività in funzione delle condizioni ambientali. Il neonato è quindi dotato di tutte le abilità necessarie per nutrirsi, respirare, proteggersi da situazioni potenzialmente dannose e stabilire le prime relazioni sociali. La presenza di alcuni movimenti nel neonato umano può essere spiegata come un residuo di abilità utili ad altre specie ma che nell’uomo hanno perso di significato. Si tratta infatti di movimenti che scompaiono rapidamente dopo le prime settimane di vita. Quello che il neonato è in grado di percepire dipende in gran parte dal suo stato. Prechtl distingue 5 diversi stati di coscienza: sonno profondo, veglia tranquilla, veglia attiva, pianto, irrequietezza. Questi stati si ripetono in modo ciclico durante la giornata, in media ogni due ore circa. Bisogna tener presente però, che nei primi giorni di vita la maggior parte del tempo è spesa nel sonno. Un periodo di sonno notturno abbastanza lungo subentra soltanto verso la quarta settimana di vita. Importante notare che per stabilire uno scambio sociale con il neonato, il momento migliore è quando il b. si trova in uno stato di veglia tranquilla (di solito dopo aver mangiato). LO SVILUPPO MOTORIO Modello maturativo La teoria classica ipotizza una relazione causale tra lo sviluppo di nuove strutture neuroanatomiche e la comparsa di nuove abilità motorie. Lo sviluppo viene visto come una sequenza si tappe universali, l’esperienza è chiamata in gioco solo per spiegare le differenze individuali nelle età di comparsa delle nuove abilità. Modello oggi criticato. Approccio HIP (dell’elaborazione dell’informazione) Vede la mente simile a un computer. Lo sviluppo delle diverse funzioni corrisponde alla costruzione di un sistema gerarchico di routine, schemi, rappresentazioni, che diviene sempre più complesso in funzione delle continue interazioni con gli stimoli esterni. Teoria dei sistemi dinamici Lo sviluppo motorio del b. è dovuto all’interazione di diversi sistemi tra i quali: i fattori intrinseci al sistema nervoso, i fattori ambientali, le caratteristiche biomeccaniche del b.. L’acquisizione di una nuova condotta dipende dalla continua cooperazione tra i diversi sottosistemi che contribuiscono a quella specifica condotta. Vedi es. pag. 46. Nel corso dei primi due anni di vita il b. conquista le principali abilità motorie. Due linee di sviluppo: tendenza del b. a raggiungere una sempre maggiore mobilità per raggiungere qualsiasi oggetto e ampliare il proprio raggio d’azione. Tendenza a conquistare la posizione eretta, in modo da avere le mani libere per fare cose interessanti piuttosto che usarle come appoggio. Postura e deambulazione Le principali tappe nello sviluppo della postura: Sostenimento della testa: solleva il mento nel 1° mese, la testa e le spalle nel 2° mese, si appoggia sugli avambracci nel 3° mese. Si siede nel secondo trimestre di vita. La posizione seduto senza appoggio è raggiunta solo verso i 9 mesi. La posizione eretta rappresenta una nuova tappa che il b. comincia ad acquistare mentre ancora perfeziona la posizione seduta. Le principali tappe nello sviluppo della deambulazione: Procede parallelamente a quello posturale ma inizia più tardi. Fino ai 6 mesi il b. non sa muoversi da solo. Verso i 7 – 8 mesi striscia. Verso i 10 mesi va a carponi. Inizia a camminare da solo verso i 13 – 14 mesi. Vedi disegni a pag. 48. I primi passi sono ancora incerti ed esitanti: il piede viene sollevato più in alto del necessario, il corpo è piegato in avanti, le braccia sono tenute lontane dal corpo per bilanciarlo, il b. cammina a scatti e spesso cade. Manipolazione OPS: la principale Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in psicologia Articoli, forum di discussione tematici, libreria specializzata, opportunità di stage e lavoro, banca dati curriculum, corsi di formazione, archivio tesi di laurea e molto altro ancora… Visita la Community all’indirizzo www.opsonline.it Si sviluppa nel corso del primo anno e mezzo di vita. La sua maturazione dipende sia dalla maturazione neuromuscolare sia dall’esercizio. Il riflesso di presa scompare intorno ai due mesi e nello stesso periodo il b. comincia a sviluppare la prensione vera e propria. Il b. si tende verso un oggetto che lo attira e lo afferra, più tardi è in grado di manipolarlo e di lasciarlo andare. Distinguiamo tre tipi di avvicinamento all’oggetto da afferrare che corrispondono alla progressiva utilizzazione delle 3 articolazioni interessate: spalla (5 – 6 mesi) + gomito (7 – 8 mesi) + polso (8 mesi). Diverse fasi di prensione: prensione cubito – palmare: l’oggetto viene afferrato dalla parte cubitale della mano (sotto il mignolo) senza l’uso del pollice. prensione digito – palmare: viene poi condotto verso il palmo e afferrato con tre dita insieme (pollice, indice, medio) prensione radio – digitale: l’oggetto viene posto sotto l’indice e la prensione implica l’opposizione fra pollice e indice. La differenza fra la prensione riflessa neonatale e quella vera e propria sta nel fatto che nel neonato il semplice vedere l’oggetto determina l’avvicinamento del braccio ad esso. In seguito alla maturazione e alla differenziazione fra i due canali sensoriali, l’attivazione di uno di essi (la vista) porta ad una inibizione dell’altro (la prensione). Quando infine i due canali sensoriali ormai differenziati si coordinano tra loro, il movimento di orientamento verso l’oggetto ricompare sotto il controllo visivo. Dopo aver imparato a prendere e maneggiare l’oggetto il neonato deve imparare anche a lasciarlo andare (compito che inizialmente porta a termine solo perché dopo un po’, quando perde la concentrazione sull’oggetto, esso gli cade involontariamente dalla mano). Tra i 6 e gli 8 mesi, il b. impara a lasciar andare l’oggetto volontariamente. Oltre a consentire una modalità attiva di rapporto con l’ambiente, la prensione presenta una particolare complessità cognitiva, soprattutto nella misura in cui si coordina ad altre capacità quali la vista e la suzione. (vedi cap 4) Differenze individuali nello sviluppo motorio Riscontriamo ampie differenze individuali per quanto riguarda non soltanto i tempi ma anche i modi e le strategie con cui ogni b. conquista specifiche abilità motorie. La variabilità tra individui tende ad essere maggiore al momento dell’emergere dell’abilità nuova mentre si riduce via via che vengono selezionate le strategie più efficaci e mature, che tendono ad essere le stesse in tutti i b. LO SVILUPPO SESSUALE Vita prenatale: alla fecondazione si stabilisce il sesso cromosomico dell’embrione. Nelle prime fasi dello sviluppo embrionale non vi sono differenze, all’ottava settimana di gestazione diventano riconoscibili i testicoli e alla nona comincia la differenziazione del testosterone. La gonade femminile per differenziarsi è sufficiente che non venga prodotto testosterone. Vita postnatale: nel corso dell’infanzia e dell’età scolare lo sviluppo continua senza però cambiamenti fisici importanti. La pubertà è il momento di massima differenziazione sessuale nella vita postnatale: conquista della maturità sessuale. L’ordine con cui si succedono gli eventi della pubertà è di norma lo stesso per tutti, cambia l’età nella quale questi cambiamenti hanno inizio. Lo sviluppo puberale si caratterizza non solo per l’aumento delle dimensioni del corpo ma anche per i cambiamenti nella sua forma. Le modificazioni che completano la differenza fra i sessi (dimorfismo sessuale) riguarda tutti gli organi. LO SVILUPPO DEL SISTEMA NERVOSO Tra la nascita e l’età adulta il peso del cervello aumenta da circa 350 grammi a 1350 grammi, esso raddoppia nei primi 9 mesi e raggiunge il peso del cervello adulto a circa 6 anni. Alla nascita è già presente la maggior parte dei neuroni (cellule cerebrali), anche se le connessioni fra di essi (sinapsi) sono ancora imperfette. Inoltre, sulla superficie cellulare si sono formate quelle strutture (assoni e dendriti), attraverso cui sostanze chimiche e informazioni vengono ricevute e inviate da una cellula all’altra. Paradossalmente il numero di sinapsi, assoni e dendriti è molto superiore a quello che sarà poi il numero definitivo (fenomeno della morte cellulare). Un processo importante è quello della mielinizzazione che inizia durante la gestazione e continua fino all’età adulta. La mielina è una sostanza che avvolge come una guaina le fibre nervose e ha la funzione di aumentare la velocità di trasmissione dell’impulso nervoso. Per esempio la “sclerosi multipla” è dovuta ad un decadimento della mielina. Importante è l’esperienza nella formazione dell’architettura cerebrale: esperienze traumatiche vissute in periodi chiamati “critici” possono produrre effetti profondi sull’organizzazione cerebrale. LO SVILUPPO PERCETTIVO (3) PERCEZIONE E SENSAZIONE Il mondo percettivo non è una copia immediata e diretta dell’ambiente, bensì il risultato di mediazioni e di attività svolte dall’organismo. La percezione consente di organizzare in modo coerente e significativo i dati. Distinzione tra: Percezione: processo attivo e dinamico di elaborazione degli stimoli sensoriali che procede attraverso l’analisi, la selezione, il coordinamento e l’elaborazione delle informazioni. Sensazione: effetto soggettivo e immediato provocato dagli stimoli sui diversi apparati dell’organismo deputati a recepire gli stimoli. Processo attraverso cui le informazioni dell’ambiente vengono recepite dai recettori sensoriali e trasmesse al cervello. Che rapporto c’è tra sensazione e percezione nel neonato? Sappiamo che i neonati sono dotati di capacità sensoriali fin dalla nascita e che sono in grado di rispondere a stimoli luminosi, acustici, tattili e gustativi. Però, nella prospettiva empirista della percezione (Helmholtz ) il neonato è visto come una tabula rasa, la capacità di percepire sarebbe quindi il prodotto di un lungo apprendimento. Tuttavia già nel secolo scorso sono state proposte prospettive differenti basate sull’idea che la strutturazione percettiva della realtà contenga elementi già organizzati a cui l’essere umano è predisposto e che quindi può cogliere OPS: la principale Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in psicologia Articoli, forum di discussione tematici, libreria specializzata, opportunità di stage e lavoro, banca dati curriculum, corsi di formazione, archivio tesi di laurea e molto altro ancora… Visita la Community all’indirizzo www.opsonline.it in modo immediato grazie alla sua dotazione innata. La sperimentazione psicologica ha chiarito che i b. nascono con una gamma di facoltà percettive ben più ampia di quella supposta dagli empiristi ma anche che la capacità infantile di apprendere dall’esperienza è nettamente superiore a quella ipotizzata dagli innatisti. SVILUPPO DELLE COMPETENZE PERCETTIVE DEL NEONATO E NEL PRIMO ANNO DI VITA La produzione psicologica ha prodotto un ribaltamento nella concezione del b., non più mero recettore di stimoli, ma attivo nell’elaborazione delle informazioni e dotato di competenze che hanno bisogno dell’interazione con l’ambiente per potersi interamente dispiegare ed evolvere. Lo stesso Spitz descriveva il neonato fino al terzo mese come immerso in un universo indifferenziato, capace di rispondere agli stimoli esterni solo in funzione di una percezione introcettiva, di una pulsione insoddisfatta e caratterizzato da una unica tonalità affettiva, quella spiacevole alla quale si contrapponeva non il piacere ma solo uno stato di quiete. Immagine largamente superata. Percezione gustativa e olfattiva Le sensazioni gustative e olfattive rivestono una certa importanza non solo ai fini della nutrizione, ma per il ruolo di mediazione nella relazione con l’adulto che si prende cura del b. (caregiver). Le ricerche sulla sensibilità gustativa hanno chiarito che il neonato è in grado fin dalla nascita di discriminare sapori piacevoli (dolci) da sapori spiacevoli (amari/acidi). Le soluzioni dolci stimolano il riflesso di suzione, al contrario quelle salate lo inibiscono. Le ricerche sulla sensibilità olfattiva hanno invece evidenziato che essa è ben sviluppata alla nascita, grazie anche al fatto che essa matura già nella fase fetale. MacFarlane ha eseguito l’esperimento dei due batuffoli di cotone ai lati della testa del neonato. Essi erano impregnati di latte: uno di latte materno l’altro di latte di un’altra donna, il b. riconosceva quello materno e lo preferiva. Percezione uditiva Nel neonato la conformazione anatomica dell’organo recettore non presenta sostanziali differenze rispetto a quello dell’adulto, anche se le dimensioni del condotto uditivo esterno, la membrana del timpano e la cavità dell’orecchio medio non hanno ancora dimensioni tali da consentire la trasmissione efficace delle vibrazioni sonore. La percezione uditiva precoce: le ricerche hanno dimostrato che sebbene i neonati abbiano una soglia uditiva molto alta che li porta a percepire i suoni in modo attutito, essi sono reattivi ai suoni fin dalla nascita e si orientano verso di essi. Molti studi hanno testato il suo maggiore interesse verso i suoni ritmici, verso la voce umana e in particolare verso la voce materna. Preferenze verso la voce materna: DeCasper e Fifer predisposero una situazione sperimentale nella quale, subito dopo la nascita, alcuni lattanti muniti di auricolare ascoltavano la voce della madre registrata per 12 ore. Successivamente, agli stessi lattanti venivano fatti ascoltare sia la voce della madre che quella di un estraneo. Le reazioni dei piccoli venivano misurate attraverso il metodo della “suzione non alimentare”. Entro i primi tre giorni di vita i neonati erano in grado non solo di riconoscere la voce della madre ma anche di preferirla. Gli autori ipotizzano un “apprendimento prenatale”, altri autori invece preferiscono parlare di una sorta di apprendimento legato all’ascolto di 12 ore…Oggi sappiamo che effettivamente i suoni possono raggiungere il feto provocando risposte motorie e modificazioni del ritmo cardiaco già dalla ventesima settimana di gestazione. Un’altra ricerca si è occupata di dimostrare se il b. fosse in grado di distinguere fra voce materna e voce estranea anche nel periodo fetale, ossia se oltre al riconoscimento ci fosse anche la discriminazione nel periodo fetale. La ricerca, effettuata esponendo il feto alla voce registrata sia della madre sia di una donna estranea, non ha offerto conferme in tal senso. Una sensibilità precoce si può rilevare anche nella percezione del suono ritmico e nella capacità di distinguere tra suoni verbali e non. Caratteristiche fonologiche della lingua: per poter affrontare efficacemente l’apprendimento del linguaggio è necessario differenziare le singole unità in cui si compongono le parole, ossia differenziare fra i singoli fonemi poiché il significato di una parola può cambiare cambiando un solo fonema. I b. sono in grado di discriminare i fonemi della propria lingua e di tutte le altre e percepiscono la lingua parlata secondo le stesse informazioni degli adulti! Questo ci dice che questa abilità deriva da una dotazione innata. Ma questa sensibilità su base innata molto spiccata nei primi mesi di vita, regredisce con lo sviluppo e b. di 4 anni non sono già quasi più in grado di riconoscere i fonemi appartenenti ad un’altra lingua (come l’adulto). Questo perché nel corso del primo anno di vita si assiste ad uno spostamento peculiare da una capacità di percezione fonetica universale, ad una competenza più specifica e funzionale all’apprendimento della propria lingua. Percezione visiva Il neonato ha una capacità visiva molto più spiccata di quello che si riteneva in passato. La capacità di percepire i dettagli però non è completamente sviluppata, a causa della modesta differenziazione strutturale della retina. Intorno al primo mese la visione centrale migliora e si stabilizza intorno ai 4 mesi. L’immaturità del sistema nervoso, comporta l’imperfetta mielinizzazione delle fibre che impedisce sia una rapida trasmissione di informazioni al cervello, sia un’adeguata motilità oculare. Alla nascita il b. può compiere i cosiddetti movimenti coniugati che consentono un’ampia esplorazione del campo visivo in orizzontale più che in verticale; può compiere anche i movimenti di inseguimento che gli permettono di inseguire uno stimolo visivo che si sposta lentamente dal centro del suo campo visivo verso la periferia. Il riflesso pupillare, anch’esso presente da subito, rivela che il neonato è sensibile alle diverse intensità degli stimoli visivi. La coordinazione e la convergenza (che servono per la messa a fuoco e per la percezione della profondità) compaiono in forma rudimentale dopo qualche ora dalla nascita. La capacità attentiva del neonato gli permette di seguire con lo sguardo uno stimolo visivo che si muove nel suo campo per qualche istante ma non a lungo. Entro i 3 mesi si sviluppa la visione binoculare che permette al b. di mettere a fuoco gli oggetti con entrambi gli occhi. OPS: la principale Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in psicologia Articoli, forum di discussione tematici, libreria specializzata, opportunità di stage e lavoro, banca dati curriculum, corsi di formazione, archivio tesi di laurea e molto altro ancora… Visita la Community all’indirizzo www.opsonline.it Percezione cromatica: il neonato non vede bianco e nero come si pensava un tempo. Egli è in grado di riconoscere il rosso rispetto al verde e al blu fin dalla nascita, di distinguere fra rosso, verde e blu a 3 mesi e a 4 mesi la sua percezione cromatica è già simile a quella adulta. L’attenzione focalizzata Le capacità visive del neonato gli permettono di esplorare gli stimoli visivi. I neonati tendono ad interrompere per un attimo la suzione se vedono qualcosa che li incuriosisce, segno che percepiscono i cambiamenti dell’ambiente circostante. Gli oggetti che lo attirano sono in genere quelli grandi e in movimento, che provocano risposte oculari che indicano un’attenzione selettiva e un’esplorazione non casuale. Mentre a un mese il b. si concentra su una caratteristica (o poche) dello stimolo alla volta, a 3 mesi il b. comincia ad usare strategie di ispezione degli oggetti che consentono un’attività di fissazione stabile e continua. capacità attentive + capacità di fissazione = attenzione focalizzata. Questa rappresenta già un segno di attività cognitiva. I b. concentrano la propria attenzione sui contorni (curvilinei), sugli stimoli strutturati, complessi e nuovi. Importante è anche l’età del b. oltre alle caratteristiche dell’oggetto. La velocità di elaborazione degli stimoli aumenta all’aumentare dell’età poiché i b. diventano più abili nel cogliere le singole unità di informazione e nell’elaborarle. Con l’età il b. impara a elaborare strategie individuali di elaborazione dello stimolo. Una ricerca italiana a messo in evidenza, a questo proposito, due diverse modalità di elaborazione dello stimolo: Short- lookers: hanno tempi di reazione brevi, poiché analizzano gli stimoli passando dagli aspetti generali a quelli particolari. Long-lookers: hanno tempi più lunghi, poiché analizzano gli stimoli passando dai dettagli all’aspetto generale. Essi, però, a partire dagli 8 mesi, sono essere in grado di cambiare strategia di elaborazione dello stimolo se lo stimolo ha caratteristiche tali da permetterlo. Sono quindi in grado di diventare short-lookers, comportandosi quindi come gli adulti. L’attenzione obbligatoria: ci si riferisce al fatto che nei primi mesi il b. ha difficoltà a variare il focus attentivo. Sembra che fissino qualcosa per interesse in realtà è solo perché non riescono a distogliere lo sguardo, perché? Prospettiva classica: l’attenzione obbligatoria sarebbe l’espressione di un controllo assente o carente, sul sistema oculomotorio da parte dei meccanismi centrali ancora immaturi. Prospettiva più recente: si fonda sullo studio delle basi neurali e sull’ipotesi che esista una maturazione progressiva di 4 circuiti neurali nei primi 6 mesi di vita. L’attenzione obbligatoria deriverebbe dalla comparsa del secondo circuito, questo, avrebbe lo scopo di inibire l’orientamento verso stimoli periferici, ma per farlo inibisce temporaneamente anche il controllo oculomotorio. La preferenza per il volto Questa preferenza è innata ed ha un valore adattivo in quanto servirebbe a favorire le relazioni sociali e il legame d’attaccamento. Secondo Schaffer, fino a 2 mesi l’attenzione del b. viene attratta dai volti non perché vengono differenziati o riconosciuti, ma per le loro caratteristiche intrinseche a cui l’apparato percettivo infantile è predisposto. Inizialmente il b. riconosce le caratteristiche salienti (comuni a tutti i volti) e poi differenzia fra volti familiari (madre) e estranei. Questo fa pensare ad un meccanismo innato di organizzazione dello stimolo. La percezione del volto: gli studi classici affermano che il motivo di attrazione per il volto non è, almeno inizialmente, il realismo dello stimolo, ma la presenza di caratteristiche peculiari che lo contraddistinguono e che attraggono l’attenzione quali: nitidezza dei contorni, movimento, simmetria, complessità. I contorni esterni del volto vengono esplorati ad un mese, dopo due mesi il b. esplora gli elementi interni del volto. Ipotesi strutturale di Johnson e Morton: considera il neonato dotato di un meccanismo sottocorticale chiamato Conspec, che lo rende selettivamente sensibile alle caratteristiche del volto e gli consente di discriminare questo particolare stimolo dagli altri. Riconoscimento del volto: Attenzione selettiva per il volto materno (Field) ha usato come stimolo il volto reale della madre messo a confronto con quello sempre reale di altre persone. Dopo soli 2 giorni dalla nascita il b. mostra di preferire il volto della madre. Ma come facciamo a dire che l’ha riconosciuta davvero, che non si è basato solo su indizi olfattivi? Se il volto viene presentato in modo da evidenziare o solo gli elementi interni o solo gli elementi esterni la capacità di discriminare la madre da un’estranea si riduce. I neonati, a 4 giorni e fino a 3 – 4 settimane, sebbene guardino più a lungo il volto della madre, non sono in grado di discriminare in base ai soli dettagli interni del viso. Dopo 1 mese invece, sanno riconoscere in base ai dettagli interni ma non se ci sono solo i dettagli esterni (per es. se i 2 volti della madre e dell’estranea sono coperti). Se ci sono solo i dettagli esterni la discriminazione non avviene prima dei 4 mesi. Insomma è importante la connessione di dettagli sia interni che esterni per il riconoscimento del volto. È importante sottolineare che la preferenza verso il volto materno non implica necessariamente il riconoscimento della sua identità. A partire dai 3 mesi: interesse nell’estraneo (anche se preferisce sempre la madre), inizia a discriminare le emozioni (tra i 3 e i 7 mesi), mostrano una preferenza per i volti attraenti poiché essi sono considerati più inerenti al modello di “volto” in generale. Costanze percettive e percezione della profondità Le stimolazioni che si proiettano sulla retina sono continuamente diverse per forma, dimensione, grandezza, luminosità, ma la percezione dell’ambiente resta stabile grazie alle costanze percettive. Si tratta di processi in base ai quali percepiamo gli oggetti dell’ambiente come invarianti e costanti, pur al variare delle stimolazioni. Il b. ha queste costanze? Sembra che assumano una notevole importanza per il b. le costanze di forma (consente di identificare la forma di un oggetto anche se questo cambia orientamento o inclinazione) e dimensione (riconoscere la grandezza di un oggetto anche se questo si allontana o si avvicina). OPS: la principale Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in psicologia Articoli, forum di discussione tematici, libreria specializzata, opportunità di stage e lavoro, banca dati curriculum, corsi di formazione, archivio tesi di laurea e molto altro ancora… Visita la Community all’indirizzo www.opsonline.it Bower ha preso in esame lo sviluppo della percezione della distanza e della profondità (esperimento del baratro visivo di Gibson e Walk che può essere impiegato solo il b. sa camminare o gattonare). Sembra, che i b. fin dalla nascita vivano in un mondo percettivo che, sebbene diverso da quello dell’adulto, è articolato in termini di oggetti, forme e persone percepite come costanti e stabili. LO SVILUPPO PERCETTIVO NELL’INFNZIA E NELLA FANCIULLEZZA L’esplorazione dell’ambiente consente lo sviluppo di nuove capacità percettive. Infanzia prima: fino a 3 anni seconda: fino a 6 anni La percezione delle forme Importante è l’influenza delle caratteristiche gestaltiche nella percezione degli oggetti. In partcolare, la legge di chiusura della forma prevale su quella di continuità di direzione. Es. se l’incrocio di una linea spezzata con un’altra crea delle forme simili a casette i b. vedono le casette e non le due linee spezzate che si incrociano. Si dà quindi alla linea il significato di contorno. Figure con contorno lacunoso: figure con contorni tratteggiati, quanto più il b. è piccolo quanto meno è in grado di riconoscere una figura dal contorno tratteggiato. Se addestrati già a 3 anni e mezzo e certamente 5 sono in grado di farlo. Il b. è attratto dalla forma o dal colore?: fino a 2 anni preferiscono la forma (forme allungate), dai 3 – 4 anni c’è una fase di transizione in cui sono orientati verso il colore, dopo i 4 anni sanno tener conto sia della forma che del colore ma preferiscono la forma (anche se non solo quella). Il sincretismo percettivo infantile Fenomeno per cui la percezione della struttura di insieme ostacola l’individuazione delle singole parti. Il tutto resiste alla scomposizione. Esperimento di Heiss e Sander vedi pag. 79. Con l’età i b. affinano le abilità di cogliere i particolari. Quando l’insieme corrisponde ad una forma semplice o ad una struttura forte, esso tende ad imporsi, ma se le singole parti rappresentano oggetti familiari o particolari vistosi, esse vengono preferite all’insieme non noto. Esperimento di Volkelt. Vedi pag. 80. Se mostriamo ad un b. il modello isolato di una figura e poi gli chiediamo di trovarlo in un’immagine più grande in cui il modello è mascherato, ci accorgiamo che fino ai 5 – 6 anni, i b. hanno grandi difficoltà a risolvere il compito poiché non sono in grado di contrastare, le forze percettive dell’organizzazione. Si possono distinguere 3 grandi periodo dello sviluppo percettivo: percezione sincretica: globale – indifferenziata. percezione analitica: particolare – differenziata. percezione sintetica: globale – differenziata. Mentre un adulto percepisce un insieme strutturato, cioè organizzato nelle sue parti, nel caso del b. il tutto o i dettagli sono distinti gli uni dagli altri senza un’integrazione. La percezione visiva nella fanciullezza Superamento del sincretismo infantile, tra i 6 e i 9 anni, emerge una migliore capacità di analisi e esplorazione sistematica degli stimoli. Capacità di adottare una prospettiva reversibile che consente di esplorare il tutto per passare dalle singole parti per poi ritornare alla totalità. Viene inoltre acquisita la capacità di compiere un’esplorazione esaustiva e si perfeziona la capacità di raggruppare in classi elementi complessi. Costanza della grandezza: Fenomeno della supercostanza: tendenza compensatoria che induce a percepire un oggetto distante leggermente più grande della realtà. Sono state osservate variazioni in base alla consegna, infatti, se si chiede di osservare un oggetto in una condizione percettiva naturale anziché in laboratorio questo fenomeno non si manifesta. Anche la costanza della forma subisce un incremento nella fanciullezza e si perfeziona nell’adolescenza. LO SVILUPPO COGNITIVO (4) LO SVILUPPO MENTALE DALL’INFANZIA ALL’ADOLESCENZA SECONDO PIAGET I concetti fondamentali della teoria Secondo Piaget l’intelligenza è un caso particolare di adattamento di adattamento biologico: mentre l’organismo si adatta costruendo materialmente forme nuove, l’intelligenza costruisce nuove strutture mentali che servono a comprendere e a spiegare l’ambiente. L’individuo che conosce non è un passivo recettore di influenze ambientali, né il veicolo di idee innate, ma un attivo costruttore delle proprie conoscenze. Piaget così respinge sia l’ipotesi innatista (teoria della Gestalt) sia quella ambientalista (comportamentismo) proponendo una teoria organismica i cui assunti di base sono: lo sviluppo è comprensibile all’interno della storia evolutiva della specie l’organismo è attivo e si modifica attraverso gli scambi con l’ambiente lo sviluppo consiste nella trasformazione di strutture che non sono innate, ma si costruiscono grazie all’attività dell’individuo. Confrontando l’adulto con il b. è importante constatare la compresenza sia di strutture variabili sia di funzioni invarianti. Lo sviluppo come adattamento: assimilazione e accomodamento Come nell’evoluzione biologica, anche nello sviluppo mentale le strutture interne si modificano ogni volta che devono far fronte a nuovi bisogni. Tali modificazioni sono il risultato dell’interazione fra due processi: assimilazione e accomodamento. OPS: la principale Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in psicologia Articoli, forum di discussione tematici, libreria specializzata, opportunità di stage e lavoro, banca dati curriculum, corsi di formazione, archivio tesi di laurea e molto altro ancora… Visita la Community all’indirizzo www.opsonline.it L’intelligenza è assimilazione in quanto incorpora nei propri schemi i dati dell’esperienza ma è al tempo stesso accomodamento poiché gli schemi vengono modificati per adattarli ai nuovi dati. Se l’assimilazione tende alla conservazione, l’accomodamento tende alla novità. L’adattamento dell’organismo all’ambiente è determinato quindi da queste due funzioni complementari che garantiscono un equilibrio tra continuità e cambiamento. Questo equilibrio è destinato a rompersi e a ricomporsi continuamente in forme più avanzate e l’intelligenza è la forma più avanzata. Piaget pensa ad un processo di autoregolazione che porta il b. a “stare in equilibrio” in ogni momento del suo sviluppo. Piaget ritiene che adattamento e equilibrio siano funzioni invarianti, cioè modalità di funzionamento generali. Gli stadi di sviluppo Lo sviluppo cognitivo è un processo continuo per via delle funzioni invarianti ma anche discontinuo poiché col crescere dell’età si verificano delle modificazioni strutturali così rilevanti da contrassegnare veri e propri stadi di sviluppo. Ciascuno stadio prevede una particolare forma di organizzazione psicologica, con proprie conoscenze e interpretazioni della realtà. Il passaggio da uno stadio all’altro può essere graduale ma ogni stadio è qualitativamente diverso dall’altro ed è internamente coerente (=presenta forme e regole proprie). Le acquisizioni di uno stadio non si perdono con il passaggio allo stadio successivo, ma vengono integrate in strutture più evolute (integrazione gerarchica tra stadi). La sequenza è la medesima in tutti gli individui, ciò che può variare è la velocità con cui vengono raggiunti i diversi stadi. Tra la nascita e l’adolescenza lo sviluppo cognitivo attraversa 4 stadi: Sensomotorio 0 – 2 anni I stadio (0 – 1 mese) II stadio (1 – 4 mesi) III stadio (4 – 8 mesi) IV stadio (8 – 12 mesi) V stadio (12 – 18 mesi) Preoperatorio VI stadio (18 – 24 mesi) 2 – 6 anni Operatorio concreto 6 – 12 anni Operatorio formale Dai 12 anni Comprende il mondo in base a ciò che può fare con gli oggetti e le informazioni sensoriali. Un cubo è il gusto che ha, come lo si sente al tatto e come lo si vede. Esercizio dei riflessi. Le reazioni circolari primarie e i primi adattamenti acquisiti. Le reazioni circolari secondarie. La coordinazione degli schemi secondari e la loro applicazione alle situazioni nuove. Differenziazione tra mezzi e fini. Le reazioni circolari terziarie e la scoperta di mezzi nuovi mediante sperimentazione attiva. L’invenzione di mezzi nuovi mediante combinazione mentale. Si rappresenta mentalmente gli oggetti e comincia a comprendere la loro classificazione in gruppi. Comincia a capire che esistono i punti di vista altrui. Compaiono i primi giochi di fantasia e una logica primitiva. La capacità logica progredisce grazie allo sviluppo di nuove operazioni mentali (addizione, sottrazione, inclusione…). Il b. è ancora legato a esperienze specifiche ma è in grado di compiere manipolazioni mentali e fisiche. È in grado sia le idee che gli eventi o gli oggetti. Può immaginare cose che non ha mai visto o che non sono ancora successe. È capace di organizzare le informazioni in modo sistematico e completo e pensare in termini ipotetico – deduttivi. Intelligenza astratta, intelligenza del pensiero scientifico (applicato al quotidiano). CRITICHE ALLA TEORIA DI PIAGET Diversi studiosi hanno argomentato che il disegno di molti compiti piagetiani rende difficile fornire risposte corrette. Riformulando la consegna o le domande poste al b. durante il compito, oppure presentandogli delle situazioni più realistiche tipiche della vita quotidiana, si ottengono risposte migliori e in generale le capacità di ragionamento del b. risultano più avanzate rispetto a quelle valutate da Piaget. Es. nel compito delle “tre montagne” Piaget trova che i b. non sono in grado di risolverlo fino agli 8 anni. È possibile, però, che le risposte egocentriche siano dovute al modo in cui il compito viene presentato, piuttosto che all’incapacità di concepire diversi punti di vista. A questa conclusione giunge Hughes utilizzando un nuovo compito sperimentale, che chiameremo “il ragazzo e il poliziotto”. Due pareti disposte a croce su un tavolo creano 4 settori: A, B, C, D. 2 poliziotti cercano un ragazzo e si collocano di volta i volta in posizioni diverse ma sempre in modo che ci sia sempre un settore che non possono vedere. Anche b. di età prescolare indicano correttamente il settore in cui il ragazzo deve nascondersi per non farsi trovare, quindi sanno tener conto del punto di vista dei 2 poliziotti. Ricerche come questa dimostrano che condizioni facilitanti possono anticipare la prestazione corretta, ma non negano che l’egocentrismo e il ragionamento intuitivo siano caratteristici del periodo preoperatiorio. Altri ricercatori si sono occupati di comprendere il ruolo delle conoscenze specifiche del compito sull’esecuzione di quello stesso compito. Un giocatore di scacchi esperto ricorda meglio le posizioni delle pedine nelle diverse mosse rispetto ad un giocatore principiante. L’età in questo caso NON conta, l’esperto può essere un b. e il principiante l’adulto. Esistenza degli stadi (problema della compresenza di continuità e discontinuità). Se avesse ragione P., dovremmo trovare che il b. dello stadio operatorio applica la stessa logica a una varietà di problemi, dovremmo cioè verificare una coerenza di tipo orizzontale. Numerose ricerche, però, hanno dimostrato che il b. può trovarsi in una certa fase per quanto riguarda un determinato compito e in un’altra per un compito diverso (anche se entrambi i compiti richiedono OPS: la principale Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in psicologia Articoli, forum di discussione tematici, libreria specializzata, opportunità di stage e lavoro, banca dati curriculum, corsi di formazione, archivio tesi di laurea e molto altro ancora… Visita la Community all’indirizzo www.opsonline.it la stessa forma di logica). Fisher propone una serie di livelli di sviluppo che esprimono il livello ottimale, ovvero il massimo rendimento che un b. è capace di raggiungere in presenza di condizioni facilitanti; ad esempio istruzioni chiare, contenuti noti e alta motivazione. In pratica, tutti riconoscono che lo sviluppo cognitivo procede secondo sequenze universali e che i b. acquisiscono i concetti fondamentali con lo stesso ordine. P. aveva dunque ragione a parlare di sequenze di sviluppo, ma probabilmente aveva torto nel riferirsi agli stadi come a strutture globali e coerenti. Piaget sottovaluta il ruolo dell’esperienza sociale. Doise e Mugny hanno condotto una serie di esperimenti sugli effetti dell’interazione sociale. Secondo loro, accanto al conflitto intraindividuale ipotizzato da Piaget, agisce come fattore di sviluppo anche un conflitto interindividuale, che possiamo chiamare conflitto sociocognitivo. Afinchè questo conflitto generi processi cognitivi, è necessario che il b. venga esposto non a una soluzione più avanzata della propria, ma semplicemente ad una soluzione diversa con la quale si può confrontare. Importante poi, è anche il livello iniziale di abilità individuale, solo i b. che hanno raggiunto una certa comprensione dei principi implicati nella soluzione corretta del compito, possono beneficiare dell’interazione con i coetanei. Importante è sottolineare che l’interazione sociale può facilitare lo sviluppo cognitivo individuale ma non generare progressi cognitivi. LO SVILUPPO MENTALE COME INTERIORIZZAZIONE DI FORME CULTURALI: VYGOTSKIJ Vygotskij è considerato il fondatore della scuola storico – culturale e svolse le sue ricerche nell’Istituto di psicologia di Mosca interessandosi a due temi principali: lo sviluppo delle funzioni psichiche superiori nel b. l’influenza delle variabili culturali sui processi cognitivi. V. si occupò anche di ricerche psicopedagogiche sul ritardo mentale. Egli ritiene che lo sviluppo storico – culturale abbia prodotto l’evoluzione dell’umanità attraverso i mediatori simbolici (fra cui la lingua) che consentono agli individui di entrare in relazione fra loro all’interno della stessa cultura e fra culture diverse. Lo sviluppo consiste nell’appropriarsi dei significati della cultura, può essere descritto come un processo di interiorizzazione di attività che hanno favorito lo sviluppo della vita sociale e la mediazione tra le persone. La principale di queste attività è il linguaggio. Nella prospettiva storico – culturale lo sviluppo del b. dipende in larga misura dal contesto storico e socioculturale in cui vive e da come viene messo in grado di padroneggiare gli strumenti della propria cultura. In questo senso V. è interessato più che a quello che il b. sa fare, a quello che il b. sarà in grado di fare in seguito a nuove esperienze sociali e culturali. La zona di sviluppo prossimale (ZSP) definisce la distanza tra il livello di sviluppo effettivo e il livello di sviluppo potenziale, consente cioè di valutare la differenza tra ciò che è in grado di fare da solo e ciò che è in grado di fare con l’aiuto e il supporto di un individuo più competente. La nuova abilità deve però essere comprensibile al b., benché egli non li sappia ancora padroneggiare autonomamente. Se il b. dimostra di saper fare da solo quello che prima sapeva fare solo con la guida dell’adulto, ciò prova che l’abilità in questione è stata interiorizzata. Dibattito di V. e P. sui rapporti tra pensiero e linguaggio: Piaget: nelle prime fasi dello sviluppo pensiero e linguaggio sono egocentrici, ovvero non adatti alla realtà e non comunicabili agli altri. Vygotskij: il b. è sin dall’inizio un protagonista attivo nelle relazioni sociali e il primo uso del linguaggio è di tipo sociale. In seguito, il linguaggio inizia ad assolvere una funzione intrapsichica, che si trasformerà gradualemente nel vero e proprio linguaggio interiore. Ma prima di diventare interiore il linguaggio attraversa una fase egocentrica (parlare a se stessi). Nel corso dell’attività il b. commenta verbalmente le proprie azioni, in seguito questo linguaggio diventa totalmente interiorizzato. Nella sua evoluzione il linguaggio segue quindi una doppia strada: da un alto funziona come strumento di comunicazione e di scambio sociale, dall’altro si interiorizza e diventa uno strumento del pensiero che anticipa, guida e controlla il comportamento. V. ritiene che lo sviluppo psicologico, nel suo insieme, possa essere descritto come un processo di interiorizzazione di mediatori simbolici. LO SVILUPPO COGNITIVO NELLA TEORIA DI BRUNER Bruner sottolinea l’importanza di studiare i processi piuttosto che i prodotti della conoscenza, ovvero l’effettivo svolgersi degli atti mentali. È importante, quindi, per comprendere l’organizzazione del comportamento, tener conto degli scopi e delle intenzioni che lo governano e delle funzioni cui assolve. Secondo B. nel processo di acquisizione del pensiero maturo il b. passa attraverso tre forme di rappresentazione: Esecutiva 1 anno Iconica 6 – 7 anni Simbolica 7 anni… La realtà è codificata attraverso l’azione. L’azione che compie il b. diventa la sua rappresentazione interna dell’oggetto. Funziona anche dopo il primo anno di vita per tutte quelle attività che impariamo facendo (imparare a nuotare, ad andare in bicicletta…) La realtà è codificata attraverso immagini. L’immagine consente di evocare mentalmente una realtà assente ma non di descriverla verbalmente. La realtà è codificata attraverso il linguaggio e altri sistemi simbolici come i numeri e la musica. Il linguaggio consente di ragionare in termini astratti. La rappresentazione iconica induce il b. a formulare giudizi basati sull’apparenza percettiva. Nello spiegare lo sviluppo B. riprende il punto di vista di V. sostenendo che la cultura forma la mente degli individui, è intrinseca agli individui e non qualcosa che si sovrappone alla natura umana. In questa prospettiva l’adulto assume il ruolo di impalcatura dello sviluppo (scaffolding). OPS: la principale Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in psicologia Articoli, forum di discussione tematici, libreria specializzata, opportunità di stage e lavoro, banca dati curriculum, corsi di formazione, archivio tesi di laurea e molto altro ancora… Visita la Community all’indirizzo www.opsonline.it Kaye propone l’idea di apprendistato: b. che si introduce gradualmente alla propria cultura partecipando ad attività congiunte all’adulto. Rapporto apprendista – maestro. Sulla scia di B. e riprendendo V. anche K colloca le relazioni sociali del b. con gli adulti significativi alla radice dello sviluppo mentale nella prima infanzia. La narrazione è lo strumento privilegiato della trasmissione culturale. Bruner ritiene che il pensiero narrativo rappresenti una particolare modalità cognitiva di organizzare l’esperienza, un modo per rappresentare gli eventi e trasformarli in oggetto di analisi e riflessione. È una forma di pensiero ben diversa dal pensiero razionale, che ricerca la verità e costituisce leggi fisiche e matematiche. LO SVILUPPO COGNITIVO SECONDO L’APPROCCIO DELL’ELABORZIONE DELL’INFORMAZIONE (HIP) Non si tratta di una vera e propria teoria dello sviluppo ma piuttosto di un approccio allo studio del pensiero e della memoria con i relativi metodi di indagine. Questo approccio vede la mente umana simile ad un computer, infatti essa elabora e manipola le informazioni dall’ambiente e le conserva nella memoria codificandole. La prestazione in un compito cognitivo consiste nell’eseguire un certo numero di operazioni, spesso indipendenti tra loro. L’analisi del compito serve a individuare le operazioni che il soggetto deve compiere per eseguire un dato compito. In questo processo di elaborazione vi sono delle limitazioni nel numero di unità di informazione a cui il soggetto può prestare attenzione e che possono essere elaborate simultaneamente, inoltre le operazioni di codifica, confronto, recupero dell’informazione dalla memoria richiedono tempo per essere eseguite e normalmente vengono eseguite in modo seriale. CONFRONTO TRA L’APPROCCIO PIAGETIANO E L’APPROCCIO HIP APPROCCIO PIAGETIANO APPROCCIO HIP Enfasi sulla competenza Enfasi sulla prestazione Cambiamenti qualitativi Cambiamenti quantitativi Discontinuità (stadi) Continuità Processi “dominio – generali” Processi “dominio – specifici” Enfasi sul “che cosa” si sviluppa Enfasi sul “come” si sviluppa Le strategie di elaborazione dell’informazione (memorizzare): è interessante notare che all’inizio i b. o non usano alcuna strategia oppure se ne servono solo quando qualcuno gliela insegna; in seguito la usano spontaneamente e infine se ne servono in modo flessibile estendendola ad un numero sempre più ampio di situazioni. Lo stesso sistema si nota nella risoluzione di problemi: bilancia di Siegler: la bilancia ha una serie di pioli su entrambi i bracci, ai quali possono essere attaccati dei pesi. Si chiede al b. di prevedere da quale lato la bilancia si abbasserà a seconda del numero e della collocazione dei pesi. Emergono 4 regole: Il b. tiene conto solo della dimensione del numero di pesi senza tener conto della loro posizione (più o meno vicina al fulcro). Se il numero di pesi è pari allora tiene conto anche della distanza dal fulcro. Cerca di tener conto sia di distanza che di peso ma se le informazioni sono contraddittorie, tira a indovinare. Il ragazzo coglie la regola esatta: distanza x il peso di ciascun braccio. L’uso di una determinata regola dipende non solo dall’età del b. ma anche dalla sua esperienza nel risolvere certi problemi, dalle opportunità che ha avuto di esercitarsi sul compito. Metaconoscenza e metamemoria sono termini che si riferiscono alla consapevolezza circa i processi del pensiero e della propria memoria rispettivamente. In sintesi, in base alle ricerche di Siegler e di altri sulla soluzione di problemi e sugli studi sulla memoria, possiamo concludere che alcuni dei cambiamenti descritti ed analizzati da P. sembrano il risultato di una maggiore esperienza acquisita nell’eseguire i problemi e i compiti. Si tratta dunque di cambiamenti quantitativi. Rimane un cambiamento di natura qualitativa quando consideriamo la crescente complessità, flessibilità e generalizzabilità delle strategie utilizzate dal b. LO SVILUPPO DELLA TEORIA DELLA MENTE Gli studiosi della teoria della mente sono interessati ad indagare come il b. costruisce la propria conoscenza del mondo psicologico, come arriva a comprendere se stesso e gli altri. Questa nuova tendenza attribuisce al b. una teoria della mente, cioè una teoria di come funzionano gli esseri umani in quanto diversi dagli oggetti inanimati. Il punto di partenza è: da un lato le emozioni fondamentali e gli stati fisiologici dall’altro le percezioni e le sensazioni. Le emozioni e gli stati fisiologici generano i desideri, le esperienze percettive generano le credenze. Le azioni producono risultati e questi attivano reazioni emotive congruenti. Vedi schema pag. 109 Secondo Wellman il desiderio è uno stato mentale più semplice della credenza. Lui vuole una mela Lui pensa che questa sia una mela I b.di 2 anni possiedono una psicologia del desiderio che interpreta le azioni sulla base dei desideri e spiega le reazioni emotive congruentemente al fatto che i desideri siano stati o meno soddisfatti. Verso i 3 anni i b. padroneggiano una psicologia della credenza – desiderio, grazie alla quale sono in grado di prevedere che le azioni di una persona saranno guidate non solo dai suoi desideri ma anche dalle sue credenze, e anche che queste credenze possono essere sia vere che false. Compito della falsa credenza di Sally e Anna. (Wimmer e Perner). I precursori della teoria della mente: Gioco simbolico (far finta di…) Intenzione comunicativa dichiarativa (compare alla fine del primo anno e consiste nel richiamare l’attenzione dell’adulto su un oggetto solo per condividere con lui l’interesse per quell’oggetto) OPS: la principale Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in psicologia Articoli, forum di discussione tematici, libreria specializzata, opportunità di stage e lavoro, banca dati curriculum, corsi di formazione, archivio tesi di laurea e molto altro ancora… Visita la Community all’indirizzo www.opsonline.it Secondo alcuni studiosi il fenomeno della teoria della mente dipende da meccanismi di sviluppo cognitivo che sono altamente specializzati e modulari; questi moduli si attualizzano in determinati momenti dello sviluppo a seguito della maturazione del sistema nervoso. Altri studiosi hanno un approccio costruttivista che punta sul ruolo della costruzione sociale piuttosto che sulle basi biologiche. La comprensione della mente si costruisce a partire dall’attività del b. e dalla sua esperienza del mondo sociale. LA VALUTAZIONE DELL’INTELLIGENZA Interesse per le differenze individuali. Come e perché sono nati i test d’intelligenza? Nascono tra la fine dell’’800 e i primi del ‘900 in relazione ai progressi della scolarizzazione che caratterizza le società occidentali avanzate. Nel 1904 il ministero della Pubblica istruzione francese istituì una commissione con il compito di studiare il problema dell’educazione speciale. La commissione allora era presieduta da Binet, il quale ideò il primo test d’intelligenza che gli alunni delle scuole elementari avrebbero dovuto eseguire proprio per identificare gli alunni che avrebbero dovuto beneficiare di un’educazione speciale. La scala Binet nacque nel 1905, essa distingueva tra intelligenza normale e ritardo e differenziava inoltre tre gradi di ritardo mentale. Questa scala chiamata scala Binet – Simon e le successive revisioni consentono di misurare il Quoziente d’Intelligenza (Q.I) di b. in età scolare. Il Q.I. è il rapporto tra l’età cronologica del b. e la sua età mentale. Questo sistema non è più usato ed è stato sostituito dal confronto tra la prestazione del b. e quella di un ampio gruppo di b. della stessa età. I test d’intelligenza oggi maggiormente usati sono la versione aggiornata della scala Stanford – Binet e la Wechsler Intelligence Scale for Children (WISC – R), che comprende 10 sottoscale divise in due gruppi: uno valuta le capacità verbali e l’altro, detto di adattamento (performance), valuta le capacità percettive e la logica non verbale. Critiche ai test d’intelligenza Riguarda la concezione di intelligenza su cui si basano: capacità unitaria e stabile, potenziale finito con cui l’individuo nasce e che rimane stabile nel corso del suo sviluppo. Le ricerche hanno dimostrato il contrario. Riguarda il fatto che essi possono essere usati per discriminare, ed eventualmente, emarginare, i b. meno dotati o quelli che appartengono a culture minoritarie. Gardner propone l’esistenza di sei tipi distinti di intelligenza (linguistica, musicale, logico – matematica, spaziale, corporeo – cinestesica), due soltanto dei quali sono misurabili con i tradizionali test. Sternberg propone una teoria triarchica secondo la quale esistono tre aspetti dell’intelligenza: Intelligenza componenziale: ciò che si misura con i test (pensiero analitico) Intelligenza esperienziale: intuitiva e originale Intelligenza contestuale: scaltrezza. Implica la capacità di comprendere e sfruttare le situazioni a proprio vantaggio. Rende possibile un buon adattamento sociale. Negli anni ’30 ci aspettava che questi test avessero una validità predittiva: i punteggi ottenuti dal b. dovevano predire il suo Q.I da adulto. Quest’aspettativa fu smentita. Si idearono altri test in seguito ma senza risultati dal punto di vista predittivo. I fallimenti sono dovuti alla nozione di intelligenza che va invece considerata come: un insieme di capacità che cambiano qualitativamente nel corso dello sviluppo. Ad ogni stadio evolutivo l’intelligenza consiste in una serie di capacità che sono specifiche di quella fase. Di conseguenza, i comportamenti che misurano l’intelligenza in un dato stadio o età possono essere molto diversi dai comportamenti adatti a misurarla in uno stadio successivo. Partendo da queste considerazioni si è affermato un nuovo approccio detto ordinale alternativo all’approccio psicometrico precedente. Mentre i test tradizionali vedono lo sviluppo come accrescimento, le scale ordinali concepiscono lo sviluppo come trasformazione di capacità verso livelli progressivamente più alti. Le acquisizioni del livello più alto sono derivate da quelle del livello precedente. Per quanto riguarda le cause dello sviluppo, i test tradizionali adottano la posizione secondo cui esso è il prodotto di una programmazione genetica oppure la posizione secondo cui l’ambiente modella il comportamento. Per l’approccio ordinale, la causa del cambiamento non risiede né nell’organismo né nelle condizioni ambientali presi separatamente ma da un’interazione dei due. Vedi esperimenti pag. 115 – 116. LO SVILUPPO DEL LINGUAGGIO E DELLA COMUNICAZIONE (5) CHE COS’È IL LINGUAGGIO? Di norma si impara a parlare nei primi 3 anni di vita. Non si può parlare di linguaggio senza inserirlo in una più ampia capacità comunicativa pur possedendo una propria specificità caratterizzata da: creatività (capacità di legare unità base di una lingua per creare infinite varietà di messaggi) e arbitrarietà (il significato di questi legami è arbitrario, trasmesso culturalmente e differente da cultura a cultura). LE PIÙ IMPORTANTI TEORIE SULL’ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO La spiegazione innatista Anni ’60. Chomsky. Dispositivo innato per l’acquisizione del linguaggio (LAD). Programma biologico per imparare a parlare che corrisponde ad una grammatica universale (GU) la quale contiene la descrizione degli aspetti strutturali condivisi da tutte le lingue naturali. Secondo C. il linguaggio è un insieme di regole che il b. deve scoprire partendo dalle più semplici a quelle più specifiche. Secondo C. inoltre, l’apprendimento per imitazione e l’insegnamento da parte degli adulti non hanno alcun ruolo nello sviluppo linguistico poiché: il b. è creativo nell’usare il linguaggio, è cioè capace di produrre e capire espressioni nuove mai ascoltate in precedenza. Il linguaggio che il b. produce è più ricco di quello a cui è stato esposto, dal momento che gli adulti spesso esprimono frasi incomplete e/o scorrette. Il linguaggio infantile viene quindi visto non più come una rozza imitazione di quello adulto, ma come un processo attivo, creativo e guidato da regole. La competenza precede l’esecuzione, il b. cioè, possiede le regole prima di saperle usare. La spiegazione interazionista OPS: la principale Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in psicologia Articoli, forum di discussione tematici, libreria specializzata, opportunità di stage e lavoro, banca dati curriculum, corsi di formazione, archivio tesi di laurea e molto altro ancora… Visita la Community all’indirizzo www.opsonline.it Anni ’70. Il linguaggio non è indipendente dalle capacità cognitive e sociali dell’individuo. Si ritiene però che la sintassi e la semantica del linguaggio possano derivare da categorie più generali della conoscenza. L’ipotesi cognitiva di Piaget inserisce lo sviluppo del linguaggio all’interno dello sviluppo cognitivo del b. lo sviluppo cognitivo precede la comparsa del linguaggio ed è autonomo rispetto ad esso, mentre il linguaggio dipende e deriva dallo sviluppo cognitivo. Piaget vs Chomsky perché sostiene che l’esecuzione precede la competenza. Il b. impara facendo, solo in un secondo tempo capisce quello che fa. Sviluppo del linguaggio e contesto sociale Saper parlare significa non solo usare il linguaggio in modo grammaticalmente corretto, ma anche contestualmente appropriato. Gli approcci funzionalistici sostituiscono la nozione di competnza linguistica di Chomsky con quella di competenza comunicativa per far capire che il b. è in grado di comunicare anche senza saper ancora parlare. Analisi di tipo funzionale o pragmatico derivante da Austin o Searle i quali parlavano di “atti linguistici” differenziando il contenuto proposizionale (significato locutivo) dall’intenzione con cui il parlante produce quella frase (significato illocutivo) mostrando che essi possono non coincidere. Questo approccio porta a diverse conseguenze: si scopre che il linguaggio rivolto ai b. dagli adulti è molto importante e adatto ad aiutarli ad assimilare la lingua materna (vs C.) Bruner, parla di formati di “attenzione condivisa” e di “azione condivisa”, come di giochi o routines che madre e b. producono ripetutamente nell’interazione quotidiana. Il b. impara a dare un intenzione alle proprie azioni e a comprendere quelle della madre. La sua enfasi sulla natura sociale del linguaggio si ispira alla teoria di Vygotskij. B. ritiene insieme ad altri che le due teorie precedenti alla spiegazione interazionista sull’acquisizione del linguaggio sono una impossibile (quella di Skinner) e l’altra miracolistica (quella di Chomsky). È necessario perciò formilare una terza teoria che considera non solo un LAD (dispositivo innato per l’acquisizione del linguaggio) ma anche un LASS (sistema di supporto per l’acquisizione del linguaggio) che corrisponde al ruolo svolto dall’adulto e dal contesto sociale nel consentire l’ingresso del b. nel mondo del linguaggio e della cultura. LA FASE PRELINGUISTICA I primi suoni I primi suoni che il b. produce sono di natura vegetativa (sbadigli, ruttini…) o compaiono legati al pianto. Wolff, parla di tre tipi di pianto: dolore, fame, irritazione (verso la 3° sett. Di vita). Tra i 2 e i 6 mesi: prime vocalizzazioni, si osservano delle “protoconversazioni”, i suoni del b. si inseriscono nei discorsi degli adulti come se il b. rispondesse all’adulto. Verso i 6 – 7 mesi: compare la lallazione canonica (da da da…la la la…). Compaiono alcune caratteristiche della lingua materna e si riduce l’iniziale ampiezza fonetica (la capacità di produrre tutti i contrasti fonetici possibili), limitandosi a quella della propria lingua. Verso i 10 – 12 mesi: compare la lallazione variata, sequenze sillabiche complesse (dadu, lalu…). Compaiono anche i primi suoni simili a parole (proto – parole) che pian piano assumono un significato contestuale con l’utilizzo ripetuto in determinati contesti. I b. differiscono tra loro non solo nei suoni che preferiscono produrre (preferenze fonetiche) ma anche nella stabilità di queste preferenze e nell’organizzazione del proprio sistema fonologico. Gesti comunicativi Tra i 9 e i 12 mesi il b. comincia ad utilizzare gesti come indicare, mostrare, offrire, dare e richieste ritualizzate che vengono chiamati performativi o deittici. Di solito vengono prodotti a distanza (distali) e spesso sono accompagnati dallo sguardo (verso l’oggetto e verso il destinatario). Bates ha osservato b. tra i 9 e i 13 mesi italiani e americani e ha evidenziato le seguenti 3 caratteristiche dei gesti comunicativi: sono usati con un’intenzione comunicativa sono convenzionali si riferiscono ad un oggetto o evento esterno i gesti deittici sono usati sia per chiedere l’intervento dell’adulto (richiesta) sia per attirarne l’attenzione e ondividere con lui l’interesse per un evento esterno. A partire dagli 11 – 12 mesi compaiono i gesti referenziali o rappresentativi. Questi oltre ad avere un’intenzione comunicativa hanno anche un referente specifico, il loro significato cioè, non varia sulla base del contesto. Questi gesti nascono all’interno di giochi o routines sociali con l’adulto (es. scuotere la testa per dire no, aprire e chiudere la mano per salutare ecc…) e vengono appresi per imitazione. Successivamente questi gesti vengono usati anche fuori dal contesto scatenante (se prima il b. ballava solo con una certa canzone, poi balla per chiedere alla madre di mettere quella canzone). Contemporaneamente compaiono le prime parole anch’esse inizialmente strettamente legate ai contesti. In uno studio su 23 b. Volterra ha individuato il seguente profilo evolutivo: a 12 mesi la modalità prevalente è quella gestuale, intorno ai 16 mesi aumenta la produzione vocale così che il numero di gesti e parole prodotte è lo stesso. Dopo il numero di gesti decresce notevolmente e la modalità vocale prevale su quella gestuale, ciò dipende anche dal fatto che l’ambiente offre al b. più modelli vocali che gestuali. LE PRIME PAROLE Compaiono in generale verso gli 11 e i 13 mesi e stanno a indicare persone, oggetti e azioni familiari. Gli oggetti soprattutto piccoli (manipolabili) e in movimento (veicoli). L’uso iniziale delle prime parole non è referenziale ma lo diventa in seguito quando la parola non è più legata all’evento specifico ma a diverse situazioni. La comprensione precede la produzione linguistica, nel senso che il b. è in grado di produrre parole spontaneamente solo quando ne avrà capito il significato. In ogni caso la comprensione è sempre maggiore della produzione. L’esplosione del vocabolario OPS: la principale Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in psicologia Articoli, forum di discussione tematici, libreria specializzata, opportunità di stage e lavoro, banca dati curriculum, corsi di formazione, archivio tesi di laurea e molto altro ancora… Visita la Community all’indirizzo www.opsonline.it Si possono distinguere due fasi dello sviluppo lessicale nel secondo anno di vita: 12 – 16 mesi (circa 50 parole rferite a oggetti, persone, animali) e 17 – 24 mesi (può assumere la forma di un’esplosione di vocabolario, da 5 a 40 parole alla settimana, aggettivi, proposizioni, articoli…che permettono il passaggio dalla referenza alla predicazione, ossia dalla fase delle parole singole a quella della combinazione di parole). Importante sottolineare che questa esplosione di vocabolario non è comune a tutti i b. e non ha le stesse caratteristiche e gli stessi tempi per tutti. L’evoluzione del significato delle parole In generale tutti gli studiosi sono d’accordo nel dir che il b. associa al significato di una parola aspetti della realtà diversi da quelli che vi associa l’adulto. Il b. inizialmente fa alcuni errori comuni quali: sovraestensione (cane = qualsiasi animale a 4 zampe), sottoestensione (il b. chiama bambola solo la sua bambola preferita) e sovrapposizion (aprire = aprire la porta ma anche sbottonarsi la giacca o accendere la luce). All’inizio sono più frequenti le sovraestensioni, successivamente le sottoestensioni. Secondo alcuni studiosi, il b. costruisce il significato delle parole sulla base delle somiglianze percettive tra gli oggetti, secondo altri il b. guarda le somiglianze funzionali (Nelson, nucleo funzionale, all’inizio il b. riconosce gli oggetti a seconda della loro funzione e poi per le sue caratteristiche percettive). Per es. un b. definisce una palla prima come qualcosa che rotola poi come qualcosa di sferico. Barrett: alcune parole nascono strettamente contestualizzate, altre no e vengono prodotte in una varietà di contesti. Di solito i b. imparano nomi che si situano ad un livello – base di generalità prima e soltanto in seguito imparano nomi più specifici (categorie subordinate) o nomi più generali e astratti (categorie sovraordinate). Questo è in parte dovuto anche al fatto che gli adulti tendono a cercare di semplificare la comunicazione con i b. per es. chiamando fiori tutti i tipi di fiori o gatto tutte le razze di gatti e anche i ghepardi e gli altri felini… Il sistema semantico del b. non è ancora convenzionale e si avvicina sempre più a quello adulto (convenzionale) solo con il tempo. LO SVILUPPO DELLA GRAMMATICA Si individuano due componenti: morfologia: acquisizione di suffissi e prefissi che servono a formare il plurale/singolare delle parole, il maschile/femminile…oppure a coniugare i verbi a derivare un nome da un altro ecc… sintassi: capacità di costruire combinazioni di parole che rispettino le regole della propria lingua materna. Lo sviluppo della grammatica inizia precocemente (fine del 2° anno di vita) ma alcuni aspetti vengono padroneggiati completamente soltanto a 9 – 10 anni. Dalle prime fasi al linguaggio complesso La comparsa delle prime combinazioni è correlata più all’ampiezza del vocabolario che all’età cronologica del b., infatti i b. cominciano a combinare due o tre parole quando l’ampiezza del vocabolario supera le 50 parole. Quali regole caratterizzano il primo linguaggio infantile? Secondo gli studiosi che si ispirano a Chomsky le regole sono universali, valide per tutte le lingue, non vengono apprese dall’ambiente ma derivano dalla conoscenza innata del linguaggio. Una prova sarebbero quelli che chiamiamo ipercorrettismi (romputo, leggiuto...). All’inizio degli anni ’60 alcuni autori hanno cercato di individuare le regolarità nelle prime fasi dei b. raggruppando in classi le parole che compaiono nei medesimi contesti. due classi: la classe perno: comprende un piccolo numero di parole che ricorrono frequentemente e sempre in posizione iniziale nella frase la classe aperta: appartengono tutte le altre parole del vocabolario, che sono più numerose ma ricorrono meno frequentemente e non hanno una posizione fissa. Ipotesi criticata: scarse conferme di questa presenza di classi nelle lingue diverse dall’inglese. Inoltre tali grammatiche descrivono la struttura sintattica ma trascurano la dimensione semantica, ovvero il significato che i b. cercano di esprimere con le loro frasi. Antinucci e Parisi hanno individuato due stadi di sviluppo sintattico dei b. che imparano l’italiano: I b. producono espressioni di due o più parole costruite tutte allo stesso modo. Esse contengono la struttura nucleare della frase, cioè un predicato verbale con i suoi argomenti e l’intenzione con cui si pronuncia la frase. La struttura nucleare minima si amplia così da includere strutture facoltative. I b. di livello socioeconomico più elevato non differiscono da quelli di livello basso nel numero e nella lunghezza di frasi semplici ma producono un numero assai più elevato di frasi subordinate e complesse. Per valutare la progressiva crescita della complessità morfosintattica nelle produzioni infantili si utilizza la lunghezza media dell’enunciato (LME). Roger Brown ha introdotto la LME partendo dal presupposto che la complessità di una struttura linguistica possa essere valutata in base al numero degli elementi che la compongono. In età superiori ai 3 anni di vita risulta inadeguata per analizzare lo sviluppo linguistico. Lo sviluppo morfosintattico Nella lingua italiana per comprendere una frase ci si affida prima di tutto all’accordo tra soggetto e verbo, nel caso in cui questo non sia sufficiente si guarda il significato per interpretare la frase, se ancora questo non fosse possibile si guarda l’ordine delle parole nella frase. La morfologia verbale: entro i 3 anni i b. italiani sanno utilizzare l’accordo soggetto – verbo. Le forme plurali compaiono dopo. Per quanto riguarda la comprensione del linguaggio i b. guardano all’accordo tra soggetto e verbo solo verso i 7 anni e si uniformano completamente alla strategia degli adulti solo a 9 anni. I b. più piccoli utilizzano l’informazione relativa al significato e solo tra i 5 e i 7 anni scoprono l’importanza dell’ordine delle parole nella frase. La morfologia nominale: le forme del genere e del numero sono padroneggiate intorno ai 3 anni di età mentre il sistema degli articoli risulta ancora incompleto. OPS: la principale Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in psicologia Articoli, forum di discussione tematici, libreria specializzata, opportunità di stage e lavoro, banca dati curriculum, corsi di formazione, archivio tesi di laurea e molto altro ancora… Visita la Community all’indirizzo www.opsonline.it La morfologia pronominale: imparano intorno ai 3 – 4 anni ad utilizzare in modo efficace i pronomi personali negli scambi dialogici (in particolare quindi io/tu me/te), più tardiva è la comparsa degli altri pronomi. La completa acquisizione della morfosintassi della lingua italiana è un processo lento e graduale. Alcuni autori ritengono che tra i 4 e i 6 si verifichi una riorganizzazione del sistema linguistico con il passaggio da una grammatica intrafrasale ad una interfrasale. Dalla frase al discorso. Passaggio facilitato dalla scuola. LE DIFFERENZE INDIVIDUALI NELLO SVILUPPO DEL LINGUAGGIO Differenze nel ritmo In generale i b. imparano a parlare tutti seguendo un certo percorso fatto di “pietre miliari”. Tuttavia ciascun b. impara con un ritmo diverso. TAPPE Lallazione canonica Prima comprensione di parole Gesti deittici Gesti referenziali Produzione delle prime parole Vocabolario di 50 parole Prime combinazioni di parole Esplosione della grammatica comparsa delle prime frasi Progressiva efficienza sul piano lessiale, morfologico, sintattico. ETÀ (MESI) 7–9 8 – 10 9 – 12 12 – 15 12 – 15 18 – 20 20 – 24 24 – 30 24 – 36 Differenze nello stile Katherine Nelson ha analizzato le prime 50 parole prodotte da b. americani e ha trovato che le proporzioni di nomi (vale a dire quanti sostantivi, verbi, pronomi…) nel vocabolario variava notevolmente. L’autrice ha caratterizzato due stili di acquisizione: referenziale e espressivo. Ha trovato che i b. referenziali avevano uno sviluppo lessicale più rapido mentre i b. espressivi acquisivano le prime 10 frasi più rapidamente, erano cioè più veloci nello sviluppo sintattico. Altri autori hanno accettato questa suddivisione che non è dicotomica ma continua pur chiamando i due stili in modi differenti (nominale – pronominale, analitico – olistico, in particolare quest’ultimo vede l’acquisizione del linguaggio sia come segmentazione dello stesso nelle sue unità minime, parole, sia come riproduzione di unità linguistiche più ampie, frasi). Alcune variabili sociodemografiche risultano associate alle differenze di stili. I b. che adottano uno stile referenziale tendono ad essere primogeniti e di sesso femminile e appartenenti a famiglie di livello socioeconomico alto. Questo porta a ritenere che ala base dei diversi stili vi siano fattori sia individuali che contestuali. Vedi tab. pag. 139 per differenze nei diversi stili. GLI USI DEL LINGUAGGIO Saper parlare implica anche saper parlare nel momento giusto (in modo contestualizzato). Si parla perciò di competenza pragmatica che include due aspetti: la capacità di conversare e la capacità di tenere conto del punto di vista dell’interlocutore. Imparare a conversare Il b. è precocemente in grado di conversare utilizzando il grado giusto di intonazione e un limitato numero di frasi fatte. Questo anche grazie alle madri che nel conversare con i propri b. tendono più a fare richieste implicite piuttosto che a dare ordini espliciti. Già a 4 anni di età i b. sanno adattare il proprio stile conversazionale in funzione dell’interlocutore, a seconda che si tratti di un adulto, un coetaneo o un b. più piccolo. Con un b. più piccolo tendono a dare ordini, con gli adulti mitigano le loro richieste mentre con i coetanei usano forme più cortesi di richiesta. Nei b. di 3 anni è ancora assente la capacità di conversare su temi lontani dall’attività in corso, mentre i b. di 5 anni cominciano a dialogare facendo riferimento a eventi passati o a progetti futuri. Imparare a comunicare efficacemente Secondo Piaget, i b. fino a 7 non sono in grado di comprendere il punto di vista del proprio interlocutore (si parla quindi di linguaggio egocentrico), questo per via dell’intelligenza egocentrica dell’età prescolare. Come già mostrato in altri casi sempre a proposito della teoria di Piaget, attraverso un compito semplice la difficoltà di comprensione del punto di vista altrui e della distinzione fra la propria conoscenza e quella altrui è superata. Per es. si è dimostrato che se si chiede a b. di 3 o 5 anni di spiegare ad un adulto che bisognava mettere i giocattoli in una macchina essi sapevano spiegare in modo chiaro il da farsi e se l’adulto si copriva gli occhi in modo da non vedere i giocattoli il b. spiegava più nei dettagli. Ciò significa che sapevano comprendere che l’adulto non vedendo i giocattoli che lui invece vedeva non poteva sapere di cosa lui stesse parlando se non glielo spiegava. Se il compito è più complesso lo scambio comunicativo può fallire. Esso può fallire anche perché spesso il parlante non è in grado di dare messaggi utili all’ascoltatore per farsi capire (esp. In cui si chiede a un b. di descrivere verbalmente a un altro della sua età che non vede, figure insolite). L’ambiguità non è sempre percepita e anche quando viene percepita non si riesce a risolverla poiché i b. solitamente non sono abituati a sforzarsi di essere chiari in famiglia. Solitamente i familiari tendono a colmare le lacune del b. senza fargli notare di non essere stato chiaro. Quando l’ascoltatore fa capire chiaramente di non aver ricevuto un messaggio chiaro, i b. di 6 –7 anni sono in grado di risolvere l’ambiguità. A 9 anni comunque troviamo che i b. sono perfettamente in grado di descrivere senza ambiguità o incertezze figure familiari con una variazione limitata di attributi (ad es. forma e colore nella fig. degli alberi di natale pag. 146). LA CONSAPEVOLEZZA METALINGUISTICA OPS: la principale Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in psicologia Articoli, forum di discussione tematici, libreria specializzata, opportunità di stage e lavoro, banca dati curriculum, corsi di formazione, archivio tesi di laurea e molto altro ancora… Visita la Community all’indirizzo www.opsonline.it Solitamente quando parliamo siamo attenti a ciò che trasmettiamo e quando ascoltiamo siamo attenti a ciò che gli altri ci trasmettono. Questo significa che le forme del linguaggio sono trasparenti perché ci fanno guardare al di là di esse (al loro significato). Esse però possono diventare opache quando trattiamo il linguaggio come un oggetto d’analisi. Come il b. acquisisce la competenza metalinguistica ossia la capacità di rendere opaco il linguaggio? Una studiosa statunitense Ruth Weir, ha videoregistrato i soliloqui del figlio di due anni mentre gioca da solo in una stanza e ha notato che egli è in grado di utilizzare il linguaggio anche in assenza di stimoli comunicativi. Egli si concentra più sulla forma che sul contenuto fa giochi linguistici. Un b. in età prescolare mentre sa concentrarsi solo sulla forma non è in grado di concentrarsi facilmente sia su forma che su contenuto. In generale fino ai 5 – 6 anni i b. tendono a privilegiare ciò che si vuol dire rispetto a ciò che si dice veramente perciò non guardano il significato letterale della frase ma quello intenzionale. Il metalinguaggio: fa parte di esso tutta quella serie di parole che si riferiscono a cose come pensare, credere, riflettere, immaginare, ma anche pregare, promettere, maledire…si ritiene che l’alfabetizzazione faciliti la padronanza di un metalinguaggio più elaborato in quanto a scuola altrimenti i b. non saprebbero rispondere a certe domande come : cosa vuol dire questo? Perché dici questo? ecc… L’apprendimento della lingua scritta In generale la conoscenza che un b. ha del linguaggio influenza in modo significativo l’apprendimento della lettura. Secondo Emilia Ferreiro e Ana Teberosky imparare a leggere e scrivere è un processo conoscitivo, in cui il b. fa delle ipotesi che vengono vagliate ed eventualmente abbandonate quando entrano in conflitto con i dati dell’esperienza, finchè acquisisce le regole del sistema convenzionale adulto. 4 sono le fasi della letto – scrittura in età prescolare e precisamente: fase presillabica: il b. non differenzia la scrittura dal disegno perché hanno entrambi un significato. Perciò per esempio ritiene che treno vada scritto più grande di automobile. fase sillabica: poi comprende che la scrittura non si riferisce direttamente all’oggetto ma al nome dello stesso e inizia a scrivere delle sillabe. (scrive come parla). fase sillabico – alfabetica: nel passaggio dalla scrittura sillabica a quella alfabetica la difficoltà sta nel fatto che mentre la sillaba corrisponde ad un segmento acusticamente riconoscibile la lettera no. fase alfabetica. LO SVILUPPO SOCIALE (6) L’AMBITO DI STUDIO Il termine sviluppo sociale ha sostituito quello di socializzazione. Fino agli anni ’60 lo studio dei processi di socializzazione era concepito o in chiave d’acculturazione o d’acquisizione del controllo degli impulsi e d’addestramento al ruolo o sul ruolo di modellamento svolto dall’adulto. La sostituzione rende chiaro che il neonato è un essere sociale fin da subito e diventa sempre più consapevole e competente grazie a processi bidirezionali di interazione. COMPRENSIONE DI SÉ E DEGLI ALTRI Man mano che il b. comincia a comprendere gli altri, inizia anche a comprendere se stesso e utilizza contemporaneamente la conoscenza che ha di sé per comprendere nuovamente gli altri. È importante lo sviluppo della comprensione della distinzione tra sé e gli altri perché è da qui che inizia a svilupparsi la coscienza di possedere un’identità separata, che può essere pensata non solo come interna ma anche come esterna, può essere oggettivata. Dal processo di oggettivazione del Sé deriva l'autoconsapevolezza e la conoscenza sociale. La coscienza di sé La consapevolezza emotiva e cognitiva di sé e degli altri nascono nelle interazioni e nelle relazioni affettive, si tratta di concetti dinamici che evolvono nel tempo. Lewis riprende la classica distinzione effettuata da James tra ME e IO, parlando di Sé esistenziale (componente implicita del sé che organizza l’esperienza; ipotizza che si sviluppi nel corso del primo anno di vita, quando il b. inizia a distinguere Sé dagli altri) e di Sé categorico (componente esplicita del Sé che deriva dall’autoconsapevolezza; ipotizza che si sviluppi intorno ai due anni con l’autoriconoscimento e con la capacità di utilizzare alcune categorie esteriori semplici quali sesso, età, aspetto fisico…per descriversi). Neisser successivamente, distingue tra consapevolezza primaria (fisica e interpersonale; di fonda su una percezione immediata che deriva dalle informazioni sensoriali e dalla comunicazione verbale e non soprattutto nelle relazioni diadiche. Coincide con il Sé esistenziale) e consapevolezza secondaria (richiede capacità riflessive e rappresentative; si basa appunto su queste capacità e coincide con il Sé categorico di Lewis). Autoconsapevolezza e riconoscimento allo specchio: quando avviene il passaggio da Se esistenziale a Sé categorico che rende coscienti della propria identità come separata da quella altrui? Non si può escludere che il b. inizi ad essere consapevole nella fase preverbale ma di sicuro si può ritenere che egli abbia acquisito questa capacità di distinzione quando inizia ad usare termini quali io, tu, noi, il proprio nome o quello altrui. Un altro segnale è il riconoscimento della propria immagine allo specchio, il b. deve capire che l’immagine allo specchio non è un estraneo ma l’oggettivazione di se stesso. Il b. fino si 4 – 5 mesi è attratto fortemente dall’immagine della madre riflessa allo specchio ma non dalla propria, nei mesi successivi comincia a capire che esiste un rapporto tra sé e ciò che vedono riflesso. La capacità di riconoscersi sarà raggiunta tra i 12 e i 18 mesi. Lewis e Brooks – Gunn hanno usato un paradigma di ricerca per verificare il momento dell’autoriconoscimento. Esso consisteva nell’applicare al b. (a sua insaputa) una macchia rossa sul suo naso. Poi lo facevano specchiare: se egli cercava di togliersi la macchia dal proprio naso era segno che non solo aveva capito che l’immagine allo specchio era la sua oggettivazione ma anche che quell’immagine violava l’immagine mentale che egli si era costruito del proprio viso. La coscienza degli altri OPS: la principale Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in psicologia Articoli, forum di discussione tematici, libreria specializzata, opportunità di stage e lavoro, banca dati curriculum, corsi di formazione, archivio tesi di laurea e molto altro ancora… Visita la Community all’indirizzo www.opsonline.it Una volta raggiunta la consapevolezza di sé come facciamo a dire che il b. è in grado di riconoscere anche gli altri come dotati di una propria soggettività diversa dalla sua? Un criterio utile può essere la familiarità, ossia il riconoscimento dell’estraneo come diverso da sé e dai familiari. Alla nascita il b. non nota l’estraneo, verso i 3 mesi lo osserva attentamente e verso i 6 – 8 mesi comincia ad averne timore (questa paura è interpretata dalla teoria dell’attaccamento come riconoscimento di un segnale di pericolo che attiva quindi la vicinanza alla madre, favorendo quindi l’attaccamento). Le reazioni agli estranei non sono sempre uguali come aveva ipotizzato Bowlby, molto dipende dalle caratteristiche dell’estraneo. Come spiegare questa varietà di reazioni? L’ipotesi di Lewis e Brooks presuppone una connessione tra sviluppo del Sé e reazione all’estraneo, basata sulla convinzione che i b. utilizzino gli schemi di conoscenza relativi al Sé per comprendere gli altri. Posti di fronte a tre stimoli estranei quali un b., un adulto e un nano, i b reagivano affettuosamente e con interesse nei confronti del b. estraneo, con disagio nei confronti dell’adulto e con risposte non chiaramente definite nei confronti del nano. L’ipotesi è che nel valutare l’estraneo il b. applichi una distinzione del tipo “simile a me”, “non simile a me”. Ma la conoscenza dell’altro non si basa solo su aspetti esteriori, essa richiede, come per la conoscenza di sé, un’attività di riflessione e valutazione dei pensieri, delle emozioni, del punto di vista altrui. Il b. deve percepire la stabilità degli oggetti e delle persone nel tempo e nello spazio, in modo che possa cercarli anche quando non sono presenti. Questa conquista testimonia l’esistenza di rappresentazioni mentali in base alle quali il b. conosce gli oggetti e le persone indipendentemente dall’esperienza sensoriale diretta. Questa capacità si sviluppa durante la fase sensomotoria di Piaget, intorno ai 12 mesi, e si compie intorno ai 18 mesi. Il b. deve saper riconoscere le emozioni e comprenderle. Intorno ai 18 mesi la comparsa delle emozioni sociali costituisce un preciso indicatore della coscienza di sé. La colpa, la vergogna, l’imbarazzo, sono espressioni emotive complesse che richiedono capacità cognitive di valutazione di sé e degli altri e delle aspettative sociali. Grazie allo sviluppo cognitivo ed emotivo, la rappresentazione mentale degli altri diventa sempre più ampia fino a contenere anche il punto di vista attraverso cui gli altri vedono e sentono la realtà. Piaget ha attribuito ai bambini fino ai 5 – 6 anni una comprensione del mondo sociale egocentrica, ossia caratterizzata dall’incapacità di comprendere il punto di vista altrui. Gli studi sulla teoria della mente dicono che la rappresentazione dello stato emotivo e mentale altrui è una prerogativa che appare più precocemente di quanto P. aveva ipotizzato. Lo sviluppo del linguaggio affina le competenze sociali. Evoluzione del concetto di sé e degli altri Le elaborazioni sul Sé e sugli altri non sono statiche, ma dinamiche e ci permettono di dare un senso personale alle percezioni e alle immagini degli oggetti e delle persone. Dopo la prima infanzia il senso dell’identità personale e il rapporto con gli adulti e i coetanei è caratterizzato dall’acquisizione dello spirito d’iniziativa, industriosità e superamento del senso di inferiorità. Il b. tende a svolgere attività autonome, prende gusto alla competizione, desidera imparare e mostrare la propria competenza, teme il giudizio degli altri ed è impegnato a superare sensi di colpa e di inferiorità. Si identifica con gli adulti. Gioco: spesso assumono il ruolo di un altro (finzione collettiva), così imparano a comprendere i diversi ruoli. Verso i 7 – 8 anni compare il gioco sociale, il gioco con regole che indica come si vada sviluppando anche l’attenzione alle norme e al loro significato interpersonale. Secondo la teoria dell’attaccamento, nell’infanzia la percezione del mondo è filtrata dall’immagine mentale di Sé e degli altri che ci siamo creati nei modelli operativi interni. Questi modelli possono poi essere in parte modificati dall’esperienza. Capacità di “monitoraggio metacognitivo”: consapevolezza dei propri pensieri. Importanza dell’approvazione dell’adulto nella promozione dell’autostima. I questionari sull’autostima, autodescrittivi possono essere utili dagli 8 anni, età in cui l’immagine di sé si arricchisce di autovalutazioni. Abilità di role – taking: abilità di cogliere la prospettiva dell’altro e di metterla in relazione alla propria. Selman ha individuato gli stadi dell’abilità di role – taking, attraverso cui si affina la distinzione di sé e gli altri. Vedi tab. pag. 161. Un altro strumento per capire come i b. vedono sé e gli altri è fornito dalle descrizioni verbali: fino ai 6 – 7 anni, il b. privilegia l’uso di riferimenti alle caratteristiche fisiche ed esteriori delle persone ed effettua confronti sulla base di indicatori comportamentali più che psicologici. A partire dai 7 anni si riferirà alle qualità interiori degli altri. Lo stesso vale nella descrizione di Sé. Identità e tipizzazione sessuale Già a 9 – 10 mesi i b. capiscono che le persone si dividono in maschi e femmine. Ad un anno prestano più attenzione a compagni dello stesso sesso. A cosa si può attribuire l’identificazione così precoce del sesso biologico? I b. identificano inizialmente alcune caratteristiche fisiche simili a sé e alle persone familiari e cominciano così ad organizzare categorie mentali con le quali orientarsi nella distinzione tra maschi e femmine. Su questa base il b. regola anche il suo comportamento. Rapporto tra caratteristiche di personalità e differenze sessuali: le prime ricerche erano poco attendibili perché basate su stereotipi e tenevano conto come metodo di rilevazione dei dati delle opinioni non imparziali di genitori e insegnanti. Gli studi meno controversi sono quelli basati su metodologie osservative più rigorose. Da questi studi emerge che le somiglianze sono maggiori delle differenze: scelta dei giochi, scelta dei compagni di gioco, stile relazionale. scelta dei giochi: maschi: giochi di movimento, giocattoli tipicamente maschili (costruzioni, macchinine, armi…) femmine: bambole, colori, mansioni femminili… scelta dei compagni: maschi e femmine: coetanei dello stesso sesso, dai 3 anni la separazione è marcata, poi si attenua nell’adolescenza con la nascita delle relazioni eterosessuali. stile relazionale: maschi: interazioni basate su forme di gerarchia e di dominanza, contatti corporei che sfociano in aggressioni… femmine: maggiore disponibilità alla collaborazione, propense a attuare comportamenti prosociali… OPS: la principale Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in psicologia Articoli, forum di discussione tematici, libreria specializzata, opportunità di stage e lavoro, banca dati curriculum, corsi di formazione, archivio tesi di laurea e molto altro ancora… Visita la Community all’indirizzo www.opsonline.it La tipizzazione sessuale è l’esito dell’interazione fra fattori biologici (ormoni maschili: movimento, aggressività) e sociali (educazione ricevuta, modelli comportamentali di riferimento: genitori, gli adulti non fanno che rinforzare gli stereotipi di genere con il loro comportamento). Un altro modo di spiegare il processo evolutivo di identificazione del ruolo sessuale è stato proposto da Kohlberg. Tipizzazione sessuale: processo primariamente cognitivo che deriva dalla più generale tendenza dei b. a categorizzare. Lo sviluppo della T.s. implica, a suo avviso, l’acquisizione dell’identità di genere, della stabilità di genere, della congruenza di genere. identità di genere: intorno ai 3 anni il b. inizia a differenziare le 2 categorie di appartenenza sociale dei maschi e delle femmine e a stabilire la propria identità di genere. stabilità si genere: concetto compreso verso i 4 anni, che implica il comprendere che il genere rimarrà stabile nel tempo. congruenza di genere: verso i 6 – 7 anni la differenza di genere è intesa come una caratteristica biologica intrinseca e immodificabile, pur al variare di abbigliamento o aspetto. RELAZIONI TRA PARI Piaget: Relazione simmetrica (orizzontale): con i pari. Basata su cooperazione e condivisione. Paritaria, fondata sulla reciprocità, importante per imparare a cooperare e negoziare. Relazione asimmetrica (verticale): con gli adulti. Basata su obbedienza, rispetto. Deputata ad offrire cure, protezione, a garantire l’apprendimento e lo sviluppo della persona. Con l’aumentare dell’età aumenta l’interesse verso i pari. Concetto di amicizia: legame forte, caratterizzato da stabilità, costanza e selettività verso uno o più partner. Il rapporto con i coetanei Nei primi anni di vita il rapporto con i coetanei è caratterizzato da unidirezionalità, nel senso che all’azione del primo b. non corrisponde l’azione coordinata del secondo. Parten ha notato nel passaggio dai 2 ai 4 anni, uno spostamento da attività parallele (in cui i b. sebbene vicini fisicamente agiscono essenzialmente da soli) ad attività cooperative (in cui i b. interagiscono attraverso scambi complementari per il raggiungimento di uno scopo comune). Si passa quindi da “imitazione speculare” a “interazioni complementari e reciproche”. Nel periodo prescolare iniziano a formarsi i gruppi che generalmente si suddividono spontaneamente secondo il genere, con fenomeni rigidi di inclusione – esclusione. Nell’infanzia si sviluppano relazioni sempre più selettive basate sull’affinità di interessi. A quest’età appaiono con più evidenza relazioni tra coetanei caratterizzate da rifiuto ed esclusione. A questo proposito è significativa la ricerca di Montagner basata sull’osservazione delle interazioni non verbali tra b. I b. popolari, che chiama leader, manifestano e mantengono negli anni comportamenti non verbali rassicuranti, non aggressive, caratterizzate da sorriso, leggera inclinazione della testa…appaiono anche capaci di mediare un conflitto e di intervenire con decisione in difesa dei b. aggrediti. I b. rifiutati, che chiama dominanti aggressivi, manifestano in misura consistente comportamenti di minaccia attraverso movimenti bruschi e disordinati, attività instabili, scarsa concentrazione, interventi disorganizzanti le attività altrui, provocano pianti negli altri b. questi b. generano rifiuto e problemi di adattamento futuro. Nella fase della preadolescenza e dell’adolescenza, le relazioni con i coetanei risentono delle esperienze pregresse ma allo stesso tempo assumono uno specifico valore come stimolo al confronto e come fonte di sostegno e di supporto all’autostima. Le relazioni amicali La relazione amicale è selettiva, reciproca e stabile. Si è a lungo pensato che questo tipo di legame preferenziale fosse assente nei b. più piccoli mentre, in realtà, diverse ricerche hanno dimostrato che anche b. di 8 – 10 mesi sviluppano dei legami preferenziali con b. che conoscevano già. Sin dalla prima infanzia l’amicizia si manifesta come una relazione reciproca e stabile nel tempo, caratterizzata dalla difesa dell’esclusività del legame, dal chiedere e ricambiare l’attenzione, manifestare interesse per gli stati affettivi dell’altro, in sostanza dalla creazione di un mondo comune condiviso. Cosa spinge i b. a stringere relazioni preferenziali? Secondo Howes, mentre i più piccoli cercano un legame amicale per bisogno di vicinanza e di rassicurazione e motiva in assenza di figure adulte significative, per i b. di 3 – 4 anni è la curiosità e l’interesse negli altri che li spinge a stringere un elevato numero di relazioni. Durante l’età prescolare, il legame si basa anche sullo scambio verbale. Questi b. iniziano a distinguere più maracatamente quelli che sono gli amici dai semplici compagni di scuola. Vantaggi dell’amicizia: favorisce i comportamenti prosociali facilita la cooperazione in caso di conflitto, aiuta ad appianare le divergenze. Essa aiuta a superare emozioni negative di ira o di paura. I comportamenti prosociali vanno dal regalare qualcosa all’aiutare qualcuno in difficoltà. Mentre il primo tipo di comportamento viene attuato più verso b. amici, il secondo viene rivolto a chi ha bisogno indipendentemente dl rapporto amicale. Il concetto di amicizia Selman ha utilizzato dilemmi e domande semistrutturate per intervistare un alto numero di soggetti di età compresa tra i 3 e 34 anni e ha individuato 4 stadi di consapevolezza dell’amicizia, che differiscono qualitativamente l’uno dall’altro e si presentano in una sequenza invariante. STADIO 0 ETÀ 3 – 5 anni CARATTERISTICHE Amicizia come vicinanza fisica, assente abilità CONCETTO DI AMICIZIA Amico come compagno di gioco OPS: la principale Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in psicologia Articoli, forum di discussione tematici, libreria specializzata, opportunità di stage e lavoro, banca dati curriculum, corsi di formazione, archivio tesi di laurea e molto altro ancora… Visita la Community all’indirizzo www.opsonline.it 1 6 – 8 anni 2 9 – 12 anni 3 Dai 12 anni di role – taking, considerazione degli aspetti fisici altrui. Avere un amico significa ricevere aiuto, natura soggettiva del legame, considerazione degli aspetti psicologici altrui. Dare e ricevere aiuto da un amico, reciprocità del rapporto ma precarietà, rischio di rottura in caso di conflitto. Confidenza, sostegno, fiducia nell’amicizia. Rapporto solido e duraturo anche in presenza di conflitti. momentaneo Aiuto unilaterale Cooperazione in circostanze favorevoli Condivisione mutualistica La comprensione dell’amicizia si basa su tre concetti: Incremento della capacità di assumere la prospettiva altrui. Percezione delle persone come entità psicologiche e non solo fisiche. Rapporti sociali duraturi piuttosto che caratterizzati da incontri occasionali. Cosa ci si aspetta da un amico? Ricerca di Bigelow e La Gaipa, 3 stadi nelle aspettative di amicizia: Stadio costi – benefici. Tipico dei b. di 7 – 8 anni i quali desiderano svolgere attività comuni e pensano di poter perseguire obiettivi comuni. Stadio normativo. Tipico dei b. di 9 – 10 anni, caratterizzato da condivisione di valori, regole e sanzioni. Stadio empatico. B. 11 – 12 anni, dominano la comprensione, l’apertura e la condivisione di interessi. LO SVILUPPO MORALE L’acquisizione di una norma è un processo che comprende almeno 3 dimensioni fondamentali: La norma assume un significato affettivo – emotivo, ossia contiene una qualche indicazione sul come ci si dovrebbe sentire nel caso in cui la si rispetti o la si vìoli. Si parla di sensazione morale. Es. Colpa, vergogna, imbarazzo oppure orgoglio, soddisfazione, autostima… La norma rappresenta anche una guida per la condotta, nel senso che prescrive comportamenti socialmente desiderabili e ne sanziona altri. Ruolo del rinforzo sociale con cui le regole vengono trasmesse e fatte rispettare (teoria dell’apprendimento sociale, Bandura). Conoscenza delle norme che rende possibile la comprensione dei significati espliciti ed impliciti. Tema approfondito dagli studi cognitivisti. Il ragionamento morale Piaget e Kohlberg si sono occupati principalmente della moralità nei termini di acquisizione dei criteri di ragionamento, indipendentemente dal contenuto delle norme stesse o delle azioni ad esse collegate. La moralità non risiede solo nella bontà o nella giustezza di un’azione ma nel significato che ad essa l’individuo assegna. Il fatto che giudicare un’azione dipenda dallo sviluppo cognitivo non implica, però, un necessario e stretto rapporto con il comportamento in situazione reale. Il livello cognitivo è una condizione necessaria ma non sufficiente per l’agire reale. (dilemma tra pensiero e azione, posso ritenere una cosa sbagliata ma farla lo stesso). Piaget si chiede se pensiero e azione siano, in questo senso, legati; mentre K. Ribadisce il loro legame dando addirittura al pensiero un valore predittivo del comportamento (azione). Lo sviluppo morale secondo Piaget Anomia (assenza di regole) o periodo premorale, fino ai 3 anni i b. non sanno ragionare attorno al concetto di regola perché è un concetto troppo astratto. Durante il gioco non esistono vincitori o perdenti. Sono concetti che verranno fuori solo in seguito e solo in seguito si parlerà quindi anche di regole del gioco. Questo non significa che i b. non hanno regole in questo periodo, le hanno, come abbiamo visto nei filmati i b. si comportano fra loro secondo precise regole, però "non lo sanno", non hanno appunto il concetto di regola in testa. Morale eteronoma: Dai 4 – 5 anni agli 8 – 9 anni. L'adesione alle regole avviene in funzione del rispetto dell'autorità a alla forza dell'autorità stessa. Nel giudicare un'azione i b. in questa fase tendono a giudicare sbagliato ciò che verrà punto e giusto ciò che verrà premiato. La norma non è interiorizzata. Poi in realtà disubbidiscono spesso e volentieri (questo sempre per via di quella incoerenza fra azione e pensiero). I b. dal punto di vista intellettuale hanno ancora un'intelligenza preoperatoria che viene applicata al modo di giudicare le norme. Un b. che porta un vassoio con 15 bicchieri perché gli è stato chiesto dalla mamma li rovescia tutti e li rompe, un altro b. invece vede la mamma nascondere la marmellata e per prenderla rovescia un bicchiere e lo rompe. Quale azione è moralmente sbagliata? È più grave l'azione di chi ha rotto più bicchieri perché il b. non sa ancora bilanciare il concetto di intenzione con quello di gravità del danno. Realismo morale: intelligenza preoperatoria attenta agli aspetti concreti. Bisogna rispettare le regole non per il loro valore intrinseco ma per l'autorità. Concetto di giustizia retributiva (dev’esserci una proporzione tra meriti e vantaggi / trasgressioni e punizioni. Es. se la figlia è disobbediente, la mamma fa bene a preferire l’altra). Morale autonoma: caratterizzata da relativismo morale. Le regole sono frutto di un comune accordo. Dopo gli 8 anni. La regola non è più giusta perché imposta da un’autorità, non è più intangibile. Valore maggiore attribuito alla cooperazione a alla reciprocità nelle interazioni sociali, idea che la regola rappresenti un modo per regolare le interazioni. La regola mette tutti sullo stesso piano rispetto a qualcosa, garantisce il rispetto e la libertà di tutti. La giustizia in questo senso non è più retributiva ma distributiva. Mentre il b. più piccolo ritiene che vi debba essere una relazione diretta tra l’azione e la retribuzione (premio o punizione), tipo legge del taglione, il b. più grande ritiene che la giustizia debba essere equa, cioè distributiva, la punizione deve servire a ricostruire la relazione sociale (per es. chiedere scusa o restituire un oggetto rubato…). Intorno ai 10 – 11 anni il b. giunge a comprendere che se una regola OPS: la principale Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in psicologia Articoli, forum di discussione tematici, libreria specializzata, opportunità di stage e lavoro, banca dati curriculum, corsi di formazione, archivio tesi di laurea e molto altro ancora… Visita la Community all’indirizzo www.opsonline.it non è giusta non è necessario ubbidirvi. Il b. valuta autonomamente il valore della regola e capisce che è possibile cambiare una regola tramite il consenso sociale. Lo sviluppo della morale secondo Piaget, presenta due diversi aspetti riguardanti: la pratica della regola, la coscienza e il significato della regola stessa. PRATICA DELLA REGOLA Abitudini motorie. Il b. manipola gli oggetti non secondo regole, ma regolarità individuali, in funzione dei suoi desideri e secondo schemi di comportamento rituali. Il gioco è individuale e mancano regole collettive. Egocentrismo (2 – 5 anni). Il b. imita le regole codificate che riceve dall’esternoe imita i b. più grandi iniziando a praticare le regole. Gioca senza entrare in rapporto con i compagni, senza competere. Ognuno gioca per proprio conto senza preoccuparsi delle regole. Cooperazione incipiente (6 – 11 anni). Compare l’agonismo e ognuno vuole vincere. Nasce l’esigenza di cooperare per codificare le regole in base alle quali definire vincitori e vinti. Codificazione delle regole (dagli 11 anni). Le regole assumono un significato collettivo e ben definito che tutti conoscono. Si acquisisce la consapevolezza che per cambiare le regole è necessario l’accordo di tutti. COSCIENZA DELLA REGOLA PRIMO LIVELLO La regola viene inconsapevolmente subita SECONDO LIVELLO (3 – 8 ANNI) La regola viene considerata sacra e intangibile, imposta dagli adulti e, per questo, intrinsecamente valida. Modificare le regole significa trasgredirle. TERZO LIVELLO (DAI 9 ANNI) Le regole sono concepite come frutto del consenso reciproco e come tali possono essere modificate. Lo sviluppo morale secondo Kohlberg Si oppone alla tradizione comportamentista e quindi all’idea che la morale sia frutto di abitudine, imitazione e apprendimento, ritenendo che il pensiero guida l’azione e non viceversa. È interessato al tipo di motivazione e di ragionamento posti alla base dei comportamenti e lo sviluppo morale è identificato dal passaggio da strutture cognitive più elementari a strutture cognitive più mature ed evolute. L’ipotesi di una sequenza parallela di stadi dello sviluppo cognitivo e morale delineata da Piaget è accettata e sviluppata da Kohlberg. Per esplorare le trasformazioni del giudizio morale utilizza vari dilemmi, chiamati morali. Si tratta di storie in cui alla fine il protagonista deve prendere una decisione. Il dilemma più famoso è quello di “Heinz”. La moglie di Heinz è gravemente malata e può essere salvata solo da una medicina, costosa da produrre e scoperta da un farmacista che la fa pagare 10 volte quello che gli costa per fabbricarla. Heinz dopo aver cercato inutilmente di farsi prestare l’intera somma di denaro, propone al farmacista di dilazionargli il pagamento se proprio non volesse diminuire il prezzo. Al rifiuto del farmacista Heinz, preso da disperazione, s’introduce nella farmacia per rubare il farmaco. Ha fatto bene Heinz? A seconda della risposta possono seguire ulteriori domande tipo: e se invece della moglie fosse stato il suo migliore amico? Se il marito non fosse stato molto affezionato alla moglie?ecc… Livelli di giudizio morale Concetto di convenzionale: conformarsi ed attenersi alle regole, alle aspettative e alle convenzioni della società o dell’autorità, proprio in quanto tali (regole, aspettative e convenzioni della società). Possiamo distinguere 3 livelli di giudizio morale, ciascuno diviso in 2 stadi: vedi tab. pag. 179 – 180 Preconvenzionale: assomiglia al b. di Piaget sotto i 9anni. Periodo: 9 – 10 anni. Preconvenzionale è un modo di giudicare le regole sociali e morali caratterizzato dal mancato possesso di questo concetto relativo della legge. orientamento premio – punizione: i b. piccoli sotto i 9 anni hanno un interesse egocentrico e viene valutato ciò che conviene di più. La risposta tende a manifestare una preoccupazione per la conseguenza. C’è la difficoltà a coordinare 2 punti di vista. Rispondono secondo la logica premio – punizione. orientamento individualistico – strumentale: rivolto ai benefici concreti. I b. si rendono conto che ci sono caratteristiche individuali che vertono sugli interessi e ciò può provocare conflitto nel rapporto con gli altri. Giusto o sbagliato in senso individualistico sul vantaggio immediato in accordo con bisogni e interessi. È un livello preconvenzionale perché solo nella preadolescenza o adolescenza i b. capiscono che le regole sono accordi tra persone. Convenzionale: periodo: preadolescenza e adolescenza (11/15 anni). Si acquisiscono i concetti che stanno sotto l’acquisizione della norma. Le persone imparano a capire i valori che stanno dietro alle norme (dietro al “non rubare” c’è il valore del rispetto, non un’autorità). orientamento del bravo ragazzo: il comportamento scaturisce dalle aspettative della propria cerchia, si vogliono mantenere relazioni basate sulla gratitudine. Le prospettive sociali e relazionali sono molto importanti, vi è un’autentica comprensione delle norme e la capacità di mettersi nei panni degli altri. Manca una prospettiva complessa OPS: la principale Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in psicologia Articoli, forum di discussione tematici, libreria specializzata, opportunità di stage e lavoro, banca dati curriculum, corsi di formazione, archivio tesi di laurea e molto altro ancora… Visita la Community all’indirizzo www.opsonline.it del sistema sociale. Atteggiamento di forte adesione al gruppo, non viene colto il significato più elevato della norma, si aderisce alla norma per non far soffrire qualcuno, per adeguarsi agli altri. orientamento volto al mantenimento dell’autorità e dell’ordine: ruoli definiti, l’adolescente coglie le differenze tra membri del proprio gruppo e la società, comprende regole in conflitto le une con le altre, vi è la tendenza a ritenere giusta l’autorità perché altrimenti si è puniti. Postconvenzionale: non tutti lo raggiungono, ultima fase dell’adolescenza, ingresso nell’età adulta. Pone alla base della norma dei valori considerati importanti. A questo livello si ha la consapevolezza vera e profonda che le leggi sono relative, frutto di un accordo basato sui diritti individuali. Valori attribuiti alla vita umana. Una legge è buona o cattiva a seconda che recepisca o un’insieme di valori o princìpi di carattere più universale. Si arriva a un punto in cui o si cerca di cambiare la legge o si entra in conflitto con i propri ideali. orientamento contrattuale – legalistico: le regole vanno mantenute perché sono l’unica garanzia di imparzialità, vengono garantiti valori quali la vita e la libertà. È una concezione molto evoluta rispetto ai precedenti stadi. La priorità viene data alla società e non all’individuo. Si acquisisce la consapevolezza che i valori sono antecedenti a qualsiasi contratto sociale (che può essere un conflitto tra norma e valore). orientamento dei principi etici universali: l’individuo ha acquisito principi interamente sentiti. Kolberg li definisce universali e sono: giustizia, uguaglianza, rispetto della libertà, valore della vita. Ritiene giuste le leggi basate su questi principi se c’è un conflitto tra la legge e il principio etico. Dà priorità a quest’ultimo correndo anche dei rischi. L’impegno personale deve orientarsi al conseguimento dei principi etici in cui crede. La prospettiva sociale consiste nel ritenere che il fondamento della moralità sta nel fatto che l’individuo rappresenti di per sé un fine con tutti i diritti e i valori e le regole (princìpi etici universali) da rispettare. Validità degli stadi di Kohlberg Critiche: Critica metodologica riguardante il sistema di attribuzione dei punteggi ai dilemmi, al loro contenuto ritenuto adatto ad una morale maschile ma non femminile. K. Ha allora elaborato un sistema standardizzato di codifica delle risposte che si è rivelato attendibile. Anche il legame tra assetto cognitivo e morale sembra confermato, il ragionamento di tipo convenzionale implica la capacità di porsi dal punto di vista altrui, quello postconvenzonale poggia sullo sviluppo delle operazioni formali, del pensiero astratto. Turiel non ritiene valido il concetto di stadi e non condivide l’idea che i b. siano incapaci di distinguere tra le convenzioni e le regole morali come pensa invece K. Regole morali e convenzionali Regole morali: regole interiorizzate, basate sull’acquisizione di certi modelli di convivenza e di relazione sociale che vanno rispettati per il significato che rivestono e non per paura delle punizioni. Regole convenzionali: dipendono dalle consuetudini dei gruppi, delle istituzioni, dalle abitudini familiari. L’interazione sociale e la routine quotidiana favoriscono lo sviluppo delle regole convenzionali. Secondo Turiel la distinzione tra regole morali e convenzionali comincia ad essere appresa in età prescolare. I b. sono già in grado di comprendere che alcune regole sono tipiche della propria famiglia e altre no e ancora che trasgredire ad una regola morale è più grave che trasgredire ad un convenzione. LO SVILUPPO EMOTIVO ED AFFETTIVO (7) SIGNIFICATO E FUNZIONI DELLE EMOZIONI In passato gli studiosi ritenevano che le emozioni rappresentassero un’esperienza disorganizzante o negativa a base solo biologica. Oggi la si ritiene un’esperienza complessa, multidimensionale e processuale con una funzione di organizzazione cognitivo – affettiva e di mediazione tra l’organismo e l’ambiente. L’emozione può essere intesa come un allontanamento dal normale stato di quiete dell’organismo, cui si accompagna un impulso all’azione e alcune specifiche reazioni fisiologiche interne, ognuna delle quali si esprime attraverso una diversa configurazione e designa dioverse risposte emotive (gioia, tristezza, paura…). Nello stesso tempo, quindi, l’emozione è una risposta fisiologica, motivazionale, cognitiva e comunicativa, sempre accompagnata da una dimensione sia soggettiva che sociale. Ogni emozione fondamentale presenta una sua configurazione comunicativa (movimenti facciali, movimenti corporei, tono della voce), essenzialmente universale. Le emozioni non si presentano mai senza una ragione, sono quindi sempre contestualizzate. Catena di Pluthik: illustra i principali eventi connessi all’emozione. Sentimento Evento/stimolo Valutazione Impulso ad agire Azione manifesta Effetto dell’azione Eccitazione fisiologica Circuiti di retroazione PRINCIPALI TEORIE SULLO SVILUPPO DELLE EMOZIONI La teoria della differenziazione emotiva Anni ’30, Bridges, bambini tra un mese e due anni. Teoria rielaborata da Stroufe. Si fonda sull’idea che da un iniziale stato di eccitazione indifferenziata, si vengano articolando, nel corso dello sviluppo, specifiche e diverse emozioni. OPS: la principale Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in psicologia Articoli, forum di discussione tematici, libreria specializzata, opportunità di stage e lavoro, banca dati curriculum, corsi di formazione, archivio tesi di laurea e molto altro ancora… Visita la Community all’indirizzo www.opsonline.it Nella rielaborazione della teoria da parte di S., il peso maggiore va non allo stato iniziale di eccitazione, ma allo sviluppo cognitivo a cui viene assegnato il compito di organizzare le emozioni. Dallo stato iniziale di indifferenziazione, emergono diverse emozioni secondo tre diversi percorsi: quello del sistema piacere – gioia (sorriso endogeno), quello del sistema circospezione – paura (trasalimento) e quello del sistema rabbia – collera (pianto). Lo sviluppo del sistema piacere – gioia, nel piccolo di 3 mesi crea reazioni emotive quali il sorriso sociale (rivolto a qualcuno) che va al di là della semplice attivazione fisiologica. Nel 4° mese questo diventa riso attivo e gioia. All’interno del sistema circospezione – paura, le reazioni di disagio dei 3 mesi si trasformano in specifiche reazioni di sorpresa e disappunto. Dopo i 6 mesi tali risposte diventeranno più chiaramente di circospezione e paura. Nel sistema frustrazione – rabbia, sono evidenti risposte di delusione, insoddisfazione (5 – 6 mesi) che si evolveranno dopo i 6 mesi in rabbia e poi collera. I precursori emotivi legati alle prime reazioni fisiologiche non si annullano del tutto ma possono riemergere in condizioni di forte stress. La teoria differenziale delle emozioni Izard sostiene che i neonati posseggano, fin dalla nascita, un certo numero di emozioni fondamentali e differenziate basate su programmi innati e universali. Izard individua 9 emozioni di base: interesse, gioia, tristezza, disgusto, sorpresa, collera, disprezzo, paura e vergogna. Ognuna ha per lui, un valore adattivo. In questa prospettiva, l’emozione non è semplicemente la risposta ad uno stimolo, ma rappresenta una forma di organizzazione innata che motiva il comportamento e gli affetti. La componente innata, pian piano evolve verso forme più flessibili, grazie all’influenza delle relazioni e della socializzazione. Alcune emozioni sono già presenti dalla nascita, altre emergono allorché, nel corso dello sviluppo, devono assolvere un compito adattivo. Nel 1° e nel 2° mese: il b. manifesta a livello di esperienza sensorio – affettiva, le emozioni negative e positive, quelle di interesse, disgusto e trasalimento, essenzialmente per comunicare i propri bisogni e solo secondariamente per stabilire un contatto con la figura allevante. Intorno al 3° mese, il b. comincia a manifestare un attenzione specifica verso le persone e gli oggetti. A partire dai 9 mesi, il b. acquisisce maggiore consapevolezza di sé come agente e comincia a sviluppare una certa memoria degli eventi e una coscienza maggiore dell’ambiente che lo circonda. (processo di differenziazione tra sé e gli altri). Le emozioni diventano sempre più socialmente determinate e sempre meno legate all’attivazione fisiologica grazie alla socializzazione e all’acquisizione delle prime regole. A partire dal 2°anno, i b. imparano a mostrare ciò che provano in accordo con le regole sociali e diventano quindi capaci di mascherare, esagerare, minimizzare, simulare le espressioni facciali. L’approccio funzionalista Campos pone in evidenza il ruolo delle emozioni nella regolazione dei rapporti tra l’organismo e l’ambiente. Questa prospettiva afferma che tutte le emozioni fondamentali sono presenti fino dalla nascita e relativamente autonome dalle conquiste cognitive. Le caratteristiche espressive delle emozioni sono intrinseche, ma non invarianti e la loro e la loro associazione cambia in base all’interazione tra individuo e ambiente. Funzione e caratteristiche delle emozioni: Regolare i processi psicologici interni e i comportamenti sociali e interpersonali. Orientano nella selezione delle informazioni, predisponendo l’organismo all’azione. Hanno un carattere distintivo rispetto alle altre forme istintuali. Utilizzano un processo comunicativo non codificato culturalmente. Le emozioni per via di queste caratteristiche, sono raggruppate in “famiglie” omogenee per funzione: la stessa emozione pur facendo riferimento ad un’esperienza che inevitabilmente differisce per caratteristiche, svolge un’analoga funzione adattiva ed è questa che assume importanza. SVILUPPO DELLE EMOZIONI Le emozioni fondamentali Non tutte le emozioni sono universali, solo quelle fondamentali. Non tutti gli autori sono d’accordo nel ritenere fondamentali certe emozioni come gioia, sorpresa, tristezza, interesse, paura, disgusto, rabbia. Sono tutti d’accordo solo su gioia, tristezza, paura, rabbia. Izard chiarisce che per essere considerata primaria un’emozione deve possedere uno specifico substrato neurale, esprimersi attraverso una specifica e distinta configurazione facciale, essere collegata ad una precisa esperienza emotiva che raggiunga la consapevolezza, derivare da un processo biologico – evoluzionistico e possedere proprietà motivazionali e organizzative finalizzate all’adattamento. L’universalità delle emozioni è testimoniata dalla costanza delle configurazioni facciali nel ciclo vitale. L’emergere delle emozioni Le emozioni pur presenti fino alla nascita si modificano passando da un livello poco articolato a livelli sempre più sofisticati. Sequenza evolutiva: Reazioni emotive regolate da processi biologici fondamentali per la sopravvivenza. Anche se congruenti con l’ambiente queste non possono essere considerate intenzionali per la comunicazione. 0 – 1 mese. Le interazioni sociali favoriscono la comunicazione delle emozioni e il controllo delle stesse. Compare il sorriso sociale non selettivo in risposta alla voce umana e quello selettivo, tendenzialmente rivolto alla madre. 2 – 12 mesi. Emergono le emozioni complesse basate sull’autoriflessione. Timidezza, colpa, vergogna, orgoglio, invidia, il cui sviluppo può dirsi completo intorno ai 3 anni, sono emozioni apprese, non immediatamente riconoscibili attraverso OPS: la principale Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in psicologia Articoli, forum di discussione tematici, libreria specializzata, opportunità di stage e lavoro, banca dati curriculum, corsi di formazione, archivio tesi di laurea e molto altro ancora… Visita la Community all’indirizzo www.opsonline.it indicatori mimici. Esse richiedono un’autoconsapevolezza che consenta di valutare il proprio sé e le proprie azioni in relazione alle norme sociali e agli standard condivisi dalla cultura di appartenenza. ESPRESSIONE E RICONOECIMENTO DELLE EMOZIONI Espressione delle emozioni nel b. Le prime reazioni del neonato indicano specifiche emozioni o sono comuni a più situazioni? Secondo una concezione molto restrittiva, gli unici patterns mimici in grado di comunicare in modo universale e invariante uno stato emotivo facilmente riconoscibile sarebbero quelli di piacere – dolore (tono edonico positivo o negativo). Le altre espressioni emotive non sono specifiche e distintive fin da subito, ma lo diventano grazie alle occasioni prolungate di contatto e di relazione. Sono gli adulti che attribuiscono significato alle reazioni emotive del neonato. Riconoscimento e comprensione delle emozioni Durante il primo anno il b. impara a riconoscere gli stati emotivi degli altri ed è capace di reagirvi in modo appropriato. Distinzione tra riconoscimento delle espressioni altrui e comprensione psicologica delle emozioni proprie e altrui che richiede competenze e capacità più affinate. Il riconoscimento delle espressioni altrui L’interesse precoce per il volto favorisce il riconoscimento delle emozioni altrui poiché il riconoscimento richiede innanzitutto la capacità di differenziare le espressioni emotive altrui. b. di 10 settimane sono in grado di reagire a 3 espressioni facciali e vocali: gioia, tristezza e collera. B. tra i 4 e i 7 mesi riescono a distinguere le variazioni di espressione emotive in fotografie che ritraggono i medesimi volti che manifestano prima un’emozione poi un’altra. Sensibilità ai cambiamenti espressivi nel volto della madre. Il passaggio dal riconoscimento alla comprensione non è così rapido, vi sono alcuni precursori di natura sociale e relazionale che ne scandiscono l’evoluzione. Trevarthen e Tronick hanno notato che nell’interazione tra madre e bambino si generano aspettative basate sul significato delle espressioni delle emozioni. Se la madre diventa improvvisamente seria durante una normale interazione con il proprio b. egli nota la differenza. Questo ci fa capire che non si può parlare di semplice riconoscimento delle emozioni ma anche di una forma di anticipazione delle espressioni emotive che implica, quindi, una parziale comprensione delle emozioni. La comprensione delle emozioni L’espressione altrui viene utilizzata anche per capire cosa fare. Questo fenomeno è chiamato “riferimento sociale”. Capacità che appare dopo il primo anno di vita. Esperimento del baratro visivo. La comprensione delle emozioni è mediata dall’empatia. Secondo Eisenberg, precocemente i b. sono in grado di sentire la stessa emozione altrui e di rifletterla in una forma però indifferenziata e non cognitiva (contagio emotivo). A 14 mesi i b. sono capaci di dare e chiedere conforto e a 24 di prevedere le reazioni emotive e di usare questa previsione per aiutare o anche per indispettire. Verso la fine del secondo anno, appare la capacità di fare finta e di capire quando gli altri fingono. Le regole sociali iniziano ad orientare l’esibizione delle emozioni intorno ai 4 anni. Ekman chiama questo “regole di ostentazione”, si tratta di modi appresi, in base ai quali si sceglie di aumentare o di diminuire l’entità dell’emozione oppure di simulare, nascondere, fingere ciò che si prova realmente. Esperimento del b. che riceve un giocattolo rotto in regalo. Se lo scarta da solo mostra reazioni negative, altrimenti, in presenza dello sperimentatore finge reazioni positive. Verso i 4 – 5 anni i b. saranno in grado di comprendere che le proprie emozioni possono essere diverse da quelle degli altri (capacità di mettersi nei panni degli altri, teoria della mente, capacità di prevedere le reazioni altrui senza necessariamente provare quelle stesse emozioni). Verso i 7 – 8 anni compare la capacità di comprendere le emozioni ambivalenti (consapevolezza che si possono provare diverse emozioni anche opposte insieme). SVILUPPO AFFETTIVO Emozioni e interazione sociale Le emozioni regolano le relazioni affettive precoci. Sono gli adulti che inizialmente attribuiscono intenzionalità alle manifestazioni del b. questa funzione dell’adulto è chiamata di “scaffolding”. Essa consiste nel rispondere in modo appropriato ai segnali del piccolo, modulando il proprio comportamento in base al suo livello di sviluppo. Inoltre le emozioni vengono regolate in accordo con la cultura di appartenenza. I b. imparano quali siano le condotte emotive appropriate nelle diverse situazioni. Questo fenomeno è chiamato di “socializzazione delle emozioni”. La teoria dell’attaccamento Figura d’attaccamento B. parla di figura di attaccamento, cioè l’adulto, come di una figura che deve prendersi cura del bambino e trasmettergli sicurezza. Anche il comportamento dell’adulto è importante per lo strutturarsi del legame. Per il bambino questo è un legame biologico non sociale e non culturale. Risponde all’obiettivo comune a tutte le specie di proteggere. Per attaccamento si intende la propensione innata a cercare la vicinanza protettiva di un membro della propria specie quando si è vulnerabili ai pericoli ambientali per fatica, dolore, impotenza, malattia. È attiva tutta la vita ma è più intensa all’inizio dell’esistenza. L’attaccamento entra in azione quando ci sono fattori di stress. L’attaccamento esiste dalla nascita alla morte, non ha connotazione negativa. La teoria dell’attaccamento serve anche per comprendere le relazioni con gli altri quando si instaurano delle relazioni affettive quando c’è difficoltà. Nell’infanzia si strutturano le caratteristiche dell’attaccamento con la mamma che poi sarà il prototipo per le relazioni successive. Teoria dell’attaccamento Viene ancora studiata, è stata considearata rivoluzionaria. Nasce nel 1907 in Inghilterra, Bowlby studiò medicina e poi coltivò interessi psicologici. Formazione medico – psichiatrica, entrò nella società psicologica (A. Freud, M. Klein). Fu influenzato dal clima degli anni ’40 - ’50 e dagli studi di Lorenz (etologo), Harlow e dall’esperienza come medico a OPS: la principale Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in psicologia Articoli, forum di discussione tematici, libreria specializzata, opportunità di stage e lavoro, banca dati curriculum, corsi di formazione, archivio tesi di laurea e molto altro ancora… Visita la Community all’indirizzo www.opsonline.it contatto con persone toccate dalla II guerra mondiale, da ciò per Bowlby il malessere delle pesone nasce da situazioni reali e non determinati dai fatti intrapsichici (come sostenevano le teorie della psicologia classica) dovette uscire dalla società psicologica per questo. Sistema comportamentale d’attaccamento - La figura di attaccamento è sufficientemente vicina, sintonica, capace di risposte sensibili? Amore, sicurezza, fiducia in se stessi il b. gioca sorridente esplorativo, sociale. (attaccamento sicuro) - I segnali che manda il bambino sono per ricevere attenzione, se non la riceve: Paura angoscia ricerca visiva, segnalazione del bisogno di contatto, supplicare, aggrapparsi… Atteggiamento difensivo evitamento, atteggiamento guardingo, diffidenza. Aumenta l’attaccamento, la ricerca di nuove figure d’attaccamento. Ambivalenza, aggrapparsi e rabbia. Atteggiamento d’att. ma anche rabbia. L’attaccamento Bowlby teorizza l’attaccamento come: Una predisposizione biologica del piccolo (in tutte le specie viventi esiste questa predisposizione, predisposizione alla sopravvivenza che varia a seconda delle specie, nell’uomo non si tratta solo di sopravvivenza biologica) verso chi si prende cura di lui, assicurandogli la sopravvivenza. Bowlby sostenne che il modo in cui si organizza la relazione con l’adulto è determinante. È importante vedere con chi ha a che fare il b., è importante la relazione con il caregiver (figura di riferimento, che non è necessariamente la madre). Una motivazione intrinseca e primaria basata sulla ricerca di contatto che si attiva nelle situazioni di pericolo. Bowlby trae le sue teorie dagli esperimenti di Lorentz (imprinting) e Harlow (manichino e scimmia di gomma piuma). L’esperienza di Harlow con le scimmie: di metallo e di gomma. Quella di metallo aveva un biberon si notò che le scimmie dopo aver bevuto il biberon andavano ad accucciarsi accanto a quella di gomma perciò il bisogno fisiologico non costituisce il legame. Bowlby pensò quindi che il cibo non forma il mediatore primario per il legame. Lorenz: esperimenti sull’imprinting. Ci sono periodi diversi da specie a specie (12/13 ore di vita). Schemi fissi di azione entrano in gioco per permettere al piccolo di riconoscere l’adulto prottetivo. Da qui B. ne deduce che ciò che crea l’attaccamento è la protezione e non solo il nutrimento. Freud sosteneva che il b. instaurasse una relazione primaria per soddisfare la fame mentre per Bowlby c’è anche il bisogno di protezione. Il legame di attaccamento si instaura in quello che viene chiamato “periodo critico” (durante il primo anno di vita, di solito verso i 7 – 8 mesi). Se il legame non si forma in questo periodo ci potranno essere difficoltà in futuro. Nelle situazioni di pericolo entra in gioco la paura. Si può dire che il comportamento di attaccamento si manifesta più frequentemente nei bambini piccoli. Si manifesta negli adulti quando si trovano in una situazione in cui di è più vulnerabili (malattie, lutti). Nell’età infantile la spinta all’attaccamento è dominante, nell’adulto si riduce, si manifesta solo in alcuni momenti. L’attaccamento scatta nelle relazioni affettive e nella vicinanza e distanza. Nelle relazioni affettive e nelle situazioni di disagio scatta il modello operativo mentale dell’attaccamento (modello operativo interno, M.O.I.), non è detto che il M.O.I coincida con la struttura della personalità. Un sistema di controllo di tipo cibernetico con lo scopo di mantenere un equlibrio omeostatico tra vicinanza ed esplorazione. Teoria generale dei sistemi: così come avviene nei sistemi di altro tipo, anche in quello madre – bambino, c’è un continuo scambio di azioni e retroazioni. È qualcosa che si organizza in modo specifico affinchè la madre possa esercitare un controllo (vicinanza) e il b. possa esplorare. Questo avviene in quello che viene chiamato attaccamento sicuro: equilibrio tra vicinanza e possibilità di esplorare il mondo, di allontanarsi dalla madre senza angoscia. Equilibrio ottimale = equilibrio omeostatico (continuo aggiustamento e progressivo adattamento reciproco). Comportamento orientato ad uno scopo comune: la sopravvivenza e il successo riproduttivo. Aspetto importante: l’attaccamento non dipende solo dall’adulto ma anche dal bambino. I segnali precoci quali pianto, sorriso, sono richiami per ottenere attenzione e protezione. Anche la conformazione fisica del piccolo è orientata a questi scopi: testa grande, occhi tondi, viso e corpo paffuti. Fasi dello sviluppo del legame di attaccamento 0 – 2 mesi: Contatto e prossimità non selettive. 3 – 6 mesi: orientamento verso le figure familiari. 6 – 24 mesi: segnali di mantenimento della vicinanza. Paura dell’estraneo. 24 mesi - …: intenzionalità e reciprocità del rapporto madre – bambino. Relazione basata sul set – goal (scopo programmato) dopo i 3 – 4 anni la t.d’a. si fonde con una teoria più generale sui legami affettivi. Comportamento di attaccamento Ogni singola azione che si manifesta nelle persone e che riesce a far in modo che l’altro si avvicini o mantenga la vicinanza come conseguenza di questo comportamento. Abbiamo comportamenti di attaccamento da parte del bambino e degli adulti. Nel 1° anno di vita i comportamenti d’attaccamento sono a carico degli adulti che devono cogliere i segnali di attaccamento (pianto, sorriso, lamento, manifestazione di disagio) e rispondere in modo adeguato, ma questo non avviene sempre. Questo legame che si compone di segnali e capacità di rispondervi implica la progressiva ricerca di un adulto preferenziale (attaccamento monotropico, verso una figura preferenziale). Non c’è un riconoscimento dovuto al legame di sangue, il bambino si attacca a una persona con cui è in relazione. Per il bambino l’attaccamento deve essere gerarchicamente costruito per un buon sviluppo: effetto base sicura. È l’atmosfera che si crea tra il bambino e la figura d’attaccamento che implica sicurezza per poter esplorare l’ambiente. Se il bambino è sicuro che qualcuno può: sostenerlo, rassicurarlo, consolarlo, diventa allora più autonomo. OPS: la principale Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in psicologia Articoli, forum di discussione tematici, libreria specializzata, opportunità di stage e lavoro, banca dati curriculum, corsi di formazione, archivio tesi di laurea e molto altro ancora… Visita la Community all’indirizzo www.opsonline.it Sistema di attaccamento Frutto dell’interazione tra la figura d’attaccamento e il bambino. È una relazione dalla quale emergono le tipologie di attaccamento. Non dipende solo dai segnali emessi dai bambini ma anche dalle risposte della figura di attaccamento. In realtà, il monotropismo di Bowlby dà alla teoria dell’attaccamento una sfumatura di determinismo, sarebbe più corretto parlare di diverse figure d’attaccamento, di diverse figure alle quali il b. fa riferimento nel suo sviluppo in modo preferenziale. Critiche al monotropismo: sembrerebbe che il destino del b. sia segnato dalla relazione che instaura nell’infanzia con la figura d’attaccamento, in realtà è stato dimostrato che esperienze successive, magari positive, possono incidere sui risultati di un attaccamento negativo. Es. bambini che hanno avuto attaccamenti negativi se vengono dati in adozione possono sviluppare attaccamenti positivi. Tipologie di attaccamento PATTERN A: ATTACCAMENTO INSICURO EVITANTE Madre: insensibile ai segnali del bambino, rifiutante sul piano del contatto fisico. Tratta il bambino come un bambino che deve imparare a cavarsela da solo. Bambino: non ha fiducia in una risposta adeguata da parte della madre. Distacco, evitamento del contatto. Eccesso di autonomia, indifferenza alla separazione. Spostamento di attenzione organizzato: interesse nell’ambiente, disattivazione o repressione del comportamento d’attaccamento. Disinteresse apparente del bambino nei confronti della madre. Non è vero che la separazione gli è indifferente, mette in atto una sorta di difesa. Sul piano fisiologico il b. sente lo stress e il disagio ma sul piano comportamentale non si vede per niente. Maggior interesse ai giochi, minor interesse alle relazioni, alle figure umane. Si parla di spostamento di attenzione organizzato: quando la madre torna il b. si irrigidisce, impara che deve cavarsela da solo. Attaccamento più frequente nelle culture nordiche. Focus attentivo: mondo degli oggetti (per distanziarsi da ciò che provoca disagio). PATTERN B: ATTACCAMENTO SICURO Madre: sensibile alle richieste e ai segnali di disagio del bambino. Bambino: equilibrio tra vicinanza ed esplorazione, sicurezza interna e fiducia, mostra segni di disagio alla separazione, ma al ritorno della madre si lascia consolare. Tendenza a non farsi consolare da un estraneo. Legame preferenziale con la madre. Manifesta un normale disagio quando la madre se ne va, disagio che scompare quando la madre torna. Mostra di desiderare la vicinanza della figura d’attaccamento. La madre è responsiva, è capace di rispondere bene ai bisogni affettivi, di protezione del b. Attenzione, la madre non dà al b. tutto quello che lui vuole ma tutto quello di cui ha bisogno!! Il b. è capace di esplorare e di giocare, c’è equilibrio tra attaccamento ed esplorazione grazie al fatto che il b. si sente sicuro: se dovesse aver bisogno, ci sarà sicuramente qualcuno ad aiutarlo, così è libero di spingersi verso il mondo. PATTERN C: ATTACCAMENTO INSICURO ANSIOSO AMBIVALENTE Madre: imprevedibile nelle risposte dettate più dai suoi bisogni che da quelli del bambino. Bambino: incerto rispetto alla disponibilità materna, non riesce ad utilizzarla come base sicura e ne è assorbito completamente. Forte disagio alla separazione, inconsolabile al ritorno della madre. Il b. protesta quando la madre se ne va e quando torna può avere due tipi di reazioni: o si arrabbia, è in collera con lei perché l’ha “abbandonato”(collera disfunzionale, non serve a nulla) oppure piange ininterrottamente, è inconsolabile. Il b. non esplora l’ambiente. B. che hanno stabilito un legame con la figura d’attaccamento discontinuo perché la figura d’attaccamento è imprevedibile nel modo di cogliere, organizzare e rispondere alle richieste del b. La madre è imprevedibile tanto che a volte quando il b. è lì tranquillo lei va da lui e lo coccola mentre quando lui ha bisogno lei è fredda. Focus attentivo: madre. Sono assorbiti dalla figura d’attaccamento ma non riescono ad usarla come base sicura, tipici b. sempre appiccicati alla gonna della madre. B. che vorrebbero una madre capace di essere sempre un punto di riferimento, ambivalenza molto forte. B. “parentifiati”, assumono il ruolo dell’adulto. Sono quelli che saranno da grandi molto gelosi. PATTERN D: ATTACCAMENTO DISORGANIZZATO Madre: dominata da esperienze traumatiche irrisolte, non risponde alle richieste del bambino. Bambino: non dispone di strategie stabili. Comportamenti contraddittori, azioni mal dirette, congelamento, immobilità, azioni stereotipate e asimmetriche, disorientamento. A partire dagli anni ’80 alcuni ricercatori dopo aver effettuato una serie di registrazioni della strange situation si sono resi conto che per alcuni b. non era possibile parlare di una delle tre tipologie (a, b, c). si parla di bambini che derivano da famiglie a rischio o maltrattanti. Si sono allora rianalizzati per cercare ridondanze (ripetizioni), utili per classificarli in una nuova tipologia. Due autrici hanno fornito spiegazioni leggermente diverse di questo tipo di attaccamento: Mary Main: nei b. disorganizzati ci sono svariati comportamenti contraddittori che sono l’espressione di due forze: ad avvicinarsi e ad evitare. Non c’è quindi un nucleo organizzato. Ipotesi che ha avuto più credito. Patricia Crittenden: i comportamenti contradditori di questi b. sono comunque comportamenti organizzati, coerenti. Secondo lei questi b. presentano forme miste di attaccamenti organizzati con in più un costante stato di allerta. Si tratta comunque di un attaccamento negativo che fa correre il rischio di evoluzioni psicopatologiche, questo tipo di attaccamento è connesso ad una relazione con una figura d’attaccamento maltrattante, traumatizzata o con psicopatologie. Si tratta di adulti spaventati e spaventanti (vedono irrompere nuclei di emozioni che li spaventano e reagiscono trasmettendo paura, non rassicurando e maltrattando). L’attaccamento è una spinta biologica alla protezione, qui la protezione non esiste!! Il b. non sa se avvicinarsi o allontanarsi perché non ha la certezza di poter essere protetto. Pattern comportamentale nella strange sitution descritto da Mary Main: incoerenza nei b. tra il forte sconforto per la separazione dalla madre e il basso livello di ricerca di contatto alla riunione. Attenzione maggiore all’estraneo OPS: la principale Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in psicologia Articoli, forum di discussione tematici, libreria specializzata, opportunità di stage e lavoro, banca dati curriculum, corsi di formazione, archivio tesi di laurea e molto altro ancora… Visita la Community all’indirizzo www.opsonline.it Comportamenti contraddittori in successione, per esempio correre verso la madre a braccia aperte e poi bloccarsi improvvisamente, voltarsi e stare in silenzio. Comportamenti contraddittori simultanei, per esempio il b. sta seduto in braccio al genitore ma non lo guarda, evita lo sguardo. I b. non riescono a relazionarsi alla figura d’attaccamento, a rispondere ai suoi segnali, come se a un certo punto distogliessero l'attenzione. Presenza di movimenti, espressioni, comportamenti incompleti Azioni dirette erroneamente (es. il b. piange tanto quando se ne va l’estraneo) B. che protestano quando la m. se ne va ma quando si chiude la porta sorridono. Presenza di movimenti stereotipati. Nei figli di madri depresse sono state osservate difficoltà nei movimenti, movimenti rallentati, come se non si avessero le forze per compierli. Paura manifestata esplicitamente nei confronti dei genitori maltrattanti. I b. disorganizzati non hanno tutte queste caratteristiche insieme, si tratta di indicatori che durano qualche secondo. Un’autrice italiana, Grazia Attili, ha dato una spiegazione interessante in termini di ontogenesi e filogenesi dell’attaccamento disorganizzato comparandolo al comportamento animale. Quando un animale ha paura scappa, se la fuga è impedita, allora si “congela”, si ferma immobile quasi a volersi rendere “invisibile”, avviene anche un cut off percettivo, per es. chiudono gli occhi, si voltano, distolgono lo sguardo, gesti che servono da un lato a “fuggire” dalla situazione e dall’altro a non dare segnali che potrebbero peggiorare l’aggressione. Tutti questi comportamenti sono visibili anche nel b. disorganizzato, solo che nel b. c’è anche una spinta all’attaccamento naturale che rende quindi contaddittori i suoi comportamenti. N.B. le forme d’attaccamento non sono mai presenti in modo puro, c’è di solito una tendenza verso una delle tipologie (A, B, C). se questa tendenza non c’è si parla di tipologia D. Modelli operativi interni La teoria dell’attaccamento ipotizza la continuità dell’attaccamento nel tempo, grazie alla creazione di modelli mentali delle figure affettive e di Sé che funzionano come prototipo delle relazioni future. I M.O.I. sono costrutti rappresentazionali di sé e dell’altro. Si costituiscono sulla base delle rappresentazioni che l’individuo si è fatto all’interno della relazione con la figura d’attaccamento. I M.O.I. sono legati a come le persone vedono le relazioni affettive. Come si costituiscono i M.O.I.? si costituiscono sulla base della progressiva integrazione tra memoria episodica e semantica. Episodica: si riferisce al ricordo di specifici eventi. È quello che rimane impresso nella memoria delle singole esperienze. Si tratta degli elementi reali dell’esperienza. Semantica: memoria dei significati di alcuni aspetti del mondo che ci siamo costruiti durante la vita. Es. qual è il compleanno più bello (che voi giudicate più bello) che ricordate della vostra vita? Contribuiscono entrambe a formare le rappresentazioni tipiche dei modelli operativi interni dei legami d’attaccamento. L’interazione con la figura d’attaccamento + l’opinione che abbiamo su di essa = rappresentazione che ci facciamo di noi e degli altri nei M.O.I. quindi la teoria dell’attaccamento spiega in parte anche le relazioni sociali. Attaccamento sicuro Idea di sé: senso di essere degno d’amore, ha la sicurezza che le proprie esigenze saranno soddisfatte. Figura d’attaccamento: disponibile e rispondente in modo coerente. Attaccamento insicuro Idea di sé: senso di non essere degno d’amore, incapacità di esprimere le emozioni in modo adeguato. Figura d’attaccamento: non disponibile alle richieste, rifiutante, ostile. Attaccamento disorganizzato Non vi è M.O.I. il modello di sé è un modello in cui coesistono molteplici rappresentazioni non coerenti e frammentate, questo perché la figura d’attaccamento è a volte ostile, a volte vittima, a volte maltrattante, assente o trascurante. Immagini multiple della figura d’attaccamento che non permettono un’organizzazione del legame coerente e quindi anche una rappresentazione di sé coerente. Il b. si sente mostruoso, malvagio, vittima ma allo stesso tempo salvatore della figura d’attaccamento, colpevole, incapace, colpa empatica (sentire la sofferenza dell’altro e sentirsi in colpa perché non si riesce a far niente) Determinismo della teoria dell’attaccamento Bowlby era molto interessato alla terapia, la teoria dell’attaccamento ha dato luogo a filoni di psicoterapia orientata allo studio delle relazioni. Interesse a promuovere il cambiamento attraverso la terapia. La teoria dell’attaccamento vede il cambiamento come un cambiamento dei M.O.I. I M.O.I. si compongono di 3 livelli ordinati gerarchicamente: I LIVELLO: Previsione dell’esito del rapporto. Livello molto primitivo, sorta d’impressione più che di spiegazione cognitiva. Sensazione di poter essere accettati o meno che connota la propria esperienza e quella interpersonale. Rappresenta un’aspettativa di essere accettati o rifiutati ed è qualcosa di estremamente radicato in noi, indipendente dall’esperienza esterna. bambino e adulto con attaccamento sicuro: accettazione degli altri (è una sorta di percezione che hanno che nella relazione con gli altri ci sarà accettazione, perché è quello che hanno sperimentato ad un livello veramente arcaico). B. e a. con att. insicuro evitante: incerti tra accettazione e rifiuto. B. e a. con att. insicuro ambivalente: parte dall’idea che devono fare delle cose per farsi accettare se no verranno rifiutati. B. e a. con att. disorganizzato: modello della figura d’attaccamento: minacciosa, debole e indifesa, non trasmette sicurezza. Modello del sé: accettabile, vittima, pericolosa, mostruosa, malvagia, salvatore onnipotente di una figura di attaccamento debole. Questa categoria ha gravi problemi psichici dovuti alla compresenza di caratteristiche OPS: la principale Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in psicologia Articoli, forum di discussione tematici, libreria specializzata, opportunità di stage e lavoro, banca dati curriculum, corsi di formazione, archivio tesi di laurea e molto altro ancora… Visita la Community all’indirizzo www.opsonline.it contrastanti. La percezione dell’esito del rapporto con gli altri è caratterizzato da: percezione di rifiuto e ostilità. Nell’esito del rapporto con gli altri non solo si è rifiutati ma c’è una percezione di pericolo incombente. II LIVELLO: è di tipo più cognitivo. La spiegazione della previsione dell’esito di un rapporto è già un ragionamento, ciò implica la valutazione delle caratteristiche di sé dove cerca una spiegazione del perché si sente più o meno accettato. Cioè quali caratteristiche di sé, nell’interazione portano reazioni negli altri. III LIVELLO: riguarda le strategie utilizzate per mantenere la massima prevedibilità sull’esito del rapporto. In tutti i modelli di attaccamento descritti i M.O.I. si formano prima in relazione a come l’individuo vede l’altro, poi sé stesso. Il livello più difficile da cambiare anche tramite la terapia è il primo perché è il più radicato, gli altri 2 invece possono essere modificati con un buon lavoro di rielaborazione. La teoria dell’attaccamento rimane comunque deterministica perché non si può ottenere un cambiamento a tutti i livelli. Secondo alcuni, i M.O.I. non si determinano nell’infanzia e non si possono più cambiare, alcuni pensano che il problema derivi dal contesto in cui questi modelli hanno continuato a svilupparsi. Non è tanto l’evento traumatico dell’infanzia a determinare un attaccamento disorganizzato, bensì il contesto in cui il b. ha continuato a vivere (sempre con genitori maltrattanti ecc…) Continuita dell’attaccamento I b. osservati nella Strange Situation e classificati sono poi stati riesaminati a distanza di tempo con altri strumenti: disegno, modo di raccontare, foto. Bambino a 7 anni (età scolare) Ricerca di Follow up longitudinale: analisi di storie di bambini che devono affrontare una separazione. BAMBINI EVITANTI Hanno la tendenza a evitare i genitori anche se in maniera più sottile rispetto a quando erano più piccoli. Fingono di cercare qualcosa, fanno finta di disinteressarsi ai genitori. Di fronte a vignette in cui sono rappresentate situazioni di separazione sottolineano una fine pessimistica (il genitore non torna, incapacità di far fronte alla situazione) anche se colgono congruamente come i bambini sicuri gli stati emotivi del bambino della vignetta.. Si rileva l’ineluttabilità della situazione, non vengono proposte soluzioni per stare meglio. Sono b. ancorati alla realtà, non negano che quello che stanno vedendo è triste ma non hanno risorse per risolverlo. Nel disegno disegnano figure familiari sorridenti ma dai contorni imprecisi (appaiono distanti l’uno dall’altro e fluttuano nell’aria). Si rifiutano di guardare una fotografia della famiglia, raccontano in modo meno fluente, con pause, risposte laconiche poco argomentate. I genitori di questi b. parlano in modo retorico: ponendo domande che presupponevano già una risposta sicura. BAMBINI SICURI Sono b. che parlano di più con i genitori, manifestano di più il contatto fisico affettivo. Di fronte alla vignetta, affrontano la situazione in modo costruttivo (troverà un altro parente con cui andare a stare, chiamerà un amico se non c’è la mamma…) propongono soluzioni che fanno stare meglio. Risposta a stimoli di separazione cogliendo anche le emozioni e offrono soluzioni costruttive. B. pieno di risorse, capacità di trovare il modo di stare bene. Raccontano storie che finiscono bene, hanno aspettative che le cose andranno bene. Nei disegni le componenti della famiglia sono fatte bene, i piedi sono piantati per terra, non fluttuano. È un disegno pieno di persone e oggetti. Guardano, raccontano e spiegano la fotografia. Conversazione con i genitori fluida. BAMBINI AMBIVALENTI Nel commentare le vignette di separazione tendono ad esagerare, esprimono emozioni negative e tendono a vivere in modo negativo la separazione. Non molto creativi nel trovare soluzioni, non vogliono allontanarsi dai genitori. I disegni dei familiari sono o molto grandi o molto piccoli, le persone sono poste vicino in modo insolito. Le collocazioni sono espresse attraverso le posture. Racconto interrotto, come se perdessero il filo del discorso come se vi fosse un sovraffollamento emotivo. Parlano dei personaggi nella foto provando emozioni diverse e non sempre coerenti. Tendono a manifestare le caratteristiche dei bambini piccoli (parlano con la vocina…), prima si avvicinano esageratamente ai genitori e poi vogliono colpirli, l’ambivalenza è molto forte. Gli adulti sono sempre molto indaffarati. BAMBINI DISORGANIZZATI Caratteristiche generali: atteggiamento di controllo inversione di ruolo direttivi e punitivi oppure… …solleciti e accudenti. Manifestano incertezza, sono controllanti e manifestano inversione di ruolo (mettersi al posto di…). Manifestano la tendenza controllante tramite l’inversione di ruolo, cioè facendo ciò che dovrebbe fare l’adulto però lo fanno male. Hanno paura, sono in continuo stato di allerta. Nel disegno questo viene manifestato con contenuti catastrofici (figure d’attaccamento ferite, uccise, b. chiuso in una stanza, situazioni di pericolo per sé e per gli altri). Le risposte alle vignette sono caratterizzate dal fatto di non riuscire a dare delle spiegazioni a quello che accade. Come se non esistesse il concetto di causa – effetto. Nelle valutazioni e risposte alle vignette di separazione vivono fantasie da incubo. Il b. non sa attribuire al protagonista della storia la capacità di chiedere aiuto. Disegno: spesso lo straccia, non gli piace come è venuto. Si tratta di b. che hanno difficoltà a fidarsi, temono che gli possa accadere qualche cosa di drammatico. È importante non solo il contenuto ma il modo in cui raccontano. Di fronte alla foto della famiglia non hanno un rifiuto ma sono affascinati da queste immagini del gruppo familiare che non riescono a vivere serenamente ma di cui avrebbero bisogno, altri b. invece la stracciano La conversazione non è fluente: intoppi, false partenze, balbuzie. Troppo spesso è quasi esclusivamente focalizzata sulla relazione, nell’interazione perde il controllo e in alcuni casi si rifiuta di verbalizzare. Attaccamento adulto OPS: la principale Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in psicologia Articoli, forum di discussione tematici, libreria specializzata, opportunità di stage e lavoro, banca dati curriculum, corsi di formazione, archivio tesi di laurea e molto altro ancora… Visita la Community all’indirizzo www.opsonline.it Per analizzare l’attaccamento degli adulti Mary Main e Salomon hanno messo a punto una tecnica che ancora oggi non è molto diffusa perchè è molto complessa e richiede una grande preparazione (ci vuole un patentino per usarla). Si tratta dell’Adult Attachment Interview, un’intervista molto complessa, fatta sotto forma di colloquio, videoregistrata. L’analisi viene eseguita sulla base non solo del contenuto dei racconti ma anche e soprattutto sulla coerenza, sulle pause e sulle ripetizioni fatte durante il racconto. Non si tratta più di analizzare i fatti nel momento in cui accadono come nella Strange Situation, si tratta di analizzare l’elaborazione dell’esperienza eseguita da chi racconta. Per questo motivo non siamo autorizzati, per esempio, a dire che un adulto che racconta vissuti di maltrattamenti ha necessariamente un attaccamento insicuro o disorganizzato, può benissimo essere che egli sia riuscito nel tempo a elaborare gli eventi, a eseguire una metacognizione (dare una spiegazione) e quindi potrebbe avere lo stesso un attaccamento sicuro. Ecco qui il superamento del determinismo della teoria dell’attaccamento. [Ricerca psicosociale di Bexer parla dell’importanza della narrazione e della parola ai fini della salute psicofisica. I traumi fanno male ma ciò che è peggio è il non riuscire a sfogarsi, il rimuginarci inutilmente. Nel raccontare si organizza l’esperienza vissuta e gli si dà un significato. Le emozioni che emergono nel raccontare un episodio vengono elaborate.] Classificazione (per comodità usiamo la stessa terminologia usata nel descrivere l’attaccamento infantile): Sicuri Equilibrati sia nel chiedere che nel dare aiuto. Non c’è la paura di fidarsi. Hanno un’immagine di sé amabile. Considerano gli altri avvicinabili, tendenzialmente ben intenzionati ma non li idealizzano (ne vedono gli aspetti negativi, capacità di difendersi dagli altri). La relazione con il partner non è idealizzata (riesce a distaccarsene se non è compatibile), coglie i propri stati emotivi, valuta con realismo. Si esprime nel racconto in modo coerente, fornisce spiegazioni adeguate ma non prolisse, non fa differenza fra memoria episodica e semantica. Nella relazione affettiva è flessibile, capace di reciprocità e impegno con flessibilità di ruoli. Tendenza a evitare l’idealizzazione o per lo meno a riconoscerla. Accettazione dei difetti. Rapporto d’amore imperniato anche di amicizia! Fanno riferimento nei momenti di stress forte alle persone che amano. In situazioni conflittuali tende a ragionare, parlare, mediare. Timore di rottura contenuto e controllabile. Evitanti Percezione di sé autonomo indipendente dagli altri nelle relazioni affettive, non chiede e non dà aiuto. Manifestano disagio quando devono dipendere e non vogliono che l’altro si attacchi troppo. Enfatizzano il controllo della situazione, inibisce l’espressione delle emozioni, pensa che gli altri siano inavvicinabili, è più diffidente, Tendono a sminuire la propria infanzia, quando ne parlano la idealizzano nel senso che dicono che le cose negative li hanno portati ad essere quello che sono ma non ricordano precisamente. Le esperienze pregresse hanno poca influenza sul presente (secondo loro) I rapporti sentimentali vengono declinati verso l’amicizia, no coinvolgimento. Le esperienze di abbandono vengono fortemente sottovalutate, soffrono apparentemente meno se vengono lasciati, controllo apparente, non tentano di riconquistare l’altro. Ambivalenti Costante bisogno di contatto fisico, dipendenza dal partner, hanno l’impressione che gli altri siano riluttanti ad avvicinarsi a loro, si sentono sottostimati e incompresi nelle relazioni. Si giudicano più ricchi affettivamente in realtà si tratta solo di un affetto esagerato. Mettono costantemente alla prova il partner. Hanno rancori nei confronti della famiglia d’origine, ma vogliono anche essere accettati (ambivalenza). Si orientano verso partner evitanti che non fanno altro che confermare la loro impressione di essere rifiutati. Forte preoccupazione d’essere abbandonati, affettività inappagata, amicizia e stima contano poco, spesso sono persecutori, sono molto sospettosi, gelosi, possessivi. Percepiscono una minima richiesta di autonomia come una rottura. Disorganizzati Non è stato studiato. Critiche sulle teorie dell’attaccamento Criticato in modo particolare il determinismo della teoria, in realtà, l’attaccamento infantile non influenza tutta la vita futura, molto dipende dall’ambiente familiare in cui il bambino continua a crescere. Un bambino nato in una famiglia maltrattante avrà un attaccamento insicuro o disorganizzato da adulto solo se il contesto maltrattante sarà stato continuativo anche dopo i primi anni. Così pure un bambino che ha ricevuto tutte le cure necessarie da piccolo non è detto che da adulto mantenga un attaccamento sicuro. Molto criticato anche il concetto di monotropismo: attaccamento preferenziale verso una figura d’attaccamento. Le figure d’attaccamento possono essere diverse. L’ADOLESCENZA (8) LA TRANSIZIONE ADOLESCENZIALE: ASPETTI GENERALI Adolescenza: periodo di transizione tra infanzia e età adulta. In termini strettamente cronologici l’inizio dell’adolescenza può essere collocato all’incirca tra i 10 e i 12 anni nelle femmine e tra i 11 e 13 anni nei maschi. La conclusione invece viene fatta coincidere per entrambi ai 18 anni. Studi dei primi del ‘900 in Europa e Stati Uniti. Hall: considerato il padre della ricerca scientifica sull’adolescenza. Identifica nelle trasformazioni fisiche e biologiche e nei turbamenti emotivi che ne conseguono il punto di avvio del passaggio dal mondo del b. a quello dell’adolescente. Differenza tra pubertà e adolescenza. Pubertà: fenomeno universale che segnala il passaggio dalla condizione OPS: la principale Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in psicologia Articoli, forum di discussione tematici, libreria specializzata, opportunità di stage e lavoro, banca dati curriculum, corsi di formazione, archivio tesi di laurea e molto altro ancora… Visita la Community all’indirizzo www.opsonline.it fisiologica del b. alla condizione fisiologica dell’adulto. Adolescenza: passaggio dallo status sociale del b. a quello dell’adulto che varia per durata, qualità e significato da una civiltà all’altra e all’interno di ciascuna. Differenza tra preadolescenza e adolescenza. Preadolescenza: fascia di età tra gli 11 e i 14 anni. Vengono affrontati problemi nuovi legati alla crescita fisica, all’identità corporea, alla definizione sessuale che spesso si impongono con evidenza e improvvisamente prima che si sia in grado di elaborarli. Adolescenza: fascia di età tra i 15 e i 18 anni. Maturano le capacità di analisi e introspezione, la definizione della propria identità, dei valòori e delle scelte, che consentono una progressiva riorganizzazione. Carattere relativo e non universale dell’adolescenza. Essa viene diversamente rappresentata a seconda della cultura e della appartenenza sociale. Mentre Hall definiva l’adolescenza come una fase turbolenta e problematica per la presenza di espressioni tipiche e costanti connesse ai cambiamenti biologici, Mead ha mostrato come gli sconvolgimenti adolescenziali siano un prodotto culturale. Importante è anche l’influenza familiare, sociale e culturale. Un ultimo aspetto da sottolineare è il fatto che non sempre l’adolescenza è una fase conflittuale (come si riteneva un tempo). Sebbene i cambiamenti siano molti, importanti e spesso improvvisi, nella maggior parte dei casi, essi non si esprimono in forme negative o patologiche. Havighurst indica i diversi problemi che l’adolescente incontra chiamandoli “compiti di sviluppo”. Vedi tab. pag. 222. I cambiamenti personali, psicologici e sociali si avviano a partire dalla maturazione fisica e biologica ma questo non significa che i fenomeni biologici in sé siano la fonte diretta o la causa di eventuali conflitti o problemi. CAMBIAMENTI SOMATICI NELL’ADOLESCENZA: LA PUBERTÀ Fase prepuberale: inizia uno o due anni prima della pubertà. Iniziano a manifestarsi alcune lievi modificazioni corporee caratterizzate da arrotondamento delle forme, leggero aumento di peso. Fase puberale: le modificazioni saranno più evidenti e improvvise: cambiamenti rapidi e, a volte, disarmonici. Aumento del peso e dell’altezza (scatto di crescita), maturazione dei caratteri sessuali (differenziazione sessuale). Femmine: sviluppo del seno, primi peli pubici, arrotondamento dei fianchi, comparsa del menarca (primo ciclo mestruale). Maschi: crescita dei testicoli e del pene, primi peli pubici, prima eiaculazione, modificazione della voce e crescita della barba. Fase postpuberale e tarda adolescenza: i mutamenti sono meno evidenti e proseguono portando a compimento la diffusione della peluria, lo sviluppo dei tessuti sottocutanei e lo stabilizzarsi della forza muscolare. Esiste un’ampia variabilità individuale nello sviluppo puberale, dovuto essenzialmente a fattori genetici e a fattori ambientali (alimentazione scarsa o inadeguata). Effetto dei cambiamenti corporei Le rapide trasformazioni fisiche rendono all’improvviso sconosciuto il proprio corpo e questo mutamento scuote necessariamente la fiducia dell’individuo circa la stabilità del terreno su cui poggia. La consapevolezza dei mutamenti corporei è però anche motivo di orgoglio per la percezione di distanza dal mondo dell’infanzia e di progressiva appartenenza a quello degli adulti. I cambiamenti avvengono a diverse età nei diversi soggetti e questo causa a volte problemi di adattamento dovuti al confronto naturale con i coetanei. Effetti psicologici di una maturazione sessuale precoce. Maschi: propensione ad assumere un ruolo di responsabilità e di leadership, determinando una maggiore fiducia in se stessi e senso di sicurezza. Femmine: effetti meno duraturi nel tempo. Tendenza ad aggregarsi a gruppi di età maggiore, appaiono indipendenti e sicure di sé, ma anche più propense ad assumere comportamenti adultizzati a volte di tipo antisociale. In generale comunque, si nota un bisogno tipico dell’adolescente di comprendere ed assimilare le modificazioni fisiche attraverso il continuo ricorso alla propria immagine allo specchio e anche attraverso il confronto con gli altri. La mentalizzazione del corpo, intesa come riflessione sul corpo, provoca a volte paure piuttosto comuni nell’adolescenza che poi scompaiono con l’acquisizione della definizione della propria identità e con lo stabilizzarsi della crescita. Fra queste paure: dismorfofobia (convinzione di avere qualcosa di anomalo nel proprio aspetto a cui si associa il pensiero di apparire brutti). Timore ipocondriaco di essere portatori di malattie fisiche o psicologiche. Lo sviluppo delle pulsioni libidiche Prospettiva psicoanalitica: ruolo di attivatore delle energie istintuali alla pubertà (Anna Freud, Peter Blos...). La concezione di adolescenza come fase turbolenta deriva essenzialmente dalla concezione psicoanalitica, la quale lascia però sullo sfondo le dinamiche socio – culturali dando maggior rilievo alle sole dinamiche intrapsichiche e istintuali. Secondo Freud, l’adolescenza equivale alla conquista della genitalità: se finora la pulsione sessuale era fondamentalmente autoerotica, ora trova l’oggetto sessuale. Le pulsioni hanno la tendenza a riemergere di continuo, per questo è necessario il ricorso da parte dell’Io di meccanismi di difesa quali la rimozione ecc…l’esito positivo di questa crisi è l’organizzazione della sessualità matura e genitale e la subordinazione delle pulsioni all’affettività. Secondo Anna F., dall’esito del conflitto tra le istanze dell’Es e le funzioni dell’Io dipenderà la formazione di sintomi nevrotici o la strutturazione armonica della personalità. Tra le difese tipiche dell’adolescenza troviamo: ascetismo (rinuncia ad ogni piacere dei sensi per dedicarsi a ideali religiosi e morali) e intellettualizzazione (spostamento degli affetti alle discussioni intellettuali in modo da poter affrontare il conflitto intrapsichico). Secondo Blos, vi sono 5 fasi dell’evoluzione adolescenziale: preadolescenza prima adolescenza adolescenza vera e propria tarda adolescenza post – adolescenza dal superamento delle diverse fasi dipenderà la costituzione di relazione oggettuali mature. L’IDENTITÀ ADOLESCENZIALE OPS: la principale Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in psicologia Articoli, forum di discussione tematici, libreria specializzata, opportunità di stage e lavoro, banca dati curriculum, corsi di formazione, archivio tesi di laurea e molto altro ancora… Visita la Community all’indirizzo www.opsonline.it Due principali aspetti: idea che un individuo ha di sé (senso di identità / sé ideale) e ciò che l’individuo è (sé reale). Nella formazione del senso di identità, appaiono 3 modi differenti di conoscenza che si esprimono: nell’idea di sé cercata (in cui i ragazzi si impegnano nella ricerca di esperienze nelle quali mettersi alla prova, interesse per la vita di relazione, emozioni, recedono attività note e sicurezza familiare) e nell’idea di sé riflessa (ricerca di una maggiore coerenza in cui si intreccino le qualità personali con le esperienze fatte. Immagine di sé = esperienze passate + aspettative future). Il modello di Erikson Cerca di coniugare la prospettiva sociologica con quella antropologica e con quella psicoanalitica. Il fulcro della siua concezione si basa sul concetto di crisi di identità. Importanza dei rapporti tra funzioni dell’Io, relazioni interpersonali, modalità di allevamento, caratteristiche socioculturali dell’ambiente più ampio. La ricerca dell’identità è un bisogno che si manifesta maggiormente nell’adolescenza. La crescita è vista come un processo evolutivo contrassegnato da momenti critici. Schema in 8 stadi. Vedi tab.8.2 pag. 229. Erikson parla di identità dell’Io e delle sue funzioni di mediatore tra le spinte dell’Es e quelle dell’ambiente. La percezione della propria continuità nel tempo e nello spazio e il simultaneo riconoscimento di tale continuità da parte degli altri, rappresenta il sentimento cosciente di avere un’identità personale. Il periodo adolescenziale è dominato dalla tensione fra identità e dispersione dell’identità ed è caratterizzato dalla messa in discussione di tutte le conquiste precedenti. Da un lato l’individuo si trova a dover abbandonare alcuni modelli di identificazione del passato, dall’altro, deve scegliere cosa essere e cosa diventare in base ai suoi valori, alle opportunità e alle capacità. In questa fase il pericolo è quello di confondere il proprio ruolo, di non riuscire ad integrare in una sintesi originale le proprie identificazioni e i propri ruoli nelle diverse situazioni. Si parla in questo caso di identità diffusa (personalità frammentaria che non si fonda su un solido nucleo aggregante). Si parla anche di identità negativa, ricerca di un’identità fondata su quelle identificazioni e quei ruoli che , sebbene socialmente indesiderabili e pericolosi, vengono comunque privilegiati. Se la crisi d’identità si conclude positivamente, il risultato sarà: coerenza e continuità (stabilità interna pur al variare delle esperienze), accettazione dei propri limiti, senso di reciprocità (coerenza tra immagine di sé auto ed etero percepita). Stati di identità Marcia ha cercato di operazionalizzare il modello di Erikson sottoponendolo al vaglio della ricerca empirica. Ha così definito 4 principali stati d’identità: diffusione, esclusione, moratoria e raggiungimento dell’identità. Questi stati derivano dall’intersecarsi di impegno e esperienza: nella vita dell’adolescente si affacciano nuove esperienze che possono essere affrontate con maggiore p minore impegno e ogni tipo di impegno si concretizza in uno stato di identità. identità realizzata: esperienza positiva + valido impegno. blocchi d’identità: troppa pressione verso impegni seri che impedisce la sperimentazione. diffusione d’identità: esplorazione incerta + impegno poco soddisfacente. L’individuo non ha scelto. moratoria dell’identità: situazione di stallo. L’individuo non sa operare una scelta. Alcuni autori hanno criticato il concetto di crisi d’identità. Le crisi, secondo questi autori, possono essere contemporanee e non sequenziali. Ogni adolescente può trovarsi a dover affrontare diverse crisi e dall’intrecciarsi dei risultati di queste crisi deriverà l’identità. LO SVILUPPO COGNITIVO DELL’ADOLESCENTE: IL PENSIERO OPERATORIO FORMALE Lo sviluppo dell’adolescenza è strettamente legato allo sviluppo del pensiero astratto, della capacità di pensae in termini di possibilità anziché di semplice realtà concreta. Si tratta di un pensiero: ipotetico – deduttivo: capacità di formulare ipotesi e di effettuare deduzioni. analisi combinatoria: capacità di comprendere le diverse possibilità, le diverse combinazioni. pensiero proposizionale: capacità di usare la logica delle proposizioni. Inhelder e Piaget hanno studiato i meccanismi di ragionamento logico utilizzati dai giovani con l’ausilio di esperimentio di scienze naturali quali il pendolo, le ombre, le reazioni chimiche ecc… Le capacità di astrazione fanno percepire all’adolescente il senso del potere del pensiero. L’adolescente scopre il piacere della discussione e dell’esercizio delle capacità critiche. L’esercizio del pensiero si esplica anche nella propensione a sottoporre ad una critica serrata alle proprie e altrui opinioni, elementi che favoriscono l’introspezione e la coscienza di sé. Capacità di adottare la prospettiva altrui. Bruner, parla di pensiero narrativo insieme a quello astratto, pensiero che si evolve nel corso dello sviluppo e in adolescenza consente la produzione di storie dalla trama complessa. Il pensiero operatorio formale. Revisione critica Neopiagetiani: preferiscono l’approccio dell’elaborazione delle informazioni (HIP). Hanno mostrato che le prestazioni cognitive degli adolescenti variano in base a variabili contestuali non considerate da Piaget come le conoscenze pregresse, la modalità di presentazione del compito, le aspettative proprie e degli altri. Post – piagetiani: il confronto e la discussione facilitano la soluzione di problemi logici. Conflitto cognitivo. Alcune ricerche poi, hanno messo in discussione l’utilità di concepire il ragionamento logico come centrale nel ragionamento mentale dell’adolescente. La logica infatti, sottovaluta l’importanza sia di schemi inferenziali diversi daquelli logici come quelli pragmatici, sia delle regole del pensiero comune. L’impiego di compiti della vita quotidiana facilita la soluzione di problemi. Esperimento di Johnson – Laird, Legrenzi e Sonnino Legrenzi come revisione dell’esperimento delle 4 carte di Wason e Johnson – Laird. L’esperimento delle 4 carte: vengono poste su un tavolo 4 carte contrassegnate ciascuna da un numero pari, una consonante, un numero dispari e una vocale. Ai soggetti, prima informati che ogni carta possedeva su un lato o un numero o una lettera veniva chiesto quali carte dovessero essere OPS: la principale Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in psicologia Articoli, forum di discussione tematici, libreria specializzata, opportunità di stage e lavoro, banca dati curriculum, corsi di formazione, archivio tesi di laurea e molto altro ancora… Visita la Community all’indirizzo www.opsonline.it girate per decidere se fosse falsa la regola “se c’è una vocale su un lato della carta, sull’altro lato c’è un numero pari”. La risposta giusta sarebbe stata l’indicazione della carta con il numero dispari e di quella con la vocale. Ma la maggiranza qui sbaglia indicando solo una delle due risposte corrette poiché i si basa su una procedura verificazionista anziché falsificazionista. La revisione: 4 buste, due girate dalla parte del mittente (una aperta e una chiusa) e due girate dalla parte del destinatario (una con un francobollo da 50 lire e l’altra con un francobollo da 40 lire). I partecipanti dovevano indicare quali buste avrebbero dovuto girare per controllare se fosse falsa la seguente regola “se una busta è chiusa allora ha un francobollo da 50 lire” la maggioranza dei soggetti dava la risposta corretta indicando la busta con il francobollo da 40 lire e quella chiusa. Conclusioni: importanza dei contenuti realistici e familiari. Le strategie del pensiero formale non sono adeguate a comprendere appieno le modalità attraverso cui si articola lo sviluppo mentale dell’adolescente. LO SVILUPPO MORALE NELL’ADOLESCENTE Il ragionamento morale può avvalersi degli strumenti del pensiero formale ed è sostenuto dai progressi conseguiti nel processo di formazione dell’identità. Morale dalla preadolescenza all’adolescenza (Kohlberg): preadolescenza: livello convenzionale, nel quale conta il rispetto delle norme socialmente approvate e non più le conseguenze immediate dell’azione individuale. Adolescenza: livello post – convenzionale, nel quale conta non il rispetto della legge in quanto tale ma il fatto che essendo stata creata dall’uomo può essere modificata se necessario, in modo che siano garantiti i diritti universali e individuali. K. Prende poco in considerazione i fattori sociali a favore dei soli fattori cognitivi. I fattori sociali sono presi in considerazione da alcune ricerche che hanno evidenziato come ad es. uno status socio economico elevato unito alla professione umanitaria di un genitore (medico) sembra favorire l’adozione di criteri evoluti post – convenzionali. Giudizio e comportamento morale Importanza del piano cognitivo anche se non si può definirla una condizione sufficiente per lo sviluppo morale. Infatti non si può seguire un principio morale senza capirlo ma il capirlo non implica necessariamente il seguirlo. L’impegno sociale favorisce l’acquisizione dei valori morali mentre giovani con esperienze delinquenziali rispondono ai dilemmi morali usando una morale di tipo preconvenzionale. Una ricerca di Fodor ha approfondito l’argomento evidenziando non solo la tendenza verso una morale preconvenzionale nei giovani deviati ma anche una tendenza al conformismo e alla pressione sociale. Bandura, interazionismo cognitivo sociale, mette in guardia da una rigida adesione alla prospettiva stadiale. Infatti, persone dotate di forme di ragionamento elevate, spesso adottano meccanismo di controllo che possono attivare o disattivare il comportamento morale. Importante l’influenza del gruppo dei pari e dei mass – media. Ragazze: forme di giustificazione morale. Ragazzi: forme di deresponsabilizzazione morale. Importanza anche della famiglia per l’interiorizzazione delle norme. Hoffman: generalmente uno stile educativo fondato sia su tecniche induttive (che implicano attenzione alle conseguenze delle proprie azioni) sia sulla tendenza a fornire spiegazioni e a non usare punizioni, costituisce un fattore facilitante lo sviluppo dell’interiorizzazione morale e la comprensione delle esigenze altrui. FAMIGLIA E GRUPPO DEI PARI IN ADOLESCENZA Non è del tutto corretto identificare nel passaggio da un orientamento verso i genitori ad uno verso i pari le caratteristiche dello sviluppo sociale nell’adolescenza. Si nota solo una suddivisione di ruoli fra genitori e coetanei: Genitori: scelte scolastiche e professionali, orientamento futuro, funzione protettiva. Pari: scelte quotidiane, abbigliamento. Relazioni familiari In questo studio vediamo contrapporsi all’approccio analitico – dualistico, l’approccio sistemico che concettualizza gl eventi come un insieme organizzato e non come una sequenza lineare di unità separate (analisi) e spesso in contrapposizione (dualismo). Nella prospettiva sistemica, la famiglia è concepita come luogo di relazioni reciprocamente influenzantesi e caratterizzata da processi comunicativi specifici con il compito di adattarsi progressivamente alle esigenze dei suoi membri e all’ambiente. L’adolescenza rappresenta un passaggio difficile anche per tutta la famiglia, la quale si trova di fronte al problema di integrare la legittima esigenza di indipendenza e la negoziazione di nuove regole di rapporto e il tentativo di coesione affettiva. Secondo l’approccio dello sviluppo l’adolescenza rappresenta un’impresa evolutiva congiunta di genitori e figli ed è caratterizzata dalla trasformazione dei legami precedenti. 2 importanti processi: individuazione (tipico dell’adolescente che tende a cercare l’autonomia) e la differenziazione (proprio della famiglia, consentire o meno l’autonomia). Spesso nella prima adolescenza la famiglia tende a stringere il legame attraverso la non concessione di libertà e autonomia all’adolescente nell’intento di salvaguardarlo da esperienze negative. Un fenomeno nuovo e tipico dell’Italia è la late adolescence, prolungamento del giovane adulto nella famiglia. Baumrind, definisce 4 stili educativi dei genitori a cui corrispondono altrattante caratteristiche sia di b. che di adolescenti. Stili: autorevole (è il migliore, fondato su compresenza di richieste e sostegno), autoritario, permissivo, rifiutante. Lo stile genitoriale eserita un’importante influenza anche sullo sviluppo dell’identità personale. Ricerca COSPES su ragazzi tra i 14 e 19 anni. genitore relazionato: capace di capire i diversi punti di vista e di non imporre le proprie ragioni. genitore autocentrato: tende a restare fermo sulle proprie opinioni nella convinzione che essendo un genitore possiede migliori strumenti per comprendere il bene dei figli. genitore evasivo: psicologicamente assente, appare spesso arrabbiato e deluso. Un punto importante è il fatto che i genitori assumono un ruolo importante per i figli molto più dei coetanei quando ci sono problemi. Sandler a questo proposito parla di funzione protettiva dei genitori che si esprime attraverso 3 specifiche funzioni: potenziamento dell’autostima, appoggio diretto e vicinanza in situazioni stressanti, stabilità del rapporto affettivo al variare delle circostanze. Diverse ricerche hanno poi smentito il “luogo comune” sull’assoluta OPS: la principale Web Community italiana per studenti, laureandi e laureati in psicologia Articoli, forum di discussione tematici, libreria specializzata, opportunità di stage e lavoro, banca dati curriculum, corsi di formazione, archivio tesi di laurea e molto altro ancora… Visita la Community all’indirizzo www.opsonline.it discrepanza di idee tra genitori e figli, sulla loro inevitabile lotta. È vero che sussistono conflitti ma non tanto gravi come si pensa o almeno non nella maggioranza dei casi. Inoltre i temi su cui si confrontano e sui quali nascono incomprensione pare non siano cambiati rispetto al passato. Il gruppo dei pari Luogo di confronto e scambio importante nella formazione della propria identità. Coleman e Hendry parlano di gruppo di coetanei per intendere non solo gli amici ma anche gli sconosciuti, caratteristica fondamentale per parlare di gruppo di pari è la somiglianza d’età e l’esclusione della rete familiare. L’appartenenza al gruppo nasce da un iniziale bisogno di affiliazione (non necessariamente selettivo, risponde all’esigenza di trovare supporto, condivisione e approvazione) e si trasforma successivamente in bisogno di appartenenza (scelta selettiva di attività che si conciliano con i propri valori e la propria immagine di sé). Forme di aggregazione giovanile: gruppi formali (integrazione stretta con le istituzioni, gruppi sportivi, politici, religiosi. Questi ragazzi si affidano più agli adulti, perseguono valori fondati sull’autodisciplina, minor indipendenza) gruppi informali (luogo di espressione delle tendenze più personali, slegati dalle istituzioni, questi giovani cercano più l’autonomia dalla famiglia e l’appoggio dei coetanei). Importante il ruolo del gruppo nello sviluppo delle relazioni eterosessuali. È durante l’adolescenza che la separazione tra maschi e femmine della fanciullezza viene abbandonata a favore di un progressivo avvicinamento. Le relazioni di amicizia La capacità di instaurare un rapporto amicale è generalmente ritenuta un indice di salute psichica dell’adolescente. Nel passaggio da fanciullezza ad adolescenza si nota anche una differenza nel concettualizzare l’amicizia: dal piacere di stare insieme alla ricerca di intimità. La peculiarità del legame d’amicizia nell’adolescenza sta proprio nel concepirlo come bisogno di vicinanza e intimità. 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