Psicologia dello sviluppo
LO STUDIO DELLO SVILUPPO (1)
NATURA E CAUSE DELLO SVILUPPO
In generale ogni teoria dello sviluppo cerca sempre di rispondere a tre domande fondamentali:
Qual è la natura del cambiamento che caratterizza lo sviluppo? (Quantitativa o qualitativa)
Quali processi causano questo cambiamento? (fattori genetici o ambientali o un’interazione dei 2)
Si tratta di un cambiamento continuo e graduale o discontinuo e improvviso? (Continuo = cambiam. di nat.
quantitativa / discontinuo = qualitativa).
I PRINCIPALI APPROCCI TEORICI ALLO STUDIO DELLO SVILUPPO
Approccio comportamentistico:
l’organismo è docile e plasmabile
possiede una capacità illimitata di apprendimento
il cambiamento è prodotto da cause ambientali
il metodo ottimale è la sperimentazione e l’osservazione con il massimo di controllo (esperimento in laboratorio)
si può sostenere che in questo approccio esiste una psico dell’apprendimento ma non dello sviluppo
si può dividere in comportamentismo radicale (Skinner) e teoria dell’apprendimento sociale (Bandura)
Approccio organismico:
l’organismo è attivo e si autorganizza
il cambiamento è la caratteristica primaria del comportamento
il cambiamento è guidato da leggi regolative e risponde a principi organizzativi intrinseci
il b. costruisce gradualmente la propria comprensione di Sé e del mondo attraverso un continuo interscambio con
l’ambiente.
il metodo ottimale è la sperimentazione e l’osservazione con un grado moderato di controllo
la strategia di ricerca è evolutiva e induttiva
Approccio psicoanalitico:
l’organismo è simbolico e determinato dalla sua storia personale
il cambiamento è l’esito di conflitti interni
lo sviluppo è un cambiamento qualitativo e procede secondo stadi
non si interessa alla ricostruzione delle cause e degli effetti del comportamento, ma alla storia personale degli individui
e a cercarne i nessi significativi
il metodo ottimale è l’osservazione col minimo di controllo (osservazione naturalistica)e l’osservazione della relazione
osservatore – osservato
Prospettive teoriche sullo sviluppo cognitivo
Maturazionismo:
la maturazione è il meccanismo che regola la comparsa delle nuove abilità
lo sviluppo dovuto alla maturazione è indipendente dalla pratica e dall’esercizio
sia le sequenze di maturazione comuni a tutti gli individui sia le differenze tra individui sono influenzate
dall’ereditarietà. (es. intelligenza, temperamento)
Comportamentismo:
l’individuo è plasmato dall’ambiente
lo sviluppo viene ridotto al più semplice processo d’apprendimento
i meccanismi dell’apprendimento operano allo stesso modo nell’intero ciclo vitale
il comportamento complesso non è che un insieme di comportamenti semplici o elementari (riduzionismo)
un meccanismo esplicativo generale (per es. il condizionamento operante) va preferito ad un meccanismo che spiega
una gamma ristretta di fenomeni (parsimonia)
Costruttivismo:
l’individuo costruisce attivamente la propria conoscenza
vi è un’interazione bidirezionale tra individuo e ambiente grazie alla quale giungono a coordinarsi
il pensiero infantile è qualitativamente diverso dal pensiero adulto
lo sviluppo cognitivo consiste in una serie di trasformazioni, ciascuna delle quali riflette un migliore equilibrio tra
individuo e ambiente
gli stadi dello sviluppo cognitivo compaiono secondo una sequenza invariante e universale
L’ECOLOGIA DELLO SVILUPPO
Dopo gli anni ’70 si è cominciato a considerare lo sviluppo come un processo sempre calato nel contesto, un contesto
non più ristretto al rapporto tra madre e bambino in famiglia o al rapporto del b. con i compagni a scuola, ma un
contesto più allargato.
Bronfenbrenner: fondatore dell’approccio ecologico. Individua nell’ambiente una serie ordinata di strutture incluse una
nell’altra.
Microsistema: situazione ambientale precisa in cui è inserito l’individuo (relazione col genitore in famiglia)
Mesosistema: considera le relazioni fra microsistemi.
Esosistema: condizioni di vita e di lavoro della famiglia della scuola e del gruppo di coetanei.
Macrosistema: politica sociale e dei servizi che caratterizza la comunità socioculturale in cui è inserito l’individuo.
Dieci anni dopo lo stesso B. ridimensionerà la sua teoria perché aveva notato un’eccessiva tendenza a dare più rilievo
al contesto anziché all’individuo che si sviluppa.
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LE DIFFERENZE INDIVIDUALI NELLO SVILUPPO
Fino a qualche anno fa hanno avuto particolare seguito le concezioni stadiali delle teorie dello sviluppo cognitivo e
affettivo; oggi c’è la tendenza a interessarsi non più ai soli aspetti in comune (tendenze evolutive universali) a una
larga popolazione ma alle differenze individuali (interindividuali = tra individui diversi / intraindividuali = diff. Aspetti
nello stesso individuo).
Queste differenze individuali sono state osservate per esempio nel temperamento, definito come lo stile di
comportamento di un individuo quando interagisce con l’ambiente. Chess e Thomas hanno fatto uno studio a proposito
del livello di attività (caratteristica temperamentale) dalla nascita ai 10 anni. Vedi pag. 21.
Differenze sono state anche individuate in variabili come la popolarità e l’acquisizione della lingua materna.
METODI DI INDAGINE IN PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO
Come descrivere i cambiamenti in funzione dell’età
Disegni di ricerca longitudinali: lo stesso gruppo di individui viene osservato e valutato per un periodo più o meno
lungo di tempo. Vantaggi: consente di seguire lo sviluppo individuale nel tempo e di rispondere a domande circa la
stabilità del comportamento indagato, consente di determinare gli effetti di esperienze o condizioni antecedenti sullo
sviluppo successivo. Svantaggi: metodo costoso, rischio di perdere soggetti negli anni, confusione fra i cambiamenti
legati all’età e quelli di tipo sociale e storico.
- A breve termine: Osservazione degli stessi soggetti in almeno due punti di età (non importa a che distanza)
- A lungo termine: durata minima di 3 anni e almeno 3 osservazioni ripetute nel tempo.
Disegni di ricerca trasversali: gruppi di individui di età diversa vengono confrontati nello stesso momento temporale.
Vantaggi: consente di identificare differenze tra le età ma non di studiare i cambiamenti individuali in funzione del
tempo, è meno costoso, veloce nell’esecuzione e facile da rplicare. Svantaggi: questa ricerca non dice nulla sullo
sviluppo all’interno degli individui in quanto il comportamento viene osservato in un unico momento temporale.
Gli studi trasversali sono più numerosi di quelli longitudinali.
Metodi di ricerca
L’esperimento: il ricercatore interviene attivamente, non osserva solo il fenomeno ma lo modifica o addirittura lo
produce. Il ricercatore predispone una situazione di cui sono note le variabili. Alcune di esse le modifica lui stesso (v.
indipendenti)per vedere se esse influenzano in qualche modo il comportamento indagato (v. dipendente). Per essere
certi che il cambiamento della v. dipendente dipende in effetti dalla v. indipendente il ricercatore predispone una
condizione di controllo (gruppo di controllo che non subisce il trattamento eseguito sul gruppo sperimentale).
L’esperimento può essere condotto in laboratorio ma anche nell’ambiente naturale. Vantaggi: replicabilità e capacità di
stabilire relazioni di causa – effetto tra v. dip. e v. indip. Svantaggi: i sogg. Controllati potrebbero non comportarsi in
modo naturale, scarsa validità esterna (ossia non è possibile generalizzare a contesti esterni dalla sperimentazione i
risultati). La validità interna invece è solitamente alta (ossia la relazione causa – effetto tra v. indip. e v. dip. è
solitamente evidente).
Il disegno quasi sperimentale: quando non è possibile manipolare la v. indipendente oppure assegnare casualmente i
soggetti ai gruppi sperimentali e di controllo. Si confrontano tra loro gruppi la cui composizione non è casuale: si cerca
un gruppo in cui la v. che vogliamo studiare sia presente naturalmente e lo si confronta con un altro gruppo il più
possibile simile al primo tranne che per l’assenza della v.
Il disegno correlazionale: quando non è possibile individuare gruppi che differiscono per l’aspetto che interessa il
ricercatore oppure si è interessati a descrivere il rapporto tra due variabili. Questo metodo permette di misurare il
grado di associazione tra v. senza manipolarle sperimentalmente e quindi senza distinguere tra gruppo sperimentale e
gruppo di controllo. L’uso di questo disegno ha scopi esclusivamente descrittivi e non di ricavare conclusioni circa il
rapporto causa – effetto tra le v.
L’osservazione: implica la selezione di un fenomeno che ci interessa e la raccolta del maggior numero di informazioni
possibile su di esso. Si predilige l’osservazione del comportamento quando si verifica spontaneamente.
OSSERVAZIONE
Indagare le relazioni che esistono tra le v.
Non controlla le v. indip. perché il comportamento
indagato potrebbe alterarsi o non verificarsi
Obiettivi prevalentemente descrittivi.
Non è in grado di verificare relazioni tra causa – effetto.
ESPERIMENTO
verificare se effettivamente esistono relazioni tra le v.
Controlla la v. indip.
Obiettivi esplicativi.
È in grado di rilevare relazioni tra causa – effetto.
Quattro tipi di studi:
studio sul campo
non strutturato strutturato
studio in laboratorio
non strutturato
strutturato
Due forme di osservazione:
naturalistica: approccio etologico di Lorenz, Tinbergen, Piaget. L’osservatore si nasconde o si maschera per non
influenzare in alcun modo il comportamento osservato.
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controllata: l’osservatore interviene attivamente pur senza introdurre una vera e propria manipolazione sperimentale
della v. indip. può essere condotta nell’ambiente naturale o in laboratorio e può essere guidata da formulazioni di
ipotesi e non solo da scopi descrittivi.
Validità dell’osservazione:
FONTE DI ERRORE
SOGETTI OSSERVATI
Reattività, innaturalità
SOLUZIONE
Familiarizzazione, tecniche non invasive (osservazione
partecipante), mascherare l’osservatore (specchio
unidirezionale)
OSSERVATORI
Condizioni psicofisiche, capacità personali, sapere di
essere valutati per l'’ttendibilità dell'osservazione
RICERCATORI
Aspettative e commenti, uso di schemi di codifica
complessi
Utilizzo di osservatori indipendenti, utilizo di buoni
osservatori, controlli casuali dell’attendibilità.
Evitare commenti ed interpretazioni, definizioni operative
chiare delle categorie di codifica, addestrare i codificatori.
Interviste e questionari:
con i bambini: devono avere almeno 3 anni per le interviste e almeno 7 – 8 per i questionari perché devono possedere
una buona capacità di comprensione e produzione del linguaggio. Potrebbero essere restii ad accettare perciò bisogna
stimolare la curiosità, l’interesse e instaurare un clima di fiducia. Bisogna infine assicurarsi che anche il livello cognitivo
sia adeguato alla comprensione delle domande.
con gli adulti: tendenza a conformarsi alle aspettative dell’intervistatore. Tendenza a fare i cosiddetti errori sistematici
(sottovalutare le capacità dei b. in età prescolare e sopravvalutare le capacità dei b. in età scolare). Importanza anche
qui della padronanza linguistica a livello sia orale che scritto.
Nel questionario le domande possono essere:
Chiuse: possibilità di risposte predefinite dal ricercatore, interviste e questionari strutturati.
Aperte: quando l’argomento è più complesso. Vantaggi: utile nelle indagini preliminari. Svantaggi: codifica laboriosa,
raccolta di informazioni potenzialmente irrilevanti e inutili.
Quale metodo scegliere?
Idealmente, in ogni studio si possono impiegare diversi metodi. Se i risultati derivanti dall’applicazione di metodi
diversi coincidono, le conclusioni tratte dallo studio ne risultano rafforzate.
LO SVILUPPO FISICO E MOTORIO (2)
LO SVILUPPO PRENATALE
Agenti teratogeni: fattori ambientali che causano un danno congenito nell’embrione e nel feto. (es. rosolia contratta
dalla madre nei primi 2 mesi, nicotina, droghe, scarsa o inadeguata nutrizione). Possiamo distinguere due fasi dello
sviluppo prenatale:
Il periodo embrionale
Va dall’inizio della terza alla fine dell’ottava settimana di gestazione (1 – 2 mesi). In questo periodo l’embrione diventa
un feto e cioè un organismo con caratteristiche umane riconoscibili. Iniziano a differenziarsi le cellule che danno luogo
alle diverse regioni corporee e ai diversi tessuti. La testa è grande quanto il resto del corpo. Periodo di più rapida
crescita dell’intera vita umana, infatti alla fine del secondo mese l’embrione è lungo circa 2,5 cm.
Il periodo fetale
Inizia nella nona settimana e si conclude al termine della gestazione. La testa diventa un quarto del corpo. Dal terzo
mese i diversi sistemi dell’organismo cominciano a funzionare. Fin dal quarto mese la madre può avvertire i movimenti
del feto. Fra il quarto e il quinto mese anche se completamente formato il feto non sarebbe in grado di sopravvivere
se la connessione con la placenta venisse interrotta. Negli ultimi mesi si completano la maturazione e l’accrescimento
degli organi. Il feto sembra meno attivo che nei mesi precedenti poiché crescendo ha a disposizione uno spazio minore
all’interno dell’utero. Per sfruttare al max. lo spazio disponibile si pone con la testa verso il basso (posizione in cui la
maggior parte dei b. si presentano alla nascita). Tra la ventiseiesima e la ventottesima settimana il feto oltrepassa la
linea di demarcazione che separa la sopravvivenza dalla morte, in caso di nascita prematura.
LA NASCITA E IL NEONATO
Il b. viene al mondo con le competenze necessarie per sopravvivere nell’ambiente extrauterino. Il passaggio
dall’ambiente intrauterino a quello extrauterino non è comunque facile infatti il neonato si trova ad affrontare una
serie di compiti nuovi facilitati però da alcuni riflessi quali: il riflesso respiratorio, il riflesso di suzione , la
termoregolazione autonoma (che però presenta ancora qualche difficoltà per via dell’assenza di tessuti adiposi).
Durante la gravidanza il feto si prepara allo stress della nascita, in particolare al rischio di ipossia (carenza di
ossigeno). Importanza del latte materno non solo per la nutrizione ma anche per i fattori di difesa contro le infezioni
che contiene.
LA CRESCITA PRIMA E DOPO LA NASCITA
Per crescita intendiamo due tipi di fenomeni:
Crescita vera e propria legata alla moltiplicazione cellulare che determina l’aumento di volume dell’organismo.
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Processo di differenziazione e di sviluppo delle diverse funzioni corporee e psichiche, in senso sia funzionale che
biochimico.
La crescita è un processo continuo che tuttavia presenta ritmi e velocità diversi nelle diverse epoche dello sviluppo.
Asimmetria: non tutti gli organi crescono nello stesso periodo e alla stessa velocità. Distinguiamo inoltre un periodo
pre e uno postnatale di crescita.
Crescita prenatale: la velocità è massima nei primi 6 mesi di vita intrauterina. Insieme all’accrescimento staturo –
ponderale si modificano le proporzioni corporee.
Crescita postnatale: suddivisa nelle seguenti fasi: periodo neonatale (dalla nascita alla 28° giorno), prima infanzia (0 –
2 anni), seconda infanzia (2 – 6 anni), terza infanzia (6 – 10 anni), adolescenza (dai 10 anni al completamento dello
sviluppo sessuale). Dal secondo anno e per tutta l’infanzia la crescita prosegue con un ritmo meno rapido, mentre
nella pubertà si verifica un nuovo consistente incremento. L’alimentazione ha un ruolo importante nel garantire una
crescita equilibrata.
CHE COSA SA FARE IL NEONATO?
Se lo si confronta con un feto, il neonato è piuttosto autonomo. Il suo repertorio comportamentale viene descritto in
termini di postura e di riflessi. Il neonato presenta un repertorio di riflessi considerati come risposte motorie primitive
e involontarie. Esiste una certa differenza fra il modo di concepire il neonato secondo una concezione neurofisiologica
classica e quella invece moderna: una volta il neonato veniva visto come un insieme meccanico di sistemi isolati, inerti
finchè non vengono stimolati. Oggi il neonato è visto come un organismo attivo, composto da sottosistemi
interconnessi, pronto a modulare la sua attività in funzione delle condizioni ambientali. Il neonato è quindi dotato di
tutte le abilità necessarie per nutrirsi, respirare, proteggersi da situazioni potenzialmente dannose e stabilire le prime
relazioni sociali. La presenza di alcuni movimenti nel neonato umano può essere spiegata come un residuo di abilità
utili ad altre specie ma che nell’uomo hanno perso di significato. Si tratta infatti di movimenti che scompaiono
rapidamente dopo le prime settimane di vita.
Quello che il neonato è in grado di percepire dipende in gran parte dal suo stato. Prechtl distingue 5 diversi stati di
coscienza: sonno profondo, veglia tranquilla, veglia attiva, pianto, irrequietezza. Questi stati si ripetono in modo ciclico
durante la giornata, in media ogni due ore circa. Bisogna tener presente però, che nei primi giorni di vita la maggior
parte del tempo è spesa nel sonno. Un periodo di sonno notturno abbastanza lungo subentra soltanto verso la quarta
settimana di vita. Importante notare che per stabilire uno scambio sociale con il neonato, il momento migliore è
quando il b. si trova in uno stato di veglia tranquilla (di solito dopo aver mangiato).
LO SVILUPPO MOTORIO
Modello maturativo
La teoria classica ipotizza una relazione causale tra lo sviluppo di nuove strutture neuroanatomiche e la comparsa di
nuove abilità motorie. Lo sviluppo viene visto come una sequenza si tappe universali, l’esperienza è chiamata in gioco
solo per spiegare le differenze individuali nelle età di comparsa delle nuove abilità. Modello oggi criticato.
Approccio HIP (dell’elaborazione dell’informazione)
Vede la mente simile a un computer. Lo sviluppo delle diverse funzioni corrisponde alla costruzione di un sistema
gerarchico di routine, schemi, rappresentazioni, che diviene sempre più complesso in funzione delle continue
interazioni con gli stimoli esterni.
Teoria dei sistemi dinamici
Lo sviluppo motorio del b. è dovuto all’interazione di diversi sistemi tra i quali: i fattori intrinseci al sistema nervoso, i
fattori ambientali, le caratteristiche biomeccaniche del b.. L’acquisizione di una nuova condotta dipende dalla continua
cooperazione tra i diversi sottosistemi che contribuiscono a quella specifica condotta. Vedi es. pag. 46.
Nel corso dei primi due anni di vita il b. conquista le principali abilità motorie. Due linee di sviluppo:
tendenza del b. a raggiungere una sempre maggiore mobilità per raggiungere qualsiasi oggetto e ampliare il proprio
raggio d’azione.
Tendenza a conquistare la posizione eretta, in modo da avere le mani libere per fare cose interessanti piuttosto che
usarle come appoggio.
Postura e deambulazione
Le principali tappe nello sviluppo della postura:
Sostenimento della testa: solleva il mento nel 1° mese, la testa e le spalle nel 2° mese, si appoggia sugli avambracci
nel 3° mese.
Si siede nel secondo trimestre di vita. La posizione seduto senza appoggio è raggiunta solo verso i 9 mesi.
La posizione eretta rappresenta una nuova tappa che il b. comincia ad acquistare mentre ancora perfeziona la
posizione seduta.
Le principali tappe nello sviluppo della deambulazione:
Procede parallelamente a quello posturale ma inizia più tardi.
Fino ai 6 mesi il b. non sa muoversi da solo.
Verso i 7 – 8 mesi striscia.
Verso i 10 mesi va a carponi.
Inizia a camminare da solo verso i 13 – 14 mesi.
Vedi disegni a pag. 48.
I primi passi sono ancora incerti ed esitanti: il piede viene sollevato più in alto del necessario, il corpo è piegato in
avanti, le braccia sono tenute lontane dal corpo per bilanciarlo, il b. cammina a scatti e spesso cade.
Manipolazione
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Si sviluppa nel corso del primo anno e mezzo di vita. La sua maturazione dipende sia dalla maturazione
neuromuscolare sia dall’esercizio. Il riflesso di presa scompare intorno ai due mesi e nello stesso periodo il b. comincia
a sviluppare la prensione vera e propria. Il b. si tende verso un oggetto che lo attira e lo afferra, più tardi è in grado di
manipolarlo e di lasciarlo andare.
Distinguiamo tre tipi di avvicinamento all’oggetto da afferrare che corrispondono alla progressiva utilizzazione delle 3
articolazioni interessate: spalla (5 – 6 mesi) + gomito (7 – 8 mesi) + polso (8 mesi).
Diverse fasi di prensione:
prensione cubito – palmare: l’oggetto viene afferrato dalla parte cubitale della mano (sotto il mignolo) senza l’uso del
pollice.
prensione digito – palmare: viene poi condotto verso il palmo e afferrato con tre dita insieme (pollice, indice, medio)
prensione radio – digitale: l’oggetto viene posto sotto l’indice e la prensione implica l’opposizione fra pollice e indice.
La differenza fra la prensione riflessa neonatale e quella vera e propria sta nel fatto che nel neonato il semplice vedere
l’oggetto determina l’avvicinamento del braccio ad esso. In seguito alla maturazione e alla differenziazione fra i due
canali sensoriali, l’attivazione di uno di essi (la vista) porta ad una inibizione dell’altro (la prensione). Quando infine i
due canali sensoriali ormai differenziati si coordinano tra loro, il movimento di orientamento verso l’oggetto ricompare
sotto il controllo visivo.
Dopo aver imparato a prendere e maneggiare l’oggetto il neonato deve imparare anche a lasciarlo andare (compito
che inizialmente porta a termine solo perché dopo un po’, quando perde la concentrazione sull’oggetto, esso gli cade
involontariamente dalla mano). Tra i 6 e gli 8 mesi, il b. impara a lasciar andare l’oggetto volontariamente.
Oltre a consentire una modalità attiva di rapporto con l’ambiente, la prensione presenta una particolare complessità
cognitiva, soprattutto nella misura in cui si coordina ad altre capacità quali la vista e la suzione. (vedi cap 4)
Differenze individuali nello sviluppo motorio
Riscontriamo ampie differenze individuali per quanto riguarda non soltanto i tempi ma anche i modi e le strategie con
cui ogni b. conquista specifiche abilità motorie. La variabilità tra individui tende ad essere maggiore al momento
dell’emergere dell’abilità nuova mentre si riduce via via che vengono selezionate le strategie più efficaci e mature, che
tendono ad essere le stesse in tutti i b.
LO SVILUPPO SESSUALE
Vita prenatale: alla fecondazione si stabilisce il sesso cromosomico dell’embrione. Nelle prime fasi dello sviluppo
embrionale non vi sono differenze, all’ottava settimana di gestazione diventano riconoscibili i testicoli e alla nona
comincia la differenziazione del testosterone. La gonade femminile per differenziarsi è sufficiente che non venga
prodotto testosterone.
Vita postnatale: nel corso dell’infanzia e dell’età scolare lo sviluppo continua senza però cambiamenti fisici importanti.
La pubertà è il momento di massima differenziazione sessuale nella vita postnatale: conquista della maturità sessuale.
L’ordine con cui si succedono gli eventi della pubertà è di norma lo stesso per tutti, cambia l’età nella quale questi
cambiamenti hanno inizio. Lo sviluppo puberale si caratterizza non solo per l’aumento delle dimensioni del corpo ma
anche per i cambiamenti nella sua forma. Le modificazioni che completano la differenza fra i sessi (dimorfismo
sessuale) riguarda tutti gli organi.
LO SVILUPPO DEL SISTEMA NERVOSO
Tra la nascita e l’età adulta il peso del cervello aumenta da circa 350 grammi a 1350 grammi, esso raddoppia nei primi
9 mesi e raggiunge il peso del cervello adulto a circa 6 anni.
Alla nascita è già presente la maggior parte dei neuroni (cellule cerebrali), anche se le connessioni fra di essi (sinapsi)
sono ancora imperfette. Inoltre, sulla superficie cellulare si sono formate quelle strutture (assoni e dendriti), attraverso
cui sostanze chimiche e informazioni vengono ricevute e inviate da una cellula all’altra. Paradossalmente il numero di
sinapsi, assoni e dendriti è molto superiore a quello che sarà poi il numero definitivo (fenomeno della morte cellulare).
Un processo importante è quello della mielinizzazione che inizia durante la gestazione e continua fino all’età adulta. La
mielina è una sostanza che avvolge come una guaina le fibre nervose e ha la funzione di aumentare la velocità di
trasmissione dell’impulso nervoso. Per esempio la “sclerosi multipla” è dovuta ad un decadimento della mielina.
Importante è l’esperienza nella formazione dell’architettura cerebrale: esperienze traumatiche vissute in periodi
chiamati “critici” possono produrre effetti profondi sull’organizzazione cerebrale.
LO SVILUPPO PERCETTIVO (3)
PERCEZIONE E SENSAZIONE
Il mondo percettivo non è una copia immediata e diretta dell’ambiente, bensì il risultato di mediazioni e di attività
svolte dall’organismo. La percezione consente di organizzare in modo coerente e significativo i dati.
Distinzione tra:
Percezione: processo attivo e dinamico di elaborazione degli stimoli sensoriali che procede attraverso l’analisi, la
selezione, il coordinamento e l’elaborazione delle informazioni.
Sensazione: effetto soggettivo e immediato provocato dagli stimoli sui diversi apparati dell’organismo deputati a
recepire gli stimoli. Processo attraverso cui le informazioni dell’ambiente vengono recepite dai recettori sensoriali e
trasmesse al cervello.
Che rapporto c’è tra sensazione e percezione nel neonato? Sappiamo che i neonati sono dotati di capacità sensoriali fin
dalla nascita e che sono in grado di rispondere a stimoli luminosi, acustici, tattili e gustativi. Però, nella prospettiva
empirista della percezione (Helmholtz ) il neonato è visto come una tabula rasa, la capacità di percepire sarebbe quindi
il prodotto di un lungo apprendimento.
Tuttavia già nel secolo scorso sono state proposte prospettive differenti basate sull’idea che la strutturazione
percettiva della realtà contenga elementi già organizzati a cui l’essere umano è predisposto e che quindi può cogliere
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in modo immediato grazie alla sua dotazione innata. La sperimentazione psicologica ha chiarito che i b. nascono con
una gamma di facoltà percettive ben più ampia di quella supposta dagli empiristi ma anche che la capacità infantile di
apprendere dall’esperienza è nettamente superiore a quella ipotizzata dagli innatisti.
SVILUPPO DELLE COMPETENZE PERCETTIVE DEL NEONATO E NEL PRIMO ANNO DI VITA
La produzione psicologica ha prodotto un ribaltamento nella concezione del b., non più mero recettore di stimoli, ma
attivo nell’elaborazione delle informazioni e dotato di competenze che hanno bisogno dell’interazione con l’ambiente
per potersi interamente dispiegare ed evolvere. Lo stesso Spitz descriveva il neonato fino al terzo mese come immerso
in un universo indifferenziato, capace di rispondere agli stimoli esterni solo in funzione di una percezione introcettiva,
di una pulsione insoddisfatta e caratterizzato da una unica tonalità affettiva, quella spiacevole alla quale si
contrapponeva non il piacere ma solo uno stato di quiete. Immagine largamente superata.
Percezione gustativa e olfattiva
Le sensazioni gustative e olfattive rivestono una certa importanza non solo ai fini della nutrizione, ma per il ruolo di
mediazione nella relazione con l’adulto che si prende cura del b. (caregiver).
Le ricerche sulla sensibilità gustativa hanno chiarito che il neonato è in grado fin dalla nascita di discriminare sapori
piacevoli (dolci) da sapori spiacevoli (amari/acidi). Le soluzioni dolci stimolano il riflesso di suzione, al contrario quelle
salate lo inibiscono.
Le ricerche sulla sensibilità olfattiva hanno invece evidenziato che essa è ben sviluppata alla nascita, grazie anche al
fatto che essa matura già nella fase fetale. MacFarlane ha eseguito l’esperimento dei due batuffoli di cotone ai lati della
testa del neonato. Essi erano impregnati di latte: uno di latte materno l’altro di latte di un’altra donna, il b. riconosceva
quello materno e lo preferiva.
Percezione uditiva
Nel neonato la conformazione anatomica dell’organo recettore non presenta sostanziali differenze rispetto a quello
dell’adulto, anche se le dimensioni del condotto uditivo esterno, la membrana del timpano e la cavità dell’orecchio
medio non hanno ancora dimensioni tali da consentire la trasmissione efficace delle vibrazioni sonore.
La percezione uditiva precoce: le ricerche hanno dimostrato che sebbene i neonati abbiano una soglia uditiva molto
alta che li porta a percepire i suoni in modo attutito, essi sono reattivi ai suoni fin dalla nascita e si orientano verso di
essi. Molti studi hanno testato il suo maggiore interesse verso i suoni ritmici, verso la voce umana e in particolare
verso la voce materna.
Preferenze verso la voce materna: DeCasper e Fifer predisposero una situazione sperimentale nella quale, subito dopo
la nascita, alcuni lattanti muniti di auricolare ascoltavano la voce della madre registrata per 12 ore. Successivamente,
agli stessi lattanti venivano fatti ascoltare sia la voce della madre che quella di un estraneo. Le reazioni dei piccoli
venivano misurate attraverso il metodo della “suzione non alimentare”. Entro i primi tre giorni di vita i neonati erano in
grado non solo di riconoscere la voce della madre ma anche di preferirla. Gli autori ipotizzano un “apprendimento
prenatale”, altri autori invece preferiscono parlare di una sorta di apprendimento legato all’ascolto di 12 ore…Oggi
sappiamo che effettivamente i suoni possono raggiungere il feto provocando risposte motorie e modificazioni del ritmo
cardiaco già dalla ventesima settimana di gestazione.
Un’altra ricerca si è occupata di dimostrare se il b. fosse in grado di distinguere fra voce materna e voce estranea
anche nel periodo fetale, ossia se oltre al riconoscimento ci fosse anche la discriminazione nel periodo fetale. La
ricerca, effettuata esponendo il feto alla voce registrata sia della madre sia di una donna estranea, non ha offerto
conferme in tal senso.
Una sensibilità precoce si può rilevare anche nella percezione del suono ritmico e nella capacità di distinguere tra suoni
verbali e non.
Caratteristiche fonologiche della lingua: per poter affrontare efficacemente l’apprendimento del linguaggio è necessario
differenziare le singole unità in cui si compongono le parole, ossia differenziare fra i singoli fonemi poiché il significato
di una parola può cambiare cambiando un solo fonema. I b. sono in grado di discriminare i fonemi della propria lingua
e di tutte le altre e percepiscono la lingua parlata secondo le stesse informazioni degli adulti! Questo ci dice che questa
abilità deriva da una dotazione innata. Ma questa sensibilità su base innata molto spiccata nei primi mesi di vita,
regredisce con lo sviluppo e b. di 4 anni non sono già quasi più in grado di riconoscere i fonemi appartenenti ad
un’altra lingua (come l’adulto). Questo perché nel corso del primo anno di vita si assiste ad uno spostamento peculiare
da una capacità di percezione fonetica universale, ad una competenza più specifica e funzionale all’apprendimento
della propria lingua.
Percezione visiva
Il neonato ha una capacità visiva molto più spiccata di quello che si riteneva in passato. La capacità di percepire i
dettagli però non è completamente sviluppata, a causa della modesta differenziazione strutturale della retina. Intorno
al primo mese la visione centrale migliora e si stabilizza intorno ai 4 mesi. L’immaturità del sistema nervoso, comporta
l’imperfetta mielinizzazione delle fibre che impedisce sia una rapida trasmissione di informazioni al cervello, sia
un’adeguata motilità oculare. Alla nascita il b. può compiere i cosiddetti movimenti coniugati che consentono un’ampia
esplorazione del campo visivo in orizzontale più che in verticale; può compiere anche i movimenti di inseguimento che
gli permettono di inseguire uno stimolo visivo che si sposta lentamente dal centro del suo campo visivo verso la
periferia. Il riflesso pupillare, anch’esso presente da subito, rivela che il neonato è sensibile alle diverse intensità degli
stimoli visivi. La coordinazione e la convergenza (che servono per la messa a fuoco e per la percezione della
profondità) compaiono in forma rudimentale dopo qualche ora dalla nascita. La capacità attentiva del neonato gli
permette di seguire con lo sguardo uno stimolo visivo che si muove nel suo campo per qualche istante ma non a
lungo.
Entro i 3 mesi si sviluppa la visione binoculare che permette al b. di mettere a fuoco gli oggetti con entrambi gli occhi.
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Percezione cromatica: il neonato non vede bianco e nero come si pensava un tempo. Egli è in grado di riconoscere il
rosso rispetto al verde e al blu fin dalla nascita, di distinguere fra rosso, verde e blu a 3 mesi e a 4 mesi la sua
percezione cromatica è già simile a quella adulta.
L’attenzione focalizzata
Le capacità visive del neonato gli permettono di esplorare gli stimoli visivi. I neonati tendono ad interrompere per un
attimo la suzione se vedono qualcosa che li incuriosisce, segno che percepiscono i cambiamenti dell’ambiente
circostante. Gli oggetti che lo attirano sono in genere quelli grandi e in movimento, che provocano risposte oculari che
indicano un’attenzione selettiva e un’esplorazione non casuale.
Mentre a un mese il b. si concentra su una caratteristica (o poche) dello stimolo alla volta, a 3 mesi il b. comincia ad
usare strategie di ispezione degli oggetti che consentono un’attività di fissazione stabile e continua.
capacità attentive + capacità di fissazione = attenzione focalizzata. Questa rappresenta già un segno di attività
cognitiva.
I b. concentrano la propria attenzione sui contorni (curvilinei), sugli stimoli strutturati, complessi e nuovi. Importante è
anche l’età del b. oltre alle caratteristiche dell’oggetto. La velocità di elaborazione degli stimoli aumenta all’aumentare
dell’età poiché i b. diventano più abili nel cogliere le singole unità di informazione e nell’elaborarle. Con l’età il b.
impara a elaborare strategie individuali di elaborazione dello stimolo. Una ricerca italiana a messo in evidenza, a
questo proposito, due diverse modalità di elaborazione dello stimolo:
Short- lookers: hanno tempi di reazione brevi, poiché analizzano gli stimoli passando dagli aspetti generali a quelli
particolari.
Long-lookers: hanno tempi più lunghi, poiché analizzano gli stimoli passando dai dettagli all’aspetto generale. Essi,
però, a partire dagli 8 mesi, sono essere in grado di cambiare strategia di elaborazione dello stimolo se lo stimolo ha
caratteristiche tali da permetterlo. Sono quindi in grado di diventare short-lookers, comportandosi quindi come gli
adulti.
L’attenzione obbligatoria: ci si riferisce al fatto che nei primi mesi il b. ha difficoltà a variare il focus attentivo. Sembra
che fissino qualcosa per interesse in realtà è solo perché non riescono a distogliere lo sguardo, perché?
Prospettiva classica: l’attenzione obbligatoria sarebbe l’espressione di un controllo assente o carente, sul sistema
oculomotorio da parte dei meccanismi centrali ancora immaturi.
Prospettiva più recente: si fonda sullo studio delle basi neurali e sull’ipotesi che esista una maturazione progressiva di
4 circuiti neurali nei primi 6 mesi di vita. L’attenzione obbligatoria deriverebbe dalla comparsa del secondo circuito,
questo, avrebbe lo scopo di inibire l’orientamento verso stimoli periferici, ma per farlo inibisce temporaneamente
anche il controllo oculomotorio.
La preferenza per il volto
Questa preferenza è innata ed ha un valore adattivo in quanto servirebbe a favorire le relazioni sociali e il legame
d’attaccamento. Secondo Schaffer, fino a 2 mesi l’attenzione del b. viene attratta dai volti non perché vengono
differenziati o riconosciuti, ma per le loro caratteristiche intrinseche a cui l’apparato percettivo infantile è predisposto.
Inizialmente il b. riconosce le caratteristiche salienti (comuni a tutti i volti) e poi differenzia fra volti familiari (madre) e
estranei. Questo fa pensare ad un meccanismo innato di organizzazione dello stimolo.
La percezione del volto: gli studi classici affermano che il motivo di attrazione per il volto non è, almeno inizialmente, il
realismo dello stimolo, ma la presenza di caratteristiche peculiari che lo contraddistinguono e che attraggono
l’attenzione quali: nitidezza dei contorni, movimento, simmetria, complessità. I contorni esterni del volto vengono
esplorati ad un mese, dopo due mesi il b. esplora gli elementi interni del volto.
Ipotesi strutturale di Johnson e Morton: considera il neonato dotato di un meccanismo sottocorticale chiamato
Conspec, che lo rende selettivamente sensibile alle caratteristiche del volto e gli consente di discriminare questo
particolare stimolo dagli altri.
Riconoscimento del volto: Attenzione selettiva per il volto materno (Field) ha usato come stimolo il volto reale della
madre messo a confronto con quello sempre reale di altre persone. Dopo soli 2 giorni dalla nascita il b. mostra di
preferire il volto della madre. Ma come facciamo a dire che l’ha riconosciuta davvero, che non si è basato solo su indizi
olfattivi? Se il volto viene presentato in modo da evidenziare o solo gli elementi interni o solo gli elementi esterni la
capacità di discriminare la madre da un’estranea si riduce. I neonati, a 4 giorni e fino a 3 – 4 settimane, sebbene
guardino più a lungo il volto della madre, non sono in grado di discriminare in base ai soli dettagli interni del viso.
Dopo 1 mese invece, sanno riconoscere in base ai dettagli interni ma non se ci sono solo i dettagli esterni (per es. se i
2 volti della madre e dell’estranea sono coperti). Se ci sono solo i dettagli esterni la discriminazione non avviene prima
dei 4 mesi. Insomma è importante la connessione di dettagli sia interni che esterni per il riconoscimento del volto. È
importante sottolineare che la preferenza verso il volto materno non implica necessariamente il riconoscimento della
sua identità.
A partire dai 3 mesi: interesse nell’estraneo (anche se preferisce sempre la madre), inizia a discriminare le emozioni
(tra i 3 e i 7 mesi), mostrano una preferenza per i volti attraenti poiché essi sono considerati più inerenti al modello di
“volto” in generale.
Costanze percettive e percezione della profondità
Le stimolazioni che si proiettano sulla retina sono continuamente diverse per forma, dimensione, grandezza,
luminosità, ma la percezione dell’ambiente resta stabile grazie alle costanze percettive. Si tratta di processi in base ai
quali percepiamo gli oggetti dell’ambiente come invarianti e costanti, pur al variare delle stimolazioni. Il b. ha queste
costanze?
Sembra che assumano una notevole importanza per il b. le costanze di forma (consente di identificare la forma di un
oggetto anche se questo cambia orientamento o inclinazione) e dimensione (riconoscere la grandezza di un oggetto
anche se questo si allontana o si avvicina).
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Bower ha preso in esame lo sviluppo della percezione della distanza e della profondità (esperimento del baratro visivo
di Gibson e Walk che può essere impiegato solo il b. sa camminare o gattonare).
Sembra, che i b. fin dalla nascita vivano in un mondo percettivo che, sebbene diverso da quello dell’adulto, è
articolato in termini di oggetti, forme e persone percepite come costanti e stabili.
LO SVILUPPO PERCETTIVO NELL’INFNZIA E NELLA FANCIULLEZZA
L’esplorazione dell’ambiente consente lo sviluppo di nuove capacità percettive.
Infanzia
prima: fino a 3 anni
seconda: fino a 6 anni
La percezione delle forme
Importante è l’influenza delle caratteristiche gestaltiche nella percezione degli oggetti. In partcolare, la legge di
chiusura della forma prevale su quella di continuità di direzione.
Es. se l’incrocio di una linea spezzata con un’altra crea delle forme simili a casette i b. vedono le casette e non le due
linee spezzate che si incrociano. Si dà quindi alla linea il significato di contorno.
Figure con contorno lacunoso: figure con contorni tratteggiati, quanto più il b. è piccolo quanto meno è in grado di
riconoscere una figura dal contorno tratteggiato. Se addestrati già a 3 anni e mezzo e certamente 5 sono in grado di
farlo.
Il b. è attratto dalla forma o dal colore?: fino a 2 anni preferiscono la forma (forme allungate), dai 3 – 4 anni c’è una
fase di transizione in cui sono orientati verso il colore, dopo i 4 anni sanno tener conto sia della forma che del colore
ma preferiscono la forma (anche se non solo quella).
Il sincretismo percettivo infantile
Fenomeno per cui la percezione della struttura di insieme ostacola l’individuazione delle singole parti. Il tutto resiste
alla scomposizione. Esperimento di Heiss e Sander vedi pag. 79. Con l’età i b. affinano le abilità di cogliere i particolari.
Quando l’insieme corrisponde ad una forma semplice o ad una struttura forte, esso tende ad imporsi, ma se le singole
parti rappresentano oggetti familiari o particolari vistosi, esse vengono preferite all’insieme non noto. Esperimento di
Volkelt. Vedi pag. 80.
Se mostriamo ad un b. il modello isolato di una figura e poi gli chiediamo di trovarlo in un’immagine più grande in cui il
modello è mascherato, ci accorgiamo che fino ai 5 – 6 anni, i b. hanno grandi difficoltà a risolvere il compito poiché
non sono in grado di contrastare, le forze percettive dell’organizzazione.
Si possono distinguere 3 grandi periodo dello sviluppo percettivo:
percezione sincretica: globale – indifferenziata.
percezione analitica: particolare – differenziata.
percezione sintetica: globale – differenziata.
Mentre un adulto percepisce un insieme strutturato, cioè organizzato nelle sue parti, nel caso del b. il tutto o i dettagli
sono distinti gli uni dagli altri senza un’integrazione.
La percezione visiva nella fanciullezza
Superamento del sincretismo infantile, tra i 6 e i 9 anni, emerge una migliore capacità di analisi e esplorazione
sistematica degli stimoli. Capacità di adottare una prospettiva reversibile che consente di esplorare il tutto per passare
dalle singole parti per poi ritornare alla totalità. Viene inoltre acquisita la capacità di compiere un’esplorazione
esaustiva e si perfeziona la capacità di raggruppare in classi elementi complessi.
Costanza della grandezza: Fenomeno della supercostanza: tendenza compensatoria che induce a percepire un oggetto
distante leggermente più grande della realtà. Sono state osservate variazioni in base alla consegna, infatti, se si chiede
di osservare un oggetto in una condizione percettiva naturale anziché in laboratorio questo fenomeno non si manifesta.
Anche la costanza della forma subisce un incremento nella fanciullezza e si perfeziona nell’adolescenza.
LO SVILUPPO COGNITIVO (4)
LO SVILUPPO MENTALE DALL’INFANZIA ALL’ADOLESCENZA SECONDO PIAGET
I concetti fondamentali della teoria
Secondo Piaget l’intelligenza è un caso particolare di adattamento di adattamento biologico: mentre l’organismo si
adatta costruendo materialmente forme nuove, l’intelligenza costruisce nuove strutture mentali che servono a
comprendere e a spiegare l’ambiente. L’individuo che conosce non è un passivo recettore di influenze ambientali, né il
veicolo di idee innate, ma un attivo costruttore delle proprie conoscenze. Piaget così respinge sia l’ipotesi innatista
(teoria della Gestalt) sia quella ambientalista (comportamentismo) proponendo una teoria organismica i cui assunti di
base sono:
lo sviluppo è comprensibile all’interno della storia evolutiva della specie
l’organismo è attivo e si modifica attraverso gli scambi con l’ambiente
lo sviluppo consiste nella trasformazione di strutture che non sono innate, ma si costruiscono grazie all’attività
dell’individuo.
Confrontando l’adulto con il b. è importante constatare la compresenza sia di strutture variabili sia di funzioni
invarianti.
Lo sviluppo come adattamento: assimilazione e accomodamento
Come nell’evoluzione biologica, anche nello sviluppo mentale le strutture interne si modificano ogni volta che devono
far fronte a nuovi bisogni. Tali modificazioni sono il risultato dell’interazione fra due processi: assimilazione e
accomodamento.
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L’intelligenza è assimilazione in quanto incorpora nei propri schemi i dati dell’esperienza ma è al tempo stesso
accomodamento poiché gli schemi vengono modificati per adattarli ai nuovi dati. Se l’assimilazione tende alla
conservazione, l’accomodamento tende alla novità. L’adattamento dell’organismo all’ambiente è determinato quindi da
queste due funzioni complementari che garantiscono un equilibrio tra continuità e cambiamento. Questo equilibrio è
destinato a rompersi e a ricomporsi continuamente in forme più avanzate e l’intelligenza è la forma più avanzata.
Piaget pensa ad un processo di autoregolazione che porta il b. a “stare in equilibrio” in ogni momento del suo sviluppo.
Piaget ritiene che adattamento e equilibrio siano funzioni invarianti, cioè modalità di funzionamento generali.
Gli stadi di sviluppo
Lo sviluppo cognitivo è un processo continuo per via delle funzioni invarianti ma anche discontinuo poiché col crescere
dell’età si verificano delle modificazioni strutturali così rilevanti da contrassegnare veri e propri stadi di sviluppo.
Ciascuno stadio prevede una particolare forma di organizzazione psicologica, con proprie conoscenze e interpretazioni
della realtà. Il passaggio da uno stadio all’altro può essere graduale ma ogni stadio è qualitativamente diverso
dall’altro ed è internamente coerente (=presenta forme e regole proprie). Le acquisizioni di uno stadio non si perdono
con il passaggio allo stadio successivo, ma vengono integrate in strutture più evolute (integrazione gerarchica tra
stadi). La sequenza è la medesima in tutti gli individui, ciò che può variare è la velocità con cui vengono raggiunti i
diversi stadi.
Tra la nascita e l’adolescenza lo sviluppo cognitivo attraversa 4 stadi:
Sensomotorio
0 – 2 anni
I stadio (0 – 1 mese)
II stadio (1 – 4 mesi)
III stadio (4 – 8 mesi)
IV stadio (8 – 12 mesi)
V stadio (12 – 18 mesi)
Preoperatorio
VI stadio (18 – 24
mesi)
2 – 6 anni
Operatorio concreto
6 – 12 anni
Operatorio formale
Dai 12 anni
Comprende il mondo in base a ciò che può fare con gli oggetti e le
informazioni sensoriali. Un cubo è il gusto che ha, come lo si sente
al tatto e come lo si vede.
Esercizio dei riflessi.
Le reazioni circolari primarie e i primi adattamenti acquisiti.
Le reazioni circolari secondarie.
La coordinazione degli schemi secondari e la loro applicazione alle
situazioni nuove. Differenziazione tra mezzi e fini.
Le reazioni circolari terziarie e la scoperta di mezzi nuovi mediante
sperimentazione attiva.
L’invenzione di mezzi nuovi mediante combinazione mentale.
Si rappresenta mentalmente gli oggetti e comincia a comprendere la
loro classificazione in gruppi. Comincia a capire che esistono i punti
di vista altrui. Compaiono i primi giochi di fantasia e una logica
primitiva.
La capacità logica progredisce grazie allo sviluppo di nuove
operazioni mentali (addizione, sottrazione, inclusione…). Il b. è
ancora legato a esperienze specifiche ma è in grado di compiere
manipolazioni mentali e fisiche.
È in grado sia le idee che gli eventi o gli oggetti. Può immaginare
cose che non ha mai visto o che non sono ancora successe. È
capace di organizzare le informazioni in modo sistematico e
completo e pensare in termini ipotetico – deduttivi. Intelligenza
astratta, intelligenza del pensiero scientifico (applicato al
quotidiano).
CRITICHE ALLA TEORIA DI PIAGET
Diversi studiosi hanno argomentato che il disegno di molti compiti piagetiani rende difficile fornire risposte corrette.
Riformulando la consegna o le domande poste al b. durante il compito, oppure presentandogli delle situazioni più
realistiche tipiche della vita quotidiana, si ottengono risposte migliori e in generale le capacità di ragionamento del b.
risultano più avanzate rispetto a quelle valutate da Piaget. Es. nel compito delle “tre montagne” Piaget trova che i b.
non sono in grado di risolverlo fino agli 8 anni. È possibile, però, che le risposte egocentriche siano dovute al modo in
cui il compito viene presentato, piuttosto che all’incapacità di concepire diversi punti di vista. A questa conclusione
giunge Hughes utilizzando un nuovo compito sperimentale, che chiameremo “il ragazzo e il poliziotto”. Due pareti
disposte a croce su un tavolo creano 4 settori: A, B, C, D. 2 poliziotti cercano un ragazzo e si collocano di volta i volta
in posizioni diverse ma sempre in modo che ci sia sempre un settore che non possono vedere. Anche b. di età
prescolare indicano correttamente il settore in cui il ragazzo deve nascondersi per non farsi trovare, quindi sanno tener
conto del punto di vista dei 2 poliziotti. Ricerche come questa dimostrano che condizioni facilitanti possono anticipare
la prestazione corretta, ma non negano che l’egocentrismo e il ragionamento intuitivo siano caratteristici del periodo
preoperatiorio.
Altri ricercatori si sono occupati di comprendere il ruolo delle conoscenze specifiche del compito sull’esecuzione di
quello stesso compito. Un giocatore di scacchi esperto ricorda meglio le posizioni delle pedine nelle diverse mosse
rispetto ad un giocatore principiante. L’età in questo caso NON conta, l’esperto può essere un b. e il principiante
l’adulto.
Esistenza degli stadi (problema della compresenza di continuità e discontinuità). Se avesse ragione P., dovremmo
trovare che il b. dello stadio operatorio applica la stessa logica a una varietà di problemi, dovremmo cioè verificare una
coerenza di tipo orizzontale. Numerose ricerche, però, hanno dimostrato che il b. può trovarsi in una certa fase per
quanto riguarda un determinato compito e in un’altra per un compito diverso (anche se entrambi i compiti richiedono
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la stessa forma di logica). Fisher propone una serie di livelli di sviluppo che esprimono il livello ottimale, ovvero il
massimo rendimento che un b. è capace di raggiungere in presenza di condizioni facilitanti; ad esempio istruzioni
chiare, contenuti noti e alta motivazione.
In pratica, tutti riconoscono che lo sviluppo cognitivo procede secondo sequenze universali e che i b. acquisiscono i
concetti fondamentali con lo stesso ordine. P. aveva dunque ragione a parlare di sequenze di sviluppo, ma
probabilmente aveva torto nel riferirsi agli stadi come a strutture globali e coerenti.
Piaget sottovaluta il ruolo dell’esperienza sociale.
Doise e Mugny hanno condotto una serie di esperimenti sugli effetti dell’interazione sociale. Secondo loro, accanto al
conflitto intraindividuale ipotizzato da Piaget, agisce come fattore di sviluppo anche un conflitto interindividuale, che
possiamo chiamare conflitto sociocognitivo. Afinchè questo conflitto generi processi cognitivi, è necessario che il b.
venga esposto non a una soluzione più avanzata della propria, ma semplicemente ad una soluzione diversa con la
quale si può confrontare. Importante poi, è anche il livello iniziale di abilità individuale, solo i b. che hanno raggiunto
una certa comprensione dei principi implicati nella soluzione corretta del compito, possono beneficiare dell’interazione
con i coetanei. Importante è sottolineare che l’interazione sociale può facilitare lo sviluppo cognitivo individuale ma
non generare progressi cognitivi.
LO SVILUPPO MENTALE COME INTERIORIZZAZIONE DI FORME CULTURALI: VYGOTSKIJ
Vygotskij è considerato il fondatore della scuola storico – culturale e svolse le sue ricerche nell’Istituto di psicologia di
Mosca interessandosi a due temi principali:
lo sviluppo delle funzioni psichiche superiori nel b.
l’influenza delle variabili culturali sui processi cognitivi.
V. si occupò anche di ricerche psicopedagogiche sul ritardo mentale.
Egli ritiene che lo sviluppo storico – culturale abbia prodotto l’evoluzione dell’umanità attraverso i mediatori simbolici
(fra cui la lingua) che consentono agli individui di entrare in relazione fra loro all’interno della stessa cultura e fra
culture diverse. Lo sviluppo consiste nell’appropriarsi dei significati della cultura, può essere descritto come un
processo di interiorizzazione di attività che hanno favorito lo sviluppo della vita sociale e la mediazione tra le persone.
La principale di queste attività è il linguaggio. Nella prospettiva storico – culturale lo sviluppo del b. dipende in larga
misura dal contesto storico e socioculturale in cui vive e da come viene messo in grado di padroneggiare gli strumenti
della propria cultura. In questo senso V. è interessato più che a quello che il b. sa fare, a quello che il b. sarà in grado
di fare in seguito a nuove esperienze sociali e culturali. La zona di sviluppo prossimale (ZSP) definisce la distanza tra il
livello di sviluppo effettivo e il livello di sviluppo potenziale, consente cioè di valutare la differenza tra ciò che è in
grado di fare da solo e ciò che è in grado di fare con l’aiuto e il supporto di un individuo più competente. La nuova
abilità deve però essere comprensibile al b., benché egli non li sappia ancora padroneggiare autonomamente. Se il b.
dimostra di saper fare da solo quello che prima sapeva fare solo con la guida dell’adulto, ciò prova che l’abilità in
questione è stata interiorizzata.
Dibattito di V. e P. sui rapporti tra pensiero e linguaggio:
Piaget: nelle prime fasi dello sviluppo pensiero e linguaggio sono egocentrici, ovvero non adatti alla realtà e non
comunicabili agli altri.
Vygotskij: il b. è sin dall’inizio un protagonista attivo nelle relazioni sociali e il primo uso del linguaggio è di tipo
sociale. In seguito, il linguaggio inizia ad assolvere una funzione intrapsichica, che si trasformerà gradualemente nel
vero e proprio linguaggio interiore. Ma prima di diventare interiore il linguaggio attraversa una fase egocentrica
(parlare a se stessi). Nel corso dell’attività il b. commenta verbalmente le proprie azioni, in seguito questo linguaggio
diventa totalmente interiorizzato.
Nella sua evoluzione il linguaggio segue quindi una doppia strada: da un alto funziona come strumento di
comunicazione e di scambio sociale, dall’altro si interiorizza e diventa uno strumento del pensiero che anticipa, guida e
controlla il comportamento.
V. ritiene che lo sviluppo psicologico, nel suo insieme, possa essere descritto come un processo di interiorizzazione di
mediatori simbolici.
LO SVILUPPO COGNITIVO NELLA TEORIA DI BRUNER
Bruner sottolinea l’importanza di studiare i processi piuttosto che i prodotti della conoscenza, ovvero l’effettivo
svolgersi degli atti mentali. È importante, quindi, per comprendere l’organizzazione del comportamento, tener conto
degli scopi e delle intenzioni che lo governano e delle funzioni cui assolve.
Secondo B. nel processo di acquisizione del pensiero maturo il b. passa attraverso tre forme di rappresentazione:
Esecutiva
1 anno
Iconica
6 – 7 anni
Simbolica
7 anni…
La realtà è codificata attraverso l’azione. L’azione che compie il b. diventa la sua
rappresentazione interna dell’oggetto. Funziona anche dopo il primo anno di vita per tutte
quelle attività che impariamo facendo (imparare a nuotare, ad andare in bicicletta…)
La realtà è codificata attraverso immagini. L’immagine consente di evocare mentalmente una
realtà assente ma non di descriverla verbalmente.
La realtà è codificata attraverso il linguaggio e altri sistemi simbolici come i numeri e la
musica. Il linguaggio consente di ragionare in termini astratti. La rappresentazione iconica
induce il b. a formulare giudizi basati sull’apparenza percettiva.
Nello spiegare lo sviluppo B. riprende il punto di vista di V. sostenendo che la cultura forma la mente degli individui, è
intrinseca agli individui e non qualcosa che si sovrappone alla natura umana. In questa prospettiva l’adulto assume il
ruolo di impalcatura dello sviluppo (scaffolding).
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Kaye propone l’idea di apprendistato: b. che si introduce gradualmente alla propria cultura partecipando ad attività
congiunte all’adulto. Rapporto apprendista – maestro. Sulla scia di B. e riprendendo V. anche K colloca le relazioni
sociali del b. con gli adulti significativi alla radice dello sviluppo mentale nella prima infanzia.
La narrazione è lo strumento privilegiato della trasmissione culturale.
Bruner ritiene che il pensiero narrativo rappresenti una particolare modalità cognitiva di organizzare l’esperienza, un
modo per rappresentare gli eventi e trasformarli in oggetto di analisi e riflessione. È una forma di pensiero ben diversa
dal pensiero razionale, che ricerca la verità e costituisce leggi fisiche e matematiche.
LO SVILUPPO COGNITIVO SECONDO L’APPROCCIO DELL’ELABORZIONE DELL’INFORMAZIONE (HIP)
Non si tratta di una vera e propria teoria dello sviluppo ma piuttosto di un approccio allo studio del pensiero e della
memoria con i relativi metodi di indagine. Questo approccio vede la mente umana simile ad un computer, infatti essa
elabora e manipola le informazioni dall’ambiente e le conserva nella memoria codificandole. La prestazione in un
compito cognitivo consiste nell’eseguire un certo numero di operazioni, spesso indipendenti tra loro. L’analisi del
compito serve a individuare le operazioni che il soggetto deve compiere per eseguire un dato compito. In questo
processo di elaborazione vi sono delle limitazioni nel numero di unità di informazione a cui il soggetto può prestare
attenzione e che possono essere elaborate simultaneamente, inoltre le operazioni di codifica, confronto, recupero
dell’informazione dalla memoria richiedono tempo per essere eseguite e normalmente vengono eseguite in modo
seriale.
CONFRONTO TRA L’APPROCCIO PIAGETIANO E L’APPROCCIO HIP
APPROCCIO PIAGETIANO
APPROCCIO HIP
Enfasi sulla competenza
Enfasi sulla prestazione
Cambiamenti qualitativi
Cambiamenti quantitativi
Discontinuità (stadi)
Continuità
Processi “dominio – generali”
Processi “dominio – specifici”
Enfasi sul “che cosa” si sviluppa
Enfasi sul “come” si sviluppa
Le strategie di elaborazione dell’informazione (memorizzare): è interessante notare che all’inizio i b. o non usano
alcuna strategia oppure se ne servono solo quando qualcuno gliela insegna; in seguito la usano spontaneamente e
infine se ne servono in modo flessibile estendendola ad un numero sempre più ampio di situazioni.
Lo stesso sistema si nota nella risoluzione di problemi: bilancia di Siegler: la bilancia ha una serie di pioli su entrambi i
bracci, ai quali possono essere attaccati dei pesi. Si chiede al b. di prevedere da quale lato la bilancia si abbasserà a
seconda del numero e della collocazione dei pesi.
Emergono 4 regole:
Il b. tiene conto solo della dimensione del numero di pesi senza tener conto della loro posizione (più o meno vicina al
fulcro).
Se il numero di pesi è pari allora tiene conto anche della distanza dal fulcro.
Cerca di tener conto sia di distanza che di peso ma se le informazioni sono contraddittorie, tira a indovinare.
Il ragazzo coglie la regola esatta: distanza x il peso di ciascun braccio.
L’uso di una determinata regola dipende non solo dall’età del b. ma anche dalla sua esperienza nel risolvere certi
problemi, dalle opportunità che ha avuto di esercitarsi sul compito.
Metaconoscenza e metamemoria sono termini che si riferiscono alla consapevolezza circa i processi del pensiero e della
propria memoria rispettivamente.
In sintesi, in base alle ricerche di Siegler e di altri sulla soluzione di problemi e sugli studi sulla memoria, possiamo
concludere che alcuni dei cambiamenti descritti ed analizzati da P. sembrano il risultato di una maggiore esperienza
acquisita nell’eseguire i problemi e i compiti. Si tratta dunque di cambiamenti quantitativi. Rimane un cambiamento di
natura qualitativa quando consideriamo la crescente complessità, flessibilità e generalizzabilità delle strategie utilizzate
dal b.
LO SVILUPPO DELLA TEORIA DELLA MENTE
Gli studiosi della teoria della mente sono interessati ad indagare come il b. costruisce la propria conoscenza del mondo
psicologico, come arriva a comprendere se stesso e gli altri. Questa nuova tendenza attribuisce al b. una teoria della
mente, cioè una teoria di come funzionano gli esseri umani in quanto diversi dagli oggetti inanimati. Il punto di
partenza è: da un lato le emozioni fondamentali e gli stati fisiologici dall’altro le percezioni e le sensazioni. Le emozioni
e gli stati fisiologici generano i desideri, le esperienze percettive generano le credenze. Le azioni producono risultati e
questi attivano reazioni emotive congruenti. Vedi schema pag. 109
Secondo Wellman il desiderio è uno stato mentale più semplice della credenza.
Lui vuole una mela
Lui pensa che questa sia una mela
I b.di 2 anni possiedono una psicologia del desiderio che interpreta le azioni sulla base dei desideri e spiega le
reazioni emotive congruentemente al fatto che i desideri siano stati o meno soddisfatti.
Verso i 3 anni i b. padroneggiano una psicologia della credenza – desiderio, grazie alla quale sono in grado di
prevedere che le azioni di una persona saranno guidate non solo dai suoi desideri ma anche dalle sue credenze, e
anche che queste credenze possono essere sia vere che false. Compito della falsa credenza di Sally e Anna. (Wimmer
e Perner).
I precursori della teoria della mente:
Gioco simbolico (far finta di…)
Intenzione comunicativa dichiarativa (compare alla fine del primo anno e consiste nel richiamare l’attenzione
dell’adulto su un oggetto solo per condividere con lui l’interesse per quell’oggetto)
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Secondo alcuni studiosi il fenomeno della teoria della mente dipende da meccanismi di sviluppo cognitivo che sono
altamente specializzati e modulari; questi moduli si attualizzano in determinati momenti dello sviluppo a seguito della
maturazione del sistema nervoso.
Altri studiosi hanno un approccio costruttivista che punta sul ruolo della costruzione sociale piuttosto che sulle basi
biologiche. La comprensione della mente si costruisce a partire dall’attività del b. e dalla sua esperienza del mondo
sociale.
LA VALUTAZIONE DELL’INTELLIGENZA
Interesse per le differenze individuali. Come e perché sono nati i test d’intelligenza?
Nascono tra la fine dell’’800 e i primi del ‘900 in relazione ai progressi della scolarizzazione che caratterizza le società
occidentali avanzate.
Nel 1904 il ministero della Pubblica istruzione francese istituì una commissione con il compito di studiare il problema
dell’educazione speciale. La commissione allora era presieduta da Binet, il quale ideò il primo test d’intelligenza che gli
alunni delle scuole elementari avrebbero dovuto eseguire proprio per identificare gli alunni che avrebbero dovuto
beneficiare di un’educazione speciale. La scala Binet nacque nel 1905, essa distingueva tra intelligenza normale e
ritardo e differenziava inoltre tre gradi di ritardo mentale. Questa scala chiamata scala Binet – Simon e le successive
revisioni consentono di misurare il Quoziente d’Intelligenza (Q.I) di b. in età scolare. Il Q.I. è il rapporto tra l’età
cronologica del b. e la sua età mentale. Questo sistema non è più usato ed è stato sostituito dal confronto tra la
prestazione del b. e quella di un ampio gruppo di b. della stessa età. I test d’intelligenza oggi maggiormente usati sono
la versione aggiornata della scala Stanford – Binet e la Wechsler Intelligence Scale for Children (WISC – R), che
comprende 10 sottoscale divise in due gruppi: uno valuta le capacità verbali e l’altro, detto di adattamento
(performance), valuta le capacità percettive e la logica non verbale.
Critiche ai test d’intelligenza
Riguarda la concezione di intelligenza su cui si basano: capacità unitaria e stabile, potenziale finito con cui l’individuo
nasce e che rimane stabile nel corso del suo sviluppo. Le ricerche hanno dimostrato il contrario.
Riguarda il fatto che essi possono essere usati per discriminare, ed eventualmente, emarginare, i b. meno dotati o
quelli che appartengono a culture minoritarie.
Gardner propone l’esistenza di sei tipi distinti di intelligenza (linguistica, musicale, logico – matematica, spaziale,
corporeo – cinestesica), due soltanto dei quali sono misurabili con i tradizionali test.
Sternberg propone una teoria triarchica secondo la quale esistono tre aspetti dell’intelligenza:
Intelligenza componenziale: ciò che si misura con i test (pensiero analitico)
Intelligenza esperienziale: intuitiva e originale
Intelligenza contestuale: scaltrezza. Implica la capacità di comprendere e sfruttare le situazioni a proprio vantaggio.
Rende possibile un buon adattamento sociale.
Negli anni ’30 ci aspettava che questi test avessero una validità predittiva: i punteggi ottenuti dal b. dovevano predire
il suo Q.I da adulto. Quest’aspettativa fu smentita. Si idearono altri test in seguito ma senza risultati dal punto di vista
predittivo. I fallimenti sono dovuti alla nozione di intelligenza che va invece considerata come: un insieme di capacità
che cambiano qualitativamente nel corso dello sviluppo. Ad ogni stadio evolutivo l’intelligenza consiste in una serie di
capacità che sono specifiche di quella fase. Di conseguenza, i comportamenti che misurano l’intelligenza in un dato
stadio o età possono essere molto diversi dai comportamenti adatti a misurarla in uno stadio successivo.
Partendo da queste considerazioni si è affermato un nuovo approccio detto ordinale alternativo all’approccio
psicometrico precedente. Mentre i test tradizionali vedono lo sviluppo come accrescimento, le scale ordinali
concepiscono lo sviluppo come trasformazione di capacità verso livelli progressivamente più alti. Le acquisizioni del
livello più alto sono derivate da quelle del livello precedente. Per quanto riguarda le cause dello sviluppo, i test
tradizionali adottano la posizione secondo cui esso è il prodotto di una programmazione genetica oppure la posizione
secondo cui l’ambiente modella il comportamento. Per l’approccio ordinale, la causa del cambiamento non risiede né
nell’organismo né nelle condizioni ambientali presi separatamente ma da un’interazione dei due.
Vedi esperimenti pag. 115 – 116.
LO SVILUPPO DEL LINGUAGGIO E DELLA COMUNICAZIONE (5)
CHE COS’È IL LINGUAGGIO?
Di norma si impara a parlare nei primi 3 anni di vita. Non si può parlare di linguaggio senza inserirlo in una più ampia
capacità comunicativa pur possedendo una propria specificità caratterizzata da: creatività (capacità di legare unità
base di una lingua per creare infinite varietà di messaggi) e arbitrarietà (il significato di questi legami è arbitrario,
trasmesso culturalmente e differente da cultura a cultura).
LE PIÙ IMPORTANTI TEORIE SULL’ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO
La spiegazione innatista
Anni ’60. Chomsky. Dispositivo innato per l’acquisizione del linguaggio (LAD). Programma biologico per imparare a
parlare che corrisponde ad una grammatica universale (GU) la quale contiene la descrizione degli aspetti strutturali
condivisi da tutte le lingue naturali. Secondo C. il linguaggio è un insieme di regole che il b. deve scoprire partendo
dalle più semplici a quelle più specifiche. Secondo C. inoltre, l’apprendimento per imitazione e l’insegnamento da parte
degli adulti non hanno alcun ruolo nello sviluppo linguistico poiché: il b. è creativo nell’usare il linguaggio, è cioè
capace di produrre e capire espressioni nuove mai ascoltate in precedenza. Il linguaggio che il b. produce è più ricco di
quello a cui è stato esposto, dal momento che gli adulti spesso esprimono frasi incomplete e/o scorrette. Il linguaggio
infantile viene quindi visto non più come una rozza imitazione di quello adulto, ma come un processo attivo, creativo e
guidato da regole. La competenza precede l’esecuzione, il b. cioè, possiede le regole prima di saperle usare.
La spiegazione interazionista
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Anni ’70. Il linguaggio non è indipendente dalle capacità cognitive e sociali dell’individuo. Si ritiene però che la sintassi
e la semantica del linguaggio possano derivare da categorie più generali della conoscenza. L’ipotesi cognitiva di Piaget
inserisce lo sviluppo del linguaggio all’interno dello sviluppo cognitivo del b. lo sviluppo cognitivo precede la comparsa
del linguaggio ed è autonomo rispetto ad esso, mentre il linguaggio dipende e deriva dallo sviluppo cognitivo. Piaget vs
Chomsky perché sostiene che l’esecuzione precede la competenza. Il b. impara facendo, solo in un secondo tempo
capisce quello che fa.
Sviluppo del linguaggio e contesto sociale
Saper parlare significa non solo usare il linguaggio in modo grammaticalmente corretto, ma anche contestualmente
appropriato. Gli approcci funzionalistici sostituiscono la nozione di competnza linguistica di Chomsky con quella di
competenza comunicativa per far capire che il b. è in grado di comunicare anche senza saper ancora parlare. Analisi di
tipo funzionale o pragmatico derivante da Austin o Searle i quali parlavano di “atti linguistici” differenziando il
contenuto proposizionale (significato locutivo) dall’intenzione con cui il parlante produce quella frase (significato
illocutivo) mostrando che essi possono non coincidere. Questo approccio porta a diverse conseguenze: si scopre che il
linguaggio rivolto ai b. dagli adulti è molto importante e adatto ad aiutarli ad assimilare la lingua materna (vs C.)
Bruner, parla di formati di “attenzione condivisa” e di “azione condivisa”, come di giochi o routines che madre e b.
producono ripetutamente nell’interazione quotidiana. Il b. impara a dare un intenzione alle proprie azioni e a
comprendere quelle della madre. La sua enfasi sulla natura sociale del linguaggio si ispira alla teoria di Vygotskij. B.
ritiene insieme ad altri che le due teorie precedenti alla spiegazione interazionista sull’acquisizione del linguaggio sono
una impossibile (quella di Skinner) e l’altra miracolistica (quella di Chomsky). È necessario perciò formilare una terza
teoria che considera non solo un LAD (dispositivo innato per l’acquisizione del linguaggio) ma anche un LASS (sistema
di supporto per l’acquisizione del linguaggio) che corrisponde al ruolo svolto dall’adulto e dal contesto sociale nel
consentire l’ingresso del b. nel mondo del linguaggio e della cultura.
LA FASE PRELINGUISTICA
I primi suoni
I primi suoni che il b. produce sono di natura vegetativa (sbadigli, ruttini…) o compaiono legati al pianto. Wolff, parla
di tre tipi di pianto: dolore, fame, irritazione (verso la 3° sett. Di vita).
Tra i 2 e i 6 mesi: prime vocalizzazioni, si osservano delle “protoconversazioni”, i suoni del b. si inseriscono nei
discorsi degli adulti come se il b. rispondesse all’adulto.
Verso i 6 – 7 mesi: compare la lallazione canonica (da da da…la la la…). Compaiono alcune caratteristiche della
lingua materna e si riduce l’iniziale ampiezza fonetica (la capacità di produrre tutti i contrasti fonetici possibili),
limitandosi a quella della propria lingua.
Verso i 10 – 12 mesi: compare la lallazione variata, sequenze sillabiche complesse (dadu, lalu…). Compaiono anche i
primi suoni simili a parole (proto – parole) che pian piano assumono un significato contestuale con l’utilizzo ripetuto in
determinati contesti.
I b. differiscono tra loro non solo nei suoni che preferiscono produrre (preferenze fonetiche) ma anche nella stabilità di
queste preferenze e nell’organizzazione del proprio sistema fonologico.
Gesti comunicativi
Tra i 9 e i 12 mesi il b. comincia ad utilizzare gesti come indicare, mostrare, offrire, dare e richieste ritualizzate che
vengono chiamati performativi o deittici. Di solito vengono prodotti a distanza (distali) e spesso sono accompagnati
dallo sguardo (verso l’oggetto e verso il destinatario). Bates ha osservato b. tra i 9 e i 13 mesi italiani e americani e ha
evidenziato le seguenti 3 caratteristiche dei gesti comunicativi:
sono usati con un’intenzione comunicativa
sono convenzionali
si riferiscono ad un oggetto o evento esterno
i gesti deittici sono usati sia per chiedere l’intervento dell’adulto (richiesta) sia per attirarne l’attenzione e ondividere
con lui l’interesse per un evento esterno.
A partire dagli 11 – 12 mesi compaiono i gesti referenziali o rappresentativi. Questi oltre ad avere un’intenzione
comunicativa hanno anche un referente specifico, il loro significato cioè, non varia sulla base del contesto. Questi gesti
nascono all’interno di giochi o routines sociali con l’adulto (es. scuotere la testa per dire no, aprire e chiudere la mano
per salutare ecc…) e vengono appresi per imitazione. Successivamente questi gesti vengono usati anche fuori dal
contesto scatenante (se prima il b. ballava solo con una certa canzone, poi balla per chiedere alla madre di mettere
quella canzone). Contemporaneamente compaiono le prime parole anch’esse inizialmente strettamente legate ai
contesti. In uno studio su 23 b. Volterra ha individuato il seguente profilo evolutivo: a 12 mesi la modalità prevalente è
quella gestuale, intorno ai 16 mesi aumenta la produzione vocale così che il numero di gesti e parole prodotte è lo
stesso. Dopo il numero di gesti decresce notevolmente e la modalità vocale prevale su quella gestuale, ciò dipende
anche dal fatto che l’ambiente offre al b. più modelli vocali che gestuali.
LE PRIME PAROLE
Compaiono in generale verso gli 11 e i 13 mesi e stanno a indicare persone, oggetti e azioni familiari. Gli oggetti
soprattutto piccoli (manipolabili) e in movimento (veicoli). L’uso iniziale delle prime parole non è referenziale ma lo
diventa in seguito quando la parola non è più legata all’evento specifico ma a diverse situazioni. La comprensione
precede la produzione linguistica, nel senso che il b. è in grado di produrre parole spontaneamente solo quando ne
avrà capito il significato. In ogni caso la comprensione è sempre maggiore della produzione.
L’esplosione del vocabolario
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Si possono distinguere due fasi dello sviluppo lessicale nel secondo anno di vita: 12 – 16 mesi (circa 50 parole rferite a
oggetti, persone, animali) e 17 – 24 mesi (può assumere la forma di un’esplosione di vocabolario, da 5 a 40 parole alla
settimana, aggettivi, proposizioni, articoli…che permettono il passaggio dalla referenza alla predicazione, ossia dalla
fase delle parole singole a quella della combinazione di parole). Importante sottolineare che questa esplosione di
vocabolario non è comune a tutti i b. e non ha le stesse caratteristiche e gli stessi tempi per tutti.
L’evoluzione del significato delle parole
In generale tutti gli studiosi sono d’accordo nel dir che il b. associa al significato di una parola aspetti della realtà
diversi da quelli che vi associa l’adulto. Il b. inizialmente fa alcuni errori comuni quali: sovraestensione (cane =
qualsiasi animale a 4 zampe), sottoestensione (il b. chiama bambola solo la sua bambola preferita) e sovrapposizion
(aprire = aprire la porta ma anche sbottonarsi la giacca o accendere la luce). All’inizio sono più frequenti le
sovraestensioni, successivamente le sottoestensioni. Secondo alcuni studiosi, il b. costruisce il significato delle parole
sulla base delle somiglianze percettive tra gli oggetti, secondo altri il b. guarda le somiglianze funzionali (Nelson,
nucleo funzionale, all’inizio il b. riconosce gli oggetti a seconda della loro funzione e poi per le sue caratteristiche
percettive). Per es. un b. definisce una palla prima come qualcosa che rotola poi come qualcosa di sferico.
Barrett: alcune parole nascono strettamente contestualizzate, altre no e vengono prodotte in una varietà di contesti.
Di solito i b. imparano nomi che si situano ad un livello – base di generalità prima e soltanto in seguito imparano
nomi più specifici (categorie subordinate) o nomi più generali e astratti (categorie sovraordinate). Questo è in
parte dovuto anche al fatto che gli adulti tendono a cercare di semplificare la comunicazione con i b. per es.
chiamando fiori tutti i tipi di fiori o gatto tutte le razze di gatti e anche i ghepardi e gli altri felini…
Il sistema semantico del b. non è ancora convenzionale e si avvicina sempre più a quello adulto (convenzionale) solo
con il tempo.
LO SVILUPPO DELLA GRAMMATICA
Si individuano due componenti:
morfologia: acquisizione di suffissi e prefissi che servono a formare il plurale/singolare delle parole, il
maschile/femminile…oppure a coniugare i verbi a derivare un nome da un altro ecc…
sintassi: capacità di costruire combinazioni di parole che rispettino le regole della propria lingua materna.
Lo sviluppo della grammatica inizia precocemente (fine del 2° anno di vita) ma alcuni aspetti vengono padroneggiati
completamente soltanto a 9 – 10 anni.
Dalle prime fasi al linguaggio complesso
La comparsa delle prime combinazioni è correlata più all’ampiezza del vocabolario che all’età cronologica del b., infatti i
b. cominciano a combinare due o tre parole quando l’ampiezza del vocabolario supera le 50 parole.
Quali regole caratterizzano il primo linguaggio infantile?
Secondo gli studiosi che si ispirano a Chomsky le regole sono universali, valide per tutte le lingue, non vengono
apprese dall’ambiente ma derivano dalla conoscenza innata del linguaggio. Una prova sarebbero quelli che chiamiamo
ipercorrettismi (romputo, leggiuto...).
All’inizio degli anni ’60 alcuni autori hanno cercato di individuare le regolarità nelle prime fasi dei b. raggruppando in
classi le parole che compaiono nei medesimi contesti. due classi:
la classe perno: comprende un piccolo numero di parole che ricorrono frequentemente e sempre in posizione iniziale
nella frase
la classe aperta: appartengono tutte le altre parole del vocabolario, che sono più numerose ma ricorrono meno
frequentemente e non hanno una posizione fissa.
Ipotesi criticata: scarse conferme di questa presenza di classi nelle lingue diverse dall’inglese. Inoltre tali grammatiche
descrivono la struttura sintattica ma trascurano la dimensione semantica, ovvero il significato che i b. cercano di
esprimere con le loro frasi. Antinucci e Parisi hanno individuato due stadi di sviluppo sintattico dei b. che imparano
l’italiano:
I b. producono espressioni di due o più parole costruite tutte allo stesso modo. Esse contengono la struttura nucleare
della frase, cioè un predicato verbale con i suoi argomenti e l’intenzione con cui si pronuncia la frase.
La struttura nucleare minima si amplia così da includere strutture facoltative.
I b. di livello socioeconomico più elevato non differiscono da quelli di livello basso nel numero e nella lunghezza di frasi
semplici ma producono un numero assai più elevato di frasi subordinate e complesse.
Per valutare la progressiva crescita della complessità morfosintattica nelle produzioni infantili si utilizza la lunghezza
media dell’enunciato (LME). Roger Brown ha introdotto la LME partendo dal presupposto che la complessità di una
struttura linguistica possa essere valutata in base al numero degli elementi che la compongono. In età superiori ai 3
anni di vita risulta inadeguata per analizzare lo sviluppo linguistico.
Lo sviluppo morfosintattico
Nella lingua italiana per comprendere una frase ci si affida prima di tutto all’accordo tra soggetto e verbo, nel caso in
cui questo non sia sufficiente si guarda il significato per interpretare la frase, se ancora questo non fosse possibile si
guarda l’ordine delle parole nella frase.
La morfologia verbale: entro i 3 anni i b. italiani sanno utilizzare l’accordo soggetto – verbo. Le forme plurali
compaiono dopo. Per quanto riguarda la comprensione del linguaggio i b. guardano all’accordo tra soggetto e verbo
solo verso i 7 anni e si uniformano completamente alla strategia degli adulti solo a 9 anni. I b. più piccoli utilizzano
l’informazione relativa al significato e solo tra i 5 e i 7 anni scoprono l’importanza dell’ordine delle parole nella frase.
La morfologia nominale: le forme del genere e del numero sono padroneggiate intorno ai 3 anni di età mentre il
sistema degli articoli risulta ancora incompleto.
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La morfologia pronominale: imparano intorno ai 3 – 4 anni ad utilizzare in modo efficace i pronomi personali negli
scambi dialogici (in particolare quindi io/tu me/te), più tardiva è la comparsa degli altri pronomi.
La completa acquisizione della morfosintassi della lingua italiana è un processo lento e graduale. Alcuni autori
ritengono che tra i 4 e i 6 si verifichi una riorganizzazione del sistema linguistico con il passaggio da una grammatica
intrafrasale ad una interfrasale. Dalla frase al discorso. Passaggio facilitato dalla scuola.
LE DIFFERENZE INDIVIDUALI NELLO SVILUPPO DEL LINGUAGGIO
Differenze nel ritmo
In generale i b. imparano a parlare tutti seguendo un certo percorso fatto di “pietre miliari”. Tuttavia ciascun b. impara
con un ritmo diverso.
TAPPE
Lallazione canonica
Prima comprensione di parole
Gesti deittici
Gesti referenziali
Produzione delle prime parole
Vocabolario di 50 parole
Prime combinazioni di parole
Esplosione della grammatica comparsa delle prime frasi
Progressiva efficienza sul piano lessiale, morfologico, sintattico.
ETÀ (MESI)
7–9
8 – 10
9 – 12
12 – 15
12 – 15
18 – 20
20 – 24
24 – 30
24 – 36
Differenze nello stile
Katherine Nelson ha analizzato le prime 50 parole prodotte da b. americani e ha trovato che le proporzioni di nomi
(vale a dire quanti sostantivi, verbi, pronomi…) nel vocabolario variava notevolmente. L’autrice ha caratterizzato due
stili di acquisizione: referenziale e espressivo. Ha trovato che i b. referenziali avevano uno sviluppo lessicale più
rapido mentre i b. espressivi acquisivano le prime 10 frasi più rapidamente, erano cioè più veloci nello sviluppo
sintattico. Altri autori hanno accettato questa suddivisione che non è dicotomica ma continua pur chiamando i due stili
in modi differenti (nominale – pronominale, analitico – olistico, in particolare quest’ultimo vede l’acquisizione del
linguaggio sia come segmentazione dello stesso nelle sue unità minime, parole, sia come riproduzione di unità
linguistiche più ampie, frasi). Alcune variabili sociodemografiche risultano associate alle differenze di stili. I b. che
adottano uno stile referenziale tendono ad essere primogeniti e di sesso femminile e appartenenti a famiglie di livello
socioeconomico alto. Questo porta a ritenere che ala base dei diversi stili vi siano fattori sia individuali che contestuali.
Vedi tab. pag. 139 per differenze nei diversi stili.
GLI USI DEL LINGUAGGIO
Saper parlare implica anche saper parlare nel momento giusto (in modo contestualizzato). Si parla perciò di
competenza pragmatica che include due aspetti: la capacità di conversare e la capacità di tenere conto del punto di
vista dell’interlocutore.
Imparare a conversare
Il b. è precocemente in grado di conversare utilizzando il grado giusto di intonazione e un limitato numero di frasi
fatte. Questo anche grazie alle madri che nel conversare con i propri b. tendono più a fare richieste implicite piuttosto
che a dare ordini espliciti. Già a 4 anni di età i b. sanno adattare il proprio stile conversazionale in funzione
dell’interlocutore, a seconda che si tratti di un adulto, un coetaneo o un b. più piccolo. Con un b. più piccolo tendono a
dare ordini, con gli adulti mitigano le loro richieste mentre con i coetanei usano forme più cortesi di richiesta. Nei b. di
3 anni è ancora assente la capacità di conversare su temi lontani dall’attività in corso, mentre i b. di 5 anni cominciano
a dialogare facendo riferimento a eventi passati o a progetti futuri.
Imparare a comunicare efficacemente
Secondo Piaget, i b. fino a 7 non sono in grado di comprendere il punto di vista del proprio interlocutore (si parla
quindi di linguaggio egocentrico), questo per via dell’intelligenza egocentrica dell’età prescolare. Come già mostrato in
altri casi sempre a proposito della teoria di Piaget, attraverso un compito semplice la difficoltà di comprensione del
punto di vista altrui e della distinzione fra la propria conoscenza e quella altrui è superata. Per es. si è dimostrato che
se si chiede a b. di 3 o 5 anni di spiegare ad un adulto che bisognava mettere i giocattoli in una macchina essi
sapevano spiegare in modo chiaro il da farsi e se l’adulto si copriva gli occhi in modo da non vedere i giocattoli il b.
spiegava più nei dettagli. Ciò significa che sapevano comprendere che l’adulto non vedendo i giocattoli che lui invece
vedeva non poteva sapere di cosa lui stesse parlando se non glielo spiegava. Se il compito è più complesso lo scambio
comunicativo può fallire. Esso può fallire anche perché spesso il parlante non è in grado di dare messaggi utili
all’ascoltatore per farsi capire (esp. In cui si chiede a un b. di descrivere verbalmente a un altro della sua età che non
vede, figure insolite). L’ambiguità non è sempre percepita e anche quando viene percepita non si riesce a risolverla
poiché i b. solitamente non sono abituati a sforzarsi di essere chiari in famiglia. Solitamente i familiari tendono a
colmare le lacune del b. senza fargli notare di non essere stato chiaro. Quando l’ascoltatore fa capire chiaramente di
non aver ricevuto un messaggio chiaro, i b. di 6 –7 anni sono in grado di risolvere l’ambiguità.
A 9 anni comunque troviamo che i b. sono perfettamente in grado di descrivere senza ambiguità o incertezze figure
familiari con una variazione limitata di attributi (ad es. forma e colore nella fig. degli alberi di natale pag. 146).
LA CONSAPEVOLEZZA METALINGUISTICA
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Solitamente quando parliamo siamo attenti a ciò che trasmettiamo e quando ascoltiamo siamo attenti a ciò che gli altri
ci trasmettono. Questo significa che le forme del linguaggio sono trasparenti perché ci fanno guardare al di là di esse
(al loro significato). Esse però possono diventare opache quando trattiamo il linguaggio come un oggetto d’analisi.
Come il b. acquisisce la competenza metalinguistica ossia la capacità di rendere opaco il linguaggio? Una studiosa
statunitense Ruth Weir, ha videoregistrato i soliloqui del figlio di due anni mentre gioca da solo in una stanza e ha
notato che egli è in grado di utilizzare il linguaggio anche in assenza di stimoli comunicativi. Egli si concentra più sulla
forma che sul contenuto fa giochi linguistici. Un b. in età prescolare mentre sa concentrarsi solo sulla forma non è in
grado di concentrarsi facilmente sia su forma che su contenuto. In generale fino ai 5 – 6 anni i b. tendono a
privilegiare ciò che si vuol dire rispetto a ciò che si dice veramente perciò non guardano il significato letterale della
frase ma quello intenzionale. Il metalinguaggio: fa parte di esso tutta quella serie di parole che si riferiscono a cose
come pensare, credere, riflettere, immaginare, ma anche pregare, promettere, maledire…si ritiene che
l’alfabetizzazione faciliti la padronanza di un metalinguaggio più elaborato in quanto a scuola altrimenti i b. non
saprebbero rispondere a certe domande come : cosa vuol dire questo? Perché dici questo? ecc…
L’apprendimento della lingua scritta
In generale la conoscenza che un b. ha del linguaggio influenza in modo significativo l’apprendimento della lettura.
Secondo Emilia Ferreiro e Ana Teberosky imparare a leggere e scrivere è un processo conoscitivo, in cui il b. fa delle
ipotesi che vengono vagliate ed eventualmente abbandonate quando entrano in conflitto con i dati dell’esperienza,
finchè acquisisce le regole del sistema convenzionale adulto. 4 sono le fasi della letto – scrittura in età prescolare e
precisamente:
fase presillabica: il b. non differenzia la scrittura dal disegno perché hanno entrambi un significato. Perciò per esempio
ritiene che treno vada scritto più grande di automobile.
fase sillabica: poi comprende che la scrittura non si riferisce direttamente all’oggetto ma al nome dello stesso e inizia a
scrivere delle sillabe. (scrive come parla).
fase sillabico – alfabetica: nel passaggio dalla scrittura sillabica a quella alfabetica la difficoltà sta nel fatto che mentre
la sillaba corrisponde ad un segmento acusticamente riconoscibile la lettera no.
fase alfabetica.
LO SVILUPPO SOCIALE (6)
L’AMBITO DI STUDIO
Il termine sviluppo sociale ha sostituito quello di socializzazione. Fino agli anni ’60 lo studio dei processi di
socializzazione era concepito o in chiave d’acculturazione o d’acquisizione del controllo degli impulsi e d’addestramento
al ruolo o sul ruolo di modellamento svolto dall’adulto. La sostituzione rende chiaro che il neonato è un essere sociale
fin da subito e diventa sempre più consapevole e competente grazie a processi bidirezionali di interazione.
COMPRENSIONE DI SÉ E DEGLI ALTRI
Man mano che il b. comincia a comprendere gli altri, inizia anche a comprendere se stesso e utilizza
contemporaneamente la conoscenza che ha di sé per comprendere nuovamente gli altri. È importante lo sviluppo della
comprensione della distinzione tra sé e gli altri perché è da qui che inizia a svilupparsi la coscienza di possedere
un’identità separata, che può essere pensata non solo come interna ma anche come esterna, può essere oggettivata.
Dal processo di oggettivazione del Sé deriva l'autoconsapevolezza e la conoscenza sociale.
La coscienza di sé
La consapevolezza emotiva e cognitiva di sé e degli altri nascono nelle interazioni e nelle relazioni affettive, si tratta di
concetti dinamici che evolvono nel tempo.
Lewis riprende la classica distinzione effettuata da James tra ME e IO, parlando di Sé esistenziale (componente
implicita del sé che organizza l’esperienza; ipotizza che si sviluppi nel corso del primo anno di vita, quando il b. inizia a
distinguere Sé dagli altri) e di Sé categorico (componente esplicita del Sé che deriva dall’autoconsapevolezza;
ipotizza che si sviluppi intorno ai due anni con l’autoriconoscimento e con la capacità di utilizzare alcune categorie
esteriori semplici quali sesso, età, aspetto fisico…per descriversi).
Neisser successivamente, distingue tra consapevolezza primaria (fisica e interpersonale; di fonda su una percezione
immediata che deriva dalle informazioni sensoriali e dalla comunicazione verbale e non soprattutto nelle relazioni
diadiche. Coincide con il Sé esistenziale) e consapevolezza secondaria (richiede capacità riflessive e
rappresentative; si basa appunto su queste capacità e coincide con il Sé categorico di Lewis).
Autoconsapevolezza e riconoscimento allo specchio: quando avviene il passaggio da Se esistenziale a Sé categorico
che rende coscienti della propria identità come separata da quella altrui? Non si può escludere che il b. inizi ad essere
consapevole nella fase preverbale ma di sicuro si può ritenere che egli abbia acquisito questa capacità di distinzione
quando inizia ad usare termini quali io, tu, noi, il proprio nome o quello altrui. Un altro segnale è il riconoscimento
della propria immagine allo specchio, il b. deve capire che l’immagine allo specchio non è un estraneo ma
l’oggettivazione di se stesso. Il b. fino si 4 – 5 mesi è attratto fortemente dall’immagine della madre riflessa allo
specchio ma non dalla propria, nei mesi successivi comincia a capire che esiste un rapporto tra sé e ciò che vedono
riflesso. La capacità di riconoscersi sarà raggiunta tra i 12 e i 18 mesi.
Lewis e Brooks – Gunn hanno usato un paradigma di ricerca per verificare il momento dell’autoriconoscimento. Esso
consisteva nell’applicare al b. (a sua insaputa) una macchia rossa sul suo naso. Poi lo facevano specchiare: se egli
cercava di togliersi la macchia dal proprio naso era segno che non solo aveva capito che l’immagine allo specchio era
la sua oggettivazione ma anche che quell’immagine violava l’immagine mentale che egli si era costruito del proprio
viso.
La coscienza degli altri
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Una volta raggiunta la consapevolezza di sé come facciamo a dire che il b. è in grado di riconoscere anche gli altri
come dotati di una propria soggettività diversa dalla sua? Un criterio utile può essere la familiarità, ossia il
riconoscimento dell’estraneo come diverso da sé e dai familiari. Alla nascita il b. non nota l’estraneo, verso i 3 mesi lo
osserva attentamente e verso i 6 – 8 mesi comincia ad averne timore (questa paura è interpretata dalla teoria
dell’attaccamento come riconoscimento di un segnale di pericolo che attiva quindi la vicinanza alla madre, favorendo
quindi l’attaccamento). Le reazioni agli estranei non sono sempre uguali come aveva ipotizzato Bowlby, molto dipende
dalle caratteristiche dell’estraneo. Come spiegare questa varietà di reazioni? L’ipotesi di Lewis e Brooks presuppone
una connessione tra sviluppo del Sé e reazione all’estraneo, basata sulla convinzione che i b. utilizzino gli schemi di
conoscenza relativi al Sé per comprendere gli altri. Posti di fronte a tre stimoli estranei quali un b., un adulto e un
nano, i b reagivano affettuosamente e con interesse nei confronti del b. estraneo, con disagio nei confronti dell’adulto
e con risposte non chiaramente definite nei confronti del nano. L’ipotesi è che nel valutare l’estraneo il b. applichi una
distinzione del tipo “simile a me”, “non simile a me”. Ma la conoscenza dell’altro non si basa solo su aspetti esteriori,
essa richiede, come per la conoscenza di sé, un’attività di riflessione e valutazione dei pensieri, delle emozioni, del
punto di vista altrui.
Il b. deve percepire la stabilità degli oggetti e delle persone nel tempo e nello spazio, in modo che possa cercarli anche
quando non sono presenti. Questa conquista testimonia l’esistenza di rappresentazioni mentali in base alle quali il b.
conosce gli oggetti e le persone indipendentemente dall’esperienza sensoriale diretta. Questa capacità si sviluppa
durante la fase sensomotoria di Piaget, intorno ai 12 mesi, e si compie intorno ai 18 mesi.
Il b. deve saper riconoscere le emozioni e comprenderle. Intorno ai 18 mesi la comparsa delle emozioni sociali
costituisce un preciso indicatore della coscienza di sé. La colpa, la vergogna, l’imbarazzo, sono espressioni emotive
complesse che richiedono capacità cognitive di valutazione di sé e degli altri e delle aspettative sociali.
Grazie allo sviluppo cognitivo ed emotivo, la rappresentazione mentale degli altri diventa sempre più ampia fino a
contenere anche il punto di vista attraverso cui gli altri vedono e sentono la realtà. Piaget ha attribuito ai bambini fino
ai 5 – 6 anni una comprensione del mondo sociale egocentrica, ossia caratterizzata dall’incapacità di comprendere il
punto di vista altrui.
Gli studi sulla teoria della mente dicono che la rappresentazione dello stato emotivo e mentale altrui è una prerogativa
che appare più precocemente di quanto P. aveva ipotizzato. Lo sviluppo del linguaggio affina le competenze sociali.
Evoluzione del concetto di sé e degli altri
Le elaborazioni sul Sé e sugli altri non sono statiche, ma dinamiche e ci permettono di dare un senso personale alle
percezioni e alle immagini degli oggetti e delle persone.
Dopo la prima infanzia il senso dell’identità personale e il rapporto con gli adulti e i coetanei è caratterizzato
dall’acquisizione dello spirito d’iniziativa, industriosità e superamento del senso di inferiorità. Il b. tende a svolgere
attività autonome, prende gusto alla competizione, desidera imparare e mostrare la propria competenza, teme il
giudizio degli altri ed è impegnato a superare sensi di colpa e di inferiorità. Si identifica con gli adulti.
Gioco: spesso assumono il ruolo di un altro (finzione collettiva), così imparano a comprendere i diversi ruoli. Verso i 7
– 8 anni compare il gioco sociale, il gioco con regole che indica come si vada sviluppando anche l’attenzione alle norme
e al loro significato interpersonale.
Secondo la teoria dell’attaccamento, nell’infanzia la percezione del mondo è filtrata dall’immagine mentale di Sé e degli
altri che ci siamo creati nei modelli operativi interni. Questi modelli possono poi essere in parte modificati
dall’esperienza. Capacità di “monitoraggio metacognitivo”: consapevolezza dei propri pensieri.
Importanza dell’approvazione dell’adulto nella promozione dell’autostima. I questionari sull’autostima, autodescrittivi
possono essere utili dagli 8 anni, età in cui l’immagine di sé si arricchisce di autovalutazioni.
Abilità di role – taking: abilità di cogliere la prospettiva dell’altro e di metterla in relazione alla propria. Selman ha
individuato gli stadi dell’abilità di role – taking, attraverso cui si affina la distinzione di sé e gli altri. Vedi tab. pag. 161.
Un altro strumento per capire come i b. vedono sé e gli altri è fornito dalle descrizioni verbali: fino ai 6 – 7 anni, il b.
privilegia l’uso di riferimenti alle caratteristiche fisiche ed esteriori delle persone ed effettua confronti sulla base di
indicatori comportamentali più che psicologici. A partire dai 7 anni si riferirà alle qualità interiori degli altri. Lo stesso
vale nella descrizione di Sé.
Identità e tipizzazione sessuale
Già a 9 – 10 mesi i b. capiscono che le persone si dividono in maschi e femmine. Ad un anno prestano più attenzione a
compagni dello stesso sesso. A cosa si può attribuire l’identificazione così precoce del sesso biologico? I b. identificano
inizialmente alcune caratteristiche fisiche simili a sé e alle persone familiari e cominciano così ad organizzare categorie
mentali con le quali orientarsi nella distinzione tra maschi e femmine. Su questa base il b. regola anche il suo
comportamento.
Rapporto tra caratteristiche di personalità e differenze sessuali: le prime ricerche erano poco attendibili perché basate
su stereotipi e tenevano conto come metodo di rilevazione dei dati delle opinioni non imparziali di genitori e
insegnanti. Gli studi meno controversi sono quelli basati su metodologie osservative più rigorose. Da questi studi
emerge che le somiglianze sono maggiori delle differenze: scelta dei giochi, scelta dei compagni di gioco, stile
relazionale.
scelta dei giochi: maschi: giochi di movimento, giocattoli tipicamente maschili (costruzioni, macchinine, armi…)
femmine: bambole, colori, mansioni femminili…
scelta dei compagni: maschi e femmine: coetanei dello stesso sesso, dai 3 anni la separazione è marcata, poi si
attenua nell’adolescenza con la nascita delle relazioni eterosessuali.
stile relazionale: maschi: interazioni basate su forme di gerarchia e di dominanza, contatti corporei che sfociano in
aggressioni… femmine: maggiore disponibilità alla collaborazione, propense a attuare comportamenti prosociali…
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La tipizzazione sessuale è l’esito dell’interazione fra fattori biologici (ormoni maschili: movimento, aggressività) e
sociali (educazione ricevuta, modelli comportamentali di riferimento: genitori, gli adulti non fanno che rinforzare gli
stereotipi di genere con il loro comportamento).
Un altro modo di spiegare il processo evolutivo di identificazione del ruolo sessuale è stato proposto da Kohlberg.
Tipizzazione sessuale: processo primariamente cognitivo che deriva dalla più generale tendenza dei b. a categorizzare.
Lo sviluppo della T.s. implica, a suo avviso, l’acquisizione dell’identità di genere, della stabilità di genere, della
congruenza di genere.
identità di genere: intorno ai 3 anni il b. inizia a differenziare le 2 categorie di appartenenza sociale dei maschi e
delle femmine e a stabilire la propria identità di genere.
stabilità si genere: concetto compreso verso i 4 anni, che implica il comprendere che il genere rimarrà stabile nel
tempo.
congruenza di genere: verso i 6 – 7 anni la differenza di genere è intesa come una caratteristica biologica intrinseca
e immodificabile, pur al variare di abbigliamento o aspetto.
RELAZIONI TRA PARI
Piaget: Relazione simmetrica (orizzontale): con i pari. Basata su cooperazione e condivisione. Paritaria, fondata sulla
reciprocità, importante per imparare a cooperare e negoziare.
Relazione asimmetrica (verticale): con gli adulti. Basata su obbedienza, rispetto. Deputata ad offrire cure, protezione,
a garantire l’apprendimento e lo sviluppo della persona.
Con l’aumentare dell’età aumenta l’interesse verso i pari.
Concetto di amicizia: legame forte, caratterizzato da stabilità, costanza e selettività verso uno o più partner.
Il rapporto con i coetanei
Nei primi anni di vita il rapporto con i coetanei è caratterizzato da unidirezionalità, nel senso che all’azione del primo b.
non corrisponde l’azione coordinata del secondo. Parten ha notato nel passaggio dai 2 ai 4 anni, uno spostamento da
attività parallele (in cui i b. sebbene vicini fisicamente agiscono essenzialmente da soli) ad attività cooperative (in cui i
b. interagiscono attraverso scambi complementari per il raggiungimento di uno scopo comune). Si passa quindi da
“imitazione speculare” a “interazioni complementari e reciproche”.
Nel periodo prescolare iniziano a formarsi i gruppi che generalmente si suddividono spontaneamente secondo il
genere, con fenomeni rigidi di inclusione – esclusione.
Nell’infanzia si sviluppano relazioni sempre più selettive basate sull’affinità di interessi. A quest’età appaiono con più
evidenza relazioni tra coetanei caratterizzate da rifiuto ed esclusione. A questo proposito è significativa la ricerca di
Montagner basata sull’osservazione delle interazioni non verbali tra b. I b. popolari, che chiama leader, manifestano e
mantengono negli anni comportamenti non verbali rassicuranti, non aggressive, caratterizzate da sorriso, leggera
inclinazione della testa…appaiono anche capaci di mediare un conflitto e di intervenire con decisione in difesa dei b.
aggrediti. I b. rifiutati, che chiama dominanti aggressivi, manifestano in misura consistente comportamenti di minaccia
attraverso movimenti bruschi e disordinati, attività instabili, scarsa concentrazione, interventi disorganizzanti le attività
altrui, provocano pianti negli altri b. questi b. generano rifiuto e problemi di adattamento futuro.
Nella fase della preadolescenza e dell’adolescenza, le relazioni con i coetanei risentono delle esperienze pregresse ma
allo stesso tempo assumono uno specifico valore come stimolo al confronto e come fonte di sostegno e di supporto
all’autostima.
Le relazioni amicali
La relazione amicale è selettiva, reciproca e stabile. Si è a lungo pensato che questo tipo di legame preferenziale fosse
assente nei b. più piccoli mentre, in realtà, diverse ricerche hanno dimostrato che anche b. di 8 – 10 mesi sviluppano
dei legami preferenziali con b. che conoscevano già. Sin dalla prima infanzia l’amicizia si manifesta come una relazione
reciproca e stabile nel tempo, caratterizzata dalla difesa dell’esclusività del legame, dal chiedere e ricambiare
l’attenzione, manifestare interesse per gli stati affettivi dell’altro, in sostanza dalla creazione di un mondo comune
condiviso. Cosa spinge i b. a stringere relazioni preferenziali? Secondo Howes, mentre i più piccoli cercano un legame
amicale per bisogno di vicinanza e di rassicurazione e motiva in assenza di figure adulte significative, per i b. di 3 – 4
anni è la curiosità e l’interesse negli altri che li spinge a stringere un elevato numero di relazioni. Durante l’età
prescolare, il legame si basa anche sullo scambio verbale. Questi b. iniziano a distinguere più maracatamente quelli
che sono gli amici dai semplici compagni di scuola.
Vantaggi dell’amicizia:
favorisce i comportamenti prosociali
facilita la cooperazione
in caso di conflitto, aiuta ad appianare le divergenze. Essa aiuta a superare emozioni negative di ira o di paura.
I comportamenti prosociali vanno dal regalare qualcosa all’aiutare qualcuno in difficoltà. Mentre il primo tipo di
comportamento viene attuato più verso b. amici, il secondo viene rivolto a chi ha bisogno indipendentemente dl
rapporto amicale.
Il concetto di amicizia
Selman ha utilizzato dilemmi e domande semistrutturate per intervistare un alto numero di soggetti di età compresa
tra i 3 e 34 anni e ha individuato 4 stadi di consapevolezza dell’amicizia, che differiscono qualitativamente l’uno
dall’altro e si presentano in una sequenza invariante.
STADIO
0
ETÀ
3 – 5 anni
CARATTERISTICHE
Amicizia come vicinanza fisica, assente abilità
CONCETTO DI AMICIZIA
Amico come compagno di gioco
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1
6 – 8 anni
2
9 – 12 anni
3
Dai 12 anni
di role – taking, considerazione degli aspetti
fisici altrui.
Avere un amico significa ricevere aiuto,
natura soggettiva del legame, considerazione
degli aspetti psicologici altrui.
Dare e ricevere aiuto da un amico, reciprocità
del rapporto ma precarietà, rischio di rottura
in caso di conflitto.
Confidenza, sostegno, fiducia nell’amicizia.
Rapporto solido e duraturo anche in presenza
di conflitti.
momentaneo
Aiuto unilaterale
Cooperazione in circostanze favorevoli
Condivisione mutualistica
La comprensione dell’amicizia si basa su tre concetti:
Incremento della capacità di assumere la prospettiva altrui.
Percezione delle persone come entità psicologiche e non solo fisiche.
Rapporti sociali duraturi piuttosto che caratterizzati da incontri occasionali.
Cosa ci si aspetta da un amico? Ricerca di Bigelow e La Gaipa, 3 stadi nelle aspettative di amicizia:
Stadio costi – benefici. Tipico dei b. di 7 – 8 anni i quali desiderano svolgere attività comuni e pensano di poter
perseguire obiettivi comuni.
Stadio normativo. Tipico dei b. di 9 – 10 anni, caratterizzato da condivisione di valori, regole e sanzioni.
Stadio empatico. B. 11 – 12 anni, dominano la comprensione, l’apertura e la condivisione di interessi.
LO SVILUPPO MORALE
L’acquisizione di una norma è un processo che comprende almeno 3 dimensioni fondamentali:
La norma assume un significato affettivo – emotivo, ossia contiene una qualche indicazione sul come ci si dovrebbe
sentire nel caso in cui la si rispetti o la si vìoli. Si parla di sensazione morale. Es. Colpa, vergogna, imbarazzo oppure
orgoglio, soddisfazione, autostima…
La norma rappresenta anche una guida per la condotta, nel senso che prescrive comportamenti socialmente
desiderabili e ne sanziona altri. Ruolo del rinforzo sociale con cui le regole vengono trasmesse e fatte rispettare (teoria
dell’apprendimento sociale, Bandura).
Conoscenza delle norme che rende possibile la comprensione dei significati espliciti ed impliciti. Tema approfondito
dagli studi cognitivisti.
Il ragionamento morale
Piaget e Kohlberg si sono occupati principalmente della moralità nei termini di acquisizione dei criteri di ragionamento,
indipendentemente dal contenuto delle norme stesse o delle azioni ad esse collegate. La moralità non risiede solo nella
bontà o nella giustezza di un’azione ma nel significato che ad essa l’individuo assegna. Il fatto che giudicare un’azione
dipenda dallo sviluppo cognitivo non implica, però, un necessario e stretto rapporto con il comportamento in situazione
reale. Il livello cognitivo è una condizione necessaria ma non sufficiente per l’agire reale. (dilemma tra pensiero e
azione, posso ritenere una cosa sbagliata ma farla lo stesso). Piaget si chiede se pensiero e azione siano, in questo
senso, legati; mentre K. Ribadisce il loro legame dando addirittura al pensiero un valore predittivo del comportamento
(azione).
Lo sviluppo morale secondo Piaget
Anomia (assenza di regole) o periodo premorale, fino ai 3 anni i b. non sanno ragionare attorno al concetto di regola
perché è un concetto troppo astratto. Durante il gioco non esistono vincitori o perdenti. Sono concetti che verranno
fuori solo in seguito e solo in seguito si parlerà quindi anche di regole del gioco. Questo non significa che i b. non
hanno regole in questo periodo, le hanno, come abbiamo visto nei filmati i b. si comportano fra loro secondo precise
regole, però "non lo sanno", non hanno appunto il concetto di regola in testa.
Morale eteronoma: Dai 4 – 5 anni agli 8 – 9 anni. L'adesione alle regole avviene in funzione del rispetto dell'autorità a
alla forza dell'autorità stessa. Nel giudicare un'azione i b. in questa fase tendono a giudicare sbagliato ciò che verrà
punto e giusto ciò che verrà premiato. La norma non è interiorizzata. Poi in realtà disubbidiscono spesso e volentieri
(questo sempre per via di quella incoerenza fra azione e pensiero). I b. dal punto di vista intellettuale hanno ancora
un'intelligenza preoperatoria che viene applicata al modo di giudicare le norme.
Un b. che porta un vassoio con 15 bicchieri perché gli è stato chiesto dalla mamma li rovescia tutti e li rompe, un altro
b. invece vede la mamma nascondere la marmellata e per prenderla rovescia un bicchiere e lo rompe. Quale azione è
moralmente sbagliata? È più grave l'azione di chi ha rotto più bicchieri perché il b. non sa ancora bilanciare il concetto
di intenzione con quello di gravità del danno.
Realismo morale: intelligenza preoperatoria attenta agli aspetti concreti. Bisogna rispettare le regole non per il loro
valore intrinseco ma per l'autorità. Concetto di giustizia retributiva (dev’esserci una proporzione tra meriti e vantaggi /
trasgressioni e punizioni. Es. se la figlia è disobbediente, la mamma fa bene a preferire l’altra).
Morale autonoma: caratterizzata da relativismo morale. Le regole sono frutto di un comune accordo. Dopo gli 8
anni. La regola non è più giusta perché imposta da un’autorità, non è più intangibile. Valore maggiore attribuito alla
cooperazione a alla reciprocità nelle interazioni sociali, idea che la regola rappresenti un modo per regolare le
interazioni. La regola mette tutti sullo stesso piano rispetto a qualcosa, garantisce il rispetto e la libertà di tutti. La
giustizia in questo senso non è più retributiva ma distributiva. Mentre il b. più piccolo ritiene che vi debba essere una
relazione diretta tra l’azione e la retribuzione (premio o punizione), tipo legge del taglione, il b. più grande ritiene che
la giustizia debba essere equa, cioè distributiva, la punizione deve servire a ricostruire la relazione sociale (per es.
chiedere scusa o restituire un oggetto rubato…). Intorno ai 10 – 11 anni il b. giunge a comprendere che se una regola
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non è giusta non è necessario ubbidirvi. Il b. valuta autonomamente il valore della regola e capisce che è possibile
cambiare una regola tramite il consenso sociale.
Lo sviluppo della morale secondo Piaget, presenta due diversi aspetti riguardanti: la pratica della regola, la coscienza
e il significato della regola stessa.
PRATICA DELLA REGOLA
Abitudini motorie.
Il b. manipola gli oggetti non secondo regole, ma
regolarità individuali, in funzione dei suoi desideri e
secondo schemi di comportamento rituali. Il gioco è
individuale e mancano regole collettive.
Egocentrismo (2 – 5 anni).
Il b. imita le regole codificate che riceve dall’esternoe
imita i b. più grandi iniziando a praticare le regole. Gioca
senza entrare in rapporto con i compagni, senza
competere. Ognuno gioca per proprio conto senza
preoccuparsi delle regole.
Cooperazione incipiente (6 – 11 anni).
Compare l’agonismo e ognuno vuole vincere. Nasce
l’esigenza di cooperare per codificare le regole in base alle
quali definire vincitori e vinti.
Codificazione delle regole (dagli 11 anni).
Le regole assumono un significato collettivo e ben definito
che tutti conoscono. Si acquisisce la consapevolezza che
per cambiare le regole è necessario l’accordo di tutti.
COSCIENZA DELLA REGOLA
PRIMO LIVELLO
La regola viene inconsapevolmente subita
SECONDO LIVELLO (3 – 8 ANNI)
La regola viene considerata sacra e intangibile, imposta
dagli adulti e, per questo, intrinsecamente valida.
Modificare le regole significa trasgredirle.
TERZO LIVELLO (DAI 9 ANNI)
Le regole sono concepite come frutto del consenso
reciproco e come tali possono essere modificate.
Lo sviluppo morale secondo Kohlberg
Si oppone alla tradizione comportamentista e quindi all’idea che la morale sia frutto di abitudine, imitazione e
apprendimento, ritenendo che il pensiero guida l’azione e non viceversa. È interessato al tipo di motivazione e di
ragionamento posti alla base dei comportamenti e lo sviluppo morale è identificato dal passaggio da strutture cognitive
più elementari a strutture cognitive più mature ed evolute. L’ipotesi di una sequenza parallela di stadi dello sviluppo
cognitivo e morale delineata da Piaget è accettata e sviluppata da Kohlberg.
Per esplorare le trasformazioni del giudizio morale utilizza vari dilemmi, chiamati morali. Si tratta di storie in cui alla
fine il protagonista deve prendere una decisione. Il dilemma più famoso è quello di “Heinz”.
La moglie di Heinz è gravemente malata e può essere salvata solo da una medicina, costosa da produrre e scoperta da
un farmacista che la fa pagare 10 volte quello che gli costa per fabbricarla. Heinz dopo aver cercato inutilmente di farsi
prestare l’intera somma di denaro, propone al farmacista di dilazionargli il pagamento se proprio non volesse diminuire
il prezzo. Al rifiuto del farmacista Heinz, preso da disperazione, s’introduce nella farmacia per rubare il farmaco. Ha
fatto bene Heinz? A seconda della risposta possono seguire ulteriori domande tipo: e se invece della moglie fosse stato
il suo migliore amico? Se il marito non fosse stato molto affezionato alla moglie?ecc…
Livelli di giudizio morale
Concetto di convenzionale: conformarsi ed attenersi alle regole, alle aspettative e alle convenzioni della società o
dell’autorità, proprio in quanto tali (regole, aspettative e convenzioni della società). Possiamo distinguere 3 livelli di
giudizio morale, ciascuno diviso in 2 stadi: vedi tab. pag. 179 – 180
Preconvenzionale: assomiglia al b. di Piaget sotto i 9anni. Periodo: 9 – 10 anni. Preconvenzionale è un modo di
giudicare le regole sociali e morali caratterizzato dal mancato possesso di questo concetto relativo della legge.
orientamento premio – punizione: i b. piccoli sotto i 9 anni hanno un interesse egocentrico e viene valutato ciò che
conviene di più. La risposta tende a manifestare una preoccupazione per la conseguenza. C’è la difficoltà a coordinare
2 punti di vista. Rispondono secondo la logica premio – punizione.
orientamento individualistico – strumentale: rivolto ai benefici concreti. I b. si rendono conto che ci sono
caratteristiche individuali che vertono sugli interessi e ciò può provocare conflitto nel rapporto con gli altri. Giusto o
sbagliato in senso individualistico sul vantaggio immediato in accordo con bisogni e interessi. È un livello
preconvenzionale perché solo nella preadolescenza o adolescenza i b. capiscono che le regole sono accordi tra persone.
Convenzionale: periodo: preadolescenza e adolescenza (11/15 anni). Si acquisiscono i concetti che stanno sotto
l’acquisizione della norma. Le persone imparano a capire i valori che stanno dietro alle norme (dietro al “non rubare”
c’è il valore del rispetto, non un’autorità).
orientamento del bravo ragazzo: il comportamento scaturisce dalle aspettative della propria cerchia, si vogliono
mantenere relazioni basate sulla gratitudine. Le prospettive sociali e relazionali sono molto importanti, vi è
un’autentica comprensione delle norme e la capacità di mettersi nei panni degli altri. Manca una prospettiva complessa
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del sistema sociale. Atteggiamento di forte adesione al gruppo, non viene colto il significato più elevato della norma, si
aderisce alla norma per non far soffrire qualcuno, per adeguarsi agli altri.
orientamento volto al mantenimento dell’autorità e dell’ordine: ruoli definiti, l’adolescente coglie le differenze tra
membri del proprio gruppo e la società, comprende regole in conflitto le une con le altre, vi è la tendenza a ritenere
giusta l’autorità perché altrimenti si è puniti.
Postconvenzionale: non tutti lo raggiungono, ultima fase dell’adolescenza, ingresso nell’età adulta. Pone alla base della
norma dei valori considerati importanti. A questo livello si ha la consapevolezza vera e profonda che le leggi sono
relative, frutto di un accordo basato sui diritti individuali. Valori attribuiti alla vita umana. Una legge è buona o cattiva
a seconda che recepisca o un’insieme di valori o princìpi di carattere più universale. Si arriva a un punto in cui o si
cerca di cambiare la legge o si entra in conflitto con i propri ideali.
orientamento contrattuale – legalistico: le regole vanno mantenute perché sono l’unica garanzia di imparzialità,
vengono garantiti valori quali la vita e la libertà. È una concezione molto evoluta rispetto ai precedenti stadi. La
priorità viene data alla società e non all’individuo. Si acquisisce la consapevolezza che i valori sono antecedenti a
qualsiasi contratto sociale (che può essere un conflitto tra norma e valore).
orientamento dei principi etici universali: l’individuo ha acquisito principi interamente sentiti. Kolberg li definisce
universali e sono: giustizia, uguaglianza, rispetto della libertà, valore della vita. Ritiene giuste le leggi basate su questi
principi se c’è un conflitto tra la legge e il principio etico. Dà priorità a quest’ultimo correndo anche dei rischi.
L’impegno personale deve orientarsi al conseguimento dei principi etici in cui crede. La prospettiva sociale consiste nel
ritenere che il fondamento della moralità sta nel fatto che l’individuo rappresenti di per sé un fine con tutti i diritti e i
valori e le regole (princìpi etici universali) da rispettare.
Validità degli stadi di Kohlberg
Critiche:
Critica metodologica riguardante il sistema di attribuzione dei punteggi ai dilemmi, al loro contenuto ritenuto adatto ad
una morale maschile ma non femminile. K. Ha allora elaborato un sistema standardizzato di codifica delle risposte che
si è rivelato attendibile. Anche il legame tra assetto cognitivo e morale sembra confermato, il ragionamento di tipo
convenzionale implica la capacità di porsi dal punto di vista altrui, quello postconvenzonale poggia sullo sviluppo delle
operazioni formali, del pensiero astratto.
Turiel non ritiene valido il concetto di stadi e non condivide l’idea che i b. siano incapaci di distinguere tra le
convenzioni e le regole morali come pensa invece K.
Regole morali e convenzionali
Regole morali: regole interiorizzate, basate sull’acquisizione di certi modelli di convivenza e di relazione sociale che
vanno rispettati per il significato che rivestono e non per paura delle punizioni.
Regole convenzionali: dipendono dalle consuetudini dei gruppi, delle istituzioni, dalle abitudini familiari. L’interazione
sociale e la routine quotidiana favoriscono lo sviluppo delle regole convenzionali.
Secondo Turiel la distinzione tra regole morali e convenzionali comincia ad essere appresa in età prescolare. I b. sono
già in grado di comprendere che alcune regole sono tipiche della propria famiglia e altre no e ancora che trasgredire ad
una regola morale è più grave che trasgredire ad un convenzione.
LO SVILUPPO EMOTIVO ED AFFETTIVO (7)
SIGNIFICATO E FUNZIONI DELLE EMOZIONI
In passato gli studiosi ritenevano che le emozioni rappresentassero un’esperienza disorganizzante o negativa a base
solo biologica.
Oggi la si ritiene un’esperienza complessa, multidimensionale e processuale con una funzione di organizzazione
cognitivo – affettiva e di mediazione tra l’organismo e l’ambiente. L’emozione può essere intesa come un
allontanamento dal normale stato di quiete dell’organismo, cui si accompagna un impulso all’azione e alcune specifiche
reazioni fisiologiche interne, ognuna delle quali si esprime attraverso una diversa configurazione e designa dioverse
risposte emotive (gioia, tristezza, paura…). Nello stesso tempo, quindi, l’emozione è una risposta fisiologica,
motivazionale, cognitiva e comunicativa, sempre accompagnata da una dimensione sia soggettiva che sociale. Ogni
emozione fondamentale presenta una sua configurazione comunicativa (movimenti facciali, movimenti corporei, tono
della voce), essenzialmente universale. Le emozioni non si presentano mai senza una ragione, sono quindi sempre
contestualizzate.
Catena di Pluthik: illustra i principali eventi connessi all’emozione.
Sentimento
Evento/stimolo Valutazione
Impulso ad agire Azione manifesta Effetto dell’azione
Eccitazione fisiologica
Circuiti di retroazione
PRINCIPALI TEORIE SULLO SVILUPPO DELLE EMOZIONI
La teoria della differenziazione emotiva
Anni ’30, Bridges, bambini tra un mese e due anni. Teoria rielaborata da Stroufe. Si fonda sull’idea che da un iniziale
stato di eccitazione indifferenziata, si vengano articolando, nel corso dello sviluppo, specifiche e diverse emozioni.
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Nella rielaborazione della teoria da parte di S., il peso maggiore va non allo stato iniziale di eccitazione, ma allo
sviluppo cognitivo a cui viene assegnato il compito di organizzare le emozioni.
Dallo stato iniziale di indifferenziazione, emergono diverse emozioni secondo tre diversi percorsi: quello del sistema
piacere – gioia (sorriso endogeno), quello del sistema circospezione – paura (trasalimento) e quello del sistema rabbia
– collera (pianto).
Lo sviluppo del sistema piacere – gioia, nel piccolo di 3 mesi crea reazioni emotive quali il sorriso sociale (rivolto a
qualcuno) che va al di là della semplice attivazione fisiologica. Nel 4° mese questo diventa riso attivo e gioia.
All’interno del sistema circospezione – paura, le reazioni di disagio dei 3 mesi si trasformano in specifiche reazioni di
sorpresa e disappunto. Dopo i 6 mesi tali risposte diventeranno più chiaramente di circospezione e paura.
Nel sistema frustrazione – rabbia, sono evidenti risposte di delusione, insoddisfazione (5 – 6 mesi) che si evolveranno
dopo i 6 mesi in rabbia e poi collera.
I precursori emotivi legati alle prime reazioni fisiologiche non si annullano del tutto ma possono riemergere in
condizioni di forte stress.
La teoria differenziale delle emozioni
Izard sostiene che i neonati posseggano, fin dalla nascita, un certo numero di emozioni fondamentali e differenziate
basate su programmi innati e universali. Izard individua 9 emozioni di base: interesse, gioia, tristezza, disgusto,
sorpresa, collera, disprezzo, paura e vergogna. Ognuna ha per lui, un valore adattivo. In questa prospettiva,
l’emozione non è semplicemente la risposta ad uno stimolo, ma rappresenta una forma di organizzazione innata che
motiva il comportamento e gli affetti. La componente innata, pian piano evolve verso forme più flessibili, grazie
all’influenza delle relazioni e della socializzazione. Alcune emozioni sono già presenti dalla nascita, altre emergono
allorché, nel corso dello sviluppo, devono assolvere un compito adattivo.
Nel 1° e nel 2° mese: il b. manifesta a livello di esperienza sensorio – affettiva, le emozioni negative e positive, quelle
di interesse, disgusto e trasalimento, essenzialmente per comunicare i propri bisogni e solo secondariamente per
stabilire un contatto con la figura allevante.
Intorno al 3° mese, il b. comincia a manifestare un attenzione specifica verso le persone e gli oggetti.
A partire dai 9 mesi, il b. acquisisce maggiore consapevolezza di sé come agente e comincia a sviluppare una certa
memoria degli eventi e una coscienza maggiore dell’ambiente che lo circonda. (processo di differenziazione tra sé e gli
altri).
Le emozioni diventano sempre più socialmente determinate e sempre meno legate all’attivazione fisiologica grazie alla
socializzazione e all’acquisizione delle prime regole.
A partire dal 2°anno, i b. imparano a mostrare ciò che provano in accordo con le regole sociali e diventano quindi
capaci di mascherare, esagerare, minimizzare, simulare le espressioni facciali.
L’approccio funzionalista
Campos pone in evidenza il ruolo delle emozioni nella regolazione dei rapporti tra l’organismo e l’ambiente. Questa
prospettiva afferma che tutte le emozioni fondamentali sono presenti fino dalla nascita e relativamente autonome dalle
conquiste cognitive. Le caratteristiche espressive delle emozioni sono intrinseche, ma non invarianti e la loro e la loro
associazione cambia in base all’interazione tra individuo e ambiente.
Funzione e caratteristiche delle emozioni:
Regolare i processi psicologici interni e i comportamenti sociali e interpersonali. Orientano nella selezione delle
informazioni, predisponendo l’organismo all’azione.
Hanno un carattere distintivo rispetto alle altre forme istintuali.
Utilizzano un processo comunicativo non codificato culturalmente.
Le emozioni per via di queste caratteristiche, sono raggruppate in “famiglie” omogenee per funzione: la stessa
emozione pur facendo riferimento ad un’esperienza che inevitabilmente differisce per caratteristiche, svolge un’analoga
funzione adattiva ed è questa che assume importanza.
SVILUPPO DELLE EMOZIONI
Le emozioni fondamentali
Non tutte le emozioni sono universali, solo quelle fondamentali. Non tutti gli autori sono d’accordo nel ritenere
fondamentali certe emozioni come gioia, sorpresa, tristezza, interesse, paura, disgusto, rabbia. Sono tutti d’accordo
solo su gioia, tristezza, paura, rabbia. Izard chiarisce che per essere considerata primaria un’emozione deve possedere
uno specifico substrato neurale, esprimersi attraverso una specifica e distinta configurazione facciale, essere collegata
ad una precisa esperienza emotiva che raggiunga la consapevolezza, derivare da un processo biologico –
evoluzionistico e possedere proprietà motivazionali e organizzative finalizzate all’adattamento. L’universalità delle
emozioni è testimoniata dalla costanza delle configurazioni facciali nel ciclo vitale.
L’emergere delle emozioni
Le emozioni pur presenti fino alla nascita si modificano passando da un livello poco articolato a livelli sempre più
sofisticati. Sequenza evolutiva:
Reazioni emotive regolate da processi biologici fondamentali per la sopravvivenza. Anche se congruenti con
l’ambiente queste non possono essere considerate intenzionali per la comunicazione. 0 – 1 mese.
Le interazioni sociali favoriscono la comunicazione delle emozioni e il controllo delle stesse. Compare il sorriso sociale
non selettivo in risposta alla voce umana e quello selettivo, tendenzialmente rivolto alla madre. 2 – 12 mesi.
Emergono le emozioni complesse basate sull’autoriflessione. Timidezza, colpa, vergogna, orgoglio, invidia, il cui
sviluppo può dirsi completo intorno ai 3 anni, sono emozioni apprese, non immediatamente riconoscibili attraverso
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indicatori mimici. Esse richiedono un’autoconsapevolezza che consenta di valutare il proprio sé e le proprie azioni in
relazione alle norme sociali e agli standard condivisi dalla cultura di appartenenza.
ESPRESSIONE E RICONOECIMENTO DELLE EMOZIONI
Espressione delle emozioni nel b.
Le prime reazioni del neonato indicano specifiche emozioni o sono comuni a più situazioni? Secondo una concezione
molto restrittiva, gli unici patterns mimici in grado di comunicare in modo universale e invariante uno stato emotivo
facilmente riconoscibile sarebbero quelli di piacere – dolore (tono edonico positivo o negativo). Le altre espressioni
emotive non sono specifiche e distintive fin da subito, ma lo diventano grazie alle occasioni prolungate di contatto e di
relazione. Sono gli adulti che attribuiscono significato alle reazioni emotive del neonato.
Riconoscimento e comprensione delle emozioni
Durante il primo anno il b. impara a riconoscere gli stati emotivi degli altri ed è capace di reagirvi in modo appropriato.
Distinzione tra riconoscimento delle espressioni altrui e comprensione psicologica delle emozioni proprie e altrui che
richiede competenze e capacità più affinate.
Il riconoscimento delle espressioni altrui
L’interesse precoce per il volto favorisce il riconoscimento delle emozioni altrui poiché il riconoscimento richiede
innanzitutto la capacità di differenziare le espressioni emotive altrui. b. di 10 settimane sono in grado di reagire a 3
espressioni facciali e vocali: gioia, tristezza e collera. B. tra i 4 e i 7 mesi riescono a distinguere le variazioni di
espressione emotive in fotografie che ritraggono i medesimi volti che manifestano prima un’emozione poi un’altra.
Sensibilità ai cambiamenti espressivi nel volto della madre. Il passaggio dal riconoscimento alla comprensione non è
così rapido, vi sono alcuni precursori di natura sociale e relazionale che ne scandiscono l’evoluzione.
Trevarthen e Tronick hanno notato che nell’interazione tra madre e bambino si generano aspettative basate sul
significato delle espressioni delle emozioni. Se la madre diventa improvvisamente seria durante una normale
interazione con il proprio b. egli nota la differenza. Questo ci fa capire che non si può parlare di semplice
riconoscimento delle emozioni ma anche di una forma di anticipazione delle espressioni emotive che implica, quindi,
una parziale comprensione delle emozioni.
La comprensione delle emozioni
L’espressione altrui viene utilizzata anche per capire cosa fare. Questo fenomeno è chiamato “riferimento sociale”.
Capacità che appare dopo il primo anno di vita. Esperimento del baratro visivo.
La comprensione delle emozioni è mediata dall’empatia. Secondo Eisenberg, precocemente i b. sono in grado di sentire
la stessa emozione altrui e di rifletterla in una forma però indifferenziata e non cognitiva (contagio emotivo). A 14
mesi i b. sono capaci di dare e chiedere conforto e a 24 di prevedere le reazioni emotive e di usare questa previsione
per aiutare o anche per indispettire. Verso la fine del secondo anno, appare la capacità di fare finta e di capire quando
gli altri fingono. Le regole sociali iniziano ad orientare l’esibizione delle emozioni intorno ai 4 anni. Ekman chiama
questo “regole di ostentazione”, si tratta di modi appresi, in base ai quali si sceglie di aumentare o di diminuire l’entità
dell’emozione oppure di simulare, nascondere, fingere ciò che si prova realmente. Esperimento del b. che riceve un
giocattolo rotto in regalo. Se lo scarta da solo mostra reazioni negative, altrimenti, in presenza dello sperimentatore
finge reazioni positive. Verso i 4 – 5 anni i b. saranno in grado di comprendere che le proprie emozioni possono essere
diverse da quelle degli altri (capacità di mettersi nei panni degli altri, teoria della mente, capacità di prevedere le
reazioni altrui senza necessariamente provare quelle stesse emozioni). Verso i 7 – 8 anni compare la capacità di
comprendere le emozioni ambivalenti (consapevolezza che si possono provare diverse emozioni anche opposte
insieme).
SVILUPPO AFFETTIVO
Emozioni e interazione sociale
Le emozioni regolano le relazioni affettive precoci. Sono gli adulti che inizialmente attribuiscono intenzionalità alle
manifestazioni del b. questa funzione dell’adulto è chiamata di “scaffolding”. Essa consiste nel rispondere in modo
appropriato ai segnali del piccolo, modulando il proprio comportamento in base al suo livello di sviluppo. Inoltre le
emozioni vengono regolate in accordo con la cultura di appartenenza. I b. imparano quali siano le condotte emotive
appropriate nelle diverse situazioni. Questo fenomeno è chiamato di “socializzazione delle emozioni”.
La teoria dell’attaccamento
Figura d’attaccamento
B. parla di figura di attaccamento, cioè l’adulto, come di una figura che deve prendersi cura del bambino e
trasmettergli sicurezza. Anche il comportamento dell’adulto è importante per lo strutturarsi del legame. Per il bambino
questo è un legame biologico non sociale e non culturale. Risponde all’obiettivo comune a tutte le specie di proteggere.
Per attaccamento si intende la propensione innata a cercare la vicinanza protettiva di un membro della propria specie
quando si è vulnerabili ai pericoli ambientali per fatica, dolore, impotenza, malattia. È attiva tutta la vita ma è più
intensa all’inizio dell’esistenza. L’attaccamento entra in azione quando ci sono fattori di stress. L’attaccamento esiste
dalla nascita alla morte, non ha connotazione negativa. La teoria dell’attaccamento serve anche per comprendere le
relazioni con gli altri quando si instaurano delle relazioni affettive quando c’è difficoltà. Nell’infanzia si strutturano le
caratteristiche dell’attaccamento con la mamma che poi sarà il prototipo per le relazioni successive.
Teoria dell’attaccamento
Viene ancora studiata, è stata considearata rivoluzionaria. Nasce nel 1907 in Inghilterra, Bowlby studiò medicina e poi
coltivò interessi psicologici. Formazione medico – psichiatrica, entrò nella società psicologica (A. Freud, M. Klein). Fu
influenzato dal clima degli anni ’40 - ’50 e dagli studi di Lorenz (etologo), Harlow e dall’esperienza come medico a
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contatto con persone toccate dalla II guerra mondiale, da ciò per Bowlby il malessere delle pesone nasce da situazioni
reali e non determinati dai fatti intrapsichici (come sostenevano le teorie della psicologia classica) dovette uscire dalla
società psicologica per questo.
Sistema comportamentale d’attaccamento
- La figura di attaccamento è sufficientemente vicina, sintonica, capace di risposte sensibili?
Amore, sicurezza,
fiducia in se stessi
il b. gioca sorridente esplorativo, sociale. (attaccamento sicuro)
- I segnali che manda il bambino sono per ricevere attenzione, se non la riceve: Paura angoscia
ricerca visiva,
segnalazione del bisogno di contatto, supplicare, aggrapparsi…
Atteggiamento difensivo
evitamento, atteggiamento guardingo, diffidenza.
Aumenta l’attaccamento, la ricerca di nuove figure d’attaccamento.
Ambivalenza, aggrapparsi e rabbia.
Atteggiamento d’att. ma anche rabbia.
L’attaccamento
Bowlby teorizza l’attaccamento come:
Una predisposizione biologica del piccolo (in tutte le specie viventi esiste questa predisposizione, predisposizione alla
sopravvivenza che varia a seconda delle specie, nell’uomo non si tratta solo di sopravvivenza biologica) verso chi si
prende cura di lui, assicurandogli la sopravvivenza. Bowlby sostenne che il modo in cui si organizza la relazione con
l’adulto è determinante. È importante vedere con chi ha a che fare il b., è importante la relazione con il caregiver
(figura di riferimento, che non è necessariamente la madre).
Una motivazione intrinseca e primaria basata sulla ricerca di contatto che si attiva nelle situazioni di pericolo. Bowlby
trae le sue teorie dagli esperimenti di Lorentz (imprinting) e Harlow (manichino e scimmia di gomma piuma).
L’esperienza di Harlow con le scimmie: di metallo e di gomma. Quella di metallo aveva un biberon si notò che le
scimmie dopo aver bevuto il biberon andavano ad accucciarsi accanto a quella di gomma perciò il bisogno fisiologico
non costituisce il legame. Bowlby pensò quindi che il cibo non forma il mediatore primario per il legame. Lorenz:
esperimenti sull’imprinting. Ci sono periodi diversi da specie a specie (12/13 ore di vita). Schemi fissi di azione entrano
in gioco per permettere al piccolo di riconoscere l’adulto prottetivo. Da qui B. ne deduce che ciò che crea
l’attaccamento è la protezione e non solo il nutrimento. Freud sosteneva che il b. instaurasse una relazione primaria
per soddisfare la fame mentre per Bowlby c’è anche il bisogno di protezione. Il legame di attaccamento si instaura in
quello che viene chiamato “periodo critico” (durante il primo anno di vita, di solito verso i 7 – 8 mesi). Se il legame
non si forma in questo periodo ci potranno essere difficoltà in futuro. Nelle situazioni di pericolo entra in gioco la paura.
Si può dire che il comportamento di attaccamento si manifesta più frequentemente nei bambini piccoli. Si manifesta
negli adulti quando si trovano in una situazione in cui di è più vulnerabili (malattie, lutti). Nell’età infantile la spinta
all’attaccamento è dominante, nell’adulto si riduce, si manifesta solo in alcuni momenti. L’attaccamento scatta nelle
relazioni affettive e nella vicinanza e distanza. Nelle relazioni affettive e nelle situazioni di disagio scatta il modello
operativo mentale dell’attaccamento (modello operativo interno, M.O.I.), non è detto che il M.O.I coincida con la
struttura della personalità.
Un sistema di controllo di tipo cibernetico con lo scopo di mantenere un equlibrio omeostatico tra vicinanza ed
esplorazione. Teoria generale dei sistemi: così come avviene nei sistemi di altro tipo, anche in quello madre –
bambino, c’è un continuo scambio di azioni e retroazioni. È qualcosa che si organizza in modo specifico affinchè la
madre possa esercitare un controllo (vicinanza) e il b. possa esplorare. Questo avviene in quello che viene chiamato
attaccamento sicuro: equilibrio tra vicinanza e possibilità di esplorare il mondo, di allontanarsi dalla madre senza
angoscia. Equilibrio ottimale = equilibrio omeostatico (continuo aggiustamento e progressivo adattamento reciproco).
Comportamento orientato ad uno scopo comune: la sopravvivenza e il successo riproduttivo. Aspetto importante:
l’attaccamento non dipende solo dall’adulto ma anche dal bambino. I segnali precoci quali pianto, sorriso, sono
richiami per ottenere attenzione e protezione. Anche la conformazione fisica del piccolo è orientata a questi scopi:
testa grande, occhi tondi, viso e corpo paffuti.
Fasi dello sviluppo del legame di attaccamento
0 – 2 mesi: Contatto e prossimità non selettive.
3 – 6 mesi: orientamento verso le figure familiari.
6 – 24 mesi: segnali di mantenimento della vicinanza. Paura dell’estraneo.
24 mesi - …: intenzionalità e reciprocità del rapporto madre – bambino. Relazione basata sul set – goal (scopo
programmato)
dopo i 3 – 4 anni la t.d’a. si fonde con una teoria più generale sui legami affettivi.
Comportamento di attaccamento
Ogni singola azione che si manifesta nelle persone e che riesce a far in modo che l’altro si avvicini o mantenga la
vicinanza come conseguenza di questo comportamento. Abbiamo comportamenti di attaccamento da parte del
bambino e degli adulti. Nel 1° anno di vita i comportamenti d’attaccamento sono a carico degli adulti che devono
cogliere i segnali di attaccamento (pianto, sorriso, lamento, manifestazione di disagio) e rispondere in modo adeguato,
ma questo non avviene sempre. Questo legame che si compone di segnali e capacità di rispondervi implica la
progressiva ricerca di un adulto preferenziale (attaccamento monotropico, verso una figura preferenziale). Non c’è un
riconoscimento dovuto al legame di sangue, il bambino si attacca a una persona con cui è in relazione. Per il bambino
l’attaccamento deve essere gerarchicamente costruito per un buon sviluppo: effetto base sicura. È l’atmosfera che si
crea tra il bambino e la figura d’attaccamento che implica sicurezza per poter esplorare l’ambiente. Se il bambino è
sicuro che qualcuno può: sostenerlo, rassicurarlo, consolarlo, diventa allora più autonomo.
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Sistema di attaccamento
Frutto dell’interazione tra la figura d’attaccamento e il bambino. È una relazione dalla quale emergono le tipologie di
attaccamento. Non dipende solo dai segnali emessi dai bambini ma anche dalle risposte della figura di attaccamento.
In realtà, il monotropismo di Bowlby dà alla teoria dell’attaccamento una sfumatura di determinismo, sarebbe più
corretto parlare di diverse figure d’attaccamento, di diverse figure alle quali il b. fa riferimento nel suo sviluppo in
modo preferenziale.
Critiche al monotropismo: sembrerebbe che il destino del b. sia segnato dalla relazione che instaura nell’infanzia con la
figura d’attaccamento, in realtà è stato dimostrato che esperienze successive, magari positive, possono incidere sui
risultati di un attaccamento negativo. Es. bambini che hanno avuto attaccamenti negativi se vengono dati in adozione
possono sviluppare attaccamenti positivi.
Tipologie di attaccamento
PATTERN A: ATTACCAMENTO INSICURO EVITANTE
Madre: insensibile ai segnali del bambino, rifiutante sul piano del contatto fisico. Tratta il bambino come un bambino
che deve imparare a cavarsela da solo.
Bambino: non ha fiducia in una risposta adeguata da parte della madre. Distacco, evitamento del contatto. Eccesso di
autonomia, indifferenza alla separazione. Spostamento di attenzione organizzato: interesse nell’ambiente,
disattivazione o repressione del comportamento d’attaccamento.
Disinteresse apparente del bambino nei confronti della madre. Non è vero che la separazione gli è indifferente, mette
in atto una sorta di difesa. Sul piano fisiologico il b. sente lo stress e il disagio ma sul piano comportamentale non si
vede per niente. Maggior interesse ai giochi, minor interesse alle relazioni, alle figure umane. Si parla di spostamento
di attenzione organizzato: quando la madre torna il b. si irrigidisce, impara che deve cavarsela da solo. Attaccamento
più frequente nelle culture nordiche.
Focus attentivo: mondo degli oggetti (per distanziarsi da ciò che provoca disagio).
PATTERN B: ATTACCAMENTO SICURO
Madre: sensibile alle richieste e ai segnali di disagio del bambino.
Bambino: equilibrio tra vicinanza ed esplorazione, sicurezza interna e fiducia, mostra segni di disagio alla separazione,
ma al ritorno della madre si lascia consolare.
Tendenza a non farsi consolare da un estraneo. Legame preferenziale con la madre. Manifesta un normale disagio
quando la madre se ne va, disagio che scompare quando la madre torna. Mostra di desiderare la vicinanza della figura
d’attaccamento. La madre è responsiva, è capace di rispondere bene ai bisogni affettivi, di protezione del b.
Attenzione, la madre non dà al b. tutto quello che lui vuole ma tutto quello di cui ha bisogno!! Il b. è capace di
esplorare e di giocare, c’è equilibrio tra attaccamento ed esplorazione grazie al fatto che il b. si sente sicuro: se
dovesse aver bisogno, ci sarà sicuramente qualcuno ad aiutarlo, così è libero di spingersi verso il mondo.
PATTERN C: ATTACCAMENTO INSICURO ANSIOSO AMBIVALENTE
Madre: imprevedibile nelle risposte dettate più dai suoi bisogni che da quelli del bambino.
Bambino: incerto rispetto alla disponibilità materna, non riesce ad utilizzarla come base sicura e ne è assorbito
completamente. Forte disagio alla separazione, inconsolabile al ritorno della madre. Il b. protesta quando la madre se
ne va e quando torna può avere due tipi di reazioni: o si arrabbia, è in collera con lei perché l’ha “abbandonato”(collera
disfunzionale, non serve a nulla) oppure piange ininterrottamente, è inconsolabile. Il b. non esplora l’ambiente. B. che
hanno stabilito un legame con la figura d’attaccamento discontinuo perché la figura d’attaccamento è imprevedibile nel
modo di cogliere, organizzare e rispondere alle richieste del b. La madre è imprevedibile tanto che a volte quando il b.
è lì tranquillo lei va da lui e lo coccola mentre quando lui ha bisogno lei è fredda. Focus attentivo: madre. Sono
assorbiti dalla figura d’attaccamento ma non riescono ad usarla come base sicura, tipici b. sempre appiccicati alla
gonna della madre. B. che vorrebbero una madre capace di essere sempre un punto di riferimento, ambivalenza molto
forte. B. “parentifiati”, assumono il ruolo dell’adulto. Sono quelli che saranno da grandi molto gelosi.
PATTERN D: ATTACCAMENTO DISORGANIZZATO
Madre: dominata da esperienze traumatiche irrisolte, non risponde alle richieste del bambino.
Bambino: non dispone di strategie stabili. Comportamenti contraddittori, azioni mal dirette, congelamento, immobilità,
azioni stereotipate e asimmetriche, disorientamento.
A partire dagli anni ’80 alcuni ricercatori dopo aver effettuato una serie di registrazioni della strange situation si sono
resi conto che per alcuni b. non era possibile parlare di una delle tre tipologie (a, b, c). si parla di bambini che derivano
da famiglie a rischio o maltrattanti. Si sono allora rianalizzati per cercare ridondanze (ripetizioni), utili per classificarli
in una nuova tipologia.
Due autrici hanno fornito spiegazioni leggermente diverse di questo tipo di attaccamento:
Mary Main: nei b. disorganizzati ci sono svariati comportamenti contraddittori che sono l’espressione di due forze: ad
avvicinarsi e ad evitare. Non c’è quindi un nucleo organizzato. Ipotesi che ha avuto più credito.
Patricia Crittenden: i comportamenti contradditori di questi b. sono comunque comportamenti organizzati, coerenti.
Secondo lei questi b. presentano forme miste di attaccamenti organizzati con in più un costante stato di allerta.
Si tratta comunque di un attaccamento negativo che fa correre il rischio di evoluzioni psicopatologiche, questo tipo di
attaccamento è connesso ad una relazione con una figura d’attaccamento maltrattante, traumatizzata o con
psicopatologie.
Si tratta di adulti spaventati e spaventanti (vedono irrompere nuclei di emozioni che li spaventano e reagiscono
trasmettendo paura, non rassicurando e maltrattando). L’attaccamento è una spinta biologica alla protezione, qui la
protezione non esiste!! Il b. non sa se avvicinarsi o allontanarsi perché non ha la certezza di poter essere protetto.
Pattern comportamentale nella strange sitution descritto da Mary Main:
incoerenza nei b. tra il forte sconforto per la separazione dalla madre e il basso livello di ricerca di contatto alla
riunione.
Attenzione maggiore all’estraneo
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Comportamenti contraddittori in successione, per esempio correre verso la madre a braccia aperte e poi bloccarsi
improvvisamente, voltarsi e stare in silenzio.
Comportamenti contraddittori simultanei, per esempio il b. sta seduto in braccio al genitore ma non lo guarda, evita lo
sguardo.
I b. non riescono a relazionarsi alla figura d’attaccamento, a rispondere ai suoi segnali, come se a un certo punto
distogliessero l'attenzione.
Presenza di movimenti, espressioni, comportamenti incompleti
Azioni dirette erroneamente (es. il b. piange tanto quando se ne va l’estraneo)
B. che protestano quando la m. se ne va ma quando si chiude la porta sorridono.
Presenza di movimenti stereotipati.
Nei figli di madri depresse sono state osservate difficoltà nei movimenti, movimenti rallentati, come se non si avessero
le forze per compierli.
Paura manifestata esplicitamente nei confronti dei genitori maltrattanti.
I b. disorganizzati non hanno tutte queste caratteristiche insieme, si tratta di indicatori che durano qualche secondo.
Un’autrice italiana, Grazia Attili, ha dato una spiegazione interessante in termini di ontogenesi e filogenesi
dell’attaccamento disorganizzato comparandolo al comportamento animale. Quando un animale ha paura scappa, se la
fuga è impedita, allora si “congela”, si ferma immobile quasi a volersi rendere “invisibile”, avviene anche un cut off
percettivo, per es. chiudono gli occhi, si voltano, distolgono lo sguardo, gesti che servono da un lato a “fuggire” dalla
situazione e dall’altro a non dare segnali che potrebbero peggiorare l’aggressione.
Tutti questi comportamenti sono visibili anche nel b. disorganizzato, solo che nel b. c’è anche una spinta
all’attaccamento naturale che rende quindi contaddittori i suoi comportamenti.
N.B. le forme d’attaccamento non sono mai presenti in modo puro, c’è di solito una tendenza verso una delle tipologie
(A, B, C). se questa tendenza non c’è si parla di tipologia D.
Modelli operativi interni
La teoria dell’attaccamento ipotizza la continuità dell’attaccamento nel tempo, grazie alla creazione di modelli mentali
delle figure affettive e di Sé che funzionano come prototipo delle relazioni future.
I M.O.I. sono costrutti rappresentazionali di sé e dell’altro. Si costituiscono sulla base delle rappresentazioni che
l’individuo si è fatto all’interno della relazione con la figura d’attaccamento. I M.O.I. sono legati a come le persone
vedono le relazioni affettive. Come si costituiscono i M.O.I.? si costituiscono sulla base della progressiva integrazione
tra memoria episodica e semantica.
Episodica: si riferisce al ricordo di specifici eventi. È quello che rimane impresso nella memoria delle singole
esperienze. Si tratta degli elementi reali dell’esperienza.
Semantica: memoria dei significati di alcuni aspetti del mondo che ci siamo costruiti durante la vita. Es. qual è il
compleanno più bello (che voi giudicate più bello) che ricordate della vostra vita?
Contribuiscono entrambe a formare le rappresentazioni tipiche dei modelli operativi interni dei legami d’attaccamento.
L’interazione con la figura d’attaccamento + l’opinione che abbiamo su di essa = rappresentazione che ci facciamo di
noi e degli altri nei M.O.I. quindi la teoria dell’attaccamento spiega in parte anche le relazioni sociali.
Attaccamento sicuro
Idea di sé: senso di essere degno d’amore, ha la sicurezza che le proprie esigenze saranno soddisfatte.
Figura d’attaccamento: disponibile e rispondente in modo coerente.
Attaccamento insicuro
Idea di sé: senso di non essere degno d’amore, incapacità di esprimere le emozioni in modo adeguato.
Figura d’attaccamento: non disponibile alle richieste, rifiutante, ostile.
Attaccamento disorganizzato
Non vi è M.O.I. il modello di sé è un modello in cui coesistono molteplici rappresentazioni non coerenti e frammentate,
questo perché la figura d’attaccamento è a volte ostile, a volte vittima, a volte maltrattante, assente o trascurante.
Immagini multiple della figura d’attaccamento che non permettono un’organizzazione del legame coerente e quindi
anche una rappresentazione di sé coerente. Il b. si sente mostruoso, malvagio, vittima ma allo stesso tempo salvatore
della figura d’attaccamento, colpevole, incapace, colpa empatica (sentire la sofferenza dell’altro e sentirsi in colpa
perché non si riesce a far niente)
Determinismo della teoria dell’attaccamento
Bowlby era molto interessato alla terapia, la teoria dell’attaccamento ha dato luogo a filoni di psicoterapia orientata
allo studio delle relazioni. Interesse a promuovere il cambiamento attraverso la terapia. La teoria dell’attaccamento
vede il cambiamento come un cambiamento dei M.O.I. I M.O.I. si compongono di 3 livelli ordinati gerarchicamente:
I LIVELLO: Previsione dell’esito del rapporto. Livello molto primitivo, sorta d’impressione più che di spiegazione
cognitiva. Sensazione di poter essere accettati o meno che connota la propria esperienza e quella interpersonale.
Rappresenta un’aspettativa di essere accettati o rifiutati ed è qualcosa di estremamente radicato in noi, indipendente
dall’esperienza esterna.
bambino e adulto con attaccamento sicuro: accettazione degli altri (è una sorta di percezione che hanno che nella
relazione con gli altri ci sarà accettazione, perché è quello che hanno sperimentato ad un livello veramente arcaico).
B. e a. con att. insicuro evitante: incerti tra accettazione e rifiuto.
B. e a. con att. insicuro ambivalente: parte dall’idea che devono fare delle cose per farsi accettare se no verranno
rifiutati.
B. e a. con att. disorganizzato: modello della figura d’attaccamento: minacciosa, debole e indifesa, non trasmette
sicurezza. Modello del sé: accettabile, vittima, pericolosa, mostruosa, malvagia, salvatore onnipotente di una figura di
attaccamento debole. Questa categoria ha gravi problemi psichici dovuti alla compresenza di caratteristiche
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contrastanti. La percezione dell’esito del rapporto con gli altri è caratterizzato da: percezione di rifiuto e ostilità.
Nell’esito del rapporto con gli altri non solo si è rifiutati ma c’è una percezione di pericolo incombente.
II LIVELLO: è di tipo più cognitivo. La spiegazione della previsione dell’esito di un rapporto è già un ragionamento, ciò
implica la valutazione delle caratteristiche di sé dove cerca una spiegazione del perché si sente più o meno accettato.
Cioè quali caratteristiche di sé, nell’interazione portano reazioni negli altri.
III LIVELLO: riguarda le strategie utilizzate per mantenere la massima prevedibilità sull’esito del rapporto.
In tutti i modelli di attaccamento descritti i M.O.I. si formano prima in relazione a come l’individuo vede l’altro, poi sé
stesso.
Il livello più difficile da cambiare anche tramite la terapia è il primo perché è il più radicato, gli altri 2 invece possono
essere modificati con un buon lavoro di rielaborazione.
La teoria dell’attaccamento rimane comunque deterministica perché non si può ottenere un cambiamento a tutti i
livelli. Secondo alcuni, i M.O.I. non si determinano nell’infanzia e non si possono più cambiare, alcuni pensano che il
problema derivi dal contesto in cui questi modelli hanno continuato a svilupparsi. Non è tanto l’evento traumatico
dell’infanzia a determinare un attaccamento disorganizzato, bensì il contesto in cui il b. ha continuato a vivere (sempre
con genitori maltrattanti ecc…)
Continuita dell’attaccamento
I b. osservati nella Strange Situation e classificati sono poi stati riesaminati a distanza di tempo con altri strumenti:
disegno, modo di raccontare, foto.
Bambino a 7 anni (età scolare)
Ricerca di Follow up longitudinale: analisi di storie di bambini che devono affrontare una separazione.
BAMBINI EVITANTI
Hanno la tendenza a evitare i genitori anche se in maniera più sottile rispetto a quando erano più piccoli. Fingono di
cercare qualcosa, fanno finta di disinteressarsi ai genitori. Di fronte a vignette in cui sono rappresentate situazioni di
separazione sottolineano una fine pessimistica (il genitore non torna, incapacità di far fronte alla situazione) anche se
colgono congruamente come i bambini sicuri gli stati emotivi del bambino della vignetta.. Si rileva l’ineluttabilità della
situazione, non vengono proposte soluzioni per stare meglio. Sono b. ancorati alla realtà, non negano che quello che
stanno vedendo è triste ma non hanno risorse per risolverlo. Nel disegno disegnano figure familiari sorridenti ma dai
contorni imprecisi (appaiono distanti l’uno dall’altro e fluttuano nell’aria). Si rifiutano di guardare una fotografia della
famiglia, raccontano in modo meno fluente, con pause, risposte laconiche poco argomentate. I genitori di questi b.
parlano in modo retorico: ponendo domande che presupponevano già una risposta sicura.
BAMBINI SICURI
Sono b. che parlano di più con i genitori, manifestano di più il contatto fisico affettivo. Di fronte alla vignetta,
affrontano la situazione in modo costruttivo (troverà un altro parente con cui andare a stare, chiamerà un amico se
non c’è la mamma…) propongono soluzioni che fanno stare meglio. Risposta a stimoli di separazione cogliendo anche
le emozioni e offrono soluzioni costruttive. B. pieno di risorse, capacità di trovare il modo di stare bene. Raccontano
storie che finiscono bene, hanno aspettative che le cose andranno bene. Nei disegni le componenti della famiglia sono
fatte bene, i piedi sono piantati per terra, non fluttuano. È un disegno pieno di persone e oggetti. Guardano,
raccontano e spiegano la fotografia. Conversazione con i genitori fluida.
BAMBINI AMBIVALENTI
Nel commentare le vignette di separazione tendono ad esagerare, esprimono emozioni negative e tendono a vivere in
modo negativo la separazione. Non molto creativi nel trovare soluzioni, non vogliono allontanarsi dai genitori. I disegni
dei familiari sono o molto grandi o molto piccoli, le persone sono poste vicino in modo insolito. Le collocazioni sono
espresse attraverso le posture. Racconto interrotto, come se perdessero il filo del discorso come se vi fosse un
sovraffollamento emotivo. Parlano dei personaggi nella foto provando emozioni diverse e non sempre coerenti.
Tendono a manifestare le caratteristiche dei bambini piccoli (parlano con la vocina…), prima si avvicinano
esageratamente ai genitori e poi vogliono colpirli, l’ambivalenza è molto forte. Gli adulti sono sempre molto indaffarati.
BAMBINI DISORGANIZZATI
Caratteristiche generali:
atteggiamento di controllo
inversione di ruolo
direttivi e punitivi oppure…
…solleciti e accudenti.
Manifestano incertezza, sono controllanti e manifestano inversione di ruolo (mettersi al posto di…). Manifestano la
tendenza controllante tramite l’inversione di ruolo, cioè facendo ciò che dovrebbe fare l’adulto però lo fanno male.
Hanno paura, sono in continuo stato di allerta. Nel disegno questo viene manifestato con contenuti catastrofici (figure
d’attaccamento ferite, uccise, b. chiuso in una stanza, situazioni di pericolo per sé e per gli altri). Le risposte alle
vignette sono caratterizzate dal fatto di non riuscire a dare delle spiegazioni a quello che accade. Come se non
esistesse il concetto di causa – effetto. Nelle valutazioni e risposte alle vignette di separazione vivono fantasie da
incubo. Il b. non sa attribuire al protagonista della storia la capacità di chiedere aiuto. Disegno: spesso lo straccia, non
gli piace come è venuto. Si tratta di b. che hanno difficoltà a fidarsi, temono che gli possa accadere qualche cosa di
drammatico. È importante non solo il contenuto ma il modo in cui raccontano. Di fronte alla foto della famiglia non
hanno un rifiuto ma sono affascinati da queste immagini del gruppo familiare che non riescono a vivere serenamente
ma di cui avrebbero bisogno, altri b. invece la stracciano La conversazione non è fluente: intoppi, false partenze,
balbuzie. Troppo spesso è quasi esclusivamente focalizzata sulla relazione, nell’interazione perde il controllo e in alcuni
casi si rifiuta di verbalizzare.
Attaccamento adulto
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Per analizzare l’attaccamento degli adulti Mary Main e Salomon hanno messo a punto una tecnica che ancora oggi non
è molto diffusa perchè è molto complessa e richiede una grande preparazione (ci vuole un patentino per usarla). Si
tratta dell’Adult Attachment Interview, un’intervista molto complessa, fatta sotto forma di colloquio, videoregistrata.
L’analisi viene eseguita sulla base non solo del contenuto dei racconti ma anche e soprattutto sulla coerenza, sulle
pause e sulle ripetizioni fatte durante il racconto. Non si tratta più di analizzare i fatti nel momento in cui accadono
come nella Strange Situation, si tratta di analizzare l’elaborazione dell’esperienza eseguita da chi racconta. Per questo
motivo non siamo autorizzati, per esempio, a dire che un adulto che racconta vissuti di maltrattamenti ha
necessariamente un attaccamento insicuro o disorganizzato, può benissimo essere che egli sia riuscito nel tempo a
elaborare gli eventi, a eseguire una metacognizione (dare una spiegazione) e quindi potrebbe avere lo stesso un
attaccamento sicuro. Ecco qui il superamento del determinismo della teoria dell’attaccamento. [Ricerca psicosociale di
Bexer parla dell’importanza della narrazione e della parola ai fini della salute psicofisica. I traumi fanno male ma ciò
che è peggio è il non riuscire a sfogarsi, il rimuginarci inutilmente. Nel raccontare si organizza l’esperienza vissuta e gli
si dà un significato. Le emozioni che emergono nel raccontare un episodio vengono elaborate.]
Classificazione (per comodità usiamo la stessa terminologia usata nel descrivere l’attaccamento infantile):
Sicuri
Equilibrati sia nel chiedere che nel dare aiuto. Non c’è la paura di fidarsi.
Hanno un’immagine di sé amabile. Considerano gli altri avvicinabili, tendenzialmente ben intenzionati ma non li
idealizzano (ne vedono gli aspetti negativi, capacità di difendersi dagli altri).
La relazione con il partner non è idealizzata (riesce a distaccarsene se non è compatibile), coglie i propri stati emotivi,
valuta con realismo.
Si esprime nel racconto in modo coerente, fornisce spiegazioni adeguate ma non prolisse, non fa differenza fra
memoria episodica e semantica.
Nella relazione affettiva è flessibile, capace di reciprocità e impegno con flessibilità di ruoli. Tendenza a evitare
l’idealizzazione o per lo meno a riconoscerla. Accettazione dei difetti.
Rapporto d’amore imperniato anche di amicizia! Fanno riferimento nei momenti di stress forte alle persone che amano.
In situazioni conflittuali tende a ragionare, parlare, mediare.
Timore di rottura contenuto e controllabile.
Evitanti
Percezione di sé autonomo indipendente dagli altri nelle relazioni affettive, non chiede e non dà aiuto.
Manifestano disagio quando devono dipendere e non vogliono che l’altro si attacchi troppo.
Enfatizzano il controllo della situazione, inibisce l’espressione delle emozioni, pensa che gli altri siano inavvicinabili, è
più diffidente,
Tendono a sminuire la propria infanzia, quando ne parlano la idealizzano nel senso che dicono che le cose negative li
hanno portati ad essere quello che sono ma non ricordano precisamente. Le esperienze pregresse hanno poca
influenza sul presente (secondo loro)
I rapporti sentimentali vengono declinati verso l’amicizia, no coinvolgimento.
Le esperienze di abbandono vengono fortemente sottovalutate, soffrono apparentemente meno se vengono lasciati,
controllo apparente, non tentano di riconquistare l’altro.
Ambivalenti
Costante bisogno di contatto fisico, dipendenza dal partner, hanno l’impressione che gli altri siano riluttanti ad
avvicinarsi a loro, si sentono sottostimati e incompresi nelle relazioni.
Si giudicano più ricchi affettivamente in realtà si tratta solo di un affetto esagerato.
Mettono costantemente alla prova il partner.
Hanno rancori nei confronti della famiglia d’origine, ma vogliono anche essere accettati (ambivalenza).
Si orientano verso partner evitanti che non fanno altro che confermare la loro impressione di essere rifiutati.
Forte preoccupazione d’essere abbandonati, affettività inappagata, amicizia e stima contano poco, spesso sono
persecutori, sono molto sospettosi, gelosi, possessivi.
Percepiscono una minima richiesta di autonomia come una rottura.
Disorganizzati
Non è stato studiato.
Critiche sulle teorie dell’attaccamento
Criticato in modo particolare il determinismo della teoria, in realtà, l’attaccamento infantile non influenza tutta la vita
futura, molto dipende dall’ambiente familiare in cui il bambino continua a crescere. Un bambino nato in una famiglia
maltrattante avrà un attaccamento insicuro o disorganizzato da adulto solo se il contesto maltrattante sarà stato
continuativo anche dopo i primi anni. Così pure un bambino che ha ricevuto tutte le cure necessarie da piccolo non è
detto che da adulto mantenga un attaccamento sicuro.
Molto criticato anche il concetto di monotropismo: attaccamento preferenziale verso una figura d’attaccamento. Le
figure d’attaccamento possono essere diverse.
L’ADOLESCENZA (8)
LA TRANSIZIONE ADOLESCENZIALE: ASPETTI GENERALI
Adolescenza: periodo di transizione tra infanzia e età adulta. In termini strettamente cronologici l’inizio
dell’adolescenza può essere collocato all’incirca tra i 10 e i 12 anni nelle femmine e tra i 11 e 13 anni nei maschi. La
conclusione invece viene fatta coincidere per entrambi ai 18 anni. Studi dei primi del ‘900 in Europa e Stati Uniti.
Hall: considerato il padre della ricerca scientifica sull’adolescenza. Identifica nelle trasformazioni fisiche e biologiche e
nei turbamenti emotivi che ne conseguono il punto di avvio del passaggio dal mondo del b. a quello dell’adolescente.
Differenza tra pubertà e adolescenza. Pubertà: fenomeno universale che segnala il passaggio dalla condizione
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fisiologica del b. alla condizione fisiologica dell’adulto. Adolescenza: passaggio dallo status sociale del b. a quello
dell’adulto che varia per durata, qualità e significato da una civiltà all’altra e all’interno di ciascuna.
Differenza tra preadolescenza e adolescenza. Preadolescenza: fascia di età tra gli 11 e i 14 anni. Vengono affrontati
problemi nuovi legati alla crescita fisica, all’identità corporea, alla definizione sessuale che spesso si impongono con
evidenza e improvvisamente prima che si sia in grado di elaborarli. Adolescenza: fascia di età tra i 15 e i 18 anni.
Maturano le capacità di analisi e introspezione, la definizione della propria identità, dei valòori e delle scelte, che
consentono una progressiva riorganizzazione.
Carattere relativo e non universale dell’adolescenza. Essa viene diversamente rappresentata a seconda della cultura e
della appartenenza sociale. Mentre Hall definiva l’adolescenza come una fase turbolenta e problematica per la presenza
di espressioni tipiche e costanti connesse ai cambiamenti biologici, Mead ha mostrato come gli sconvolgimenti
adolescenziali siano un prodotto culturale. Importante è anche l’influenza familiare, sociale e culturale.
Un ultimo aspetto da sottolineare è il fatto che non sempre l’adolescenza è una fase conflittuale (come si riteneva un
tempo). Sebbene i cambiamenti siano molti, importanti e spesso improvvisi, nella maggior parte dei casi, essi non si
esprimono in forme negative o patologiche.
Havighurst indica i diversi problemi che l’adolescente incontra chiamandoli “compiti di sviluppo”. Vedi tab. pag. 222. I
cambiamenti personali, psicologici e sociali si avviano a partire dalla maturazione fisica e biologica ma questo non
significa che i fenomeni biologici in sé siano la fonte diretta o la causa di eventuali conflitti o problemi.
CAMBIAMENTI SOMATICI NELL’ADOLESCENZA: LA PUBERTÀ
Fase prepuberale: inizia uno o due anni prima della pubertà. Iniziano a manifestarsi alcune lievi modificazioni corporee
caratterizzate da arrotondamento delle forme, leggero aumento di peso.
Fase puberale: le modificazioni saranno più evidenti e improvvise: cambiamenti rapidi e, a volte, disarmonici. Aumento
del peso e dell’altezza (scatto di crescita), maturazione dei caratteri sessuali (differenziazione sessuale).
Femmine: sviluppo del seno, primi peli pubici, arrotondamento dei fianchi, comparsa del menarca (primo ciclo
mestruale). Maschi: crescita dei testicoli e del pene, primi peli pubici, prima eiaculazione, modificazione della voce e
crescita della barba.
Fase postpuberale e tarda adolescenza: i mutamenti sono meno evidenti e proseguono portando a compimento la
diffusione della peluria, lo sviluppo dei tessuti sottocutanei e lo stabilizzarsi della forza muscolare. Esiste un’ampia
variabilità individuale nello sviluppo puberale, dovuto essenzialmente a fattori genetici e a fattori ambientali
(alimentazione scarsa o inadeguata).
Effetto dei cambiamenti corporei
Le rapide trasformazioni fisiche rendono all’improvviso sconosciuto il proprio corpo e questo mutamento scuote
necessariamente la fiducia dell’individuo circa la stabilità del terreno su cui poggia. La consapevolezza dei mutamenti
corporei è però anche motivo di orgoglio per la percezione di distanza dal mondo dell’infanzia e di progressiva
appartenenza a quello degli adulti.
I cambiamenti avvengono a diverse età nei diversi soggetti e questo causa a volte problemi di adattamento dovuti al
confronto naturale con i coetanei. Effetti psicologici di una maturazione sessuale precoce. Maschi: propensione ad
assumere un ruolo di responsabilità e di leadership, determinando una maggiore fiducia in se stessi e senso di
sicurezza. Femmine: effetti meno duraturi nel tempo. Tendenza ad aggregarsi a gruppi di età maggiore, appaiono
indipendenti e sicure di sé, ma anche più propense ad assumere comportamenti adultizzati a volte di tipo antisociale.
In generale comunque, si nota un bisogno tipico dell’adolescente di comprendere ed assimilare le modificazioni fisiche
attraverso il continuo ricorso alla propria immagine allo specchio e anche attraverso il confronto con gli altri. La
mentalizzazione del corpo, intesa come riflessione sul corpo, provoca a volte paure piuttosto comuni
nell’adolescenza che poi scompaiono con l’acquisizione della definizione della propria identità e con lo stabilizzarsi della
crescita. Fra queste paure: dismorfofobia (convinzione di avere qualcosa di anomalo nel proprio aspetto a cui si
associa il pensiero di apparire brutti). Timore ipocondriaco di essere portatori di malattie fisiche o psicologiche.
Lo sviluppo delle pulsioni libidiche
Prospettiva psicoanalitica: ruolo di attivatore delle energie istintuali alla pubertà (Anna Freud, Peter Blos...). La
concezione di adolescenza come fase turbolenta deriva essenzialmente dalla concezione psicoanalitica, la quale lascia
però sullo sfondo le dinamiche socio – culturali dando maggior rilievo alle sole dinamiche intrapsichiche e istintuali.
Secondo Freud, l’adolescenza equivale alla conquista della genitalità: se finora la pulsione sessuale era
fondamentalmente autoerotica, ora trova l’oggetto sessuale. Le pulsioni hanno la tendenza a riemergere di continuo,
per questo è necessario il ricorso da parte dell’Io di meccanismi di difesa quali la rimozione ecc…l’esito positivo di
questa crisi è l’organizzazione della sessualità matura e genitale e la subordinazione delle pulsioni all’affettività.
Secondo Anna F., dall’esito del conflitto tra le istanze dell’Es e le funzioni dell’Io dipenderà la formazione di sintomi
nevrotici o la strutturazione armonica della personalità. Tra le difese tipiche dell’adolescenza troviamo: ascetismo
(rinuncia ad ogni piacere dei sensi per dedicarsi a ideali religiosi e morali) e intellettualizzazione (spostamento degli
affetti alle discussioni intellettuali in modo da poter affrontare il conflitto intrapsichico).
Secondo Blos, vi sono 5 fasi dell’evoluzione adolescenziale:
preadolescenza
prima adolescenza
adolescenza vera e propria
tarda adolescenza
post – adolescenza
dal superamento delle diverse fasi dipenderà la costituzione di relazione oggettuali mature.
L’IDENTITÀ ADOLESCENZIALE
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Due principali aspetti: idea che un individuo ha di sé (senso di identità / sé ideale) e ciò che l’individuo è (sé reale).
Nella formazione del senso di identità, appaiono 3 modi differenti di conoscenza che si esprimono: nell’idea di sé
cercata (in cui i ragazzi si impegnano nella ricerca di esperienze nelle quali mettersi alla prova, interesse per la vita di
relazione, emozioni, recedono attività note e sicurezza familiare) e nell’idea di sé riflessa (ricerca di una maggiore
coerenza in cui si intreccino le qualità personali con le esperienze fatte. Immagine di sé = esperienze passate +
aspettative future).
Il modello di Erikson
Cerca di coniugare la prospettiva sociologica con quella antropologica e con quella psicoanalitica. Il fulcro della siua
concezione si basa sul concetto di crisi di identità. Importanza dei rapporti tra funzioni dell’Io, relazioni interpersonali,
modalità di allevamento, caratteristiche socioculturali dell’ambiente più ampio. La ricerca dell’identità è un bisogno che
si manifesta maggiormente nell’adolescenza. La crescita è vista come un processo evolutivo contrassegnato da
momenti critici. Schema in 8 stadi. Vedi tab.8.2 pag. 229. Erikson parla di identità dell’Io e delle sue funzioni di
mediatore tra le spinte dell’Es e quelle dell’ambiente. La percezione della propria continuità nel tempo e nello spazio e
il simultaneo riconoscimento di tale continuità da parte degli altri, rappresenta il sentimento cosciente di avere
un’identità personale.
Il periodo adolescenziale è dominato dalla tensione fra identità e dispersione dell’identità ed è caratterizzato dalla
messa in discussione di tutte le conquiste precedenti. Da un lato l’individuo si trova a dover abbandonare alcuni
modelli di identificazione del passato, dall’altro, deve scegliere cosa essere e cosa diventare in base ai suoi valori, alle
opportunità e alle capacità. In questa fase il pericolo è quello di confondere il proprio ruolo, di non riuscire ad integrare
in una sintesi originale le proprie identificazioni e i propri ruoli nelle diverse situazioni. Si parla in questo caso di
identità diffusa (personalità frammentaria che non si fonda su un solido nucleo aggregante).
Si parla anche di identità negativa, ricerca di un’identità fondata su quelle identificazioni e quei ruoli che , sebbene
socialmente indesiderabili e pericolosi, vengono comunque privilegiati.
Se la crisi d’identità si conclude positivamente, il risultato sarà: coerenza e continuità (stabilità interna pur al variare
delle esperienze), accettazione dei propri limiti, senso di reciprocità (coerenza tra immagine di sé auto ed etero
percepita).
Stati di identità
Marcia ha cercato di operazionalizzare il modello di Erikson sottoponendolo al vaglio della ricerca empirica. Ha così
definito 4 principali stati d’identità: diffusione, esclusione, moratoria e raggiungimento dell’identità. Questi stati
derivano dall’intersecarsi di impegno e esperienza: nella vita dell’adolescente si affacciano nuove esperienze che
possono essere affrontate con maggiore p minore impegno e ogni tipo di impegno si concretizza in uno stato di
identità.
identità realizzata: esperienza positiva + valido impegno.
blocchi d’identità: troppa pressione verso impegni seri che impedisce la sperimentazione.
diffusione d’identità: esplorazione incerta + impegno poco soddisfacente. L’individuo non ha scelto.
moratoria dell’identità: situazione di stallo. L’individuo non sa operare una scelta.
Alcuni autori hanno criticato il concetto di crisi d’identità. Le crisi, secondo questi autori, possono essere
contemporanee e non sequenziali. Ogni adolescente può trovarsi a dover affrontare diverse crisi e dall’intrecciarsi dei
risultati di queste crisi deriverà l’identità.
LO SVILUPPO COGNITIVO DELL’ADOLESCENTE: IL PENSIERO OPERATORIO FORMALE
Lo sviluppo dell’adolescenza è strettamente legato allo sviluppo del pensiero astratto, della capacità di pensae in
termini di possibilità anziché di semplice realtà concreta. Si tratta di un pensiero:
ipotetico – deduttivo: capacità di formulare ipotesi e di effettuare deduzioni.
analisi combinatoria: capacità di comprendere le diverse possibilità, le diverse combinazioni.
pensiero proposizionale: capacità di usare la logica delle proposizioni.
Inhelder e Piaget hanno studiato i meccanismi di ragionamento logico utilizzati dai giovani con l’ausilio di esperimentio
di scienze naturali quali il pendolo, le ombre, le reazioni chimiche ecc…
Le capacità di astrazione fanno percepire all’adolescente il senso del potere del pensiero. L’adolescente scopre il
piacere della discussione e dell’esercizio delle capacità critiche. L’esercizio del pensiero si esplica anche nella
propensione a sottoporre ad una critica serrata alle proprie e altrui opinioni, elementi che favoriscono l’introspezione e
la coscienza di sé. Capacità di adottare la prospettiva altrui. Bruner, parla di pensiero narrativo insieme a quello
astratto, pensiero che si evolve nel corso dello sviluppo e in adolescenza consente la produzione di storie dalla trama
complessa.
Il pensiero operatorio formale. Revisione critica
Neopiagetiani: preferiscono l’approccio dell’elaborazione delle informazioni (HIP). Hanno mostrato che le prestazioni
cognitive degli adolescenti variano in base a variabili contestuali non considerate da Piaget come le conoscenze
pregresse, la modalità di presentazione del compito, le aspettative proprie e degli altri.
Post – piagetiani: il confronto e la discussione facilitano la soluzione di problemi logici. Conflitto cognitivo. Alcune
ricerche poi, hanno messo in discussione l’utilità di concepire il ragionamento logico come centrale nel ragionamento
mentale dell’adolescente. La logica infatti, sottovaluta l’importanza sia di schemi inferenziali diversi daquelli logici
come quelli pragmatici, sia delle regole del pensiero comune. L’impiego di compiti della vita quotidiana facilita la
soluzione di problemi. Esperimento di Johnson – Laird, Legrenzi e Sonnino Legrenzi come revisione dell’esperimento
delle 4 carte di Wason e Johnson – Laird. L’esperimento delle 4 carte: vengono poste su un tavolo 4 carte
contrassegnate ciascuna da un numero pari, una consonante, un numero dispari e una vocale. Ai soggetti, prima
informati che ogni carta possedeva su un lato o un numero o una lettera veniva chiesto quali carte dovessero essere
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girate per decidere se fosse falsa la regola “se c’è una vocale su un lato della carta, sull’altro lato c’è un numero pari”.
La risposta giusta sarebbe stata l’indicazione della carta con il numero dispari e di quella con la vocale. Ma la
maggiranza qui sbaglia indicando solo una delle due risposte corrette poiché i si basa su una procedura verificazionista
anziché falsificazionista. La revisione: 4 buste, due girate dalla parte del mittente (una aperta e una chiusa) e due
girate dalla parte del destinatario (una con un francobollo da 50 lire e l’altra con un francobollo da 40 lire). I
partecipanti dovevano indicare quali buste avrebbero dovuto girare per controllare se fosse falsa la seguente regola
“se una busta è chiusa allora ha un francobollo da 50 lire” la maggioranza dei soggetti dava la risposta corretta
indicando la busta con il francobollo da 40 lire e quella chiusa.
Conclusioni: importanza dei contenuti realistici e familiari. Le strategie del pensiero formale non sono adeguate a
comprendere appieno le modalità attraverso cui si articola lo sviluppo mentale dell’adolescente.
LO SVILUPPO MORALE NELL’ADOLESCENTE
Il ragionamento morale può avvalersi degli strumenti del pensiero formale ed è sostenuto dai progressi conseguiti nel
processo di formazione dell’identità. Morale dalla preadolescenza all’adolescenza (Kohlberg): preadolescenza: livello
convenzionale, nel quale conta il rispetto delle norme socialmente approvate e non più le conseguenze immediate
dell’azione individuale. Adolescenza: livello post – convenzionale, nel quale conta non il rispetto della legge in quanto
tale ma il fatto che essendo stata creata dall’uomo può essere modificata se necessario, in modo che siano garantiti i
diritti universali e individuali. K. Prende poco in considerazione i fattori sociali a favore dei soli fattori cognitivi. I fattori
sociali sono presi in considerazione da alcune ricerche che hanno evidenziato come ad es. uno status socio economico
elevato unito alla professione umanitaria di un genitore (medico) sembra favorire l’adozione di criteri evoluti post –
convenzionali.
Giudizio e comportamento morale
Importanza del piano cognitivo anche se non si può definirla una condizione sufficiente per lo sviluppo morale. Infatti
non si può seguire un principio morale senza capirlo ma il capirlo non implica necessariamente il seguirlo. L’impegno
sociale favorisce l’acquisizione dei valori morali mentre giovani con esperienze delinquenziali rispondono ai dilemmi
morali usando una morale di tipo preconvenzionale. Una ricerca di Fodor ha approfondito l’argomento evidenziando
non solo la tendenza verso una morale preconvenzionale nei giovani deviati ma anche una tendenza al conformismo e
alla pressione sociale. Bandura, interazionismo cognitivo sociale, mette in guardia da una rigida adesione alla
prospettiva stadiale. Infatti, persone dotate di forme di ragionamento elevate, spesso adottano meccanismo di
controllo che possono attivare o disattivare il comportamento morale. Importante l’influenza del gruppo dei pari e dei
mass – media. Ragazze: forme di giustificazione morale. Ragazzi: forme di deresponsabilizzazione morale. Importanza
anche della famiglia per l’interiorizzazione delle norme. Hoffman: generalmente uno stile educativo fondato sia su
tecniche induttive (che implicano attenzione alle conseguenze delle proprie azioni) sia sulla tendenza a fornire
spiegazioni e a non usare punizioni, costituisce un fattore facilitante lo sviluppo dell’interiorizzazione morale e la
comprensione delle esigenze altrui.
FAMIGLIA E GRUPPO DEI PARI IN ADOLESCENZA
Non è del tutto corretto identificare nel passaggio da un orientamento verso i genitori ad uno verso i pari le
caratteristiche dello sviluppo sociale nell’adolescenza. Si nota solo una suddivisione di ruoli fra genitori e coetanei:
Genitori: scelte scolastiche e professionali, orientamento futuro, funzione protettiva.
Pari: scelte quotidiane, abbigliamento.
Relazioni familiari
In questo studio vediamo contrapporsi all’approccio analitico – dualistico, l’approccio sistemico che concettualizza gl
eventi come un insieme organizzato e non come una sequenza lineare di unità separate (analisi) e spesso in
contrapposizione (dualismo).
Nella prospettiva sistemica, la famiglia è concepita come luogo di relazioni reciprocamente influenzantesi e
caratterizzata da processi comunicativi specifici con il compito di adattarsi progressivamente alle esigenze dei suoi
membri e all’ambiente. L’adolescenza rappresenta un passaggio difficile anche per tutta la famiglia, la quale si trova di
fronte al problema di integrare la legittima esigenza di indipendenza e la negoziazione di nuove regole di rapporto e il
tentativo di coesione affettiva. Secondo l’approccio dello sviluppo l’adolescenza rappresenta un’impresa evolutiva
congiunta di genitori e figli ed è caratterizzata dalla trasformazione dei legami precedenti. 2 importanti processi:
individuazione (tipico dell’adolescente che tende a cercare l’autonomia) e la differenziazione (proprio della famiglia,
consentire o meno l’autonomia). Spesso nella prima adolescenza la famiglia tende a stringere il legame attraverso la
non concessione di libertà e autonomia all’adolescente nell’intento di salvaguardarlo da esperienze negative. Un
fenomeno nuovo e tipico dell’Italia è la late adolescence, prolungamento del giovane adulto nella famiglia.
Baumrind, definisce 4 stili educativi dei genitori a cui corrispondono altrattante caratteristiche sia di b. che di
adolescenti. Stili: autorevole (è il migliore, fondato su compresenza di richieste e sostegno), autoritario, permissivo,
rifiutante. Lo stile genitoriale eserita un’importante influenza anche sullo sviluppo dell’identità personale. Ricerca
COSPES su ragazzi tra i 14 e 19 anni.
genitore relazionato: capace di capire i diversi punti di vista e di non imporre le proprie ragioni.
genitore autocentrato: tende a restare fermo sulle proprie opinioni nella convinzione che essendo un genitore possiede
migliori strumenti per comprendere il bene dei figli.
genitore evasivo: psicologicamente assente, appare spesso arrabbiato e deluso.
Un punto importante è il fatto che i genitori assumono un ruolo importante per i figli molto più dei coetanei quando ci
sono problemi. Sandler a questo proposito parla di funzione protettiva dei genitori che si esprime attraverso 3
specifiche funzioni: potenziamento dell’autostima, appoggio diretto e vicinanza in situazioni stressanti, stabilità del
rapporto affettivo al variare delle circostanze. Diverse ricerche hanno poi smentito il “luogo comune” sull’assoluta
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discrepanza di idee tra genitori e figli, sulla loro inevitabile lotta. È vero che sussistono conflitti ma non tanto gravi
come si pensa o almeno non nella maggioranza dei casi. Inoltre i temi su cui si confrontano e sui quali nascono
incomprensione pare non siano cambiati rispetto al passato.
Il gruppo dei pari
Luogo di confronto e scambio importante nella formazione della propria identità. Coleman e Hendry parlano di gruppo
di coetanei per intendere non solo gli amici ma anche gli sconosciuti, caratteristica fondamentale per parlare di gruppo
di pari è la somiglianza d’età e l’esclusione della rete familiare. L’appartenenza al gruppo nasce da un iniziale bisogno
di affiliazione (non necessariamente selettivo, risponde all’esigenza di trovare supporto, condivisione e approvazione) e
si trasforma successivamente in bisogno di appartenenza (scelta selettiva di attività che si conciliano con i propri valori
e la propria immagine di sé).
Forme di aggregazione giovanile: gruppi formali (integrazione stretta con le istituzioni, gruppi sportivi, politici,
religiosi. Questi ragazzi si affidano più agli adulti, perseguono valori fondati sull’autodisciplina, minor indipendenza)
gruppi informali (luogo di espressione delle tendenze più personali, slegati dalle istituzioni, questi giovani cercano più
l’autonomia dalla famiglia e l’appoggio dei coetanei).
Importante il ruolo del gruppo nello sviluppo delle relazioni eterosessuali. È durante l’adolescenza che la separazione
tra maschi e femmine della fanciullezza viene abbandonata a favore di un progressivo avvicinamento.
Le relazioni di amicizia
La capacità di instaurare un rapporto amicale è generalmente ritenuta un indice di salute psichica dell’adolescente. Nel
passaggio da fanciullezza ad adolescenza si nota anche una differenza nel concettualizzare l’amicizia: dal piacere di
stare insieme alla ricerca di intimità. La peculiarità del legame d’amicizia nell’adolescenza sta proprio nel concepirlo
come bisogno di vicinanza e intimità.
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