M AR IAN O M AL AVOL T A Alle origini della tribù Maecia Non è questa la pr ima vo lta che ho a che fare con la Maecia, la tribù di Lan uvio, che ho già sulla cosc ienza per aver scr itto, qualche anno fa, la voce Maecia (tribus) per il compianto Diz ionario epigrafico di Antichità ro mane fondato da Ettore De Ruggiero 1: ho piacere di riprendere il filo di quell’ormai antic a indagine, con l’ intento di aggiungere il mio contributo a quest a doverosa rievoc azione della figura d i monsignor Alberto Galieti. Ripercorrere i sentieri lungo i quali e gli ebbe già modo d i donarci la sua erudizione, animata dalla devozione alla memoria storica del passato di questa terra, è senz’ altro il modo migliore di rendere al personaggio quell’attestato d i gratit udine che qui gli st iamo tributando. In un suo artico lo pubblicato nel 1918 2 il Galieti ave va tracc iato in maniera irreprensibile, con il conforto della sua conoscenza dei luogh i, il quadro che emerge dall’ese gesi de lle fonti antiche, e non vi è gran che da aggiungere a quanto da lui detto. Cercherò invece, approfittando dell’ attenzione d i un così attento uditorio, di ricostruire il contesto degli eventi d i que ll’ anno 332 a. C., che consigliò ai censori in caric a d i istit uire due n uovi d istretti t erritoriali de ll’ager Romanus (la Maecia appunto, insieme con la Scaptia), non trascurando il versante specifico dell’ indagine sul nome della tribù Mec ia, che gli er udit i romani di et à imperiale ricond ucevano al toponimo Maecium 3, ipoteticamente identificato d al Galieti con il Colle de i Marmi o con il vic ino Monte Secco 4, ricordato dalla trad izione annalist ica confluit a in Livio come sede di un accampamento dei Volsc i conquist ato da Camillo 5 nel 389, ossia 57 anni prima che venisse costit uita la trib ù in que stione. Vale la pena intanto, a proposito di questi nomi delle trib ù romane ormai ridotti ad oggetti d i erudit a curio sità, r icordare brevemente il ruolo di vit ale importanza che il sistema de lle trib ù svolse nel lun go e complesso processo di costruzione dello stato 1 Ne l v ol . V, f asc . 7 ( Roma 1 9 9 1 ), pp . 2 0 5 -2 0 7 , dov e pe r e rrore v i e ne i ndi c ato i l 3 2 2 a.C . c ome anno de l l a i sti tu zi one de l l a tri bù , che i nv ec e f u c re ata ne l 3 3 2 . 2 Ad Mec i u m. N ot e di t opog r afi a anti ca, “ B.C .A.R.” 1 9 1 8 , pp. 1 0 1 -11 4 . 3 Così F E S T O ne l l ’e pi tome di P A O L O , p . 1 2 1 L. = 1 3 6 M.: M aeci a t r i bus a quodam cast r o si c appellat ur . 4 A q u e st’u l ti ma l oc ali tà, si tu ata c i rc a u n c hi l ome tro e me zzo dal C ol le de i Marmi (M. Se c c o, pe r i l qu al e v ie ne se g nal ata u na q u ota 51 7 ne l l a c arta I.G.M.) i l Gal i e ti pe nsav a ne l su o be n noto opu sc ol o su Lanu v i o. 5 Li v . 6 , 2 , 8 [re l ati v o al l ’anno 3 8 9 ]: ad M eci um i s lo cus di ci t ur (l o ste ss o e pi sodi o è narrato da Di odor o 1 4 , 1 1 7 , 1 (ej n tw' / ka lo umev n w/ Ma rkiv w / ) e da P lu t. C am. 3 4 , 3 (peri; to ; Ma v r kio n o [ r o ") romano. Stiamo parlando, ovviamente, delle tribù territoriali, che furono qualco sa d i ben d iver so dalle tribù gentilizie de i Ramnes, Tities, Luceres, divisioni originar ie del populus che la tradizione mitica sulle origin i di Roma attribuiva al fondatore Romolo, fautore del sinecismo fra Romani de l Palat ino, Sabini de l Quir inale ed Etruschi de lla pian ura sottostante. Quando ormai quell’ antica struttura tribale, organizzata secondo una logic a di clan gentilizi, cominciò a perdere il suo significato di strutt ura portante della società romana, le nuove tribù territoriali, che la trad izione vuole istituit e dal re Servio Tullio (ma che acquist arono il loro sign ificato politico ai primordi de ll’et à repubblicana, d iventando sede dell’organizzazione della plebe) furono invece d istretti territoriali e amministrativi de llo stato che, ovviamente attraver so una laboriosa e com plessa e voluzione della loro fisionomia, d ivennero organi importantissimi della ciuitas, protagonisti della vita polit ica nella sce lta dei magistrati e soprattutto, nella produzione di le ggi. Ne abbiamo un riscontro evidentissimo nella posizione che alla tribù è assegnat a, ancora in età imperiale, nell’onomastic a del cittadino romano, dove essa viene cit ata subito dopo il patronimico, e prima ancora del cognome n: sulla cart a di identità d i Cicerone, insomma, avremmo potuto leggere M(arcus) Tullius M(arci) f(il ius) Cor(nelia tribu) Cicero. Se pensiamo che que sto ultimo elemento dell’onomastic a (il cognome) fece in effe tti la sua comparsa in età relativamente tarda, possiamo ben dire che la tribù, insieme con il nome gentilizio, formava l’essenza identitar ia del cittadino romano. In età storica, infatti, la trib ù avrebbe indic ato il d istretto nel quale – in base al domic ilio – ciasc un cittad ino ve niva iscr itto ai fini della riscossione del trib uto, delle operazioni del censimento, della le va militare: il nome gentilizio era certame nte fondamentale, perché registrava l’ appartenenza ad una gens, ossia alla ce llula cost itut iva della ciuit as, ma la menzione della tr ibù certific ava il pieno godimento dei diritti d i cittad inanza, a cominciare dal diritto di voto, che veniva negato agli aerarii (ossia a quei c ittadin i che, pur appartenendo ad una gens, non avevano ancora acquisito que l diritto, o per demerito lo ave vano perduto). Il processo di formazione dei distretti territoriali de lle tr ibù si svolse in modo ine guale fra gl’inizi de l V secolo e il 241: il numero delle tr ibù territoriali andò crescendo man mano, con l’inclusione d i nuovi territori e d i nuo vi c ittad ini fino al raggiungimento del numero definit ivo d i trentacinque trib ù (quattro urbane e trentuno rustiche), rimasto immutato dal momento in c ui l’o ligarchia dominante ritenne opportuno chiudere il numero delle tribù – che corrispondeva alle sezioni di voto dei comizi tr ibuti – per evitare alterazioni non facilmente governabili della base elettorale (e si bad i che doveva esistere un colle gamento anche fra tribù e assemblea centur iat a, l’assemblea che de stinava alle princip ali car iche dello stato: il consolato e la pretura). Dopo il 241 i nuo vi cittadini furono di vo lta in volta iscritti in que sta o que lla tribù indipendentemente da ogni criterio di contiguità geogr afica, e con lo scopo principale di distrib uire secondo criteri di equit à ist ituzionale che di fatto furono determinati d agli interessi dei ceti d ir ige nti e delle loro sterminate clientele. Fu così che alla trib ù Mec ia fur ono ascritti, dopo il 241, i ciues Romani d i Ne apol is, poi d i Brundisium (nella II regio augustea), d i Paestum (nella III regio), d i L ibarna (nella IV), di Hadria (nella V), e ancora i c ittad ini domiciliati in provincia, come que lli d i Panormo in Sicilia o d i Pelagonia in Mace donia. La tr ibù, possiamo aggiungere a completamento di questo brevissimo excursus, continuò a essere elemento importante dell’onomastica del cittadino – attestato da decine di migliaia d i iscr izioni – e ancora in età imperiale (nonostante il decad imento dei comizi popolari, in seguito al quale e ssa perse ogni peso politico) l’appartenenza ad una delle trentacin que tribù dist ingue va i posse ssori d i un privile gio se mpre più tenue, fino al 212 d.C., l’ anno della eman azione della constitutio A ntoniniana allorché, dopo più di sette secoli di vit a dell’antico istituto, l’e stensione pressoché indiscrim inata de lla cittad inanza romana a tutti i suddit i dell’ impero nati liberi (vo luta da Car ac alla, a quanto pare, per aumentare il gettito del fisco) rese quasi superflua la dich iarazione della tribù nella formula onomastica de l cit tadino romano. Tornando al periodo che qui c i interessa, e che va, come abbiamo detto, dal 495 al 241, è bene sintetizzare brevemente il senso di que lla prima significat iva espansione dell’ager Romanus, ossia de l territorio dello stato che, con la conquista del primato nell’Italia centrale, finì col cost ituire il primo nucleo dell’Italia romana, prefigurando un inedito ed inaud ito modello politico di cresc ita, vero e proprio prototipo dell’idea moderna di “nazione”: que llo che più interessa d i questo fenomeno è dunque la formula cost itutiva, così come essa venne e volvendosi fino a d ivent are instrument um re gni, o, se si vuole, arcanum imperii, consape volmente e sapientemente applic ato dal senato romano alla magm atica realtà p olitic a c ircostante con uno scopo, che appare ben chiaro già agli storici de lla prima et à imperiale, e che è quello di pro pagare ciuitatem e di augere Romanum no men communione iuris 6. Ci aiut a, nella r icerca d i que sta formula, una sia pur rap id a rasse gna della dislocazione primitiva dei t erritori delle trib ù e degli anni in cui esse furono istituite, a partire dalla d ata fondamentale – generalmente considerata attendibile – fo rnita da Livio, secondo il quale ne l 495 a.C. ( l’anno 259 ab urbe condita) le tribù ave vano raggiunto il n umero di 21, formato dalle 4 tribù urbane (Suburana, Esquil ina, Coll ina, P alatina) e dalle 17 trib ù rustiche. Fra que ste ultime si distingue in genere fra un primo nucleo di 15 tribù, costit uite tutte sulle terre appartenenti ad antiche genti patrizie e sit uate negli 6 V E L L . 1 , 1 4 e su tu tta l a q u e sti one , I. B I T T O , T ri bu s e propag ati o c i u i tati s nei secoli I V e II I a.C., i n “E pi g raphi c a” 30 , 1 96 8 , pp. 2 0 -5 8 . immediat i dintorni della città (dall’Aemil ia alla Voturia), e le due ult ime, la Cl audia e la Cl ustumina (la se dic esima e, rispettivamente, la diciassettesima tr ibù rustic a), istituite ap punto nel 495, mentre era console quell’Appio C laud io migrato in Ro ma dalla Sabina con tutta la sua clientela nel 504, [durante la guerra sabina]. La Taylor, autrice di un noto libro sulle tribù romane 7, nota che la data del 495 è più che plausib ile per l’ ist ituzione de lla Claudia, sulle terre asse gnate ai Claudii sulla riva destra de l Tevere (ai bordi dei territori della Fabia, della Sergia e de lla Cornelia) e per la Cl ustumina, che è anche la prima a trarre il nome non da quello di un a gens patrizia, ma d alla topografia del suo territorio attraversato dalla via S alar ia, sulla riva sinistra del Tevere, sito della d istrutta città d i Crustumerium. In ogni caso, è notevole il fatto che per più di 110 anni, dal 495 al 387, non si sia fatto ricorso all’ istit uzione di nuo ve tribù, delle quali non si sentì il bisogno proprio per la totale assenza d i ogni progetto di espansione territoriale. Il processo espansivo emerge vigorosame nte nel 387, con la costituzione di ben quattro nuove trib ù: la Stellat ina (la 18 a tribù rustic a), la Trome ntina ( la 19 a ), la Sabat ina ( la 20 a ) e l’A rnens is (la 21 a ), ma – si badi bene – tutte e quattro le n uove trib ù furono ist ituite, secondo il modello già sperimentato per la Clustumina, sull’ ager d i una città distrutta, Ve io, con l’invio d i coloni ai quali furono assegn ati lotti d i terra di 7 iugeri: Ve io era stata c onquistata, dopo un lun go assed io, nel 396, e qualche anno dopo, nel 390, la traumatic a vicend a dell’ incendio gallico l’ ave va proposta quasi come sede alternativa, molto gradit a alla plebe, r ispetto ad una Roma devastat a dal fuoco e dai barbari e ormai “sfo llata”; in ogni caso, secondo la trad izione, le nuove tribù er ano state costituite per nuovi c ittadini: Ve ienti, Capenati e Falisci qui transf ugerant ad Romanos e che furono premiati con la concessione della c ittadinan za 8. Vi sarebbe stata insomma, dentro quest a prima consistente espansione de ll’ ager Romanus, una forte componente popolare e antipatrizia, evidenziat a dalla consistenza delle assegn azioni virit ane di ager publicus, che trasse giovamento dalla estrema conflittualità che caratterizzava ormai da un seco lo la vita polit ica, impedendo la regolare ele zione dei consoli patrizi in ragione della forza contrattuale di un a massa d i manovra cost ituita in gran parte dall’elemento per dir così etruschizzante della popolazione romana. Fu probabilmente per que sto motivo che di lì a poco, all’ indomani della pac ificazione sociale inaugurata dal compromesso delle leggi Lic inie Sestie de l 367, la nobil itas patrizio-plebeia, ossia la nuo va c lasse dir igente emersa dall’accordo politico, inaugurò un processo di propagatio ciuitatis che invece imboccava speditamente la via de l Lazio meridionale e dell’ager Campanus e m irava a r icostituire, con l’ apporto degli antichi alle ati 7 8 L.R. T A Y L O R , T h e vot i ng di st r i ct s of th e Roman r epubli c, Roma 1 9 6 0 , p. 3 6 sg g . L I V . 6 , 4 , 4 , c f r. 6 , 5 , 8 . latin i, un e quilibrio demografico interno, come mostra già nel 381 l’incorporazione di Tusculum nell’ager Romanus. Questo nuovo indir izzo è evidente, ad e sempio, nella dec isione di costit uire, nel 358, d ue nuove tribù territoriali in aree ben esterne all’ager Romanus, ormai contigue a que lle ab itate d agli alle ati campani : la Pomptina (la 22 a tribù rust ica, nell’ agro Pontino conquistat o da Camillo nel 389) e la Publilia (la 23 a , nel territorio degli Ernic i, antichi alle ati dei Romani, oltre che sede de ll’antic a colonia d i Signia). L’effetto lacer ante delle chele di que sta lunga tenaglia non man cò di sollevare un moto generale d i rivolt a non soltanto nei prisci Latini di Lan uvio o nei Volsci di Anzio, m a anche nei territ ori delle trib ù d i nuova costituzione, coalizzati contro quello che si presentava sempre di più come un intollerabile progetto di egemo nia. Fu l’ ultimo sussulto, que sto, di una ormai d isso lta so vranit à del nome lat ino, che in prossimità de llo scontro armato ben viene rappresentata nelle parole di quell’Annio di Sezia che, con modi tracotanti secondo le fonti annalistiche, chiese in sostan za null’ altro che il rispetto del foedus aequum: uno dei consoli e metà dei seggi in senato erano il prezzo che il nome latino esigeva per confluire nel nome romano. La indiscussa vittoria militare sulle for ze della le ga lat ina avrebbe consentito al vincitore d i Veseris di imporre con il p ugno d i ferro il programma d i espan sione verso la Campania e d i applic are con spietato rigore il metodo del diuide et impera, d’ora in poi sistemat icamente perseguito dai futur i padroni del mondo. Il quattordicesimo capitolo dell’ottavo libro dell’opera liviana ha conservato un resoconto analitico delle d ecisioni adottate due anni dopo (nel 338) dal senato romano, in seno al quale prevalse la volontà di non infier ire sui vinti, che di fatto furono addir ittura, ne lla maggior parte dei casi, accolt i nel corpo della c iuit as: la circost anza di questo comportamento improntato alla c lemenza ( sottolineato già dalla storiografia antica) viene ritenuta verosimile anche dai moderni, ad esempio dal De Sanctis 9, che ammette “una relat iva mitezza che i Romani usarono verso il Lazio”, ma c iò non deve trarre in inganno circa i veri e ffetti de lle clausole rifer ite da L ivio. S i trattò, in sostanza, del de fin itivo scioglimento della lega latina, e d unque de lla soppressione di un progetto di stato coralmente elaborato dal nomen Latinum, che ora cessava di riferirsi al bac ino territoriale della st irpe latin a e diventava semplicemente uno stato giur idico. La cittad inanza data alla maggior parte delle comun ità dei prisci L atini (Lanuvium, Aricia, Nomentum, Pedum) era di fatto un’inclusione forzata de lle comunità latine nel corpo civico romano, resa ancora più pesante da vere e proprie punizioni inflitte a Tusculum (città anch’essa de i prisci Latini, già inglobata come municipio, incluso nell’ambito territoriale della tribù Papiria dopo il 381) e soprattutto a Velìtrae (che invece fu duramente punita in quanto colonia romana ribelle). 9 Stori a de i Romani , p. 2 6 5 . L’inclusione nella cittadinan za romana toglieva di fatto ogni sovranità a que ste città, i cui abitanti er ano ormai defin itivamente sottoposti alla giurisd izione del pretore urbano, mentre i loro magistrati rest avano sì in caric a nei singoli munic ìpi, m a con giurisdizione e funzioni de l tutto ridotte ed irrisorie . Città ancor più importanti, come Tivoli e Preneste, non ebbero la cittad inanza, subirono la confisca d i parte del terr itorio e soprattutto, pur mantenendo la condizione giur idic a d i cit tà di d iritto lat ino, furono private de lla c ircolar ità d i que i iura (connubia commerciaque et concilia inter se) che di fatto erano stati, fino ad allora, privile gio distintivo delle genti lat ine riunite nel foe dus Cassianum e presid io della p ari dign ità riconosciuta a t utte le comunità de lla le ga. A c ausa d i questo nuovo assetto deciso nel 338, dun que, un cittadino di Preneste o di Tivoli o di qualsiasi altr a città lat ina (ossia non incorporata nella civitas Romana) poteva far valere i suoi diritti solo verso la c ittà egemone e dunque poteva prendere in moglie una donna romana, commerciare o acquistare immobili d i c ittadini romani, associarsi con cittadin i romani, trasferir si a Roma per portarvi la propria residenza e quindi ac quistare la c ittadinan za romana, mentre verso tutte le altre città latine queste operazioni erano sostan zialmente inibite (matrimoni e compravendite eventualmente stipulati fra cittadini d i comunità latine sarebbero risultat i privi di effetti giuridic i). Questo modo di imporre la propria egemonia (che sar à replicato nel 168, dopo la vittoria di Pidna, con lo smembramento in quattro distretti de l’ex regno macedone d i Perseo) ave va l’effetto di svuotare le comunità che lo sub ivano delle migliori energie, d al momento che gli esponenti delle famiglie più ricche d i que lle città, se volevano migliorare la propria cond izione nei commerci, nelle strate gie matrimoniali e in polit ica er ano costrette ad in urbarsi e a mettersi in fila, dietro al ceto privile giato de lla c apitale , per partecipare alla spartizione del privile gio riservato all’o ligarchia dominante della nobilitas. Nel citato capitolo di Livio possiamo anche leggere fra le righe qualche informazione in più sulla situazione di Lanuvio: vi si dice, infatti, che le deliberazioni de l senato furono adottate caso per caso, a seconda della situazione delle singole c ittà (pro merito cuiusque). Il fatto che Lanuvio sia cit ata per prima sign ifica dunque che questa c ittà fu annoverata fr a que lle che ave vano, per c osì d ire, accum ulato meno demeriti, e quindi ave vano dir itto a condizioni migliori. S i rit iene in genere che la ciuitas accordata ai Lanuvin i sia stata piena, ossia comprensiva del d iritto di voto (del suffragium), e possiamo ritenere che tale essa sia stata sic uramente all’att o dell’ ist ituzione, nel 332, delle trib ù Maecia (la 24 a tribù rustica) e della Scapt ia (la 25 a ), che furono aggiunte alle altre già e sistenti dai censori Quinto Publilio Filone e Spurio Postum io, proprio per censire la massa de i nuo vi cittadin i ac quisiti in se guito alle sopra accennate deliberazioni de l 338 10. Sappiamo che gli Aric ini furono inclusi nell’Horat ia, e d unque si può dire che la Maecia sia stata r iservata quasi esclusivamente agli abitanti d i Lanuvio 11, ed è sicur amente, que sto, un se gno di benevolenza da parte del senato, che fra l’altro concesse ai Lanuvini anche di mantenere, condividendoli con il popolo romano, i sacri riti del tempio di Iuno Sos pita e de ll’annesso bosco sacro. Dal punto di vista della continuit à territoriale, è eviden te che la dislocazione delle nuove trib ù garantiva la compattezza de ll’ager Romanus, “saldando – nota opportunamente la B itto 12 ― la fr attura esistente tra le vecchie aree tribali de l c ircondario romano e le t ribù istit uite ne l cuore de l Lazio ne l 358, la Pomptina e la Pub ilia” e, inoltre costituendo “un rafforzamento di posizioni in vist a de lle ostilità con i Sanniti” 13. Né si deve omettere, a questo riguardo, la circost anza che d i lì a poco più d i vent’anni questo avanzamento dei confini dell’ager Ro manus avrebbe consigliato al senato, nel 312, la costruzio ne della via Appia, ossia di una infr astruttur a vitale della intensa fr equentazione fra Roma, la regione campana e la chora Neapolitana. Già nel 318, infatti, l’istituzione di due altre tribù, l’O ufentina (la 26 a tr ibù r ust ica) e la Falerna ( la 27 a ), portava l’ager Romanus sulla riva de stra del Vo lturno, e dunque ai mar gini dell’ agro campano, mentre nel 299 venivano costituite la Aniensis (la 28 a tr ibù rust ica, che inglobava il territorio degli Ernic i) e la Teretina (la 29 a ) che includeva i territori de lle c ittà costiere di Minturno e Sinuessa e, nell’int erno, quello di Venafro: va notato il fatto che, dopo queste annessioni quasi tutte d irette verso il meridione (con l’eccezione dell’Aniensis, come detto), trascorsero quasi sessant’anni prim a che il senato decidesse, in un contesto geopolitico ormai completamente stravolto dal conflitto con Cartagine, di estendere ulteriormente il territorio dello stato portandolo all’Adriatico, istituendo nel 241 la Quirina (la 30 a tribù rustic a) e la Velina (la 31 a ed ultim a). Non sembri oziosa in ogn i caso, dopo que sta velocissima rasse gna de i contesti regionali de l d ilagare de i confin i de ll’ ager Romanus fra il 387 e il 299, la constat azione che esso r iguardi in gran parte quell’are a che, nella descriptio auguste a, avrebbe formato la regio I, denominata Latium et Campania, [[anzi, so lo Campania = campagna – vedi bene solin]]. Un’ultima osser vazione vorrei fare sul nome della Mecia, richiamando un noto episodio avven uto nel 340, d urante la guerra Li v . 8 , 1 7 , 1 1 e v . Broug hton 1 , p. 1 4 1 sg . P e r l ’anno 3 3 2 a.C . = 4 2 2 a.u .c .; si v e da, su l l a q ue sti one se l a c i u i tas c onc e ssa ai Lanu v i ni si a stat a o pti mo i u re (l ’opi ni o ne pre v al e nte ) o si ne su ff rag i o, i l c omme nto a Li v i o di S.P . O ak le y , A c omme ntary on Li v y . Book s VI-X, II, O xf ord 1 9 98 , p. 5 6 0 . 11 Su l l ’i ncl u si one di Lanu v i o nel l a Mae c i a, i poti zzata dal Ni e bu hr (Röm. Ge sc h. III p. 1 6 4 e ac c ol ta dal De ssau , i n C .I.L. XIV, p. 1 9 1 ) v . anc he Ni sse n. Ital i sc he Lande sk . II p. 5 9 3 c on nota 5 . 12 I. Bi tto, T ri bu s e propag ati o c i u i tati s ne i se c ol i IV e III a.C ., i n “E pi g raphi c a” 3 0 , 1 96 8 , p. 3 2 c on nt. 5 7 . 13 I bi d. p. 3 6 , nt. 7 1 . 10 latin a: que llo de l figlio de l console in c arica, T ito Manlio Torquato, che rivestendo l’ uffic io di prefetto nell’e sercito comandato da suo padre e contravvenendo agli ordin i d i costui, si scontrò con il tusculano Gemino Mecio 14, uno dei primore s di Tuscolo, e lo ucc ise, presentandone poi le spoglie al sever issimo padre, che in vece di lodarlo lo fece decapit are per non aver rispettato gli ordini rice vut i. Sembra a me ipotesi più che probabile , in risposta alle nostre er ud ite curiosità sulla provenienza de i nomi d elle tr ibù romane, che il toponimo ad Mecium, c itato dagli erud iti antichi come quello da c ui trasse nome la tribù, derivasse proprio da que llo di un pagus esistente sulle terre dei Maecii di Tuscolo, che sicuramente, dopo la morte dell’em inente tuscolano, vennero confiscat i e poterono ben costituire il primo nucleo territoriale de lla tribù che di lì a qualche anno avrebbe incorporato anche il territorio lanuvino 15. È indubbio che il rinnovato interesse che sta promuovendo, d a qualche decennio, la rinascita degli stud i sull’Italia romana trovi voce prima che altrove in questa re gione albana, la re gione dei c aste lli, che può ben permettersi di rivendic are in prima persona le straordinarie qualità de l suo territorio: qualità che, a ben vedere, sono strettamente connesse con la funzione originaria d a esso svo lta al momento della costruzione de l primo nuc leo dell’Italia ro mana, proprio all’indomani della vittoria di Roma sulla lega lat ina nel 338, allorché que sta regione dei prisci Latini fu inglobata nell’ ager Ro manus mediante la cost ituzione di nuo vi distretti, d i nuo ve tribù, che inc lusero gli ab itanti de lle c ittà latine senza che esse fossero distr utte, anzi lasc iando loro la loc ale giurisdizione. Quella communio iuris, che ave va car atterizzato i reciproci rapporti fra le ciuit ates del nome latino, d ivenne dopo di allora una formula rep lic ata all’ infinito, un po’ in tutto il mondo romano. E mentre le città de l Lazio, dive nute ben presto e in gr an parte comunità di cittad ini optimo iure, im mettevano nel corpo dello stato romano le loro élites, dest inate al r icambio della nobiltà senatoria, il ius L atii d iventava una specie d i pre-ade sione (certo talvo lta un po’ forzata, e in ogni c aso condotta con il metodo rigorosamente applicato della più sp ietata meritocrazia) alla straordinaria impresa che di lì a poco la “repubblica imperiale ” avrebbe realizzato con la conquist a dell’e cumene. Ma il segreto del 14 Li v . 8 , 7 , 2 -12 ; c f r. .. Mü nze r, s.v . M aeci us, i n “ P .W.” XIV 1 [1 9 2 8 ] c ol . 2 35 nr. 1 0 ; cf r. T .R.S. Brou g hton I p. 1 3 5 pe r l ’anno 3 4 0 a.C . = a.u .c . 4 1 4 . Gi à l o S C H U L Z E , Zur G esch i ch t e lat ei ni sch er Ei g ennamen, p. 1 8 5 , nota c he la g ens M aeci a “ hat e i ne r römi sc he n T ri bu s de n Name n g e ge be n” ; c f r. i bi d., p. 4 69 c on nota 5 : “ Mae c iu s au s v e rsc hol le ne m Maec u s, das se l bst v on Mai u s ode r Mai a abg e le i te t se i n mag ” . 15 P u ò e sse re pre sa i n c onsi de razi one , a q ue sto ri g u ardo, l ’assonanz a c on i l g e nti l i zi o de l M aeci li us tri bu no de l l a pl e be ne l 3 37 /4 1 7 o ne l 33 8 /41 8 (M Ü N Z E R , s.v . M aeci li us nr. 1 c ol . 2 3 1 i n P W 14 , 1 [1 9 28 ] c ol. 2 3 1 ); non pri v o di i nte re sse i l c onf ront o c ol l u og o di L I V . 4 , 4 2 , 1 su ll a c onte sa f ra pl e be i e patri zi su l l ’asse g nazi one di te rre . successo di que lla formula stava ne lla consapevole zza che il sistema dei rapporti giur id ici che regola la vita della c iuitas è fenomeno politico – volontà di “inclusione”, si direb be oggi – che dipende dalla volontà de i singo li, e che dun que può ben valicare i confini della sua realtà etnica d’origine.