PROGRAMA ANALITICĂ
Disciplina: LIMBA ITALIANĂ
(Sintaxă)
Specializarea: Română – Italiană
Anul II ID, Semestrul I
Titularul disciplinei: Lector univ. dr. RAMONA LAZEA
Limba Italiană
Denumirea disciplinei
Codul disciplinei
Semestrul
Facultatea
Litere
Profilul
Filologie
Specializarea
Română - Italiană
I
Numărul de credite
Numărul orelor pe
an / activităţi
Total
SI TC AT AA
56
36
Categoria formativă a disciplinei: DF - fundamentală, DG - generală,
DS - de specialitate, DE - economică/managerială, DU - umanistă
Categoria de opţionalitate a disciplinei: DI - impusă, DO - opţională,
DL - liber aleasă (facultativă)
Discipline
anterioare
Obiective
Conţinut
(descriptori)
Obligatorii
(condiţionate)
Recomandate
8
8
12
DF
DI
-
- însuşirea de către studenţi a elementelor de bază ale sintaxei italiene;
- însuşirea de către studenţi a caracteristicilor fiecărei părţi de propoziţie
din limba italiană;
- însuşirea de către studenţi a deprinderilor de a se exprima corect în
limba italiană.
I. La frase semplice
1. I tipi di frase, i tipi di frase semplice, la struttura della frase
semplice, i sintagmi.
2. Il soggetto, il predicato, la concordanza tra soggetto e predicato.
3. L’attributo, l’apposizione, il complemento oggetto o diretto e i
complementi predicativi.
4. I complementi: di specificazione, di denominazione, di materia,
partitivo, di argomento.
5. I complementi: di termine, di vantaggio, di svantaggio, di
limitazione, di abbondanza, di privazione.
6. I complementi: d’agente, di causa efficiente, di causa, di fine o
scopo.
7. I complementi: di modo o maniera, di mezzo o strumento, di
compagnia, di unione, distributivo.
8. I complementi: di tempo, di luogo, di origine o provenienza, di
allontanamento o separazione.
9. I complementi: di peso o misura, di distanza, di estensione, di stima
e prezzo, di differenza.
10. I complementi: di esclusione, concessivo, di sostituzione o
scambio, di colpa e di pena.
11. I complementi: di età, di qualità, di paragone, di rapporto o di
relazione, di vocazione e di esclamazione.
II. La frase complessa
1. La struttura del periodo, la coordinazione e le proposizioni
coordinate, la subordinazione e la forma delle proposizioni subordinate,
le proposizioni incidentali o parentetiche.
2. Le proposizioni: soggettiva e oggettiva,
3. Le proposizioni: dichiarativa e interrogativa indiretta.
4. Le proposizioni relative.
5. Le proposizioni: causale, finale, avversativa,
6. Le proposizioni: concessiva, consecutiva, comparativa.
7. Le proposizioni: temporale, locativa, modale, strumentale.
8. La proposizione condizionale e il periodo ipotetico.
9. Le proposizioni: aggiuntiva, eccettuativa, esclusiva.
10. Discorso diretto e discorso indiretto; il discorso indiretto libero.
Forma de evaluare (E - examen, C - colocviu / test final, LP - lucrări de control)
E
Stabilirea
- răspunsurile la examen / colocviu / lucrări practice
50%
notei
- activităţi aplicative atestate / lucrări practice/ proiect etc.
finale
- teste pe parcursul semestrului
25%
(procentaje)
- teme de control
25%
Bibliografie
Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni
generală
di linguistica, Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995.
Ramona Lazea, Appunti di sintassi italiana, Craiova, Universitaria,
2000.
Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi),
Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET
Libreria, 1989.
Legenda: SI - studiu individual, TC - teme de control, AT - activităţi tutoriale,
AA - activităţi aplicative aplicate
SUPORT DE CURS
Disciplina: LIMBA ITALIANĂ
(Sintaxă)
Anul II ID, Semestrul I
Titularul disciplinei: Lector univ. dr. RAMONA LAZEA
INDICE
I. La frase semplice
1. Tipi di frase semplice
La struttura della frase semplice.
Il sintagma
2. Il soggetto
3. Il predicato
Predicato verbale: i verbi predicativi
Predicato nominale: i verbi copulativi
Le funzioni del verbo essere.
4. I complementi
Il complemento oggetto
I complementi predicativi
L’attributo e l’apposizione
5. I complementi indiretti
Il complemento di specificazione
Il complemento di termine
Il complemento di tempo
Il complemento di luogo
Il complemento di mezzo o strumento
Il complemento di modo o maniera
Il complemento di causa
Il complemento di compagnia e unione
Il complemento di d’agente e causa efficiente
I complementi di abbondanza e privazione
Il complemento di argomento
Il complemento di origine o provenienza
Il complemento di separazione o allontanamento
Il complemento di colpa
Il complemento di pena
Il complemento concessivo
Il complemento di denominazione
Il complemento di distanza
Il complemento distributivo
Il complemento di esclusione (o eccettuativo)
Il complemento di eta
Il complemento di fine o scopo
Il complemento di limitazione
Il complemento di materia
Il complemento di paragone o comparativo
Il complemento partitivo
Il complemento di qualità
Il complemento di quantita o misura
Il complemento di rapporto o relazione
Il complemento di sostituzione o scambio
Il complemento di stima e prezzo
Il complemento di vantaggio e svantaggio
Il complemento di vocazione
Il complemento di esclamazione o esclamativo
Il complemento di differenza
II. La frase complessa
La coordinazione
La subordinazione
Proposizioni esplicite e implicite
La classificazione delle subordinate
La proposizione oggettiva
La proposizione soggettiva
La proposizione finale
La proposizione consecutiva
La proposizione temporale
La proposizione comparativa
La proposizione condizionale. Il periodo ipotetico
La proposizione concessiva
La proposizione interrogativa indiretta
La proposizione relativa
La proposizione modale
La proposizione avversativa
La proposizione esclusiva
La proposizione eccettuativa
La proposizione incidentale
I. La frase semplice
La frase è l'unità minima di comunicazione dotata di senso compiuto.
Chiamiamo frase semplice o proposizione quella frase in cui nessun elemento nucleare o
circostanziale è costituito da una frase, in cui cioè tutti gli elementi sono rappresentati da sintagmi
(di vario tipo). Si ha la proposizione quando i diversi elementi sintattici condensano intorno ad un
unico predicato.
Chiamiamo frase complessa una frase in cui almeno uno degli elementi nucleari o
circostanziali è rappresentato da una frase (da una proposizione). Si ha un periodo quando in
un’unità comunicativa ci sono più predicati.
Occorre distinguere tra frase verbale, cioè provvista del verbo: Mario usci di casa,
e frase nominale, cioè una proposizione in cui le categorie grammaticali del verbo hanno "funzione
verbale": Oggi niente giornali.
Queste frasi possono essere considerate frasi ellittiche, cioè le frasi in cui uno dei
componenti essenziali della frase (il soggetto, il predicato) viene sottinteso. L’ellissi è
particolarmente frequente nelle strutture coordinate, in cui si può fare a meno di ripetere:
- il soggetto: La squadra ha giocato molto bene ma non è riuscita a ottenere la vittoria.
- il verbo: Marco ha comprato una maglietta, io un paio di scarpe.
- il complemento oggetto: La pioggia ha bagnato, il sole ha asciugato i nostri abiti.
- o un altro dei costituenti della frase: Giovanni ha scritto, io ho telefonato a Maria per farle gli
auguri di Pasqua.
Un’altra forma piuttosto comune di ellissi si ha nei dialoghi, quando nella risposta si evita di
ripetere parte dell’informazione già contenuta nella domanda, informazione che viene data per
scontata dagli interlocutori: – Che cosa ha prestato a Guido? / – Un libro!
Tipi di frase semplice
Gli elementi costitutivi della frase semplice sono: il soggetto, il predicato, l’attributo i
complementi.
La frase semplice è costituita da una sola proposizione, cioè è la frase in cui compare un
solo verbo. Se ha la propria autonomia questa frase è chiamata indipendente, cioè non dipende da
nessun’altra proposizione ma dà vita, da sola, a un messaggio di senso compiuto. Naturalmente, una
frase semplice può non esaurirsi in se stessa, ma fungere da nucleo di una frase complessa e
svilupparsi in una o più subordinate; in tal caso si parla propriamente di proposizione principale (o
reggente o sovraordinata).
Si distinguono quattro tipi principali di frasi semplici: 1. le enunciative; 2. le volitive; 3. le
interrogative; 4. le esclamative.
Le enunciative sono le frasi che contengono una semplice enunciazione, cioè una
dichiarazione, un’esposizione, una descrizione di qualcosa e si costruiscono generalmente con
l’indicativo: Il cane è un mammifero.
In alcuni casi una frase enunciativa contiene un ordine; ciò può avvenire con l’indicativo o
più spesso con il condizionale nell’intento di attenuare la perentorietà della richiesta: Vorrei un
caffè.
Il condizionale nelle proposizioni enunciative è una caratteristica del linguaggio
giornalistico e s’incontra nelle inserzioni pubblicitarie, oppure il condizionale mediante il quale il
cronista segnala che la notizia riferita non proviene da fonte sicura: Diplomato impiegherebbersi …
Le enunciative si suddividono in:
- affermative (o positive), cioè una frase che afferma qualcosa: Questo albergo è caro.
- negative cioè quella frase in cui qualcosa viene negato: Questo albergo non è caro.
La trasformazione da affermativa a negativa può avvenire in vari modi: il più rapido consiste
nell’aggiungere un non; ma il non può venire ancora rafforzato con affatto oppure con mica.
Il passaggio alla forma negativa può avvenire anche in modo più elaborato, usando il
pronome nessuno.
Frasi affermative come: Tutti si addormentarono., Lo vedo sempre., possono essere
trasformate in:
- negative totali: Nessuno si addormentò. Non lo vedo mai.
- negative parziali: Non tutti si addormentarono (qualcuno si addormentò).
Le volitive sono le frasi in cui il parlante mira a modificare una situazione esistente,
attraverso un comando (imperative), un desiderio (desiderative), un’esortazione (esortative), una
concessione (concessive).Nel loro insieme, queste frasi ammettono diverse soluzioni sintattiche,
possono essere costruite con tutti e quattro i modi verbali finiti o con l’infinito: Andate via di qui –
comando; Non perdere altro tempo – comando; (che) Dio te ne renda merito – desiderio; Ci
pensino bene – esortazione; Parla pure – concessione; Si comporti pure così – concessione.
Naturalmente il comando, il desiderio, l’esortazione o la concessione possono essere anche
espressi con mezzi lessicali, cioè ricorrendo a parole che significano "comandare, desiderare,
esortare, concedere": Vi ordino di andare via! Spero che Dio te ne renda merito! Li esorto a
pensarci bene. Ti concedo di parlare.
In tutti questi casi abbiamo delle enunciative che esprimono il comando, il desiderio,
l’esortazione o la concessione attraverso il significato dei verbi ordinare, sperare, esortare,
concedere, ma non si tratta di frasi indipendenti.
Le interrogative sono le frasi semplici che consistono in una domanda o in una richiesta e
mirano a ottenere un’informazione o qualcosa di concreto.
Sono caratterizzate dall’intonazione ascendente della pronuncia nel parlato e dal punto
interrogativo nella scrittura: È partito il treno? Ci conosciamo?
Il tono della voce nella lingua parlata e il punto interrogativo nella lingua scritta sono
talvolta gli unici elementi che permettono di distinguere una frase interrogativa. Spesso, però, le
frasi interrogative sono introdotte da avverbi o pronomi o aggettivi interrogativi: come, dove,
perché, quando, quanto, chi, che, quale: Come stai? Dove abiti? Quando torni? Chi ha
telefonato?Quali intenzioni avete?Qual è?
Le frasi interrogative si suddividono in:
- interrogative parziali, quando la domanda riguarda solo uno degli elementi della frase
(chi, dove, quando);
- interrogative totali, quando la domanda riguarda tutto l’insieme della frase: Vai a Torino?
Venite domani?
Nelle interrogative parziali la risposta che ci si attende è la precisazione dell’elemento
sconosciuto: l’identità (Chi è?), il luogo (Dove vai?), il tempo (Quando venite?).
Nel caso delle interrogative totali, invece, la risposta che ci si attende è la semplice
conferma o negazione di quanto espresso nella domanda; la risposta è un sì o un no.
- interrogative disgiuntive, quando la domanda pone un’alternativa: Preferisci un caffè o
un dolce? Può essere anche senza verbo: Un caffè o un dolce?
- interrogative retoriche, quando la domanda contiene una risposta implicita. La domanda
non viene formulata per acquisire nuova informazione, ma per dare ad un’affermazione maggiore
rilievo, maggiore enfasi e cercare al contempo l’assenso degli interlocutori: Chi non ha sofferto per
amore? Quando la risposta attesa è affermativa, spesso l’interrogativa retorica è in forma negativa:
Non hai un po’ di compassione per lo sventurato?
Affini alle interrogative dirette possono essere considerate le interrogative didascaliche,
con le quali si parla di fronte ad un uditorio (o si scrive un’opera di carattere divulgativo) e rivolge a
se stesso una domanda, che serve a vivacizzare l’esposizione: La prima guerra mondiale scoppiò in
seguito all’attentato all’arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo. Ma quali furono le cause che
portarono al dilagare del conflitto?
Anche le interrogative possono svolgere il ruolo di atti linguistici indiretti: Mi prendi quel
libro, per favore? Ti dispiacerebbe abbassare il volume della radio?
In realtà sono degli ordini, attenuati attraverso il ricorso alla forma interrogativa, al modo
verbale o a particolari espressioni di cortesia.
Una domanda può inoltre servire ad occultarne un’altra: se chiedo ad un amico: Hai
qualcosa per il mal di testa? non voglio in realtà verificare se egli abbia con sé degli analgesici, ma
invitarlo a darmene uno.
Le frasi interrogative possono essere:
- interrogative dirette, quando la domanda è formulata in maniera diretta;
- interrogative indirette sono quelle proposizioni che fanno parte di una frase complessa e
che contengono una domanda introdotta da verbi come: dire, chiedere, sapere, ecc.: Dimmi quando
vieni. Chiedigli dove va.
Le interrogative indirette non hanno punto interrogativo.
Le esclamative sono le frasi caratterizzate dall’intonazione discendente della pronuncia nel
parlato, dal punto esclamativo nella scrittura e che esprimono entusiasmo, stupore, ammirazione.
Possono essere: verbali: Oh, quanto mi dispiace! Com’è bello!; nominali: Che peccato!
Ottima idea! Quante chiacchiere inutili!
La struttura della frase semplice
In una frase verbale sono presenti almeno due elementi: il soggetto e il predicato, che
appaiono collegati fra loro mediante l’accordo della persona e del numero: L’uomo vive; o della
persona, del numero e del genere: L’uomo è contento.
Il soggetto e il predicato sono considerati i due componenti indispensabili della frase, gli
altri elementi sono quasi sempre accessori, servono cioè a completare e ad arricchire di
determinazioni particolari la proposizione stessa.
Solitamente il soggetto è costituito da un nome, il predicato è costituito dal verbo.
Alcuni linguisti hanno individuato nella frase semplice due componenti fondamentali:
-
gli elementi nucleari e
-
gli elementi extranucleari (o circostanziali).
I primi sono obbligatori: la loro presenza è necessaria per dare un senso compiuto alla frase.
In particolari condizioni un elemento nucleare può mancare: abbiamo allora una frase ellittica. I
secondi sono invece facoltativi. Ogni frase è composta dunque da elementi nucleari e
(eventualmente) da elementi extranucleari.
Nella frase: Giorgio ha conosciuto Manuela l’anno scorso a Ferrara, la determinazione
”l’anno scorso” e “a Ferrara” sono extranucleari; possono essere soppresse senza danneggiare il
carattere corretto della frase. Se invece omettiamo uno degli elementi nucleari: “ha conosciuto” o
“Manuela”, otteniamo una frase priva di senso.
Per fissare un criterio più rigoroso di distinguere gli elementi nucleari da quelli non nucleari
si parla di valenza del verbo; gli elementi costitutivi della frase possono essere legati in vario
numero al verbo. Gli elementi necessari per completare il significato della frase sono detti
argomenti del verbo. Esistono verbi con valenza zero (o zerovalenti), che da soli possono formare
una frase compiuta (es.: piovere), verbi monovalenti che richiedono la presenza di un solo
argomento, di norma il soggetto (es.: nascere, partire), verbi bivalenti che richiedono due
argomenti (es.: lodare, intraprendere), verbi trivalenti, che richiedono la presenza di tre argomenti
(es.: dare, regalare, scrivere).
Non si può determinare in assoluto se un dato elemento sia nucleare o no poiché ciò dipende
dalle caratteristiche semantiche e grammaticali del verbo e dal particolare contesto in cui si
inserisce. Alcuni verbi possono infatti avere valenze diverse secondo le accezioni in cui sono usati:
Questa radio non riceve bene. - verbo monovalente;
Paolo ha ricevuto un paco postale. - verbo bivalente;
Il mare riceve le acque dai fiumi. - verbo trivalente.
Il sintagma
Si chiama sintagma (dal greco syntagma = “composizione”) un gruppo di elementi
linguistici che formano un’unità in una frase; è l’unità minima di cui si compone una frase e può
comprendere più di una parola.
La nozione di sintagma è molto utile nell’analisi logica perché permette di porre sullo stesso
piano elementi singoli ed insiemi di elementi che hanno la medesima funzione dal punto di vista
della sintassi:
Il tenore canta.
Il celebre tenore dell’Opera canta una canzone molto bella.
È evidente che “il celebre tenore dell’Opera” ha la stessa funzione di “tenore”, così come
“canta una romanza molto bella” ha la stessa funzione di “canta”.
I sintagmi sono costruiti attorno a una “testa” da cui prendono il nome. “Testa” è la classe di
parole che rappresenta il minimo elemento che da solo possa costituire sintagma, funzionare da un
determinato sintagma.
I due fondamentali tipi di sintagmi sono:
- il sintagma nominale che è formato da nomi comuni accompagnati dall’articolo, o da
nomi propri o da pronomi;
- il sintagma verbale che è costituito da un verbo seguito da vari complementi.
Le frasi che abbiamo prima visto sono formate da un sintagma nominale e da
un sintagma verbale:
- sintagma nominale - il tenore
- il celebre tenore dell’Opera;
- sintagma verbale - canta
- canta una romanza molto bella.
Oltre al sintagma nominale e a quello verbale, vi sono altri tipi di sintagmi, come il
sintagma preposizionale, che è costituito da una preposizione seguita da un nome (o da un
sintagma nominale) e il sintagma aggettivale che è costituito da un aggettivo accompagnato da
altri elementi (il sintagma preposizionale “dell’Opera” e il sintagma aggettivale “molto bella”).
Ciascun sintagma è composto secondo un ordinamento gerarchico; l’elemento che “da il
nome” al sintagma (il nome nel sintagma nominale, il verbo nel sintagma verbale) ne costituisce la
parte fondamentale (detta testa del sintagma). Gli elementi che determinano la testa sono chiamati
complementi o determinanti.
Ogni frse è costituita da sintagmi, i quali, a loro volta, sono costituiti da parole. Si viene in
tal modo delineando l’immagine di un discorso strutturato secondo vari livelli successivi,
gerarchicamente subordinati gli uni agli altri; il livello della frase è superiore a quello del sintagma;
il livello del sintagma è superiore a quello della parola. Il sintagma è perciò un’unità linguistica di
livello intermedio.
L’espansione viene chiamata ogni parola o gruppo di parole che si aggiunge alla struttura
minima della frase, costituita da un sintagma nominale e da un sintagma verbale.
Il processo di scomposizione per cui dalla frase si può arrivare ai sintagmi e dai sintagmi ai
singoli elementi, prende il nome di analisi in costituenti immediati.
L’analisi in costituenti immediati si effettua dividendo dapprima la frase in due parti: un
sintagma nominale e un sintagma verbale (queste due parti sono i costituenti immediati della frase);
successivamente ciascuna delle due parti viene scissa in altri due costituenti e così di seguito fino ad
arrivare agli elementi singoli, le parole. L’analisi in costituenti immediati può essere rappresentata
graficamente mediante un diagramma, che viene chiamato albero perché la sua forma ricorda quella
dei rami di un albero.
Questo è il metodo di rappresentazione più diffuso e più utile perché permette meglio di
rendere visivamente la struttura della frase e i rapporti gerarchici fra i costituenti:
Il celebre tenore dell’Opera canta una romanza molto bella.
il sintagma nominale
il sintagma verbale
Il celebre tenore dell’Opera
canta
sintagma
sintagma
nominale
preposizionale
una romanza molto bella
verbo
sintagma
nominale
una romanza
molto bella
sintagma nominale
sintagma aggettivale
una romanza
molto bella
articolo nome
avverbio aggettivo
Per la frase: Il tenore canta una romanza, l’albero sarà:
F
SN
Art
SV
N
V
SN
Art
il
tenore
canta una
N
romanza
F=frase, SN=sintagma nominale, SV=sintagma verbale, N=nome, V=verbo, Art =articolo
Il soggetto
Il soggetto (dal latino subjectum = “ciò che sta alla base, ciò che sta sotto”) è un componente
fondamentale della frase, il quale completa il significato del predicato; indica la persona, l’animale,
ciò di cui si parla, che compie o subisce l’azione espressa dal verbo o predicato.
Il soggetto può:
1.- compiere un’azione (allora il verbo sarà transitivo attivo o intransitivo);
2.- ricevere un’azione (allora il verbo sarà al passivo);
3.- trovarsi in una condizione oppure essere in un certo modo (allora ci sarà il verbo essere
seguito da un nome o da un aggettivo).
Il soggetto risponde ad una delle domande: chi?, che cosa?, chi è che?, che cosa è che?.
Caratteristica del soggetto è la sua possibilità di venire espresso dal nome, ma anche da tutte
le altre parti del discorso o da un’intera proposizione usate in funzione nominale.
Quando il soggetto è espresso dall’articolo, dall’avverbio, dalla preposizione o
dall’interiezione, l’intera frase sarà detta metalinguistica (dal greco meta = “sopra”) in quanto la
lingua “parla di se stessa.”
Può fare da soggetto:
- il nome: - La stazione sorge nel centro della città;
- l’articolo: – Il è un articolo maschile singolare;
- l’aggettivo: – Bello è un aggettivo;
- il pronome: – Tutti si sono comportati bene;
- il verbo: – Agire avventatamente è tipico di Carlo;
- l’avverbio: – Mai è una parola da usarsi con prudenza;
- la preposizione: – “Tra” e “fra” hanno lo stessosignificato;
- la congiunzione: – Come è una congiunzione.
- l’interiezione: – I suoi “ahimè” sono ridicoli;
- la proposizione: – Che tu sia un ragazzo intelligente è fuor di dubbio.
L’articolo, l’aggettivo, il verbo, l’avverbio, la preposizione, la congiunzione, per funzionare
da soggetto, debbono sostantivarsi, rinunciando alla loro specifica caratteristica.
Spesso il soggetto può venir sottinteso. In tali casi, si dirà che la proposizione è ellittica del
soggetto.
Il soggetto può essere sottinteso nelle seguenti circostanze:
1. quando la frase è costituita dal solo verbo: Esco (sogg. sottinteso “io”).
2. quando il contesto che precede la frase ellittica ha lo stesso soggetto: Filippo uscirà
più tardi. Ora deve studiare (la seconda frase è ellittica del soggetto “Filippo”).
3. nei dialoghi, quando la frase ellittica è la risposta a una domanda che la precede:
– Uscirà anche Adriana? / – Uscirà.
4. quando il soggetto di una proposizione dipendente è lo stesso della principale:
Filippo dice che uscirà (“che uscirà” è la dipendente con sogg. sottinteso).
È’ abitudine della grammatica chiamare soggetto partitivo tutte quelle parole che,
nell’essere soggetto di una frase, sono precedute dall’articolo partitivo: In questa faccenda ci sono
degli aspetti delicati.
Non devono considerarsi ellittiche del soggetto le proposizioni con il verbo usato in forma
impersonale, cioè coniugato alla terza persona singolare, preceduto dalla particella “si” poiché essa,
in questo caso ha il valore del pronome indefinito ”uno”: Si va (uno, qualcuno va).
L’unico caso in cui si può parlare di vera mancanza di soggetto determinato è quello
rappresentato dai verbi indicanti fenomeni atmosferici, poiché essi indicano azione completa in se
stessa: Piove. Tuona.
Spesso, la proposizione presenta più soggetti per un solo predicato; in tal caso i vari soggetti
si collocano uno dopo l’altro separandoli con una virgola e collegando spesso gli ultimi due con la
congiunzione e. Il verbo si pone al plurale.
Il predicato
Il predicato (dal latino tardo praedicatum = “ciò che è affermato”) indica l’elemento
essenziale della proposizione, il quale esprime ciò che si dice fondamentalmente del soggetto, ossia
l’azione che esso compie o patisce, la sua condizione o il suo modo di essere.
Di norma, il predicato si identifica con il verbo. Il verbo è infatti la classe del discorso più
ricca d’informazioni. Nel formare la struttura nucleare il verbo dà voce a molte informazioni che
riguardano l’argomento che concorda con questo.
Tutti i predicati si distinguono in due grandi categorie: predicati verbali e predicati nominali.
I predicati verbali sono costituiti da un verbo predicativo.
I predicati nominali sono espressi da un verbo copulativo.
Predicato verbale: i verbi predicativi
Sono verbi predicativi tutti quei verbi dotati di un significato completo. In quanto tali, essi
sono in grado di accordarsi a un soggetto per originare proposizioni enunciative compiute.
È possibile raggruppare i verbi predicativi in due grandi classi:
- verbi predicativi impersonali;
- verbi predicativi personali.
I verbi predicativi impersonali, sono così chiamati proprio in quanto sono privi di
persona (almeno in senso logico) e formano predicati verbali ad argomento “zero”: sono in grado di
comunicare un significato completo anche senza un soggetto grammaticale. Si tratta di verbi come:
piovere, nevicare, grandinare, diluviare, tuonare, albeggiare, annottare, ecc. Di solito, i verbi
predicativi impersonali sono espressi alla sola terza persona singolare.
I verbi predicativi personali formano predicati a uno, due o tre argomenti: si tratta di verbi
che per predicare (affermare qualcosa) hanno normalmente bisogno di un soggetto (primo
argomento); talvolta anche di un oggetto diretto (secondo argomento) o indiretto (terzo argomento).
Distinguiamo i verbi predicativi personali sulla base degli argomenti che devono
obbligatoriamente essere presenti per rendere completo il significato della proposizione in:
Verbi predicativi a un argomento: verbi intransitivi a un argomento (soggetto). Si tratta
di verbi come: nascere, morire, sbadigliare, impallidire, ecc. che richiedono la sola presenza di un
soggetto per organizzare frasi semplici di senso completo. Fra i verbi intransitivi a un argomento
andranno inclusi anche tutti quei verbi di solito considerati transitivi, ma che sono usati
intransitivamente: Guido mangia. L’informazione è di per sé completa perché il verbo “accetta” di
essere usato intransitivamente.
Verbi predicativi a due argomenti: verbi transitivi a due argomenti (soggetto – oggetto
diretto). Si tratta di verbi come: bere, costruire, provare, capire, completare, ecc., che richiedono,
oltre al soggetto, la presenza di un oggetto diretto (diretto in quanto non preceduto da preposizioni)
per organizzare frasi semplici di senso completo: Guido prova la moto.
Verbi transitivi a due argomenti (soggetto – oggetto indiretto). Si tratta di verbi come:
passeggiare, piacere, stare, giovare, sdraiarsi, ecc., che richiedono, oltre al soggetto la presenza di
un oggetto indiretto (indiretto in quanto preceduto da preposizioni) per organizzare frasi semplici di
senso completo: Andrea piace alle ragazze.
Verbi predicativi a tre argomenti: verbi transitivi a tre argomenti (soggetto – oggetto
diretto – oggetto indiretto). Si tratta di verbi come: dare, regalare, inviare, promettere,
comunicare, ecc., che richiedono, oltre al soggetto e a un oggetto diretto, anche un oggetto indiretto
per organizzare frasi semplici di senso completo: Adriana ha dato la mancia al postino.
Ricordate che la grammatica italiana considera che i verbi servili e fraseologici (dovere,
potere, volere, cominciare, lasciare, ecc.) formano un unico predicato verbale insieme all’infinito o
al gerundio con cui sono uniti: Chiara voleva rispondere; Stavo finendo il compito.
Non diversamente dal soggetto, anche il predicato può venir sottinteso: – Chi raccoglierà le
adesioni? / – Carlo!. Si dirà allora che la frase è ellittica del predicato.
Predicato nominale: i verbi copulativi
Sono verbi copulativi tutti quei verbi che non hanno un significato di per sé, ma
esclusivamente nella loro funzione: unire un nome a un altro o a un aggettivo e trasmettere
informazioni sulla natura morfologica (aspetto, modo, tempo, ecc)
Copulativo deriva infatti dal latino copula, nome che vuol dire “copia, legame, vincolo”. Il
verbo copulativo più importante, quello che dà il nome all’intera categoria; è il verbo “essere”.
Si chiama predicato nominale l’espressione costituita dal verbo “essere” + un aggettivo o un
nome. La voce del verbo essere si chiama copula. L’aggettivo o il nome unito al verbo essere si
dice parte nominale del predicato o anche nome del predicato o, ma solo nel caso sia un
aggettivo, aggettivo predicativo: Filippo è uno studente.
Verbi con la stessa funzione “copulativa” del verbo essere sono: diventare, riuscire, stare,
sembrare, parere, risultare e così via. Anche questi verbi servono a unire il soggetto con un nome o
con un aggettivo. Essi, però hanno anche un loro significato autonomo; per questo motivo, daranno
origine a particolari espansioni dette complementi predicativi: Filippo sembra attento (“attento” è
un complemento predicativo).
Il predicato nominale può venir espresso da tutte le parti del discorso:
- nome: - I jeans sono un tipo di pantaloni.
- articolo: – L’articolo adatto è “il”.
- aggettivo: – La costanza di Paola è ammirevole.
- pronome: – Questo quaderno è mio.
- verbo: – Fantasticare è sognare ad occhi aperti.
- avverbio: – La mia risposta è “volentieri”.
- preposizione: – Il finale della canzone è “dopo”.
- congiunzione: – La domanda tipica dei bambini è “perché”.
- interiezione: – Il suo commento è sempre “ahimè”.
Le funzioni del verbo essere:
- copula: Il pane è fresco.
- predicato verbale nel significato di “esistere”, “stare”, “trovarsi”: Io sono in campagna;
C’è qualcuno?
- ausiliare nei tempi composti di alcuni verbi intransitivi e in tutti i tempi della coniugazione
passiva: Finalmente siamo arrivati (intransitivo); Eravate lodate (verbo passivo).
I complementi
Si chiamano complementi i vari componenti della frase che hanno la funzione di completare
quanto è espresso dai due componenti fondamentali, il soggetto ed il predicato.
Il complemento si trova in una situazione di dipendenza rispetto ad altri elementi della frase.
Il complemento può essere di due specie:
- diretto - è quello che dipende da un verbo transitivo attivo e che è costruito senza
preposizione: Il cane segue il padrone.
Sono complementi diretti il complemento oggetto ed i complementi predicativi del soggetto
e dell’oggetto.
- indiretto - è quello che ricopre varie funzioni ed è costruito il più delle volte con una
preposizione semplice o articolata: Filippo ha inviato rose a una compagna (c. di termine).
Caratteristica dei complementi indiretti è la loro capacità di rispondere a domande specifiche
che ne individuano la funzione, e cioè il contributo offerto al senso globale della frase.
Il complemento oggetto (diretto)
Il complemento oggetto è un sostantivo o qualsiasi altra parte del discorso che determina l’
”oggetto” dell’azione espressa dal verbo transitivo attivo, unendosi ad esso direttamente, cioè senza
alcuna preposizione; è la persona, l’animale o la cosa che riceve direttamente l’azione espressa da
un verbo transitivo.
Si deve notare tuttavia che l’assenza della preposizione non è un carattere esclusivo del
complemento oggetto; anche il soggetto e altri complementi sono privi di preposizione.
Risponde alla domanda: chi?, che cosa?:
Ho incontrato (chi?) l’insegnante.
Il sole illumina (che cosa?) la terra.
Secondo una concezione tradizionale, il complemento oggetto è ciò verso cui si dirige,
“transita” l’azione del verbo compiuta dal soggetto. In effetti la nozione di complemento oggetto è
legata a quella di verbo transitivo.
Si considerano transitivi tutti quei verbi che possono avere un complemento oggetto: leggere,
studiare, amare, lodare, ecc.
Si considerano intransitivi tutti gli altri: arrivare, partire, uscire, impallidire ecc.
Il complemento oggetto del verbo transitivo attivo può diventare il soggetto dello stesso
verbo al passivo: Luisa ama Paolo.; Paolo è amato da Luisa.
Questo criterio permette di distinguere costruzioni formalmente identiche: Ho studiato tutto
il libro.; Ho studiato tutto il giorno.
La prima frase in cui il verbo è usato transitivamente può essere volta al passivo mentre la
seconda frase in cui il verbo è usato intransitivamente non può essere volta al passivo: Tutto il libro
è stato studiato da me.
Il complemento oggetto si trova con i verbi transitivi attivi; tuttavia alcuni verbi intransitivi
possono avere un complemento oggetto rappresentato da un sostantivo che ha la stessa base del
verbo o presenta un significato affine a quello del verbo. In tal caso si parla di complemento
dell’oggetto interno: Vivere una vita felice; Sognare sogni di gloria.
Come il soggetto, anche il complemento oggetto può essere rappresentato da qualsiasi parte
del discorso (spesso in funzione metalinguistica) o da un’intera proposizione:
- nome proprio: – Lodo Laura;
- nome comune astratto: – Amiamo la modestia;
- aggettivo sostantivato: – Nessuno apprezza il brutto;
- pronome: – Tu lodi questo, io lodo quello. Non conosco nessuno;
- verbo: – Coniugate lodare al passivo;
- avverbio: – Preferiamo forse a mai;
- preposizione: – Chi di voi mi spiega il di con valore prepositivo?;
- congiunzione: – Usi troppi se e mai;
- interiezione: – Pronunciò un oh! senza fine.
I pronomi personali atoni mi, ti, si, ci, vi, lo, la, le sono complementi oggetti quando
corrispondono a me, te, se, noi, voi, lui, lei, essi, esse, loro: Lo vedo spesso = vedo lui spesso.;
Egli mi abbracciò = Egli abbracciò me.
Il complemento oggetto non ha alcun rapporto con il soggetto né in genere né in numero;
generalmente questo segue il soggetto e il predicato.
A destra del verbo è la posizione fondamentale del complemento oggetto nella lingua
italiana quando il verbo è transitivo attivo: Filippo apre la porta.
Il complemento oggetto si trova a sinistra del verbo quando il verbo è transitivo attivo, ma
solo:
a) in frasi enfatiche (quando si vuole mettere in risalto l’oggetto del verbo): Il caffè lo
prepara Gigi.
b) in frasi dipendenti introdotte dal pronome relativo: Tutti hanno visto la moto che ha
comprato Tancredi.
La proposizione oggettiva si pone sullo stesso piano del complemento oggetto, del quale si
può considerare una forma ampliata, un’espansione; infatti in vari casi un complemento oggetto può
essere sostituito con una proposizione oggettiva: Vedo il vostro abbattimento; Vedo che siete
abbattuti.
I complementi predicativi
Sono complementi predicativi quei nomi o quegli aggettivi che si riferiscono
grammaticalmente al soggetto o al complemento oggetto e completano così il significato del
predicato: Il bambino dorme; Il bambino dorme felice.
Se si confrontano le due frasi si nota che l’aggettivo ”felice” è concordato
grammaticalmente con il soggetto, però completa il significato del verbo.
È complemento predicativo del soggetto quel nome o quell’aggettivo che si riferisce
grammaticalmente al soggetto e, nel farlo, completa il senso del predicato.
Lo si incontra principalmente insieme con:
1.- verbi copulativi: diventare, sembrare,parere, riuscire, risultare, apparire, rimanere,
nascere, vivere, morire, ecc.: Filippo sembra simpatico.
2.- vari verbi passivi che si distinguono in:
- verbi appellativi: essere chiamato, essere detto,
essere soprannominato, ecc.: Garibaldi
fu soprannominato l’eroe dei due mondi.
- verbi effettivi: essere fatto, essere reso, ecc.: Sono reso felice dal tuo ritorno.
- verbi elettivi: essere designato, essere eletto, essere nominato, essere proclamato, ecc.:
Cicerone fu eletto console.
- verbi estimativi: essere considerato, essere giudicato, essere ritenuto, essere stimato, ecc.:
Quest’auto è ritenuta ottima da tutti.
- alcuni altri come: essere trovato, essere preso, essere riconosciuto: Egli fu riconosciuto
innocente.
È complemento predicativo dell’oggetto quel nome o quell’aggettivo che si riferisce
grammaticalmente al complemento oggetto e, nel farlo, completa il senso del predicato.
Gli stessi verbi che al passivo reggono il complemento predicativo del soggetto, all’attivo
reggono il complemento predicativo dell’oggetto; vale a dire:
- verbi appellativi: chiamare, dire, soprannominare, ecc.:
Gli amici lo soprannominarono la Volpe.
- verbi elettivi: eleggere, nominare, proclamare, ecc.: Nominò il figlio suo erede universale.
- verbi estimativi: stimare, ritenere, giudicare, credere, reputare, considerare, ecc.: Ritengo
Lucio un amico.
- verbi effettivi: fare, rendere, ecc.: Il lungo lavoro mi ha reso nervoso.
I complementi predicativi del soggetto e dell’oggetto dipendono direttamente dal verbo, ma
spesso sono introdotti da preposizioni, avverbi o locuzioni preposizionali: a, da, in, per, come,
quale, in qualità di, in quanto, ecc.: E’ stato preso a modello da tutti.; Fu dato per disperso.;
Nerone ebbe come maestro Seneca.; Lo assunse in qualità di segretario.
Talvolta, i complementi predicativi possono accompagnarsi anche alla forma riflessiva dei
verbi: Federica si è sentita come una sciocca (= Federica ha sentito sé come una sciocca).
L’attributo e l’apposizione
L’attributo e l’apposizione sono espansioni dei nomi, ai quali si aggiungono per meglio
determinare caratteristiche di significato.
L’attributo (dal latino attributum = ”ciò che è attribuito”) è un aggettivo che serve a
qualificare, determinare, caratterizzare un sostantivo dal quale dipende sintatticamente.
L’attributo può essere riferito al soggetto, al complemento oggetto, a un qualsiasi
complemento indiretto, alla parte nominale del predicato nominale e con essi concorda nel genere e
nel numero; non può essere riferito al predicato verbale. Qualche esempio:
Un uomo intelligente risolve problemi difficili.
“intelligente” è l’attributo del soggetto “un uomo”, “difficili” è l’attributo del complemento oggetto
“problemi”.
Luisa è arrivata alla stazione centrale all’ora prevista.
“centrale” è l’attributo del complemento di moto a luogo “alla stazione”, “prevista” è l’attributo del
complemento di tempo “all’ora”.
Paola è una ragazza simpatica.
“simpatica” è l’attributo della parte nominale “una ragazza”.
L’attributo può essere costituito da un qualsiasi aggettivo (qualificativo, possessivo,
dimostrativo, indefinito, interrogativo, ecc.) e anche da un participio usato con valore di aggettivo.
L’attributo può essere qualcosa di accessorio che si aggiunge ad un elemento fondamentale
della frase oppure può essere parte integrante dell’elemento cui si riferisce: Il celebre tenore canta
una bella romanza. Se fossero eliminati i due attributi “celebre” e “bella”, la frase manterrebbe un
senso (sia pure meno preciso); invece la frase: Con la luce spenta non vedo nulla, diventerebbe
priva di senso se l’attributo “spenta” fosse eliminato.
Sapendo che l’attributo serve principalmente a determinare il sostantivo cui si riferisce,
osserviamo come tale funzione possa essere svolta nella frase anche da altri elementi.
Per esempio se confrontiamo: Un famoso cantante con Un cantante di grido, ci accorgiamo
che l’aggettivo “famoso” e il sintagma ”di grido” hanno la stessa funzione di attributo.
Esistono parecchi sintagmi di questo tipo in italiano: un romanzo d’avanguardia, un
appartamento di lusso, uno spettacolo di massa, materiali di ricupero, oggetti di scarto, ecc.
Vi sono poi proposizioni relative che hanno la stessa funzione di un attributo: Il brano che
segue è tratto dal “Giorno” di Parini, la proposizione “che segue” equivale a “seguente”, cioè a un
attributo.
L’apposizione (dal latino appositio = ”ciò che si aggiunge”) è un sostantivo che si mette
vicino ad un altro per caratterizzarlo o definirlo meglio: Il poeta Virgilio scrisse un famoso poema
epico, l’”Eneide”. Il nome “poeta” è apposizione del soggetto “Virgilio” , mentre il nome “poema”
è apposizione del complemento oggetto.
Ogni nome, riferito ad un altro nome con lo scopo di specificarne il significato, ha la
funzione di apposizione. Tra nome – soggetto (o nome – complemento) e la sua apposizione non ci
deve essere nessuna apposizione.
I casi più ricorrenti di apposizione riguardano:
- nomi di mestiere: il giudice De Iudiciis; il giardiniere Tuberi; lo studente Marconi;
- nomi geografici: il fiume Po; il lago Trasimeno;
- coppie “fissi” nelle quali l’apposizione è costituita da un nome proprio: Piazza Cavour
(piazza è soggetto; si specifica che quella piazza di cui si parla è stata intestata a Camillo Benso di
Cavour); stile Modigliani (si parla di uno stile che si richiama al pittore Amedeo Modiglioni.
- accostamenti di due nomi comuni, senza preposizione: di solito il secondo è l’elemento che
specifica, che si appone al primo: cane poliziotto; anni Sessanta; uscita Malegnano.
Come l’attributo, anche l’apposizione può precedere il termine cui si riferisce oppure può
seguirlo. Se segue il soggetto o il complemento, l’apposizione può essere accompagnata, come
avviene per tutti i nomi, da attributi o complementi: Mi piace Vienna, città bella e famosa. “ bella”
e “famosa” sono gli attributi dell’apposizione “città” del soggetto “Vienna”.
L’apposizione può anche essere un aggettivo che assuma valore di sostantivo: Scipione
l’Africano vinse a Zama.
Spesso le apposizioni sono precedute dalla preposizione da, dall’avverbio come, o dalla
locuzione preposizionale in qualità di: Mio fratello, da bambino, collezionava figurine di ciclisti; Il
Ministro, in qualità di presidente della commissione, aprì il dibattito.
Un particolare costrutto della lingua italiana è “agg. dimostrativo + nome + di + nome”:
Quel brigante di Paolo; quel tesoro di Adriana; quel simpaticone di Tancredi.
In questo caso l’espressione “quel + nome” è apposizione della funzione ricoperta dal nome
seguente: Quel briccone di Gianni mente (“quel briccone” è l’apposizione del soggetto “Gianni”;
“mente” è predicato verbale).
In relazione alla sua formazione, l’apposizione può essere:
- semplice - quando è costituita di un solo sostantivo: Il poeta Orazio compose molte odi.
- complessa - quando è accompagnata da uno o più complementi, o da attributo e
complemento insieme: Il famoso poeta Orazio compose molte odi.
- composta - quando è costituita di due o più sostantivi: Carducci, poeta e prosatore
di fama, ha celebrato la romanità.
Spesso l’apposizione è contemporaneamente complessa e composta: Carducci, insigne
poeta e prosatore di fama, ha celebrato la romanità.
L’apposizione, quando è accompagnata da attributi o altre determinazioni, viene, di solito
posta tra due virgole.
Per quanto riguarda la concordanza, l’apposizione, data la sua natura, concorda con il nome
cui si riferisce in genere e in numero soltanto quando è sostantivo mobile: Atene, maestra (app.,
nome mobile) di civiltà, fu nemica della città di Sparta, stato (app., nome non mobile) bellicoso
della Laconia; Pan, divinità (app., nome non mobile) agreste, fu adorato dagli antichi.
I complementi indiretti
Sono indiretti quei complementi che, di solito, si uniscono al soggetto, al verbo o ad altri
complementi non direttamente, ma mediante una preposizione semplice o articolata, o una
locuzione prepositiva.
Il numero dei complementi è illimitato perché illimitate sono le relazioni fra i nostri
pensieri, le nostre azioni, i nostri modi di essere.
I principali complementi indiretti sono: il complemento di specificazione, il complemento
di termine, i complementi di tempo e di luogo, il complemento di causa, il complemento di
mezzo, il complemento di modo, il complemento di compagnia e di unione, il complemento
d’agente e di causa efficiente. Ci sono moltissimi altri complementi (fine, vantaggio, qualità,
argomento, materia, limitazione ecc.) Spesso però questi complementi dipendono più da criteri
pratici di classificazione che non dal reale funzionamento sintattico della lingua.
Il complemento di specificazione
È il complemento indiretto rappresentato da una forma sostantivata che specifica il soggetto
o un altro complemento, unendosi ad esso mediante la preposizione di (semplice o articolata).
Risponde alla domanda di chi?, di che cosa?: il re di Francia; il cane del mio amico; il profumo
della rosa; la vista del panorama;
Questo complemento dipende sempre da un nome. Tuttavia la presenza della preposizione
di (semplice o articolata) non è un indizio sicuro: essa serve a introdurre anche altri complementi
(di misura, di tempo, di colpa).
Si possono distinguere cinque tipi principali di complemento di specificazione, secondo i
rapporti che esso esprime:
1. complemento di specificazione dichiarativa, quando specifica, determina il concetto
generico del sostantivo da cui dipende: Il popolo dei beduini è nomade.
2. complemento di specificazione soggettiva, quando il sostantivo da cui esso dipende
contiene l’idea di un verbo, in relazione al quale il complemento di specificazione assume funzione
di soggetto: Le vacanze sono il desiderio dei ragazzi. (desiderio da desiderare), quindi: I ragazzi
(soggetto) desiderano le vacanze.
3. complemento di specificazione oggettiva, quando il sostantivo da cui esso dipende
contiene l’idea di un verbo in relazione al quale il complemento di specificazione assume funzione
di oggetto: Spesso ti sei dimenticato dei tuoi doveri. (dimenticato da dimenticarsi), quindi: Tu
dimentichi spesso i tuoi doveri (oggetto).
4. complemento di specificazione attributiva, quando esso si può trasformare in un
aggettivo, assumendo così valore di attributo del sostantivo da cui dipende: Il calore del sole
(solare) è benefico. L’orario delle ferrovie (ferroviario) è mutato.
5. complemento di
specificazione
possessiva,
quando esso indica possesso,
appartenenza: Il libro dello scolaro è sul banco. La casa dei nonni è antica.
In quest’ultimo esempio si può notare che il complemento di specificazione possessiva può
dipendere direttamente dal verbo “essere”.
Il complemento di termine
Indica la persona, l’animale o la cosa su cui “termina” l’azione o la relazione espressa dal
verbo, il termine a cui è diretto ciò che è espresso da un verbo, da un sostantivo o da un aggettivo.
Esso è rappresentato da una forma sostantivata che si unisce al verbo, al sostantivo,
all’aggettivo mediante la preposizione a (semplice o articolata). Risponde alla domanda: a chi? a
che cosa?: Mando una lettera a mio fratello. Ho fatto un regalo a Giorgio.
Il complemento di termine può essere espresso direttamente da un pronome (nella forma di
particella pronominale).
Dal punto di vista sintattico, i complementi di termine costituiscono il terzo argomento di un
verbo transitivo a tre posti, come: regalare, dare, inviare, passare, spedire, affidare, ecc.:
Adriana ha dato una carota a un coniglietto.
sogg. verbo c. oggetto c. di termine
Il complemento di tempo
Esprime le diverse circostanze di tempo dell’azione o della condizione indicata dal verbo.
Le principali relazioni di tempo sono due: tempo determinato; tempo continuato.
La distinzione riportata non ha assoluto valore grammaticale, ma serve a sottolineare
prevalentemente: nel tempo determinato, il momento dell’azione; nel tempo continuato, la durata,
l’estensione dell’azione.
Il complemento di tempo determinato indica quando, cioè il momento in cui avviene
l’azione o si verifica la circostanza espressa dal verbo.
Esso è rappresentato, di solito, da una forma sostantivata indicante tempo ed è introdotto (non
necessariamente) dalle preposizioni: a, di, in, su, per, fra, tra, entro, durante, dopo e dalle
locuzioni preposizionali al tempo di, prima di: Gli ho scritto domenica. D’estate andiamo al mare.
Risponde alle domande: quando?, per quando?, a quando?, in quale momento o periodo?
Il complemento di tempo continuato indica per quanto tempo dura l’azione o la
circostanza espressa dal verbo.
Esso è rappresentato, di solito, dalle stesse forme sostantivate che si usano per il tempo
determinato, accompagnate, però da un aggettivo quantitativo (indefinito o numerale).
È introdotto dalle preposizioni e locuzioni preposizionali: per, in, durante, da, fino a, fino
da. Si può trovare spesso senza preposizione o introdotto da avverbi: Sono sempre d’accordo.
Risponde alla domanda: per quanto?, per quale periodo di tempo?.
Oltre alle due principali relazioni di tempo esistono molti altri costrutti temporali che, in
vario modo si possono ricondurre ai due fondamentali. Si richiamano all’idea del complemento di
tempo determinato le espressioni temporali: Fra due giorni finirà il mese.Ti invito a cena per
domani sera.
I complementi di tempo determinato e continuato possono essere rappresentati anche da
avverbi e locuzioni avverbiali come: oggi, ieri, domani, poi, per sempre, ecc.; in tal caso avremo, in
analisi logica, il complemento avverbiale di tempo: Oggi (c. avverbiale di tempo determinato)
sono più contento di ieri (c. avverbiale di tempo determinato).; Per sempre (c. avverbiale di tempo
continuato) resterò fedele ai miei ideali.
Il complemento di luogo
Esprime le diverse collocazioni nello spazio di un essere, di una cosa, di un’azione, di una
condizione.
Vi sono quattro tipi fondamentali di complementi di luogo:
1. Il complemento di stato in luogo indica il luogo reale o figurato in cui ci si trova o
avviene una certa azione. Risponde alla domanda: dove? in quale luogo?.
Esso è rappresentato da una forma sostantivata che si unisce ai verbi o a sostantivi indicanti
quiete, permanenza, stato (stare, abitare, essere, vivere, giacere, sosta, dimora, permanenza, ecc.)
mediante le preposizioni in, a, su, sopra, sotto, dentro, presso, fra, tra, da, per, di, fuori o dalle
locuzioni preposizionali: accanto a, vicino a, nei pressi di, nelle vicinanze di, nel raggio di, ecc.:
Abito a Roma. Resto in casa. Il signore sta sdraiato per terra. Spero di essere nel giusto. Ho fiducia
in te.(“nel giusto”, “in te” sono complementi di stato in luogo “figurato”).
2. Il complemento di moto a luogo indica il luogo reale o figurato verso il quale ci si
muove o è diretta un’azione. Risponde alla domanda: dove?, verso dove?.
Esso è rappresentato da una forma sostantivata che si unisce a verbi o a sostantivi indicanti
moto (andare, recarsi, partire, inviare, spedizione, ritorno, entrata, ecc.) mediante le preposizioni:
in, a, su, da, per, di, tra, verso, dentro, sopra, sotto, vicino o dalle locuzioni preposizionali: dalle
parti di, nei pressi di, vicino a, ecc.: Vengo in città. Mi dirigo verso casa. Parto per il mare.
3. Il complemento di moto da luogo indica il luogo reale o figurato dal quale ci si muove o
dal quale si effettua un’azione. Risponde alla domanda: da dove?, da quale luogo?.
Esso è rappresentato da una forma sostantivata che si unisce a verbi o a sostantivi indicanti
moto come nel moto a luogo, mediante le preposizioni da, di o le locuzioni: giù da, fuori da, via
da, ecc.: Sono uscito di casa alle nove. Comincia l’esodo dalla città. Sono reduce da una brutta
esperienza (complemento di moto da luogo “figurato”).
4. Il complemento di moto per (attraverso) luogo indica il luogo reale o figurato
attraverso il quale ci si effettua o si muove un’azione. Risponde alla domanda: per dove?,
attraverso quale luogo?.
Esso è rappresentato da una forma sostantivata che si unisce a verbi o a sostantivi indicanti
moto, passaggio, transito (passare, fuggire, viaggiare, camminare, transito, inseguimento, ingresso,
viaggio, ecc.) mediante le preposizioni: per, attraverso, da, di, tra, in, o dalle locuzioni: in mezzo
a, per mezzo di, ecc.: Non passare per questa strada. Passeremmo per una scorciatoia.Quanti
ricordi mi passano nella mente (complemento di moto per luogo “figurato”).
I quattro tipi di complemento di luogo possono essere rappresentati anche da avverbi e
locuzioni avverbiali come: dove, donde, costì, qui, lì, ovunque; in tal caso avremo, nell’analisi
logica, un complemento avverbiale di luogo. Per distinguere quale complemento di luogo indica
l’avverbio, dobbiamo osservare attentamente sia la preposizione che lo precede, sia il verbo:
Resto qui. – compl. avverbiale di stato in luogo;
Per riposare vengo qui. – compl. avverbiale di moto a luogo;
Parto volentieri da qui. – compl. avverbiale di moto da luogo;
Non si transita (per) di qui. – complemento avverbiale di moto per luogo.
Quando il movimento avviene nell’interno di un luogo, rimanendo dentro di esso, non si ha
un complemento di moto a luogo, né di moto attraverso luogo, ma un complemento detto di moto
entro luogo circoscritto: Passeggio nel giardino; Cammina nervosamente per la stanza.
Oltre alle quattro principali determinazioni di luogo, esistono molti altri costrutti locativi
che, in vario modo, si possono ricondurre ai quattro fondamentali.
Si richiamano all’idea del complemento di stato in luogo i costrutti locativi presenti negli
esempi: Questo ponte si erge fra due isole. Dopo questa svolta la strada è diritta.
Si richiamano all’idea dei vari complementi di moto le espressioni locative delle frasi: Si
muoveva fra i tralicci. (moto per luogo). Non scenderò prima di Roma. (moto a luogo).
Il complemento di mezzo o strumento
Indica l’essere animato o la cosa con cui si compie o si subisce l’azione. Risponde alla
domanda: per mezzo di chi?, per mezzo di che cosa?.
Esso è rappresentato da una forma sostantivata e si unisce al verbo mediante le preposizioni
con, per, a, in, di, da, mediante, o le locuzioni prepositive per mezzo di, ad opera di: Tieni quel
vaso con due mani perché non cada.Con il tuo aiuto risolverò la questione. Vengo con l’aereo. Si
nutrono di erbe. Scrivo a macchina. Andiamo in bicicletta. Spedizione per mezzo di un corriere.
Il complemento di modo o maniera
Indica il modo, la maniera in cui si fa o avviene un’azione o si verifica una circostanza:
Risponde alla domanda: come?, in che modo?, in che maniera?.
Esso è rappresentato, di solito, da una forma sostantivata, spesso accompagnata da un
aggettivo ed è introdotto dalle preposizioni con, a, in, per, di, da, su, o dalle locuzioni
preposizionali alla maniera di, a guisa di.
Il complemento di modo è in genere sostituibile con un avverbio di modo o con un gerundio:
in tal caso nell’analisi logica, avremo un complemento avverbiale di modo: Il vento soffiava con
forza – fortemente Mio figlio studia con diligenza – diligentemente.
Il complemento di modo si può esprimere anche con un avverbio. Si considerano
complementi di modo alcune espressioni avverbiali come:: alla rinfusa, d’accordo, per scherzo,
all’impazzata, a precipizio, di nuovo.
Il complemento di causa
Il complemento di causa (o causa determinante) indica la ragione, la causa di un’azione, di
un sentimento, di una circostanza espresse da un verbo, da un sostantivo, da un aggettivo.
Esso, in particolare, completa il significato di alcuni verbi come: rallegrarsi, dolersi,
tremare, rammaricarsi, ecc. e di alcuni aggettivi come: felice, orgoglioso, superbo, stanco, ecc.
È rappresentato da una forma sostantivata e si unisce al verbo, al sostantivo o all’aggettivo
mediante le preposizioni per, di, da, a, in, con, o le locuzioni preposizionali per causa di, a causa
di, a motivo di, in conseguenza di, ecc.: Sto morendo di fame. Piangeva dalla gioia.
Il complemento di compagnia e unione
Il complemento di compagnia indica l’essere animato, quello di unione indica l’essere
inanimato con cui si è o con cui si fa qualcosa.
È rappresentato da un nome o da un pronome e si unisce al verbo o al sostantivo mediante le
preposizioni con, tra, o le locuzioni preposizionali insieme con, insieme a, in compagnia di, ecc.
Risponde alla domanda: con chi?, in compagnia di chi? - il complemento di compagnia; con
che cosa?, unitamente a che cosa? - il complemento di unione: Il maestro parla con gli scolari.
Eravamo in compagnia di amici. Eravamo tra amici.
Il complemento, quando è rappresentato da un sostantivo indicante cosa, è definito
complemento di unione: Ho sfogliato un libro con belle illustrazioni.
È necessario porre attenzione nell’analizzare il complemento di mezzo e quello di
compagnia:
Lavoro con la mamma - indica la persona insieme con la quale compio l’azione;
Lavoro con l’ago - indica la cosa per mezzo della quale compio l’azione.
Il complemento d’agente e causa efficiente
Il complemento d’agente indica l’essere animato da cui è compiuta l’azione espressa da un
verbo di forma passiva al quale si unisce mediante la preposizione da, o le locuzioni prepositive da
parte di, ad opera di. Risponde alla domanda: da chi ?: I Cartaginesi furono sconfitti dai Romani.
Il rapinatore è stato catturato dalla polizia.
Ogni preposizione con il verbo di forma passiva, in cui sia espresso il complemento
d’agente può trasformarsi in una corrispondente proposizione attiva in cui il complemento d’agente
assume funzione di soggetto, mentre il soggetto della proposizione passiva assume funzione di
complemento oggetto:
La luna (soggetto) era venerata dagli antichi Germani (agente).
Gli antichi Germani (soggetto) veneravano la luna (complemento oggetto).
Il complemento di causa efficiente si distingue dal complemento d’agente solo per il fatto
che l’azione, espressa da un verbo passivo, non è compiuta da un essere animato capace di agire, ma
da una cosa che, essendo tale, non agisce, ma è soltanto causa efficiente dell’azione stessa.
Il complemento di causa efficiente indica l’essere inanimato da cui è compiuta un’azione
espressa da un verbo passivo.
È introdotto dalla preposizione da e diventa il soggetto della proposizione quando questa si
trasforma da passiva in attiva:
La città di Troia fu distrutta dai Greci - c. agente.
La città di Troia fu distrutta dal fuoco.- c. di causa efficiente.
I complementi di abbondanza e di privazione
Indicano ciò che si ha in abbondanza o di cui si è privi. Rispondono alla domanda: di chi?,
di che cosa ?.
Sono rappresentati da un sostantivo o un pronome che si unisce a un verbo o a un aggettivo
indicante abbondanza o privazione: arricchire, fornire, abbondare, ricco, dotato, pieno, privo,
orfano, scarso, ecc., mediante la preposizione di: E’ un articolo ricco di spunti critici. Quel fiume
abbonda di trote.
Il complemento di argomento
Indica l’essere animato o la cosa intorno a cui si parla o scrive. È rappresentato da una forma
sostantivata che si unisce a verbi o sostantivi come: dire, trattare, parlare, discutere, conversare,
scrivere, questione, opera, libro, problema, ecc. mediante le preposizioni di, su, sopra, circa, o le
locuzioni prepositive intorno a, riguardo a, a proposito di. Si
considerano
complementi
di
argomento anche i titoli o le parti o i capitoli di un libro.
Risponde alla domanda: di chi?, di che cosa?, intorno a chi?, intorno a che cosa ?: Tu parli
solo di sport. Ho sentito una conferenza sulla cibernetica. È un trattato sulle malattie nervose.
Il complemento di origine o provenienza
Indica da dove ha origine o proviene un essere animato o una cosa. Esso è rappresentato da
un nome e talvolta da un pronome che si unisce a verbi, sostantivi o aggettivi (a volte sottintesi)
indicanti origine o provenienza (nascere, discendere, derivare, incominciare, apprendere, nascita,
provenienza, ecc.) mediante le preposizioni da, di: L’Arno nasce dal Falterona. Ho appreso la
notizia da te.
Il complemento di separazione (o allontanamento)
Indica il luogo da dove un essere animato o una cosa si allontana, si distacca, si divide.
Esso è rappresentato da un nome e talvolta, da un pronome che si unisce a verbi, sostantivi,
aggettivi indicanti separazione, allontanamento, distinzione, differenza (allontanare, separare,
dividere, liberare, espellere, distinguere, differenza, allontanamento, distacco, alieno, immune,
diviso, distolto, ecc.) mediante la preposizione da: Separa la farina dalla crusca. Nessuno è immune
da vizi. Mi trovavo lontano da casa. Ha dovuto distaccarsi dagli amici.
Il complemento di colpa
Indica il difetto, la colpa, il delitto di cui uno viene accusato o assolto. Esso è rappresentato
da una forma sostantivata che si unisce a un verbo o a un sostantivo indicante accusa, processo,
condanna, assoluzione (incolpare, accusare, processare, assolvere, colpevole, innocente, accusa,
reo, assoluzione, ecc.) mediante le preposizioni di, da, per. Risponde alla domanda: di che cosa?,
per che cosa?: Reo di omicidio. I rei di tradimento furono degradati.
Il complemento di pena
Indica la condanna, la punizione, la multa con cui uno viene condannato o da cui viene
assolto. Esso è rappresentato da una forma sostantivata che si unisce a un verbo o a un sostantivo
indicante condanna, multa, assoluzione (condannare, castigare, graziare, multa, ecc.) mediante le
preposizioni a, di, con, in, per: Fu condannato all’ergastolo. I gladiatori feriti erano condannati a
morte. Il vigile mi punì con una multa di 5 mila lire.
Il complemento concessivo
Indica l’essere animato o la cosa nonostante la quale si attuano l’azione o le circostanze
espresse dal verbo. Risponde alla domanda: nonostante chi?, che cosa ?. Esso è rappresentato da
una forma sostantivata preceduta dalle preposizioni con, contro o dalle locuzioni prepositive
nonostante, ad onta di, a dispetto di, malgrado: Nonostante la sua promessa di restare, se ne
andò. Contro ogni previsione il tempo oggi è bello.
Il complemento di denominazione
Non si deve confondere il complemento di specificazione con il complemento di
denominazione; infatti, anche se identica è la costruzione, assai diversa è la loro funzione, poiché il
complemento di denominazione è sempre un nome proprio introdotto mediante la preposizione di,
da un nome comune delle categorie seguenti:
- nomi geografici, come: città, isola, penisola, lago, regione: la città di Bologna; l’isola di
Cipro; il nome di Carlo (o il nome Carlo).
- cognome, nome, soprannome: Il nome di Scipione è famoso.
- mese, giorno: Il mese di agosto è afoso. Mi piace il giorno della domenica.
Se il nome proprio si unisce al nome comune direttamente, cioè senza la preposizione di,
quest’ultimo viene considerato apposizione del nome proprio: Il fiume Tevere attraversa la città di
Roma (“il fiume” è apposizione del soggetto Tevere, “di Roma” è complemento di denominazione
retto dal sostantivo città).
Risponde alla domanda: di chi?, di che cosa?, di quale nome?.
Il complemento di distanza
Indica la distanza da un punto di riferimento. Risponde alla domanda: quanto? a che
distanza?. Esso è rappresentato da una forma sostantivata che si unisce a verbi, o aggettivi indicante
distanza (distare, lontano, ecc.) direttamente o mediante la preposizione a, tra; spesso si trova
senza preposizione; si usa sempre con la preposizione a con i verbi: trovarsi, sorgere: La città dista
da qui cinque chilometri. Cesare pose l’accampamento a due miglia da quello del nemico.
Il complemento distributivo
Indica in quale proporzione o in qual modo vengono distribuiti esseri animati o cose.
Risponde alla domanda: ogni quanto?, ogni quanti?, in quale proporzione o distribuzione?.
Esso è rappresentato da una forma sostantivata preceduta dalle preposizioni a, per, su.
Hanno valore distributivo anche:
- la formula con per usata nella moltiplicazione: due per quattro; sei per otto: Camminate in
fila per tre.
- le percentuali: tre per cento: La benzina è aumentata del quindici per cento.
- le indicazioni di quantità come: al (il) metro; all’ora; a pagina; al giorno: Costa
cinquemila lire al metro (o il metro).
- altre espressioni come: dieci su cento; quaranta su mille.
Il complemento di esclusione (o eccettuativo)
Indica l’essere animato o la cosa che può o deve essere esclusa dall’azione o dalle
circostanze espresse dal verbo. Risponde alla domanda: senza chi?, senza che cosa?, eccetto chi?,
eccetto che cosa?.
Esso è rappresentato da una forma sostantivata preceduta dalle preposizioni: senza, tranne,
eccetto, fuor che, meno, salvo, o dalle locuzioni prepositive al fuori di, ad eccezione di, ad
esclusione di: Sono arrivati tutti, tranne Maria; Siamo usciti senza ombrello.
Il complemento di esclusione può, in certo senso, esser considerato l’apporto dei
complementi di compagnia e di unione.
Il complemento di età
Indica l’età (da quanto tempo è nato o ha avuto origine un essere animato o una cosa). Esso
è rappresentato da un nome come: anno, mese, giorno, ora, accompagnato da un aggettivo numerale
o quantitativo, preceduto o no dalle preposizioni: a, di, su o dalle locuzioni prepositive: all’età di,
in età di. Risponde alla domanda: a quanti anni, di quanti anni?: Un uomo di circa trent’anni ( sui
trent’anni). Quel bambino a dieci anni suona già bene il piano.
Il complemento di fine o scopo
Indica il fine, lo scopo al quale mira un’azione, una circostanza, una condizione, espresse da
un verbo, da un sostantivo o da un aggettivo. Risponde alla domanda: per quale fine?, per quale
scopo?.
Esso è rappresentato da una forma sostantivata e si unisce al verbo, al sostantivo,
all’aggettivo mediante le proposizioni: per, in, da, a, di, o le locuzioni prepositive: al fine di, con
lo scopo di: Quella donna venne da me per consiglio.Gli emigranti partono in cerca di lavoro.
Per riconoscere rapidamente il complemento di fine e non confonderlo con quello di causa si
deve osservare che, mentre la causa rappresenta l’effetto dell’azione, cioè esprime un fatto, una
circostanza preesistente all’azione del verbo, il fine invece, rappresenta lo scopo, la meta cui tende
l’azione del verbo, esprime quindi ciò che sarà il risultato dell’azione stessa.
Nella proposizione: Aristide era ammirato per la giustizia, è “la giustizia” già esistente in
Aristide che genera l’azione dell’ ”essere animato”, cioè è la causa dell’azione verbale. Invece nella
proposizione: I saggi combattono per la giustizia, il complemento ”per la giustizia” indica lo scopo
cui tende l’azione di combattere, cioè i saggi combattono per raggiungere la giustizia che ancora
non posseggono.
Il complemento di limitazione
Indica entro quali limiti si debba restringere l’idea espressa da un verbo, da un aggettivo o,
meno frequentemente, da un sostantivo. Risponde alla domanda: per che cosa?, limitatamente a che
cosa?.
Esso è rappresentato da una forma sostantivata che si unisce al verbo, all’aggettivo, al
sostantivo mediante le preposizioni: a, da, di, in, per, con o le locuzioni prepositive: quanto a,
rispetto a, limitatamente a, in conformità di, a seconda di, in proporzione di: Per intelligenza
non ha rivali. Annibale era cieco da un occhio.
Anche le espressioni: a mio parere, secondo te, per lui, a vostro giudizio, ecc. vanno
considerate come complementi di limitazione: Per me la gita è stata piacevole.
Il complemento di materia
Indica la materia, la sostanza di cui è costruita una cosa. Risponde alla domanda: fatto di che
cosa?, di quale materia?.
Esso è rappresentato da una forma sostantivata indicante materia (legno, marmo, oro, ecc.)
che si unisce, mediante le preposizioni: di, in al nome dell’oggetto di cui si vuole indicare la
materia. Il complemento di materia si può trasformare in aggettivo con valore di attributo: Una
statua di bronzo orna il giardino pubblico (bronzea).
Il complemento di materia è unito a verbi come: essere, formare, fare, costruire, soprattutto
nelle forme di participio: Le fondamenta del palazzo furono costruite in cemento.
Il complemento di paragone (o comparativo)
È rappresentato in un confronto tra due esseri animati o cose, dal secondo termine del
confronto. Ogni confronto può indicare un rapporto di maggioranza, di minoranza, di uguaglianza;
il secondo termine, nei vari casi, sarà così introdotto:
- nel rapporto di maggioranza e minoranza, dalla preposizione di, dalla congiunzione che,
dalla preposizione a (soltanto con i comparativi di forma organica: anteriore, posteriore, inferiore,
superiore): Marco (1o termine) è più studioso di Claudia.(2o termine, c. di paragone).
- nel rapporto di uguaglianza, dagli avverbi come, quanto, in correlazione con tanto, così, o
dalla locuzione non meno di (che): Tu (1o termine) sei tanto modesto quanto tuo fratello (2o
termine, c. di paragone).
Risponde alla domanda: di chi?, di che cosa?, quanto chi?, quanto che cosa?, come chi?,
come che cosa?.
Oltre che tra due esseri animati o cose, il paragone può avvenire tra due aggettivi riferiti allo
stesso sostantivo o fra due avverbi riferiti allo stesso predicato: Mario è più intelligente (1o
termine) che volenteroso (2o termine, c. di paragone).
Il medico scrive più rapidamente (1o termine) che chiaramente (2o termine, c. di paragone).
Il complemento partitivo
Indica un tutto di cui si considera una parte; si trova in dipendenza da sostantivi come:
parte, quantità, ecc. da numerali come: tre, decine, dozzine, ecc. da pronomi come: chi?, alcuni,
nessuno, quanti, ecc. da superlativi relativi. E’ introdotto dalle preposizioni : di, tra fra. Risponde
alla domanda: tra chi?, tra che cosa?: Nessuno degli (tra gli) scolari ha risolto il problema.
Il complemento di qualità
Indica la qualità o una caratteristica di cui è fornito un essere animato o una cosa.
Esso è rappresentato da una forma sostantivata, spesso accompagnata da un aggettivo,
preceduta dalle preposizioni: di, da, con, a. Risponde alla domanda: di che qualità?, come?: Era un
uomo di singolare bontà. È una bella bambina con gli occhi azzurri, con i capelli biondi.
Il complemento di quantità o misura
Indica una quantità, la misura di un essere animato o di una cosa nelle sue dimensioni:
lunghezza, larghezza, altezza o profondità. Risponde alla domanda: quanto?, di quanto?, per
quanto?: La cupola di S. Pietro è alta 119 metri.I resti di quelle mura si estendono per due
chilometri.
È rappresentato da un nome o aggettivo che si unisce a verbi indicanti estensione, misura,
dimensione (estendersi, innalzarsi, lungo, alto, profondo, ecc.) direttamente o, a volte mediante le
preposizioni: per, a, di, e con valore di approssimazione: su.
Può essere rappresentato anche da avverbi: poco, molto, tanto. In tal caso nell’analisi logica
avremo un complemento avverbiale di estensione: Questo lago è profondo molti metri.
Sono da notare le espressioni con il verbo essere prive di aggettivo indicante l’estensione: È
un grattacielo è di cinquanta metri (d’altezza). La fossa è di due metri (di profondità).
Il complemento di rapporto o relazione
Indica un rapporto, una relazione di amicizia, fraternità, contrasto, differenza tra esseri
animati o cose. Risponde alla domanda: tra chi?, tra quali cose?.
Esso è rappresentato da una forma sostantivata preceduta dalle preposizioni: fra, tra, con, o
dalle locuzioni prepositive fra di, tra di: Tra noi c’è una solida amicizia.
Il complemento di sostituzione o scambio
Indica la persona in sostituzione, al posto, in luogo della quale viene compiuta l’azione o la
cosa che prende il posto di un’altra. Risponde alla domanda: al posto di chi?, di che cosa?, invece
di chi?, di che cosa?.
Esso è rappresentato da una forma sostantivata preceduta dalle preposizioni: per, con o dalle
locuzioni prepositive: invece di, al posto di, in cambio di, in (a) nome di, in luogo di: Invece
dell’aereo prende il treno. A nome del figlio diede garanzia il padre.
Il complemento di stima e prezzo
Indicano quanto un essere o una cosa sono stimati o quanto costano. Rispondono alla
domanda: quanto?, a quanto?.
Il complemento di stima è rappresentato da avverbi preceduti o no dalle preposizioni: di,
da, per o da particolari locuzioni come: in gran ( poco, massimo) conto, in gran (poca, massima)
considerazione, che accompagnano in verbo indicante stima, valutazione (stimare, valutare,
apprezzare, reputare ,ecc.):Non consideriamo niente la gloria. Tengo in gran conto le tue parole.
Il complemento di prezzo è rappresentato da un nome, da un avverbio e anche
dall’aggettivo caro che si uniscono a un verbo indicante prezzo, valutazione, costo (costare,
comprare, vendere, pagare, affittare, stimare, valutare, ecc.) direttamente o mediante le
preposizioni: per, a, con, da, di: Per questa gita ho spesso mille lire. Imparare costa grande fatica.
Il complemento di interesse: vantaggio e svantaggio
Il complemento di interesse indica l’essere animato o la cosa a vantaggio o a danno della
quale avviene un’azione. Risponde alla domanda: per chi?, per che cosa?, a vantaggio?, a danno di
chi?, di che cosa?.
Esso è rappresentato da un nome o da un pronome che si unisce al verbo, al sostantivo o
all’aggettivo mediante le preposizioni: a, per, contro, verso o le locuzioni prepositive: a vantaggio
di, a danno di, nell’interesse di, a favore di, contro di (a): Il soldato combatte per la patria.Non
dirò mai nulla contro un amico.
A volte, al fine di sottolineare l’interessamento di una persona per l’azione espressa dal
verbo, si usano i pronomi atoni mi, ti, si, ci, vi con valore pleonastico, perché, anche se vengono
soppressi, il significato della proposizione non muta. Tale complemento viene detto etico o
pleonastico: Che mi fai con quel fucile?
Il complemento di vocazione
Serve per invocare, chiamare, rivolgere la parola; non ha legami di dipendenza con altri
elementi della frase, da cui è isolato per mezzo della virgola; si può trovare anche da solo (in questo
caso costituisce esso stesso una frase). Può essere preceduto dalla particella vocativa: o! Andrea!
Signori, vi prego di fare attenzione. Mi appello, o, giudici, alla vostra clemenza.
Il complemento di differenza
Indica di quanto un essere animato o una cosa sia inferiore o superiore a un altro,
relativamente all’estensione, all’età, alla distanza.
Esso è rappresentato da una forma sostantivata accompagnata dall’aggettivo numerale o da un
avverbio o dalle locuzioni del doppio, del triplo, della metà e si unisce a verbi che esprimono
paragone (superare, precedere, vincere, ecc.) o ad aggettivi di grado comparativo sia direttamente
sia mediante la preposizione di: Tu sei di dieci centimetri più alto di me.
Il complemento di esclamazione o esclamativo
Questo complemento si differenzia dal complemento di vocazione in quanto indica un
sentimento di meraviglia, di dolore, di gioia, di minaccia, ecc.
Può essere rappresentato anche da una sola interiezione ma, più frequentemente, da un
pronome, da un sostantivo, da un semplice aggettivo, precedute a volte da interiezione e seguiti dal
punto esclamativo: Ahimè! Che vita! O, me, infelice!
II. La frase complessa: le proposizioni
La sintassi della frase complessa, detta anche sintassi del periodo, studia le relazioni che
intercorrono tra strutture sintattiche semplici (proposizioni), le quali, combinandosi tra loro
formano strutture più complesse (frasi o periodi).
Nella frase complessa, le proposizioni possono essere:
- proposizioni principali sono le proposizioni indipendenti con una propria autonomia
sintattica e una propria compiutezza di significato;
- proposizioni coordinati sono proposizioni collegate tra loro in modo che ciascuna
rimanga autonoma dall’altra;
- proposizioni
subordinate sono proposizioni che dipendono da un’altra proposizione.
A seconda che il verbo in esse contenuto sia di modo finito, o indefinito si distinguono in:
subordinate esplicite e subordinate implicite.
Una frase può essere composta di una sola proposizione indipendente (frase semplice o
monoproposizionale).
Paolo ha comprato un’automobile nuova.
sogg. pred. verbale c. oggetto fornito di un attributo
Ma soprattutto nella lingua scritta si hanno frasi composte di due, tre o più proposizioni
(frasi bi-, tri-, pluriproposizionali).
In questi frasi le diverse proposizioni sono tra loro in rapporto di: coordinazione o
subordinazione.
Si ha coordinazione in una frase nella quale le proposizioni si trovano, sintatticamente, nello
stesso piano, senza che una dipenda dall’altra: Paolo ha comprato un’automobile nuova/ e ha
venduto quella vecchia.
Si ha subordinazione in una frase nella quale è possibile distinguere tra una proposizione
principale o sovraordinata o reggente e una proposizione secondaria o subordinata o dipendente:
Paolo ha comprato un’automobile nuova/ dopo aver venduto quella vecchia/.
La proposizione subordinata si colloca in posizione vicaria rispetto alla principale soltanto
per quel che riguarda la funzione sintattica: una subordinata presuppone l’esistenza di una
proposizione reggente, mentre ciò non vale per la principale.
Le cose stanno diversamente per quel che riguarda il contenuto, l’informazione presente
nella subordinata non è necessariamente accessoria rispetto a quella contenuta nella principale, anzi
può costituire la parte più importante dell’enunciato: Penso che Mario porti gli occhiali.
Il contenuto centrale del messaggio è veicolato proprio dalla proposizione subordinata,
mentre la reggente sta ad indicare che la mia affermazione non ha il carattere della certezza.
Occorre inoltre tenere distinto il rapporto logico che esiste tra due proposizioni dal
collegamento formale tra le stesse. I termini coordinazione e subordinazione si riferiscono alla
dipendenza sintattica tra due proposizioni appartenenti alla stessa frase.
Per quanto riguarda il legame parleremo di collegamento sindetico quando è presente un
segnale di giunzione esplicito (una congiunzione o una preposizione) e di collegamento asindetico
quando si ha la semplice giustapposizione delle due proposizioni separate da opportuni segni di
interpunzione: Lascio qui l’automobile e proseguo a piedi – coordinazione sintetica; Lascio qui
l’automobile, proseguo a piedi – coordinazione asindetica; Poiché mi sento stanco, non esco –
subordinazione sindetica; Mi sento stanco: non esco – subordinazione asindetica.
La coordinazione
La coordinazione è il legame che unisce su uno stesso piano diverse proposizioni.
Le proposizioni coordinate sono le proposizioni collegate tra loro in modo che ciascuna
rimanga autonoma dall’altra o dalle altre.
La coordinazione può avvenire soltanto tra proposizioni che abbiano la stessa funzione
logica. Coordinate, quindi possono essere sia due o più proposizioni principali, sia due o più
proposizioni secondarie della stessa specie e dello stesso grado, purché dipendenti dalla stessa
proposizione reggente. In ogni periodo possiamo avere la coordinazione tra proposizioni principali
e tra proposizioni secondarie, reggenti o no: Io leggo e tu ascolti – coordinazione tra due
proposizioni principali; Io leggo mentre tu ascolti e Maria scrive – coordinazione tra due
proposizioni secondarie; Io leggo mentre tu ascolti per imparare e per riposarti – coordinazione fra
due proposizioni secondarie dipendenti da una proposizione secondaria reggente; Io leggo e tu
ascolti per imparare e per riposarti – coordinazione fra due proposizioni principali e tra due
proposizioni secondarie.
Secondo il diverso tipo di rapporto che lega i termini coordinati, si distinguono diversi tipi
di coordinazione:
- coordinazione copulativa ottenuta per mezzo di congiunzioni copulative o aggiuntive (e,
né) che stabiliscono tra i termini coordinati un rapporto del tipo A e B. Queste congiunzioni
uniscono due proposizioni affermando o negando qualcosa: Lascio qui l’automobile e proseguo a
piedi. Non so se è partito né se partirà.
Altre congiunzioni copulative sono: anche, pure, neanche, nemmeno, inoltre, neppure
che vengono usate per lo più insieme ad un’altra congiunzione, spesso in proposizioni ellittiche del
predicato verbale.(si chiamano negative le congiunzioni: né, neanche, neppure, nemmeno): Ho
comprato il pane e pure il latte. Marta non viene e nemmeno Laura.
- coordinazione avversativa ottenuta per mezzo di congiunzioni avversative (ma, però,
tuttavia, senonché, piuttosto, eppure, anzi, invece) che stabiliscono tra i termini coordinati un
rapporto del tipo A però B. Queste congiunzioni uniscono due proposizioni fra loro contrapposti:
Lo avevo messo in guardia, ma non mi diede ascolto, anzi fece il contrario.
Queste congiunzioni possono stabilire due tipi di rapporto molto diversi tra loro: un rapporto
di contrasto parziale (A però B) e un rapporto di contrasto totale (non A bensì B).
Il contrasto parziale caratterizza la proposizione avversativa: Ti sono amico, ma non posso
aiutarti. I dati sono precisi, però sono incompleti.
In questi due frasi l’avversativa non rappresenta una negazione della proposizione
precedente, ma soltanto una limitazione, una correzione, una puntualizzazione.
Il contrasto totale caratterizza invece quella che i linguisti chiamano proposizione
sostitutiva: Non considerarmi un amico, ma un pericoloso rivale.
Qui abbiamo appunto una struttura del tipo non A bensì B; il primo termine del rapporto è
negato e viene “sostituito” dal secondo.
La proposizione avversativa può essere introdotta dalle congiunzioni: però, tuttavia,
eppure, la proposizione sostitutiva può essere introdotta dalle congiunzioni bensì, anzi, invece.
La congiunzione ma può avere sia valore avversativo: La medicina è amara, ma fa bene;
sia valore sostitutivo: Lui non è intelligente, ma stupido.
È opportuno evitare di far seguire la congiunzione ma da però (ma però), la congiunzione
mentre dalla congiunzione invece (mentre invece).
- coordinazione disgiuntiva ottenuta per mezzo di congiunzioni disgiuntive (o, oppure,
ovvero, ossia, altrimenti) che stabiliscono tra i termini coordinati un rapporto del tipo A o B (l’uno
esclude l’altro): È ancora qui o già andato via?
Dal punto di vista semantico la congiunzione o può indicare un’alternativa radicale fra i due
membri coordinati (La borsa o la vita!) o una scelta facoltativa (Non so se andare al cinema o
restare a casa.).
A parte bisogna considerare l’impiego esplicativo della congiunzione, per correggere o
glossare un termine o un’affermazione precedenti (Il cherantus cheri o violaciocca è una pianta
coltivata a scopo ornamentale.).
- coordinazione conclusiva ottenuta per mezzo di congiunzioni conclusive (quindi,
dunque, perciò, pertanto, ebbene, sicché, per questo, in conclusione, per conseguenza, per la
qual cosa), le quali introducono una proposizione che completa e conclude la precedente, secondo
il tipo A quindi B: Più persone l’hanno visto in città, quindi è sicuramente tornato.
- coordinazione dichiarativa o esplicativa ottenuta per mezzo di congiunzioni dichiarative
o esplicative (infatti, difatti, invero, cioè, vale a dire, in effetti, in realtà), le quali introducono
una proposizione che conferma, giustifica, spiega, dimostra la precedente, tipo A infatti B oppure
la chiarisce, tipo A cioè B: Siamo in ritardo, infatti non c’è più nessuno.
La coordinazione può avvenire anche per mezzo di pronomi o avverbi posti in correlazione:
Chi arriva, chi parte; Ora dice una cosa, ora ne dice un’altra.
- coordinazione per asindeto (non legato) è ottenuta senza l’ausilio di alcun tipo
congiunzione. Le proposizioni sono collegate e distinte dalla virgola (,), dal punto e virgola (;), dai due
punti (:): Scesi le scale, uscii dal portone, chiamai un tassi …
- coordinazione per il polisindeto (legato molte volte) che consiste nel collegare le
proposizioni con congiunzioni ripetute. Con questo tipo di coordinazione si ottiene una maggiore
enfasi: Se io me ne vado e tu te ne vai e lui se ne va, qui chi ci resta?
- coordinazione correlativa che consiste nel collegare le proposizioni con coppie di
congiunzioni: e…e, o…o, né…né, sia…sia, tanto …quanto, non solo…ma anche, così…come”:
O fai i compiti, o guardi la TV.
Le proposizioni coordinate assumono il nome delle congiunzioni coordinative che le
introducono: proposizioni coordinate copulative (affermative e negative), avversative, disgiuntive,
conclusive ecc.
I legami che collegano le proposizioni coordinate possono essere rappresentati attraverso i
grafici e assumono l’aspetto di una catena.
La subordinazione
Le proposizioni subordinate compiono nel periodo la funzione che, nella proposizione, è
propria dei complementi e anche del soggetto. La proposizione subordinata non può stare da sola,
ha bisogno di un’altra proposizione a cui appoggiarsi.
Leggi il libro/ che ti ho consigliato/.
“leggi il libro” – proposizione principale reggente;
“che ti ho consigliato” – proposizione secondaria, subordinata, dipendente (in particolare
dipende da “il libro”).
Una rigida distinzione tra coordinata e subordinata non è sempre possibile. La frase: Non
vengo, sono stanco. ("Non vengo perché sono stanco") ci offre un esempio tutt’altro che raro di
“coordinazione subordinata”. La congiunzione perché della frase è una “marca formale” che
sottolinea il rapporto di causalità, lo rende esplicito.
Il legame per subordinazione assume sovente l’aspetto di una collana.
In uno stesso periodo si possono avere diverse proposizioni subordinate.
Così, nella frase:
Dimmi quando partirà e quando arriverà, abbiamo:
- una principale: “dimmi”;
- due subordinate coordinate tra loro: “quando partirà” e “quando arriverà”.
Nello schema, le frecce verticali indicano subordinazione, le frecce orizzontali indicano
coordinazione.
Lo schema è:
dimmi
quando partirà
e
quando arriverà.
Diversamente, nella frase:
Domandagli/ se ha saputo/ che Mario è a Roma/, abbiamo:
-
prop. principale – “domandagli”;
-
prop. secondaria (1) – “se ha saputo”;
-
prop. secondaria (2) – “che Mario è a Roma”.
Lo schema è:
domandagli
se ha saputo
che Mario è a Roma.
Le proposizioni che dipendono direttamente dalla principale si chiamano subordinate di
primo grado, quelle che dipendono dalle subordinate di primo grado si chiamano subordinate di
secondo grado e così via.
Mentre una proposizione principale può essere reggente ma non può essere in nessun caso
dipendente, una proposizione subordinata può essere nello stesso tempo dipendente e reggente.
Si dice reggente quella proposizione a cui un’altra proposizione si appoggia per completare
il suo significato.
Ricordate:
Per analizzare la struttura di un periodo occorre:
- individuare e isolare i predicati;
- stabilire quanti sono;
- individuare la o le preposizioni;
- individuare la struttura che rappresenta i legami di coordinazione e di subordinazione.
Proposizioni esplicite e implicite
Si chiamano esplicite (dal latino explicitus = "aperto") tutte le proposizioni che hanno il
verbo espresso in forma finita, cioè, sono precise e inequivocabili: Anche se volessi non potrei.
Si chiamano implicite (dal latino implicitus = "chiuso") tutte le proposizioni con il verbo
espresso in forma indefinita (infinito, gerundio, participio), cioè non esplicite: Lascialo parlare;
Anche volendo non potrei; Rimasto solo, riprese il suo lavoro.
Le proposizioni implicite esistono solo se il verbo nella forma indefinita può essere
sostituito da una forma verbale di modo finito.
Nella maggior parte dei casi, per avere una subordinata implicita è necessario che il soggetto
della reggente e il soggetto della dipendente coincidano.
Non sempre i verbi all’infinito possono essere trasformati in una forma finita. Quando ad
esempio, sono preceduti da un verbo servile (potere, dovere, volere, sapere), i due verbi assieme
formano un unico predicato, e quindi una sola proposizione. Infatti non è possibile sostituire
l’infinito con una corrispondente forma finita. Lo stesso vale per i verbi fraseologici (stare, andare,
lasciarsi) quando sono seguiti da un infinito, da un gerundio o da un participio: So cucinare e ti
preparerò un bel pranzo. Sto leggendo un romanzo giallo. Mi lasciai convincere dalle sue
affermazioni.
La classificazione delle subordinate
Il più diffuso criterio di classificazione delle subordinate è di tipo funzionale e consiste nel
considerare le subordinate di una frase complessa alla stregua di espansioni degli omologhi
costituenti della frase semplice. Seguendo questo criterio possiamo distinguere tra:
- proposizioni completive: svolgono la funzione di soggetto o di complemento; vi
appartengono le proposizioni soggettive, oggettive, dichiarative, interrogative indirette;
- proposizioni attributive: svolgono la funzione dell’attributo o dell’apposizione; vi
appartengono le proposizioni relative;
- proposizioni circostanziali: svolgono la funzione di quei complementi che indicano le
circostanze: tempo, causa, fine, ecc. in cui è realizzata un’azione; vi appartengono le proposizioni
temporali, causali, finali, ecc.
All’interno delle circostanziali si può individuare un sottogruppo, costituito dalle
proposizioni causali, finali, consecutive, concessive e ipotetiche che esprimono, secondo diverse
modalità, il rapporto logico causa/conseguenza tra l’evento espresso nella principale e quello
espressa nella subordinata.
Se invece adottiamo criteri formali si può operare la seguente classificazione:
- proposizioni congiuntive: sono introdotte da una congiunzione subordinativa (che,
quando, come, se, perché, dopo che, ecc.);
- proposizioni interrogative: sono introdotte da pronomi e congiunzioni interrogativi (chi,
quale, che cosa, quanto, quando, dove, perché, come, se, ecc.);
- proposizioni relative: sono introdotte da pronomi relativi;
- proposizioni partcipiali: hanno alla loro base un participio;
- proposizioni gerundive: hanno alla loro base un gerundio;
- proposizioni infinitive: hanno alla loro base un infinito.
La proposizione principale rappresenta il centro del periodo, attorno al quale si distinguono
in vario modo le proposizioni secondarie.
Quelle che dipendono direttamente dalla principale si chiamano proposizioni dipendenti di
primo grado; queste, a loro volta, possono reggere una o più proposizioni secondarie, che si
chiamano proposizioni dipendenti di secondo grado; le dipendenti di secondo grado possono, a loro
volta, reggere una o più proposizioni secondarie che si chiameranno proposizioni dipendenti di
terzo grado e così via.
Pertanto la proposizione principale, quando non costituisce da sola il periodo è sempre
reggente.
Anche le proposizioni secondarie, però, possono diventare reggenti e ciò accade quando da
loro dipendono altri proposizioni.
Adriano è invitato a un ballo in maschera, dove andrà con un costume splendido che ha
acquistato per sbalordire tutti.
- “Adriano è invitato a un ballo in maschera” - principale;
- “dove andrà con un costume splendido” – subordinata di 1˚ grado;
- “che ha acquistato” – subordinata di 2˚ grado;
- “per sbalordire tutti” – subordinata di 3˚ grado.
La proposizione oggettiva
Si chiamano oggettive le subordinate che compiono, nel periodo, la funzione di oggetto della loro
proposizione reggente, il cui predicato è formato da un verbo transitivo attivo ed è espresso in
“forma personale”, cioè, ha come soggetto un nome espresso o sottinteso. Risponde alla domanda:
che cosa?:
Desidero che questi ragazzi si divertano (Desidero il divertimento di questi ragazzi).
Adriana notò che ero di cattivo umore (Adriana notò il mio cattivo umore.).
La proposizione oggettiva è retta da verbi che indicano:
a) affermazione, dichiarazione, conoscenza: affermare, dire, dichiarare, comunicare,
informare, riferire, assicurare, avvertire, annunciare, spiegare, proclamare, rispondere, negare,
testimoniare, sapere, ammettere, riconoscere, narrare, raccontare, scrivere, osservare, giurare,
promettere e locuzioni verbali di significato equivalente, come: dare notizia, comunicazione, ecc.;
b) giudizio, opinione, valutazione: pensare,ritenere, considerare, stimare, dubitare,
supporre, immaginare, credere, giudicare, sostenere, reputare, ipotizzare, sospettare e anche con il
verbo avere seguito da: opinione, idea, pensiero, convinzione, dubbio, sospetto, ecc.;
c) ricordo, percezione: ricordare, rammentare, dimenticare, scordare, percepire, sentire,
udire, vedere, capire, ecc.;
d) sensazioni, sentimenti: meravigliarsi,godere, dispiacersi,compiacersi, rammaricarsi,
rallegrarsi, sdegnarsi, dolersi e anche con il verbo avere seguito da: piacere, dispiacere, gioia,
meraviglia, rammarico, ecc.;
e) volontà, desiderio o impedimento, timore: volere, temere preferire, disporre,
chiedere, proibire, vietare, permettere, lasciare, concedere, promettere, minacciare, augurare,
desiderare, ordinare, comandare, impedire, e locuzioni verbali come: avere desiderio, paura, ecc.
Un tipo particolare di proposizioni oggettive sono quelle rette da un nome o da un
aggettivo: La consapevolezza che tu eri al sicuro mi tranquillizzava. Il presentimento che l’esame
sarebbe fallito mi angustiava. Capace di intendere e di volere. Lieta di conoscerLa.
Le oggettive possono avere forma esplicita o implicita.
Le proposizioni di forma esplicita sono introdotte dalle congiunzioni che e raramente
come ed hanno il verbo al modo indicativo, congiuntivo o condizionale: Riconosco che questo è un
minerale raro. I professori vorrebbero che tu fossi più studioso.
Si usa l’indicativo per esprimere un fatto certo: Dichiarò che non aveva fatto i compiti.So
che la Paz è la capitale di Colombia. Laura ha scritto che arriverà domani.
Si usa il congiuntivo per esprimere un fatto probabile, voluto, desiderato o semplicemente
ipotizzato (= legato a ipotesi): Penso che non interroghi. Massimo ritiene che tu abbia mentito.
Spero che tutto ti vada bene. Tiziana si preoccupa che il gatto non mangi.
Si usa il condizionale:
a) quando l’oggettiva sottintende un’ipotesi: Credo che potresti tirare meglio (sottinteso: se
facessi più attenzione). Penso che dovresti mangiare di più (sottinteso: se vuoi ingrassare).
b) quando nel passato si afferma qualcosa che deve succedere nel futuro: Sosteneva che
avrebbe vinto la seconda partita. Marco minacciò che lo avrebbero detto a tutti.
Le proposizioni di forma implicita sono introdotte o no dalla preposizione di e hanno il
verbo al modo infinito. Tale forma si ha quando la preposizione reggente e quella oggettiva hanno
lo stesso soggetto: Credo di aver agito rettamente (che io ho agito rettamente). Invece: Credo che tu
abbia agito rettamente.
Si può avere la forma implicita con i verbi: comandare, permettere, proibire, vietare,
chiedere e con altri ancora di significato analogo anche se il soggetto della reggente e il soggetto
dell’oggettiva non coincidono: Ordinò ai soldati che cessassero il fuoco. Ordinò ai soldati di
cessare il fuoco.Chiedo che se ne vada.
In questi casi il soggetto dell’oggettiva implicita s’identifica con il complemento di termine
della principale (ai soldati, gli = a lui).
Alcuni verbi come: ascoltare, sentire, vedere, guardare hanno l’oggettiva implicita con
l’infinito senza la preposizione di: Sentivano cantare gli uccelli. Vedo la nave allontanarsi.
In questi casi l’oggettiva implicita può essere risolta sia in un’oggettiva esplicita, sia in una
relativa: Sentivano che gli uccelli cantavano. Sentivano gli uccelli che cantavano.
La proposizione soggettiva
E’ soggettiva quella proposizione che svolge la funzione di soggetto al verbo della reggente:
È una soddisfazione anche per noi / che il tuo esame abbia avuto buon esito. /
1 - principale affermativa;
2 - subordinata di 1o grado esplicita soggettiva.
Domanda: Che cosa è una soddisfazione anche per noi ? Il buon esito del tuo esame.
La proposizione soggettiva è retta da:
- verbi usati impersonalmente (senza la persona):
- dire: si dice, si narra, si sostiene, si racconta, si crede, si spera, si pensa;
- giudicare: si stima, si ritiene, si giudica;
- volere: si vuole, si intende, si vieta, si preferisce;
- sapere: si sa, s’ignora, si capisce;
- verbi impersonali (senza la persona): capita, avviene,succede, occorre, bisogna, pare,
sembra, basta, accade, conviene, risulta;
- verbo essere accompagnato da un aggettivo o da un nome: è ora, è tempo, è il
momento, è bene, è male, è opportuno, è necessario, è utile, è bello, è noto, è chiaro, è certo, è
sicuro, è vero, è giusto, è intuibile, è possibile.
Per la soggettiva esplicita si usa la congiunzione che e i verbi all’indicativo, al congiuntivo
(meno frequentemente), al condizionale (se c’è l’idea della possibilità).
Si usa l’indicativo per esprimere certezza: È chiaro che vinceremo noi.
Si usa il congiuntivo per esprimere possibilità, probabilità, desiderio, dubbio: Mi farebbe
piacere che venissi anche tu. Basta che tu lo averta in tempo.
La soggettiva implicita ha l’infinito con o senza di: È ora di andare.Conviene aspettare.
Alcuni verbi come:
- bisognare, convenire reggono l’infinito senza preposizione;
- avvenire, capitare, parere, riuscire, sembrare, venire nel senso di “avere l’impulso di“
reggono l’infinito preceduto dalla preposizione di;
- altri ancora ammettono entrambe le costruzioni: Mi dispiace (di) importunarla a quest’ora.
- riuscire e venire se sono accompagnati da un aggettivo predicativo, non richiedono
obbligatoriamente la preposizione di: Mi riesce difficile (di) confidarmi con lui. Mi viene spontaneo
(di) associare la sua figura a quella di mio padre.
Sembrare e parere tendono a rifiutare la preposizione quando sono costruiti personalmente:
Il freddo sembrava diminuire in quegli ultimi giorni di febbraio.
Per le implicite rette dal verbo essere accompagnato da un aggettivo o da un avverbio in
funzione predicativa, prevale la costruzione preposizionale: È’ difficile capire cosa pensi realmente.
La proposizione causale
Esprime la causa, il motivo di quanto viene detto nella proposizione reggente: Poiché è
stanco, / Filippo resterà a casa./
Domanda: Per quale motivo Filippo resterà a casa?
1- proposizione principale affermativa;
2- subordinata di 1o grado esplicita causale.
Dal punto di vista semantico è opportuno distinguere tra causa “efficiente”, che consiste in
un’affermazione su un evento specifico: Il bicchiere si è rotto perché ti è caduto dalle mani; e causa
“formale” che si riferisce ad un’affermazione di carattere generale: Il bicchiere si è rotto perché era
fragile. Questa differenza semantica non ha però conseguenze sul comportamento sintattico delle
causali.
Le causali esplicite sono introdotte dalle congiunzioni o le locuzioni congiuntive: perché,
poiché, siccome, dato che, in quanto, giacché, dal momento che, per il fatto che, che o ché, per
il motivo che, visto che, considerato che, in quanto (che).
Il modo del verbo nelle causali esplicite è l’indicativo: Visto che non c’è , vado via.
Il condizionale si usa per esprimere una possibilità, un’ipotesi, un desiderio non sicuramente
realizzabile: Smettila, perché potrei stancarmi.
Il congiuntivo si usa dopo: non perché, non che, non già che per esprimere una causa
possibile ma non effettiva: Non perché mi piaccia contraddirti …
Spesso a questa causa possibile ma negata, segue la causa vera, secondo lo schema: non
perché + congiuntivo… ma perché + indicativo, come nel seguente esempio:
Glielo dirò non perché voglia delle scuse, ma perché preferisco che sappia come la penso.
Nella forma implicita la proposizione causale può aversi:
- con per e l’infinito, solo quando il soggetto è lo stesso nella reggente e nella subordinata:
Si prese un raffreddore per aver viaggiato col finestrino aperto.
La causale implicita con l’infinito può essere introdotta dalla preposizione a, di o dalla
locuzione per il fatto di: Sei sciocco a prendertela tanto per quella storia. Sono contento di averti
chiamato. È ancora contento per il fatto di aver ottenuto la promozione.
- con il gerundio presente o passato o con il participio passato: Facendo caldo, mi tolsi la
giacca. Offeso dal suo atteggiamento, non lo salutai.
- si può esprimere la causalità anche con la semplice giustapposizione delle due proposizioni
e, graficamente, con un uso particolare della punteggiatura: Non ho potuto avvertirlo: non l’ho
visto, che significa “ non ho potuto avvertirlo perché non l’ho visto”.
Le subordinate causali possono sia precedere sia seguire la reggente.
Le esplicite sono di uso normale e frequente, mentre le implicite sono riservate all’uso più
colto.
Di solito ciò che si vuole esprimere nella subordinata causale è una causa reale, effettiva;
per questo il verbo va all’indicativo. Se si vuole esprimere una causa non sicura ma solo probabile,
o desiderata, o ipotetica si usa invece il condizionale: Non voglio neppure vederlo, perché lo
picchierei. Continua il silenzio stampa, perché sarebbero in corso trattative segrete.
Può accadere di fare un ragionamento più complesso di tipo: si dice che la causa sia questa
(causa ipotetica, immaginaria), ma non è così: la causa è quest’altra (causa reale): Mi corico, non
perché sia stanco (causa ipotetica), ma perché questo programma mi annoia (causa reale).
Solo in queste costruzioni la causa ipotetica vuole il congiuntivo e la causa vera, al solito,
l’indicativo.
La proposizione finale
Esprime il fine, lo scopo dell’azione indicata dal verbo della reggente:
Ti parlo / perché tu mi capisca /. Domanda: Per il quale scopo ti parlo?
1- proposizione principale affermativa;
2- subordinata di 1o grado esplicita finale.
Nelle finali esplicite le congiunzioni più usati sono affinché, perché, che. Affinché è di
fatto limitata all’uso scritto formale, mentre la congiunzione finale di più alta frequenza è perché.
Si noti che la distinzione dell’omonima congiunzione causale è affidata al modo verbale della
subordinata (indicativo nella causale, congiuntivo nella finale): Te lo dico perché sei una persona
fidata (causale). Te lo dico perché tu possa trarne un insegnamento (finale).
Il modo del verbo nelle finali esplicite è sempre il congiuntivo presente se nella reggente si
ha un presente o un futuro, in tutti gli altri casi ci vuole il congiuntivo imperfetto: Gli scrivo, gli
scriverò perché venga. Gli ho scritto, gli scrissi, gli avrei scritto, gli scriverei, (se) gli avessi scritto
perché venisse.
La finale implicita è introdotta dalle preposizioni per, a, di, da seguite dal verbo all’infinito
o dalle locuzioni congiuntive allo scopo di, al fine di, in modo di (o da), con l’intenzione di: Sono
venuto per parlarti. Preparatevi a partire. Ho già fatto un tentativo di convincerlo.
Con alcuni verbi di movimento la proposizione finale implicita può essere introdotta sia da
a, sia da per: Corro a prendere l’autobus. Vado giù a vedere che cosa è successo.
Le due costruzioni non sono esattamente sinonime, il primo e il secondo esempio sono
risposte alle domande: dove corri?, dove vai?, la terza e la quarta frase sono risposte alle domande
perché corri?, perché vai giù?.
Nel caso del verbo correre, che nei tempi composti ammette entrambi gli ausiliari, la scelta
della preposizione determina una diversa selezione dell’ausiliare. Sono corso a prendere l’autobus.
Ho corso per prendere l’autobus.
La subordinata finale nella forma implicita (di, a + infinito) è retta da alcuni verbi
particolari:
- chiedere, pregare, scongiurare, ecc.:Ti chiedo di ascoltarmi.
- consigliare, persuadere, esortare, incitare, ecc.: Ti consiglio di studiare.
- ordinare, comandare, proibire, ecc.: Ti ordino di smetterla.
- cercare, tentare, sforzarsi, ecc.: Cerco di impegnarmi.
Sebbene sia prevalente l’ordine principale + subordinata, la collocazione della proposizione
finale non è rigida. L’anteposizione della subordinata si ha di preferenza con il costrutto implicito:
Per fare questi esercizi ho bisogno di mezz’ora; o quando si intenda porre in rilievo il contenuto
semantico della subordinata: A batterlo a scacchi proprio non ci riesco.
La proposizione consecutiva
Esprime la conseguenza di quanto è detto nella proposizione reggente:
Il colpo al ginocchio fu così forte/ che rimasi a terra per qualche minuto/.
1- proposizione principale affermativa;
2- subordinata di 1o grado esplicita consecutiva.
Domanda: Qual è la conseguenza del colpo ?
La consecutiva esplicita è introdotta da in modo che, a tal segno che, al punto che,
cosicché, sicché, talché, che, (di solito in correlazione con gli avverbi così tanto, talmente o con
aggettivo tale, siffatto, simile presenti nella reggente). Si può dire che le consecutive sono introdotte
da un’espressione correlativa a due termini: tanto … che, così … che, tale … che, in modo … che,
al punto … che, troppo … perché: Non ho ancora finito, sicché sono costretto a tornare.Sono
arrivato in anticipo, di modo che devo aspettare. Era tanto offeso, che decise di sfidarlo a duello.
Il modo del verbo è generalmente l’indicativo; si usa il congiuntivo quando la conseguenza è
solo ipotetica, possibile: Gli parlerò in modo che non si faccia troppe illusioni.
Si ricorre talvolta al condizionale quando si sottintende una condizione, o si vuole esprimere
comunque una conseguenza non certa, potenziale: È così buono che non farebbe male a una mosca.
Allora, la conseguenza può essere certa e reale e per questo si usa l’indicativo, oppure può
essere irreale e allora si usa il condizionale: Ho cosi fame che mangio due panini. Ho così fame che
mangerei un’intera panetteria.
La consecutiva implicita ha l’infinito retto dalle preposizioni da, di, per, o da espressioni
quali degno di, adatto a, indegno di: Ho aspettato tanto da non poterne più. È’ abbastanza
intelligente per capire. È uno spunto degno di essere approfondito.
Una costruzione particolare è: troppo per + l’infinito: È troppo bello per essere vero, che si
può rendere esplicita con: perché + congiuntivo: È troppo bello perché sia vero.
La consecutiva è collocata obbligatoriamente dopo la reggente: la reggente indica la
premessa, la causa del fatto espresso dalla dipendente: Es. Ho così fretta (premessa, causa) che
non posso fermarmi (conseguenza).
Si può osservare che, mentre le causali evidenziano la motivazione dell’azione espressa
nella principale (poiché sono stanco vado a dormire), nelle consecutive i fattori appaiono invertiti,
essendo la principale ad esprimere la causa e la subordinata la conseguenza logica (sono così stanco
che vado a dormire).
Se poniamo a confronto le finali e le consecutive, notiamo che nelle prime si sottolinea il
coinvolgimento del soggetto nel determinare il rapporto logico tra la principale e la subordinata
(parlerò lentamente per farmi capire da tutti), mentre nelle secondarie il medesimo rapporto logico
è descritto ponendo in risalto la consequenzialità tra quanto detto nella principale e quanto detto
nella subordinata (parlava lentamente cosicché potessero capirlo tutti).
La proposizione temporale
Esprime la circostanza di tempo in cui avviene il fatto indicato dalla reggente.
Riaprii il libro/ quando la trasmissione finì/. Domanda: Quando riaprii il libro?
1- proposizione principale affermativa;
2- subordinata di 1o grado esplicita temporale.
La temporale esplicita è introdotta da una congiunzione: quando, mentre, come, appena,
allorché, finché da una preposizione seguita dalla congiunzione che: prima che, dopo che,
allorché, intanto che, ogni volta che, da una locuzione: nel momento che, dal momento in cui.
Il verbo della temporale può essere all’indicativo e al congiuntivo.
Fra l’azione espressa dalla reggente e quella espressa dalla dipendente si possono dare tre tipi di
rapporti temporali:
- contemporaneità (le azioni avvengono contemporaneamente): Intanto che ti vesti, io
leggo il giornale.
Si usano quando (la più frequente tra le congiunzioni temporali), allorché, allorquando,
come, mentre, oppure le locuzioni al tempo in cui, nel momento che. Il modo del verbo in questi
casi è l’indicativo: Quando c’è il sole, mi piace passeggiare. Mentre lo ascoltavo, prendevo
appunti. Questi fatti accaddero al tempo in cui non ci conoscevamo.
Si può usare anche il congiuntivo per esprimere un’azione futura, considerata possibile o
probabile: Me ne andrò quando tu me lo chieda (la subordinata “me lo chieda” ha insieme un valore
temporale e un valore condizionale; può significare ”quando tu me lo chiederai” ma anche “se tu
me lo chiederai”, “purché tu me lo chieda”).
Le temporali implicite della contemporaneità si costruiscono con il gerundio presente:
Passeggiando (mentre passeggiavamo) discutevamo; oppure con in, prima di, dopo di, in sul … +
l’infinito: Nell’andar via (quando andò via) ci abbracciò tutti. Prima di pranzare bisognerebbe
passeggiare un po’. In sul finire dell’inverno smettemmo di studiare.
Le costruzioni con il gerundio e con l’infinito sono possibili soltanto quando il soggetto
della subordinata e quello della reggente coincidono; altrimenti si ricorre alla forma esplicita:
Mentre passeggiavate, noi discutevamo (non passegiando). Quando andammo via, Luigi ci
abbracciò tutti (non nell’andar via).
In alcune espressioni, le temporali implicite sono introdotte da a e su con l’infinito del
verbo: Al primo vederlo (appena l’ho visto), l’ho riconosciuto.
Partimmo sul sorgere del sole (mentre il sole stava sorgendo) (il soggetto della subordinata
è diverso dal soggetto della principale).
- con il participio passato preceduto da appena e dopo: Dopo aver fatto i compiti
bisognerebbe leggere un po’.
Le proposizioni temporali che esprimono contemporaneità costituiscono di solito una sorta
di cornice temporale entro cui si colloca l’azione espressa nella principale: Mentre trasmettevano il
mio programma preferito telefonò il solito seccatore.
In alcuni casi tale rapporto può invertirsi. Ciò si verifica quando la proposizione principale
esprime un’azione durativa, all’interno della quale si colloca l’azione puntuale espressa dalla
proposizione temporale: Il concorrente stava per tagliare il traguardo, quando fu colto da violenti
crampi ai muscoli delle gambe. L’aereo aveva già preso quota quando dalla torre di controllo
giunse l’ordine di atterrare.
Il rapporto di concomitanza tra le due azioni può essere sottolineato mediante l’inserimento
del rafforzativo ecco: Stavo iniziando l’arrampicata quand’ecco (che) si scatena un tremendo
temporale.
- posteriorità (l’azione della subordinata si svolge dopo quella indicata dalla principale).
La locuzione congiuntiva più frequente per indicare la posteriorità dell’azione espressa nella
reggente rispetto a quella espressa nella subordinata è, nelle temporali esplicite, dopo che, seguita
dal verbo all’indicativo: Dopo che ebbi bevuto un bicchiere d’acqua, mi sentii meglio.
Si può usare anche il congiuntivo.
Le temporali implicite della posteriorità sono introdotte da dopo (meno comune dopo di)
con l’infinito del verbo: Dopo aver finito i compiti potrai uscire. Anche in questo caso la forma
implicita è possibile solo se il soggetto della temporale è lo stesso della reggente.
È molto frequente la temporale implicita col participio passato, anche preceduto da una
volta: (Una volta ) superato questo problema, tutto si aggiusterà.
Si noti anche la costruzione: participio passato + che + ausiliare essere o avere: Concluso
che ebbe di parlare, si diresse in fretta verso l’uscita. Arrivato che fu a Londra, cercò un posto dove
alloggiare.
- anteriorità (l’azione espressa dalla reggente viene prima di quella indicata dalla
subordinata): Prima che la professoressa interrogasse, Filippo ripassava la lezione.
È introdotta da prima che, una volta che + congiuntivo, non appena + indicativo.
Il significato di “non appena” è questo: si verifica l’azione della subordinata, che dura un
certo tempo; quando questa finisce comincia “subito” quella espressa dalla principale: Andiamo via
prima che torni.
Si ha l’indicativo quando prima che ha il valore di “appena”: Fammi sapere qualcosa prima
che puoi (= appena puoi).
Per indicare il punto d’arrivo nel tempo si usa la congiunzione finché, che vuole per lo più il
congiuntivo: Lo aspetterò finché non venga (ma anche: Lo aspetterò finché non verrà).
Sono analoghe a finché le locuzioni congiuntive fino a che, fin quando, fino a quando.
Nella forma implicita, abbiamo prima di e fino a + l’infinito del verbo: Prima di uscire,
voglio finire quel lavoro. Rise fino a star male.
In ognuna delle tre categorie temporali può presentarsi una circostanza caratterizzata dal
periodico ripetersi dell’azione.
Le locuzioni più usate per esprimere la periodicità sono: ogni volta che, ogni qual volta,
tutte le volte che: Ogni volta che (tutte le volte che) passa da queste parti viene a farmi una visita.
Prima che vuole obbligatoriamente il congiuntivo.
La proposizione comparativa
È la proposizione che esprime un rapporto di comparazione (di paragone) con quanto è detto
nella reggente.: Il diavolo non è così brutto come si dipinge.
Le comparative hanno le stesse caratteristiche del complemento di paragone.
Si distinguono tre tipi di comparative:
- proposizioni comparative di uguaglianza, introdotte da: tanto … quanto, tale …
quale, così … come: È così preparato come non lo è mai stato.
- proposizioni comparative di maggioranza, introdotte da: più … che, più … di quanto,
più … di come, piuttosto … che, meglio … che (di quanto), più … di quello che: Recitò meglio di
quanto sperasse (sperava). Ti sei impegnato più di quanto sarebbe stato necessario.
- proposizioni comparative di minoranza, introdotte da: meno … che, meno … di quanto,
meno … di come, meno … di quello che: Costa meno di quello che pensassi (pensavo). Il problema
è più complesso di quanto (non) avrei pensato.
Prima del verbo si può avere un non che ha valore rafforzativo invece che negativo.
Al posto di più e di meno si possono avere meglio e peggio; a volte più viene sostituito da
“maggiormente”.
Nelle comparative i verbi sono all’indicativo (per esprimere un’azione pensata come reale o
certa), al congiuntivo e al condizionale (per esprimere un’azione ritenuta possibile, eventuale o
ipotetica). Nel paragone di maggioranza e di minoranza si usa per lo più il congiuntivo. Nel
paragone di uguaglianza si usa per lo più l’indicativo; il condizionale si usa per esprimere un’azione
considerata come immaginaria, ipotetica: Consuma più di (meno di) quanto vorrei.
Nella forma implicita, usata raramente, avremo l’infinito introdotto da piuttosto che, più
che, come: Preferisco studiare piuttosto che vedere la televisione. È piacevole, come dondolarsi
sull’altalena.
La proposizione condizionale. Il periodo ipotetico
Esprime la condizione, l’ipotesi dalla quale dipende l’avverarsi (o il non avverarsi) di quanto
è detto nella reggente: Se comincia a parlare, non la finisce più. Se continuerà a piovere, resteremo
in casa. Mi farebbe piacere se ci fossi anche tu.
La proposizione subordinata condizionale (quella che esprime la condizione) viene chiamata
protasi (“posta prima”); l’apodosi (“che viene dopo”) è appunto la conseguenza che si dichiara
nella reggente.
L’apodosi può essere una proposizione principale (Se partecipassi alla gara vinceresti.); o
una proposizione subordinata (Penso che vincesti, se partecipassi alla gara.).
Per la condizionale esplicita la congiunzione più comune è se; si usano anche qualora,
purché, ove e le locuzioni posto che, ammesso che, a condizione che, a patto che, nel caso che,
nell’eventualità che, nell’ipotesi che, ecc.
Con la congiunzione se il modo del verbo è l’indicativo per esprimere un’ipotesi possibile:
Se dovessi andar via, passerei a salutarti; o irreale: Andrei più spesso all’estero se conoscessi le
lingue.
Quando la condizionale è introdotta da una congiunzione diversa da se o da una locuzione
congiuntiva, il modo della protasi è in linea di massima il congiuntivo (talvolta l’indicativo futuro
può sostituire il congiuntivo presente): Nel caso che i giocatori non rispetteranno le nuove regole,
saranno ammoniti dall’arbitro.
La correlazione tra i modi verbali della protasi e dell’apodosi:
- con se possiamo avere l’indicativo in entrambe (realtà) o il congiuntivo nella prima e il
condizionale nella seconda (possibilità, irrealtà);
- con qualora, nel caso che, a patto che l’apodosi può avere l’indicativo o il condizionale:
Nel caso che continuasse a piovere resterò in casa.
- esistono possibilità diverse di correlazione dei modi verbali che danno luogo a periodi
ipotetici misti; fra i più comuni è il tipo formato da indicativo + imperativo: Se passi da Roma, vieni
a trovarmi. Se non sei d’accordo con me, dimmelo; e il tipo indicativo imperfetto + condizionale
passato: Se venivi con noi ti saresti divertito.
Nella forma implicita le condizionali possono essere rappresentate da un gerundio, da un
participio passato o da a + l’infinito del verbo: Applicandoti, potresti rendere molto di più. (se ti
applicassi). Sviluppata meglio, sarebbe un’ottima idea (se fosse sviluppata meglio).
Le implicite sono molto usate, in tutti i registri, e si possono facilmente trasformare in
esplicite: Pensando questo di me, commetti un’ingiustizia. Commetti un’ingiustizia, se pensi questo
di me.
Il rapporto condizione – conseguenza, che nel periodo ipotetico è risolto in un legame
ipotetico tra apodosi e protasi, può essere espresso mediante altre strutture sintattiche, come la
coordinazione copulativa: Riprovaci e te ne pentirai amaramente!; o la giustapposizione di due frasi
indipendenti: Vogliono litigare? Saranno accontentati.
La successione prevalente nel periodo ipotetico è protasi + apodosi. Non si tratta però di una
collocazione obbligatoria. Quando l’apodosi è una proposizione dipendente, prevale la collocazione
apodosi + protasi: Gli esperti ritengono che la crisi diverrà ingovernabile, se non si prendono
provvedimenti immediati.
In questo caso la protasi può anche essere anticipata, incuneandosi tra la congiunzione
subordinativa e il resto della frase: Gli esperti ritengono che, se non si prendono provvedimenti
immediati, la crisi diverrà ingovernabile; oppure essere collocata in apertura del periodo: Se non si
prendono provvedimenti immediati, gli esperti ritengono che la crisi diverrà ingovernabile.
Un valore ipotetico può essere aggiunto, nel significato, a frasi di diverso tipo come ad
esempio: Vorrei un bicchiere d’acqua. Mi saprebbe dire dove si trova via Garibaldi?
La proposizione concessiva
Esprime una circostanza contraria o di ostacolo nonostante la quale avviene ciò che è
indicato dalla reggente: La matematica mi piace/ benché sia difficile/.
Guardando al significato generale delle frasi, principale e concessiva esprimono in pratica
concetti tra di loro opposti (o in contrapposizione); fra i due prevale nel comportamento effettivo
quello espresso dalla principale.
Le esplicite possono essere introdotte dalle congiunzioni: sebbene, benché, per quanto,
quantunque, nonostante (che), malgrado (che), quand’anche, ammesso che, concesso che,
posto che, anche se, ed il verbo viene messo al congiuntivo.
Con anche se il verbo sta all’indicativo: Sebbene non ti avessi visto da tanti anni, ti ho
riconosciuto. Anche se ci raggiungi più tardi, ci troverai ugualmente.
Spesso a sottolineare il valore “concessivo” dell’intero periodo, la reggente ha tuttavia,
nondimeno, pure, ugualmente, lo stesso, ecc.: Sebbene avessi ragione, tuttavia non ho voluto
insistere.
La concessiva implicita può essere costruita:
- con pur,
pure,
anche
+
gerundio. Questa costruzione è presente negli usi formali
della lingua: Pur avendo fatto una corsa, perdemmo il treno.
- con pur, per + infinito, più frequente nei registri informali: Pur aver studiato solo un
anno (= sebbene abbia studiato) parla molto bene l’inglese. Per avere tredici anni (sebbene abbia
già) è ancora molto infantile.
- con nemmeno a, neppure a, neanche a, manco a + infinito (queste locuzioni richiedono
una reggente negativa): Non si trova un posto in aereo nemmeno a pagarlo oro!
- con la locuzione a costo di + infinito: Andrò fino in fondo, a costo di rimetterci.
- col participio retto, o no, da sebbene, seppure, benché, per quanto, anche se: Per
quanto deriso, insistette nella sua azione.
- Le
concessive
possono
essere introdotte anche dai pronomi e aggettivi indefiniti
chiunque, qualunque, checché con un verbo al congiuntivo: Qualunque sforzo io faccia, tu non
m’apprezzi.
- Per la scelta dei tempi si deve vedere se le due azioni (della reggente e della concessiva)
avvengano nello stesso tempo o in successione: Esco benché piova, benché sia piovuto.
- Se invece la concessiva indica una circostanza di carattere generale si ha: Non voglio,
volevo, ho voluto, volli, vorrò fragole benché in generale mi piacciano.
La proposizione interrogativa indiretta
Sono interrogative indirette tutte quelle proposizioni in cui è contenuta una domanda o
un’interrogazione, ma non in modo diretto (e cioè senza punto interrogativo): Raccontami che cosa
hai fatto. Non so chi ha suonato.
Le interrogative indirette dipendono da:
- verbi dichiarativi: dire, raccontare, pensare, narrare, sapere, ecc.: Mi raccontò quali
nazioni avesse visitato.
- verbi interrogativi: domandare, chiedere, indagare, interrogare, ecc.: Mi ha domandato
quando è nato Guido.
- verbi dubitativi: dubitare, essere nel dubbio, essere incerto: È incerto su quale film
vedere.
È introdotta da aggettivi, pronomi, avverbi, congiunzioni interrogativi: quale, chi, che, che
cosa, quando, quanto, come, dove, perché, se e il verbo è all’indicativo, al congiuntivo, al
condizionale: Vorrei sapere chi mi ha rotto le uova nel paniere. Le ho chiesto che cosa volesse per
il suo compleanno. Domani gli chiedo quanto vorrebbe per quella vecchia bicocca.
Per la forma implicita abbiamo l’infinito preceduto da aggettivi, pronomi, avverbi,
congiunzioni interrogative: Non so quale scegliere. Non so a chi rivolgermi. Non so se credergli.
Nel riportare la domanda in forma indiretta, i tempi verbali seguono le seguenti regole:
Se il verbo della principale è al presente o al futuro, il verbo dell’interrogativa indiretta
sarà al presente o al futuro:
Mi chiede: ”Vai?”
diventa Mi chiede se vado.
Mi chiede: ”Andrai?”
diventa Mi chiede se andrò.
- Se il verbo della principale è al passato, il verbo dell’interrogativa indiretta sarà al
congiuntivo: Mi chiese: “Dove vai?” diventa Mi chiese dove andassi.
Se il verbo della principale è al passato e il verbo dell’interrogativa diretta (col punto
interrogativo) è al futuro, il verbo dell’interrogativa indiretta sarà al condizionale passato: Mi
chiese: “Dove andrai?” diventa Mi chiese dove sarei andato.
Come le dirette, anche le proposizioni interrogative indirette possono essere totali quando il
dubbio riguarda l’insieme della frase (non so se partire) e sempre sono introdotte da se, o parziali,
quando il dubbio è focalizzato su uno soltanto degli elementi della frase (non so con chi partire) e
sono introdotte da pronomi, aggettivi, avverbi, congiunzioni.
Le interrogative retoriche sono le frasi nelle quali la risposta è scontata, ovvia: (la madre
ai figli): Ragazzi, che ne direste di andare a letto?
Le interrogative indirette possono essere semplici se sono formate da una sola domanda, o
doppie (o disgiuntive) se sono formate da due domande coordinate tra loro dalla congiunzione “o”:
Dimmi dove vai. Desidero sapere se esci o ti trattieni in casa (desidero sapere se esci o no).
La proposizione relativa
È la proposizione che si unisce alla reggente per mezzo di pronomi o avverbi relativi (che, il
quale, cui, chi, qualunque, dove, ecc.) che richiamano nella subordinata un sostantivo o anche un
pronome della principale; questo sostantivo, che funge da base della relativa, è detto antecedente:
Ho comprato la giacca che mi ha consigliato Sabrina. Questo è l’amico di cui ti parlavo.
I pronomi e gli avverbi relativi costituiscono gli elementi d’unione fra le relative esplicite. Il
verbo è all’indicativo e, in casi particolari, al congiuntivo.
Bisogna fare attenzione a non confondere la congiunzione che con il pronome relativo che.
Si distinguono due tipi di relative:
- la relativa determinativa (o limitativa, o restrittiva) che serve a limitare o a precisare il
senso dell’antecedente, che risulterebbe altrimenti incompiuto: Questa è la fotografia che ti avevo
promesso;
- la relativa appositiva che aggiunge informazioni non fondamentali per il significato intero
del periodo (e per questo possono anche essere cancellate): Tutti ascoltammo Filippo che era molto
elegante.
L’informazione “che era molto elegante” può essere soppressa senza danni per il significato
più generale del periodo.
La relativa appositiva spesso si presenta come una parentesi nel discorso e per questo viene
separata, a volte, per mezzo di una virgola, o proprio chiusa tra due virgole: Tutti i colleghi, che
hanno fiducia in te, ti appoggeranno.
Si noti la differenza di significato tra questa frase e la seguente: Tutti i colleghi che hanno
fiducia in te ti appoggeranno (solo loro, non gli altri).
In quest’ultimo caso la relativa ha una funzione determinativa; il rapporto tra l’antecedente e
la relativa è più stretto. Questo particolare carattere della proposizione relativa è sottolineato
dall’assenza della virgola.
Le relative determinative possono assumere un valore più nascosto o profondo di tipo
causale, finale, temporale, consecutivo, concessivo, condizionale.
Due proposizioni relative in successione possono essere coordinate tra loro o l’una
subordinata all’altra. Una determinativa può essere subordinata ad un’altra determinativa: Vi sono
molte persone che vivono in campagna che odiano il traffico e lo smog delle grandi città; o può
essere subordinata ad un’appositiva: Vi sono molte persone, di cui condivido le opinioni, che odiano
il traffico e lo smog delle grandi città.
Due appositive successive possono essere coordinate fra loro: I tuoi parenti, che vivono in
campagna e che odiano il traffico e lo smog delle grandi città, sono molto felici.
Quando due proposizioni relative sono coordinate tra loro si può omettere il pronome nella
seconda: Le persone che incontriamo e (che) io salutai sono i miei vecchi amici.
Con i complementi indiretti (di cui, a cui, con cui, per cui, del quale, al quale, con il quale,
per il quale) in genere si ripete il pronome relativo: L’amico di cui ti ho parlato e di cui ho fiducia
si chiama Mauro.
È preferibile ripetere il pronome relativo quando cambia, nelle due proposizioni coordinate,
il suo ruolo sintattico: Le persone che (oggetto) incontriamo e che (soggetto) mi salutarono sono i
miei amici.
Nelle esplicite il modo del verbo è l’indicativo quando il fatto espresso dalla relativa viene
presentato come reale, certo, il congiuntivo o il condizionale quando viene presentato come
possibile, ipotetico, desiderato: indicativo: Cerco un libro che tratta di urbanistica (“libro ben
definito, l’ho visto o so che esiste”); congiuntivo: Cerco un libro che tratti di urbanistica (“un libro
qualsiasi di urbanistica, non so che libro sia”); indicativo: È un piacere che ti faccio volentieri
(“posso fartelo”); condizionale: È un piacere che ti farei volentieri (“ma forse non potrò”).
La relativa implicita si forma con participio presente o passato preceduto dalla
preposizione da: Ho portato un libro da leggere in treno. Le domande pervenute (che sono
pervenute) in ritardo non saranno esaminate.
L’implicita può avere la struttura: preposizione + cui (quale) + infinito: Non riesco a
trovare una persona con cui dividere l’appartamento. Non ho altri amici dai quali fermarmi.
La proposizione modale
Esprime il modo in cui avviene quanto è detto nella reggente o il modo in cui si svolge
un’azione: Mi guardò come se non fosse d’accordo. Antonia rifece il disegno come le aveva
suggerito Grazia. Ci aggiunse correndo.
Nella forma esplicita sono introdotte da come, secondo che, nel modo che, in cui, quasi
che, come se, comunque, secondo che, nella maniera che, quasi.
Il modo del verbo può essere:
- l’indicativo – quando la modale esprime un fatto certo, reale: Comportati nel modo che
ritieni più opportuno. Fai attenzione a come parli.
- il congiuntivo – quando esprime un fatto ipotetico o irreale: Fai come se niente fosse.
Aggiungendo una particella correlativa o dandola per sottintesa, la proposizione modale
esplicita può risolversi in una comparativa di uguaglianza: Ho agito così come mi hai suggerito.
La modale implicita si forma con il gerundio, retto o no, da come, con l’infinito, retto da
come o da senza, (in questo caso la proposizione si può chiamare esclusiva), con il participio
passato retto da come: Scappò via correndo. Insisti inutilmente: è come fare un buco nell’acqua..
Nella frase in cui si trova il gerundio si può essere incerti tra il valore modale e il valore
strumentale.
La proposizione avversativa
Esprime una circostanza opposta a quanto viene detto nella reggente: Claudio fa
l’intelligente, quando dovrebbe chiedere scusa. Anziché andare in discoteca, potremmo fare una
sorpresa a Marta.
Le avversative esplicite sono introdotte da mentre, quando, invece, laddove e il verbo ha
l’indicativo o il condizionale che si usa per esprimere un fatto che, se fosse verificato, avrebbe
contrastato con quello della principale: Lo aspettavamo oggi, mentre invece arriverà domani.
Nella forma implicita le avversative sono introdotte da invece di, al posto di, in luogo di,
anziché + l’infinito del verbo: Invece di ringraziarmi, fa l’offeso.
Si noti la differenza tra mentre con valore temporale: Non agitarti troppo, mentre dormi;
e con valore avversativo: Dovresti darti da fare, mentre invece dormi come un ghiro.
La proposizione esclusiva
Indica l’esclusione di un fatto rispetto a quanto si afferma nella reggente: È andato da Paolo
senza avvertirmi. Uscii dal ristorante vegetariano senza che mi sentissi sazio.
Nella forma esplicita è introdotta da senza che e il verbo è al congiuntivo: Abbiamo fatto
tardi senza che ce ne rendessimo conto.
L’implicita è introdotta da senza seguito dall’infinito: Abbiamo fatto tardi senza
rendercene conto.
La proposizione esclusiva è quasi una variante negativa della modale: senza che ha infatti
un valore simile a “come se non”.
Non si deve dimenticare che le implicite si possono fare solo se il soggetto delle due frasi
(principale e dipendente) è lo stesso: Ho imparato l’inglese senza fare troppo fatica (io ho
imparato, io non ho fatto fatica).
La proposizione eccettuativa
Esprime una circostanza che limita il significato della principale: Terrò ancora il libro, a
meno che non ti serva. Andrà tutto bene, salvo che cominci a piovere.
La forma esplicita è introdotta da tranne che, eccetto che, salvo che, fuorché, sennonché,
a meno che e ha i tempi verbali quasi sempre al congiuntivo perché le eccettuative esprimono
un’ipotesi che si può realizzare o non. Solo sennonché è seguito dall’indicativo perché si riferisce a
un’eccezione, un impedimento, un ostacolo: Ci conosciamo da molti anni, sennonché ci vediamo
raramente. Verrò a trovarti a meno che qualcosa me lo impedisca.
Nella forma implicita le eccettuative hanno l’infinito preceduto da tranne che, eccetto che,
salvo che, fuorché: Sono disposto a tutto, fuorché chiedergli scusa.
Spesso le eccettuative sono precedute da un’affermazione generale e categorica in cui
possono comparire aggettivi e pronomi come: tutto, niente, ogni, qualunque, nessuno e simili: Non
dirò niente, tranne che non sia costretto.
La proposizione limitativa
Esprime una limitazione rispetto a quanto si dice nella reggente: Per quanto ne so, Gigi
resterà a casa. A quanto dicono gli esperti, la Borsa subirà un crollo.
Nella forma esplicita la limitativa è introdotta da per quanto, per quello che, riguardo a,
relativamente a quello che, a ciò che, a quanto, nel senso di “limitatamente a ciò che” e il verbo è
all’indicativo o al congiuntivo retto dalla congiunzione purché: Per quanto ne so, stanno tutti bene.
L’implicita è introdotta da in quanto a, quanto a e l’infinito: Quanto a venirti incontro, mi
sembra di averlo già fatto abbastanza.
Si noti che per quanto ha valore concessivo e non limitativo in frasi come: Per quanto io
faccia, non riesco a ricordarlo.
Sono limitative alcune particolari proposizioni con per, a + l’infinito: Per essere
intelligente, è intelligente. È facile a dirsi.
La proposizione incidentale
È la proposizione che si trova inserita nella frase tra due virgole, o anche tra due lineette o
parentesi, senza che abbia alcun legame sintattico con le altre proposizioni. È una sorta di frattura
che conferisce al discorso vivacità e snellezza: Lucia, te l’ho detto tante volte, è una brava ragazza.
Mario – chiesi – è un medico? Salvatore (dicono gli amici) studia molto.
Si noti che tale frasi con incidentali possono essere trasformate in frasi con subordinate: È
noto che Salvatore studia molto. Ti ho detto tante volte che Lucia è una brava ragazza.
Possono trovarsi come incidentali anche proposizioni introdotte da un elemento
subordinante: Paolo, come ti ho detto, è stato a Roma. Carla, se non sbaglio, ha vent’anni.
DOMANDE
Come si dividono le frasi a seconda della funzione?
Come si dividono le frasi a seconda della struttura?
Cos’è il sintagma?
Definire il soggetto.
Quando il soggetto è mancante?
Definire il predicato.
Cos’è il predicato verbale?
Cosa sono i verbi predicativi?
Cos’è il predicato nominale e quali parti lo costituiscono?
Cos’è la copula nel predicato nominale?
Indicare le varie funzioni del verbo essere.
Definire il complemento oggetto.
Dare una definizione del complemento predicativo del soggetto.
Dare una definizione del complemento predicativo dell’oggetto.
Definire l’attributo.
Definire l’apposizione.
Definire il complemento di specificazione.
Definire il complemento di termine.
Definire il complemento di tempo.
Definire il complemento di luogo.
Definire il complemento di mezzo o strumento.
Definire il complemento di modo o maniera.
Definire il complemento di causa.
Definire il complemento di compagnia e unione.
Definire il complemento di agente e causa efficiente.
Definire il complemento di abbondanza e privazione.
Definire il complemento di argomento.
Definire il complemento di origine o provenienza.
Definire il complemento di separazione o allontanamento.
Definire il complemento di colpa.
Definire il complemento di pena.
Definire il complemento concessivo.
Definire il complemento di denominazione.
Definire il complemento di distanza.
Definire il complemento distributivo.
Definire il complemento di esclusione (o eccettuativo).
Definire il complemento di età.
Definire il complemento di fine o scopo.
Definire il complemento di limitazione.
Definire il complemento di materia.
Definire il complemento di paragone o comparativo.
Definire il complemento partitivo.
Definire il complemento di qualità.
Definire il complemento di quantità o misura.
Definire il complemento di rapporto o relazione.
Definire il complemento di sostituzione o scambio.
Definire il complemento di stima o prezzo.
Definire il complemento di vantaggio o svantaggio.
Definire il complemento di vocazione.
Definire il complemento di esclamazione.
Definire il complemento di differenza.
Cosa sono le frasi complesse?
Come si realizzano la coordinazione e la subordinazione?
Cosa sono le subordinate implicite e quelle esplicite?
Classificare i vari tipi di subordinata.
Cos’è la proposizione oggettiva.
Cos’è la proposizione soggettiva.
Cos’è la proposizione finale.
Cos’è la proposizione consecutiva.
Cos’è la proposizione temporale.
Cos’è la proposizione comparativa.
Cos’è la proposizione oggettiva.
Cos’è la proposizione condizionale.
Cos’è il periodo ipotetico.
Cos’è la proposizione concessiva.
Cos’è la proposizione interrogativa indiretta.
Cos’è la proposizione relativa.
Che cosa sono le proposizioni relative proprie e quelle improprie.
Cos’è la proposizione modale.
Cos’è la proposizione avversativa.
Cos’è la proposizione esclusiva.
Cos’è la proposizione eccettuativa.
Cos’è la proposizione incidentale.