LICEO SCIENTIFICO “G. Galilei” di BORGOMANERO
Visita d’istruzione:
Galleria Giannoni
e monumenti antonelliani a Novara
Mercoledì 21 Marzo 2012
GALLERIA GIANNONI
Le principali testimonianze di pittura “da cavalletto” ottocentesca e di primo Novecento della città di
Novara sono quelle conservate nella Galleria d'Arte Moderna Paolo e Adele Giannoni, riaperta da
pochi anni al pubblico.
La raccolta fu donata alla città da Alfredo Giannoni (1862-1944), importante figura di collezionista
borghese la cui famiglia, soprattutto attraverso il padre, era direttamente in contatto con alcuni
personaggi emergenti della cultura novarese di fine secolo. Appassionato d'arte fin dalla giovinezza,
già nel primo decennio del Novecento, aveva maturato l'idea di far dono alla municipalità della
nutrita raccolta d'opere d'arte che andava costituendo, spinto in questo dall'amico Alessandro
Viglio, allora direttore dei Musei Civici e personaggio influente in ambito artistico locale.
Così, nel giugno del 1930, il restaurato Palazzo del Broletto accolse la sua collezione, prima
Galleria d'Arte Moderna della città, costituita da 400 pezzi tra quadri, opere di grafica e sculture;
successivamente integrata dal Giannoni stesso (1935-1938) la raccolta comprende oggi circa 900
opere. Giannoni, collezionista spontaneo e autonomo, aveva privilegiato le opere realistiche,
sentendosi meno attratto dalle avanguardie e si era rivolto, inizialmente, alle scuole locali, prima tra tutte
quella vigezzina, emanazione della scuola di pittura Rossetti Valentini di Santa Maria Maggiore.
Nella raccolta del Giannoni sono perciò riconoscibili filoni e tematiche (oltre alla pittura di genere, il
paesaggio, il ritratto, le composizioni naturalistiche, la pittura di storia) che sono indicativi sia del suo
gusto personale sia del suo desiderio di consegnare alla città un insieme significativo di opere dell'arte
italiana.
Il paesaggio
I dipinti che trattano il tema del paesaggio sono rappresentati dalle opere di Achille Tominetti (18481917), Lorenzo Delleani (1840-1908) e Achille Cattaneo (1872-1931). Fra questi emergono anche le tele
che raffigurano la val Vigezzo, luogo natale di Enrico Cavalli (1849-1919) e di Carlo Fornara (1871-1968)
che, con Impressione di Valle Vigezzo (1910) e con Processione a Prestinone di Val Vigezzo (1898),
trattano un ambiente a loro famigliare attraverso le tecniche della pittura impressionista acquisita da
entrambi durante i soggiorni francesi. Elemento centrale nelle opere di questi pittori è la luce che, da
mezzo per la conoscenza primaria della realtà, diventa strumento dell'espressione delle emozioni
dell'artista. Il paesaggio è così protagonista assoluto dell'opera ed è rappresentato in maniera realistica ed
oggettiva attraverso composizioni di immediata percezione e di un intenso cromatismo.
L'attenzione alla luce e al vero è un elemento dominante anche nei dipinti di paesaggio di Angelo Morbelli
(1853-1919), esemplificati da Angolo di giardino (1910) dai toni delicatissimi e di Plinio Nomellini
(1866-1943) presente nella Galleria Giannoni con numerose opere fra cui Sole e brina (1905-1910) nella
quale il contesto naturalistico, ricco di valenze emozionali e simboliche, prevale sul carattere di denuncia
sociale che aveva connotato la sua precedente attività pittorica.
Il ritratto
Anche il ritratto, soprattutto femminile, tema che ebbe una gran fortuna alla fine dell'Ottocento fu uno dei
soggetti preferiti dal Giannoni.
Lo stesso Cavalli si è misurato con questa tipologia realizzando, tra gli altri, Contadina della
Bourgogne (1900) e Tina Di Lorenzo (1906), quest'ultimo pervenuto ai Musei Civici nel 1960
grazie alla donazione Bossi. Delicatissimo e intenso è poi il ritratto di giovane fanciulla La rosa bianca
(1907) di Giovanni Sottocornola (1855-1917), mentre suggeriscono profondità emotiva e partecipazione
quelli del veronese Angelo Dall'Oca Bianca (1858-1942), presente nella raccolta novarese con Testa di
popolana di Verona (1895-1905), di Mosè Bianchi (1840-1904), di Daniele Ranzoni (1843-1889), di
Cesare Tallone (1894-1967), di Giovanni Segantini (1858-1899) con Ritratto di donna maiala (1880
ca), di Vincenzo Irolli (1860-1949) e di Enrico Lionne (1865-1921) con L'Attesa (1919), tutto giocato sui
toni del carminio e del viola.
Le composizioni naturalistiche
Altro tema presente nella collezione della Galleria è quello delle composizioni di fiori, frutta
animali e oggetti di cui è un bell'esempio il dipinto di Enrico Cavalli dal titolo La natura morta,
armonica composizione di forme e colori realizzata con stupefacente realismo. Si può citare in questo stesso
ambito il dipinto Il cagnolino bianco della principessa Troubetzkoj (1878-1879) del già citato Ranzoni,
esponente di spicco della Scapigliatura lombarda che qui esprime la sua abilità di acuto osservatore in
un'opera ricca di vitalità e di estrema adesione al vero.
La pittura di storia
Una parte piuttosto consistente della raccolta Giannoni è costituita dalla cosiddetta pittura di storia, genere
che ebbe molta fortuna a partire dagli anni Sessanta dell'Ottocento.
Contrariamente alla prima metà del secolo, quando la situazione politica italiana obbligava a
raffigurare le vicende storiche ricorrendo alla metafora o alla rievocazione del passato, nella seconda
metà dell'Ottocento i pittori poterono illustrare i fatti contemporanei, come ad esempio le battaglie
risorgimentali a cui molti artisti avevano partecipato in prima persona.
Nella collezione novarese compaiono le opere di pittori soldato come i fratelli Induno, Domenico
(1815-1878) e Gerolamo (1825-1890) che tradussero nel linguaggio della pittura di genere i temi
della storia risorgimentale, sottolineandone i risvolti più domestici e sentimentali. La loro formula facile e
diretta è ben leggibile nei dipinti Madre al campo (1850-1860) di Domenico e Sentinella garibaldina
(1851) di Gerolamo.
Altro pittore che partecipò direttamente ai fatti risorgimentali fu Eleuterio Pagliano (1826-1903)
presente in galleria con gli studi per il grande quadro La morte di Luciano Manara (1884)
conservato presso la Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma.
Di notevole impatto visivo sono però le opere di grande formato di Giovanni Fattori (1825-1908),
esponente della corrente macchiaiola, che si occupò di pittura di storia dal 1859 al 1865,
realizzando diversi studi di soldato e a Novara rappresentato dalle tele Cavalcata di soldati nel bosco
(1898) ora visibile nella sala consiliare del Municipio e La battaglia di Kassala (1906).
I temi di storia risorgimentale riemersero nel primo decennio del Novecento, cioè negli anni che
precedettero lo scoppio della prima guerra mondiale. Tra essi molta fortuna ebbero quelli legati alle vicende
garibaldine come, per esempio, il bel ritratto di Garibaldi (1917) e L'imbarco dei Mille a Quarto (1911)
del Nomellini dove il soggetto storico si trasfigura in un'immagine dai toni quasi biblici.
Il BROLETTO
Di fronte al Duomo, prospicienti l'omonima piazza, sono collocati gli edifici del Broletto. Essi, pur essendo
disposti a quadrilatero attorno al cortile centrale, vennero eretti in tempi successivi: del secolo XII al XVIII.
Tutto il complesso fu abbondantemente restaurato negli anni Trenta di questo secolo (1925-36), secondo un
concetto integrativo. Tra gli edifici il più noto è il palazzo Arengario -lato nord (XIII - XIV secoli) aperto nella
zona inferiore da un atrio, con pilastri che reggono arconi a tutto sesto. Il palazzo è decorato da tre trifore e da
un fregio dipinto continuo, collocato sotto la gronda del tetto, oggi visibili solo sul lato sud. Il dipinto, eseguito
fra 1240-1260 circa da maestranze cui erano noti i canoni rappresentativi dell’Ile de France, raffigura la
fondazione eroica della città e la glorificazione della classe dei cavalieri, attraverso l'uso dei singoli topoi
figurativi accostati entro una cornice continua. Alla stessa bottega pittorica è stata assegnata l'esecuzione della
decorazione, recentemente messa in luce, del palazzo dei Paratici, che riprende alcuni motivi già presenti nel
dipinto del palazzo Arengario, portata a termine entro il 1.270.
All'interno dell'ampia sala con copertura a capriate lignee sono inoltre esposti tre affreschi quattrocenteschi, tra
cui una raffinata crocifissione. La scala anteriore coperta è interamente opera di restauro. Sul lato sud è
collocata il palazzo del Podestà, eretto fra il 1.395 e il 1.402 e ristrutturato nel 1.478-79, anni a cui risalgono le
decorazioni in cotto delle finestre prospicienti il cortile interno. I lati est ed ovest sono completati dal palazzetto
dei Paratici (da ascriversi alla fine del XII secolo ampliato sul fronte verso il cortile dalla loggetta settecentesca
del 1.752 e a ovest, dai locali occupati nel 1.618 dalla Referenderia).
Il BATTISTERO
Il battistero novarese è situato di fronte al Duomo, a cui è rilegato da quadriportico oggi visibile nelle forme
antonelliane, ma già esistente in antico. Fondato tra il IV e V secolo, il battistero venne sopraelevato in età
medievale, in un periodo compreso fra la fine del secolo X e la prima metà dell' XI. L'edificio è a pianta
centrale, di forma ottagonale, polilobata con otto cappelle alternativamente rettangolari e curve, coperte da volte
a botte ed introdotte da colonne marmoree con capitelli corinzie, di età romana. La struttura di mattoni è
conclusa da un tiburio che termina con una cupola illuminata da ampie finestre. All'esterno il tiburio è decorato
da una serie di archetti ciechi e dal sovrastante giro di fornirci. Al centro dell'aula si trova la piscina battesimale
anch'essa di forma ottagonale, originariamente decorata e rivestita in marmo. L’edificio era arricchito da una
decorazione a mosaico di soggetto floreale, testimoniata dalle tracce ancora visibili nella strombatura di una
finestra a sinistra, in basso.
Anche gli affreschi eseguiti intorno al 1.019, in origine coprivano tutte le superfici della cupola e del tiburio. Di
questi oggi sono visibili solo quelli del tiburio e un tardo giudizio universale, di modi lombardi, dipinto nel
secolo XV, collocato sulla parete sud. Gli affreschi, suddivisi in sette quadri narrativi e organizzati su due
registri, illustrano una delle pagine più drammatiche dell'apocalisse: l'apertura del settimo Sigillo del libro del
Destino ad opera dell'Agnello delle sette corna e la successiva comparsa di sette Angeli con le trombe, ai cui
squilli grandi flagelli si abbatterono sull'umanità. L'illustrazione dei flagelli annunciati dagli angeli
accompagnati da didascalia ormai perdute, è introdotta dall'Angelo che reca l'offerta dell'incenso all'altare di
Dio. Nel registro inferiore alcune figure di santi togati sono racchiuse entro nicchie, sorrette da colonnine binate
collocate negli spigoli delle pareti che, nella zona centrale, inquadrano la finestra. Sono questi elementi
architettonici dipinti che rilegano l'intera decorazione all'edificio e presentano una rara integrazione fra la
struttura muraria e l'apparato decorativo. Anche sulla cupola vi sono tracce di decorazione pittorica che
suggeriscono la raffigurazione della Visione dell'Eterno dei Giorni fra i Simboli degli Evangelisti (l'Aquila, il
Leone, il Toro, l'Angelo). Essi sono infatti descritti da Giovanni come aventi sei paia di occhi ognuno è
collocati attorno al trono di Dio, che viene perciò lodato notte e giorno senza interruzione. Di matrice colta sia
per la scelta del soggetto che propone legami con quello degli affreschi dipinti nel battistero di Neone a
Ravenna e con il manoscritto di età ottoniana di Bamberga, sia per l'uso sottile della simbologia, gli affreschi
del battistero novarese, eseguiti da un artista curiale renano, si pongono come alta espressione di un linguaggio
che trova riferimenti ed esperienze italiane padane ma soprattutto nei modelli provenienti direttamente dalla
corte germaniche di Ottone III e di Enrico II.
ALESSANDRO ANTONELLI A NOVARA
Alessandro Antonelli (Ghemme 1798 - Torino 1888) è l’autore di alcuni dei principali edifici civili e
religiosi che si possono ammirare ancora oggi nella città di Novara.
Alessandro Antonelli studiò dapprima presso il Seminario di Orta San Giulio, in seguito presso l'Accademia di
Brera a Milano e, infine, si trasferì a Torino dove conseguì la laurea con la quale divenne ingegnerearchitetto. Dal 1826 al 1831 completò i suoi studi a Roma dove perfezionò le sue conoscenze nella
geometria applicata e dove osservò con attenzione i monumenti antichi, le cui forme influenzarono poi la sua
architettura. Dal 1836 fu anche insegnante all'Accademia Albertina di Torino, attività che si protrasse fino al
1857. Fu professionista molto attivo in tutto il Piemonte e molti suoi edifici caratterizzano città come Mortara,
Saluzzo, Novara e Torino.
Le sue origini e l'arroccamento della cultura novarese nelle forme accademiche e tradizionali fecero sì che il
territorio novarese diventasse ambito di lavoro privilegiato.
A Novara l'Antonelli progettò gli edifici più importanti e prestigiosi come la Cupola della Basilica di San
Gaudenzio, il Duomo con la sistemazione dello spazio urbano circostante, l’ampliamento dell'Ospedale
Maggiore e numerosi edifici per la residenza quali Casa Bossi, Casa Avogadro, Casa Giovanetti.
Oltre alle citate opere, Antonelli ideò il progetto di trasformazione della chiesa della Maddalena in
Archivio di Stato, poi non realizzato. Propose anche la costruzione di una galleria sull'attuale corso
Cavour e un progetto per un nuovo teatro, opere queste mai approvate dall'Amministrazione.
IL DUOMO DI NOVARA
Antonelli fu un professionista poco sensibile alle esigenze della committenza, non accettò mai imposizioni
e ricorse ad ogni mezzo per attuare i suoi progetti. Emblematico è il caso del Duomo la cui costruzione
suscitò discussioni e provocò pareri contrastanti perché comportava la distruzione dell'edificio precedente
d'epoca medioevale. Già dagli anni Trenta, però, Antonelli era stato coinvolto nel vasto programma di
rinnovamento del presbiterio dell’antica chiesa per la quale aveva progettato il grande altare maggiore che ancora
oggi domina l'area presbiteriale.
Alla fine degli anni Cinquanta, dopo un dibattito serrato che coinvolse anche l'opinione pubblica, il progetto
antonelliano di abbattimento e ricostruzione di una nuova struttura venne approvato dal Capitolo della
Cattedrale e il 2 ottobre 1869 il nuovo Duomo neoclassico fu consacrato con una solenne celebrazione.
L'edificio presenta una maestosa facciata delimitata da quattro colonne in granito con capitelli corinzi in
pietra. Il grande portale disegnato dal figlio Costanzo Antonelli venne messo in opera nel 1892. L'interno si
presenta suddiviso in tre navate separate da gigantesche colonne corinzie. Al di sopra dell'architrave si
estende una fascia che reca ventisette nicchie contenenti busti di Santi venerati nella diocesi, opere dello
scultore Giuseppe Argenti. Un grande arco trionfale raccorda le navate al presbiterio, realizzazione di
Stefano Ignazio Melchioni, all'interno dei quale sono conservate le decorazioni di Vitale Sala e dello Zelbi.
Lo spazio urbano esterno venne rilegato al nuovo edificio sacro da un imponente colonnato che occupò
anche l'area del quadriportico medievale e raccordò alle nuove architetture il Battistero (V-XII secolo) e l'antica
piazza.
Il mosaico pavimentale del Duomo
Della cattedrale novarese eretta in età medievale sono pervenuti alcuni frammenti del mosaico
pavimentale, prezioso completamente iconografico dell'edificio, noto in modo completo solo
attraverso fonti grafiche ottocentesche. Il mosaico, di cui oggi si possono ancora osservare le scene
inserite nel pavimento del presbiterio raffiguranti i simboli degli Evangelisti, Adamo ed Eva, i
quattro fiumi del Paradiso ed altri simboli ed ornamenti, la parte raffigurante Cristo Sole conservata
presso l'orfanotrofio di Santa Lucia in via Azario e piccoli frammenti ora collocati presso i musei
civici, era realizzato in marmi bianco, nero e rossiccio e si estendeva lungo tutta la navata centrale.
Presentava una parte figurata centrale suddivisa in tre sezioni concentriche e proponeva il mondo
dell'acqua, della terra e dell'aria, rinserrata fra cornici e motivi geometrici. Le figure erano tratte da
una fonte biblica ben precisa: il cantico dei tre fanciulli, dai libri di Daniele. Nonostante la
frammentarietà dei reperti e gli interventi di restauro integrativo eseguiti da G. A. Avon tra il 1.832
e il 1.836, il mosaico è databile fra la fine del secolo XI e l'inizio del XII.
La CANONICA
Il chiostro della canonica ospita sotto le arcate in museo lapidario costituito nel 1.813 dal canonico
F. Frasconi radunando reperti provenienti sia dalla città sia dal territorio. Esso venne notevolmente
incrementato intorno al 1870 - 80 dalla collezione già depositata presso la basilica di San
Gaudenzio e dalle pietre recuperate durante i lavori di demolizione dell'antica cattedrale di Santa
Maria. Nel portico della Canonica sono state murate copie dei pezzi più rari e pregiati. Fra i
numerosi pezzi: sarcofagi, are, lapidi e frammenti di lastre iscritte e di decorazioni architettoniche.
Sono particolarmente interessanti: l'iscrizione celtica databile intorno alla metà del II secolo a.C.
decorato sulla sinistra da un motivo costituito da quattro ruote o rosette ripartite da raggi; la stele di
Appia Faventina, del I secolo d.C. proveniente dalla chiesa di San Lorenzo fuori le mura; le stele
centinate, caratteristiche dell'area novarese. Il pezzo più prestigioso è però il cosiddetto “Rilievo
della nave”, la cui copia è murata sotto l'ultima arcata del lato sud e proviene dalla primitiva
basilica di San Gaudenzio. Il rilievo, databile nell'ultimo trentennio del III secolo d.C. o agli inizi
del IV, raffigura una grossa imbarcazione in mezzo ai flutti, con marinai addetti alle vele e un
pescatore che regge la lenza come un pesce. La scena è variamente interpretata: può infatti essere
riferita ad un ambito di produzione di committenza pagana e raffigurare un episodio marinaresco
con Castore e Polluce, divinità protettrici dei naviganti. Oppure assume un significato cristiano: in
questo caso la nave in tempesta e simbolo della Chiesa e il pescatore è avvicinabile alla figura di
Cristo, “pescatore di anime”.
SAN GAUDENZIO
La storia della vita di San Gaudenzio così come è stata tramandata, dapprima oralmente e, in
seguito, trascritta nella Vita Sancti Gaudentii, inseparabile da quella della città e dei suoi abitanti;
quindi espressione sia religiosa che civica e simbolo, soprattutto nel passato, dell’autonomia e degli
interessi cittadini. E’ comprensibile pertanto come, ancor oggi, la devozione e l’affetto nei confronti
del Santo sono tanto radicati, soprattutto durante la settimana dei festeggiamenti che culminano
nella giornata del 22 gennaio, quando, la grande Basilica Patronale cinquecentesca, diventa il fulcro
delle celebrazioni.
La presenza in città di una chiesa dedicata a San Gaudenzio risale ai primi secoli della cristianità ed
è citata nei documenti come basilica extramuranea in quanto collocata oltre le antiche mura.
L’edificio, nel 1.553, fu demolito per ordine del governo spagnolo e riedificato nel luogo attuale
grazie all’intervento economico della comunità civile novarese, come testimonia ancora oggi lo
stemma posto in facciata e recante la scritta Civitatis Novariae.
Il legame tra Gaudenzio e la città diventato nel corso dei secoli anche espressione artistica; molte,
infatti, sono le opere d’arte presenti in Basilica che rinnovano e consolidano, come nel passato, la
devozione e l’attaccamento della popolazione verso il Santo.
La basilica di San Gaudenzio fu innalzata dentro la cerchia delle mura urbane, sull'area occupata
precedentemente dalla chiesa di San Vincenzo, dopo l'abbattimento dell'edificio più antico dedicato
al santo patrono avvenuto nel 1.553 ad opera di Carlo V. La costruzione fu avviata durante un
particolare momento della storia politica novarese, quando la classe dirigente decurionale sentì la
necessità di difendere, contro l'affermarsi dello Stato assoluto proposto dagli spagnoli, l'immagine
della sua tradizione religiosa, del proprio potere, dei propri privilegi. Ecco allora che la basilica
divenne l'elemento concreto attraverso il quale poter esprimere questo programma e la sua
ricostruzione si caricò immediatamente di significati ideologici e politici, identificandosi con la
città. Essa divenne l'ecclesia civitatis Novariae, cioè la chiesa della comunità laicale, espressione
della vita civica, ed ebbe come patrono all'amministrazione stessa, operante attraverso la fabbrica
lapidea di San Gaudenzio. Lo stemma comunale collocato in facciata e ripetuto all'interno del
tempio a sottolineatura delle opere maggiori, ben evidenzia questo aspetto. Il nuovo tempio venne
perciò innalzato, in forme solenni e grandiose, a partire dal 1.577, su un progetto che la tradizione
assegna all'architetto dei Borromeo Pellegrino Pellegrini detto il Tibaldi. I lavori, dal 1583 diretti da
M. Bassi, procedettero però molto lentamente perché la città oppressa dalle guerre e dal fiscalismo
spagnolo, non aveva fondi da destinare alla fabbrica. Solo nella seconda metà del secolo
diciasettesimo si ebbe una ripresa economica e i lavori furono riavviati. La prima consacrazione,
avvenuto intorno al 1.610, si svolse infatti con il tempo incompleto: perciò nel 1656, ne venne
programmata un'altra, al termine dei lavori per la costruzione del transetto. Solo nel 1659 la basilica
poteva, però, dirsi terminata nelle sue strutture architettoniche. Rimaneva ancora aperto il problema
della degna collocazione delle reliquie del Santo patrono, risolto con la costruzione dello scurolo,
eseguito tra il 1672 e il 1703 su disegno di F. Castelli. Tra 1753 e 1786 si innalzò anche il
campanile, seguendo il progetto di Benedetto Alfieri.
Il polittico di Gaudenzio Ferrari
(seconda cappella a sinistra detta della Natività)
Tra i dipinti che raccontano le vicende della vita di Gaudenzio un posto centrale occupato dalla
predella monocroma del polittico della Natività di Gaudenzio Ferrari e Sperindio Cagnoli,
realizzato tra il 1.514 e il 1.516 e visibile nella cappella omonima.
Le scene del racconto, separate tra loro dai ritratti a mezza figura dei Dottori della Chiesa,
dovevano, nella collocazione originaria, cioè sull’altare maggiore dell’antica Basilica, essere poste
all’altezza degli occhi del celebrante. L’uso del color seppia nelle figure e nelle architetture, dipinte
su uno sfondo marrone e arricchite da filettature dorate, vuole simulare la tecnica del bassorilievo e
conferire un nuovo effetto di spazialità.
In ciascun scomparto sono raffigurati due episodi della vita di San Gaudenzio per un totale di sei
racconti:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
San Gaudenzio benedicente spegne l’incendio della città
Incontro tra Ambrogio e Gaudenzio
Le guarigioni operate da San Gaudenzio con l’acqua delle abluzioni
La morte di San Gaudenzio
Il miracolo della crescita della barba e delle unghie sul cadavere di San Gaudenzio
Il miracolo della matrona romana liberata dal demonio
Il racconto delle vicende della vita del Santo si snoda in una sequenza continua che cattura
l’interesse dell’osservatore; esso è finalizzato ad insegnare e ottenere il coinvolgimento del popolo
dei fedeli e a consolidare il legame tra Gaudenzio e la città intesa non solo come comunità di
cittadini, ma anche come insieme di edifici. In quasi tutte le scene, infatti, compaiono alcuni
elementi architettonici quali le mura merlate, le porte, i ponti levatoi, la cattedrale romanica con le
caratteristiche torrette in facciata, che definiscono la città del passato.
Il grande dipinto proviene dalla primitiva chiesa del Santo patrono, distrutta nel 1553: in questo
edificio costituiva la palla dell'altare maggiore, eseguita su committenza del capitolo di San
Gaudenzio. Il contratto del 20 luglio 1514, che vedeva il pittore Sperindio Cagnoli come fideussore
di Gaudenzio, prescriveva l'esecuzione di una ancona a tre registri, completa da tre figure a rilievo
collocate nella parte alta, oggi scomparse, come perdute sono anche le ante che dovevano chiudere
il dipinto. Nuova e originale, rispondente ai nuovi canoni rinascimentali è la cornice, nonostante le
ristrutturazione e le dorature, perché propone una notevole modernità nell'impianto, per l'emergenza
delle colonne e dei cornicioni. Più consueto lo schema delle scene. Le tavole del registro superiore
del polittico presentano al centro il Presepio e lateralmente l'Annunciazione. Nel registro inferiore il
pittore raffigura invece al centro a Vergine con il figlio fra i santi Rocco, Ivo e i vescovi Gaudenzio
e Ambrogio. Negli scomparti laterali sono raffigurati a sinistra i santi Pietro e Giovanni battista, e a
destra i santi Paolo e Agabio.
Opera della piena maturità questo dipinto, terminato nel 1516, costituì un modello indiscusso per i
pittori successivi, sia per l'iconografia dei personaggi sia per la struttura compositiva delle scene,
soprattutto quelle della predella, individuate dalla critica come gli elementi più attuali proposti dal
pittore nel politico novarese. In essa è possibile infatti ritrovare quell'interesse per le stampe
tedesche comune ai pittori più aggiornati dell'Italia settentrionale, a cui anche Gaudenzio guardava.
Tanzio da Varallo
(prima cappella a sinistra)
Tanzio da Varallo firmò il contratto per la decorazione di questa cappella il 19 febbraio 1627, in
casa del committente Ottavio Nazari e alla presenza del celebre giure-consulto Paolo Gallarato e di
altri nobili colti novaresi. Durante l'esecuzione del lavoro Tanzio da Varallo compì, con molta
probabilità, un viaggio a Vienna, per aggiornarsi sui programmi della cultura mitteleuropea. Gli
affreschi del grande telero con la raffigurazione della Sconfitta di Sannacherib, evidenzia infatti i
primi accenti di una pittura che esce dai confini della Lombardia. Esso trova un riferimento, forse
non occasionale, nella cappella dedicata ad illustrare la protezione dell'Angelo custode, aperta nel
1627 nella chiesa dei Gesuiti, a Vienna. Gli affreschi della cappella novarese dell'Angelo custode
(forse completata anche dalla pala d'altare di soggetto analogo di cui il Ferro indica la presenza in
un piccolo modello) propongono nelle nicchie i santi protettori dei committenti: Ottavio
Bernardino, Nazaro e Francesco. Nella lunetta superiore è raffigurata invece una scena biblica,
mentre nella volta sono illustrati il Paradiso e il Purgatorio. Il consueto repertorio è rivisitato da
Tanzio da Varallo in senso nuovo, perché tutti soggetti dipinti sono in stretta relazione fra loro: gli
sguardi, i gesti dei personaggi che interrompono gli stucchi straripando dagli architravi, rimandano
l'uno all'altro fino ad individuare nella scena del Paradiso elemento catalizzatore. Agli orrori della
guerra (biblica, ma anche quella vera combattuta nell'Europa e quella che stava per essere affrontata
dal committente stesso Ottavio Nazari contro i turchi) illustrati nel telero si contrappone il Paradiso
reso con compostezza di struttura e con colori molto brillanti: azzurri, rosa carmini, rossi cupi, gialli
zafferano. Momento di maggior tensione drammatica e però affidato alla tela, ultima realizzazione
di Tanzio, per la cappella novarese (1629), di cui esiste un bozzetto monocromo presso i musei
civici. Nel dipinto la luce le ombre tessono una trama vivida che, dall'Angelo, si riparte per
comporre volumi dei corpi lividi, contorti, agonizzanti, forse preludio all'imminente peste.
Teleri della facciata
Intorno al 1630 Giovan Mauro Della Rovere detto il Fiammenghino fu chiamato a riproporre, su
grandi tele che dovevano decorare la facciata della chiesa, il racconto della vita di Gaudenzio.
La tecnica di realizzazione semplice, la pennellata rapida e veloce, il colore utilizzato la tempera
grassa che d vita ad un cromatismo dai toni accesi; si distinguono in particolare i rosa, i gialli e i
verdi.
Ai racconti già raffigurati nella predella il pittore aggiunse altre due scene che conferivano una
maggiore adesione alla Legenda:
1.
2.
L’arrivo di Gaudenzio a Novara
La costruzione di nuove chiese e l’invio di sacerdoti ad evangelizzare
Sia la rappresentazione di questi nuovi episodi, sia di quelli già noti, dimostra un chiaro riferimento
al momento storico in cui queste opere furono dipinte: la Controriforma cattolica che aveva tra gli
obiettivi quello di consolidare l’unità della chiesa intorno alla figura del Vescovo.
Il Fiammenghino rese molto attuale il suo racconto costruendo dei personaggi vestiti secondo la
moda e il gusto del suo tempo, figure che avevano atteggiamenti più consoni ad una corte piuttosto
che ad una curia.
Altare maggiore
E ancora una volta la vita del santo patrono il tema adottato dallo scultore lombardo Carlo Beretta
nella realizzazione delle formelle bronzee, poste a decorare la parte anteriore e posteriore dell’altare
maggiore della Basilica, consacrato il 20 gennaio 1725.
L’artista, ispirandosi alla Vita di San Gaudenzio, scritta nel 1674 da Filippo Bagliotti, eseguì dieci
formelle a rilievo, le Historiette in cui la sua abilità di scultore si espresse da pochi tratti millimetrici
al tutto tondo delle figure. Il risultato una composizione molto ricca di particolari e affollata di
personaggi.
Il racconto del Beretta si arricchisce di nuovi episodi quali:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
San Gaudenzio visita Teodosio ammalato
Incontro di San Gaudenzio con l’imperatore Teodosio
L’abbattimento del Mausoleo
Il funerale
L’incontro di San Gaudenzio con il Salvatore
La gloria di San Gaudenzio
La cena di Secugnago
I tre cicli iconografici pur condividendo il tema rispondono a esigenze diverse dettate dal periodo
storico in cui sono stati commissionati; mentre la predella doveva favorire la meditazione del
sacerdote, i teleri avevano invece una funzione didascalica destinata al popolo dei fedeli e le
Historiette, infine, esprimevano la concezione del Santo cara alla nobiltà novarese del Seicento.
Lo scurolo di San Gaudenzio
Fondamentale episodio per la storia culturale ed artistica della città fu l'erezione dello scurolo,
previsto per offrire degna collocazione alle spoglie del santo patrono. L'idea della realizzazione
dello scurolo, strettamente connessa alla grande e fastosa cerimonia della traslazione delle spoglie
del santo avvenuta nel 1711, non fu affrontata subito, come proposta risolutiva, ma sopravvenne in
un secondo momento, forse per intervento del vescovo G. M. Meraviglia. Perciò assunsero
contemporanea rilevanza, sia per i tempi comuni di realizzazione che per la presenza degli stessi
esecutori, lo scurolo e l'altare esterno, che chiude il transetto destro.
Architetto delle opere F. Castelli, il quale coordinò i lavori per l'Ancona dell'altare esteriore,
condotti fra 1664 e il 1670. Nel 1667 vennero messe in opera le tre statue di marmo bianco, nel
1672 la grata in ferro eseguita a Milano dal “ferraro” G. Vimercate e nello stesso periodo fu anche
sistemata la balaustra, realizzata da G. B. Bianchi e Bartolomeo Muttone. Interrotte a causa
dell'organizzazione delle opere dello scurolo, i lavori presso l'altare ripreso solo nei primi anni del
secolo XVIII: fu eseguito l'altare su disegno di F. Prina e vennero realizzate le antine della
balaustra, lavorate nel 1703 F. Pozzo, secondo il disegno fornito da G. A. Besozzo. I programmi per
lo scurolo si avviarono nel 1672 e nel 1690 fu completata la struttura architettonica, progettata
sempre dal Castelli ed eseguita con l'aiuto del Paggi.
L'intervento del Legnanino nella decorazione ad affresco della cupola, previsto già dal 1691, si
concluse l'anno successivo. Gli affreschi propongono una volta dipinta secondo i consueti modelli
barocchi romani: il lucernario centrale, aperto sul cielo nel quale si vedono Cristo, Dio padre e la
colomba, è introdotto da cassettoni su cui si sovrappongono le figure degli angeli in gloria che
trasportano, al cospetto di Dio, San Gaudenzio in abiti vescovili. I vorticosi panneggi dei tratti degli
angeli musicanti ed i colori chiari, trasparenti luminosi utilizzati dal Legnanino contrastano con
l'aspetto severo e funebre dello scurolo tutto realizzato in marmi neri e in bronzo dorato.
Anche l'arca del santo era già pronta fin dal 1670, presso un orafo milanese: ma venne portata a
Novara sono le 1709 al termine della realizzazione dell'altare. Esso viene eseguito su disegno di C.
F. Silva, scultore luganese, dagli stessi artisti attivi presso l'altare esteriore: G. B. Bianchi e F. e G.
Pozzo. La presenza del Prima è documentata nel disegno delle portine d’accesso allo scurolo e nella
grata posteriore.
Alla decorazione plastica, che venne completata intorno alla metà del secolo XVIII (1748-49), fu
affidato il programma iconografico e la simbologia legata più strettamente la vita della città. Nella
risoluzione finale, dopo due progetti che videro il Prina come probabile suggeritore e il Mellone
come realizzatore dei bozzetti di terracotta, attualmente conservati presso i musei civici, prevalse la
consueta linea di glorificare non tanto le qualità del santo patrono, quanto di ravvivare il culto dei
santi locali.
Cupola della Basilica di San Gaudenzio
Antonelli è l'autore della struttura più significativa della città: la cupola della Basilica di San Gaudenzio
cantiere che occupò l’architetto per tutta la sua vita a partire da l 1840 quando, l’Amministrazione
comunale, riprendendo l’idea cinquecentesca di completare la chiesa con la costruzione di una cupola,
affidò all’architetto Antonelli l’incarico della progettazione.
Il cantiere conobbe tempi di elaborazione molto-lunghi, periodi di sospensione dei lavori, difficoltà di carattere
finanziario, ma nonostante il lungo e stentato procedere, si arrivò al progetto definitivo che portò all’opera
attuale. A collaborare con l’architetto nei primi vent’anni di lavoro fu Giuseppe Magistrini: esperto in
carpenteria ed idraulica, noto anche all'estero per le sue capacità, nonostante fosse analfabeta.
Come tutte le costruzioni di Antonelli anche questa struttura che raggiunge i 122 metri di altezza dal piano della
Basilica, è neoclassica, ricca di elementi architettonici decorativi quali il doppio giro di colonne che regge
la cupola vera e propria. Internamente è costituita da un sistema di cinque cupole autoreggenti incastonate l'una
nell'altra. L'utilizzo di colonne come elementi di sostegno unitamente a quello del mattone conferiscono
all’edificio una notevole leggerezza.
La cupola, edificata nel punto più alto della città, è ben visibile un pò dovunque anche grazie alla presenza
della statua dorata del Salvatore, opera dello scultore milanese Pietro Zucchi e posata nel 1878.
Testi tratto da:
Chiacchierando di Novara... tra natura, storia e arte, a cura di Anna Canetta, Patrizia Spagni e Gianna
Bolla (Nucleo di Didattica Ambientale Sezione Storico Artistica).
Novara, Guida storico artistica, testi di Emiliana Mongiat.
Bibliografìa consigliata:
AA.VV. // secolo di Antonelli 1798-1888, catalogo della mostra, a cura di D. Biancolini, Novara, 1988
M. PEROTTI Il Duomo di Novara Novara, 1995
Conosciamo la Novara Antonelliana a cura del Nucleo di Didattica Ambientale sezione storico
artistica, Assessorato all'Istruzione del Comune di Novara, 1989, Novara.
AA.VV., La Basilica di San Gaudenzio a Novara, Cinisello Balsamo, 2000
AA.VV. , San Gaudenzio, Novara, 1983
AA.VV., La Galleria D'Arte Moderna Paolo e Adele Giannoni, Novara, 1993
AA. VV., Induno Pittura di storia nella Galleria d'Arte Moderna di Novara Fattori Nomellini Viani,
catalogo della mostra a cura di A. Scotti Tosini, Cinisello Balsamo, 2005