di Boretto
Sabato 19 Ottobre 2013 ore 21:00
con il Patrocinio
del Comune di Boretto
Concerto sinfonico-corale
G. VERDI:
Attila - Nabucco - I Lombardi alla prima crociata - Il Trovatore
La Forza del destino - Aida
R. WAGNER:
Tannhäuser - Lohengrin
Direttore:
Giuliano Vicenzi
Coro ‘Città di Mirandola’ (MO)
Coro ed Orchestra dell’Associazione Corale ‘G.Verdi’ di Ostiglia (MN)
Il concerto è in ricordo di M. Teresa Catellani
L’incasso della serata sarà devoluto al restauro dell’organo ‘E.Bonazzi ‘
Programma
Giuseppe Verdi:
Preludio dall’opera Attila
Giuseppe Verdi
‘O Signore, dal tetto natio’ dall’opera I Lombardi alla prima crociata
Giuseppe Verdi
‘Vedi le fosche notturne spoglie’ dall’opera Il Trovatore
Giuseppe Verdi
‘Squilli, echeggi la tromba guerriera’ dall’opera Il Trovatore
Richard Wagner
'Treulich geführt', “Fedelmente guidati” (Coro nuziale) dall’opera Lohengrin
Richard Wagner
'Freudig begrüßen wir die edle Halle', “Con gioia salutiamo la nobile sala”
(Grande marcia con coro di conti, cavalieri e gentildonne ) dall’opera Tannhäuser
Richard Wagner
'Zu dir wall ich, mein Jesus Christ', “A te, mio Gesù Cristo, m’incammino”
(Coro dei vecchi pellegrini) dall’opera Tannhäuser
Giuseppe Verdi
Sinfonia dall’opera La forza del destino
Giuseppe Verdi
‘La Vergine degli Angeli’ dall’opera La forza del destino
Giuseppe Verdi
‘Gli arredi festivi’ dall’opera Nabucco
Giuseppe Verdi
‘Va’ pensiero’ dall’opera Nabucco
Giuseppe Verdi
‘Gran Finale’ dell'atto II dall’opera Aida
Giuseppe VERDI
Nabucco. Dramma lirico in quattro parti
su libretto di Temistocle Solera, tratto dal
dramma Nabuchodonosor di Auguste Anicet-Bourgeois e Francis Cornu.
(Prima rappresentazione: Milano, Teatro
alla Scala 9 marzo 1842).
L'azione, la più corale del compositore di
Busseto, ha luogo a Gerusalemme e in Babilonia durante il regno di Nabucodonosor II,
nel VI secolo a.C.
(In origine, il nome dato da Giuseppe Verdi
alla sua opera era Nabucodonosor ma, data la
lunghezza dello stesso sulla locandina, venne diviso in due righe: “Nabucco” e, a capo,
“Donosor” per cui la gente faceva caso solo
alla prima riga. Da qui la diffusione del nome
dell’opera fino ad oggi nota come Nabucco).
Nabucco costituisce di certo una delle più
note opere risorgimentali, anzi ‘risorgimentalizzate’, proprio per la fulminea fama che
ebbe fin dalla prima.
L’immensa fortuna del coro Va’ pensiero
(III parte) dei prigionieri Ebrei in Babilonia
ne è emblema: sentito come espressione di
un’idea di liberazione dall’oppressione (che
nell’Italia all’epoca era austriaca), in realtà
è un accorato quanto sconfortato canto di
schiavi ebrei che lascia ben poco spazio alla
speranza. Si sa infatti che Nabucco fu scritto
perché in sintonia con un gusto, una moda
dell’epoca e non come opera programmaticamente aderente agli ideali risorgimentali;
soggetti biblici erano molto in voga nei programmi dei teatri della prima metà dell’800,
sia nella forma del teatro di prosa che nel
balletto (il libretto di Temistocle Solera riprende anche il balletto di Antonio Cortesi
Nabucodonosor, andato in scena alla Scala).
Quando Verdi s’accinse a comporre il Nabucco aveva come modello il Moïse di Rossini: un famoso studio di Pierluigi Petrobelli
rintraccia, con dovizia di particolari, tutti i
debiti contratti da Verdi nei riguardi di Rossini, che sono relativi all’impianto musicale,
come alla struttura drammaturgica e ai personaggi. L’elemento corale, predominante
nell’opera, è, quindi, il segreto del successo di
Nabucco. In esso Verdi scorge la possibilità
di un intimo sviluppo del dramma, costituzionalmente statico. Questo è già ravvisabile
nella prima scena di apertura dell’opera, Gli
arredi festivi giù cadano infranti (I parte),
eseguito dal coro dei Leviti. Sino a quel momento la tradizione richiedeva che si aprisse
con un “coretto” introduttivo; Rossini con
il suo Otello ci aveva provato, ma Verdi con
questo mirabile affresco dipinge il popolo di
Israele raccolto nel tempio del Signore accanto al grande sacerdote Zaccaria per chiedere aiuto a Dio.
I Lombardi alla prima crociata. Dramma
lirico in quattro atti su libretto di Temistocle
Solera tratto dal poema eroico omonimo di
Tommaso Grossi.
La scena: Milano, Antiochia e sue vie, presso
Gerusalemme nell' XI secolo.
(Prima rappresentazione: Milano, Teatro
alla Scala, 11 febbraio 1843).
La composizione ripropone il tipo di melodramma corale-religioso che Verdi trattò
nel Nabucco, anche se con risultati meno
apprezzabili. Il celeberrimo coro O Signore
dal tetto natio (IV atto) è la preghiera in cui
i Lombardi pregano il Signore, ricordando
l’aria fresca, la natura e la pace della terra
lombarda. È un brano in alcuni tratti molto potente, melodioso e allegro. Lo spartito
dell’opera porta una dedica di Verdi a Maria
Luigia d’Asburgo, duchessa di Parma.
Attila. Dramma lirico in un prologo e tre atti
su libretto di Temistocle Solera (con successivo intervento di Francesco Maria Piave),
ispirato all’omonima tragedia Attila re degli
Unni di Zacharias Werner.
(Prima rappresentazione: Venezia, Teatro La
Fenice, 17 marzo 1846). L'azione si svolge ad
Aquileia attorno alla metà del V secolo d.C.
Il Preludio è breve e conciso, si fonda su un
tema semplice e lineare che si ripresenterà
nel finale del II atto, quando i Druidi canteranno le loro profezie. A questo tema si alterna un’idea melodica più dolce e affettuosa
che crea un contrasto emotivo evidente ed
efficace. La conclusione solleva la tensione in modo perfetto e ben si collega con la
narrazione che da queste note prende il via.
Secondo molti questo è in assoluto uno dei
preludi più belli scritti da Verdi.
Il Trovatore. Dramma in quattro parti tratto da El Trovador di Antonio García Gutiérrez. Fu Verdi stesso ad avere l'idea di ricavare un'opera dal dramma di Gutiérrez,
commissionando a Salvatore Cammarano
la riduzione librettistica. Il poeta napoletano morì improvvisamente nel 1852, appena
terminato il libretto, e Verdi, che desiderava
alcune aggiunte e piccole modifiche, si trovò
costretto a chiedere l'intervento di un collaboratore del compianto Cammarano, Leone
Emanuele Bardare.
(Prima rappresentazione: Roma, Teatro
Apollo, 19 gennaio 1853).
La trama, oltremodo intricata e romanzesca,
si sviluppa parte in Biscaglia e parte in Aragona all'inizio del XV secolo. Nonostante la
frammentarietà dell'azione narrata dal libretto ispirato al Trovador di García Gutiérrez, non c'è dubbio che Verdi riesca lo stesso
nell'intento di unire con la musica ciò che la
drammaturgia aveva segmentato. E il risultato, allora come oggi, si vede e si sente. Il
Trovatore (che insieme a Rigoletto e La Traviata costituisce la cosiddetta trilogia popolare), non solo per "Di quella pira" o "Chi del
gitano", è a ragione tra le partiture più amate
dal maestro. Con essa si fissa una nuova fase
nella parabola compositiva del bussetano e
si assiste al fenomeno della diffusione internazionale delle sue composizioni. Infatti
subito dopo la prima, Il Trovatore viene visto come un punto di snodo fondamentale
nella produzione verdiana preludendo ai
capolavori della maturità. In esso Verdi si
conferma un genio che ben conosce la strada che lo porterà all’abbandono della forma
chiusa, ma che vuole dimostrare come anche
nel rigore ferreo della Forma il melodramma possa librarsi rivelando affetti e caratteri
forti, appassionati, struggenti, quasi vivide
macchie di colore. Mai come ne Il Trovatore,
nella suggestione d’un Medioevo stregato, la
ricerca sonora verdiana aveva trovato una
così completa espressione. Come ha scritto il
musicologo Julian Budden, «Con nessun'altra delle sue opere, neppure con il Nabucco,
Verdi toccò così rapidamente il cuore del suo
pubblico». Tra i brani più conosciuti il coro
dei gitani Vedi le fosche notturne spoglie
(II atto), con i fabbri che battono ritmica-
mente sulle incudini i martelli e la grandiosa
scena dei soldati Squilli, echeggi la tromba
guerriera (apertura III atto) di grande respiro e ampia articolazione melodica.
La forza del destino. Opera in quattro atti
principalmente innestata sul dramma Don
Álvaro, o La fuerza del sino di Angel de Saavedra, duca di Rivas e composta su libretto
di Francesco Maria Piave per il Teatro Imperiale di Pietroburgo (oggi Teatro Mariinskij);
il debutto russo del novembre 1862 è seguito
da quello romano nel 1863. Diversi aspetti,
però, non convincono il compositore, che
decide di revisionare sotto vari punti di vista con l’apporto di Antonio Ghislanzoni: la
prima scaligera della nuova versione avviene nel febbraio 1869, dando così il via alla
vera diffusione dell’opera e al forte sodalizio
di Verdi con il teatro milanese. Il risultato
della rielaborazione offre un componimento
che va oltre gli stilemi del melodramma fino
a quel momento concepito: i numeri chiusi
divengono brani brevi e formalmente sciolti,
dove la musica definisce in modo più attento
la psicologia di personaggi principali e non;
si abbandona l’incontrastato primato della
voce verso soluzioni che fanno dell’orchestra
una vera e propria protagonista. Ciò è fortemente espresso sin dalla Sinfonia iniziale, oggetto primario della revisione operata
da Verdi: quello che in principio era solo un
breve Preludio diviene una pagina narrativa
fondamentale e meravigliosa, in cui i temi
musicali caratteristici delle varie vicende trovano sia espressione individuale sia completezza d’insieme: tutto quello che La forza del
destino rappresenta è già contenuto, miscelato e sezionato, in questa pagina incredibile.
Sinistra è la fama che aleggia su quest’opera,
definita “opera jettatrice” sulla base di superstizioni teatrali ed esperienze realmente
accadute (l’episodio più tristemente noto è la
morte del baritono Leonard Warren, deceduto per emorragia cerebrale, mentre stava
cantanto proprio la Forza al Metropolitan di
New York).
Tale fama le è stata affibbiata anche per la
sua trama (tra Spagna e Italia alla metà del
XVIII secolo): i protagonisti non riescono
a fuggire dal proprio destino, che incombe
tremendo e magnetico sopra di loro. Tale
ineluttabilità della sorte è ben resa dal ricorrente leit-motiv del destino, presente nella
Sinfonia, e palese, soprattutto, nella preghiera di Leonora “Madre pietosa, Vergine”, (II
atto) e nell’invocazione, sempre di Leonora,
“Pace, pace, mio Dio!” (IV atto). Autentica
gemma dell'opera è la celebre preghiera La
Vergine degli angeli (atto II), intonata dal
soprano e dai frati, che la tradizione popolare vuole sia stata ispirata a Verdi dalla tela
di Francesco Scaramuzza raffigurante L'Assunzione in cielo della Vergine Maria visibile
nella Collegiata di Santa Maria delle Grazie
a Cortemaggiore.
Aida. Opera in quattro atti su libretto di A.
Ghislanzoni, basata su un soggetto originale
di Auguste Mariette, commissionata dal vicerè d’Egitto per l’apertura del canale di Suez
nel 1870. (Prima rappresentazione: Cairo,
Opera, 24 dicembre 1871).
Aida, storia di una schiava etiope prigioniera del faraone in Egitto, è una delle partiture più note, amate e rappresentate dell’intero repertorio verdiano. Il soggetto, tuttavia,
non interessò Verdi per gli effetti esotizzan-
ti che se ne potevano facilmente ricavare: il
compositore non utilizzò temi “etnici”, né
strumenti particolari al di fuori delle trombe
diritte (che egiziane, comunque, non sono).
L’ambientazione esotica, semmai, era il punto di partenza per sperimentare quel rinnovamento dell’opera italiana che per Verdi, e
per il pubblico dell’intera penisola, era un’esigenza primaria di quegli anni. Per sottrarre il melodramma nazionale alla gabbia di
schemi e convenzioni, Verdi creò una sorta
di grand opéra italiano, attingendo ai modelli francesi degli anni Sessanta. Ma altrettanto evidente della volontà di rinnovamento, nell’opera, è il legame con la più autentica
tradizione italiana. Non c’è dubbio che al
grande successo e alla popolarità di quest’opera concorrano da una parte l’invenzione
melodica rigogliosa, dall’altra gli apparati
scenici grandiosi, la stessa Marcia trionfale
(eseguita al ritorno in patria di Radamés nel
II atto), le danze, i cori, le pagine di colore
locale disseminate un po’ ovunque.
Richard WAGNER
Tannhäuser. Grande opera romantica in
tre atti. (Prima rappresentazione: Dresda,
Königlisches Hof - Und Nationaltheater, 19
ottobre 1845). La trama: nei pressi di Eisenach all'inizio del XIII secolo. Su testo dello stesso compositore, è un’opera giovanile,
difficile, nata dall’incrocio di due antiche
leggende germaniche: quella di Tannhäuser e Venere nel Venusberg (è il nome di una
mitologica montagna della Germania), e
quella della tenzone dei Minnesänger (trovatori tedeschi) sulla Wartburg (è il nome
di un castello della Turingia, fatto costruire
nel 1073 dal langravio Ludwig der Springer).
Per dare un senso drammaturgico alla storia
così combinata, Wagner ha dovuto tuttavia
aggiungere, di propria invenzione, l’amore
di Tannhäuser per Elisabetta. L'opera, composta nel 1842-45 a Dresda, ha avuto diverse
correzioni, fino a quella più consistente e definitiva del 1860-61 per la rappresentazione
di Parigi. Nonostante questi numerosi adattamenti, aggiunte e sottrazioni, l’opera non
ebbe mai, almeno Wagner vivente, un grande successo. E questo, con rammarico del
compositore che, alla fine della sua vita, ne
parlò asserendo di “essere ancora debitore al
mondo del suo Tannhäuser”.
Il musicologo tedesco Carl Dahlhaus ha definito il Tannhäuser un’“opera” distinguendola così dalla struttura che viene considerata tipica del teatro wagneriano più tardo: il
Musikdrama (in italiano dramma musicale, è un termine tedesco usato per indicare
l'unità di testo e musica. Coniato da Theodor Mundt nel 1833, è stato adottato da Wagner, assieme al neologismo opera d'arte to-
tale, per definire le proprie composizioni). E
dell’opera tradizionale manifesta le principali caratteristiche strutturali: le arie, i duetti,
gli insiemi nei finali di atto, i cori, gli ariosi, i
recitativi. È vero che il declamato, la presenza di motivi conduttori e illustratori di situazioni e di personaggi (quasi del leit-motiv),
fanno pensare al Wagner più maturo; ma
in questo caso la struttura a forme chiuse,
anche se non espressamente evidente, finisce per condizionare l’evoluzione drammaturgica, che risulta assai debole. Nonostante la tecnica del leit-motiv sia rudimentale,
ingessata ed episodica, la musica si caratterizza per una plasticità allora inaudita: basti
citare i celeberrimi A te, mio Gesù Cristo,
m’incammino, il coro dei vecchi pellegrini
(atto I) che ringraziano Dio per il ritorno a
casa dopo il pellegrinaggio nella città santa, Roma, e Con gioia salutiamo la nobile
sala (atto II), il coro di dame, cavalieri e nobili invitati ad assistere alla solenne gara dei
cantori: una sublime marcia che prelude alla
tenzone, con il suo tempo Allegro e il suo
grandioso coro.
Lohengrin. Opera romantica tedesca in
tre atti, composta tra il 1845 e 1848, che ha
come fonte il poema epico medievale tedesco Parzival di Wolfram von Eschenbach.
(Prima rappresentazione: Weimar, Großherzögliches Hoftheater, 28 agosto 1850).
È la storia di Lohengrin, il cavaliere del cigno,
l’angelo custode del Santo Graal, figlio di quel
Parsifal, a sua volta protagonista dell'ultimo
dramma di Wagner, scritto trent'anni dopo.
Parsifal è il principe del cristianesimo che viene in soccorso della mite Elsa di Brabante per
salvarla dall’infamante accusa di fratricidio.
Lohengrin sembrerebbe l'opera più italiana
di Wagner. La sua italianità è in buona parte dovuta al fatto che è stata la prima opera
di Wagner rappresentata in Italia, a Bologna
nel 1871 inaugurando una tradizione, avvalorata dalla traduzione in italiano e quindi
dalla tendenza ad accrescere certi aspetti più
melodici, propri del nostro melodramma.
È vero anche che questa gravitazione verso
una sensibilità nostrana è dovuta anche al
fatto che Lohengrin, "opera romantica" come
la definisce Wagner, non appartiene ancora a
quella grande rivoluzione che è il "Dramma
Musicale" e che trova attuazione con la Tetralogia e il Tristano. In effetti nella struttura
di quest'opera è ancora possibile individuare
forme chiuse, anche se avvolte già da un flusso sinfonico che si libererà completamente
nel "Dramma musicale" coinvolgendo in un
unico abbraccio parola e musica. In altre parole Lohengrin presenta alcuni aspetti di cantabilità che hanno fatto breccia sulla nostra
sensibilità melodrammatica. Ma ovviamente lo spirito che la domina è assolutamente
distante da noi. Volendo trovare qualche
riferimento all'opera italiana occorrerebbe
andare agli inizi dell'attività compositiva di
Wagner, con quel giovanile Divieto d'amare
dove ben riconoscibili sono certe riminiscenze donizettiane. Ma si tratta di inizi che
ben presto prenderanno altre strade. Il brano “Fedelmente guidati” (inizio III atto) è
un coro sulle note della celebre marcia, che
inneggia festosamente alle nozze tra i due
protagonisti (Elsa e Lohengrin), che però
non potranno rimanere insieme.
Il Comitato pro restauro organo
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Un sentito ringraziamento agli sponsor e a tutti coloro che, con generosità,
hanno contribuito alla realizzazione dello spettacolo