ARISTOTELE e la città (polis): Che cos’è e che cosa rappresenta esattamente una «città» per l’individuo? Anche se su questo tema è possibile fare riferimento a molteplici spiegazioni, può essere interessante in questa sede richiamare l’interessantissima teoria della polis di Aristotele. In effetti la denominazione originaria di «città» è rappresentata dal termine polis, il cui morfema-radice appare essere comune anche ai termini «politica» (arte di governo), «polemos» (guerra), «polemico» (provocatorio, aggressivo), «polemica» (controversia). L’elemento comune a tutti questi concetti è dunque rappresentato dall’antagonismo, dalle opposizioni, e dalla violenza che ne rappresenta la naturale conseguenza; il che, traslato alla situazione cittadina, si traduce in arte della gestione delle opposizioni, degli equilibri e del potere. Perché in effetti dove c’è uomo c’è sempre anche forza, potere e antagonismo. Esaminare quindi la città come agglomerato di individui (persone) significa innanzitutto fare i conti con la gestione del potenziale di violenza ed energia che gli individui sempre portano con sé in ogni campo. E gestire questo potenziale di energia e di violenza equivale a porsi il problema dell’organizzazione e della giustizia di una città, che di fatto è un problema politico, finalizzato a realizzare le migliori condizioni possibili per la giusta convivenza degli individui e per la massima realizzazione degli stessi. Il fatto che nell’antichità greca le polis-città coincidessero con dei piccoli stati autonomi non rappresenta qui un problema, anzi: rende ancor più chiara ed efficace la riflessione sull’importanza e sull’autonomia dello spazio-città per i bisogni dei singoli individui. In effetti, l’edificazione della città è stata pensata e realizzata in corrispondenza della comparsa di nuovi e specifici bisogni dell’uomo, chiamati a manifestarsi propriamente in una particolare forma di organizzazione socio-statale. Il fatto che Aristotele si interroghi sulla migliore costituzione possibile e applicabile ad una data situazione concreta rende più agevole la comprensione della sua posizione filosofico-politica, che in questo senso si distingue rispetto a quella di Platone. Infatti, mentre per Platone il grado di conoscenza della verità si deve concretizzare in una precisa collocazione degli individui nella struttura verticale dello stato etico, per Aristotele esiste uno stacco fra teoria e prassi. Diventa dunque impossibile per Aristotele dedurre o fondare la politica a partire da princìpi fisici od ontologici, perché se la politica - e con essa la storia - venisse fatta rientrare nel determinismo immanente della physis non vi sarebbe spazio per le decisioni umane e per l’incertezza, e di conseguenza non vi sarebbe spazio nemmeno per la storia e per la politica. Ma Aristotele vuole invece assicurare lo spazio per le decisioni umane e per l’incertezza, e per farlo deve fondare la disciplina politica come disciplina pratica (e non teoretica) e autonoma rispetto alla metafisica. E questo equivale ad affermare l’esistenza di uno spazio di agibilità umano non-nullo, che a sua volta implica il mantenimento nella credenza in un margine di libertà effettivo e concreto per l’uomo e per la comunità. In contrapposizione a Platone, che collega strettamente la cosmologia e la dottrina della natura del “Timeo” con il problema della migliore politeia, la politica aristotelica non sta in alcun rapporto con la Fisica e con la Metafisica. La storia sarebbe impossibile come scienza se venisse ricondotta alle necessità delle realtà di tipo fisico e metafisico. Ma questo è impossibile per definizione, vista la separazione effettuata da Aristotele tra scienze teoretiche e scienze pratiche. Oggetto della politica diventa dunque la polis: la riflessione politica deve tendere alla realizzazione della migliore polis possibile per i cittadini. La teoria di Aristotele in proposito appare qualitativamente più ricca ed articolata rispetto a quella di Platone. In effetti il tutto (polis) non è meccanicamente identico alla somma delle parti (singolo o comunità). La totalità introduce qualcosa di nuovo e di diverso che non si trova nella parte, ossia la considerazione della «forma». La forma non si produce in sequenza temporale “dopo” la 1 parte, ma al contrario la stessa determinazione della parte come parte di un tutto presuppone necessariamente e preliminarmente la considerazione della totalità. Quindi: la considerazione della parte rinvia ad un tutto. E il tutto non è direttamente riconducibile alle singole parti. La polis è un aggregato di comunità, o, detto in altri termini, le diverse comunità costituiscono le parti di cui si compone la polis. La comunità statuale si pone come espansione e prolungamento - quantitativo e qualitativo - di altre e più primitive comunità. Physis, chiarisce Aristotele, significa anche “princìpio originario e immanente dal quale si svolge il processo di crescita della cosa che cresce”. Ma nello stesso tempo esso è detto tale in quanto ha «in sé» una unità organica che permane identica nello sviluppo. Scomporre la polis dal complesso al semplice significa quindi anche andare a ritroso nel processo storico dal presente verso il passato della polis. Ma questo divenire è necessario? Si, le relazioni di base sono necessarie e sufficienti ad innescare il processo che, teleologicamente, deve sfociare nello Stato. Se la parte è vivente solo in quanto è parte di un organismo, questo comporta che il «tutto» sia la condizione d’esistenza delle parti, e non il contrario. Le parti sono tali solo in quanto considerate parti di un tutto che nelle parti stesse si esprime e circola. Quindi il tutto è per natura «anteriore» alle parti, sia in senso ontologico, sia in senso logico e gnoseologico. Invece sul piano storico-genetico esso si manifesta «dopo» che sono comparse le parti (lo stato compare storicamente dopo che si è costituita la famiglia e la comunità). Queste riflessioni rendono legittimo affermare che la parte non può vivere in modo completo e soddisfacente senza il tutto. La parte ha bisogno del tutto per essere completa. Ma questa determinazione equivale ad affermare che le parti (singole persone, famiglia e comunità), non possono essere in se stesse complete in mancanza di una dimensione che le sovra-ordina e le trascende, ossia in mancanza della dimensione pubblico-statale di una polis, ovvero di una città, alla quale effettivamente le parti tendono spontaneamente. Ma dire questo equivale a dire che è sempre a partire dal tutto che si conosce la parte e non viceversa. E quindi la conoscenza della “forma” e della “legge” precede la determinazione del significato dell’evento. Ciò implica che la forma della polis è in relazione ad uomini liberi, e che in essa vige un riconoscimento reciproco, tra cittadini. Dunque la relazione di potere ha forma simmetrica: è tra uguali e conserva, sia nel comando come nella ubbidienza, la forma della libertà. In altre parole, in una polis correttamente edificata le persone si sentono libere ed obbediscono spontaneamente alle leggi e all’autorità, perché la sentono come giusta. Nel medesimo tempo gli individui nella polis si realizzano alla massima possibilità e soddisfano i loro bisogni alla massima dimensione possibile. La polis-stato si realizza come sviluppo della razionalità immanente della physis. Una volta che la relazione tra parti e tutto - ossia tra individui e stato - si costituisce, essa non solo risponde ai bisogni per cui era stata costituita - o si era costituita - ma insieme l’appagamento di quei bisogni porta all’emergenza di nuove forme di insufficienza che si concretizzano in nuovi bisogni ad un livello più elevato. Ecco perché Aristotele afferma che la polis è formata per rendere la vita felice. Perché realizza concretamente la soddisfazione dei bisogni anche ad un livello elevato. Agli occhi di Aristotele, uno degli errori di Platone consiste nell’incapacità di scorgere l’intensificazione qualitativa che l’ampliamento quantitativo delle comunità comporta. La città fa emergere nuovi e più elevati bisogni, che in realtà si trovano a livello latente in ogni singolo individuo, e deve successivamente realizzare le condizioni per poter soddisfare questi medesimi bisogni, realizzando in tal modo la libertà di ogni individuo. Uomo libero è colui che è fine a se stesso e non è asservito ad altri. L’assenza di dipendenza da altri e, positivamente, la capacità di proporsi fini autonomi e quindi di porre se stesso come fine è la caratteristica essenziale dell’uomo libero. E questa libertà può essere realizzata soltanto nella polis, ossia nella città. Dunque lo stato è il fine, in quanto solo in esso e mediante esso si realizza l’autosufficienza del singolo, cioè la capacità per il singolo e per la comunità di essere fine a se stesso, ossia libero. 2 Se l’impulso alla vita politica (ossia all’organizzazione sociale in forme via via sempre più complesse) è presente in ogni uomo per natura (è questo il vero significato dell’espressione “l’uomo è un animale politico”), esso richiede d’altra parte un fondatore per creare e realizzare concretamente la polis. Donde la necessità dell’azione politica. E l’uomo che per primo spinse gli altri verso la vita comunitaria e politica fu “l’autore del più grande bene”, sostiene Aristotele. Si tratta quindi di incanalare l’istinto naturale in una vita controllata dalla ragione e dal riferimento al bene; e questo non è possibile senza una vita che sia pienamente libera. Lo stato sorge per affermare l’autosufficienza e la libertà degli uomini. In questo senso si può parlare di «stato» solamente di e per «uomini liberi». A questo fine dovrebbe essere indirizzata l’attività politica, estremamente nobile nella sua più autentica essenza. L’espressione “L’uomo è per natura un animale politico” esprime, in rapporto all’uomo singolo, l’immanenza della polis nel processo come tutto e in ciascuna delle sue parti. L’uomo è l’essere per essenza aperto alla polis: egli non può esistere in senso pieno se non realizzandosi nella polis. L’uomo che è senza polis, o apolis (apolide), “è colui che vive al di fuori della comunità statale per natura e non per caso, ed è o un abietto o un essere superiore all’uomo”. Quando si riflette sulla politica non ci si può dunque basare soltanto sull’esperienza o soltanto su considerazioni teoriche e aprioristiche, ma si deve essere in grado di fondare e fondere insieme sia l’impostazione scientifica che l’esperienza concreta, sia la teoria che la prassi. Perché questo richiede la scienza pratica della politica: che si rifletta su tutte le condizioni e gli aspetti che devono essere realizzate in una città affinché tutti i suoi cittadini abbiano la possibilità di vivere pienamente in modo libero, giusto e completo. A partire da queste riflessioni, se davvero si vuole, non si dovrebbe impiegare molto a comprendere che cosa manca veramente in una città per portare a pieno compimento la realizzazione immanente della natura umana, o che cosa deve essere modificato in quanto ritenuto non coerente o non compatibile con la pienezza totale dell’essere polis-città. Una volta compreso questo, dato che ci si sta muovendo all’interno del margine di possibilitàlibertà della scienza pratica, non resta che attivarsi per realizzare concretamente nella città le mancanze che sono state riscontrate, quali che esse siano. E senza mai dimenticare che le parti senza il tutto sono necessariamente incomplete, deprivate e depotenziate di quell’imprescindibile elemento qualitativo e unificatore senza il quale non vi si potrà mai avere quel senso più pieno e autentico dell’esistenza delle persone. La corretta edificazione di una città è quindi indispensabile per avere la libertà per ogni cittadino, la quale a sua volta è necessaria per il soddisfacimento di tutti i bisogni, anche di quelli emersi successivamente alle fasi iniziali che, lungi dal costituire forme edonistiche e superficiali di bisogni, rappresentano invece i più elevati ed essenziali livelli di completamento di ogni personalità umana e di ogni cittadino. Perché solo in questo modo è possibile l’ottenimento della massima realizzazione per ogni individuo e della sua più piena felicità, fine principale a cui ogni esistenza è intrinsecamente orientata. Marghera (Venezia), 4 marzo 2015 Dario Roman 3