SEZIONE NOTIZIE: Donati, P. P. (a cura di) (2001) . Sesto rapporto CISF sulla famiglia in Italia. Famiglie e società del benessere. Cinisello Balsamo (Milano): San Paolo. Indice: Presentazione. Famiglia e benessere: Nuovi orizzonti culturali oltre l’assistenzialismo (P. Donati). I. Famiglia e società del benessere: Paradossi e controparadossi, mito e anti-mito (P. Donati). II. La stratificazione sociale delle famiglie di fronte alle politiche sociali (P. Di Nicola). III. Benessere psichico, qualità dei legami e transizioni familiari (E. Scabini e C. Regalia). IV. Dimensioni familiari e comunitarie del disagio psichico: Quale cultura dei servizi per quale benessere (C. Pontalti e F. Fasolo). V. Benessere familiare e associazionismo delle famiglie (G: Rossi e A. M. Maccarini). VI. Educazione dei figli e scuola: La scelta familiare tra identità culturale ed equità sociale (L. Ribolzi). VII. Famiglia, redditi e sistema fiscale (L. Campiglio). VIII. Famiglia e sistema di protezione sociale (C. Collicelli). Conclusioni. Quale “Ben-essere” per la famiglia italiana? (P. Donati). Appendice. Allegato statistico (a cura del Centro Documentazione del CISF). Il sesto rapporto CISF sulla famiglia in Italia è ancora una volta il risultato dell’impegno di un gruppo di ricerca interdisciplinare che ha studiato il benessere della famiglia e le connesse problematiche in rapporto alla realtà del nostro contesto socio-culturale che è quello di una società proiettata sui problemi del welfare. Pier Paolo Donati, curatore dell’opera, nel primo rapporto sottolineava che si deve arrivare in tempi più accelerati a considerare la famiglia un “soggetto sociale e culturale” in senso pieno e non come destinataria di misure che la passivizzano e la frammentano. Nel secondo rapporto era stata analizzata la mancanza di equità nei rapporti tra le generazioni conviventi nella stessa famiglia; nel terzo la famiglia stessa era stata indagata in quanto soggetto di uno specifico di diritti e doveri della cittadinanza. Il quarto aveva affrontato le problematiche legate al malessere creato dai nuovi “intrecci familiari” tra le generazioni, fonte di malessere ma anche di nuove solidarietà. Il quinto aveva studiato la differenziazione di gender nella famiglia. Questo ultimo rapporto, il sesto, focalizza il suo interesse sul benessere della famiglia inteso nelle sue dimensioni materiali, simboliche e spirituali: il benessere viene indagato come attinente al soggetto – sociale – famiglia distinguendolo da quello individuale e personale. Si Volume 6, Numero 3, 2001, pag. 221 analizza perciò la differenza tra l’aspetto materiale e non materiale, cioè tra welfare (nelle politiche sociali pacchetto standard di beni necessari per una vita decente) e well-being (che in italiano può essere tradotto separando i due termini ben-essere) riferendo quest’ultimo alle componenti psicosocioculturali identificabili in una buona vita. L’accezione del benessere familiare utilizzato da questo rapporto è dinamica, multidimensionale e relazionale: essa connette quattro principali dimensioni e cioè quelle culturali, sociali, psicologiche ed economiche riferite alla famiglia correlandole tra loro. Il malessere della famiglia dipende dalla percezione di incompetenza della medesima nei confronti delle nuove sfide e questo vissuto può anche dipendere dagli stessi servizi di welfare. La finalità di questo rapporto è quella di analizzare il benessere familiare con approcci diversi da quelli del passato e soprattutto utili per affrontare il futuro. Donati sottolinea che oggi siamo in bilico tra un benessere definito da meccanismi di inclusione/esclusione nei processi di globalizzazione e un benessere definito da dinamiche più personalizzanti. Il chiarimento degli scenari e delle nuove scelte si snoda partendo da “Famiglia e Società del benessere”: paradossi e controparadossi, mito e antimito di P. Donati. Lo studioso indaga la sfida del benessere familiare nella società dopo-moderna, i falsi dilemmi che provengono da una concezione mitica del benessere familiare vengono smontati attraverso al storia del benessere familiare che si racconta nella nostra società e attraverso gli schemi delle politiche pubbliche che si interessano di bisogni familiari e offrono risposte sociali. L’autore si interroga su qual è il benessere familiare ripensando al senso di una possibile “società amica della famiglia” e ai paradossi e controparadossi che vedono la famiglia portatrice di un benessere alternativo. Nel secondo capitolo Paola Di Nicola studia le strategie sociali delle famiglie di fronte alle politiche sociali attraverso una analisi della stratificazione sociale e questa analisi è per la autrice il presupposto necessario per definire le problematiche e le priorità delle politiche di intervento. In particolare indaga sulle nuove famiglie, sulla pluralità delle forme di convivenza sul fattore generazionale e individua nelle famiglie con figli o in quelle che desiderano averne, un ambito di intervento privilegiato delle politiche di welfare. Il terzo capitolo è riferito al “benessere psichico” in relazione alla qualità dei legami e delle transizioni familiari. La tesi di Eugenia Scabini e Camillo Regalia è che il benessere della famiglia non deve essere visto solo come soddisfazione soggettiva, ma in relazione alla realtà che sta alla base della soddisfazione emozionale. E’ la qualità del legame fonte del benessere. Corrado Pontati e Franco Fasolo rivolgono la loro attenzione al tema delle dimensioni familiari e comunitarie del disagio psichico. Nel quarto capitolo espongono una critica della cultura del benessere e del modo di operare dei servizi. Non è sufficiente l’attenzione all’individuo, la malattia e il disagio sono per gli autori il prodotto di una matrice familiare, nell’ambito della quale vanno risolti i problemi. Per una reale cultura del benessere occorrono interfacce familiari tra l’individuo patologico e i servizi, mentre oggi le mediazioni di culture relazionali sono sempre più scarse e purtroppo è la famiglia sempre più implicata nella gestione del problema. Il tema del benessere familiare e le associazioni delle famiglie è trattato da G. Rossi e A. M. Meccarini, secondo i quali spesso le associazioni familiari enfatizzano la propria solidarietà interna e non vedono la relazione tra benessere “interno” alla famiglia e benessere “esterno”. Solo se le associazioni familiari sono consapevoli della propria funzione di mediazione e la esercitano, incidono positivamente sul benessere della famiglia. L’associazione in questo caso assolve ad una funzione che va dal benessere della famiglia al benessere esterno e quindi sociale. Il raggruppamento del benessere familiare passa anche attraverso l’uso di un servizio esterno come può essere la scuola. A questa importante problematica che affronta anche il nodo cruciale dell’educazione dei figli, Luisa Ribaldi nel sesto capitolo del Rapporto sostiene la inderogabile necessità di fare valutazioni precise, di passare da discorsi astratti sulla riforma scolastica a valutazioni precise e conseguenti interventi. Luigi Campiglio nel settimo capitolo tratta del benessere economico della famiglia in Volume 6, Numero 3, 2001, pag. 222 funzione dei redditi, dei consumi e dei risparmi partendo dalla premessa che una politica di sostegno della famiglia deve partire dalla riforma del sistema sociale. Nell’ottavo capitolo la famiglia è vista da Carla Collicelli come un sistema di protezione sociale in cui il welfare viene rivalutato dal punto di vista delle politiche familiari. I contributi di tutti gli studiosi invitano a ridefinire il benessere che viene visto all’interno di un processo di umanizzazione delle reti familiari secondo politiche sociali che dovrebbero adottare una definizione di benessere specificatamente familiare in cui la famiglia sia veramente “attore” operante all’interno della società. Questa opera offre un ulteriore contributo al dibattito culturale dal quale nasce la nuova legislazione familiare a livello nazionale e locale. Proprio nella politica locale l’interesse della famiglia è in fase di crescita e sfocia in nuovi progetti ed iniziative concrete anche se in campo operativo non è stata ancora abbandonata una forma politica di assistenzialismo. P. Donati lamenta il ritardo tra le indicazioni proposte dai Rapporti precedenti e le risposte delle istituzioni politiche, sottolinea che rispetto agli anni passati è aumentato il divario tra quanto avviene a livello europeo e nazionale e quanto avviene a livello locale. Tra i problemi di carattere politico, la famiglia è sempre il soggetto che fa le spese di conflitti che nascono altrove”. Il benessere non può essere ridotto ad una questione di risorse economiche, ma è un problema di senso della vita, che sempre secondo l’autore riguarda la parte più intima dell’essere e del fare famiglia. E’ necessario perciò pensare ad una realtà familiare basata sulla regola del dono e della solidarietà con l’Altro. I sei Rapporti stimolano attraverso approcci diversi ad una politica del reciproco fare. Livia Gaddi Folghereiter, F. (1998). Teoria e metodologia del servizio sociale. La prospettiva di rete. Prefazione di Pierpaolo Donati. Milano: Franco Angeli. Indice: 3. Le professioni del sociale. Prefazione (P. Donati) Parte I—La logica sociale nei processi di aiuto. 1. Che cos’è il lavoro sociale? 1. Premessa. 2. L’ipotetica scienza del lavoro sociale e i suoi rapporti con le altre scienze umane. 3. L’area professionale del lavoro sociale e i suoi rapporti con le altre professioni di aiuto. 4. E alla fine: chi sono gli operatori sociali professionali? 5. Sommario. 2. Benessere e capacità d’azione. 1. Premessa. 2. Benessere e capacità d’azione: due facce della stessa medaglia. 3. L’ecologia del benessere: il modello bio-psico-sociale dell’azione. 4. Le professioni sociali: in che rapporto stanno con il benessere? 5. Sommario e conclusioni. Volume 6, Numero 3, 2001, pag. 223 1. Premessa. 2. I livelli delle capacità di azione. 3. I livelli dell’intervento sociale. 4. Lo specifico del servizio sociale: responsabilità cognitive. 5. Lo specifico dell’educazione sociale: responsabilità cognitive sulla riparazione. 6. Sommario. 4. Le professioni sociali sono autentiche professioni? 1. Premessa. 2. Mestieri e professioni: alcuni attributi tipici. 3. Le professioni del sociale: che cosa si può dire sul loro livello di professionalizzazione?. 4. In sintesi. Parte II—La prospettiva di rete 5. Relazioni sociali e reti sociali: i concetti di base. 1. Premessa. 2. La relazione nel mondo della natura: qualche esempio. 3. La relazione interpersonale: chiarificazione e terminologica. 4. Come si sviluppa il legame interpersonale: la teoria del resource exchange. 5. Forma e struttura della relazione duale. 6. La realtà plurale delle relazioni: i concetti di sistema e di rete. 7. L’analisi strutturale dei legami interpersonali: il metodo della network analysis. 8. Dall’analisi strutturale a una prospettiva dinamica: le relazioni sociali come azioni congiunte. 9. La rielevanza del concetto di azione congiunta per il lavoro sociale. 10. Sommario. 6. La natura relazionale dei problemi sociali. 1. Premessa. 2. La costruzione del senso che c’è un problema: i presupposti relazionali. 3. L’essenza del problema sociale: l’insufficienza d’azione. 4. Un livello più elevato d’osservazione: il coping relazionale. Il coping relazionale in un esempio: il caso della famiglia di Maria. 6. Sintesi e conclusioni. 7. La natura relazionale delle soluzioni. 1. Premessa. 2. Osservazione e intervento: due fasi interconnesse. 3. L’atteggiamento relazionale e la relazione di aiuto: oltre il dilemma direttività/non direttività. 4. La relazione di aiuto è un reciproco miglioramento delle capacità di azione. 5. Il principio dell’indeterminazione nel lavoro sociale. 6. La questione dell’empowerment. 7. L’empowerment nel lavoro di rete: principali ostacoli cognitivi e relativi antidoti. 8. Sommario. 8. La guida relazionale di rete. 1. Premessa. 2. Il lavoro di rete è una relazione al lavoro con altre relazioni. 3. Che cos’è la guida relazionale? 4. Una prima funzione della guida: assetto/riassetto delle relazioni naturali insufficienti. 5. Una seconda funzione della guida: la risoluzione del problema (problem solving). 6. Formalizzazioni delle funzioni di guida: il case management. 7. Sommario. Parte III—Studi di caso: 9. Marco e i suoi atteggiamenti da deviante in classe. 1. Creazione di una base intersoggettiva e di una nuova rete di fronteggiamento. 2. Allargamento della rete di fronteggiamento. 3. Inizio del brainstorming e ricerca di possibili soluzioni. 10. Elena, affetta da malattia di Alzheimer, sola in un Paese che non è il suo. 1. Individuazione della rete di fronteggiamento e assessment. 2. Costruzione della base intersoggettiva: definizione del problema come compito di rete. 3. Il care planning: brainstorming e definizione congiunta dei vari compiti individuali. 11. Padre Damiano e tutti quegli alcolisti senza cure. 1. Il punto di partenza: una relazione duale… in azione. 2. Costituzione della rete di fronteggiamento e nascita del primo Club degli alcolisti in trattamento (CAT). 3. Formalizzazione di una rete sovraordinata: nasce l’Associazione dei CAT. 4. Dieci anni dopo: uno sguardo in retrospettiva. Il volume che approfondisce i principi logici di una nuova metodologia del lavoro socia- Volume 6, Numero 3, 2001, pag. 224 le attraverso la prospettiva di rete, si rivolge a tutti coloro che nel sociale operano come studiosi o come operatori in una ottica di “caring”. Rappresenta un punto di incontro tra la lettura sociologica e quella politica sociale che è finalizzata a costruire una società del ben-essere a dimensione umana. Nell’introduzione al libro, Donati, condividendo il pensiero dell’autore, sottolinea la necessità o meglio l’urgenza di introdurre nel servizio sociale un approccio di rete. Il “social work” deve seguire i cambiamenti storici (società industriale, società post moderna, società dopo moderna) e adattarsi ai diversificati bisogni che pur manifestandosi attraverso le situazioni classiche di disagio, precarietà ed emarginazione sociale oggi si parcellizzano e si differenziano sempre di più. Il “welfare state” necessita perciò di costanti riqualificazioni delle professioni sociali che devono essere in grado di gestire le mutevoli aspettative anche attraverso l’autonomia professionale in termini di organizzazione e di risposte. Donati evidenzia che i problemi sociali sono generati da relazioni sociali e sottolinea che gli stessi sono risolvibili solo se le relazioni sociali che strutturano una situazione o un contesto si modificano. Le soluzioni devono essere perciò su base relazionale. I problemi e i processi di aiuto vengono indagati sempre di più dalla sociologia secondo un’ottica relazionale in una società che nel presente periodo storico produce progresso, ma anche aumentato senso di insicurezza e che, oltre ad evidenziare situazioni nuove, fa emergere fasce sociali non tradizionalmente considerate deboli. E’ caratteristica della società tardo moderna la domanda di “aiuto personale”; crescono le istituzioni di cura ma anche le patologie e su questo dobbiamo interrogarci con grande senso di responsabilità, come dobbiamo riflettere sulla necessità di “combinare” l’oggettivo e il soggettivo nel processo di aiuto. Donati nella introduzione del volume evidenzia che le professioni di aiuto dovranno opportunamente staccarsi dal welfare state attraverso un percorso non facile di autonomia operativa e soprattutto nell’ottica di un lavoro di rete. (Tante esperienze pilota in Italia confermano che questa è la strada da percorrere). L’approccio metodologico, cioè il lavoro di rete, è basato su una prospettiva relazionale intesa come capacità di centrare l’interazione soggettività-sistema. Il libro parte da una analisi dell’aspetto conoscitivo e applicativo del lavoro sociale professionale. Folgheraiter analizza quindi il significato di benessere (welfare/wellbeing) per il raggiungimento del quale si impegnano le professioni di aiuto (welfare professions), presenta un modello esplicativo basato sul presupposto che il favorevole stato soggettivo detto benessere non è altro che il risultato delle capacità personali e di una sempre rinnovata capacità di armonizzare i propri sistemi interni (organico, emotivo, affettivo, cognitivo, comportamentale), con i sistemi esterni legati all’ambiente fisico e sociale. L’operatore sociale, diversamente dagli specialisti clinici tradizionali, (medici, psicoterapeuti, ecc.) che affrontano uno specifico settore intrapersonale dentro al quale individuano eventuali patologie, devono approcciarsi alle problematiche di disagio attraverso dinamiche interattive. Nel terzo capitolo tra le professioni sociali e le professioni di aiuto l’attenzione dell’Autore si focalizza sul lavoro sociale professionale ridefinendo i contenuti di quest’ultimo e il suo potenziale logico. Il servizio sociale e l’educazione sociale hanno come denominatore comune l’attenzione alla capacità di azione finalizzata al benessere inteso come autosufficienza, autorealizzazione ed eterorealizzazione, ma i diversificati obiettivi da raggiungere e le diverse modalità operative, inducono l’autore a interrogarsi sulla loro specificità. Il servizio sociale che vede gli assistenti sociali come operatori privilegiati si fa carico della responsabilità relativa alla guida dei processi di aiuto nel livello assistenziale mirati a sopperire a breve-medio termine alle difficoltà sociali dovute a carenze di azione, ma secondo l’autore, non in modo non sufficientemente esplicito per quanto concerne il recupero delle carenze individuali. Per Folgheraiter, gli assistenti sociali gestiscono di fatto le conseguenze dinamiche dell’insuf-ficienza personale, gli educatori professionali si assumono la responsabilità di guidare i processi di aiuto a livello riparativo attraverso il recupero delle capacità di azioni personali compromesse che generano difficoltà. La distinzione tra questi due approcci non è rigida ed è in fase di superamento soprattutto alla luce del nuovo concetto di rete che porta a superare specificità e sovrapposi- Volume 6, Numero 3, 2001, pag. 225 zioni nel lavoro di caring. Anche in relazione al bacino di utenza che è sempre più caratterizzato da una pluralità di soggetti tesi al miglioramento e al cambiamento, è oggi più difficile distinguere interventi di riparazione e interventi di prevenzione, proprio per la difficoltà di capire se l’intervento o il cambiamento anticipa o consegue all’insorgere della difficoltà stessa. L’Autore attraverso una breve, ma significativa analisi sociologica si pone un interrogativo: le professioni sociali sono autentiche professioni ? Allo stato attuale sostiene, non sono ancora autentiche professioni, ma potenzialmente sì. Non concorda infatti pienamente con le definizioni di Carl Saunder e Etzioni che le definiscono semi professioni, concetto storicamente superato dall’attuale ridefinizione dell’approccio professionale degli operatori sociali che è passato da svolgimento di funzioni tecnico-amministrative ancorate ad istituzioni di assistenza, ad un ampliamento di mandato dovuto all’articolarsi e al disgregarsi del welfare state attuale. La professionalità deriva oggi dalla capacità di condividere problemi e progetti con coloro (utenti) che richiedono prestazioni professionali e alla capacità di rinunciare a definire come propri i problemi che rappresentano e definiscono i campi di azione. Le professioni sociali che sono per natura forzate ad una sinergia tra le due componenti della prestazione, costituiscono così un sistema iperesperto nel quale alle competenze professionali si aggiungono le competenze esperienziali. In ambito pratico operativo, la realizzazione di ciò è ancora da sviluppare, in ambito culturale potremmo definire queste professioni iperprofessioni. La seconda parte del libro sottolinea e approfondisce quella che è l’idea caratteristica e prioritaria dell’Autore: nel lavoro sociale quelli che vengono definiti “problemi” e ”soluzioni”, sono di fatto eventi relazionali e come tali devono essere considerati e gestiti. Il lavoro sociale studia e affronta fatti che gli sono specifici, come relazioni: da un lato l’utente come portatore di un problema, e dall’altro l’operatore professionale al quale si attribuisce il compito di trovare una soluzione al problema posto. La relazione può essere definita perciò “l’esserci di una persona per l’altra” attraverso un legame di relazioni. Un problema sociale sorge quando è insufficiente o manca la capacità di una azione comune, non esiste cioè un insieme di persone collegate o rete che abbiano il senso di un comune disagio e il senso di una azione comune (coping). L’ottica di un lavoro di rete non è infatti riferita al processo che ha prodotto le difficoltà, quanto al processo interattivo che le prenderà in gestione attraverso l’unione di un numero indefinito di soggetti che hanno il senso di un comune disagio e di una azione comune. Folgheraiter considera inoltre che la realizzazione di aiuto deve essere innanzitutto autentica, gestita attraverso un processo di interazione di azioni significative da entrambi le parti interessate all’aiuto. Quando il processo di aiuto è relazionale, non ha vincoli temporali e si articola in funzione degli input relazionali e delle necessità contingenti. E’ perciò aperto a possibilità, modalità risolutive diversificate e finalizzate alla realtà dei problemi sociali. Come può un esperto essere un operatore non direttivo pur esercitando un ruolo costruttivo, cioè essere una guida relazionale ? La relazione guida è quella connessione che collega una rete naturale di aiuto a un esperto che la sappia gestire come tale. E’ proprio attraverso questa connessione e l’esercizio delle funzioni di guida da parte dell’esperto che la rete naturale modifica la sua struttura, si adatta al compito da svolgere e si orienta nel percorso di soluzione del problema stesso. L’azione dei suoi interlocutori aiuta l’esperto a fare il suo lavoro istituzionale che è quello di risolvere o migliorare i problemi dei suoi utenti o della comunità dove opera. Per raggiungere lo scopo, l’operatore deve avere consapevolezza che il suo lavoro si deve realizzare attraverso feedback e non attraverso prescrizioni; all’esperto resta comunque la responsabilità formale dell’efficacia/efficienza di tutta la rete attraverso l’assunzione del ruolo di responsabile del caso (case manager), ciò in alcune situazioni giustifica l’intervento prescrittivo o di urgenza. L’obiettivo primario resta infatti la garanzia di standard minimi di sicurezza. La terza parte del libro vuole essere esemplificativa del concreto lavoro di rete attraverso la analisi di tre processi reali di guida relazionale rispettivamente in ambito socio-affettivo, socio-assistenziale e comunitario. L’autore offre con questo libro ai professionisti, agli utenti, familiari e volontari attra- Volume 6, Numero 3, 2001, pag. 226 verso una approfondita e ragionata analisi sul metodo di rete un supporto teorico all’autonomia di azione e un forte stimolo alla creatività nell’esercizio di una professione sempre più mirata al far raggiungere il ben-essere. Agli studiosi e a coloro che sono interessati ad approfondire la metodologia del servizio sociale presenta una preziosa occasione di approfondimento, ai policy maker un’occasione di riflessione e di auto critica. Livia Gaddi Olievenstien, C. (2001). Droga. Un grande psichiatra racconta trent’anni con i tossicodipendenti. Milano: Raffaello Cortina. Indice: 1. Ieri e oggi. 2. La grande bottega. 3. Il miraggio della sostituzione. 4. Accogliere. 5. Venirne fuori? 6. Disassuefazione. 7. E la famiglia 8. Stop alla repressione. Conclusione: Non c’è droga senza droghe Una vita spesa per e con i tossicodipendenti è lo stimolo che induce C. Olivenstein, medico psichiatra parigino, a raccontarsi e a raccontare attraverso l’esperienza del centro di Marmottan da lui fondato e del quale è primario, il complesso problema della tossicomania che egli definisce mobile, plastica e resistente alle diverse situazioni e alla repressione. Il libro non è solo la testimonianza di una delle tante strutture che prendono in carico il tossicodipendente, seppure con metodologie di recupero diverse, più o meno innovative o coercitive, ma è anche, e soprattutto, un significativo contributo sull’aspetto teorico della tossicomania. L’Autore parte dal presupposto che non c’è e non c’è mai stata una società senza droghe perché la paura, l’angoscia, la noia, la solitudine, e tutte quelle fragilità che sono parti integranti della condizione umana, sono elementi costitutivi del fascino esercitato dalle droghe viste come una possibile risposta di piacere o come un’opportunità di lenire le sofferenze, delle quali non si considera il rischio indotto. Proprio per la complessità delle problematiche che sono causa-effetto-causa del consumo di sostanze, l’Autore rifiuta la repressione come strumento di riabilitazione. Ritenendo utopico il pensiero che la droga e il suo consumo possano essere eliminati, Olivenstein sostiene che dovendo convivere con questo problema si devono concentrare gli sforzi soprattutto nell’individuare e nell’adottare la migliore politica di intervento. Ripercorre attraverso il racconto della sua esperienza l’iter legislativo francese e propone basi giuridiche di riferimento che si sostituiscano all’attuale “caccia alle streghe“ condotta da polizia e magistratura. Riflette anche sulla catena-terapeutica che se non si riqualifica, rischia di creare “assistiti a vita”. Sottolinea che occorre attuare una politica di accoglienza che garantisca un maggiore rispetto dell’anonimato, rispetti maggiormente la volontà di curarsi di chi può essere preso in carico, e ribadisce la necessità della gratuità nel processo di cura per chi accede ai processi di Volume 6, Numero 3, 2001, pag. 227 recupero. Evidenzia con forza che la tossicomania non è solo un problema personale, ma è legata all’ambiente sociale, politico ed economico. Il tossicomane è, secondo Olivenstein, il risultato di problemi parentali, affettivi, di identificazione ed economici che vanno affrontati nella loro globalità, non solo nella fase di recupero, ma anche nella fase di reinserimento sociale. Ammette che oggi la droga viene usata anche in modo intermittente e ricreativo, ma ribadisce che questo fattore di occasionalità non deve essere assolutamente sottovalutato. Tempi e modalità d’uso non sono elementi che giustificano un abbassamento del livello di attenzione, anzi rappresentano un altro aspetto del problema con rischi forse diversi, ma non meno gravi. L’educazione civica resta comunque l’unico strumento di prevenzione e la strada principale da percorrere: ci si può solo interrogare sulle modalità, su come bisogna forse sperimentare la legalizzazione di alcune sostanze per cercare di evitare che al rischio di consumo di droga, si aggiungano condizioni di pratiche d’uso più complesse e rischiose. Ovviamente l’autore pensa ad una legalizzazione selettiva in termini di sostanze e nel rispetto di quelle fasce di età che devono essere tutelate oltre di quelle che ancora oggi sono sedotte da tutte le forme di controcultura; sottolinea che si dovrebbe parallelamente procedere contro chi continuerebbe a vendere sostanze in modo clandestino. Bisogna infine risolvere alcune pesanti contraddizioni tra le quali l’uso dell’ingiunzione terapeutica che parte dal presupposto che i consumatori di droga sono malati o delinquenti, ne incrementa perciò progressivamente il numero, legittimando la prescrizione di prodotti para-oppiacei, ma non considera che un tossico può liberamente acquistare siringhe sicure per bucarsi, in qualunque farmacia, da usare per il consumo di prodotti illegali tranquillamente a casa propria, perché in questo caso non è reato. Anche le normative che regolano la nozione di modica quantità sono discutibili perché possono incorrere in disparità di valutazione con il risultato di disparità di trattamento. L’esperienza personale e le statistiche rilevate in molti Stati europei confermano che la sola repressione anche se dura, non porta a ridimensionare il fenomeno anzi, in alcuni casi, scatena altre dinamiche (si pensi ad esempio all’incremento di suicidi avvenuto in Svezia dopo l’inasprimento della battaglia contro la droga). La parte conclusiva del libro è forse la più interessante, l’Autore sostiene che mentre i problemi attuali legati al consumo e alla distribuzione di droghe non sono stati ancora risolti si diffondono sostanze più pericolose, che seguono l’evoluzione del liberalismo, dell’individualismo e del rendimento ad ogni costo che caratterizzano la società attuale. Siamo già in una società che vive sotto una specie di “camicia chimica”, stiamo entrando nell’era della psicochimica di cui il Viagra è solo un esperimento. Dilaga l’uso legale e prescritto di anfetamine, antidepressivi e neurolettici e questa modalità degenera in alcuni casi in metodo educativo. (Pensiamo ad esempio ai due milioni di bambini americani di età compresa dai 2 ai 14 anni farmacologicamente trattati per controllare la loro iperattività o l’eccessiva turbolenza al solo scopo di perseguire un modello di tranquillità familiare). Olivenstein teme che il controllo dei presunti disturbi o l’obiettivo di raggiungere determinati risultati nel campo della libido, nella prestazione scolastica, sportiva o professionale, e il raggiungimento di criteri estetici, come del resto la tentazione di “patteggiare” con l’invecchiamento, possano incrementare l’uso di sostanze che “inchioderanno la nostra società a stampelle chimiche”. La denuncia è pesante e provocatoria, non possiamo leggerla riducendola ad allarmismo. Livia Gaddi Volume 6, Numero 3, 2001, pag. 228 Panzeri, M. (a cura di) (2001). L’interazione madre-bambino nel primo anno di vita. Indicazioni teoriche e pratiche per gli operatori sociosanitari. Roma: Carrocci. Indice: I. Diventare genitori: narrazioni di madri e padri alla prima esperienza genitoriale (M. Pinto, V. Calvo, A. Lis). II. La teoria dell’attaccamento (G. Fava Vizziello). III. Tecniche di osservazione dell’interazione madre bambino: principi teorici ed applicazioni cliniche (C. Mazzeschi). IV. Il contributo della psicologia dello sviluppo nello studio del periodo preverbale (M. Dondi). V. Il passaggio dalla diade coniugale alla triade genitoriale (M. Cusinato). VI. La comunicazione normale e patologica all’interno del sistema familiare (A. Mosconi). VII. Lo sviluppo della comunicazione nel primo anno di vita (A. Pinton). VIII. I disturbi cognitivi e relazionali nel primo anno di vita (G. Buffoli). IX. Accanto al bambino ammalato: l’osservazione in ospedale (C. Cattelan, L. Baldan, G. Grisolia, S. Maset, L. Minardi, M.A. Mira, L.Sancio, L. Piloni). X. Aspetti psicologici in famiglie con figli affetti da disordini genetici (N. Saviolo Negrin). XI. L’affidamento, l’adozione e l’istituzionalizzazione nel primo anno di vita (J. Galli). XII. Il rapporto madre-bambino ed il parto nelle donne extracomunitarie. Aspetti e linee d’intervento in ostetricia e ginecologia (D. Casadei). Il libro affronta la tematica dell’interazione madre – bambino considerando le diverse aree di sviluppo presenti all’interno di questa importantissima e fondamentale relazione che si consolida nell’arco del primo anno di vita del bambino e che diviene l’”imprinting” per il manifestarsi di futuri comportamenti del soggetto. La qualità della relazione madre – bambino è fondamentale per una armoniosa evoluzione psicoaffettiva, cognitiva e sociale del bambino stesso. Al giorno d’oggi le dinamiche relazionali all’interno dei piccoli sistemi sociali sono diventate molto precarie: la famiglia è sempre più in crisi, le separazioni negli ultimi anni sono aumentate ed i bambini vivono e crescono da soli, impreparati nell’affrontare le relazioni verso il mondo esterno e, di conseguenza, manifestano precocemente disfunzioni o problemi comunicativi e disagio sociale. Partendo da questa lettura della realtà attuale, la Regione Veneto ha promosso nel 1998 progetti pilota a “Sostegno della relazione madre – bambino nel primo anno di vita” con lo scopo di sensibilizzare gli operatori sanitari (psicologi, medici, ginecologi, assistenti sociali) di fronte a tale realtà offrendo strumenti utili per la prevenzione e promozione della salute dei neogenitori e dei loro bambini. Il presente volume nasce all’interno di questa ottica e si caratterizza come raccolta di contributi, indirizzati a operatori sanitari, utili a mostrare possibili interventi a supporto della relazione madre-bambino. In particolare le tematiche affrontate dagli autori riguardano sia la Volume 6, Numero 3, 2001, pag. 229 genitorialità sia l’evoluzione piùo meno funzionale della relazione madre – figlio. In questo senso, Marianna Pinto, Vincenzo Calvo e Adriana Lis affrontano la tematica del diventare genitori per la prima volta indagando i diversi stili genitoriali di padri e madri, evidenziando sia il ruolo fondamentale della figura materna nell’accudimento fisico ed emotivo del bambino, sia l’importanza del padre, come figura di sostegno, nel favorire lo sviluppo sociale ed emotivo del bambino. Anche Mario Cusinato sviluppa le tematica del passaggio dalla coppia coniugale alla coppia genitoriale, soffermandosi sulla necessità che i coniugi sappiano sostenersi reciprocamente nel definirsi come genitori e nel favorire il riconoscimento all’interno del sistema famiglia, sia della dimensione genitoriale che della dimensione coniugale. Se la transizione alla genitorialità non avviene, per uno o per entrambi i genitori, si avranno stili di accudimento caratterizzati da trascuratezza, iperprotezione con pesanti ripercussioni sul bambino, sull’altro partner e sull’intera famiglia. Secondo Grazia Fava Vizziello il problema maggiore d’intervento nel primo anno di vita del bambino è aiutare a creare le condizioni perché tra caregiver e bambino si venga ad instaurare una relazione di piacere. In questo senso l’autrice sostiene che il ruolo assunto dagli operatori sanitari come “contenitori” dello stress genitoriale e sostegno all’identità genitoriale è un buon mezzo di prevenzione per future forme psicopatologiche nei bambini prematuri e con deficit motori. Tuttavia, prima di impostare qualsiasi tipo di intervento è indispensabile poter osservare e dedurre una serie di comportamenti presenti nella relazione genitore – bambino. In questo senso, secondo Andrea Mosconi, l’operatore dovrà individuare le disfunzioni della comunicazione familiare cercando di comprendere e non giudicare come si sono svolte le cose approfondendo come l’uno vede l’altro, come vede se stesso, come ritiene che si siano costruiti dei legami “fragili” cercando di dare una lettura diversa dei propri ed altrui vissuti. A sua volta, Claudia Pazzeschi spiega in modo dettagliato il metodo osservativo partendo da differenti approcci teorici quali quello di Piaget, con l’osservazione ‘quasi-sperimentale’, di Winnicott, Mahler, Bick, con l’osservazione per inferenza, di Bowlby ed Ainsworth che, collocandosi a metà strada tra etologia e psicoanalisi, parlano di “pura” osservazione nel contesto naturale senza selezionare nulla ma lasciando che i comportamenti si manifestino spontaneamente. Dopo una descrizione dei diversi stili di attaccamento in relazione alla previsione dei futuri comportamenti, Pazzeschi riporta due esempi clinici di osservazione dell’interazione madre – bambino inerenti allo sviluppo del gioco simbolico come stimolo favorevole per uno sviluppo cognitivo ottimale nel bambino. Il bambino appena nato è già in grado di mettersi in relazione con l’ambiente, di stabilire dei legami di attaccamento con le persone che si prendono cura di lui; questo fa di lui un soggetto competente capace di selezionare, elaborare e memorizzare le informazioni che riceve . La capacità di interagire con la sua realtà fisica e con la sua realtà sociale si evolve e perfeziona nel corso dello sviluppo. In luogo del “ritratto dell’incompetenza psicologica” o di quella “unica grande confusione di luci e rumori” di cui parlava William James nella sua opera “Principles of psychology”, oggi è chiaro che il neonato si affaccia alla vita come organismo capace di percezione, comunicazione, interazione ed apprendimento cioè come essere capace di dare delle risposte alla molteplicità di stimolazioni che quotidianamente riceve. In questo senso, Marco Dondi da un lato illustra le principali tecniche sperimentali (preferenza visiva, abitazione) utilizzate per individuare e studiare le risposte emesse dal neonato e dall’altro presenta la scala di valutazione neonatale “Neonatal Behavioural Assessment Scale” di Brazelton come valido strumento di misurazione, in ambito clinico, delle caratteristiche infantili più adatte a sollecitare nel contesto diadico della relazione adulto - bambino interazioni e cure appropriate, sottolineando quegli aspetti essenziali della sua dotazione innata in grado di dare inizio e assicurare una relazione significativa con l’adulto. Durante i primi anni di vita lo scambio e l’acquisizione di informazioni avverrà attraverso diverse modalità percettive, sensoriali per poi passare all’evolversi di competenze comunicative più sofisticate. Alessandra Pinton tratta l’importanza della comunicazione all’interno della relazione madre – bambino. La Volume 6, Numero 3, 2001, pag. 230 madre, come primo interlocutore, dovrà essere in grado di cogliere, leggere ed interpretare i bisogni del bambino il quale inizialmente li esprimerà con vocalizzazioni differenziate per poi passare ad una comunicazione intenzionale che si evolverà solo se stimolata in modo appropriato all’interno di una relazione di accudimento e cura. Gli ultimi tre capitoli del libro analizzano il legame di attaccamento madre – bambino quando questo viene “ostacolato” da esperienze di malattia (Chiara Cattellan e collaboratori), disabilità genetica (Nila Negrin Saviolo) e situazioni di istituzionalizzazione precoce, adozioni ed affidamento (Jolanda Galli). Molto interessante è l’argomentazione portata da Nila Negrin Saviolo riguardante i problemi che possono emergere all’interno di famiglie con un bambino con malattia genetica. Dalla comunicazione della diagnosi si considerano le modalità di reazione dei genitori e le loro risorse nel coping personale e sociale nell’affrontare il trauma, verso una riorganizzazione del sistema familiare e dei vari sottosistemi coniugale, genitoriale per garantire un benessere sia per il bambino disabile che per l’intera famiglia. Silvia Pasinato Zanatta, A. L. (1997). Le nuove famiglie. Bologna: Il Mulino. Indice: Introduzione. Traiettorie di vita familiare ieri e oggi. 1. Le famiglie di fatto. 2. Le famiglie con un solo genitore. 3. Le famiglie ricostituite. 4. Le famiglie unipersonali. Conclusioni. Un’opportunità o un rischio in più? Si tratta di un libretto agile e stimolante; poco più di 100 pagine di facile lettura, ma per niente banale. Dopo un avvio piuttosto spigliato e quasi provocatore, l’analisi delle trasformazioni attuali della famiglia si fa veloce, concreta e puntuale. La conclusione è equilibrata e perfino saggia. Leggendo l’introduzione, facevo mente locale al desiderio di conoscere i primi risultati del recente censimento nazionale della popolazione italiana per verificare la prospettiva in cui si pone l’autrice di questo libretto. E’ risaputo che in Italia le proporzioni tra le famiglie nate dal matrimonio e le altre sono di gran lunga sbilanciate in favore delle prime rispetto alle seconde, per cui mi sembrava una impostazione tutta esasperata. Così nell’analisi culturale alla comprensione delle radici della trasformazione (amore romantico, individualismo esasperato, emancipazione femminile, privatizzazione della famiglia) l’autrice ritornava con insistenza al “ritardo italiano”, quasi dovessimo rincorrere una meta senza la quale perderemmo il treno della civiltà. I quattro capitoli dedicati rispettivamente alle “nuove famiglie” (famiglie di fatto, famiglie con un solo genitore, famiglie ricostituite, famiglie unipersonali) mi sono piaciuti per la documentazione precisa, essenziale, aggiornata. Informano e contemporaneamente offrono de- Volume 6, Numero 3, 2001, pag. 231 gli spunti per una lettura critica dei fenomeni, nuovi e vecchi che siano. Rendono cioè ragione delle trasformazioni di mentalità, di comportamenti, di strutture relazionali e, contemporaneamente, fanno capire il valore — talora il peso— di una tradizione culturale che incide profondamente. Le conclusioni sono stringate, ma veramente stimolanti e meritano di essere riprese. Richiamando il senso del libro come un tentativo di delineare il volto della “famiglia postmoderna”, l’autrice si pone la domanda se le trasformazioni in atto (o tendenze verso la trasformazione) rappresentino un rischio o delle opportunità. Alcune opportunità sembrano innegabili: sviluppo della libertà di scelta individuale, sviluppo della parità tra uomini e donne, nuove reti di relazioni e di solidarietà; ma ci sono anche dei costi e dei rischi: aumento dell’instabilità coniugale, conflitti e sofferenze affettive e psicologiche degli adulti e dei bambini, declassamento sociale, impoverimento economico delle famiglie, rischio di povertà delle donne anziane sole, rinvio delle responsabilità adulte, difficoltà di portare avanti progetti coerenti di vita. Pertanto “…. non sempre a un aumento dell’autonomia corrisponde un aumento della responsabilità. Ma la responsabilità presuppone la consapevolezza: in base all’esperienza vissuta sulla propria pelle da tante persone si può affermare che i rischi delle trasformazioni familiari in corso sono stati finora sottovalutati ed è mancata la consapevolezza dei costi che le decisioni individuali e di coppia hanno per i soggetti coinvolti, per i loro figli e, indirettamente, per il contesto sociale. E’ proprio la molteplicità delle scelte possibili nella società di oggi che rende necessaria la crescita della consapevolezza e della responsabilità, a livello individuale e collettivo. In una società contraddistinta dal pluralismo delle idee e degli stili di vita, occorre ricostruire dei valori condivisi, individuare dei beni comuni a tutti, da promuovere e tutelare: tra questi beni e valori rientrano l’autorealizzazione personale e la parità fra i generi, ma anche la stabilità familiare… Queste osservazioni valgono per tutti i paesi coinvolti nel processo di trasformazione della famiglia, ma hanno un significato particolare per l’Italia. Il nostro paese è ancora molto lontano dallo sviluppo che le nuove famiglie hanno avuto altrove, ma il cambiamento è rapido e intenso anche da noi e segue lo stesso percorso: cresce in fretta il numero delle separazioni e dei divorzi e di conseguenza quello delle famiglie con un solo genitore e, presumibilmente, delle famiglie ricostituite, quello delle unioni precedute da una convivenza e delle persone che vivono sole. Il ritardo rispetto agli altri paesi potrebbe consentirci di fare tesoro delle loro esperienze e di attrezzarci perché il cambiamento non ci colga impreparati. Se consapevolezza dei rischi e responsabilità sono alcune delle nuove parole d’ordine della società postmoderna, è ora che anche l’Italia le faccia proprie. Innanzi tutto nel nostro paese debbono crescere la consapevolezza e la responsabilità scientifica…” (pp. 118-119). Ci fermiamo qui con la citazione che dà il senso del percorso e che invita il lettore a guardare con maggiore consapevolezza la realtà familiare in trasformazione. Siamo del parere che il libretto di Zanatta può fare un buon servizio e chi lo legge potrà trarre degli indubbi benefici. Mario Cusinato Volume 6, Numero 3, 2001, pag. 232 Di Stefano, P. (2001). La famiglia in bilico. Un reportage italiano. Prefazione di Adriano Sofri. Milano: Feltrinelli. Indice: Prefazione (A. Sofri). 1. Continuano a guarda’ le stronzate. 2. Ballerò sulla tua tomba. 3. ‘Sta benedetta casa. 4. Loro non devono parlare. 5. Bisogna fare tutto assieme. 6. Quand’è che quagli nella vita? 7. Il pomeriggio andiamo girando. 8. Non credere a nessuno. 9. Ultima speranza il superenalotto. 10. Purché sia musulmano. Il libro si definisce un reportage sulla famiglia italiana, nato sul “Corriere della Sera” nella primavera del 2002 che vuole far parlare i protagonisti della quotidianità allo scopo di delineare il malessere attuale delle famiglie. Vengono così tracciati dieci “quadri di vita” che in qualche modo traccia la tipologia della composizione familiare sul territorio italiano: una famiglia “arca di Noé”; una famiglia intraprendente che vuole emanciparsi dal piccolo mondo provinciale; una famiglia che arranca e lotta contro la sorte avversa sognando un po’ di sicurezza; una famiglia costruita su scelte coraggiose di coerenza; una famiglia medio-borgese che vive la sfida delle trasformazioni attuali; una famiglia non-tradizionale che si misura sull’ordinario della vita quotidiana “tradizionale”; una famiglia contadina che vuole rinnovarsi esprimendo il proprio bagaglio culturale; una famiglia immersa nel degrado sociale, ma che, nonostante tutto, riesce a mantenere il senso della propria identità; una famiglia alle prese con la interculturalità. Questa visitazione del significato, degli atteggiamenti e dei comportamenti del vivere familiare non avviene secondo criteri di rappresentatività statistica e utilizzando i criteri della ricerca sociale su categorie e dimensioni scientificamente fondate. E’ comunque un’interessante incursione nella “semantica della famiglia” per cogliere il processo in atto tra passato e futuro, tra nostalgia e rinnovamento, tra continuità e rottura. Ne emergono la forza e la debolezza della realtà familiare, comunque il suo procedere nella storia. La modalità è quella propria di un giornalista che ha scelto di essere “il trascrittore dei dialoghi” perché da essi il lettore possa intravedere i piccoli e i grandi drammi che si agitano negli animi dei protagonisti della vita delle famiglie di questa nostra Italia: “… le voci dei protagonisti, le loro rabbie, le manifestazioni d’affetto, gli sconti aperti o che covano sotto la cenere, le solidarietà, le allusioni, i silenzi, le ironie, le tirate moralistiche, le accuse, gli isterismi, i pianti, i mutismi, le reticenze, i sorrisi, le timidezze, i tic linguistici, i neologismi americanizzanti, i dialetti fonetici e lessicali che qua e là fanno resistenza alla dilagante “lingua di plastica” e ai luoghi comuni, le sospensioni, le incertezze dell’oralità. Oppure osservando gli sguardi, i gesti, i muri delle case e gli oggetti che le affollano” (p. 143). Il quadro generale che ne risulta da questo viaggio lungo la penisola italiana — da Pordenone a Palermo— ha i caratteri della freschezza e della vivacità che stimolano l’interesse, la riflessione, la discussione, la voglia, magari, di addentrarsi nei meandri della vivere familiare con più metodicità. Il libro svolge così un buon servizio. Mario Cusinato Volume 6, Numero 3, 2001, pag. 233