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M. Macchioro - La prova di fisica per la maturità scientifica
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Esame di stato di liceo scientifico Maxisperimentazione Brocca
Tema di fisica, anno 2008
Il candidato svolga una relazione su uno solo dei seguenti due temi, a sua scelta, prestando particolare
attenzione al corretto uso della terminologia scientifica e delle cifre significative nella presentazione dei
risultati numerici.
Primo tema
All’inizio del secolo scorso il fisico tedesco Max Planck interpretò i risultati sperimentali relativi alla
radiazione del corpo nero introducendo l’ipotesi della quantizzazione dell’energia. Questa ipotesi, intesa
inizialmente solo come uno stratagemma matematico utile per far coincidere i risultati teorici e quelli
sperimentali, apparve invece come una realtà fisica pochi anni dopo, con l’interpretazione dell’effetto
fotoelettrico fatta da Einstein e con la successiva conferma dovuta all’effetto Compton.
Il candidato spieghi:
1. che cosa si intende per corpo nero e come lo studio della sua radiazione ha portato Planck ad
avanzare l’ipotesi dei quanti di energia;
2. la differenza fra il concetto di “fotone” utilizzato da Einstein per spiegare l’effetto fotoelettrico e
quello del “quanto di energia” proposto pochi anni prima da Planck;
3. i fenomeni fisici dell’effetto fotoelettrico e di quello Compton, descrivendo anche le leggi che
permettono di interpretarne i risultati sperimentali.
Il candidato risolva infine il seguente problema.
Un fotone, con energia 0,1 MeV, interagisce con un elettrone la cui velocità può essere considerata
trascurabile. Calcolare, sempre in MeV, l’energia finale del fotone sapendo che il suo angolo di deviazione
dovuto all’effetto Compton è di 30°. Commentare il risultato ottenuto.
Si ricorda che l’elettrone ha carica elettrica negativa 1,60 · 10-19 C e massa 9,11 ∙ 10-31 kg. Inoltre, i valori
della costante di Planck e della velocità della luce sono h = 6,63 · 10-31 J∙s e c = 3 · 108 m/s.
Secondo tema
Si abbiano due fili conduttori paralleli percorsi nello stesso verso dalla corrente elettrica d’intensità 1 A e
posti alla distanza di 10 cm l’uno dall’altro.
Calcolare il modulo del vettore nei punti
R, S, T distanti rispettivamente 3 cm, 3 cm,
7 cm dal punto P, mettendo in evidenza i
passaggi matematici necessari a ricavare
l’unità di misura dell’induzione magnetica.
Disegnare le linee di forza passanti nei
punti R, S, T, mettendo in evidenza la
direzione e l’orientamento del vettore
negli stessi punti.
Ricavare l’espressione matematica che
descrive l’andamento del modulo di tra i
punti P e Q e disegnarne il grafico sul piano
cartesiano.
In ognuno dei punti S e T passa un protone con velocità v = 2 ∙ 10 4 m/s con la traiettoria parallela ai fili e
con verso uguale a quello convenzionale della corrente elettrica. Ricavare il modulo, la direzione e il verso
della forza di Lorentz che agisce su ognuno dei due protoni e rappresentarne la traiettoria con un disegno,
anche se in maniera approssimata. Si ricorda che il protone ha la stessa carica dell’elettrone, ma con segno
positivo (1,60 · 10-19 C).
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Svolgimento tema 1
1. Il candidato spieghi che cosa si intende per corpo nero e come lo studio della sua radiazione ha
portato Planck ad avanzare l’ipotesi dei quanti di energia
Per corpo nero si intende un corpo in grado di assorbire tutta l’energia che riceve. Il modello di corpo nero
ideale è costituito da una cavità provvista di un piccolo foro: la radiazione che entra nella cavità attraverso
questo foro ha una probabilità nulla di uscire da essa prima di essere assorbita dalle pareti del corpo. Dato
che un buon assorbitore è anche un ottimo emettitore, possiamo affermare che un corpo nero alla
temperatura T emette radiazione la cui intensità può essere calcolata utilizzando la legge di StefanBoltzmann:
dove I (intensità) è, per definizione, la potenza emessa per unità di superficie:
T è la temperatura assoluta e σ = 5,67 · 10-8 W/(m2K4) è una costante.
Gli studi sperimentali sulla radiazione di corpo nero avevano portato a una caratteristica curva dell’energia
emessa in funzione delle lunghezza d’onda della radiazione emessa e della temperatura
Ogni curva corrisponde a una diversa temperatura, si nota la presenza di un valore caratteristico di λ al
quale corrisponde la massima energia emessa. Al variare della temperatura, questo valore varia secondo la
legge dello spostamento di Wien:
dove la costante ha il valore di 2,90 · 10-3 m∙K. Questa legge, in pratica, afferma che la lunghezza d’onda di
picco è inversamente proporzionale alla temperatura assoluta. Nella figura è evidente lo spostamento
verso sinistra del picco dell’energia.
La forma caratteristica di questa curva non era spiegabile in termini di fisica classica, infatti la previsione
teorica non spiegava la presenza della λ di picco, anzi ipotizzava addirittura valori infinitamente grandi
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dell’energia emessa in corrispondenza ai valori di λ della radiazione ultravioletta. Per risolvere il problema,
Planck avanzò un’ipotesi rivoluzionaria: considerando la cavità del corpo nero come costituita da un
numero enorme di cariche oscillanti, ciascuna dotata di una propria frequenza di risonanza, e quindi in
grado di scambiare energia solo per valori multipli interi di essa, ipotizzò che la radiazione poteva
scambiare energia con questi oscillatori solo per valori discreti, secondo la legge:
Pertanto, pur essendo continua l’energia trasportata dalla radiazione, risulta quantizzata l’energia
scambiata. In questa legge, f è la frequenza della radiazione, mentre h è una costante caratteristica, detta
costante di Planck:
La quantità
costituisce il quanto di energia, cioè quel valore minimo e non frazionabile di energia
scambiata dal singolo oscillatore.
2. Il candidato spieghi la differenza fra il concetto di “fotone” utilizzato da Einstein per spiegare l’effetto
fotoelettrico e quello del “quanto di energia” proposto pochi anni prima da Planck
Per spiegare l’effetto fotoelettrico Einstein ipotizzò che tutta la radiazione fosse costituita da un insieme di
corpuscoli, detti fotoni, privi di massa e viaggianti alla velocità della luce. I fotoni ipotizzati da Einstein
trasportano un’energia proporzionale alla frequenza della radiazione secondo la relazione E = hf, dove h è
la costante introdotta pochi anni prima da Planck. In questo modo, Einstein estese la quantizzazione
dell’energia a tutta la radiazione, mentre secondo Planck la quantizzazione si manifesta solo nel momento
in cui la radiazione, che per Planck ha comunque una natura ondulatoria secondo quanto teorizzato da
Maxwell, interagisce con la materia. E’ proprio questa, pertanto, la differenza tra il quanto di energia di
Planck e il fotone di Einstein: per il primo la quantizzazione è limitata solo all’interazione tra la radiazione e
la materia, mentre per il secondo è proprio la radiazione stessa ad avere natura corpuscolare.
3. Il candidato descriva i fenomeni fisici dell’effetto fotoelettrico e di quello Compton, descrivendo
anche le leggi che permettono di interpretarne i risultati sperimentali
L’effetto fotoelettrico consiste nell’emissione di elettroni da parte di un metallo, quando viene investito da
radiazione elettromagnetica di opportuna frequenza. Gli elettroni liberi del metallo prossimi alla sua
superficie, in condizioni normali, non hanno l’energia sufficiente per superare la piccola barriera di
potenziale che ne impedisce l’emissione. Tuttavia se essi assorbono una piccola quantità di energia, in
genere di pochi eV, pari al cosiddetto lavoro di estrazione, essi abbandonano la superficie del metallo.
Questa energia può essere fornita mediante riscaldamento (effetto termoelettronico) o mediante
radiazione elettromagnetica (effetto fotoelettrico).
Sperimentalmente, l’effetto fotoelettrico può essere studiato ponendo in un tubo a vuoto due elettrodi, di
cui uno ricoperto del metallo che si vuole studiare. Si collegano gli elettrodi a una sorgente di f.e.m.
variabile, in modo da variare la d.d.p. tra gli elettrodi, e a un microamperometro per misurare la corrente.
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Illuminando la placca metallica, si possono notare due fatti inspiegabili per la fisica classica:
 il primo è la presenza di una frequenza minima della radiazione, detta frequenza di soglia, al di
sotto della quale non vengono emessi elettroni neanche per fasci molto intensi;
 il secondo può essere evidenziato, una volta ottenuta l’emissione di elettroni con radiazione di
frequenza superiore a quella di soglia, studiando la relazione tra tensione e corrente, e ripetendo la
prova con fasci di diversa intensità. Si ottiene il seguente grafico:
Ponendo la placca metallica a un potenziale minore dell’altro elettrodo (ΔV > 0), gli elettroni vengono
accelerati provocando un aumento della corrente, fino ad arrivare a un valore di saturazione,
corrispondente al fatto che tutti gli elettroni emessi nell’unità di tempo raggiungono l’elettrodo positivo. La
corrente di saturazione aumenta all’aumentare dell’intensità, e ciò è spiegabile ammettendo che fasci più
intensi determinino l’emissione di un maggior numero di elettroni nell’unità di tempo.
Invertendo le polarità degli elettrodi (ΔV < 0), gli elettroni vengono invece respinti fino ad annullare la
corrente. La d.d.p. per la quale la corrente si annulla è detta potenziale d’arresto. In questa situazione,
anche gli elettroni dotati di maggior energia cinetica non riescono a raggiungere l’elettrodo negativo, per
cui è facile ottenere la relazione tra energia cinetica massima degli elettroni e potenziale d’arresto:
Dal grafico tensione-corrente appare evidente il fatto non spiegabile classicamente: fissato il metallo e la
frequenza della radiazione, il potenziale d’arresto dovrebbe aumentare, in valore assoluto, col crescere
dell’intensità del fascio, ciò perché a maggiore intensità dovrebbe corrispondere una maggiore energia
ceduta agli elettroni, e quindi, per la relazione precedente, un maggior potenziale d’arresto. Il grafico,
invece, evidenzia un potenziale d’arresto sempre uguale a qualunque intensità.
Questi fatti non spiegabili classicamente furono brillantemente spiegati da Einstein nel 1905 con il modello
a fotoni della radiazione elettromagnetica, in base al quale, come esposto precedentemente, la radiazione
viene pensata come quantizzata. Secondo la spiegazione di Einstein, l’estrazione di elettroni avviene grazie
all’interazione tra i singoli fotoni e gli elettroni. Un fotone riesce a strappare un elettrone dalla superficie
del metallo se la sua energia hf è almeno uguale al lavoro di estrazione W0:
avendo indicato con f0 la frequenza di soglia. Quindi, in accordo con le evidenze sperimentali, se la
radiazione elettromagnetica non possiede una frequenza almeno uguale a quella di soglia, neanche fasci di
grande intensità possono generare l’emissione di elettroni. I valori di f0 corrispondono alla radiazione
visibile per alcuni metalli, ultravioletta per altri.
L’indipendenza dell’energia cinetica massima degli elettroni dall’intensità del fascio fu spiegata da Einstein
imponendo che essa fosse uguale alla differenza tra l’energia del fotone e il lavoro di estrazione:
l’energia cinetica massima cresce linearmente al crescere della frequenza della radiazione (
è una
costante) ed è indipendente dall’intensità. Un fascio più intenso, pertanto, è costituito da un maggior
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numero di fotoni ed è in grado di estrarre un maggior numero di elettroni (viene confermato, quindi, il
crescere della corrente di saturazione al crescere dell’intensità), ma non influisce sull’energia degli stessi.
Introducendo il potenziale d’arresto, la relazione precedente diventa:
potenziale d’arresto
Graficamente, questa legge, che ha significato solo per f ≥ f0, è rappresentata da una semiretta di
coefficiente angolare
, mentre il termine noto
rappresenta il potenziale di estrazione. Si nota che
per metalli differenti le semirette che rappresentano il potenziale d’arresto in funzione della frequenza
della radiazione hanno tutte la stessa pendenza e, pertanto, saranno parallele tra loro; ciò in quanto il
coefficiente angolare dipende unicamente da due costanti, cioè la costante di Planck e la carica
dell’elettrone. La conferma sperimentale a questa previsione del modello a fotoni di Einstein avvenne nel
1916 per opera di Millikan, che eseguendo misure per diversi metalli ottenne una serie di semirette
parallele.
metallo A
f0A
f0B
metallo B
frequenza
Il fenomeno noto come effetto Compton consiste nella diffusione subita da radiazione di alta frequenza da
parte di un metallo. Questo fenomeno, scoperto nel 1923, presentava aspetti non spiegabili con la fisica
classica: infatti dalle evidenze sperimentali era emerso che, inviando un fascio di raggi X contro un blocco
di grafite, il fascio diffuso presentava, oltre a una componente di lunghezza d’onda λ pari a quella della
radiazione incidente, una seconda componente di lunghezza d’onda λ’ ≥ λ , il cui valore dipende dall’angolo
di diffusione. La fisica classica, invece, prevede che gli elettroni bersaglio dovrebbero oscillare alla
frequenza della radiazione incidente, per poi riemettere nuovamente alla stessa frequenza: quindi la
radiazione incidente e quella diffusa dovrebbero avere la stessa lunghezza d’onda, indipendentemente
dall’angolo di diffusione. Per spiegare questo fenomeno, Compton utilizzò il modello a fotoni di Einstein
della radiazione e ipotizzò che i fotoni del fascio incidente, considerati come vere e proprie particelle di
energia E = hf e quantità di moto p = h/λ, urtassero elasticamente gli elettroni liberi del metallo,
considerati inizialmente in quiete, cedendo loro una parte della propria energia e subendo al contempo
una diminuzione della frequenza (infatti se E’ < E , allora f’ < f e λ’ > λ).
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Applicando il principio di conservazione della quantità di moto, avendo indicato con θ l’angolo di diffusione
del fotone e con quello dell’elettrone, si ottengono le seguenti equazioni:
relativamente all’asse x:
’
relativamente all’asse y:
è il fattore relativistico
e
’
è la quantità di moto relativistica dell’elettrone diffuso.
Imponendo inoltre la conservazione dell’energia cinetica:
’
dove
è l’energia cinetica relativistica dell’elettrone diffuso, e combinando opportunamente le
tre equazioni così ottenute, Compton ottenne una relazione tra la lunghezza d’onda del fotone diffuso e
l’angolo di diffusione θ:
’
dove me è la massa a riposo dell’elettrone, e la grandezza
, il cui valore è 2,43 ∙ 10-12 m, prende il nome
di lunghezza d’onda Compton dell’elettrone.
Esaminiamo in dettaglio la formula precedente. Osserviamo che, partendo dal caso di urto radente ( θ =
0°), nel quale la radiazione non viene praticamente diffusa e non subisce alcuna variazione di λ, la
variazione della lunghezza d’onda della seconda radiazione cresce al crescere di θ , fino a raggiungere il
massimo valore per θ = 180° (urto centrale), nel quale essa è pari al doppio della lunghezza d’onda
Compton. La presenza di una parte della radiazione diffusa che conserva la lunghezza d’onda iniziale può
essere spiegata considerando che un certo numero di fotoni interagisce con gli elettroni più interni della
grafite, che essendo fortemente legati al nucleo diffondono i fotoni senza però sottrarre energia alla
radiazione: in pratica è come se il fotone interagisse con l’intero atomo, essendo la massa dell’atomo
molto maggiore di quella dell’elettrone, la quantità diventa trascurabile, pertanto λ’ = λ.
Il candidato risolva infine il seguente problema.
Un fotone, con energia 0,1 MeV, interagisce con un elettrone la cui velocità può essere considerata
trascurabile. Calcolare, sempre in MeV, l’energia finale del fotone sapendo che il suo angolo di
deviazione dovuto all’effetto Compton è di 30°. Commentare il risultato ottenuto.
Si ricorda che l’elettrone ha carica elettrica negativa 1,60 ∙ 10 -19 C e massa
9,11 ∙ 10-31 kg. Inoltre, i valori della costante di Planck e della velocità della luce sono h = 6,63 · 10 -31 J∙s e
c = 3 · 108 m/s.
Nello svolgimento del problema, consideriamo l’energia iniziale del fotone con tre cifre significative (0,100
MeV) e altrettanto facciamo con la velocità della luce (3,00 ∙ 108 m/s). Ciò è necessario per un corretto
arrotondamento dei risultati e per dare significato agli stessi.
Nota l’energia iniziale del fotone, possiamo ricavare la lunghezza d’onda della radiazione incidente:
è necessario , però, prima trasformare l’energia in joule, osservando che 0,100 MeV = 1,00 ∙ 10 5 eV:
otteniamo
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Dalla legge dell’effetto Compton:
’
possiamo ricavare la lunghezza d’onda della radiazione diffusa:
’
infine possiamo ricavare, in joule, l’energia del fotone diffuso:
per poi ritrasformarla in MeV:
Come previsto, l’energia finale del fotone è minore di quella iniziale: nell’urto elastico con l’elettrone, il
fotone cede una parte della sua energia all’elettrone, inizialmente fermo, che la acquisisce sotto forma di
energia cinetica. Nel nostro caso avremo:
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Svolgimento secondo tema
Si abbiano due fili conduttori paralleli percorsi nello stesso verso dalla corrente elettrica d’intensità 1 A e
posti alla distanza di 10 cm l’uno dall’altro.
Calcolare il modulo del vettore nei punti R, S, T distanti rispettivamente 3 cm, 3 cm, 7 cm dal punto P,
mettendo in evidenza i passaggi matematici necessari a ricavare l’unità di misura dell’induzione magnetica.
Disegnare le linee di forza passanti nei punti R, S, T, mettendo in evidenza la direzione e l’orientamento del
vettore negli stessi punti.
Ricavare l’espressione matematica che descrive l’andamento del modulo di tra i punti P e Q e disegnarne
il grafico sul piano cartesiano.
In ognuno dei punti S e T passa un protone con velocità v = 2 ∙ 10 4 m/s con la traiettoria parallela ai fili e
con verso uguale a quello convenzionale della corrente elettrica. Ricavare il modulo, la direzione e il verso
della forza di Lorentz che agisce su ognuno dei due protoni e rappresentarne la traiettoria con un disegno,
anche se in maniera approssimata. Si ricorda che il protone ha la stessa carica dell’elettrone, ma con segno
positivo (1,60 · 10-19 C).
Conviene ridisegnare il sistema fisico ruotando la figura di 90° in senso antiorario, in modo che le correnti
risultino uscenti dal piano del disegno:
i1
R
P
i2
S
T
Q
I dati del problema sono i seguenti:
i1 = i2 = 1,00 A; PR = 3,00 cm; PS = 3,00 cm; PT = 7,00 cm; PQ = 10,0 cm.
Contrariamente alle indicazioni del testo, abbiamo preferito considerare tutti i dati con tre cifre
significative in modo da non far perdere di significato i risultati.
Per calcolare il modulo di nei vari punti si ricorre alla legge di Biot-Savart:
che sancisce la proporzionalità diretta tra campo magnetico e intensità di corrente e inversa tra campo e
distanza dal filo. Nella costante di proporzionalità compare la permeabilità magnetica del vuoto:
risulta pertanto che il valore delle costante è:
Il Tesla (T), unità di misura del campo magnetico, è definito dalla 2ª formula di Laplace che descrive la forza
subita da un filo percorso da corrente in un campo magnetico. Supponendo che il filo e le linee di forza del
campo siano perpendicolari, questa forza è data dalla relazione
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da cui deriva per formula inversa che:
per cui si ha che
Pertanto, l’intensità di un campo magnetico è pari a 1 Tesla se un filo rettilineo perpendicolare alle linee
di campo percorso da una corrente di 1 A subisce una forza di 1 N per ogni metro della sua lunghezza.
Per calcolare i campi richiesti è necessario prima disegnare le linee di campo e i relativi vettori nei punti
richiesti. La legge di Biot-Savart afferma che le linee del campo magnetico generate da un filo rettilineo
indefinito percorso da corrente sono circonferenze concentriche al filo e giacenti su piani perpendicolari al
filo stesso e paralleli tra loro. L’orientazione delle linee è data dalla regola della mano destra: si punta il
pollice della mano destra nel verso della corrente, ottenendo dalla rotazione delle altre dita il verso
corretto delle linee. Riprendiamo la figura precedente e disegniamo le linee di campo.
i1
R
P
i2
S
T
Q
In rosso le linee generate dal filo 1, in azzurro quelle generate dal filo 2. Essendo le correnti uscenti, tutte le
linee hanno orientazione antioraria.
Ora, tenendo conto delle linee tracciate, disegniamo i vettori .
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i1
R
P
i2
S
T
Q
In rosso i campi generati dal filo 1, in azzurro i campi generati dal filo 2, in verde i campi risultanti.
Nel calcolare i vari moduli, si tiene conto delle seguenti distanze, espresse in metri:
PR = 3,00 ∙ 10-2 m; PS = 3,00 ∙ 10-2 m; PT = 7,00 ∙ 10-2 m;
QT = 3,00 ∙ 10-2 m; QS = 7,00 ∙ 10-2 m; QR = 13,0 ∙ 10-2 m.
Si ricavano i seguenti risultati:
1. In R:
diretto verso il basso;
diretto verso il basso;
essendo i campi concordi il campo risultante è:
diretto verso il basso.
2. In S:
diretto verso l’alto;
diretto verso il basso
essendo i campi discordi il campo risultante è:
diretto verso l’alto.
3. In T:
diretto verso l’alto;
diretto verso il basso;
essendo i campi discordi il campo risultante è:
diretto verso il basso
Per studiare la funzione richiesta, è necessario collocare il sistema fisico in un opportuno riferimento
cartesiano. Il riferimento cartesiano più idoneo ha origine nel punto medio della congiungente dei due fili,
asse X coincidente con la congiungente e asse Y perpendicolare ad essa.
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Y
i1
R
P
i2
S
O
T
Q
In base a questa scelta, introducendo i versori cartesiani ed esprimendo il modulo di
precedenti possono essere così espressi:
X
in μT, i risultati
Il problema chiede di studiare la funzione
nell’intervallo
. Gli estremi
dell’intervallo sono esclusi in quanto il modulo del campo in P e in Q tende verso valori infinitamente
grandi.
L’analisi fisica della situazione e un attento esame dell’andamento delle linee di campo precedentemente
tracciate consente di stabilire che nel predetto intervallo i singoli campi generati dai fili avranno la stessa
direzione dell’asse Y ma versi discordi tra di loro. Nell’intervallo
, tenendo conto del valore
uguale delle correnti e della maggior vicinanza dei punti al filo 1, il modulo di
sarà maggiore di quello di
, quindi il campo risultante avrà la stessa direzione e verso dell’asse Y, come testimoniato dal valore
positivo di BS. Con analoghe considerazioni si può dimostrare che, al contrario, nell’intervallo
il modulo di
sarà minore di quello di
, per cui il campo risultante avrà la stessa
direzione dell’asse Y ma verso contrario; a tal proposito notiamo il valore negativo di BT. Nell’origine,
invece, i campi avranno lo stesso modulo e il campo totale risulterà nullo. Pertanto, in punti simmetrici
rispetto all’origine il campo magnetico, o meglio la sua componente y, prende valori uguali in modulo ma
di segno opposto. Quindi la funzione
, cioè quella che lega la componente y del campo alla
posizione, sarà una funzione dispari (
) e il suo grafico sarà simmetrico rispetto all’origine; di
conseguenza la funzione
sarà una funzione pari (
) e il suo grafico sarà simmetrico
rispetto all’asse y.
Operativamente, conviene impostare e studiare la funzione
per poi dedurre il grafico di
.
Scriviamo l’espressione del modulo del campo generato dal filo 1:
essendo
si ha:
Con lo stesso procedimento ricaviamo l’espressione del campo generato dal filo 2:
essendo
si ha:
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Tenendo conto che i due campi hanno verso opposto, il campo risultante si ottiene sottraendo i moduli dei
singoli campi:
Per rendere più semplice lo studio della funzione, dato che ciò che più importa è il suo andamento,
dividiamo il 2° membro per 2 ∙ 10-7 ed esprimiamo le distanze al denominatore in cm, in tal modo
l’espressione della funzione diventa:
quindi
pertanto la funzione da studiare è
Studiando questa funzione con i metodi della matematica, si possono facilmente dimostrare le seguenti
sue caratteristiche, già in gran parte dedotte dall’analisi fisica:
1. la funzione è nulla in x = 0, positiva in
e negativa in
;
2. la funzione è dispari in tutto il dominio essendo
;
3. tende asintoticamente verso
per
, mentre tende asintoticamente verso
per
4. è strettamente decrescente in tutto il dominio, volge la concavità verso l’alto in
basso in
, ha un flesso nell’origine.
Possiamo pertanto tracciare il grafico di y =
:
Da questo grafico, possiamo dedurre quello della funzione
di curva simmetrico rispetto all’asse x nell’intervallo
:
, verso il
semplicemente disegnando il tratto
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Per ciò che riguarda la forza subita dai protoni passanti per S e T con velocità parallela e concorde alla
corrente nei fili, ricordiamo l’espressione vettoriale della forza di Lorentz:
il modulo della forza è
siccome per entrambi i protoni la velocità è perpendicolare al campo magnetico (
), che in S e T
assume lo stesso modulo di 3,81 μT, possiamo dedurre che il modulo della forza è uguale per entrambi i
protoni ed è:
Anche in questo caso, si è preferito considerare tutti i dati con 3 cifre significative.
La direzione della forza è, per entrambi i protoni, perpendicolare sia al campo che alla velocità, e quindi
coincidente con la congiungente dei due fili. Per la regola della mano destra, infine, il protone in S sarà
attratto verso il filo 1, mentre quello in T sarà attratto verso il filo 2: le due forze, pertanto, risultano
discordi.
BS
i1
P
F1
vS
S
F2
vT
T
i2
Q
BT
Nella figura, vS e vT sono perpendicolari al piano del disegno e uscenti, pertanto parallele e concordi alle
correnti i1 e i2.
Per ciò che riguarda le traiettorie dei protoni, osserviamo che la forza subita è di tipo centripeto e,
pertanto, incurverà le traiettorie inizialmente rettilinee. Esse, però, non saranno circolari in quanto il
campo non è uniforme: tenendo conto che in entrambi i casi i protoni vengono deviati verso zone di campo
più intenso, si può dedurre che il raggio di curvatura delle traiettorie diventa sempre più piccolo. Le
traiettorie possono essere rappresentate approssimativamente così:
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filo 1
filo 2
S
T