Temi di discussione del Servizio Studi Rigidità nel mercato del lavoro, disoccupazione e crescita di Fabiano Schivardi Numero 364 - Dicembre 1999 La serie “Temi di discussione” intende promuovere la circolazione, in versione provvisoria, di lavori prodotti all’interno della Banca d’Italia o presentati da economisti esterni nel corso di seminari presso l’Istituto, al fine di suscitare commenti critici e suggerimenti. I lavori pubblicati nella serie riflettono esclusivamente le opinioni degli autori e non impegnano la responsabilità dell’Istituto. Comitato di redazione: MASSIMO ROCCAS, FABRIZIO BALASSONE, GIUSEPPE PARIGI, ROBERTO RINALDI, DANIELE TERLIZZESE, PAOLO ZAFFARONI; RAFFAELA BISCEGLIA (segretaria). 5LJLGLWj QHO PHUFDWR GHO ODYRUR GLVRFFXSD]LRQH H FUHVFLWD di Fabiano Schivardi W 6RPPDULR Questo lavoro offre una rassegna critica della letteratura sulle rigidità nel mercato del lavoro, sviluppando un semplice schema teorico che permette una trattazione unitaria delle diverse problematiche. In primo luogo, si mostra come la semplice equazione che pone in relazione rigidità e disoccupazione trovi scarso sostegno a livello sia teorico sia empirico d’altra parte, il grado di rigidità inÀuenza la dinamica, la composizione e la durata della disoccupazione, con conseguenze rilevanti per il mercato del lavoro, la disoccupazione e l’ef¿cienza dell’economia nel suo complesso. Appare quindi importante studiare gli effetti indiretti della rigidità del mercato del lavoro e allargare il concetto stesso di rigidità ad altri aspetti del sistema economico. Si analizza quindi l’interazione fra legislazione a protezione degli occupati e determinazione dei salari gli effetti della ¿ssazione di salari uniformi in regioni a diversa produttività in presenza di immobilità territoriale le conseguenze sul processo di accumulazione del capitale e di crescita dell’inef¿ciente allocazione del lavoro indotta da un sistema rigido. L’analisi mostra che questi aspetti possono giocare un ruolo importante per comprendere l’andamento deludente del mercato del lavoro europeo negli ultimi tre decenni, al di là degli effetti diretti delle restrizioni ai licenziamenti. ,QGLFH 1. Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 2. Restrizioni ai licenziamenti e occupazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 2.1 L’evidenza empirica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 3. Restrizioni ai licenziamenti e rigidità salariale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16 4. Compressione salariale, immobilità territoriale e sottoccupazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 5. Crescita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 5.1 Transizione e stato stazionario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26 6. Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 Appendice: dimostrazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30 Riferimenti bibliogra¿ci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 Banca d’Italia, Servizio Studi ,QWURGX]LRQH1 La deludente SHUIRUPDQFH dell’economia europea in termini occupazionali negli anni novanta, caratterizzati da tassi di disoccupazione dell’ordine del 10 per cento, ha stimolato un acceso dibattito sull’ef¿cienza delle istituzioni che presiedono al funzionamento del mercato del lavoro. La rigidità che caratterizza questo mercato viene spesso indicata come la principale causa dell’alto tasso di disoccupazione e della scarsa capacità di creare nuovi posti di lavoro. Questa tesi trova sostegno indiretto nell’andamento dell’economia americana, spesso indicata come esempio di sistema Àessibile, caratterizzata nel decennio corrente da alti tassi di crescita e da una costante riduzione della disoccupazione, ormai vicina al 4 per cento, a cui ha corrisposto un continuo aumento del numero di occupati, cresciuti fra il 1990 e il 1998 di circa 18 milioni di unità. Questo lavoro si propone di offrire una sintesi ragionata dello stato del dibattito sul tema della rigidità dei rapporti di lavoro, privilegiandone gli aspetti teorici. La conclusione principale a cui si giunge è che l’analisi teorica è più sfumata nelle sue conclusioni rispetto alle posizioni che si registrano nel dibattito di SROLF\ in particolare, la Àessibilità può essere importante per gli effetti indiretti ad essa connessi, mentre la semplice equazione che pone in relazione rigidità e disoccupazione trova scarso sostegno a livello sia teorico sia empirico. Nella prima parte del lavoro si adotta una de¿nizione ristretta e precisa di rigidità, intesa come restrizioni a variazioni della forza lavoro impiegata nell’impresa. Nella Sezione 2 si considerano i modelli di equilibrio economico parziale a salari dati, che costituiscono la parte meglio sviluppata della teoria. Le conclusioni che emergono da questa classe di modelli sono che le restrizioni ai licenziamenti: A. non hanno effetti di primo ordine sul livello medio di occupazione B. comprimono la variabilità ciclica dell’occupazione, riducono i Àussi in entrata e in uscita dalla disoccupazione e aumentano la durata media di quest’ultima C. inÀuiscono negativamente sull’allocazione delle risorse e comprimono la redditività delle imprese. 4 Ringrazio, senza implicarli, Giuseppe Bertola, Tito Boeri, Andrea Brandolini, Rita Cappariello, Salvatore Chiri, Piero Cipollone, Francesco Lippi, Marco Magnani, Patrizio Pagano, Sandro Trento, un UHIHUHH anonimo e i partecipanti a un gruppo di studio del Servizio Studi per utili discussioni. Le opinioni espresse in questo lavoro non riÀettono necessariamente quelle della Banca d’Italia. E-mail: [email protected] 8 L’evidenza empirica dell’(PSOR\PHQW 2XWORRN (1999) dell’OCSE, brevemente passata in rassegna nel seguito, sembra offrire sostegno alle predizioni del modello. Essa sottolinea anche l’importanza degli effetti indiretti della rigidità. In primo luogo, la durata della disoccupazione cresce al crescere della rigidità del mercato del lavoro, il che può inÀuenzare il tasso di disoccupazione di equilibrio, in quanto i disoccupati di lungo periodo tendono a non esercitare pressioni salariali che contribuirebbero al loro riassorbimento. Inoltre, l’analisi empirica mostra che la legislazione a protezione degli occupati potrebbe avere effetti differenziati sulle diverse componenti della forza lavoro, favorendo ad esempio i maschi delle classi centrali d’età rispetto alle donne e soprattutto ai giovani. La rigidità del mercato del lavoro potrebbe costituire una sorta di barriera all’entrata che avrebbe conseguenze negative sull’occupazione giovanile, un’ipotesi che meriterebbe di essere approfondita. Nella sezione 3 viene considerato come le istituzioni che regolano il mercato del lavoro interagiscano con la domanda e l’offerta di lavoro nella determinazione congiunta di occupazione e salari. Un primo risultato è che un alto grado di rigidità del mercato del lavoro tende a accompagnarsi a un alto tasso di crescita dei salari reali, in quanto le restrizioni ai licenziamenti aumentano il potere contrattuale degli occupati, proteggendoli dalle pressioni al ribasso esercitate dai disoccupati. Inoltre, si mostra che la compressione salariale, cioè il divieto di differenziare i salari fra diversi lavoratori con mansioni simili, è una condizione necessaria per rendere ef¿caci le restrizioni ai licenziamenti, cosicchè sistemi con scarsa Àessibilità delle quantità (lavoro) tendono ad esserlo anche con riferimento ai prezzi (salario). La sezione seguente illustra gli effetti della compressione salariale a livello territoriale, vale a dire l’imposizione di salari uniformi su regioni a diversa produttività. Viene mostrato come, in presenza di immobilità territoriale del lavoro, salari uniformi a livello nazionale hanno effetti negativi sull’occupazione nelle regioni a più bassa produttività, svantaggiano le imprese di tale regione e i lavoratori di quella ad alta produttività. Nella sezione 5 si considerano gli effetti “dinamici” della rigidità, concentrandosi sul processo di accumulazione del capitale e di crescita. Si mostra che la minor redditività delle imprese indotta da un sistema rigido può ridurre gli incentivi ad investire e quindi generare un minor tasso di accumulazione e di crescita bilanciata. Il messaggio principale che emerge dalla rassegna è l’importanza degli effetti indiretti e selettivi della rigidità da una parte e dell’allargamento dell’analisi ad altre forme di rigidità 9 dall’altra. Il lavoro costituisce quindi un punto di partenza per una migliore comprensione della rilevanza relativa delle diverse questioni e del loro grado di complementarietà. Questa tesi è alla base della sezione conclusiva, che riporta spunti di riÀessione tratti dalla letteratura sulle strategie concrete di riforma del mercato del lavoro. 5HVWUL]LRQL DL OLFHQ]LDPHQWL H RFFXSD]LRQH In questa sezione si analizza il ruolo di una nozione speci¿ca della Àessibilità: le restrizioni ai licenziamenti. L’analisi è di equilibrio parziale, con salari ¿ssi e domanda (o produttività) esogena. In tale contesto, viene esaminata la domanda di lavoro di un’impresa rappresentativa sotto due diverse ipotesi sui costi di aggiustamento del fattore lavoro. Vi sono due paesi, isc oj, uno caratterizzato dalla totale Àessibilità nell’aggiustamento della forza lavoro (s ) e l’altro dalla totale rigidità, che assumiamo implichi l’impossibilità assoluta di modi¿care lo stock di lavoro. I due paesi sono per il resto identici. In ciascuno vi è una sola impresa che produce secondo la stessa funzione di produzione, con il lavoro come unico input: (1) + ' *L} uc ' ic ,j dove costituisce uno shock di domanda (o tecnologico) che può assumere due valori : , con probabilità R e R rispettivamente2 . Il salario reale è ¿ssato al livello . Nel paese s l’occupazione è decisa dopo che lo shock si è realizzato, ed è immediato calcolare il livello di occupazione nei due stati per un’impresa che massimizza i pro¿tti: (2) us E ' *c ' ic ,j Nel paese o il problema è solo leggermente più complicato, in quanto l’occupazione deve essere decisa prima che gli shock si veri¿chino e non può essere modi¿cata ex-post. In questo caso, l’impresa sceglie l’occupazione per massimizzare il YDORUH DWWHVR dei pro¿tti: (3) 5 Maxu .i *L} u uj ' Maxu idR n E R, o *L} u uj Nel caso di shock di domanda, D è il prezzo a cui l’impresa vende il prodotto, in caso di shock tecnologico, un fattore di produttività per dato prezzo. 10 da cui si ottiene un livello di occupazione pari a uo ' (4) R n E R, indipendente dallo stato dell’economia. La soluzione comporta quindi un livello di occupazione intermedio rispetto ai due valori ottimi in caso di perfetta Àessibilità: us E, uo us E, in quanto ;, c R 5 Efc : R n E R, , (5) Assumiamo per semplicità che la forza-lavoro nei due paesi sia pari a *, cosicchè il paese s raggiunge la piena occupazione nei periodi di alta produttività. Il tasso di disoccupazione è ' u* Le seguenti conclusioni si ottengono: – /¶RFFXSD]LRQH PHGLD (e quindi la disoccupazione) è la stessa nei due paesi: 7o ' u 7 s ' R n E R, u (6) Le restrizioni ai licenziamenti non hanno alcun effetto sul livello medio di disoccupazione rispetto al paese s , in quanto la più bassa occupazione nei periodi di alta produttività è compensata dalla più alta occupazione nei periodi di bassa produttività. In altre parole, i costi di licenziamento smussano le variazioni dell’occupazione in entrambe le direzioni in maniera simmetrica, non modi¿cando quindi la media. – La YDULDELOLWj GHOO¶RFFXSD]LRQH (e quindi della disoccupazione) è più alta nel paese s : la varianza del tasso di disoccupazione è: (7) varEo ' f varEs ' RE RE 3, 2 In altre parole, la sensitività ciclica dell’occupazione è più forte nel paese Àessibile, aumentando nelle recessioni e diminuendo nei picchi l’effetto netto nel corso di un ciclo completo è tuttavia nullo. – La GXUDWD GHOOD GLVRFFXSD]LRQH è più alta nel paese o: mentre in quest’ultimo per i disoccupati è impossibile trovare occupazione, dato che il turnover è nullo, nel paese s un disoccupato trova occupazione con probabilità uno se lo stato della produttività passa da 11 , ad , il che avviene con probabilità R, cosicchè la durata media della disoccupazione è pari a *R. – La SURGX]LRQH H L SUR¿WWL PHGL sono inferiori nel paese o. La dimostrazione di questo risultato è relegata all’appendice. L’intuizione è che, mentre il livello medio di occupazione è uguale, l’economia Àessibile è in grado di allocare il lavoro in modo più ef¿ciente, producendo di più in periodi in cui la produttività è più alta. Quanto alla redditività, poichè le imprese fronteggiano un vincolo ulteriore nell’economia rigida, il loro livello di pro¿tti non può essere superiore a quello dell’economia Àessibile3 . Queste sono le principali conclusioni raggiunte nella letteratura sugli effetti dei costi di aggiustamento in un contesto di equilibrio parziale, ottenuti in un modello con un’assunzione estrema sulla dimensione di tali costi. Il modello di riferimento più generale è proposto da Bentolila e Bertola (1990), che studiano la politica ottima di aggiustamento del lavoro per un’impresa che fronteggia una domanda che evolve in modo stocastico in tempo continuo secondo un moto browniano e che deve sopportare costi lineari di licenziamento e di assunzione. In linea con quanto detto, essi concludono che i costi di aggiustamento del lavoro hanno un effetto importante in termini di turnover e di variabilità della disoccupazione nel corso del ciclo, ma hanno solo effetti di secondo ordine (e, nella loro parametrizzazione, per lo più positivi) sul livello medio di occupazione. Rispetto al caso di perfetta Àessibilità, in presenza di costi di aggiustamento le imprese ridurranno meno l’occupazione a seguito di shock negativi e la aumenteranno meno a fronte di shock positivi, cosicchè l’effetto medio è di secondo ordine. Gli autori concludono quindi che restrizioni ai licenziamenti possono spiegare la scarsa reattività dell’occupazione in Europa alle fasi di ripresa, ma di per sè hanno poco potere esplicativo per quel che riguarda l’alto livello di disoccupazione media. Questi risultati appaiono robusti a una serie di modi¿cazioni della speci¿cazione teorica. Abbandonando l’ipotesi di salario esogeno, Blanchard (Blanchard, 1998 Blanchard e Portugal, 1998) propone uno schema analitico in cui il processo di determinazione del salario avviene attraverso la contrattazione fra lavoratori RFFXSDWL e imprese, nella logica dei modelli 6 Si noti che questa considerazione vale anche in termini di FURVVVHFWLRQ, vale a dire quando la produttività è diversa fra le imprese nello stesso periodo. Ad esempio, si può assumere che s rappresenti la quota di imprese che in ciascun periodo è caratterizzata dal livello alto di produttività. In tal caso, l’allocazione ef¿ciente delle risorse richiede un livello più alto di occupazione nelle imprese con alta produttività, mentre il sistema rigido, non permettendo aggiustamenti, implica che tutte le imprese hanno lo stesso livello di forza lavoro, indipendentemente dal livello di produttività. 12 di PDWFKLQJ4 . L’analisi si basa su due concetti: la durata della disoccupazione e il tasso di turnover. Per gli occupati la variabile rilevante nel processo di contrattazione è la durata della disoccupazione, cioè quanto a lungo rimarrebbero disoccupati nel caso perdessero il lavoro. Una crescita della durata induce una maggiore moderazione nelle richieste salariali. Poichè un aumento dei costi di licenziamento diminuisce il tasso di turnover e aumenta la durata della disoccupazione5 , esso ha un effetto ambiguo sul tasso di disoccupazione di equilibrio, dato per de¿nizione dal prodotto fra durata e turnover. D’altra parte, l’aumento della durata e la riduzione nel turnover modi¿cano radicalmente la QDWXUD della disoccupazione. Blanchard e Portugal (1998) riassumono la loro analisi empirica della disoccupazione negli Stati Uniti e in Portogallo nel seguente modo: ³ LI WKH LPDJH RI WKH 86 XQHPSOR\PHQW LV WKDW RI D ZD\ VWDWLRQ EHWZHHQ MREV WKH LPDJH RI WKH 3RUWXJXHVH XQHPSOR\PHQW LV WKDW RI D VWDJQDQW SRRO ZLWK ORZ ÀRZV LQ DQG RXW DQG ORQJ XQHPSOR\PHQW GXUDWLRQ” (Blanchard e Portugal, 1998, p. 3). Garibaldi (1998) giunge a conclusioni simili nell’ambito di un modello di PDWFKLQJ modi¿cato dall’assunzione che i licenziamenti possano avvenire solo dopo aver ricevuto un permesso di licenziamento (ad esempio la sentenza di un tribunale), concesso stocasticamente. Ljungqvist (1997) utilizza tecniche computazionali in un modello di equilibrio economico generale per determinare gli effetti di restrizioni ai licenziamenti in tre diversi classi di modelli di determinazione dell’occupazione, cioè VHDUFK6 (Stigler, 1961), PDWFKLQJ (Pissarides, 1985) e ciclo economico reale7 (Rogerson, 1988 Hansen, 1985). Per le due prime classi di modelli, 7 La letteratura di PDWFKLQJ (Pissarides, 1985 Mortensen e Pissarides, 1994) descrive il mercato del lavoro come il luogo in cui avvengono gli incontri (PDWFK) fra disoccupati e posti di lavoro (YDFDQFLHV), basandosi sull’ipotesi che questo processo richieda risorse e tempo. Il PDWFK genera un surplus che viene diviso fra lavoratore e datore di lavoro. In tale contesto, si analizza come il processo di creazione e distruzione di posti di lavoro reagisca a shock di varia natura, e quale sia il ruolo delle regole di suddivisione del surplus nel determinare tale reazione. 8 Questo secondo fenomeno viene ricondotto ad un duplice motivo: a) dato che in media i lavoratori sono meno produttivi, il salario deve diminuire di conseguenza, la durata cresce in modo tale da moderare le richieste salariali b) i costi di aggiustamento aumentano il potere contrattuale dei lavoratori, e di nuovo una maggiore durata della disoccupazione è necessaria per evitare una crescita salariale non sostenibile dalle imprese. 9 Nei modelli di VHDUFK, un disoccupato riceve in ogni periodo un’offerta di lavoro ad un dato salario, estratto da una distribuzione di probabilità nota. Il lavoratore deve quindi decidere se accettare il salario, che rimane poi ¿sso nel tempo, o ri¿utarlo e continuare a cercare, nella speranza di ottenere un’offerta migliore in futuro. Rispetto ai modelli di PDWFKLQJ, quindi, solo il lato dell’offerta di lavoro viene modellato. Si veda Sargent (1987) per un’introduzione alla letteratura. : Nei modelli di Rogerson (1988) e Hansen (1985) si assume che vi sia un’indivisibilità nel numero di ore che un lavoratore può lavorare, a causa ad esempio di vincoli amministrativi alla durata della giornata lavorativa. 13 gli effetti dei costi di licenziamento sulla disoccupazione media sono ambigui e per lo più tendono a ridurla, in quanto un minor turnover riduce la disoccupazione frizionale. Fa eccezione il modello di PDWFKLQJ nell’ipotesi che le restrizioni ai licenziamenti aumentino il potere contrattuale dei lavoratori, nel qual caso un livello più alto di disoccupazione è necessario per ristabilire la redditività delle imprese, riducendo il tempo medio richiesto per coprire una posizione vacante. Per la terza classe di modelli, i costi di licenziamento tendono a ridurre l’occupazione, in accordo con i risultati del modello più generale di Hopenhayn e Rogerson (1993). Le ipotesi sottostanti a questo risultato sono tuttavia discutibili: viene assunto che la tassa sui licenziamenti venga restituita ai lavoratori sotto forma di trasferimento OXPSVXP, producendo così un effetto negativo sull’offerta di lavoro. Alvarez e Veracierto (1998) estendono l’analisi di Hopenhayn e Rogerson (1993) introducendo frizioni (VHDUFK) nel processo di riallocazione e mercati assicurativi incompleti. Soluzioni numeriche del modello mostrano che in tal caso l’introduzione di costi di licenziamento riduce la disoccupazione media, abbassando la disoccupazione frizionale e aumentando l’impegno nella ricerca di un lavoro da parte dei disoccupati, in quanto la stabilità occupazionale garantita dai costi di licenziamento aumenta la desiderabilità dell’occupazione stessa. 2.1 /¶HYLGHQ]D HPSLULFD Una rassegna completa dell’evidenza empirica e una sua valutazione critica va al di là degli scopi del presente lavoro. L’analisi empirica degli effetti della rigidità presenta infatti grossi problemi metodologici, dovuti fra le altre cose alla dif¿coltà di misurare il grado di rigidità di un sistema, di determinare la direzione di causalità fra rigidità e disoccupazione, di tener conto dai ritardi che intercorrono fra i cambiamenti istituzionali e il dispiegarsi dei loro effetti nel mercato del lavoro. Questi problemi rendono necessaria molta cautela nell’interpretare l’evidenza empirica. In questa sezione si mira semplicemente a evidenziare alcuni “fatti stilizzati” che emergono da tale letteratura, al ¿ne di offrire una valutazione preliminare dei modelli passati in rassegna nella sezione precedente. L’(PSOR\PHQW 2XWORRN dell’OCSE (OCSE, 1999) contiene sia una rassegna della letteratura empirica sia una serie di nuovi risultati a cui il lettore interessato è rimandato. Vengono qui riassunte Di conseguenza, piuttosto che scegliere la quantità di lavoro a un dato salario, gli agenti scelgono la probabilità di lavorare a tale salario. In conseguenza a questo accorgimento, a una funzione di offerta di lavoro individuale poco elastica rispetto al salario ne corrisponde una in¿nitamente elastica a livello aggregato. 14 brevemente le principali conclusioni di tale studio, basato sulla costruzione di una serie di indicatori di rigidità del mercato del lavoro per i paesi dell’OCSE, utilizzati poi in regressioni FURVVVHFWLRQ per studiarne gli effetti sul mercato del lavoro. In accordo con la maggior parte degli studi precedenti, l’(PSOR\PHQW 2XWORRN non individua effetti signi¿cativi delle misure della rigidità del mercato del lavoro sul tasso medio di disoccupazione. Qualche effetto sembra sussistere in termini di tasso di occupazione, un risultato che concorda con quello di un articolo recente di Di Tella e MacCulloch (1998). Come osservato da Nickell (1997) e da Nickell e Layard (1998), tuttavia, ciò potrebbe essere dovuto a una correlazione spuria, in quanto i paesi del Sud-Europa sono quelli con mercati del lavoro più rigidi e con una struttura sociale caratterizzata da un minor tasso di partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Per quel che riguarda la dinamica, lo studio trova una correlazione negativa fra rigidità e diverse misure di turnover8 . Viene inoltre riscontrata una correlazione positiva fra durata media di una posizione lavorativa e la misura di rigidità in¿ne, sia il tasso di entrata che di uscita nella disoccupazione decresce al crescere della rigidità, e la durata della disoccupazione e la quota dei disoccupati di lungo periodo sono entrambi crescenti con il livello di regolamentazione del mercato del lavoro. Queste conclusioni sono in linea con le predizioni del modello teorico. Esiste un ulteriore elemento che emerge dall’analisi empirica che non era possibile ottenere da quella teorica, basata su lavoro omogeneo. Abbiamo dimostrato che in un sistema rigido i disoccupati tendono a esserlo più a lungo, così come gli occupati hanno una minor probabilità di perdere il lavoro di conseguenza, le rigidità possono avere effetti differenziati su diversi gruppi della forza-lavoro. Le analisi dell’OCSE offrono evidenza preliminare riguardo ad alcuni di tali gruppi. I maschi delle classi centrali d’età, che si possono ritenere la componente ; Esiste un ampio dibattito sulla comparazione dei tassi di turnover negli Stati Uniti e in Europa. In particolare, contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, i tassi lordi di creazione di lavoro e di distruzione di lavoro annui sono simili sulle due sponde dell’Atlantico (Boeri, 1996). Bertola e Rogerson (1996) sostengono che questo paradosso è spiegabile con la minor dispersione salariale che caratterizza il mercato del lavoro europeo, la quale indurrebbe un maggior grado di aggiustamento delle quantità in risposta a shocks. Boeri (1999) mostra come questo fatto e i bassi Àussi in entrata e in uscita dalla disoccupazione che caratterizzano le economie rigide siano riconciliabili dall’alta incidenza di impieghi temporanei e dai consistenti Àussi da impiego a impiego, senza transitare attraverso la disoccupazione, di tali economie. Blanchard e Portugal (1998) mostrano come, confrontando l’economia portoghese con quella statunitense, a tassi di creazione e distruzione annuali simili corrispondano tassi trimestrali sensibilmente più alti negli Stati Uniti, a indicazione che le restrizioni ai licenziamenti inibiscono variazioni temporanee dell’occupazione ma siano meno ef¿caci rispetto a quelle di medio-lungo periodo. 15 più forte della forza-lavoro, sono caratterizzati da tassi di occupazione (disoccupazione) molto simili nei diversi paesi, e addirittura crescenti (decrescenti) rispetto alla misura di rigidità. Al contrario, le donne e soprattutto i giovani, vale a dire le componenti più deboli della forza-lavoro, appaiono più esposti agli effetti negativi delle restrizioni nel mercato del lavoro: la disoccupazione giovanile, ad esempio, mostra una correlazione positiva con il livello di rigidità. Una possibile spiegazione è che le restrizioni ai licenziamenti rendono più restii i datori di lavoro ad assumere lavoratori in cerca di prima occupazione, in quanto la loro “qualità” è di dif¿cile valutazione: qualora il loro impiego risulti poco produttivo, diverrebbe necessario affrontare i costi di licenziamento o mantenerli impiegati. In altre parole, chi assume lavoratori al margine del mercato del lavoro produce una esternalità informativa che contribuisce all’immissione del lavoratore nel ciclo produttivo. Un mercato del lavoro poco Àessibile renderebbe più costosa la produzione di tale informazione, rallentando l’introduzione di nuova forza-lavoro nel ciclo produttivo e aumentando quindi la disoccupazione giovanile. Nell’esperienza italiana, tuttavia, questa ipotesi si scontra con l’esistenza di contratti particolarmente Àessibili destinati ai nuovi entranti nel mondo del lavoro, come i contratti di apprendistato e, di più recente creazione, di formazione e lavoro. La tendenza a introdurre forme contrattuali Àessibili è in effetti piuttosto generalizzata nei paesi OCSE, dove negli ultimi anni si è registrato un forte aumento dei contratti a tempo determinato e del lavoro interinale. Una delle linee di ricerca più importanti e stimolanti nell’ambito dello studio del mercato del lavoro è senza dubbio determinare se la permanenza del tasso di disoccupazione giovanile su livelli elevati, seppur in presenza di qualche lieve miglioramento (OCSE, 1999), sia dovuta alla rigidità del sistema, a causa di potenziali inadeguatezze delle forme contrattuali introdotte, o abbia piuttosto radici diverse. In conclusione, questa classe di modelli non determina effetti diretti rilevanti delle restrizioni ai licenziamenti sul tasso di disoccupazione, mentre ne individua alcuni sulla dinamica e sui Àussi. Queste predizioni trovano supporto empirico, pur fra i mille FDYHDW che l’analisi empirica richiede. Per individuare gli effetti della Àessibilità sull’occupazione sembra quindi necessario allargare l’orizzonte dell’analisi lungo due direttive: da una parte, considerare gli effetti indiretti della Àessibilità nel mercato del lavoro dall’altra, chiedersi come il concetto di Àessibilità possa essere allargato al di là del semplice concetto di rigidità dell’occupazione. 16 5HVWUL]LRQL DL OLFHQ]LDPHQWL H ULJLGLWj VDODULDOH In una recente rassegna per l’+DQGERRN RI /DERU (FRQRPLFV, Bertola (1998) evidenzia una regolarità empirica secondo la quale paesi con maggiori restrizioni ai licenziamenti tendono ad essere caratterizzati da salari alti e poco differenziati e da alta disoccupazione. Questa osservazione suggerisce l’importanza di studiare come le norme a protezione degli occupati interagiscano con altri aspetti istituzionali del mercato del lavoro nella determinazione congiunta di salari e occupazione. Esiste un forte grado di complementarietà fra restrizioni alle quantità e ai prezzi, nel senso che, per essere ef¿caci, le une necessitano delle altre. Se i salari fossero rinegoziabili in ogni periodo, a fronte di uno shock negativo il costo di licenziamento potrebbe essere neutralizzato offrendo un salario più basso e quindi inducendo un abbandono o riportando il costo del lavoro in linea con la sua produttività. Lo stesso vale nella direzione opposta. Compressione salariale, intesa come il divieto di differenziare i salari fra diversi lavoratori con mansioni simili, e restrizioni ai licenziamenti assicurano una forte protezione al salario degli occupati anche in presenza di alta disoccupazione. Se, a fronte di un salario ¿sso per gli occupati, fosse possibile licenziare per assumere nuovi lavoratori, in presenza di disoccupazione la rigidità del salario degli assunti sarebbe vulnerabile all’offerta di lavoro dei disoccupati. Se tuttavia è illegale offrire un salario più basso ad un nuovo lavoratore per la stessa mansione, le imprese non sono in grado di aggirare la rigidità dei salari attraverso questo canale.9 Questi esempi chiariscono che, per essere ef¿caci, le norme a protezione del lavoro devono riguardare sia le quantità (restrizioni ai licenziamenti) che i prezzi (rigidità e compressione salariale). Bertola (1998) si spinge oltre, sostenendo che la combinazione di questi due fattori offre una forte protezione agli occupati, aumentandone il potere contrattuale e inducendo quindi, in presenza di shocks, una crescita salariale più alta di quella che < Oltre a fattori istituzionali, un ulteriore elemento di protezione dei salari degli occupati ha una natura più strettamente economica. Come abbiamo visto, mercati del lavoro rigidi sono caratterizzati da una durata più lunga della disoccupazione. Come argomentato da più parti (Blanchard e Summers, 1986), disoccupati di lungo periodo divengono via via meno occupabili, per cui la pressione salariale da essi esercitata si riduce col crescere della durata della disoccupazione. In altre parole, la disoccupazione di lungo periodo non metterebbe in moto i meccanismi automatici di riassorbimento, e tenderebbe quindi a perdurare, un fenomeno noto come isteresi. 17 altrimenti si veri¿cherebbe. Questa idea è supportata dall’evidenza sulla similarità dei tassi di occupazione dei maschi delle classi centrali d’età fra i paesi OCSE, a fronte di ampie differenze per le altre categorie. In particolare, il fatto che mercati del lavoro rigidi tendono ad essere caratterizzati da tassi di occupazione più bassi per i giovani e le donne suggerisce che la rigidità può aver effetti differenziati su categorie diverse. Veri¿care la correttezza di questa linea di analisi costituisce un compito importante del futuro lavoro di ricerca sia empirica sia teorica, che dovrebbe porre al centro dell’indagine la determinazione congiunta di domanda e offerta di lavoro, determinazione del salario e caratteristiche istituzionali del mercato del lavoro. L’analisi empirica di questo tema costituisce un campo di ricerca aperto, in quanto vi è decisamente poca evidenza in proposito. Nel suo studio su legislazione a protezione del lavoro e occupazione, Lazear (1990) considera la possibilità che gli effetti negativi da lui individuati delle misure a protezione del lavoro sull’occupazione siano dovuti alla potenziale correlazione fra protezione del lavoro e dinamica salariale. La (debole) evidenza da lui addotta contro questa possibilità si basa sull’osservazione che, nel suo campione di 29 paesi industrializzati su un periodo di 29 anni, non sembra esservi concomitanza sistematica fra cambiamenti nella legislazione a protezione del lavoro e in quella che ¿ssa il salario minimo. Un tentativo di analisi empirica dell’LQWHUD]LRQH fra i diversi aspetti del sistema nella determinazione della SHUIRUPDQFH del mercato del lavoro è compiuto da Blanchard (1998), Blanchard e Wolfers (1999). Pur basati su un approccio di forma ridotta, e quindi non potendosi considerare un vero e proprio avanzamento nell’analisi strutturale di queste tematiche lungo le linee proposte da Bertola (1998), questi lavori sottolineano l’importanza di considerare congiuntamente shocks e istituzioni per spiegare la disoccupazione europea. Secondo gli autori, infatti, nè gli shocks nè i diversi assetti istituzionali possono di per sè spiegare la SHUIRUPDQFH del mercato del lavoro europeo negli ultimi tre decenni. Dal punto di vista degli shocks, vi è un problema “FURVVVHFWLRQ”: essi non differiscono a suf¿cienza tra i paesi da spiegare le diverse esperienze nazionali. In termini di istituzioni, vi sono problemi temporali: buona parte delle istituzioni indicate come potenziali responsabili per l’alta disoccupazione esisteva già all’inizio degli anni settanta, quando il tasso di disoccupazione in Europa era su livelli molto bassi inoltre, negli anni novanta si sono registrati segnali di inversione di tendenza nella legislazione a protezione del lavoro, senza che ciò abbia arrestato la crescita del tasso di disoccupazione per le maggiori economie europee. Utilizzando regressioni SDQHO per una serie di paesi industrializzati, gli autori mostrano che 18 la capacità di spiegare il tasso di disoccupazione aumenta decisamente quando fra le variabili esplicative vengono introdotte le interazioni fra shocks macroeconomici (come la “WRWDO IDFWRU SURGXFWLYLW\´ e il tasso di interesse) e misure di aspetti istituzionali del mercato del lavoro (come il livello dei sussidi alla disoccupazione, il grado di protezione degli occupati e il grado di copertura sindacale). In altre parole, è necessario considerare come gli shock vengano ¿ltrati dalle istituzioni nel determinare la SHUIRUPDQFH del mercato del lavoro. La conclusione che essi traggono per gli sviluppi della disoccuazione europea è moderatamente ottimistica, in quanto gli shocks negativi da essi individuati starebbero scomparendo e le istituzioni si starebbero lentamente trasformando in modo da risultare meno penalizzanti per l’occupazione. Indipendentemente dalla validità dei risultati empirici, rimangono seri dubbi sulla solidità di questa conclusione. In primo luogo, per de¿nizione uno shock è imprevedibile, per cui sembra arbitrario fare asserzioni sul loro andamento futuro. Inoltre, è opinione diffusa che le economie industrializzate siano caratterizzate oggi da un ambiente più dinamico e mutevole rispetto al passato. Questa convinzione è alla base della popolarità che il concetto di Àessibilità ha assunto nel dibattito di politica economica. In effetti, dagli stessi risultati è possibile trarre un giudizio affatto diverso sull’adeguatezza, nel contesto economico contemporaneo, di sistemi istituzionali che hanno trasmesso per periodi così lunghi gli effetti degli shocks negativi dei decenni scorsi. &RPSUHVVLRQH VDODULDOH LPPRELOLWj WHUULWRULDOH H VRWWRFFXSD]LRQH L’impossibilità di aggiustare i salari alle condizioni economiche ha diverse implicazioni. Fra queste, vale la pena soffermarsi su una particolarmente importante per il caso italiano, vale a dire la determinazione dei salari a livello centralizzato, con scarso margine di negoziazione locale10 . Questo tipo di rigidità salariale può infatti aiutare a spiegare il fenomeno dell’alta e persistente disoccupazione nel Mezzogiorno11 . Si consideri di nuovo lo schema analitico proposto in precedenza. Invece di considerare c ' i,c j come diverse realizzazioni della produttività nel tempo le si pensi come il livello 43 L’analisi si concentra su un singolo aspetto della contrattazione centralizzata, non considerando ad esempio i bene¿ci derivanti in termini di risposta coordinata a shock aggregati: Nickell (1997), in uno studio della disoccupazione nei paesi OCSE, trova una correlazione negativa fra livello di coordinamento fra sindacati e imprenditori nella ¿ssazione del salario e livello di disoccupazione. 44 Si veda Faini (1997) per un’analisi, in un contesto di crescita, degli effetti della contrattazione centralizzata sulla convergenza fra regioni a diversi stadi di sviluppo in un modello con lavoratori con diversi tipi di capitale umano (VNLOOHG e XQVNLOOHG). 19 di produttività di due regioni Nord e Sud, caratterizzate da una forza lavoro LPPRELOH (punto su cui torneremo più sotto), dove R rappresenta il peso relativo della regione Nord nell’economia. Per illustrare gli effetti del salario sull’occupazione è necessario introdurre esplicitamente l’offerta di lavoro. Per mantenere la trattazione al maggior livello di semplicità possibile, si assume che ogni individuo scelga il livello di consumo e di lavoro per massimizzare: MaxtSc, L ESc , ' *L} S (8) 2 , c 2k2 s.t. S ' ,c k: Risolvendo, si ottiene ,r E ' k e S ' k. Come noto, per la funzione di utilità logaritmica nel consumo effetto di reddito e di sostituzione si compensano esattamente, cosicchè l’offerta di lavoro è indipendente dal salario. Se i salari sono determinati a livello locale, ricordando che le condizioni di primo ordine dell’impresa implicano ,_ E ' *, si ottiene che l’occupazione è pari ad k in entrambe le regioni e che il salario è pari a k , cosicchè la regione a più alta produttività è caratterizzata da un salario più elevato12 . Si supponga ora che il salario sia lo stesso nelle due regioni e venga ¿ssato come media ponderata del salario che si determinerebbe in ciascuna regione: (9) 7' b n E b, c k b 5 Efc Rispetto alla situazione precedente, il salario è più basso al Nord e più alto al Sud. Dato che il salario è predeterminato, l’occupazione regionale è determinata dal minimo fra domanda e offerta al dato salario (Figura 1). Si assuma che, nel caso vi sia un eccesso di offerta di lavoro, tutti i lavoratori vengano razionati in egual misura13 . Nella regione ad alta produttività vi è un eccesso di domanda di lavoro, cosicchè l’occupazione è pari a k, mentre nell’altra vi è un eccesso di offerta, cosicchè l’occupazione è determinata dalla domanda di lavoro al salario vigente: (10) u, E 7 ' u_, E 7 ' k, k b n E b, 45 Utilizzando una funzione di utilità in cui l’effetto di reddito è più forte di quello di sostituzione, si ottiene che la regione a più alta produttività è caratterizzata simultaneamente da un salario più alto e da un livello di occupazione più elevato. 46 Questa assunzione appare realistica in termini empirici, in presenza di reti sociali, sia di natura familiare che pubblica, che funzionino da meccanismi assicurativi fra occupati e disoccupati. 20 Figura 1 2&&83$=,21( ( 6$/$5,2 ,1 0(5&$7, '(/ /$9252 6(*0(17$7, E 7 D , A C u_ B u_, 7_ u , ! ur u La regione a bassa produttività soffre quindi di disoccupazione cronica di tipo classico, in quanto al salario vigente vi è un eccesso di offerta di lavoro. La disoccupazione è tanto più alta quanto maggiore è il differenziale di produttività E , e quanto più alto il peso b della regione ad alta produttività nella determinazione del salario . 7 Ad esempio, se si assume che il peso sia pari alla dimensione relativa delle regioni, cosicchè b ' R, allora il livello di disoccupazione è tanto più alto quanto maggiore il peso della regione ad alta produttività sul totale dell’economia. Il costo sociale in termini di somma del surplus dei 7 _ ur ( nella Figura 1. Si noti produttori e consumatori è pari all’area compresa fra i punti u , tuttavia che, prendendo alla lettera le implicazioni del modello, particolarmente riguardo alle ipotesi sulla funzione di produzione, tale costo è sopportato totalmente dalle imprese, in quanto l’elasticità unitaria della domanda di lavoro implica che il monte salari non cambi al variare di 7 _ ur e , (7 sono uguali). (gra¿camente, le due aree u , Questo tipo di meccanismo ha effetti importanti anche sulla regione ad alta produttività: anche se la ¿ssazione di un salario centralizzato implica che il surplus totale (pari all’area sottostante la curva u_ fra zero e ur ) non cambi, il salario più basso induce un trasferimento di reddito dai lavoratori alle imprese in misura pari all’area delimitata da . 7 . Questa osservazione implica che le imprese localizzate nella regione ad alta produttività potrebbero avere interesse a favorire un sistema di determinazione salariale centralizzato. 21 In sintesi, l’esempio mostra che la ¿ssazione del salario centralizzato: – genera disoccupazione al Sud e riduce il surplus totale dell’economia – redistribuisce risorse fra i vari gruppi penalizzando i lavoratori del Nord e le imprese del Sud. L’ipotesi fondamentale su cui si basa questo esempio è che il lavoro è immobile fra le due regioni. In presenza di disoccupazione cronica in una regione e di piena occupazione nell’altra, ci si attenderebbe che i lavoratori si muovessero in modo tale da riequilibrare il mercato, aumentando l’offerta di lavoro nella regione con eccesso di domanda e viceversa. L’immobilità territoriale è quindi una componente essenziale dell’equilibrio con alta disoccupazione. Questa osservazione suggerisce che, per spiegare la SHUIRUPDQFH deludente del mercato del lavoro italiano, è importante ampliare il concetto di rigidità rispetto alle accezioni ristrette ¿no ad ora adottate: in particolare, in questo caso vale la pena interrogarsi sul problema della mobilità territoriale. &UHVFLWD In questo paragrafo si affronta il problema del rapporto fra rigidità e tasso di crescita dell’economia. Esistono diversi canali attraverso cui la rigidità potrebbe inÀuenzare la crescita di un’economia, in particolare attraverso gli effetti sull’attività di innovazione, di riallocazione dei fattori produttivi, di adozione di nuove tecnologie e di accumulazione. Sorprendentemente, questo problema ha ricevuto poca attenzione nell’ambito del massiccio sviluppo della QHZ JURZWK WKHRU\ dell’ultimo decennio. Anche dal punto di vista empirico, pochissimo è stato fatto, in parte comprensibilmente, data la dif¿coltà di isolare il contributo della Àessibilità, già di per se dif¿cile da misurare, al tasso di crescita dell’economia. In questa sezione ci si concentra su un particolare canale attraverso cui la Àessibilità può inÀuenzare la crescita, vale a dire il processo di accumulazione. L’analisi si basa praticamente su un solo lavoro (Bertola, 1994) e quindi le conclusioni vanno prese con molta cautela. Nella Sezione 2 è stato mostrato che, mentre le restrizioni ai licenziamenti non hanno effetti di primo ordine sul livello di occupazione, esse tendono a diminuire i pro¿tti delle imprese, impossibilitate ad adattarsi al meglio ad eventuali cambiamenti delle condizioni in cui operano. Questo risultato può avere effetti importanti sul processo di accumulazione e quindi di crescita. Per formalizzare questa idea, è necessario introdurre qualche modi¿ca al modello 22 delle sezioni precedenti. In primo luogo, viene precisata l’interpretazione del parametro : piuttosto che un semplice shock alla produttività, in questa sezione esso viene inteso come il livello di un fattore accumulabile, nella tradizione dei modelli di crescita endogena di tipo g. E’ utile riferirsi a tale fattore come al capitale14 . In ogni periodo la produzione dipende sia dal livello accumulato di che dalla realizzazione dello shock tecnologico: ' c ' ic ,jc : ,c dove hi ' j ' R. In secondo luogo, assumiamo che la produzione avvenga non attraverso una funzione di produzione aggregata, ma attraverso un FRQWLQXXP di massa unitaria di siti di produzione, ciascuno identico agli altri in termini di dotazione di fattore accumulabile 15 . Gli shock sono distribuiti indipendentemente sia nel tempo che fra gli impianti. La produzione aggregata è pari a: ] t ' (11) f *L} u _ dove u è la quantità di lavoro impiegata nei siti che hanno ricevuto lo shock tecnologico . Poichè vi sono un FRQWLQXXP di siti, non vi è incertezza a livello aggregato: in ogni periodo, la quota di siti con alta produttività è pari alla probabilità che il valore dello shock sia , cosicchè l’output aggregato può essere riscritto come: t ' ER *L} u n E R, *L} u, (12) I lavoratori vengono formalizzati come nella sezione precedente. Sulla scorta di quanto visto, assumiamo che i salari non possono differire fra gli impianti e che dipendono dal livello medio di produttività: (13) E ' R n E R, ER n E R, ' k k 47 Nella letteratura, il fattore con ritorni di scala costanti viene individuato come il progresso tecnico. I risultati di questo paragrafo vanno quindi intesi in senso più generale rispetto al concetto di capitale ¿sico, e si applicano a fattori cumulabili quali l’innovazione tecnologica e il capitale umano. 48 L’allocazione omogenea del capitale fra gli impianti potrebbe essere derivata endogenamente assumendo che l’attribuzione vada decisa prima che si realizzino gli shocks tecnologici, in accordo con la relativa irreversibilità degli investimenti e con i ritardi che caratterizzano i processi di investimento, e che i ritorni di scala siano decrescenti a livello di singolo sito ma costanti a livello aggregato. Questa generalizzazione non altererebbe in nessun modo i risultati, introducendo un ulteriore grado di complessità, e non è quindi perseguita in questo lavoro. 23 Assumiamo in¿ne che esista un “imprenditore rappresentativo” che detiene la proprietà del fattore accumulabile e ne decide il percorso di accumulazione. L’assenza di incertezza aggregata fa sì che egli risolva un problema deterministico in termini di risparmio, un risultato che sempli¿ca fortemente l’analisi16 . L’imprenditore non offre lavoro e ha preferenze sul consumo di tipo logaritmico: " [ .i q *L} SE|j MaxtS| " |'f | (14) 'f | (15) s.t. E| n ' E n oE| SE| dove, dato che non vi è incertezza aggregata, il rendimento del capitale o (che coincide con i pro¿tti medi) è una variabile deterministica, pur in presenza di shocks a livello di singoli impianti. La soluzione di questo problema è ben nota: l’equazione di Eulero che regola la dinamica del consumo ha la forma: S n ' qE n oS (16) | | Per dato valore iniziale Ef, il fattore accumulabile e il consumo seguono i percorsi (17) (18) E| ' dE n o7qo SE| ' dE n o7qo | | Ef E q2 no _ Ef ' En oE qE| q Fintanto che E n o7 è più alto dell’inverso del tasso di sconto intertemporale *q, l’economia sarà caratterizzata da una crescita inde¿nita del consumo e dello stock di capitale, un risultato classico nei modelli di crescita endogena. Dato che il tasso di crescita del fattore accumulabile è pari a E n o7q , ne segue che (19) YE* 'q:f Y7 o 49 In modo equivalente, si può assumere che vi sia una molteplicità di imprenditori, ciascuno con la stessa quota del fattore accumulabile. In tal caso, bisognerebbe assumere in aggiunta che i mercati dei capitali siano completi e che quindi gli imprenditori possano diversi¿care completamente il rischio idiosicratico, ad esempio detenendo quote di un portafoglio composto dalla totalità dei siti nell’economia. 24 Il tasso di accumulazione del capitale è quindi crescente nel rendimento atteso del capitale stesso. Si considerino ora le economie Àessibile e rigida Esc o in appendice viene dimostrato che per entrambe i pro¿tti sono lineari in , cosicchè il rendimento medio e quello marginale sono indipendenti dal livello di . Di conseguenza, se indichiamo con o7 il tasso di rendimento s del capitale nell’economia Àessibile e con o7 quello nell’economia rigida, il fatto che i pro¿tti o attesi siano inferiori nell’economia rigida, come dimostrato nella Proposizione 1 in appendice, implica che o7 s : o7 17 . Utilizzando questo risultato e l’equazione 19, arriviamo a una o conclusione importante: l’economia rigida cresce a un tasso inferiore di quella Àessibile. In questo semplice modello la rigidità del mercato del lavoro limita la capacità di pro¿tto degli imprenditori, con conseguenze negative sul tasso di crescita del fattore accumulabile e quindi dell’economia nel suo complesso. Lungo un sentiero di crescita bilanciato, infatti, il tasso di crescita del prodotto e del salario è pari a quello del fattore accumulabile: * '+ *+ ' *. Bertola (1994) giunge allo stesso risultato in un modello più generale. Nel suo caso, le restrizioni ai licenziamenti hanno un effetto GL LPSDWWR che implica una maggior intensità del fattore lavoro, e quindi una redistribuzione a favore dei lavoratori. Quando tuttavia vengono considerati gli effetti di equilibrio economico generale sul processo di accumulazione, le conclusioni cambiano, in quanto i costi di licenziamento riducono il tasso di crescita dell’economia e dei salari, con effetti negativi sul livello di benessere di tutti gli agenti. Caballero e Hammour (1998) raggiungono conclusioni simili partendo da premesse diverse. Essi pongono al centro della loro analisi il concetto di DSSURSULDELOLWj, vale a dire il fatto che, in presenza di investimenti speci¿ci, cioè legati alle caratteristiche dell’altro fattore e non immediatamente reimpiegabili altrove, una delle due parti (lavoratori-imprenditori) possa ex-post appropriarsi di una parte più consistente del prodotto rispetto a quella “concordata” all’atto della decisione di investimento. A loro avviso, la legislazione a protezione del lavoro sviluppatasi fra la ¿ne degli anni sessanta e gli anni settanta ha aumentato il potere contrattuale dei lavoratori, aumentando la loro capacità di appropriazione e inducendo un temporaneo aumento della quota del lavoro nella divisione del prodotto. Nel breve periodo, infatti, l’offerta di capitale è inelastica e l’elasticità di sostituzione fra i due fattori bassa, per cui esiste 4: Come visto, questo risultato dipende dal fatto che nell’economia Àessibile il lavoro viene allocato in maniera più ef¿ciente, assegnandone una maggior quota ai siti con alta produttività, in modo da uguagliare la produttività marginale di tutti gli impianti, massimizzando quindi l’output. 25 poco margine di riduzione dell’appropriazione. Nel lungo periodo, tuttavia, l’elasticità di sostituzione è sensibilmente più alta, in quanto le imprese possono scegliere diverse tecnologie di produzione. Di conseguenza, esse si sono orientate su tecnologie a minor intensità di lavoro, sostituendo capitale a lavoro e riducendo la quota di quest’ultimo nella divisione del prodotto18 . Questo fenomeno può avere effetti negativi sulla crescita, perchè la tecnologia utilizzata non è la più ef¿ciente e, una volta che la dinamica ha fatto il suo corso, può condurre a una riduzione della quota del lavoro rispetto al livello iniziale, fatto che a loro avviso è rintracciabile nella moderazione salariale che ha caratterizzato le economie europee negli anni novanta. L’analisi di Caballero e Hammour (1998) sottolinea quindi il ruolo delle regole di divisione del surplus: regole che favoriscono l’appropriazione delle rendite da parte di un fattore indurranno nel lungo periodo uno spostamento dell’altro fattore verso tecnologie che riducano tale possibilità. Nel loro modello si assume che l’investimento speci¿co (e quindi appropriabile) venga effettuato dall’impresa, e che le rigidità favoriscano l’appropriazione da parte del lavoratore. È importante notare, tuttavia, che il ragionamento può essere ribaltato. Uno dei motivi più frequentemente citati (OCSE, 1994) a favore delle restrizioni ai licenziamenti è che essi indurrebbero un rapporto stabile fra lavoratore e impresa, incentivando quindi il lavoratore a investire in capitale umano speci¿co, in quanto protetto dalla possibilità di appropriazione da parte dell’impresa. Inoltre, in presenza di mercati dei capitali imperfetti, le restrizioni ai licenziamenti riducono le Àuttuazioni individuali del reddito e quindi hanno un effetto positivo sul benessere dei lavoratori attraverso la stabilizzazione intertemporale del consumo. Ad esempio, in presenza di mercati dei capitali incompleti, restrizioni ai licenziamenti nella forma di pagamento di una buonuscita potrebbero far parte di un contratto ottimo fra lavoratori e imprenditori. Esse costituiscono infatti una forma di assicurazione di lavoratori avversi al rischio da parte di imprese neutrali rispetto al rischio, nello spirito dei modelli di “LPSOLFLW FRQWUDFWV” (Rosen, 1985). Tale modello di relazioni aziendali sarebbe alla base dei sistemi a occupazione stabile, come quello tedesco e giapponese, in contrasto con quello statunitense. La miglior SHUIRUPDQFH di quest’ultimo negli anni novanta non deve far dimenticare il diverso giudizio prevalente nel decennio precedente sui diversi sistemi organizzativi. 4; Queste considerazioni sono coerenti con l’andamento del processo di accumulazione e dell’occupazione in Europa e negli Stati Uniti descritto in Caselli HW DO (1999). 26 5.1 7UDQVL]LRQH H VWDWR VWD]LRQDULR Una delle maggiori dif¿coltà nello spiegare l’alta disoccupazione europea in termini di scarsa Àessibilità del mercato del lavoro è di natura temporale. Come osservato, fra gli altri, da Blanchard (1998), il tasso di disoccupazione in Europa era relativamente basso durante gli anni settanta, quando gran parte delle restrizioni erano già presenti, e ha raggiunto il massimo livello negli anni novanta, quando al contrario sono state introdotte misure che hanno aumentato la Àessibilità del mercato del lavoro. Sulla base dell’analisi di questa sezione emerge una possibile spiegazione di questa contraddizione19 . L’introduzione di restrizioni ai licenziamenti nei primi anni settanta ha senza dubbio contribuito a limitare gli effetti degli shock petroliferi sull’occupazione, riducendo così il livello di disoccupazione che si sarebbe altrimenti veri¿cato. Gli effetti di equilibrio economico generale di lungo periodo avrebbero tuttavia gradualmente innalzato il livello di equilibrio della disoccupazione. Al raggiungimento solo graduale del nuovo equilibrio avrebbero contribuito le restrizioni stesse, che avrebbero rallentato il processo di riduzione dell’occupazione, prolungandolo agli anni successivi. Circa l’aumento della disoccupazione negli anni novanta, Bertola e Ichino (1995) propongono un’ipotesi interessante. L’introduzione di un maggior grado di Àessibilità in Europa nell’ultimo decennio avrebbe seguito un percorso incerto e accidentato. Di conseguenza, mentre le imprese con necessità di ridurre la forza lavoro avrebbero appro¿ttato della nuova opportunità (come testimonia ad esempio il forte aumento della distruzione dei posti di lavoro veri¿catosi in Italia nel 1993), quelle che avrebbero voluto espandere l’occupazione potrebbero avervi rinunciato per l’incertezza sulla credibilità del processo. Se una volta assunti nuovi lavoratori, il processo diretto a rendere più Àessibile il mercato del lavoro avesse subito battute d’arresto o addirittura inversioni di tendenza, si sarebbero trovate in dif¿coltà a fronteggiare eventuali shock negativi. In altre parole, un processo incerto di riforma avrebbe lasciato il mercato del lavoro “in mezzo al guado”, vale a dire in una situazione in cui la maggior Àessibilità ha attivato la distruzione dei posti di lavoro in eccesso, ma non la creazione di nuovi posti. 4< Si veda Sestito (1997) per un quadro d’insieme delle ipotesi interpretative. 27 Il processo di creazione di posti di lavoro richiede tempo e risorse, a differenza della loro distruzione che, in mancanza di vincoli istituzionali, può avvenire in maniera istantanea (Mortensen e Pissarides, 1994). Il passaggio a un sistema più Àessibile, pur avendo potenziali bene¿ci sulla crescita di stato stazionario, può avere un effetto immediato negativo, in quanto le imprese con eccesso di forza lavoro licenzieranno immediatamente, mentre quelle in fase espansiva assumeranno gradualmente. Bertola e Ichino (1995) sottolineano che questo effetto negativo potrebbe durare tanto più a lungo quanto meno credibile appare il processo di riforma del mercato del lavoro. &RQFOXVLRQL In questo lavoro si è cercato di riassumere lo stato del dibattito teorico sul ruolo della Àessibilità nel mercato del lavoro nella determinazione della SHUIRUPDQFH delle economie europee. E’ stato mostrato che gli effetti “diretti” sono importanti nella determinazione della variabilità ciclica dell’occupazione, della durata della disoccupazione e del tasso di WXUQRYHU, mentre non sembrano in grado di rendere conto dell’alto tasso di disoccupazione che caratterizza l’economia europea. L’analisi è stata quindi estesa lungo due direzioni, da una parte considerando gli effetti indiretti della rigidità, dall’altra generalizzando il concetto di Àessibilità di un sistema economico. Dal punto di vista degli effetti indiretti, sono state raggiunte le seguenti conclusioni. A. Una possibile spiegazione dell’alta disoccupazione è che un alto grado di rigidità del mercato del lavoro tenda ad accompagnarsi a un alto tasso di crescita dei salari reali, in quanto le restrizioni ai licenziamenti e le rigidità che a esse si accompagnano aumentano il potere contrattuale degli occupati, proteggendoli dalle pressioni al ribasso esercitate dai disoccupati. B. La maggior durata della disoccupazione può indurre effetti indiretti importanti, sia perchè i disoccupati di lungo periodo tendono a non esercitare pressioni salariali che contribuirebbero al loro riassorbimento (isteresi), sia perchè essa costituirebbe una barriera all’entrata importante per i giovani, un problema molto rilevante in Europa. C. In presenza di immobilità territoriale, la ¿ssazione di salari uniformi ha effetti negativi sull’occupazione delle regioni a più bassa produttività, svantaggia le imprese di tale regione e i lavoratori di quella ad alta produttività. 28 D. La rigidità può avere un impatto negativo sul processo di accumulazione e di crescita, collegato alla minor redditività del capitale. In termini di futura ricerca, appare particolarmente importante allargare il concetto di Àessibilità, estendendolo ad altri aspetti del sistema economico, piuttosto che limitarsi al mercato del lavoro. Una lista di argomenti da approfondire dovrebbe contenere la Àessibilità del capitale umano, che dipende dal livello e dalla qualità dell’istruzione fornita dal sistema scolastico l’offerta di lavoro, legata alla mobilità territoriale e quindi all’ef¿cienza del mercato immobiliare e alla rete di protezione sociale e familiare il processo di entrata e di uscita sia delle imprese sia dei lavoratori autonomi, che dipende, fra le altre cose, dall’ef¿cienza della Amministrazione pubblica, dalle dotazioni infrastrutturali e dall’esistenza di vincoli corporativi che funzionino da barriere all’entrata il sistema di “FRUSRUDWH JRYHUQDQFH” delle imprese il mercato del credito, particolarmente per quel che riguarda il ¿nanziamento dell’attività di innovazione. Sarà poi necessario formulare strategie concrete di riforma del sistema economico in generale e del mercato del lavoro in particolare. Esiste una letteratura corposa su tali argomenti, dalla quale ci limitiamo a estrarre due indicazioni20 : – In quanto potenzialmente lesivo degli interessi di gruppi speci¿ci con una forte rappresentanza politico-sociale, la riforma del mercato del lavoro va incontro a resistenze tenaci. Vi sono tuttavia misure che possono alleviare il problema, attribuendo una maggior rappresentatività ai soggetti più danneggiati dallo VWDWXV TXR. Ad esempio, l’uso di contratti a tempo determinato può aiutare a compiere una “riforma a due stadi” (Saint-Paul, 1998), in cui a mano a mano che i disoccupati vengono assunti con contratti temporanei aumenta il loro potere rappresentativo. – Vi sono forti complementarietà nel processo di riforma. Secondo Orzag e Snower (1998), le politiche di riforma del mercato del lavoro sono caratterizzate da un alto grado di complementarietà sia a livello economico (più ef¿caci se introdotte simultaneamente) sia politico (più facili da approvare se introdotte simultaneamente). Alcuni esempi sono: politiche d’offerta saranno più ef¿caci se accompagnate da politiche che stimolino la domanda politiche di sostegno all’assunzione di disoccupati di lungo periodo produrranno 53 Si veda ad esempio Saint-Paul (1998) per l’analisi della SROLWLFDO HFRQRP\ della riforma del mercato del lavoro, e i lavori in Snower e de la Dehesa (1997, a cura di) per misure effettive di riforma. 29 risultati migliori se il sistema di sussidi di disoccupazione è disegnato in modo da massimizzare gli incentivi al rientro nel ciclo produttivo da parte di tali disoccupati l’approvazione di misure dirette ad aumentare la Àessibilità del mercato del lavoro incontrerebbe minori resistenze se accompagnata dall’introduzione di un sistema di sussidi di disoccupazione ben congegnato, tuttora mancante in Italia. Queste ultime considerazioni appaiono particolarmente importanti, e sottolineano come per una riforma ef¿cace del sistema economico sia necessario affrontare simultaneamente una serie di tematiche fra loro connesse. È questo un tema di riÀessione che merita un approfondimento. $SSHQGLFH GLPRVWUD]LRQL PROPOSIZIONE 1: La produzione e i pro¿tti medi sono minori nell’economia rigida. 'LPRVWUD]LRQH La dimostrazione che i pro¿tti medi sono più alti nell’economia Àessibile è immediata. Per de¿nizione, us è il livello di lavoro che attiene l’unico massimo della funzione di pro¿tti in ciascun stato: us E Argmaxu i *L} u uj (20) Poichè uo 9' us Ec ' ic ,j i pro¿tti in ciascuno stato sono più alti nell’economia Àessibile, e quindi anche i pro¿tti medi. In termini di produzione, si de¿nisca w, , w : . Vogliamo dimostrare che, ;R 5 Efc , (21) Rw, *L}E w, , Rw, n E R, n E R, *L}E : ERw, n E R, *L}E Riarrangiando i termini, l’espressione si riduce a: Rw *L} w : ERw n E R *L}ERw n R (22) Si considerino due funzioni KERc SER, de¿nite rispettivamente dal lato destro e sinistro della disuguaglianza precedente. È immediato veri¿care che: A. KEf ' SEf( KE ' SE. B. K ER ' w *L} w : f. C. S ER ' Ew *L}EREw n n w :0. D. S ER ' REEww 3 2 3n : f. In altre parole, KER è lineare e crescente, mentre SER è crescente e strettamente convessa. Poichè le due assumono lo stesso valore per R ' fc R ' , dalla convessità di SER ne consegue che KER : SER ;S 5 Efc . 31 PROPOSIZIONE 2: Sotto le ipotesi della Sezione 4, i pro¿tti sono lineari in A per entrambe le economie. 'LPRVWUD]LRQH R, Si rammenti che il salario è pari a E ' ERnE . Si consideri l’economia k 3 Àessibile. La quantità del fattore lavoro utilizzata in un sito a produttività è pari a uEc c ' (23) k ' R n E R, Sostituendo la 23 nella funzione di pro¿tto, si ottiene *L} uEc c uEc c ' *L}E (24) k R n E R, Per l’economia rigida, si ha: (25) uEc ' ER n E R, 'k Sostituendo nella funzione di pro¿tto, si ottiene: (26) *L} uEc uEc ' *L} k ER n E R, In ciascun caso, il pro¿tto totale è una combinazione lineare dei pro¿tti nei siti ad alta e bassa produttività. 5LIHULPHQWL ELEOLRJUD¿FL Alvarez, F. e M. Veracierto (1998), “Search, Self-Insurance and Job-Security Provisions”, mimeo, Federal Reserve Bank of Chicago. Bertola, G. (1998), “Microeconomic Perspectives on Aggregate Labor Market”, versione preliminare per l’+DQGERRN RI /DERU (FRQRPLFV, vol. 3. Bertola, G. (1994),“Flexibility, Investment and Growth”, -RXUQDO RI 0RQHWDU\ (FRQRPLFV, vol. 34, n. 2, pp. 215-38. Bertola, G. e A. 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PISELLI (febbraio 1999). n. 347 — Industrial Districts and Local Banks: Do the Twins Ever Meet?, di A. BAFFIGI, M. PAGNINI e F. QUINTILIANI (marzo 1999). n. 348 — Orari di lavoro atipici in Italia: un’analisi attraverso l’Indagine dell’uso del tempo dell’Istat, di R. TORRINI (marzo 1999). n. 349 — Gli effetti economici del nuovo regime di tassazione delle rendite finanziarie, di R. CESARI (marzo 1999). n. 350 — The Distribution of Personal Income in Post-War Italy: Source Description, Data Quality, and the Time Pattern of Income Inequality, di A. BRANDOLINI (aprile 1999). n. 351 — Median Voter Preferences, Central Bank Independence and Conservatism, di F. LIPPI (aprile 1999). n. 352 — Errori e omissioni nella bilancia dei pagamenti, esportazioni di capitali e apertura finanziaria dell’Italia, di M. COMMITTERI (giugno 1999). n. 353 — Is There an Equity Premium Puzzle in Italy? A Look at Asset Returns, Consumption and Financial Structure Data over the Last Century, di F. PANETTA e R. VIOLI (giugno 1999). n. 354 — How Deep Are the Deep Parameters?, di F. ALTISSIMO, S. SIVIERO e D. TERLIZZESE (giugno 1999). n. 355 — The Economic Policy of Fiscal Consolidations: The European Experience, di A. ZAGHINI (giugno 1999). n. 356 — What Is the Optimal Institutional Arrangement for a Monetary Union?, di L. GAMBACORTA (giugno 1999). n. 357 — Are Model-Based Inflation Forecasts Used in Monetary Policymaking? A Case Study di S. SIVIERO, D. TERLIZZESE e I. VISCO (settembre 1999). n. 358 — The Impact of News on the Exchange Rate of the Lira and Long-Term Interest Rates di F. FORNARI, C. MONTICELLI, M. PERICOLI e M. TIVEGNA (ottobre 1999). n. 359 — Does Market Transparency Matter? a Case Study di A. SCALIA e V. VACCA (ottobre 1999). n. 360 — Costo e disponibilità del credito per le imprese nei distretti industriali di P. FINALDI RUSSO e P. ROSSI (dicembre 1999). n. 361 — Why Do Banks Merge? di D. FOCARELLI, F. PANETTA e C. 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