L`accesso ai documenti amministrativi tra tutela della riservatezza e

L’accesso ai documenti amministrativi tra tutela della riservatezza e garanzia di trasparenza nella Pubblica
Amministrazione 1
Vincenzo Salamone
Presidente della 2^ sezione del Tribunale amministrativo regionale del Piemonte
Sommario: 1. Principi e quadro normativo generale - 2. Gli atti sottratti all’acces so - 3. La definizione di Pubblica Amministrazione ai fini dell’accesso - 4. L’accesso ai
documenti tra pubbliche amministrazioni - 5. La legittimazione all’accesso - 6. Accesso
e diritto alla riservatezza - 7. Il procedimento di accesso - 8. Consiglieri comunali e
accesso speciale - 9. L’accesso in materia ambientale - 10. L’accesso agli atti di gara
- 11. L’accesso ai pareri legali - 12. Accesso agli atti dell’informativa antimafia - 13. La
tutela giurisdizionale del diritto di accesso ai documenti amministrativi - 14. Dal diritto
di accesso al diritto all’informazione
1. Principi e quadro normativo generale
Il diritto d’accesso è ricostruibile quale situazione di diritto soggettivo, e ciò sia in base
alla sua formale definizione, che per i profili della sua concreta disciplina, quali, in particolare:
- la ridotta discrezionalità per le amministrazioni, verificati i presupposti per l’accesso,
nell’adempiere alla pretesa del soggetto richiedente di prender visione ed estrarre copia dei
documenti amministrativi;
- la non necessità che il documento amministrativo sia relativo ad uno specifico
procedimento;
- la devoluzione delle controversie in materia alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo e la correlata previsione della possibilità che tale giudizio si concluda con
l’ordine di un facere per l’Amministrazione pubblica.
La disciplina sostanziale del diritto di accesso costituisce una derivazione del principio di trasparenza dell’azione amministrativa, che è venuto ad affiancare i principi di imparzialità e di buon andamento sanciti all’art. 97 Cost..
La legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) valorizza il principio di pubblicità dell’azione amministrativa, che trova nell’art. 1 un espresso riferimento, di rango primario, implicitamente costituzionalizzato nel combinato disposto costituito dagli artt. 97, 24 e 113 Cost..
1 Relazione scritta della conferenza tenuta presso il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Alba il 31 gennaio 2013.
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La pubblicità del procedimento amministrativo è un principio del patrimonio costituzionale, comune, peraltro, alla tradizione di tutti i Paesi europei e della stessa Unione europea 2.
Si ricava, pertanto, un livello costituzionale di affermazione, che va al di là del riconoscimento dato a questo principio a livello primario dalla legge n. 241 del 1990.
Il riferimento da parte della Corte costituzionale agli artt. 24 e 117 Cost. consente di
cogliere il principio di pubblicità non solo nel suo aspetto statico, cioè il modo in cui la P.A.
sta agendo, ma anche nel suo aspetto dinamico, in quanto consente la tutela dei diritti ed
interessi anche per fini di tutela giurisdizionale o amministrativa.
Nella sentenza della Corte costituzionale 1 dicembre 2006 n. 399 si afferma il principio
che l’accesso ai documenti amministrativi attiene, di per sé, ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost..
2 Il Trattato di Amsterdam, dopo aver affermato che le istituzioni devono agire nel rispetto del principio di trasparenza (art. 1 TUE), ha riconosciuto ai cittadini e ai residenti degli Stati membri un diritto di accesso ai documenti del
Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (art. 255, c. 1 TCE). La disciplina dell’esercizio di tale diritto è stata tuttavia rinviata ad un apposito regolamento contenente “i principi generali e le limitazioni a tutela degli
interessi pubblici e privati” (art. 255, c. 2) e a ciascuna istituzione è stato rimesso il potere di definire “nel proprio
regolamento interno disposizioni specifiche riguardanti l’accesso ai propri documenti” (art. 255, c. 3 e art. 207,
comma 3). Il regolamento (CE) n. 1049 del 2001 ha dato attuazione alle previsioni dell’art. 255 TCE, definendo il
campo di applicazione, i limiti e le modalità di esercizio del diritto di accesso ai documenti del Parlamento europeo,
del Consiglio e della Commissione. Il regolamento ha attribuito rilievo centrale al principio di trasparenza, riconosciuto espressamente dall’art. 1 TUE, in quanto lo stesso “consente una migliore partecipazione dei cittadini al processo decisionale e garantisce una maggiore legittimità, efficienza e responsabilità dell’amministrazione nei confronti dei cittadini in un sistema democratico” (Cfr. il considerando n. 2 del regolamento 1049/2001). Il regolamento
ha quindi configurato il diritto di accesso come strumento per garantire la trasparenza delle istituzioni e rafforzare il
principio democratico. In questa prospettiva ha inteso “dare la massima attuazione al diritto di accesso ai documenti” (Cfr. il considerato n. 4 del Regolamento (CE) n. 1049/2001) eliminando quanto più possibile le restrizioni al suo
esercizio. In particolare il regolamento ha stabilito, tra l’altro, che la richiesta di documenti non richiede la dimostrazione di uno specifico interesse e quindi il richiedente non è tenuto a motivare la domanda. Le istituzioni possono
rifiutare l’accesso solo per circostanze eccezionali, in particolare quando l’accesso possa pregiudicare l’interesse
pubblico (art. 4, comma 1 lett. a), la vita privata e l’integrità dell’individuo (art. 4, comma 1 lett. b), gli interessi commerciali di un terzo, i procedimenti giudiziari o ispettivi(art. 4, comma 2), ovvero il processo decisionale dell’istituzione, a meno che vi sia un interesse pubblico prevalente alla divulgazione (art. 4, comma 3). Il regolamento (CE) n.
1367/2006, riguardante l’applicazione elle disposizioni della Convenzione di Aarhus alle istituzioni e a gli organi
comunitari, ha poi previsto un rafforzamento del diritto di accesso ai documenti delle istituzioni comunitarie in materia ambientale (Cfr. l’art. 6 del regolamento 1367/2006). In questo campo, infatti, il diritto di accesso è stato attribuito a qualsiasi persona fisica o giuridica, indipendentemente dalla cittadinanza o dallo Stato di residenza, ed il suo
esercizio è stato esteso ai documenti di tutte le istituzioni e organi della Comunità (mentre il regolamento 1049/2001
si applica solo al Parlamento, al Consiglio e alla Commissione). Il regolamento ha altresì previsto, con riferimento
alle informazioni in materia ambientale, una applicazione restrittiva delle eccezioni previste all’art. 2 del regolamento n. 1049/2001 quando si tratta di informazioni in materia ambientale.
Un ulteriore rafforzamento del diritto comunitario di accesso si è avuto entrato con l’entrata in vigore il Trattato di
Lisbona. L’art. 15 del TFUE, che sostituisce l’art. 255 del TCE, riafferma innanzi tutto il principio di trasparenza già
riconosciuto nell’art. 1 TUE, prevedendo l’obbligo delle istituzioni, organi e organismi dell’Unione di operare “nel
modo più trasparente possibile” (Cfr. inoltre l’art. 15 TFUE, che norma prevede l’obbligo per il Parlamento europeo
e il Consiglio di riunirsi in seduta pubblica nell’esercizio della funzione legislativa (comma 2) e di assicurare la pubblicità dei documenti relativi alle procedure legislative ultimo comma), imponendo così un obbligo di trasparenza
ben superiore a quello stabilito dal precedente art. 207 TCE, che si limitava ad imporre al Consiglio (e non al
Parlamento), quando delibera in veste di legislatore, l’obbligo di consentire un maggiore accesso ai documenti e di
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In questo senso si esprime l’art. 22, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241,
modificata dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15, che fa salva “la potestà delle regioni e degli
enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, di garantire livelli ulteriori di tutela”.
L’art. 22 della l. 241del 1990, come modificato dalla l. n. 15 del 2005, prevede che l’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa ed attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale ai sensi dell’art. 117, 2 comma, lettera m) Cost., per cui la norma consente allo
Stato di stabilire normative, anche nell’ambito delle materie rimesse alla competenza esclusiva delle Regioni, quando si tratta appunto di disciplinare livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali 3.
Come è noto, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (decisione 18 aprile 2006 n.
6), ha qualificato il “diritto di accesso” come una situazione soggettiva che, più che fornire
utilità finali (caratteristica da riconoscere, oramai, non solo ai diritti soggettivi ma anche agli
interessi legittimi), risulta caratterizzata per il fatto di offrire al titolare dell’interesse poteri di
natura procedimentale volti in senso strumentale alla tutela di un interesse giuridicamente
rilevante (diritti o interessi)”.
Sempre secondo l’Adunanza Plenaria, “il carattere essenzialmente strumentale” di
tale posizione “si riflette inevitabilmente sulla relativa azione, con la quale la tutela della
rendere pubblici “i risultati delle votazioni, le dichiarazioni di voto e le dichiarazioni a verbale”). La norma ha inoltre
esteso il diritto di accesso a tutti i documenti delle istituzioni, organi e organismi dell’Unione (mentre il vecchio art.
155 TCE limitava l’accesso ai soli documenti del Parlamento, del Consiglio e della Commissione). La disposizione
ha demandato la definizione dei principi generali e delle limitazioni al diritto di accesso ad un regolamento del
Parlamento europeo e del Consiglio, cui ciascuna istituzione, organo o organismo dovrà adeguarsi nel definire l’accesso ai propri documenti. Una particolare disciplina è stata dettata per la Corte di giustizia, la Banca centrale europea e la Banca europea per gli investimenti, rispetto alle quale il diritto di accesso ai documenti disciplinato dall’art.
15 TFU si applica “soltanto allorché esercitano funzioni amministrative”
Il diritto di accesso ai documenti è garantito anche dall’art. 42 della Carta dei diritti fondamentali, dove si prevede che “ogni cittadino dell’Unione nonché ogni persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro ha il diritto di accedere ai documenti delle istituzioni, organi e organismi dell’Unione,
a prescindere dal loro supporto”.
L’art. 6 del TUE ha attribuito alla Carta dei diritti “lo stesso valore giuridico dei trattati”.
Il Trattato di Lisbona costituisce dunque il punto di arrivo di un percorso che ha portato a una sempre maggiore valorizzazione del diritto di accesso ai documenti delle istituzioni. E’ evidente il netto cambiamento
rispetto alla fase iniziale, in cui il riconoscimento del diritto di accesso era considerato una scelta autonoma
che ciascuna istituzione poteva effettuare nell’esercizio del proprio potere di organizzazione interna..
3 Dalla norma costituzionale e dalla legge statale citate emerge un sistema composito di tutela del diritto all’accesso, che si articola nella necessaria disciplina statale dei livelli essenziali e nella eventuale disciplina regionale o locale di livelli ulteriori. Su questi presupposti, spetta allo Stato dare attuazione alla direttiva comunitaria 2003/4/CE in
materia di informazione ambientale, proprio perché sullo Stato incombe il dovere di fissare i livelli essenziali di tutela, validi per l’intero territorio nazionale, anche in questo settore. Le competenze legislative statutarie della Regione
Friuli-Venezia Giulia non risultano pertanto violate. Lo stesso ragionamento vale per la denunciata violazione dell’art. 117, quarto e quinto comma, Cost. in relazione all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
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posizione soggettiva è assicurata. In altre parole, la natura strumentale della posizione soggettiva riconosciuta e tutelata dall’ordinamento caratterizza marcatamente la strumentalità
dell’azione correlata e concentra l’attenzione del legislatore, e quindi dell’interprete, sul
regime giuridico concretamente riferibile all’azione, al fine di assicurare, al tempo stesso, la
tutela dell’interesse, ma anche la certezza dei rapporti amministrativi e delle posizioni giuridiche di terzi controinteressati”.
Pur assumendosi che il “procedere all’esatta qualificazione della natura della posizione soggettiva coinvolta” non riveste utilità “nella specie”, procede, in sostanza, ad una vera
e propria “declassificazione” del diritto di accesso, non più ritenuto posizione sostanziale
autonoma (non fornendo essa “utilità finali”), ma solamente un potere di natura procedimentale, avente finalità strumentali di tutela di posizioni sostanziali propriamente dette, sia di
diritto soggettivo, sia di interesse legittimo 4.
In altra pronuncia, invece, si è ritenuto che il diritto di accesso non è meramente strumentale alla proposizione di una azione giudiziale, ma assume un carattere autonomo rispetto ad essa; ciò significa che il rimedio speciale previsto a tutela del diritto di accesso deve
ritenersi consentito anche se l’interessato non può più agire, o non possa ancora agire, in
sede giurisdizionale, in quanto l’autonomia della domanda di accesso comporta che il giudice, chiamato a decidere su tale domanda, deve verificare solo i presupposti legittimanti la
richiesta di accesso e non anche la possibilità di utilizzare gli atti richiesti in un giudizio.
Con l’introduzione dell’azione a tutela dell’accesso, il legislatore ha, infatti, inteso assicurare all’amministrato la trasparenza della pubblica amministrazione, indipendentemente
dalla lesione, in concreto, di una determinata posizione di diritto o di interesse legittimo; l’interesse alla conoscenza dei documenti amministrativi viene elevato a bene della vita autonomo, meritevole di tutela separatamente dalle posizioni sulle quali abbia poi ad incidere
l’attività amministrativa, eventualmente in modo lesivo 5.
Gli artt. 22 e ss. della legge n. 241 del 1990, subiscono una prima novellazione con la
L. n. 265 del 1999, che ha esteso l’accesso ai documenti nella disponibilità giuridica di soggetti che svolgono pubblici servizi.
Hanno fatto seguito:
- la L. n 340 del 2000, che introduce il ruolo del difensore civico relativamente al diritto d’accesso;
- la L. n. 205 del 2000, che riguarda solo la sfera processuale del diritto di accesso (poi
traslata nel codice del processo amministrativo approvato con il D.L.vo n. 104 del 2010);
4 Consiglio di Stato IV 22 maggio 2012 n. 2974.
5 Consiglio di Stato V 14 febbraio 2011 n. 942.
4
- la L. n. 15 del 2005, che ha innovato in modo sostanziale la disciplina dell’accesso,
introducendo un sistema definitorio del diritto di accesso.
Dal testo che emerge dalle varie novellazioni si coglie la disciplina delle definizioni.
“Interessato” è il soggetto privato, compreso quello portatore di interesse pubblico diffuso, che abbia un interesse diretto concreto e attuale, corrispondente ad una situazione
giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso.
“Controinteressato” (termine mutuato dal diritto processuale) è il soggetto, individuato
o facilmente individuabile in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbe compromesso il suo diritto alla riservatezza.
“Documento amministrativo”, suscettibile, in quanto tale, di essere oggetto di “actio ad
exhibendum”, è “ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di
qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni, formati dalle pubbliche amministrazioni o, comunque, utilizzati ai fini dell’attività amministrativa”.
Nel concetto ampio di documento amministrativo, che può formare oggetto d’accesso, rientrano pure gli atti provenienti da soggetti diversi dalla P.A. procedente, nonché quelli di diritto privato, purché correlati al perseguimento degli interessi pubblici affidati alla cura
della stessa p.a..
Poiché, ai sensi dell’art. 22 comma 4, l. n. 241 del 1990, non sono accessibili le informazioni in possesso di una Pubblica Amministrazione che non abbiano, forma di documento amministrativo, e, per l’art. 2, comma 2, D.P.R. n. 184 del 2006 (regolamento di attuazione dell’a l. n. 241 nell’ambito dell’accesso), il diritto di accesso si esercita con riferimento ai
documenti amministrativi materialmente esistenti al momento della richiesta e la Pubblica
Amministrazione non è tenuta ad elaborare dati in suo possesso al fine di soddisfare le
richieste di accesso, e dovrà rilasciare al richiedente copia di tutti i documenti nei limiti in
cui essi non comportino una elaborazione di dati.
Detto principio si affianca a quello della neutralità della forma giuridica dell’ente che
detiene l’atto.
L’art. 22 attribuisce contenuto alla nozione di pubblica Amministrazione, ricomprendendovi tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato, limitatamente alla loro
attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario 6.
6 Oltre del diritto di accesso come disciplinato dalla legge n. 241/90, è necessario ricordare che esistono altri
tipi di accesso nell’ambito dell‘attività amministrativa latu sensu intesa, che sono disciplinati da leggi diverse
e che seguono un diverso procedimento e che il più delle volte hanno un giudice diverso.
L’art. 146 del D.lgs. n. 209/2005 codice delle assicurazioni private prevede che, fermo restando quanto previsto dal codice di protezione dei dati personali, per accedere alle informazioni personali, “le imprese di assicurazioni che esercitano nel ramo della responsabilità civile sono tenute a consentire ai contraenti ed ai dan5
2. Gli atti sottratti all’accesso
L’articolo 24 della legge n. 241 del 1990 disciplina ai primi due commi, i casi di esclusione dal diritto di accesso, con riferimento ad ambiti in cui la divulgazione del contenuto
dei documenti è idonea a compromettere interessi “vitali” per l’Ordinamento.
In particolare il diritto di accesso è escluso:
- per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge 24 ottobre 1977,
n. 801, e successive modificazioni, e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione
espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo e dalle pubbliche
amministrazioni;
- nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano;
- nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione diretta all’emanazione di atti
normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione;
- nei procedimenti selettivi, nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale relativi a terzi.
Al fine di operare una ricognizione le singole pubbliche amministrazioni individuano le
categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all’accesso ai sensi del comma.
neggiati il diritto di accesso agli atti di conclusione dei procedimenti ...., constatazione e liquidazione che li
riguardano”. L’esercizio del diritto non è consentito quando riguarda accertamenti, che evidenziano indizi o
prove di comportamenti fraudolenti; è una forma speciale di accesso nei confronti di un soggetto che svolge
un’attività di pubblico interesse, che ben potrebbe rientrare nell’ambito della legge n. 241/90, che però è
assoggettata ad un procedimento e ad un rito speciale, perché entro 60gg. l’assicurato o il danneggiato se
non ottengono la documentazione richiesta possono fare reclamo all’ISVAP.
Accesso ambientale previsto dalla l. n. 195/05 codice dell’ambiente. È un accesso speciale nel suo contenuto, non c’è però un giudice speciale, perché sono diversi solo i presupposti e il contenuto, ma il rito è quello
previsto dalla legge n. 241/90.
L’accesso ambientale, già previsto dal d.lgs. n. 39/97, costituisce applicazione della normativa comunitaria. In
particolare della direttiva n. 4 del 2003.
In sede europea si è voluto assicurare l’accesso ai documenti ambientali, ritenendo che la libertà di informazione e la diffusione dell’informazione possano essere mezzo utile per preservare l’ambiente. Diverge sotto il
profilo soggettivo che oggettivo. L’accesso ai documenti riguardanti l’ambiente è consentito a chiunque, è una
sorta di azione popolare, chi chiede l’accesso non deve dimostrare nessun interesse all’accesso. Mentre la
legge n. 241/90 si riferisce ai documenti amministrativi, il d.lgs. 195/05 si riferisce chiaramente alle informazioni, cioè non solo ai documenti ma a qualsiasi altro tipo di dati ed informazioni. Il motivo per cui la legge è
stata introdotta è stato quello di consentire un controllo diffuso sulla qualità ambientale.
Per il TU. Enti locali d.lgs. n. 267/2000 art. 43, c. 2, i consiglieri comunali e provinciali possono accedere a
tutti i documenti che riguardano l’amministrazione.
La ratio della norma è di consentire al consigliere comunale di svolgere correttamente e completamente il suo
mandato. Non è il diritto di accesso riconosciuto a tutti i cittadini per la tutela di un proprio interesse, ma si
tratta di un accesso funzionalizzato al compito istituzionale che hanno i consiglieri comunali.
Ciò implica che il consigliere può accedere non solo ai documenti, ma a tutti i dati posseduti dalla p.a., inoltre la sua attività non solo si può proiettare nel futuro, ma il dir. di accesso può riguardare anche attività svolte durante consiliature precedenti.
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I predetti documenti contenenti informazioni connesse agli interessi di cui sopra sono
considerati segreti solo nell’ambito e nei limiti di tale connessione.
A tale fine le pubbliche amministrazioni fissano, per ogni categoria di documenti,
anche l’eventuale periodo di tempo per il quale essi sono sottratti all’accesso.
L’individuazione dei casi in cui l’accesso può essere escluso può aver luogo in via
generale solo con il regolamento governativo (art. 24 comma 6, lett. D della legge n. 241
del 1990), mentre alle singole amministrazioni viene sottratta ogni potestà d’intervento in
materia; ciò si desume dall’assenza nel nuovo testo normativo, della disposizione in precedenza contenuta nel comma 4 (obbligo per le singole amministrazioni “di individuare con
uno o più regolamenti da emanarsi entro i sei mesi successivi le categorie di documenti da
esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all’accesso per le esigenze di cui al comma 2”), mentre la novellata disposizione introdotta nel comma 2 per cui le
singole pubbliche amministrazioni individuano le categorie di documenti da esse formati o
comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all’accesso (ai sensi del comma 1) è riferita alle sole ipotesi di cui al comma 1, tra le quali, ad esempio, non rientra la tutela della
riservatezza.
Altra fattispecie di atti sottratti all’accesso è stata introdotta dall’art. 1 comma 51 della
legge 6 novembre 2012 n.190 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione) per la tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti.
La predetta disposizione dopo l’articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165,
introduce l’art. 54-bis il quale prevede che il pubblico dipendente che denuncia all’autorità giudiziaria o alla Corte dei conti, ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite
di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato,
licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle
condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia.
Nell’ambito del procedimento disciplinare, l’identità del segnalante non può essere
rivelata, senza il suo consenso, sempre che la contestazione dell’addebito disciplinare sia
fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione. Qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione, l’identità può essere rivelata ove la
sua conoscenza sia assolutamente indispensabile per la difesa dell’incolpato.
La denuncia é sottratta all’accesso previsto dagli articoli 22 e seguenti della legge 7
agosto 1990, n. 241.
Una volta acclarata in concreto la riconducibilità di un documento alle categorie di atti
sottratti all’ accesso, il divieto di ostensione è cogente nei confronti della stessa Pubblica
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amministrazione, alla quale non è consentito con propria valutazione discrezionale desecretare il documento medesimo 7.
Con riguardo alla sottrazione all’accesso di intere categorie di atti, in particolare riguardanti specifici procedimenti per i quali valgono esigenze peculiari si è ritenuto (T.A.R. Piemonte
sez. II 30 ottobre 2009 n. 2355) che gli atti del procedimento elettorale, in base ai quali è stata
effettuata pubblicamente la lettura e la registrazione dei voti (e, quindi, le schede e le tabelle di
scrutinio), non costituiscono oggetto del diritto di accesso e della relativa azione giurisdizionale disciplinata dall’art. 25, l. 7 agosto 1990 n. 241 e ciò in quanto, essendo affidati in deposito
in plichi sigillati nella cancelleria del Tribunale, non possono essere considerati documenti detenuti dall’Amministrazione ex art. 22 comma 1, cit. l. n. 241 del 1990 e, conseguentemente,
devono ritenersi sottratti all’accesso non solo del pubblico, ma anche dell’Amministrazione
depositaria, perché da questa tenuti a disposizione dell’Autorità giudiziaria preposta a dirimere
le eventuali controversie elettorali, che deve trovare i plichi intatti 8.
3. La definizione di Pubblica Amministrazione ai fini dell’accesso
Ampia ed evolutiva è la qualificazione della Amministrazione pubblica soggetta, per
quanto riguarda l’accesso, alla disciplina pubblicistica di cui alla legge n. 241 del 1990.
Il diritto di accesso, previsto dagli art. 22 e 23 l. n. 241 del 1990 riguarda, infatti, non
solo la pubblica amministrazione, in senso stretto e formale, ma anche tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse
disciplinata dal diritto nazionale o comunitario.
7 Consiglio di Stato sez. IV 5 novembre 2012 n. 5615. In applicazione di detti principi si è ritenuto, ad esempio, che la norma di cui all’art. 3 comma 1, decreto del Ministro dell’Interno 10 maggio 1994 n. 415 (recante
il regolamento per la disciplina delle categorie di documenti sottratti all’accesso ai documenti amministrativi,
in attuazione dell’art. 24 comma 4 ora comma 6, l. 7 agosto 1990 n. 241), deve essere interpretata in senso
non strettamente letterale, giacché altrimenti sorgerebbero dubbi sulla sua legittimità, in quanto si determinerebbe una sottrazione sostanzialmente generalizzata alle richieste ostensive di quasi tutti i documenti formati dall’Amministrazione dell’Interno, con palese frustrazione delle finalità perseguite dalla l. n. 241 cit.; pertanto, la sottrazione all’accesso deve essere giustificata, di volta in volta, in relazione a specifiche e concrete esigenze di salvaguardia dell’ordine pubblico e di repressione della criminalità, come previsto dall’art. 24 comma
6 lett. c), l. n. 241 cit., che, in presenza di tali esigenze e situazioni, facoltizza il potere esecutivo ad adottare
regolamenti con cui vengono sottratti all’accesso documenti amministrativi (T.A.R. Lazio Latina 2 aprile 2012
n. 263; T.A.R. Catanzaro Calabria sez. I 16 marzo 2012 n. 292).
8 Alle medesime conclusioni è pervenuto il Consiglio di Stato (sez. V 4 agosto 2009 n. 4882) che ha ritenuto
gli atti del procedimento elettorale, in base ai quali è stata effettuata pubblicamente la lettura e la registrazione dei voti (e, quindi, le schede e le tabelle di scrutinio), non costituiscono oggetto del diritto di accesso e della
relativa azione giurisdizionale disciplinata dall’art. 25, l. 7 agosto 1990 n. 241, e ciò in quanto, essendo affidati in deposito in plichi sigillati alla segreteria del consiglio regionale, non possono essere considerati documenti detenuti dall’Amministrazione ex art. 22 comma 1, cit. l. n. 241 del 1990, e conseguentemente devono
ritenersi sottratti all’accesso non solo del pubblico, ma anche dell’Amministrazione depositaria, perché da
questa tenuti a disposizione dell’autorità giudiziaria preposta a dirimere le eventuali controversie elettorali, che
deve trovare i plichi intatti.
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Si correla tale diritto non soltanto all’attività di diritto amministrativo, ma anche a quella di diritto privato posta in essere dai soggetti gestori di pubblici servizi, che, pur non costituendo direttamente gestione del servizio stesso, sia collegata a quest’ultima da un nesso
di strumentalità.
Il principio, prima di trovare ingresso nella disciplina, è stato di origine “giurisprudenziale”.
Il Consiglio Stato già con la sentenza dell’Adunanza plenaria 22 aprile 1999 n. 4 ha
affermato il principio che le esigenze di buon andamento e di imparzialità dell’amministrazione (come disciplinate dall’art. 97 Cost.) riguardano allo stesso modo l’attività volta all’emanazione dei provvedimenti e quella con cui sorgono o sono gestiti i rapporti giuridici
disciplinati dal diritto privato.
L’attività amministrativa è, quindi, configurabile non solo quando l’amministrazione
eserciti pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando essa persegua le proprie
finalità istituzionali mediante una attività sottoposta, in tutto o in parte, alla disciplina prevista per i rapporti tra i soggetti privati, compresi quelli di gestione del proprio personale.
Si è riconosciuto applicabile, pertanto, il diritto di accesso di cui all’art. 22 L. n. 241 del
1990 oltre che in favore dei dipendenti di amministrazioni pubbliche, pur essendo intervenuta la cd. privatizzazione del rapporto di lavoro, anche a favore del dipendente delle
Ferrovie dello Stato S.p.A., concessionaria di pubblico servizio, in forza della previsione
esplicita di cui all’art. 23 della l. n. 241 del 1990.
Il principio è stato ribadito dal Consiglio Stato con la decisione dell’Adunanza plenaria
5 settembre 2005 n. 5, rilevandosi che le regole dettate in tema di trasparenza della p.a. e
di diritto di accesso ai relativi atti si applicano oltre che alle pubbliche amministrazioni,
anche ai soggetti privati chiamati all’espletamento di compiti di interesse pubblico (concessionari di pubblici servizi, pubbliche società ad azionariato pubblico, etc.).
Detto principio ha trovato conferma legislativa con le modifiche apportate all’art. 23 dalla
citata l. n. 241 del 1990, dalla l. 3 agosto 1999 n. 265 e, più ancora, con la recente l. n. 15 del
2005 che ha ampliato detta disciplina anche i soggetti che svolgono attività di pubblico interesse.
Per “pubblica amministrazione”, pertanto, secondo la predetta giurisprudenza e la
intervenuta novella legislativa, si intendono tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di
diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto
nazionale o comunitario.
L’articolo 23 della l. n. 241 del 1990 disciplina, infatti, l’ambito di applicazione del diritto di accesso prevedendo che il diritto di accesso di cui all’articolo 22 si esercita nei confronti delle pubbliche amministrazioni, delle aziende autonome e speciali, degli enti pubblici e dei gestori di pubblici servizi.
9
L’art. 2 del d.P.R. n. 184 del 2006 (regolamento di esecuzione) dispone, poi, che il diritto di accesso ai documenti amministrativi è esercitabile nei confronti di tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse
disciplinata dal diritto nazionale o comunitario, da chiunque abbia un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è richiesto l’accesso.
In applicazione di dette disposizioni la successiva giurisprudenza ha ritenuto che la
veste societaria non è di per sé sufficiente ad escludere un soggetto dalla disciplina in tema
di accesso, ai sensi dell’art. 22, comma 1, lettera e), della legge 241 del 1990, secondo cui
nel novero delle “pubbliche amministrazioni” assoggettate alla disciplina in materia di
accesso rientrano “tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse, disciplinata dal diritto nazionale o comunitario”.
L’attività amministrativa, cui gli art. 22 e 23 della legge n. 241 del 1990 correlano il diritto
d’accesso, ricomprende non solo quella di diritto amministrativo, ma anche quella di diritto
privato posta in essere dai soggetti gestori di pubblici servizi che, pur non costituendo direttamente gestione del servizio stesso, sia collegata a quest’ultima da un nesso di strumentalità derivante anche, sul versante soggettivo, dalla intensa conformazione pubblicistica 9.
Le regole dettate in tema di trasparenza della p.a. e di diritto di accesso ai relativi atti
si applicano (Consiglio Stato sez. IV 12 marzo 2010 n. 1470) a tutti i soggetti privati (in particolare concessionari di pubblici servizi o società ad azionariato pubblico), chiamati all’espletamento di compiti di interesse pubblico; pertanto la disciplina dettata dagli art. 22 e 23
l. n. 241 del 1990, non preclusiva in via di principio dell’ostensibilità degli atti di natura privatistica della p.a., consente, ove si tratti di attività teleologicamente collegata, anche in via
9 Consiglio di Stato sez. V 12 maggio 2012 n. 2516. Possono formare oggetto di accesso anche tutti gli atti
di gestione del personale dipendente degli enti pubblici e degli altri soggetti previsti dall’art. 23, l. 7 agosto
1990 n. 241, in quanto, pur essendo atti di diritto privato a seguito della cd. privatizzazione del rapporto di
lavoro, le esigenze di buon andamento e di imparzialità della p.a. ex art. 97 cost. riguardano allo stesso modo
l’attività volta alla emanazione dei provvedimenti e quella con cui sorgono o sono gestiti i rapporti giuridici
disciplinati dal diritto comune (T.A.R. Sicilia sez. II 1 luglio 2011 n. 1269).
E’ stato, pertanto, ribadito (Consiglio di Stato sez. IV 27 gennaio 2011 n. 619) che il diritto di accesso previsto dagli artt. 22 e 23, l. 7 agosto 1990 n. 241 e relativo ai soggetti di diritto privato, che svolgono attività di
pubblico interesse, riguarda non soltanto l’attività di diritto amministrativo, ma anche quella di diritto privato
posta in essere dai soggetti gestori di pubblici servizi che, pur non costituendo direttamente gestione del servizio stesso, sia collegata a quest’ultima da un nesso di diretta strumentalità
Per quanto riguarda società a capitale pubblico (Consiglio Stato VI 17 gennaio 2011 n. 235) è soggetta alla
disciplina in tema di accesso, quando l’accesso sia stato richiesto in relazione all’attività di organizzazione
delle forze lavorative e, quindi, del servizio postale. Infatti, gli artt. 22 e 23, l. n. 241 del 1990 si applicano
anche all’attività posta in essere dai soggetti gestori di pubblici servizi che, pur costituendo direttamente
gestione del servizio stesso, sia collegato a quest’ultima da un nesso di strumentalità derivante anche, sul
versante soggettivo, dall’intensa conformazione pubblicistica, il che avviene in tema di organizzazione interna della società e di qualsiasi selezione del personale della società.
10
indiretta, alla gestione del servizio e alla cura dell’interesse pubblico, l’esercizio dell’”actio
ad exhibendum” nei confronti di chi svolga un pubblico servizio, in base a una norma di
legge o a un atto amministrativo, applicando regole di diritto privato 10.
4. L’accesso ai documenti tra pubbliche amministrazioni
Per quanto riguarda l’accesso agli atti esercitato da una amministrazione pubblica
nei confronti di altra amministrazione va osservato che la menzione legislativa del principio della “leale cooperazione istituzionale” non può essere intesa come preclusiva dell’applicabilità dell’istituto dell’accesso nei confronti dei soggetti pubblici aspiranti ad
un’acquisizione documentale.
In applicazione della disciplina contenuta all’art. 22 della legge n. 241 del 1990,
l’acquisizione di documenti amministrativi da parte di soggetti pubblici, ove non rientrante nella previsione dell’articolo 43, comma 2, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto
del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, si informa al principio di
leale cooperazione istituzionale 11.
Specialmente in presenza di un “sistema” di soggetti pubblici tanto pletorico e disarmonico, come quello nazionale, non vi sarebbe, infatti, ragione di ritenere riservato ai privati tale istituto, che offre il non trascurabile vantaggio di uno statuto di precise garanzie e
di tutela giuridica anche in sede giudiziale, e di abbandonare invece in toto i soggetti pubblici che siano interessati ad ottenere un’ostensione documentale alle incognite di una col10 Anche la natura di ente economico di soggetti gestori di pubblici servizi non incide negativamente sull’azionabilità del diritto di accesso ad opera del soggetto interessato, rientrando tale categoria nella dizione indifferenziata dell’art. 23 della legge n. 241 del 1990 ciò perché l’attività amministrativa cui si correla il diritto di
accesso non concerne solo l’attività di diritto amministrativo, ma anche quella di diritto privato posta in essere da detti soggetti che, pur non costituendo direttamente gestione del servizio, è collegata a quest’ultima da
un nesso di strumentalità derivante, anche sul piano soggettivo, dall’intensa conformazione pubblicistica.
Ne consegue (Consiglio Stato sez. VI 1 ottobre 2008 n. 4739). che anche i loro atti posti in essere e disciplinati dal diritto privato rientrano nell’attività di amministrazione degli interessi della collettività e, dunque sono
soggetti ai principi di trasparenza e di imparzialità, non avendo la legge n. 241 del 1990 stabilito alcuna deroga in tal senso
Un rinvio alla disciplina di settore (ma non la sottrazione) è prevista per il diritto di accesso nei confronti delle
Autorità di garanzia e di vigilanza (le c. d. Autorità indipendenti), che si esercita nell’ambito dei rispettivi ordinamenti, secondo quanto previsto dall’articolo 24.
11 La norma predetta dispone che “Fermo restando il divieto di accesso a dati diversi da quelli di cui è necessario acquisire la certezza o verificare l’esattezza, si considera operata per finalità di rilevante interesse pubblico, ai fini di quanto previsto dal decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 135, la consultazione diretta, da parte
di una pubblica amministrazione o di un gestore di pubblico servizio, degli archivi dell’amministrazione certificante, finalizzata all’accertamento d’ufficio di stati, qualità e fatti ovvero al controllo sulle dichiarazioni sostitutive presentate dai cittadini. Per l’accesso diretto ai propri archivi l’amministrazione certificante rilascia
all’amministrazione procedente apposita autorizzazione in cui vengono indicati i limiti e le condizioni di accesso volti ad assicurare la riservatezza dei dati personali ai sensi della normativa vigente”.
11
laborazione spontanea - inevitabilmente non sempre sollecita e puntuale dell’Amministrazione di volta in volta legittimata passiva.
L’esigenza di accesso avvertita da una Pubblica amministrazione deve disporre di una
tutela di base almeno equivalente a quella accordata dalle norme generali del diritto pubblico alla generalità dei consociati, a meno di non incorrere in un inopinato quanto illogico
ribaltamento di rapporti, in fatto di intensità di tutela, tra interessi privati e pubblici.
Atteso allora che l’art. 22, comma 1, lett. b) della legge n. 241 del 1990 annovera pur
sempre tra i soggetti “interessati” anche i portatori di interessi pubblici, anche un “soggetto
pubblico” può avvalersi, ove ritenga, dell’istituto dell’accesso ai documenti (in tal senso,
almeno in parte, cfr. Cons. Stato V, 7 novembre 2008 n. 5573).
Il richiamo legislativo al principio di leale cooperazione istituzionale non è però privo
di valenza.
Tale canone, pur nella sua elasticità, esige comportamenti coerenti e non contraddittori, un confronto su basi di correttezza e apertura alle altrui posizioni e al contemperamento degli interessi, e, d’altro canto, non tollera atteggiamenti dilatori, pretestuosi, ambigui,
incongrui o insufficientemente motivati (cfr., tra le tante, C. Cost. n. 379 del 27/7/1992 e n.
242 del 18/7/1997).
Lo stesso principio è suscettibile di rilevare non solo come criterio orientativo per l’interpretazione specifica delle norme generali in tema di accesso, ma anche quale regola
ulteriore, complementare e di diritto speciale, ossia come canone aggiuntivo per stabilire se
la singola richiesta ostensiva del soggetto pubblico debba avere corso.
Detto principio acquista precisione di contorni specialmente se inserito all’interno del
particolare modulo relazionale di diritto pubblico che (eventualmente) intercorra tra i soggetti attivo e passivo dell’accesso, e che integra una cornice di particolare ausilio per decifrare la misura della cooperazione istituzionale dovuta.
Uno degli schemi relazionali che possono presentarsi, a questo riguardo, può essere
(Consiglio di Stato V 27 maggio 2011 n. 3190) anche quello tipicamente intercorrente tra
concedente e concessionario (benché questo sia normalmente una comune società di capitali, piuttosto che un’Amministrazione pubblica).
Il richiedente l’accesso è, infatti, designato dall’art. 22, comma 5, legge cit., come
“soggetto pubblico”, mentre nella veste di possibile soggetto passivo dello stesso accesso
vengono in rilievo tutte le categorie individuate dall’art. 23 della legge n. 241, ivi inclusi,
quindi, anche i gestori di pubblici servizi.
Il richiamo alla “leale cooperazione istituzionale” vale perciò anche nei confronti di
questi ultimi, avuto riguardo alla loro pur limitata posizione pubblicistica (che è lo stesso fat12
tore, peraltro, che ha giustificato la loro sottoposizione all’obbligo di dare accesso alla stessa stregua delle pubbliche amministrazioni, in forza dell’art. 23 legge n. 241 del 1990).
Di riflesso, e più operativamente, mentre l’art. 2, comma 2, ult. periodo, del d.P.R. n.
184 del 2006 detta la regola generale che “la pubblica amministrazione non è tenuta ad elaborare dati in suo possesso al fine di soddisfare le richieste di accesso”, nella peculiare prospettiva, invece, della “leale cooperazione istituzionale”, e avuto riguardo alla natura del
rapporto specifico corrente tra le parti, si deve riconoscere che il compimento di una ragionevole attività di elaborazione può non essere in concreto rifiutabile.
5. La legittimazione all’accesso
Il novellato art. 22 della legge n. 241 del 1990 (da parte della l. n. 15 del 2005)
dispone che possono chiedere l’accesso tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori d’interessi pubblici diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata collegata al documento al quale è
richiesto l’accesso.
L’interesse non può essere, pertanto, la generica esigenza al buon andamento della p.a.
del cittadino, ma deve esserci un rapporto di strumentalità tra l’interesse e il documento.
La legittimazione attiva all’accesso non coincide con la legittimazione processuale.
L’art. 4 del d.P.R. n. 184 del 2006 ha, infine, riconosciuto l’estensione del diritto di
accesso ai portatori di interessi pubblici o diffusi.
Non sono, invece, ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni.
In applicazione delle predette disposizioni la giurisprudenza ha applicato una
serie di principi.
L’art. 22, comma 1, l. 7 agosto 1990, n. 241, pur riconoscendo il diritto di accesso a “chiunque vi abbia interesse”, non ha introdotto alcun tipo di azione popolare diretta a consentire una sorta di controllo generalizzato sull’amministrazione, tant’è che ha
contestualmente definito siffatto interesse come finalizzato alla “tutela” di “situazioni
giuridicamente rilevanti”.
Pertanto, l’interesse che legittima la richiesta di accesso, oltre ad essere serio e non
emulativo, deve essere “personale e concreto”, ossia ricollegabile alla persona dell’istante
da uno specifico nesso: in sostanza occorre che il richiedente intenda difendere una situazione di cui è portatore, qualificata dall’ordinamento come meritevole di tutela, non essendo sufficiente il generico e indistinto interesse di ogni cittadino alla legalità o al buon andamento della attività amministrativa.
13
La disciplina dell’accesso agli atti amministrativi non condiziona l’esercizio del relativo
diritto alla titolarità di una posizione giuridica tutelata in modo pieno, essendo sufficiente il
collegamento con una situazione giuridicamente riconosciuta anche in misura attenuata.
La legittimazione all’accesso va, quindi, riconosciuta a chiunque possa dimostrare che
gli atti procedimentali oggetto dell’accesso abbiano spiegato o siano idonei a spiegare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, indipendentemente dalla lesione di una posizione giuridica, stante l’autonomia del diritto di accesso, inteso come interesse ad un bene della vita
distinto rispetto alla situazione legittimante all’impugnativa dell’atto.
Al fine di stabilire se sussiste il diritto di accesso ai documenti occorre avere riguardo
al documento cui si intende accedere, per verificarne l’incidenza, anche potenziale, sull’interesse di cui il soggetto è portatore; in altri termini, essere titolare di una situazione giuridicamente tutelata non è condizione sufficiente perché l’interesse rivendicato possa considerarsi “diretto, concreto e attuale”, essendo anche necessario che la documentazione cui
si chiede di accedere sia collegata a quella posizione sostanziale, impedendone o ostacolandone il soddisfacimento (Consiglio di Stato ad. plen. 24 aprile 2012 n. 7) 12.
Una situazione legittimante rafforzata è prevista per determinate categorie di documenti per i quali con regolamento, da adottare, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della
legge 23 agosto 1988, n. 400, il Governo può prevedere casi di sottrazione all’accesso di
documenti amministrativi.
Tali categorie riguardano i seguenti documenti:
- quando, al di fuori delle ipotesi disciplinate dall’articolo 12 della legge 24 ottobre
1977, n. 801, dalla loro divulgazione possa derivare una lesione, specifica e individuata, alla
sicurezza e alla difesa nazionale, all’esercizio della sovranità nazionale e alla continuità e
alla correttezza delle relazioni internazionali, con particolare riferimento alle ipotesi previste
dai trattati e dalle relative leggi di attuazione;
- quando l’accesso possa arrecare pregiudizio ai processi di formazione, di determinazione e di attuazione della politica monetaria e valutaria;
12 Si è, conseguentemente, tratta la conclusione ad esempio che non sussiste il diritto delle associazioni dei
consumatori ad accedere agli atti relativi alle perdite subite dalla Siae a seguito del cd. “crack Lehman
Brothers” sull’assunto che la cattiva gestione del patrimonio della Siae ha determinato un pregiudizio agli interessi delle categorie rappresentate, e ciò in quanto la vasta ed indifferenziata platea dei consumatori e utenti del diritto d’autore, che le associazioni istanti intendono rappresentare, non può ricevere alcun nocumento
da decurtazioni del patrimonio della Siae né giovarsi in alcun modo del recupero di capitali venuti meno per
effetto di investimenti pregressi cui, invece, è legittimamente interessato il singolo associato; pertanto, le
associazioni dei consumatori possono farsi promotrici di iniziative tese ad assicurare legalità dell’azione
amministrativa anche nei confronti della Siae, quanto all’esercizio delle attività di interesse pubblico che ad
essa competono, ma risultano sprovviste di una posizione differenziata e qualificata che dia titolo ad accedere agli atti riguardanti la gestione del patrimonio, di cui può beneficiare solo la base associativa, che, invece,
può esercitare l’accesso.
14
- quando i documenti riguardino le strutture, i mezzi, le dotazioni, il personale e le azioni strettamente strumentali alla tutela dell’ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità con particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle
fonti di informazione e alla sicurezza dei beni e delle persone coinvolte, all’attività di polizia
giudiziaria e di conduzione delle indagini;
- quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi
epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in
concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all’amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono;
- quando i documenti riguardino l’attività in corso di contrattazione collettiva nazionale di lavoro e gli atti interni connessi all’espletamento del relativo mandato.
Per dette categorie di documenti in ogni caso deve essere garantito ai richiedenti l’accesso allorquando la relativa conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri
interessi giuridici.
Si introduce, pertanto, un bilanciamento di interessi con la prevalenza dell’interesse
costituzionale della difesa di interessi legittimi e diritti soggettivi (art. 24 e 113 della
Costituzione).
Un ulteriore rafforzamento dei presupposti legittimanti è prevista nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari.
In tali casi l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei
termini previsti dall’ articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati
idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale.
Il d. l.vo n. 196 del 2003 all’art.59 disciplina il rapporto tra diritto di accesso e trattamento dei dati all’art. 59 prevedendo che, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 60, i presupposti, le modalità, i limiti per l’esercizio del diritto di accesso a documenti amministrativi contenenti dati personali, e la relativa tutela giurisdizionale, restano disciplinati dalla
legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e dalle altre disposizioni di legge
in materia, nonché dai relativi regolamenti di attuazione, anche per ciò che concerne i tipi
di dati sensibili e giudiziari e le operazioni di trattamento eseguibili in esecuzione di una
richiesta di accesso.
Le attività finalizzate all’applicazione di tale disciplina si considerano di rilevante interesse pubblico.
L’art. 60 disciplina i dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale prevedendo che quando il trattamento concerne dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita ses15
suale, il trattamento è consentito se la situazione giuridicamente rilevante che si intende
tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi è di rango almeno pari ai
diritti dell’interessato, ovvero consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto o
libertà fondamentale e inviolabile 13.
13 La portata del D.L.vo n. 196 del 2003 riguarda anche il trattamento con riguardo all’accesso. L’art. 4, in
particolare, definisce
- “trattamento”, qualunque operazione o complesso di operazioni, effettuati anche senza l’ausilio di strumenti
elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la conservazione, la consultazione, l’elaborazione, la modificazione, la selezione, l’estrazione, il raffronto, l’utilizzo, l’interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione di dati, anche se non registrati in una banca di dati;
- “dato personale”, qualunque informazione relativa a persona fisica, [persona giuridica, ente od associazione,] identificata o identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi
compreso un numero di identificazione personale;
c) “dati identificativi”, i dati personali che permettono l’identificazione diretta dell’interessato;
- “dati sensibili”, i dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a
carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e
la vita sessuale;
e) “dati giudiziari”, i dati personali idonei a rivelare provvedimenti di cui all’articolo 3, comma 1, lettere da a) a
o) e da r) a u), del d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, o la qualità di imputato o di indagato ai
sensi degli articoli 60 e 61 del codice di procedura penale;
- “titolare”, la persona fisica, la persona giuridica, la pubblica amministrazione e qualsiasi altro ente, associazione od organismo cui competono, anche unitamente ad altro titolare, le decisioni in ordine alle finalità, alle
modalità del trattamento di dati personali e agli strumenti utilizzati, ivi compreso il profilo della sicurezza;
- “responsabile”, la persona fisica, la persona giuridica, la pubblica amministrazione e qualsiasi altro ente,
associazione od organismo preposti dal titolare al trattamento di dati personali;
- “incaricati”, le persone fisiche autorizzate a compiere operazioni di trattamento dal titolare o dal responsabile;
- “interessato”, la persona fisica, [la persona giuridica, l’ente o l’associazione] cui si riferiscono i dati personali;
- “comunicazione”, il dare conoscenza dei dati personali a uno o più soggetti determinati diversi dall’interessato, dal rappresentante del titolare nel territorio dello Stato, dal responsabile e dagli incaricati, in qualunque
forma, anche mediante la loro messa a disposizione o consultazione;
- “diffusione”, il dare conoscenza dei dati personali a soggetti indeterminati, in qualunque forma, anche
mediante la loro messa a disposizione o consultazione;
- “dato anonimo”, il dato che in origine, o a seguito di trattamento, non può essere associato ad un interessato identificato o identificabile;
o) “blocco”, la conservazione di dati personali con sospensione temporanea di ogni altra operazione del
trattamento;
L’art.11 disciplina le modalità del trattamento e requisiti dei dati), prevedendo che i dati personali oggetto di
trattamento sono:
a) trattati in modo lecito e secondo correttezza;
b) raccolti e registrati per scopi determinati, espliciti e legittimi, ed utilizzati in altre operazioni del trattamento
in termini compatibili con tali scopi;
c) esatti e, se necessario, aggiornati;
d) pertinenti, completi e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono raccolti o successivamente trattati;
e) conservati in una forma che consenta l’identificazione dell’interessato per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati.
Per quanto quanto riguarda i principi applicabili a tutti i trattamenti effettuati da soggetti pubblici l’art. 18 prevede che qualunque trattamento di dati personali da parte di soggetti pubblici è consentito soltanto per lo svolgimento delle funzioni istituzionali.
16
6. Accesso e diritto alla riservatezza
Con specifico riferimento ai rapporti tra accesso e riservatezza, la nuova disciplina
contenuta nell’art. 24, l. n. 241 del 1990, come sostituito dall’art. 16 l. n. 15 del 2005, appresta al primo una tutela più ampia che in passato, sotto due distinti profili; innanzitutto, l’individuazione dei casi in cui l’accesso può essere escluso per ragioni, tra l’altro, di riservatezza, può aver luogo solo con il regolamento governativo (comma 6, lett. d), mentre alle
singole amministrazioni viene sottratta ogni potestà d’intervento in materia.
Tale conclusione si trae inequivocabilmente dalla scomparsa, nel nuovo testo normativo, della disposizione in precedenza contenuta nel comma 4 (obbligo per le singole amministrazioni di individuare con uno o più regolamenti da emanarsi entro i sei mesi successivi le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità
sottratti all’accesso per le esigenze di cui al comma 2), mentre la nuova similare disposizione, ora introdotta nel comma 2, le singole pubbliche amministrazioni individuano le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all’accesso ai sensi del comma 1, è tuttavia riferita alle sole ipotesi di cui al primo comma, tra le
quali non rientra la tutela della riservatezza.
In secondo luogo, mentre nell’originaria versione dell’art. 24, secondo quanto prevedeva
il comma 2, lettera d), l’accesso a documenti riservati era limitato alla sola visione degli atti
amministrativi necessari alla cura dei propri interessi, nell’attuale versione dell’art. 24, come
sostituito dall’art. 16, l. n. 15 del 2005, tale previsione è stata sostituita dal nuovo comma 7, ai
sensi del quale deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici.
A ciò va aggiunto che l’art. 59 del medesimo d. lg. n. 196 del 2003, relativo proprio all’accesso a documenti amministrativi, dispone che fatto salvo quanto previsto dall’articolo 60, i
presupposti, le modalità, i limiti per l’esercizio del diritto di accesso a documenti amministrativi contenenti dati personali, e la relativa tutela giurisdizionale, restano disciplinati dalla l. 7
agosto 1990, n. 241 e dalle altre disposizioni di legge in materia, nonché dai relativi regolamenti di attuazione, anche per ciò che concerne i tipi di dati sensibili e giudiziari e le operazioni di trattamento eseguibili in esecuzione di una richiesta di accesso e le attività finalizzate
all’applicazione di tale disciplina si considerano di rilevante interesse pubblico 14.
14 T.A.R. Catania Sicilia sez. IV 3 maggio 2008 n. 715. TAR Campania - Salerno, Sez. I - sentenza 2 febbraio
2010 n. 1029. A titolo esemplificativo si è ritenuto legittimo il diniego opposto dal Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca in merito alla richiesta di accesso avanzata da un docente, per ottenere copia
dei documenti - ivi compresi i certificati sanitari - e dei titoli che hanno consentito ad un altro docente di prendere il proprio posto, per verificare se l’amministrazione scolastica ha fatto corretta applicazione dell’art. 4,
della l. n. 104 del 1992, laddove subordina i previsti benefici all’accertamento, da parte di una Commissione
medica della A.S.L., dell’esistenza di una patologia invalidante. E’ infatti vietato alla P.A., ex art. 60 del d.lgs.
17
Il criterio di composizione dei contrapposti interessi coinvolti è rinvenibile, pertanto,
nell’art. 24, comma 7, l. 7 agosto 1990, n. 241, come sostituito dall’art. 16 l. 11 febbraio
2005, n. 15, ai sensi del quale “nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari,
l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti
dall’articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”.
La disposizione richiamata, a sua volta, recita: “quando il trattamento concerne dati
idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale, il trattamento è consentito se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi è di rango almeno pari ai diritti dell’interessato, ovvero consiste in un
diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile”.
La sussistenza dei presupposti legittimanti la loro completa ostensione al richiedente
deve essere condotta su due piani, peraltro strettamente correlati:
- quello relativo alla “stretta indispensabilità” dell’accesso ai fini della cura o della difesa degli interessi giuridici della ricorrente;
- quello relativo alla qualificabilità dell’interesse sostanziale della parte richiedente
l’accesso, cui l’esercizio del diritto di accesso è funzionale, come “di rango almeno pari ai
diritti dell’interessato” (alla riservatezza), ovvero come “diritto della personalità o un altro
diritto o libertà fondamentale e inviolabile” 15.
n. 196 del 2003, di esibire i dati personali cd. “ultra sensibili” e/o “supersensibili”, allorché il rango della situazione giuridicamente rilevante fatta valere dall’accedente (nella specie, si trattava dell’assegnazione presso
una sede scolastica di lavoro, piuttosto che ad un’altra, nell’ambito della stessa città) è chiaramente inferiore
e, quindi recessivo, rispetto a quello primario dell’interessato alla salute, e, correlativamente, a mantenere
riservati documenti che possono renderne conoscibile lo stato; TAR Campania - Salerno, Sez. I - sentenza 2
febbraio 2010 n. 1029. Ha osservato, in particolare, il T.A.R. Campania - Salerno, che l’interesse di cui è portatrice la ricorrente attiene alla sua assegnazione presso una sede di lavoro, piuttosto che ad un’altra, nell’ambito della stessa città di Salerno, lamentando ella di essere stata sostituita, nell’incarico assegnatole presso l’Istituto Superiore A., dalla controinteressata, e di essere stata quindi assegnata all’Istituto Tecnico
Commerciale Statale G., entrambi con sede in Salerno. Ha osservato, in particolare, il T.A.R. Campania Salerno, che l’interesse di cui è portatrice la ricorrente attiene alla sua assegnazione presso una sede di lavoro, piuttosto che ad un’altra, nell’ambito della stessa città di Salerno, lamentando ella di essere stata sostituita, nell’incarico assegnatole presso l’Istituto Superiore A., dalla controinteressata, e di essere stata quindi
assegnata all’Istituto Tecnico Commerciale Statale G., entrambi con sede in Salerno.
15 Cons. Stato IV 6 maggio 2010 n. 2639, per cui l’art. 60 del D.L.vo 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali) - secondo cui “quando il trattamento concerne dati idonei a rivelare lo stato
di salute o la vita sessuale, il trattamento è consentito se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi è di rango almeno pari ai diritti dell’interessato, ovvero consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile” impone un bilanciamento degli interessi coinvolti, mediante una verifica (non in astratto, ma in concreto) tendente ad accertare se il diritto che si intende far valere o difendere attraverso l’accesso sia di rango almeno
pari a quello alla riservatezza. Non può essere negato ad un dipendente pubblico interessato l’accesso alla
documentazione concernente la procedura di mobilità di un collega di lavoro, sotto il profilo che detta documentazione conterrebbe “dati sensibili” regolati dall’art. 60 del Codice in materia di protezione dei dati perso18
Ciò premesso, con riferimento alla norma dell’articolo 60 citato (per il quale “quando il trattamento concerne dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale, il
trattamento è consentito se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi è di rango almeno pari ai diritti dell’interessato, ovvero consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto o
libertà fondamentale e inviolabile”) la giurisprudenza ha chiarito che il bilanciamento
cui essa fa riferimento deve avvenire verificando non in astratto, ma in concreto se il
diritto che si intende far valere o difendere attraverso l’accesso è di rango almeno pari
a quello alla riservatezza.
7. Il procedimento di accesso
L’articolo 25 disciplina le modalità di esercizio del diritto di accesso, che si esercita
mediante esame ed estrazione di copia dei documenti amministrativi.
L’esame dei documenti è gratuito; il rilascio di copia è, infatti, subordinato soltanto al
rimborso del costo di riproduzione, salve le disposizioni vigenti in materia di bollo, nonché i
diritti di ricerca e di visura.
La richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata e va rivolta all’amministrazione che ha formato il documento o che lo detiene stabilmente.
Il rifiuto, il differimento e la limitazione dell’accesso sono ammessi nei casi e nei limiti
stabiliti dall’articolo 24 e debbono essere motivati.
In caso di mancata pronuncia si forma la fattispecie del silenzio rigetto; infatti, decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta.
Qualora l’amministrazione mantenga un comportamento omissivo a fronte dell’istanza dell’interessato di accesso alla documentazione amministrativa, ai sensi della l. 7 agosto 1990 n. 241, art. 25, comma 4, si configura l’ipotesi di silenzio - rifiuto (rectius: rigetto),
contro il quale è proponibile il ricorso di cui è previsione nella stessa norma, ancorché l’amministrazione in pendenza del termine di trenta giorni ad essa concesso per provvedere sul-
nali, ed in particolare “dati relativi allo stato di salute di soggetti terzi...”, atteso che in tal caso il dipendente
pubblico, chiedendo di accedere alla specifica documentazione utilizzata dall’Amministrazione per assentire
il nulla osta alla mobilità per la stessa sede di servizio dallo stesso richiesta, agisce a tutela di diritti, quali quello al lavoro ed alla difesa delle proprie ragioni, ai quali non può non essere riconosciuto rango almeno pari a
quello relativo alla riservatezza dei dati concernenti lo stato di salute di familiari della collega. Nel caso in cui
sia stato chiesto di accedere ad una documentazione che contiene “dati sensibili” regolati dall’art. 60 del
Codice in materia di protezione dei dati personali, l’accesso stesso, all’esito di un complessivo e concreto
bilanciamento degli interessi in gioco, deve essere consentito nella forma limitata della sola visione della
documentazione strettamente necessaria a consentire la tutela della situazione giuridica del richiedente. Cfr.,
Cons. Stato, Sez. VI, 27 ottobre 2006, n. 6440.
19
l’istanza, siasi limitata a rendere noto lo stato del procedimento, riservandosi di comunicare ulteriormente le modalità di accesso 16.
In caso di diniego dell’accesso, espresso o tacito, o di differimento dello stesso ai sensi
dell’articolo 24, comma 4, il richiedente può presentare ricorso al tribunale amministrativo
regionale ai sensi del comma 5, ovvero, nei confronti degli atti delle amministrazioni centrali
e periferiche dello Stato ricorso alla Commissione per l’accesso di cui all’articolo 27 17.
La Commissione per l’accesso si pronuncia entro trenta giorni dalla presentazione dell’istanza e scaduto infruttuosamente tale termine, il ricorso si intende respinto.
Se la Commissione per l’accesso ritiene illegittimo il diniego o il differimento, ne informa il richiedente e lo comunica all’autorità alla quale è rivolta l’istanza di accesso.
Se questa non emana il provvedimento confermativo motivato entro trenta giorni
dal ricevimento della comunicazione del difensore civico o della Commissione, l’accesso è consentito.
Qualora il richiedente l’accesso si sia rivolto alla Commissione, il termine per impugnare, adesso disciplinato dall’art. 116 c. 1 CPA, decorre dalla data di ricevimento, da parte del
richiedente, dell’esito della sua istanza alla Commissione stessa.
Se l’accesso è negato o differito per motivi inerenti ai dati personali che si riferiscono
a soggetti terzi, la Commissione provvede, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, il quale si pronuncia entro il termine di dieci giorni dalla richiesta, decorso inutilmente il quale il parere si intende reso.
16 Ai fini della configurabilità del reato di rifiuto di atti d’ufficio, nell’ipotesi prevista dall’art. 328 comma 2 c.p.,
occorre che l’atto d’ufficio non compiuto ed in relazione al quale non vengano fornite nel termine di legge, a
specifica richiesta della parte interessata, le ragioni del ritardo, sia un atto dovuto, e quindi idoneo ad esprimere utilmente, e non in modo ultroneo e superfluo, la posizione della p.a. nel rapporto con il privato. Ne consegue che non ogni richiesta di atto da parte del privato è idonea ad attivare il meccanismo che può dar luogo
alla configurabilità del reato “de quo”, dovendosi tale idoneità riconoscere solo a quelle richieste che siano funzionali ad un effettivo e doveroso dinamismo della p.a., si estrinsechi esso in atti facoltativi, vincolati o comportanti una certa discrezionalità, sempre che trattisi di atti costituenti comunque espressione di un preciso dovere legale del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio. Il reato è poi comunque da escludere quando - come nel caso della richiesta di accesso a documenti disciplinati dall’art. 25 d.l. n. 241 del 1990 - la mancata risposta alla richiesta del privato nel medesimo termine previsto dalla norma penale (30 giorni), dia luogo
a silenzio - rifiuto perché quest’ultimo equivale, sia pure per presunzione, al compimento dell’atto e viene
comunque a determinare una situazione concettuale incompatibile con l’inerzia della p.a. e con la necessità,
quindi, di una messa in mora della stessa da parte del privato, il quale è invece posto in grado di apprezzare
concretamente il risultato dell’attività amministrativa alla quale è interessato e di assumere le eventuali iniziative del caso. (Nella specie, in applicazione di detti principi, la S.C. ha ritenuto corretta la decisione del giudice
di merito che aveva escluso la configurabilità del reato a carico di taluni dirigenti di una Usl i quali non avevano dato riscontro alle ripetute richieste di una dipendente volte ad ottenere chiarimenti ed atti concernenti la
sua posizione giuridica, segnatamente con riguardo alle mansioni che le erano state affidate, da lei ritenute non
compatibili con il suo profilo professionale). Cassazione penale sez. VIm6 ottobre 1998 n. 12977
17 Giova ricordare che la norma prevede anche il ricorso al difensore civico dell’enete locale, figura soppressa con l’art. 2 c. 186 della L. 191 del 2009.
20
Il d.P.R. 12 aprile 2006, n. 184 (Regolamento recante disciplina in materia di accesso
ai documenti amministrativi) disciplina in dettaglio il procedimento sull’accesso.
Il diritto di accesso si esercita con riferimento ai documenti amministrativi materialmente esistenti al momento della richiesta e detenuti alla stessa data da una pubblica
amministrazione, di cui all’articolo 22, comma 1, lettera e), della legge, nei confronti dell’autorità competente a formare l’atto conclusivo o a detenerlo stabilmente.
Si ribadisce che la pubblica amministrazione non è tenuta ad elaborare dati in suo
possesso al fine di soddisfare le richieste di accesso.
La pubblica amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, è tenuta a dare comunicazione agli stessi, mediante invio di copia
con raccomandata con avviso di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano
consentito tale forma di comunicazione. I soggetti controinteressati sono individuati tenuto
anche conto del contenuto degli atti connessi.
Detto adempimento costituisce estrinsecazione della partecipazione al procedimento.
Entro dieci giorni dalla ricezione della comunicazione i controinteressati possono presentare una motivata opposizione, anche per via telematica, alla richiesta di accesso.
Decorso tale termine, la pubblica amministrazione provvede sulla richiesta, accertata
la ricezione della comunicazione ai contro interessati..
Le modalità dell’accesso sono esercitate informalmente e formalmente.
L’art. 5 del regolamento disciplina l’accesso informale
Qualora in base alla natura del documento richiesto non risulti l’esistenza di controinteressati il diritto di accesso può essere esercitato in via informale mediante richiesta,
anche verbale, all’ufficio dell’amministrazione competente a formare l’atto conclusivo del
procedimento o a detenerlo stabilmente.
Il richiedente deve indicare gli estremi del documento oggetto della richiesta ovvero gli
elementi che ne consentano l’individuazione, specificare e, ove occorra, comprovare l’interesse connesso all’oggetto della richiesta, dimostrare la propria identità e, ove occorra, i
propri poteri di rappresentanza del soggetto interessato.
La richiesta, esaminata immediatamente e senza formalità, è accolta mediante indicazione della pubblicazione contenente le notizie, esibizione del documento, estrazione di
copie, ovvero altra modalità idonea.
La richiesta, ove provenga da una pubblica amministrazione, è presentata dal titolare dell’ufficio interessato o dal responsabile del procedimento amministrativo ed è
trattata ai sensi dell’articolo 22, comma 5, della legge., in applicazione del principio di
leale collaborazione.
21
La richiesta di accesso può essere presentata anche per il tramite degli Uffici relazioni con il pubblico.
La pubblica amministrazione, qualora in base al contenuto del documento richiesto
riscontri l’esistenza di controinteressati, invita l’interessato a presentare richiesta formale di
accesso.
L’art. 6 disciplina il procedimento di accesso formale, previsto qualora non sia possibile l’accoglimento immediato della richiesta in via informale, ovvero sorgano dubbi sulla
legittimazione del richiedente, sulla sua identità, sui suoi poteri rappresentativi, sulla sussistenza dell’interesse alla stregua delle informazioni e delle documentazioni fornite, sull’accessibilità del documento o sull’esistenza di controinteressati, l’amministrazione invita l’interessato a presentare richiesta d’accesso formale, di cui l’ufficio rilascia ricevuta.
La richiesta formale presentata ad amministrazione diversa da quella nei cui confronti va esercitato il diritto di accesso è dalla stessa immediatamente trasmessa a quella competente e di tale trasmissione è data comunicazione all’interessato.
Il procedimento di accesso deve concludersi nel termine di trenta giorni, ai sensi dell’articolo 25, comma 4, della legge n. 241 del 1990, decorrenti dalla presentazione della
richiesta all’ufficio competente o dalla ricezione della medesima.
Ove la richiesta sia irregolare o incompleta, l’amministrazione, in applicazione dell’istituto del c. d. “soccorso istruttorio”, entro dieci giorni, ne dà comunicazione al richiedente
con raccomandata con avviso di ricevimento ovvero con altro mezzo idoneo a comprovarne la ricezione. In tale caso, il termine del procedimento ricomincia a decorrere dalla presentazione della richiesta corretta.
Anche per il procedimento di accesso va consentita l’individuazione del responsabile del procedimento di accesso che è il dirigente, il funzionario preposto all’unità
organizzativa o altro dipendente addetto all’unità competente a formare il documento o
a detenerlo stabilmente.
In caso di accoglimento della richiesta vanno individuate le modalità di accesso ai
sensi dell’art. 7 del regolamento.
L’atto di accoglimento della richiesta di accesso contiene l’indicazione dell’uff i c i o ,
completa della sede presso cui rivolgersi, nonché di un congruo periodo di tempo,
comunque non inferiore a quindici giorni, per prendere visione dei documenti o per ottenerne copia.
L’accoglimento della richiesta di accesso a un documento comporta anche la facoltà
di accesso agli altri documenti nello stesso richiamati e appartenenti al medesimo procedimento, fatte salve le eccezioni di legge o di regolamento.
22
L’esame dei documenti avviene presso l’ufficio indicato nell’atto di accoglimento della
richiesta, nelle ore di ufficio, alla presenza, ove necessaria, di personale addetto.
I documenti sui quali è consentito l’accesso non possono essere asportati dal luogo
presso cui sono dati in visione, o comunque alterati in qualsiasi modo.
L’esame dei documenti è effettuato dal richiedente o da persona da lui incaricata, con
l’eventuale accompagnamento di altra persona di cui vanno specificate le generalità, che
devono essere poi registrate in calce alla richiesta. L’interessato può prendere appunti e trascrivere in tutto o in parte i documenti presi in visione.
In ogni caso, la copia dei documenti è rilasciata subordinatamente al pagamento degli
importi dovuti ai sensi dell’articolo 25 della legge secondo le modalità determinate dalle singole amministrazioni. Su richiesta dell’interessato, le copie possono essere autenticate.
Il rifiuto, la limitazione o il differimento dell’accesso richiesto in via formale vanno motivati, a cura del responsabile del procedimento di accesso, ai sensi dell’art. 9 del regolamento, con riferimento specifico alla normativa vigente, alla individuazione delle categorie di cui
all’articolo 24 della legge n.241 del 1990, ed alle circostanze di fatto per cui la richiesta non
può essere accolta così come proposta.
E’ stato ritenuto (Cons. Stato V 25 maggio 2012 n. 3079), pertanto, illegittimo il mero
e generico invito con il quale la stazione appaltante consente ad un concorrente ad una
gara di appalto di prendere soltanto visione degli atti di gara, nel caso in cui, con l’istanza
ostensiva, il concorrente stesso abbia avanzato espressa richiesta di ottenere copia di alcuni ben individuati atti della procedura di evidenza pubblica; infatti, poiché l’accesso agli atti
può essere esercitato con diverse modalità (visione ed estrazione di copia, ovvero mediante rilascio di copia), avendo l’accedente optato per la modalità di rilascio di copia, l’amministrazione è tenuta a rilasciare copia degli atti, indicando la somma dovuta per ottenerla, non
essendo nella sua disponibilità scegliere altra modalità di esecuzione, salava l’esigenza di
tutelare il diritto alla riservatezza di terzi.
Il diritto d’accesso riguarda esclusivamente documenti già esistenti e detenuti
dall’Amministrazione, così che esso non può essere invocato allorché lo stesso interessato non chieda l’esibizione di documenti di cui sia certa l’esistenza, ma intenda provare l’esistenza di documenti che egli afferma essere stati a suo tempo formati.
Infatti, ammettendo una richiesta di esibizione di documenti non corredata dalla
prova o quantomeno di indizi circa l’esistenza delle notizie riferibili all’interesse di cui l’istante è titolare, essa si trasformerebbe (Cons. Stato V 25 giugno 2010 n. 4068, Cons.
Stato, sez. IV, 31 gennaio 2005, n. 218) in un inammissibile strumento di controllo sull’attività amministrativa.
23
Ai sensi degli artt. 22 e 23 l. n. 241 del 1990, il diritto di accesso è esercitabile non
solo nei confronti dell’attività di diritto amministrativo, ma anche di quella di diritto privato
posta in essere dai soggetti gestori di pubblici servizi che, pur non costituendo direttamente gestione del servizio stesso, sia collegata a quest’ultima da un nesso di strumentalità
derivante anche, sul versante soggettivo, dalla intensa conformazione pubblicistica 18.
Il differimento dell’accesso è disposto ove sia sufficiente per assicurare una temporanea tutela agli interessi di cui all’articolo 24, comma 6, della legge, o per salvaguardare specifiche esigenze dell’amministrazione, specie nella fase preparatoria dei provvedimenti, in
relazione a documenti la cui conoscenza possa compromettere il buon andamento dell’azione amministrativa.
L’atto che dispone il differimento dell’accesso ne indica la durata.
Ovviamente la Pubblica amministrazione ha anche un potere di organizzazione del
servizio di accesso disciplinato dall’art.8 del regolamento.
I provvedimenti generali organizzatori di cui all’articolo 1, comma 2, riguardano in
particolare:
a) le modalità di compilazione delle richieste di accesso, preferibilmente mediante la
predisposizione di apposita modulistica;
b) le categorie di documenti di interesse generale da pubblicare in luoghi accessibili a
tutti e i servizi volti ad assicurare adeguate e semplificate tecniche di ricerca dei documenti, anche con la predisposizione di indici e la indicazione dei luoghi di consultazione;
c) l’ammontare dei diritti e delle spese da corrispondere per il rilascio di copie dei
documenti di cui sia stata fatta richiesta, fatte salve le competenze del Ministero dell’economia e delle finanze;
d) l’accesso alle informazioni contenute in strumenti informatici, adottando le misure
atte a salvaguardare la distruzione, la perdita accidentale, nonché la divulgazione non autorizzata. In tali casi, le copie dei dati informatizzati possono essere rilasciate sugli appositi
supporti, ove forniti dal richiedente, ovvero mediante collegamento in rete, ove esistente.
8. Consiglieri comunali e accesso speciale
Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale (Cons. Stato V, 9 ottobre 2007, n.
5264) i consiglieri comunali hanno un non condizionato diritto di accesso a tutti gli atti che
possano essere d’utilità all’espletamento del loro mandato, disciplinato dall’art. 43 del D.
Lgs. 18 agosto 2000, n. 267.
18 Cons. Stato, sez. VI, 2 ottobre 2009 n. 5987; Cons. Stato, Sez. VI, 26 gennaio 2006 n. 229; id., 30 dicembre 2005 n. 7624; id., 7 agosto 2002, n. 4152; id., 8 gennaio 2002, n. 67.
24
Ciò anche al fine di permettere di valutare - con piena cognizione - la correttezza e l’efficacia dell’operato dell’Amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle
questioni di competenza del Consiglio, e per promuovere, anche nell’ambito del Consiglio
stesso, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale.
Il diritto di accesso loro riconosciuto ha, infatti, una ratio diversa da quella che contraddistingue il diritto di accesso ai documenti amministrativi riconosciuto alla generalità dei cittadini (ex articolo 10 del D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267) ovvero a chiunque sia portatore di
un “interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente
tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso” (ex art. 22 e ss. della legge
7 agosto 1990, n. 241).
Infatti, mentre in linea generale il diritto di accesso è finalizzato a permettere ai singoli soggetti di conoscere atti e documenti per la tutela delle proprie posizioni soggettive eventualmente lese, quello riconosciuto ai consiglieri comunali è strettamente funzionale all’esercizio del proprio mandato, alla verifica e al controllo del comportamento degli organi istituzionali decisionali dell’ente locale ai fini della tutela degli interessi pubblici (piuttosto che
di quelli privati e personali) e si configura come peculiare espressione del principio democratico dell’autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività 19.
Di conseguenza sul consigliere comunale non può gravare alcun particolare onere di
motivare le proprie richieste di accesso (C.d.S., sez. V, 22 febbraio 2007, n. 929; 9 dicembre 2004, n. 7900), atteso che diversamente opinando sarebbe introdotta una sorta di controllo dell’ente, attraverso i propri uffici, sull’esercizio del mandato del consigliere comunale.
E’ stato osservato d’altra parte che dal termine “utili”, contenuto nell’articolo 43 del D.
Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, non può conseguire alcuna limitazione al diritto di accesso dei
consiglieri comunali, detto aggettivo garantendo in realtà l’estensione di tale diritto di accesso a qualsiasi atto ravvisato utile per l’esercizio del mandato (Cons. Stato V, 20 ottobre
2005, n. 5879).
Deve anche aggiungersi che il diritto del consigliere comunale ad ottenere dall’ente
tutte le informazioni utili all’espletamento del mandato non incontra neppure alcuna limitazione derivante dalla loro eventuale natura riservata, in quanto il consigliere è vincolato al
segreto d’ufficio (Cons. Stato V, 4 maggio 2004, n. 2716).
In definitiva gli unici limiti all’esercizio del diritto di accesso dei consiglieri comunali possono rinvenirsi, per un verso, nel fatto che esso deve avvenire in modo da comportare il
minor aggravio possibile per gli uffici comunali (attraverso modalità che ragionevolmente
19 Cons. Stato, sez. V, 29 agosto 2011 n. 4829; Cons. Stato, sez. V, 8 settembre 1994 n. 976; Cons. Stato,
sez. IV, 21 agosto 2006 n. 4855.
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sono fissate nel regolamento dell’ente) e, per altro verso, che esso non deve sostanziarsi in
richieste assolutamente generiche ovvero meramente emulative, fermo restando tuttavia che
la sussistenza di tali caratteri deve essere attentamente e approfonditamente vagliata in concreto al fine di non introdurre surrettiziamente inammissibili limitazione al diritto stesso.
Il diritto di accesso dei consiglieri comunali o provinciali può riguardare, infatti, qualsiasi informazione ritenuta dal richiedente utile all’espletamento del mandato elettivo, con
esclusione delle sole richieste strumentali ed indeterminate, non dovendo la relativa
domanda essere motivata o necessariamente essere presentata in forma scritta.
Sussiste, inoltre, il diritto del consigliere comunale di accedere agli atti di una società
mista a partecipazione pubblica maggioritaria, affidataria di alcuni servizi pubblici locali da
parte dell’Ente territoriale, per l’espletamento del mandato elettivo (nella specie era stato
chiesto di accedere all’elenco fornitori della società): infatti, il diritto d’accesso dei
Consiglieri comunali si estende anche agli atti formati o stabilmente detenuti da tutte le
aziende o enti partecipati dal Comune, non richiedendosi che le stesse integrino la figura
dell’in house providing 20.
La figura della società in house, pertanto, è solo uno dei possibili soggetti legittimati
passivi della richiesta e del diritto di accesso dei consiglieri, non esaurendo certo il novero
di tutti i legittimati passivi, poiché tale figura non esaurisce il novero delle società partecipate dall’Ente locale che possono gestire i servizi pubblici locali.
L’art. 113, comma 5, lett. b) del d.lgs. n. 267/2000 individua, infatti, quali soggetti
gestori di servizi pubblici locali le società a partecipazione pubblica maggioritaria, le vecchie società di cui all’art. 22, 3° comma, lett. e) della L. n. 142/1990, il cui socio privato sia
stato scelto mediante una procedura concorsuale ad evidenza pubblica.
Si è, infatti, precisato che “la natura di società di capitale non preclude l’esercizio
del diritto de quo, atteso che la proprietà della medesima è in parte imputabile al
Comune; dalla partecipazione pubblica discende l’esercizio di attività certamente rientranti nella più generale attività dell’ente locale, che giustifica e legittima quindi la
richiesta documentazione.
In conclusione, risulta evidente, anche alla luce di recenti indici normativi, che le
società partecipate pubbliche, siano esse strumentali agli enti partecipanti o concessionarie o affidatarie di servizi pubblici locali, restano assoggettate alle regole di buona ammini20 TAR Piemonte I 15 febbraio 2010 n. 934 T.A.R. Piemonte, Sez. II, 31 luglio 2009, n. 2128, nonché Cons.
Stato, Sez. V, 9 ottobre 2007, n. 5264, secondo cui va fatto al riguardo riferimento ad una nozione particolarmente lata di informazioni utili all’espletamento del mandato consiliare; “dal termine “utili” non consegue, quindi, alcuna limitazione al diritto di accesso dei consiglieri comunali, bensì l’estensione di tale diritto a qualsiasi
atto ravvisato utile all’espletamento del mandato.
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strazione imparziale, secondo il principio di legalità, di cui all’art. 97 Cost. e al capo I della
legge n. 241 del 1990.
Finché questi strumenti societari impiegano risorse economiche pubbliche per lo svolgimento di funzioni pubbliche o per l’erogazione di servizi pubblici, non è consentito che il
rivestimento formale privatistico possa consentire ad essi di sottrarsi alle regole di trasparenza e di controllabilità che indefettibilmente caratterizzano la funzione e il servizio pubblici (T.A.R. Campania - Napoli, Sez. V, 28 gennaio 2010 n. 448).
9. L’accesso in materia ambientale
Alla luce dell’art. 2 del d.lgs. 19 ottobre 2005, n. 195, per informazione ambientale si intende qualsiasi informazione disponibile in forma scritta, visiva, sonora, elettronica od in qualunque altra forma materiale concernente: 1) lo stato degli elementi dell’ambiente, quali l’aria, l’atmosfera, l’acqua, il suolo, il territorio, i siti naturali, compresi gli igrotopi, le zone costiere e marine, la diversità biologica ed i suoi elementi costitutivi, compresi gli organismi geneticamente
modificati e, inoltre, le interazioni tra questi elementi; 2) fattori quali le sostanze, le energie, il
rumore, le radiazioni od i rifiuti, anche quelli radioattivi, le emissioni, gli scarichi ed altri rilasci
nell’ambiente, che incidono o possono incidere sugli elementi dell’ambiente, individuati al
numero 1); 3) le misure, anche amministrative, quali le politiche, le disposizioni legislative, i
piani, i programmi, gli accordi ambientali e ogni altro atto, anche di natura amministrativa, nonché le attività che incidono o possono incidere sugli elementi e sui fattori dell’ambiente di cui ai
numeri 1) e 2), e le misure o le attività finalizzate a proteggere i suddetti elementi.
Sebbene l’accesso all’informazione ambientale possa essere esercitato da chiunque,
senza la necessità di dimostrare uno specifico interesse (che è da considerare in re ipsa
per ciascun essere umano o ente che lo rappresenti o ne sia emanazione, ai sensi dell’art.
3 comma 1, del predetto decreto legislativo), la richiesta non solo non deve essere formulata in termini eccessivamente generici, ma deve essere specificamente individuata con
riferimento alle matrici ambientali ovvero ai fattori di cui al punto 2) o alle misure di cui al
punto 3) dell’articolo 2 del D. Lgs. 19 ottobre 2005, n. 195 (Consiglio di Stato V - sentenza
18 ottobre 2011 n. 5571).
10. L’accesso agli atti di gara
La disciplina speciale dell’accesso agli atti delle procedure di gara è contenuta all’art.
13 del decreto legislativo n. 163 del 2006.
Si tratta di una disciplina speciale da coordinare con gli articoli 22 e seguenti della
legge 241 del 1990 e con il d.P.R. n. 184 del 2006.
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Con riferimento ad una gara di appalto, la posizione qualificata e differenziata, di natura sostanziale, in relazione alla quale può configurarsi anche uno (strumentale) diritto di
accesso deriva dalla partecipazione alla medesima, circostanza che distingue la posizione
del concorrente da quella di ogni altro soggetto (impresa individuale o società).
L’accesso agli atti delle procedure concorsuali e di gara è consentito soltanto a coloro ai quali gli atti stessi direttamente o indirettamente si rivolgono e che se ne possono
avvalere per la tutela di una posizione soggettiva, la quale non può identificarsi con il generico e indistinto interesse al buon andamento amministrativo.
Anche in materia di procedure di gara l’accesso si esercita sia con la visione che con
il rilascio di copia.
La peculiarità principale dell’accesso è una rafforzata funzione del potere di differimento che opera ope legis.
E’ previsto, conseguentemente, un rigido sistema sanzionatorio per il caso di divulgazione indebita di documenti a parte i profili di illegittimità degli atti di gara.
Fatta salva la disciplina prevista dal codice per gli appalti segretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza, il diritto di accesso è differito ope legis:
- nelle procedure aperte, in relazione all’elenco dei soggetti che hanno presentato
offerte, fino alla scadenza del termine per la presentazione delle medesime;
- nelle procedure ristrette e negoziate, e in ogni ipotesi di gara informale, in relazione
all’elenco dei soggetti che hanno fatto richiesta di invito o che hanno segnalato il loro interesse, e in relazione all’elenco dei soggetti che sono stati invitati a presentare offerte e all’elenco dei soggetti che hanno presentato offerte, fino alla scadenza del termine per la presentazione delle offerte medesime; ai soggetti la cui richiesta di invito sia stata respinta, è
consentito l’accesso all’elenco dei soggetti che hanno fatto richiesta di invito o che hanno
segnalato il loro interesse, dopo la comunicazione ufficiale, da parte delle stazioni appaltanti, dei nominativi dei candidati da invitare;
- in relazione alle offerte, fino all’approvazione dell’aggiudicazione.
- in relazione al procedimento di verifica della anomalia dell’offerta, fino all’aggiudicazione definitiva.
Fino ai termini sopra elencati, non possono essere comunicati a terzi o resi in qualsiasi altro modo noti.
Le disposizioni di cui all’art. 13, commi 1, 2 e 3, d.lgs. n. 163 del 2006 hanno un contenuto precettivo generale e non derogabile, come si deduce anche dal fatto che l’art. 13,
al comma 3, cit. dispone che gli atti richiamati non possono essere resi “in qualsiasi altro
modo noti”, mentre le possibilità di deroga alle prescrizioni in esso contenute sono specifi28
camente individuate, e trovano logica giustificazione nell’esigenza che la commissione di
gara proceda alla valutazione delle offerte senza possibili turbative, che potrebbero derivare dalla conoscenza, all’esterno, delle valutazioni adottate prima della conclusione del procedimento (Consiglio di Stato V 1° settembre 2011 n. 4905).
La peculiarità è costituita anche da una specifica disciplina riguardante gli atti sottratti all’accesso.
In applicazione della tutela della riservatezza i documenti contenenti informazione
sugli offerenti sono accessibili in caso di difesa in giudizio
In tal caso vanno messi a disposizione degli operatori economici interessati che ne
fanno domanda le specifiche tecniche.
Quando alle specifiche tecniche sono basate su documenti accessibili agli operatori
economici interessati, si considera sufficiente l’indicazione del riferimento a tali documenti.
Fatta salva la disciplina prevista dal codice dei contratti per gli appalti segretati o la cui
esecuzione richiede speciali misure di sicurezza, sono esclusi il diritto di accesso e ogni
forma di divulgazione in relazione:
- alle informazioni fornite dagli offerenti nell’ambito delle offerte ovvero a giustificazione delle medesime, che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali;
- a eventuali ulteriori aspetti riservati delle offerte, da individuarsi in sede di regolamento;
E’, comunque, consentito l’accesso al concorrente che lo chieda in vista della difesa
in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto nell’ambito della quale viene formulata la richiesta di accesso.
Limitatamente ai contratti nei settori speciali soggetti alla disciplina della parte III contratti relativi ai settori speciali (ex esclusi) gas, energia termica, elettricità, acqua, trasporto,
servizi postali), all’atto della trasmissione delle specifiche tecniche agli operatori economici
interessati, della qualificazione e della selezione degli operatori economici e dell’affidamento dei contratti, gli enti aggiudicatori possono imporre requisiti per tutelare la riservatezza
delle informazioni che trasmettono.
Gli enti aggiudicatori mettono a disposizione degli operatori economici interessati e
che ne fanno domanda le specifiche tecniche regolarmente previste nei loro appalti di forniture, di lavori o di servizi, o le specifiche tecniche alle quali intendono riferirsi per gli appalti che sono oggetto di avvisi periodici indicativi.
Tuttavia quando le specifiche tecniche sono basate su documenti accessibili agli
operatori economici interessati, si considera sufficiente l’indicazione del riferimento a
tali documenti.
29
E’ previsto, poi, un divieto di accesso per i pareri legali e le relazioni riservate del direttore dei lavori e dell’organo di collaudo sulle domande e sulle riserve del soggetto esecutore del contratto.
Si tratta in particolare:
- dei pareri legali acquisiti dai soggetti tenuti all’applicazione del codice dei contratti,
per la soluzione di liti, potenziali o in atto, relative ai contratti pubblici;
- delle relazioni riservate del direttore dei lavori e dell’organo di collaudo sulle domande e sulle riserve del soggetto esecutore del contratto.
In tema di accesso l’articolo 2 del d.lgs. 20 marzo 2010, n.53 ha aggiunto il comma 5quater dell’art. 79 del Codice.
L’accesso agli atti del procedimento in cui sono adottati i provvedimenti oggetto di
comunicazione ai sensi dell’art. 79 è consentito entro dieci giorni dall’invio della comunicazione dei provvedimenti di esclusione dalla gara o di aggiudicazione, mediante visione ed
estrazione di copia.
In tal caso non occorre istanza scritta di accesso e provvedimento di ammissione,
salvi i provvedimenti di esclusione o differimento dell’accesso adottati ai sensi dell’articolo
13, che, invece vanno adottati formalmente e comunicati.
Le comunicazioni di cui al comma 5 dell’art. 79 indicano:
- se ci sono atti per i quali l’accesso é vietato o differito;
- l’ufficio presso cui l’accesso può essere esercitato, e i relativi orari, garantendo che
l’accesso sia consentito durante tutto l’orario in cui l’ufficio è aperto al pubblico o il relativo
personale presta servizio 21.
21 L’art. 79 del D.L.vo n. 163 del 2006 disciplina le informazioni circa i mancati inviti, le esclusioni e le
aggiudicazioni.
Le stazioni appaltanti sono tenute ad informare tempestivamente i candidati e gli offerenti delle decisioni prese
riguardo alla conclusione di un accordo quadro, all’aggiudicazione di un appalto, o all’ammissione in un sistema dinamico di acquisizione, ivi compresi i motivi della decisione di non concludere un accordo quadro, ovvero di non aggiudicare un appalto per il quale è stata indetta una gara, ovvero di riavviare la procedura, ovvero di non attuare un sistema dinamico di acquisizione.
2. Le stazioni appaltanti inoltre sono tenute a comunicare:
a) ad ogni candidato escluso i motivi del rigetto della candidatura;
b) ad ogni offerente escluso i motivi del rigetto della sua offerta, inclusi, per i casi di cui all’articolo 68, commi
4 e 7, i motivi della decisione di non equivalenza o della decisione secondo cui i lavori, le forniture o i servizi
non sono conformi alle prestazioni o ai requisiti funzionali;
c) ad ogni offerente che abbia presentato un’offerta selezionabile, le caratteristiche e i vantaggi dell’offerta
selezionata e il nome dell’offerente cui è stato aggiudicato il contratto o delle parti dell’accordo quadro.
3. Le informazioni di cui al comma 1 e di cui al comma 2 sono fornite:
a) su richiesta scritta della parte interessata;
b) per iscritto;
c) il prima possibile e comunque non oltre quindici giorni dalla ricezione della domanda scritta.
L’amministrazione comunica di ufficio:
30
Fermi i divieti e differimenti dell’accesso previsti dall’articolo 13, l’accesso agli atti del
procedimento in cui sono adottati i provvedimenti oggetto di comunicazione è consentito
entro dieci giorni dall’invio della comunicazione dei provvedimenti medesimi mediante visione ed estrazione di copia.
Il regolamento di esecuzione del codice dei contratti, d.P.R. 5 ottobre 2010 n. 207,
all’art. 294 disciplina le condizioni e modalità di esercizio del diritto di accesso agli atti
del processo di asta elettronica può essere esercitato mediante l’interrogazione delle
registrazioni di sistema informatico che contengono la documentazione in formato elettronico dei detti atti ovvero tramite l’invio ovvero la messa a disposizione di copia
autentica degli atti.
Venendo all’esame delle questioni più problematiche va rilevato che sono escluse dal diritto di accesso le soluzioni tecniche ed i programmi per elaboratore utilizzati
dalla stazione appaltante o dal gestore del sistema informatico ove coperti da diritti di
privativa intellettuale.
Tale rigorosa interpretazione si impone alla luce dei principi affermati dalla Corte di
giustizia delle comunità europee (sez. III, 14 febbraio 2008, C-450/06, Varec), in tema di
bilanciamento, nelle controversie in materia di appalti, fra esigenze di difesa delle parti e
tutela della riservatezza delle imprese e dei loro segreti commerciali (quali espressione dei
superiori valori della concorrenza e del mercato).
La Corte ha, infatti, elaborato in maniera innovativa le disposizioni, ratione temporis
applicabili, sancite dagli artt. 1, n. 1 direttiva 89/665/Cee, 15, n. 2, direttiva 93/36/Cee (ora
art. 6 della direttiva 2004/18/Ce), che disciplinano la relazione fra tra diritto di accesso e
diritto alla riservatezza delle imprese, affermando che non solo le stazioni appaltanti ma
anche gli organi giurisdizionali nazionali investiti di un ricorso concernente le determinazioa) l’aggiudicazione definitiva, tempestivamente e comunque entro un termine non superiore a cinque giorni,
all’aggiudicatario, al concorrente che segue nella graduatoria, a tutti i candidati che hanno presentato un’offerta ammessa in gara, a coloro la cui candidatura o offerta siano state escluse se hanno proposto impugnazione avverso l’esclusione, o sono in termini per presentare dette impugnazioni, nonché a coloro che hanno
impugnato il bando o la lettera di invito, se dette impugnazioni non siano state ancora respinte con pronuncia
giurisdizionale definitiva (3);
b) l’esclusione, ai candidati e agli offerenti esclusi, tempestivamente e comunque entro un termine non superiore a cinque giorni dall’esclusione.
b-bis) la decisione, a tutti i candidati, di non aggiudicare un appalto ovvero di non concludere un accordo quadro (4).
b-ter) la data di avvenuta stipulazione del contratto con l’aggiudicatario, tempestivamente e comunque entro
un termine non superiore a cinque giorni, ai soggetti di cui alla lettera a) del presente comma (5).
5-bis. Le comunicazioni di cui al comma 5 sono fatte per iscritto, con lettera raccomandata con avviso di ricevimento o mediante notificazione o mediante posta elettronica certificata ovvero mediante fax, se l’utilizzo di
quest’ultimo mezzo é espressamente autorizzato dal concorrente, al domicilio eletto o all’indirizzo di posta
elettronica o al numero di fax indicato dal destinatario in sede di candidatura o di offerta.
31
ni inerenti l’aggiudicazione di un appalto pubblico, oltre a garantire la sicurezza delle informazioni acquisite giudizialmente, devono poter decidere di non trasmettere alle parti tali
informazioni se ciò risulti necessario a garantire la tutela della leale concorrenza o degli
interessi legittimi degli operatori economici 22.
Peculiare è la problematica della divulgazione in relazione alle informazioni fornite
dagli offerenti nell’ambito delle offerte ovvero a giustificazione delle medesime, che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o
commerciali.
La disciplina per l’accesso agli atti delle procedure di gara prevista dall’art. 13 del
Codice dei contratti pubblici, nel rinviare alla disciplina generale dell’accesso dettata dagli
artt. 22 e seguenti della legge n. 241/1990, prevede tuttavia al comma 5 che “sono esclusi il
diritto di accesso e ogni forma di divulgazione in relazione: a) alle informazioni fornite dagli
offerenti nell’ambito delle offerte ovvero a giustificazione delle medesime, che costituiscano,
secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali”.
Con tale disposizione il legislatore ha inteso escludere dal raggio di azionabilità del
diritto di ostensione la documentazione suscettibile di rivelare il know-how industriale e
commerciale contenuto nelle offerte delle imprese partecipanti.
Lo stesso comma 5 subordina, tuttavia, l’opponibilità della predetta causa di esclusione
alla manifestazione di interesse da parte della stessa impresa cui si riferiscono i documenti
cui altri intende accedere: è necessario, infatti, che si tratti di informazioni integranti, secondo
motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali. In mancanza di apposita dichiarazione, pertanto, la causa di esclusione in questione non opera.
L’art. 13, 6° comma, del d.lgs. n. 163/2006, nello stabilire che “in relazione all’ipotesi
di cui al comma 5, lettere a) e b), è comunque consentito l’accesso al concorrente che lo
chieda in vista della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto nell’ambito della quale viene formulata la richiesta di accesso”, riafferma la tendenziale prevalenza del cd. accesso difensivo, in generale disposta dall’art. 24,
comma 7, della legge n. 241 del 1990.
Né l’art. 13, comma 6, d.lgs. n. 163/2006, né l’art. 24 della legge n. 241/1990, nella
formulazione risultante a seguito della legge n. 15/2005, prevedono che l’accesso c.d.
difensivo, come tale prevalente sulle antagoniste ragioni di riservatezza o di segretezza tecnica o commerciale, possa e debba essere esercitato nella forma della sola visione, senza
estrazione di copia.
22 Consiglio di Stato, sez. V, 29 marzo 2011 n. 1927; Cons. Stato, sez. V, 1° settembre 2011 n. 4905; VI 30
luglio 2010 n. 5062.
32
E’ stato ritenuto, pertanto, illegittimo il provvedimento con cui si è limitato il diritto di
accesso all’offerta tecnica presentata dalla ditta aggiudicataria, consentendone la sola
visione e non anche l’estrazione di copia 23.
Muovendo dal presupposto che nel caso in cui le informazioni fornite nell’ambito dell’offerta ovvero a giustificazione della medesima costituiscano segreti tecnici o commerciali, l’accesso alle informazioni stesse è eccezionalmente consentito nel caso in cui sia strettamente collegato alla sola esigenza di difesa in giudizio; ciò presuppone un accurato controllo in ordine alla effettiva utilità della documentazione richiesta, alla stregua di una prova
di resistenza e non può prescindere dalle eventuali preclusioni processuali in cui sia incorso il richiedente, è stato ritenuto legittimo il diniego di accesso alle informazioni fornite nell’ambito dell’offerta che costituiscono, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali, nel caso in cui l’istanza ostensiva sia stata avanzata
da una ditta esclusa dalla gara stessa, perché la relativa offerta è stata dichiarata complessivamente inaffidabile, ex art. 88 comma 7, d.lgs. n. 163 del 2006)
Infatti, in tal caso, in considerazione delle ragioni poste a base della esclusione, non
può ritenersi sussistente alcun interesse della ditta accedente attinente alla difesa nel giudizio avverso l’aggiudicazione disposta dalla stazione appaltante in favore della ditta controinteressata (Consiglio di Stato V 30 dicembre 2011 n. 6996).
11. L’accesso ai pareri legali
In materia di diritto di accesso ai pareri acquisiti dalla pubblica Amministrazione nell’ambito di una procedura di gara, l’art. 13 comma 5 lett. c) d.lg. n. 163 del 2006 stabilisce
che sono esclusi il diritto di accesso e ogni forma di divulgazione in relazione “ai pareri legali acquisiti dai soggetti tenuti all’applicazione del presente codice, per la soluzione di liti,
potenziali o in atto, relative ai contratti pubblici”.
Della citata disposizione deve essere data un’interpretazione restrittiva, perché relativa a norma eccezionale, in quanto derogatoria rispetto alle ordinarie regole in materia di
accesso, e quindi è da intendere come riferibile alla sola fase di stipulazione dei contratti
pubblici di cui all’art. 12 d.lg. n. 163 del 2006 e non a tutta quella anteriore.
In materia di diritto di accesso ai pareri acquisiti dalla p.a. nell’ambito di una procedura di gara, il principio della riservatezza della consulenza legale si manifesta anche nelle
ipotesi in cui la richiesta del parere interviene in una fase intermedia, successiva alla definizione del rapporto amministrativo all’esito del procedimento, ma precedente l’instaurazione di un giudizio o l’avvio dell’eventuale procedimento precontenzioso, purché il ricorso alla
23 Consiglio di Stato, sez. VI, 19 ottobre 2009 n. 6393; 10 maggio 2010 n. 2814.
33
consulenza legale persegua lo scopo di consentire all’Amministrazione di articolare le proprie strategie difensive, in ordine ad un lite che, pur non essendo ancora in atto, può considerarsi quanto meno potenziale.
Nell’ambito di una procedura di gara, i pareri legali devono ritenersi sottratti all’accesso soltanto qualora attengano alle tesi difensive, relative ad un procedimento giurisdizionale (cioè quando i pareri legali vengono redatti dopo che è già iniziata una controversia giurisdizionale) o ad una fase precontenziosa e/o ad una lite potenziale, allorquando definiscono e/o delineano la relativa strategia difensiva e/o la futura condotta processuale più conveniente per l’Amministrazione, da assumere nella controversia giurisdizionale già instaurata o nella futura, eventuale e probabile lite giudiziaria, che il soggetto leso attiverà.
Devono, invece, ritenersi accessibili i pareri legali che, anche per l’effetto di un richiamo esplicito nel provvedimento finale, rappresentano un passaggio procedimentale istruttorio di un procedimento amministrativo in corso e, una volta acquisiti dall’Amministrazione,
vengono ad innestarsi nell’iter procedimentale, assumendo la configurazione di atti endoprocedimentali e perciò costituiscono uno degli elementi che condizionano la scelta
dell’Amministrazione (Consiglio di Stato sez. V 23 giugno 2011 n. 3812).
I pareri legali si considerano soggetti all’accesso ove siano riferiti all’iter procedimentale e vengano, pertanto, ad innestarsi nel provvedimento finale, mentre sono coperti dal
segreto professionale (artt. 622 c.p. e 200 c.p.p.) quando attengano alle tesi difensive in un
procedimento giurisdizionale, in quest’ultimo caso anche in fase precontenziosa o in relazione ad una lite potenziale (T.A.R. Roma Lazio sez. III 5 novembre 2009 n. 10867).
Sono, pertanto, soggetti all’accesso i pareri legali che rappresentano un passaggio
istruttorio di un procedimento amministrativo in corso; invece, i pareri legali che siano chiesti dall’Amministrazione al fine di definire la propria strategia difensiva nei contenziosi, non
destinati a sfociare in una determinazione amministrativa finale, restano caratterizzati dalla
riservatezza e non possono essere oggetto di diritto di accesso.
Alla stregua del principio predetto sussiste il diritto di accedere ad un parere
dell’Avvocatura dello Stato, atteso che esso ha la funzione di esprimere il richiesto avviso
nell’ambito del procedimento amministrativo in cui viene ad inserirsi e non sia comunque
collegato né ad una lite attuale, né ad una lite potenziale, in quanto non contiene considerazioni volte a delineare la condotta processuale più conveniente per l’Amministrazione 24.
24 Il principio della riservatezza della consulenza legale si manifesta anche nelle ipotesi in cui la richiesta del
parere intervenga in una fase intermedia, successiva alla definizione del rapporto amministrativo all’esito del
procedimento, ma precedente l’instaurazione di un giudizio o l’avvio dell’eventuale procedimento precontenzioso. Infatti, in tali casi, il ricorso alla consulenza legale persegue lo scopo di consentire all’Amministrazione
di articolare le proprie strategie difensive in ordine ad una lite potenziale, Cons. Stato VI 30 settembre 2010
34
Più specificamente, la previsione contenuta nell’art. 2 del DPCM 26 gennaio 1996, n.
200, mira proprio a definire con chiarezza il rapporto tra accesso e segreto professionale,
fissando una regola che appare sostanzialmente ricognitiva dei principi applicabili in questa materia, anche al di fuori dell’ambito della difesa erariale.
Conclusivamente va rilevato che allorché la consulenza si manifesta dopo l’avvio di un
procedimento contenzioso oppure dopo l’inizio di tipiche attività precontenziose e
l’Amministrazione si rivolge ad un professionista di fiducia, al fine di definire la propria strategia difensiva, il parere del legale, invece, non è destinato a sfociare in una determinazione amministrativa finale, ma mira a fornire all’ente pubblico tutti gli elementi tecnico-giuridici utili per tutelare i propri interessi; in tal caso le consulenze legali restano caratterizzate
dalla riservatezza, che mira a tutelare non soltanto l’opera intellettuale del legale, ma anche
la stessa posizione dell’Amministrazione, la quale, esercitando il proprio diritto di difesa,
protetto costituzionalmente, deve poter fruire di una tutela non inferiore a quella di qualsiasi altro soggetto dell’ordinamento.
12. Accesso agli atti dell’informativa antimafia
Le informazioni prefettizie antimafia possono essere ricondotte a tre tipi: quelle ricognitive (comunicazioni) di cause di per sé interdittive di cui all’art. 4 comma 4, d.lg. n. 490
del 1994; quelle relative ad eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e la cui efficacia interdittiva discende da una valutazione del Prefetto di cui all’art. 10 comma 7, d.P.R. n. 252 del
1998; quelle supplementari (o atipiche) la cui efficacia interdittiva scaturisce da una valutazione autonoma e discrezionale dell’Amministrazione destinataria dell’informativa prevista
dall’art. 1 septies, d.l. 6 settembre 1982 n. 629, convertito dalla l. 12 ottobre 1982 n. 726,
ed aggiunto dall’art. 2, l. 15 novembre 1988 n. 486.
Il predetto quadro non è sostanzialmente mutato nella attuale (dopo il primo correttivo) vigenza del decreto legislativo 6 settembre 2011 n. 159 (Codice delle leggi antimafia e
delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136) 25.
L’informativa prefettizia, come è noto, può essere interdittiva ovvero atipica (o supplementare), caratterizzandosi, quest’ultima, per il fatto di essere fondata sull’accertamento di
n. 7237, Cons. Stato, Sez. V, 2 aprile 2001, n. 1893, e 15 aprile 2004 n. 2163, Sez. IV, 13 ottobre 2003, n.
6200, secondo le quali, nell’ambito dei segreti sottratti all’accesso ai documenti, rientrano gli atti redatti dai
legali e dai professionisti in relazione a specifici rapporti di consulenza con l’Amministrazione, trattandosi di
un segreto che gode di una tutela qualificata, dimostrata dalla specifica previsione degli articoli 622 del codice penale e 200 del codice di procedura penale.
25 Un primo correttivo al codice antimafia è contenuto nel decreto legislativo 15 novembre 2012 n. 218, che,
tra l’altro, ha anticipato l’entrata in vigore e reintrodotto le informative atipiche.
35
elementi i quali, pur denotando pericolo di collegamenti tra impresa e criminalità organizzata, non raggiungono la soglia di gravità prevista, sì da risultare priva di efficacia interdittiva
automatica.
Anche in caso di informativa antimafia supplementare, rinveniente il proprio fondamento nell’art. 1 septies del d.l. 6.9.1982, n. 629 (convertito in legge n. 726 del 1982), il
potere valutativo dell’Amministrazione risulta comunque di ambito molto ristretto, in quanto
detta informativa, ispirata al principio di leale collaborazione tra Amministrazioni pubbliche,
serve ad offrire alla Stazione appaltante elementi di ponderazione, in ordine ai quali titolare del relativo potere di accertamento resta unicamente il Prefetto 26.
Gli elementi che denotano il pericolo di collegamento fra l’impresa e la criminalità
organizzata, oggetto dell’informativa antimafia, hanno un mero valore sintomatico ed indiziario, non dovendo necessariamente assurgere a livello di prova, anche indiretta.
Invero, la normativa si riferisce ad “eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa”, con ciò
volendo esprimere la volontà di prevenire sul nascere fenomeni che si collocano in una fase
preparatoria ed anteriore alla infiltrazione vera e propria (“eventuali tentativi”), sicché non è
necessaria la dimostrazione dell’esistenza di un atto di condizionamento effettivo dell’attività dell’impresa, essendo sufficiente la mera presenza di condizioni tali da costituire una
possibile tendenza verso un siffatto condizionamento.
Si tratta, quindi, di misure cautelari di tipo spiccatamente preventivo, miranti a contrastare l’azione del crimine organizzato, coprendo gli interessi economici della associazioni
mafiose a prescindere dal concreto accertamento in sede penale di uno o più reati
D’altro canto, il giudizio di pericolosità espresso nell’informativa antimafia va suffragato da elementi cognitivi certi, evincibili dalle informative rese dagli organi investigativi.
Si tratta di atto endoprocedimentale, non dotato di efficacia immediatamente lesiva e,
pertanto, neppure di effetti “diretti”, onde già questo solo aspetto rientra nella sfera di cognizione del giudice amministrativo, al quale compete di conoscere del provvedimento contenente quelle determinazioni finali.
L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato è pervenuta a detta conclusione in fattispecie relativa all’interdittiva di cui all’art. 10 del d.P.R. 30 giugno 1998, n. 252 (Regolamento
recante norme per la semplificazione dei procedimenti relativi al rilascio delle comunicazioni e delle informazioni antimafia), a norma del quale le informazioni del Prefetto “sono
richieste dall’amministrazione interessata” (comma 3) e se, come in quel caso, a seguito
delle verifiche disposte dalla stessa autorità emergono elementi relativi a tentativi di infiltra26 Cons. Stato, Sez. V, 24.10.2000, n. 5710; T.A.R. Campania Napoli, Sez. I, 27.9.2004, n. 12586; Cons.
Stato, Sez. IV, 29.4.2004 n. 2615; Cons. Stato, Sez. VI, 16.4.2003 n. 19797.
36
zione mafiosa, sono esclusivamente “le amministrazioni cui sono fornite le relative informazioni” che “non possono stipulare, approvare o autorizzare i contratti o i subcontratti...”
(comma 2).
Tanto nel rilievo che l’interdittiva non è atto avente portata generale e tanto meno normativa, né ha efficacia sull’intero territorio nazionale, bensì opera in seno al singolo rapporto cui afferisce e, pertanto, spiega i suoi effetti “diretti” nell’esclusivo ambito della circoscrizione territoriale ove quest’ultimo è costituito e si svolge, con l’ulteriore conseguenza della
competenza a conoscerne del T.A.R. di quella circoscrizione territoriale.
E” stato inoltre rilevato come ciò non tolga che il Prefetto possa corrispondere con
analoghe informazioni alla richiesta di altra amministrazione pubblica, ma si tratterà pur
sempre di diverso provvedimento, il quale avrà specifica efficacia inibitoria della stipulazione, approvazione o autorizzazione nei riguardi di quella amministrazione ed in relazione a
quel rapporto in ragione del quale la richiesta sia stata avanzata 27.
Va premesso che, ai sensi dell’art. 24, l., n. 241 del 1990, il diritto di accesso è escluso tra l’altro per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della l. 24 ottobre 1977 n.
801 e successive modificazioni e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle Pubbliche
Amministrazioni ai sensi del comma 2 del predetto articolo.
Tra i casi di segreto previsti dall’ordinamento rientra quello istruttorio in sede penale,
delineato dall’art. 329 c.p.p., a tenore del quale “gli atti di indagine compiuti dal pubblico
ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l’imputato non ne
possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari”. Tale
norma, di per se stessa, determina la secretazione degli atti di indagine che siano posti in
essere dal P.M. o dalla polizia giudiziaria.
Ai fini dell’accesso, occorre discernere tra l’informativa antimafia, generalmente consistente nella mera formula rituale con la quale il Prefetto, sulla base delle risultanze in suo
possesso (di regola, non esposte al soggetto interessato), afferma la sussistenza di elementi interdittivi a carico dell’impresa atto per sua natura ostensibile e le risultanze istruttorie “a monte” cui ha attinto l’autorità prefettizia per pervenire al giudizio sfavorevole formulato a carico dell’impresa medesima.
In relazione a tali atti istruttori “a monte”, l’ accesso va effettivamente escluso per tutte le
parti della documentazione in possesso dell’Amministrazione coperte da segreto istruttorio (ai
sensi della legge procedurale penale), in quanto afferente a indagini preliminari o procedimenti
27 Consiglio di Stato, Ad. Plen., 19 novembre 2012 n. 34; Ad. plen., ord. 24 settembre 2012 n. 33.
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penali in corso, oppure se e nella misura in cui coinvolga, a qualunque titolo, terzi soggetti interessati dalle informative di polizia di sicurezza, ovvero, ancora, ove possano essere addotti specifici motivi ostativi riconducibili ad imprescindibili esigenze di tutela di accertamenti in corso di
svolgimento di polizia di sicurezza e di contrasto alla delinquenza organizzata.
La mancata ostensione dell’informativa antimafia ex art. 20, d.P.R. n. 252 del 1998
nonché di tutta la documentazione ad essa connessa e soggetta a pubblicità per disposizione di legge, in quanto non motivata con riferimento alle concrete ragioni che impediscono la divulgazione del documento, anche eventualmente nelle forme “deboli” della mera
visione ovvero dell’estrazione di copia con tecniche di mascheramento, pregiudica il diritto
di difesa del richiedente, non consentendogli di contestare nel merito le ragioni effettive su
cui si fonda il provvedimento immediatamente lesivo l’ informativa prefettizia antimafia che
ha dato luogo ai provvedimenti dell’Amministrazione che la ha richiesta 28.
Ai fini dell’accesso, occorre discernere tra l’informativa antimafia, generalmente consistente nella mera formula rituale con la quale il Prefetto, sulla base delle risultanze in suo
possesso (di regola, non esposte al soggetto appaltante) afferma la sussistenza di elementi interdittivi a carico dell’impresa atto per sua natura pienamente ostensibile e le risultanze
istruttorie “a monte” cui ha attinto l’autorità prefettizia per pervenire al giudizio sfavorevole
formulato a carico dell’impresa medesima.
In relazione a tali atti istruttori “a monte”, l’accesso va effettivamente escluso per tutte le
parti della documentazione in possesso dell’Amministrazione coperte da segreto istruttorio (ai
sensi della legge procedurale penale), in quanto afferente a indagini preliminari o procedimenti penali in corso, oppure se e nella misura in cui coinvolga, a qualunque titolo, terzi soggetti
interessati alle informative di polizia di sicurezza, ovvero, ancora, ove possano essere addotti specifici motivi ostativi riconducibili ad imprescindibili esigenze di tutela di accertamenti in
corso di svolgimento di polizia di sicurezza e di contrasto alla delinquenza organizzata.
La mancata ostensione dell’informativa antimafia ex art. 10, d.P.R. n. 252 del 1998 nonché di tutta la documentazione di legge, in quanto non motivata con riferimento alle concrete
ragioni che impediscono la divulgazione del documento, pregiudica il diritto di difesa del richiedente (art. 24 Cost.), non consentendogli di contestare nel merito le ragioni effettive su cui si
fonda il provvedimento immediatamente lesivo l’informativa prefettizia antimafia che ha dato
luogo alla decisione della società di non proseguire il rapporto commerciale in essere 29.
28 T.A.R. Catanzaro Calabria, sez. I, 10 maggio 2012 n. 447; T.A.R. Catanzaro Calabria, sez. I, 16 marzo 2012 n. 292.
29 In passato la giurisprudenza era apparsa più restrittiva muovendo dalla considerazione che sotto il profilo dell’accessibilità, l’informativa antimafia prefettizia si configura come “riservata amministrativa”, sottratta all’ostensione
documentale, in quanto documentazione concernente, ai sensi dell’art. 24 comma 6, lett. c), l. 7 agosto 1990, n.
241, l’ordine pubblico e la prevenzione e repressione della criminalità (T.A.R. Lazio, sez. III, 31 luglio 2008 n. 7786).
38
E’ stato, pertanto, ritenuto illegittimo il provvedimento con il quale la Prefettura nega
alla ditta interessata l’accesso al testo di una informativa antimafia dalla quale risulta che
sussistevano elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa, assumendo che “la documentazione richiesta appartiene alla categoria dei documenti inaccessibili ai sensi dell’art.
3 del D.M. 10 maggio 1994, n. 415, regolamento attuativo dell’art. 24, comma IV della legge
7 agosto 1990 n. 241.
L’informativa antimafia infatti non può essere considerata sempre e comunque riservata, atteso che il Ministero dell’interno, in sede di redazione dell’art. 3 del cit. D.M. n. 415/1994
non ha incluso l’informativa antimafia tra gli atti tout court integralmente inaccessibili, per
motivi di ordine e sicurezza pubblica o di prevenzione e repressione della criminalità.
Ugualmente illegittimo sarebbe il provvedimento con il quale la Prefettura, nel rilasciare una copia di una informativa antimafia, inserisce in essa tali e tanti “omissis” da renderla incomprensibile.
Se è legittimo, infatti, che, ai sensi dell’art. 3 del D.M. n. 415/1994, non vanno
ostese le relazioni di servizio, e men che mai i relativi autori e le fonti (sicché non può
dubitarsi della legittimità degli “omissis” finalizzati a occultare tali elementi, del tutto a
prescindere dalla comprensibilità del documento osteso che ne derivi), è anche vero
che non è possibile inquadrare nel citato art. 3 l’apposizione di ulteriori “omissis” per
occultare l’indicazione di dati sostanzialmente pubblici, quali sono le sentenze pronunciate in sede penale nei confronti dei soggetti menzionati nell’informativa; ovvero di altri
dati già senz’altro a conoscenza di tali soggetti, quali le denunce diverse da quelle insite negli atti indicati dalla lett. c) del comma 1 dell’art. 3 del cit. D.M. n. 415/1994: sicché solo per queste ultime gli “omissis” avrebbero potuto giustificarsi, ove la Prefettura
avesse dedotto in giudizio che tale fosse il fondamento di taluna parte “oscurata” dell’informativa (CGA 11 maggio 2009 n. 406) 30.
13. La tutela giurisdizionale del diritto di accesso ai documenti amministrativi
L’accesso costituisce oggetto di un diritto soggettivo di cui il giudice amministrativo
conosce in sede di giurisdizione esclusiva.
Infatti, occorre “tener presente che il giudizio in materia di accesso di cui all’art. 25 L.
7.8.1990 n. 241, anche se si atteggia come impugnatorio nella fase della proposizione del
30 Quest’ultima pronuncia del C.G.A., si riferisce alla disciplina antecedente al 2 giugno 2006 e, perciò, all’entrata in vigore del D.P.R. 12 aprile 2006, n. 184 - nonché, ai sensi dell’art. 23, comma 3, della legge 11 febbraio 2005, n. 15, altresì alla data di vigenza dell’art. 16 di detta legge n. 15/2005, che ha novellato l’art. 24
della legge 7 agosto 1990, n. 241.
39
ricorso, in quanto rivolto contro l’atto di diniego o avverso il silenzio diniego formatosi sulla
relativa istanza, ed il ricorso è da esperire nel termine perentorio di 30 giorni (V. la decisione di questo Consiglio, A.P. n.16 del 24.6.1999), è sostanzialmente rivolto ad accertare la
sussistenza o meno del titolo all’accesso nella specifica situazione alla luce dei parametri
normativi, indipendentemente dalla maggiore o minore correttezza delle ragioni addotte
dall’Amministrazione per giustificarne il diniego 31.
Anche nel caso di impugnativa del silenzio diniego sull’accesso, l’Amministrazione
può dedurre in giudizio le ragioni che precludono all’interessato di avere copia o di visionare i relativi documenti, e la decisione da assumere, che deve comunque accertare la sussistenza o meno del titolo all’esibizione (ai sensi dell’ultimo comma del menzionato art. 25),
si deve formare tenendo conto anche di tali deduzioni 32.
Il giudizio ha per oggetto la verifica della spettanza o meno del diritto di accesso, più
che la verifica della sussistenza o meno dei vizi di legittimità dell’atto amministrativo. Infatti,
il giudice può ordinare l’esibizione dei documenti richiesti, così sostituendosi
all’Amministrazione e ordinandole un facere pubblicistico, solo se ne sussistono i presupposti (art. 116 comma 4, c.p.a.).
Questo implica che, al di là degli specifici vizi e della specifica motivazione del provvedimento amministrativo di diniego dell’accesso, il giudice deve verificare se sussistono o
meno i presupposti dell’accesso, potendo pertanto negarlo anche per motivi diversi da quelli indicati nel provvedimento amministrativo 33.
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la decisione n. 7 del 2006 ha affermato il principio che la situazione giuridica soggettiva del diritto di accesso non fornisce un’utilità finale, che è, invece, tipica del diritto o dell’interesse, perché si tratta di una situazione
giuridica soggettiva che offre all’interessato poteri di natura procedimentale volti a tutelare
un’altra situazione giuridica soggettiva.
Il “diritto di accesso ai documenti amministrativi” (indipendentemente dalla sua qualificazione come diritto soggettivo o interesse legittimo) è, pertanto, una situazione giuridica
positiva dal carattere essenzialmente strumentale, come dimostrato dalla circostanza che
la legge stabilisce un termine di decadenza (30 giorni dalla conoscenza del provvedimento
esplicito di diniego o di accoglimento) o dalla formazione del silenzio significativo) per la
proposizione dei ricorsi.
31 Cons. Stato, sez. VI, n. 2542 del 9.5.2002.
32 Cons. Stato, sez. IV, n. 3620 del 2.7.2002; sez. V, n. 2966/2004.
33 Cons. Stato, sez. VI, 12 gennaio 2011 n. 117.
40
Di conseguenza, il carattere decadenziale del termine reca in sé che la mancata impugnazione del diniego nel termine non consente né la reiterabilità dell’istanza né l’impugnazione del successivo diniego laddove a questo possa riconoscersi carattere meramente
confermativo del primo.
E’ ammissibile, invece, reiterare l’istanza di accesso e pretendere riscontro alla stessa in presenza di fatti nuovi, sopravvenuti o meno, non rappresentati nell’originaria istanza
o anche a fronte di una diversa prospettazione dell’interesse giuridicamente rilevante, cioè
della posizione legittimante all’accesso; in tal caso, l’originario diniego, da intendere sempre “rebus sic stantibus”, ancorché non ritualmente impugnato, non spiegherà alcun rilievo
nella successiva vicenda procedimentale e processuale.
E’ ammissibile l’impugnazione, ex art. 116 c.p.a., dell’atto con il quale
l’Amministrazione ha consentito l’accesso agli atti della; la norma predetta, infatti, fa riferimento all’impugnazione delle “determinazioni .... sulle istanze di accesso ai documenti”, e,
dunque, sia a quelle che respingono che a quelle che accolgono le istanze di accesso 34.
L’art. 116 del CPA disciplina il rito dell’accesso ai documenti ed integra la disciplina
della legge n. 241 del 1990, prevedendo che contro le determinazioni (sia di accoglimento
che di rigetto) e contro il silenzio sulle istanze di accesso ai documenti amministrativi il ricorso è proposto entro trenta giorni dalla conoscenza della determinazione impugnata o dalla
formazione del silenzio, mediante notificazione all’amministrazione e ad almeno un contro
interessato (salva la integrazione successiva del contraddittorio nei confronti degli altri
eventuali contro interessati).
All’art. 116 CPA, in materia di accesso ai documenti amministrativi, con le modifiche
apportate dal D.L.vo n. 195 del 2011 al comma 1 si vuole:
a) chiarire che, per la valida instaurazione del giudizio, è sufficiente la notifica a un
solo controinteressato, salva l’integrazione del contraddittorio, in coerenza con la regola
generale del processo amministrativo;
b) rendere eguale al termine per la proposizione dell’atto introduttivo del giudizio (che
è di 30 giorni) il termine per la proposizione del ricorso incidentale e per i motivi aggiunti
proposti nel rito in materia di accesso ai documenti.
Sussiste, a pena di inammissibilità, l’obbligo di notifica del ricorso volto ad impugnare
il diniego di accesso agli atti ad almeno uno dei controinteressati, individuabili in coloro che
34 E’ ammissibile l’impugnazione, ex art. 116 c.p.a., da parte di una ditta partecipante ad una gara di appalto, della nota con la quale la stazione appaltante ha consentito ad un altro concorrente il diritto di accesso agli
atti della procedura di evidenza pubblica; infatti, l’art. 116 c.p.a. fa riferimento all’impugnazione delle “determinazioni .... sulle istanze di accesso ai documenti”, e, dunque, sia a quelle che respingono che a quelle che
accolgono le istanze di accesso
41
dalla conoscenza dei documenti richiesti possano subire un pregiudizio alla propria sfera di
riservatezza o in coloro cui si riferiscono i documenti oggetto dell’istanza di accesso.
La posizione processuale del controinteressato nel giudizio speciale di cui all’art. 25,
l. n. 241 del 1990 dinanzi al giudice amministrativo, trova da ultimo riconoscimento normativo nella nuova formulazione dell’art. 22 della citata legge, come introdotta dalla l. n. 15 del
2005, il quale, alla lett. c), del comma 1, menziona come controinteressati tutti i soggetti,
individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza.
Si applica anche al rito dell’accesso l’articolo 49 per cui quando il ricorso sia stato proposto solo contro taluno dei controinteressati, il presidente o il collegio ordina l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri e le altre disposizioni relative agli effetti della
disposizione di integrazione del contraddittorio.
Viene ribadita la disposizione che consente all’amministrazione di essere rappresentata e difesa da un proprio dipendente a ciò autorizzato, in parallelo a quella che consente
la difesa in giudizio delle parti private senza necessità di assistenza tecnica (art. 23).
Al di fuori di quei casi nei quali si provvede con ordinanza (per connessione della
domanda di accesso con un giudizio già promosso, il giudice decide con sentenza in
forma semplificata.
In caso di accoglimento del ricorso il giudice amministrativo:
- ordina l’esibizione dei documenti richiesti autorizzando l’estrazione di copia, ovvero
la sola ostensione in via alternativa se ritiene che tale modalità meglio garantisca la riservatezza dei terzi entro un termine non superiore, di norma, a trenta giorni;
- detta, ove occorra, le relative modalità e quindi potrà nominare per gli adempimenti
sostitutivi, in caso di protrarsi dell’inerzia, un commissario ad acta, al quale trovano applicazione le norme in tema di ottemperanza di cui sopra.
Le disposizioni di cui sopra contenute all’articolo 116 si applicano anche ai giudizi di
impugnazione.
L’accesso si consente mediante visione del documento ed estrazione di copia.
La precedente formulazione della norma (art. 22) prevedeva che il diritto si esercitasse mediante visione “o” estrazione di copia, la nuova invece sostituisce “o” con “e”, il che
farebbe ritenere venuta meno la possibilità di limitare il diritto d’accesso alla sola visione.
Tesi che però non appare del tutto convincente in quanto la “e” può avere un significato anche alternativo e meglio consente all’Amministrazione di bilanciare il rapporto tra
accesso e riservatezza dal momento che la sola visione in certi casi garantisce le esigenze di riservatezza e quella di non interferire con procedimenti in corso
42
In pendenza di un giudizio cui la richiesta di accesso è connessa, la pretesa all’accesso può essere esercitata con istanza depositata presso la segreteria del giudice competente a decidere il ricorso principale, previa notificazione all’amministrazione e agli eventuali
controinteressati (art. 116 comma 2 CPA).
Non è, pertanto, sufficiente una richiesta istruttoria contenuta in ricorso o memoria
(che può comunque preludere ad una attività istruttoria con ordinanza presidenziale e/o collegiale).
L’istanza di accesso infraprocessuale è decisa con ordinanza separatamente dal giudizio principale, ovvero con la sentenza che definisce il giudizio 35.
In tema di accesso ai documenti amministrativi, ai sensi del combinato-disposto degli
artt. 21, l. n. 1034 del 1971 e 25, co. 5, l. n. 241 del 1990, è possibile la proposizione dell’actio ad exhibendum congiuntamente all’azione di annullamento ordinaria, con il solo limite della loro connessione necessaria e del rispetto delle forme proprie di ciascuna azione;
invero, la domanda di accesso, anche quando è presentata all’interno del processo principale, mantiene caratteri di spiccata autonomia, pur essendo condizionata agli esiti dell’istruttoria documentale esperita dal giudice 36.
14. Dal diritto di accesso al diritto all’informazione
La cd. legge anticorruzione., (legge 6 novembre 2012, n. 190), reca disposizioni per
la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione ed introduce una innovativa disciplina sulla pubblicità dell’azione amministrativa, che
si incentra sul rafforzamento della trasparenza dell’azione amministrativa, ed in determinati casi va oltre il diritto di accesso.
35 Recentemente la giurisprudenza ha ritenuto che nel procedimento di decisione di un ricorso straordinario,
l’accesso agli atti va concesso, dall’Amministrazione incaricata dell’istruttoria, solo alla parte che effettivamente lo richieda, il cui interesse all’accesso non ha bisogno di essere provato nel concreto, dovendo ritenersi esistente “in re ipsa”. La correlativa istanza non può essere presentata dopo la conclusione della fase istruttoria,
salvo la regressione, a detta fase, per iniziativa della Sezione consultiva chiamata a rendere il parere sul ricorso. La disciplina dell’accesso agli atti amministrativi non condiziona l’esercizio del relativo diritto alla titolarità di
una posizione giuridica tutelata in modo pieno, quale il diritto soggettivo o l’interesse legittimo, essendo suff iciente il collegamento con una situazione giuridicamente riconosciuta anche in misura attenuata. La legittimazione all’accesso va, infatti, riconosciuta a chiunque possa dimostrare che gli atti procedimentali oggetto dell’accesso abbiano spiegato o siano idonei a spiegare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, indipendentemente dalla lesione di una posizione giuridica, stante l’autonomia del diritto di accesso, inteso come interesse
ad un bene della vita distinto rispetto alla situazione legittimante all’impugnativa dell’atto. Gli associati della
Società italiana degli autori ed editori, e non anche le associazioni dei consumatori, hanno titolo ad ottenere
copia degli atti delle delibere con cui l’ente si è attivato per esperire le azioni necessarie per il recupero delle
somme a suo tempo investite tramite la società Lehman Brothers, Cons. Stato Sez. riunite, 07-05-2012, n. 2131
36 Consiglio di Stato, sez. V, 29 marzo 2011 n. 1927.
43
L’articolo 1 della medesima legge n. 241 del 1990 afferma il principio che l’attività
amministrativa deve perseguire i fini determinati dalla legge e deve essere retta dai criteri
di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza.
Il comma 15 del medesimo articolo 1 della legge n. 190 del 2012, sancisce il principio
fondamentale della trasparenza dell’attività amministrativa, che costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili ai sensi dell’articolo 117, secondo
comma, lettera m), della Costituzione, secondo quanto previsto all’articolo 11 del decreto
legislativo 27 ottobre 2009, n.150 e dell’articolo 1 della legge n. 241 del 1990.
Apprestando un livello di garanzia più avanzato rispetto al diritto di accesso la trasparenza è assicurata mediante la pubblicazione, nei siti web istituzionali delle pubbliche
amministrazioni, delle informazioni riguardanti i procedimenti amministrativi, secondo criteri di facile accessibilità, completezza e semplicità di consultazione, nel rispetto delle disposizioni in materia di segreto di Stato, di segreto d’ufficio e di protezione dei dati personali.
Nei siti web istituzionali delle amministrazioni pubbliche vanno, infatti, pubblicati anche
i relativi bilanci e conti consuntivi, nonché i costi unitari di realizzazione delle opere pubbliche e di produzione dei servizi erogati ai cittadini.
L’art. 1, comma 15, della legge n.190 del 2012, nel solco della legge n. 69 del 2009 e
del d. lgs. n. 150 del 2009, implementa il principio di trasparenza dell’azione pubblica.
La trasparenza, da intendersi, alla luce della definizione datane dall’art.11 del D.Lgs.
n. 150 del 2009, come “accessibilità totale, anche attraverso la pubblicazione sui siti istituzionali delle amministrazioni pubbliche delle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione, degli indicatori relativi agli andamenti gestionali e all’utilizzo delle risorse per
il perseguimento delle funzioni istituzionali, dei risultati dell’attività di misurazione e valutazione svolta dagli organi competenti allo scopo di favorirne forme diffuse di controllo del
rispetto dei principi di buon andamento ed imparzialità”, che costituisce adesso “livello
essenziale delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili”, ai sensi dell’articolo 117,
secondo comma, lettera m), della Costituzione, secondo quanto previsto all’articolo 11 del
decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, è assicurata mediante la pubblicazione, nei siti
web istituzionali delle Pubbliche Amministrazioni, delle informazioni relative ai procedimenti amministrativi, secondo criteri di facile accessibilità, completezza e semplicità di consultazione, nel rispetto delle disposizioni in materia di segreto di Stato, di segreto d’ufficio e di
protezione dei dati personali.
Nei siti web istituzionali delle amministrazioni pubbliche devono essere pubblicati
anche i relativi bilanci e conti consuntivi, nonché i costi unitari di realizzazione delle opere
pubbliche e di produzione dei servizi erogati ai cittadini.
44
Le informazioni sui costi degli appalti dovranno essere pubblicate sulla base di uno
schema tipo redatto dall’Autorità per la Vigilanza sui Contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che ne cura altresì la raccolta e la pubblicazione nel proprio sito web istituzionale al
fine di consentirne una agevole comparazione.
Il Legislatore pone particolare attenzione al rispetto della pubblicità, attesa la rilevanza amministrativo-gestionale, nei seguenti procedimenti ritenuti più coinvolti nel fenomeno
della corruzione (comma 16):
a) autorizzazione o concessione;
b) scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi, anche con riferimento alla modalità di selezione prescelta, ai sensi del codice dei contratti pubblici relativi
a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163;
c) concessione ed erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonché
attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati;
d) concorsi e prove selettive per l’assunzione del personale e progressioni di carriera
di cui all’articolo 24 del citato decreto legislativo n. 150 del 2009.
Al fine di consentire, nel rispetto della trasparenza, un “dialogo” diretto e facilitato tra
i cittadini-utenti ed i funzionari responsabili dei relativi procedimenti, il successivo comma
29 prevede che ogni amministrazione pubblica rende noto, tramite il proprio sito web istituzionale, “almeno un indirizzo di posta elettronica certificata”, cui il cittadino possa rivolgersi per trasmettere istanze ai sensi dell’articolo 38 del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al Decreto del
Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, e successive modificazioni, e ricevere informazioni circa i provvedimenti ed i procedimenti amministrativi che lo riguardano.
Si prescinde, pertanto, dalla qualificazione dell’interesse sottostante la legittimazione
all’accesso, che è finalizzato anche a consentire un controllo generalizzato dell’attività
amministrativa (interesse escluso con riguardo al diritto di accesso nell’ambito della legge
n. 241 del 1990).
Inoltre, le Amministrazioni, nel rispetto della disciplina del diritto di accesso ai documenti amministrativi disciplinato dalla Legge 7 agosto 1990, n. 241 hanno l’obbligo di rendere accessibili in ogni momento agli interessati nell’ambito dei presupposti legittimanti previsti dall’art. 22, tramite strumenti di identificazione informatica di cui all’articolo 65, comma
1, del Codice di cui al Decreto Legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’Amministrazione
digitale), le informazioni relative ai provvedimenti e ai procedimenti amministrativi che li
riguardano, ivi comprese quelle relative allo stato della procedura, ai relativi tempi e allo
specifico ufficio competente in ogni singola fase procedimentale.
45
Con specifico riferimento alla materia degli appalti pubblici, le stazioni appaltanti sono
tenute a pubblicare nei propri siti web istituzionali: la struttura proponente; l’elenco degli
operatori invitati a presentare le offerte; l’aggiudicatario; l’importo di aggiudicazione; i tempi
di completamento dell’opera, servizio o fornitura; l’importo delle somme liquidate 37.
La mancata o incompleta pubblicazione, da parte delle Pubbliche Amministrazioni,
delle informazioni sopra specificate costituisce, ai sensi del comma 33, “violazione degli
standard qualitativi ed economici ai sensi dell’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 20
dicembre 2009, n. 198, ed é comunque valutata ai sensi dell’articolo 21 del Decreto
Legislativo 30 marzo 2001, n. 165” (pertanto, costituisce una nuova ed ulteriore ipotesi di
“responsabilità dirigenziale”).
In tal modo l’”accesso telematico” diviene uno degli strumenti attraverso cui si realizza la trasparenza, e nell’ordinamento e viene ad affiancarsi a quello tradizionale dei documenti amministrativi e incide nell’azione delle pubbliche amministrazioni in modo da assurgere a causa di responsabilità dirigenziale e a elemento imprescindibile per la valutazione
della relativa “performance” 38.
La Legge n. 190 del 2012, al comma 35 dell’art. 1, delega il Governo ad adottare,
entro sei mesi dalla entrata in vigore della citata legge, un decreto legislativo per il riordino
della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle Pubbliche Amministrazioni, mediante la modifica o l’integrazione delle
disposizioni vigenti, ovvero mediante la previsione di nuove forme di pubblicità, nel rispetto dei criteri indicati dalla medesima norma. È lo stesso legislatore, quindi, a riconoscere
37 Entro il 31 gennaio di ogni anno, tali informazioni, relativamente all’anno precedente, sono pubblicate in
“tabelle riassuntive” rese “liberamente scaricabili” in un “formato digitale standard aperto”, che consenta di
analizzare e rielaborare, anche a fini statistici, i dati informatici. Le Amministrazioni trasmettono in formato
digitale tali informazioni all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che le pubblica nel proprio sito web in una sezione liberamente consultabile da tutti i cittadini, catalogate in base alla
tipologia di stazione appaltante e per regione. L’Autorità individua con propria deliberazione le informazioni
rilevanti e le relative modalità di trasmissione. Entro il 30 aprile di ciascun anno, l’ Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici di lavori, servizi e forniture trasmette alla Corte dei Conti l’elenco delle amministrazioni che
hanno omesso di trasmettere e pubblicare, in tutto o in parte, le informazioni richieste dalla legge “in formato
digitale standard aperto”.
38 Il comma 39, prevede, “al fine di garantire l’esercizio imparziale delle funzioni amministrative” e di “rafforzare la separazione e la reciproca autonomia tra organi di indirizzo politico e organi amministrativi”, che le
Amministrazioni pubbliche, nonché le aziende e le società partecipate dallo Stato e dagli altri enti pubblici, in
occasione del monitoraggio posto in essere ai fini dell’articolo 36, comma 3, del medesimo Decreto Legislativo
n. 165 del 2001, e successive modificazioni, comunicano al Dipartimento della Funzione Pubblica, per il tramite degli organismi indipendenti di valutazione, tutti i dati utili a rilevare le posizioni dirigenziali attribuite a
persone, anche esterne alle Pubbliche Amministrazioni, individuate discrezionalmente dall’organo di indirizzo
politico “senza procedure pubbliche di selezione” (ci si riferisce, in particolare agli incarichi dirigenziali di cui
all’art.19, comma 6, del D. Lgs. n. 165). [1] I dati forniti confluiscono nella relazione annuale al Parlamento di
cui al citato articolo 36, comma 3, del Decreto Legislativo n. 165 del 2001.
46
non solo la complessità di tale disciplina, ma anche le difficoltà che i dirigenti possono
incontrare nel rendere effettive le disposizioni normative che danno piena attuazione alla
trasparenza 39.
La Legge n. 412 del 1991 ha previsto l’istituzione e la regolamentazione della cosiddetta “Anagrafe delle Prestazioni”, quale strumento di monitoraggio dell’attività dei pubblici
dipendenti e di controllo della spesa pubblica 40.
L’Anagrafe delle prestazioni è stata inclusa nell’ambito del sistema “PerlaPA”, che è
un Progetto promosso dal Dipartimento della Funzione Pubblica per razionalizzare il patrimonio informativo del Dipartimento e semplificare la gestione degli adempimenti a carico
delle Pubbliche Amministrazioni.
“PerlaPA” consiste in un nuovo sistema integrato di comunicazioni telematiche obbligatorie, che accoglie in un’unica piattaforma la gestione degli adempimenti comunicativi cui
sono tenute le Pubbliche Amministrazioni (GEDAP, GEPAS, CONSOC, Anagrafe delle
Prestazioni, Tasso di assenteismo nella PA, ecc.).
Tutte le informazioni vanno comunicate e sono reperibili sull’apposito sito web del
Dipartimento della Funzione Pubblica: www.perlapa.gov.it.
Il nuovo sistema “Perla PA” consentirà di accedere a tutti gli adempimenti attualmente gestiti dal Dipartimento, attraverso un unico canale di comunicazione, semplificando, di
fatto, le comunicazioni dei vari adempimenti delle Pubbliche Amministrazioni.
39 Gli ultimi interventi legislativi dimostrano come sia diventato obbligatorio per i dirigenti pubblici percorrere
la strada della trasparenza, tracciata inizialmente dalla L. n. 241/1990 e poi con la Legge n. 69 del 2009 ed il
D.lgs. n. 150/2009 ed i cc.dd. Decreti Sviluppo uno e bis (D. L. n. 83 del 2012, conv. nella Legge n. 134 del
2012, D.L. n.179 del 2012 conv. nella Legge n. 221 del 2012), arricchitasi di nuovi percorsi, uno dei quali è
l’accesso telematico e la pubblicazione dei dati on line.
40 La normativa originaria è poi confluita nel D. Lgs. n. 165 del 2001. La disciplina della c.d. Anagrafe delle
Prestazioni è strettamente correlata a quella degli incarichi extra-istituzionali, perché l’Anagrafe (banca dati
informatica) costituisce il tramite telematico per la comunicazione al Dipartimento della Funzione Pubblica di
tutti i dati relativi agli incarichi extra-istituzionali dei dipendenti pubblici, consentendo il monitoraggio di essi, il
controllo della regolarità delle procedure amministrative previste dalla legge, la quantificazione degli incarichi
conferiti ed autorizzati, la verifica della spesa pubblica a cura di ciascuna Pubblica Amministrazione. L’art. 53,
comma11, del Decreto Legislativo n. 165 del 2001 stabilisce che entro il 30 giugno di ciascun anno le
Amministrazioni Pubbliche devono comunicare al Dipartimento della Funzione Pubblica, con riferimento
all’anno precedente, i seguenti dati: l’elenco degli incarichi remunerati non compresi nei doveri di ufficio, conferiti o autorizzati ai propri dipendenti (comma 12); i compensi percepiti dai dipendenti a fronte degli incarichi
indicati al punto precedente (comma 13): vanno indicati sia i compensi erogati dalla stessa amministrazione
che quelli di cui essa abbia avuto notizia dai soggetti esterni, a loro volta obbligati a tale comunicazione ai
sensi del comma 11; i compensi erogati ai propri dipendenti a fronte di incarichi svolti per dovere di ufficio
(comma 14). Le comunicazioni vanno effettuate a cura delle direzioni del Personale di ciascuna
Amministrazione, avvalendosi dello specifico software predisposto dal Dipartimento della Funzione Pubblica,
presente sul sito web del medesimo. L’obbligo di comunicazione non riguarda i dati relativi ai dipendenti con
rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione di lavoro non superiore al 50%. Non riguarda inoltre, per
tutti i dipendenti, i dati delle prestazioni che non sono definite retribuite in senso stretto (si tratta delle prestazioni elencate nell’art. 53, comma 6, lettere da a) ad f bis), del Decreto Legislativo n. 165 del 2001.
47
Tra i principali obiettivi di “Perla PA”, vi è quello di razionalizzare il patrimonio informativo, di uniformare gli accessi, le utenze, la grafica, le modalità di compilazione su web e di
attivare un unico centro servizi per il supporto alle Pubbliche Amministrazioni.
La legge n. 190 del 2012 (art. 1, comma 42) ha modificato l’art. 53 del D. Lgs.
165/2001 in materia di comunicazioni all’Anagrafe delle Prestazioni.
La nuova norma impone che le Amministrazioni Pubbliche che conferiscono o
autorizzano incarichi, anche a titolo gratuito, ai propri dipendenti debbano darne comunicazione in via telematica al Dipartimento della Funzione Pubblica, entro quindici giorni dalla data di conferimento o autorizzazione dell’incarico, unitamente ad una relazione di accompagnamento 41.
La norma conferma, altresì, la scadenza del 30 giugno di ciascun anno per l’invio della
dichiarazione negativa, che obbliga le amministrazioni a comunicare, anche nel caso in cui
non siano stati conferiti o autorizzati incarichi ai propri dipendenti, anche se comandati o
fuori ruolo.
Le amministrazioni sono altresì tenute alla comunicazione degli incarichi conferiti a
consulenti e collaboratori esterni con cadenza semestrale.
La comunicazioni devono essere effettuate dalle Amministrazioni pubbliche esclusivamente per via telematica, tramite il sito “www.perlapa.gov.it”, trasmettendo entro 15 giorni
dal conferimento o dall’autorizzazione, i dati relativi agli incarichi conferiti o autorizzati ai
propri dipendenti.
La comunicazione riguarda, ai sensi dell’art. 53, comma 14, del D.Lgs. n.165: a) i
compensi percepiti dai propri dipendenti per incarichi esterni ed “anche” per incarichi rela-
41 Pertanto, alla luce delle nuove norme introdotte, le scadenze comunicative dei dati relativi agli incarichi,
risultano le seguenti:
- entro il 30 aprile di ogni anno: i soggetti pubblici o privati che erogano compensi a dipendenti pubblici per gli
incarichi extra-istituzionali sono tenuti a dare comunicazione all’Amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi dei compensi erogati nell’anno precedente;
- entro 15 giorni dalla data dalla data di conferimento o autorizzazione dell’incarico (e non più entro il 30 giugno dell’anno successivo): le Amministrazioni pubbliche che conferiscono o autorizzano incarichi, anche a
titolo gratuito, ai propri dipendenti, debbono darne comunicazione in via telematica al Dipartimento della
Funzione Pubblica, unitamente ad una relazione di accompagnamento;
- entro il 30 giugno di ogni anno: le Amministrazioni devono comunicare in via telematica al Dipartimento
della Funzione Pubblica i compensi erogati nell’anno precedente, per gli incarichi conferiti o autorizzati ai
propri dipendenti;
- entro il 30 giugno e il 31 dicembre di ogni anno: le Amministrazioni devono comunicare in via telematica al Dipartimento della Funzione Pubblica gli incarichi affidati a consulenti e collaboratori esterni nel
semestre precedente;
- entro il 30 giugno e il 31 dicembre di ogni anno: le Amministrazioni devono comunicare in via telematica al
Dipartimento della Funzione Pubblica i compensi erogati nel semestre precedente per incarichi a consulenti
e collaboratori esterni indipendentemente dal semestre di affidamento.
48
tivi a compiti e doveri d’ufficio (compensi dei cd. “dipendenti”); b) i compensi dei collaboratori esterni e dei soggetti cui sono stati affidati incarichi di consulenza (compensi dei cd.
“consulenti”).
Quanto all’oggetto della comunicazione dell’incarico, la Legge n. 190 prevede, nel
riformulare il testo del comma 14 dell’art. 53 del D.Lgs. n. 165, che, oltre alla descrizione
della natura, della durata e del compenso, sia dichiarata “l’attestazione dell’avvenuta verifica dell’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi”.
Infine, sempre il nuovo comma 14 dell’art. 53 cit., nel testo riformulato ad opera della
Legge 190, prevede che le informazioni relative a consulenze e incarichi comunicate dalle
Amministrazioni al Dipartimento della Funzione Pubblica, nonché le informazioni pubblicate dalle stesse nelle proprie banche dati accessibili al pubblico per via telematica ai sensi
dell’art. 53 medesimo, sono trasmesse e pubblicate in “tabelle riassuntive rese liberamente scaricabili in un formato digitale standard aperto”, che consenta di analizzare e rielaborare, anche a fini statistici, i dati informatici 42.
42 Entro il 31 dicembre di ciascun anno il Dipartimento della Funzione Pubblica trasmette alla Corte dei Conti
l’elenco delle Amministrazioni che hanno omesso di trasmettere e pubblicare, in tutto o in parte, le informazioni di cui al terzo periodo del comma 14 in “formato digitale standard aperto”.
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