to the PDF file. - Fondazione Musica Insieme

Poste Italiane SpA. Spedizione in abbonamento postale 70% – CN/BO – Bimestrale n. 2/2015 – anno XXIV/BO - € 2,00
marzo/maggio 2015
La primavera
del pianoforte
con Blechacz,
Yundi e Zimerman
I debutti eccellenti
di Concerto Italiano
e Münchner Symphoniker
Varignana Music Festival,
II edizione: grandi stelle
sotto il cielo di luglio
Finale di Stagione con Mariangela Vacatello
e la Prague Chamber Orchestra
SOMMARIO n. 2 marzo - maggio 2015
Musica a Bologna - I programmi di Musica Insieme
Editoriale
Una tessera dopo l’altra di Fabrizio Festa
Note d’ascolto: la parola all’abbonato
A scuola con la musica
11
14
MICO - Musica Insieme COntemporanea
Storia e geografia di Anastasia Miro
16
I viaggi di Musica Insieme
Stoccolma: 16 - 19 aprile 2015
Varignana Music Festival 2015
Note d’estate: 10 - 18 luglio 2015
18
20
Interviste
Rafał Blechacz - Yundi di Cristina Fossati
Ariel Zuckermann - Ning Feng di Valentina De Ieso
Rinaldo Alessandrini di Fabrizio Festa
Mariangela Vacatello di Fulvia de Colle
22
24
26
29
I luoghi della musica
Gli scatti d’arte di Hoppé di Maria Pace Marzocchi
30
Il calendario
31
Per leggere
50
I concerti marzo / maggio 2015
Memoria sonora: Nono, Abbado, Beethoven
di Chiara Sirk
Da ascoltare
Grandeur e intimismo per Concerto Italiano,
Baglini, Estrio di Piero Mioli
52
In copertina: Mariangela Vacatello
8
MI
MUSICA INSIEME
EDITORIALE
UNA TESSERA
DOPO L’ALTRA
Fryderyk Chopin
al pianoforte
Il Concorso “Chopin” lo hanno vinto tutti e tre. Certo in anni diversi. Zimerman aveva diciotto anni nel 1975. Yundi pure, che
la prestigiosa competizione ha espugnato nel
2000. Cinque anni dopo (il concorso si svolge, lo ricordiamo, con cadenza quinquennale) tocca a Blechacz. Di anni il giovane polacco ne ha venti, ma certo non fa molta differenza. Quel che fa la differenza è che Blechacz ottiene un risultato da grande slam:
a lui vengono infatti assegnati anche tutti i
premi speciali della giuria, incluso quello per
la migliore esecuzione di una sonata, premio
che proprio Zimerman gli riconosce. Altro
fatto singolare, in quella edizione non verrà assegnato il secondo premio. Tra i giurati corse voce che Blechacz aveva suonato così
bene da sbaragliare persino l’ipotesi che qualcuno potesse qualificarsi secondo. Quasi un
festival, quindi, nel segno della prestigiosa
competizione polacca, quello che a marzo
li vedrà sotto i riflettori del Manzoni uno dietro l’altro: Blechacz il 2, Yundi il 16, Zimerman il 23. Certo il repertorio pianistico è una delle architravi di una stagione in-
centrata sulla musica da camera, eppure questa luminosa costellazione di pianisti, che
avrà una coda nel concerto conclusivo,
quando sotto i riflettori ci sarà Mariangela
Vacatello (l’11 maggio con l’Orchestra da
Camera di Praga), merita di essere segnalata come un tratto distintivo della programmazione di Musica Insieme. Una programmazione che da sempre ha avvicinato
l’esplodere di un talento emergente con
l’esperienza di un artista maturo. Una programmazione che, peraltro, non si lascia sfuggire l’occasione di proporre al suo pubblico emozionanti cambi di prospettiva, carichi di suggestioni affascinanti. Ecco i Münchner Symphoniker con un programma di
rarità nord-europee, ecco Rinaldo Alessandrini con il ‘suo’ Concerto Italiano condurci attraverso la musica di Antonio Vivaldi
e Johann Sebastian Bach. Ancora, quindi,
segni di una distinzione, del marcare con attenzione le scelte che portano anche lungo
itinerari musicali che permetteranno al nostro pubblico di aggiungere tessere significative al nostro già ampio mosaico musicale.
Fabrizio Festa
MI
MUSICA INSIEME
11
NOTE D’ASCOLTO: LA PAROLA ALL’ABBONATO
CATERINA BADINI - LUCIA GRAZIA RESI - RICCARDO ROSETTI
A scuola con la musica
Tre protagonisti, con il loro lavoro di educatori e docenti, di Musica per le Scuole, la
rassegna dedicata da Musica Insieme agli studenti degli istituti medi superiori, condividono
con noi gioie e dolori della ‘missione’ di conquistare i giovanissimi all’arte dei suoni
A
bbiamo incontrato tre docenti
di altrettanti istituti medi superiori del territorio bolognese, che
da oltre un decennio partecipano con i
loro studenti a Musica per le Scuole, l’iniziativa varata da Musica Insieme nel 2004
a favore della formazione e della divulgazione della musica fra i giovanissimi,
guardando al pubblico del domani. Sono
Caterina Badini, professoressa di italiano
e latino all’Istituto “Keynes” di Castelmaggiore; Lucia Grazia Resi, insegnante
in pensione di italiano e storia all’Istituto
“Rosa Luxemburg” di Bologna; Riccardo
Rosetti, professore di pianoforte al Liceo
musicale “Lucio Dalla”, nuova diramazione del Liceo “Laura Bassi” di Bologna.
Oltre ai loro istituti, nel 2014/15 partecipano a Musica per le Scuole il Conservatorio “G.B. Martini” e i licei “Galvani”, “Minghetti”, “Righi”, “Alfieri” e
“Copernico”, grazie alla fattiva collaborazione dei professori Ghianda, Natale,
Ricchi, Cavallari, Cocchieri e Sebastiani.
Un’esperienza, caso unico in Italia di collaborazione tra una fondazione privata e
le istituzioni pubbliche, che coniuga al
momento del concerto le lezioni introduttive nelle sedi didattiche, la cui frequenza viene riconosciuta agli studenti in
termini di crediti didattici ed inserita nel
POF d’istituto. L’obiettivo, quello che
Musica Insieme pone da sempre al centro
delle proprie iniziative, è naturalmente
quello di avvicinare all’arte dei suoni i ragazzi, convinti come siamo dell’importanza della cultura musicale nella vita di
ognuno, non soltanto come creazione di
un bagaglio culturale, ma anche come
strumento per ascoltare e dialogare, unirsi
e ‘concertare’ insieme un futuro. E i docenti, in questi anni, ci sono stati sempre
accanto con impegno e partecipazione,
sottraendo magari anche qualche ora libera ad una missione, quella di coinvolgere e convincere sempre più i ragazzi
che la classica non è un’arte ‘per i grandi’,
ma un momento che può regalare, quelle
sì, grandi emozioni e arricchire la vita di
tutti i giorni con la magia della musica.
Come ha conosciuto Musica Insieme
e com’è nato il suo impegno per
Musica per le Scuole?
Badini: «Da abbonata storica di Musica
Insieme, l’impegno è nato dalla mia passione personale per un certo tipo di musica cosiddetta ‘colta’: perciò quando ho
visto che una delle mie risorse musicali
preferite organizzava questa rassegna per
le scuole, ho pensato che fosse possibile
coniugare il mio diletto all’utilità per gli
studenti, anche perché sento moltissimo
la mancanza di un’educazione musicale,
anche soltanto a carattere storico, in un
liceo, come quello in cui insegno».
Grazia Resi: «La mia conoscenza di Musica Insieme è incominciata invece proprio con la scuola, a partire naturalmente
da una passione per la musica che coltivavo già nella mia città, Torino. Il mio
predecessore, il Professor Michele Tosi,
aveva lanciato questa proposta, che abbiamo adottato. Peraltro negli anni l’Istituto “Rosa Luxemburg” ha aderito a diverse iniziative, come le conferenze del
Maestro Ravetti, “Viaggio nella storia
della musica”, presso la Regia Accademia Filarmonica (per le tre classi del
triennio dalla terza alla quinta): un’iniziativa molto utile anche per i docenti,
permettendo quell’interdisciplinarietà fra
dottrine umanistiche, quali musica storia
letteratura arte, che è fondamentale anche per l’insegnamento».
Nel vostro istituto, quanto spazio è
dedicato all’educazione musicale e
artistica in genere e con quali modalità?
Rosetti: «Noi siamo il primo e ad ora
14
MI
MUSICA INSIEME
unico caso in città di liceo musicale, il
“Lucio Dalla”; purtroppo soffriamo un
po’ di una sorta di isolamento fisico della
nostra sede (in Via Ca’ Selvatica) rispetto
alle altre ‘branche’ del Liceo “Laura
Bassi”. Per questo coinvolgere gli studenti delle altre diramazioni del liceo è
molto difficile. Quando ho assunto io
l’impegno di Musica per le Scuole ho
avuto l’impressione di dovere un po’
spronare, convincere i ragazzi che seguire
Musica per le Scuole non è una cosa ‘automatica’, ma una scelta attiva. Credo
sia una questione generazionale, ma serve
sempre una figura che si assuma l’onere
di concretizzare l’adesione alla rassegna,
perché i ragazzi tendono spesso a vivere
in un loro mondo a parte...».
Badini: «Abbiamo per qualche anno aderito a un’iniziativa, che ha portato alla
formazione di un coro all’interno dell’istituto. Poi, per questioni meramente
economiche, purtroppo non abbiamo
potuto proseguire. I ragazzi del coro
erano i più motivati, cantavano in Piazza
Maggiore insieme ad altri cori, ed ora
sentiamo molto la mancanza di iniziative
di coinvolgimento attivo, per cui Musica
per le Scuole è a maggior ragione la benvenuta».
Grazia Resi: «Lo stesso tipo di partecipazione attiva (anch’essa terminata), era
quella di Cantiamo l’opera: i ragazzi avevano i CD, sui quali potevano esercitarsi
a cantare le arie più famose, e poi allo
spettacolo (al Comunale o al Manzoni)
c’erano questi momenti di partecipazione
che erano piaciuti molto. Oltre a ‘scoprire’ magari un posto nuovo come il
Teatro Comunale. Ricordo un’osservazione di una mia allieva che davanti ai
palchi esclamò incuriosita: “E quei terrazzini cosa sono?”».
domanda che mi fanno è: quando finisce?, ma questo accade anche quando
consegno loro un libro: quante pagine ci
sono? Non chiedono di cosa parla... Non
si tratta quindi soltanto di una pur grave
carenza di una vera educazione musicale
a scuola, è proprio una questione generazionale».
Ha notato in particolare qualche
cambiamento, specie in chi magari
segue il progetto da più di un anno,
nell’apprezzamento della musica
classica?
Badini: «Sì, i ragazzi hanno il terrore di
annoiarsi, ma una volta scoperto che non
è così possono riservare grandi sorprese.
Oggi conto almeno cinque o sei ragazzi
provenienti dalla mia scuola e che frequentano l’università che hanno sottoscritto l’abbonamento a Musica Insieme;
altrettanti, anche se non abbonati, seguono alcuni concerti acquistando i biglietti. Questa è una grande soddisfazione. Ecco uno scoop che stupirà magari
più di qualcuno: il compositore che più
hanno apprezzato i ragazzi è Šostakovič!
In particolare dopo l’omaggio che Musica Insieme gli ha reso nel 2006, con le
introduzioni di Fabrizio Festa, il must per
loro è diventato proprio Šostakovič...».
Rosetti: «Ecco cosa è cambiato: una volta
acquistavamo un certo quantitativo di
abbonamenti, e solo in un secondo mo-
Volendo fare un’istantanea, come
descriverebbe i ragazzi che partecipano a Musica per le Scuole?
Rosetti: «I ragazzi magari seguono Gaetano Curreri o gli Area, si procurano biglietti ai concerti su Vivaticket, frequentano l’Estragon o il Link; insomma,
hanno conoscenze musicali a volte sofisticate, però il repertorio classico è per
loro ancora un corpo estraneo».
Badini: «C’è una resistenza, da parte dei
ragazzi, che è poi comune alla musica
come alla prosa o alla letteratura: la prima
Sopra: Dmitrij Šostakovič , il compositore
più apprezzato dagli studenti. Nella pagina a
fianco: i ragazzi di Musica per le Scuole
all’ingresso dell’Auditorium Manzoni
(foto di Maurizio Guermandi)
mento cercavamo lo studente che volesse
frequentare. Invece oggi abbiamo una
ventina di studenti, sui trenta totali che
nel nostro istituto si abbonano a Musica
per le Scuole , che la rassegna l’hanno seguita sin dall’inizio, per due o tre anni. È
un passo in avanti, i ragazzi sanno fin da
subito che seguiranno cinque concerti,
una concezione quindi organica e non
occasionale del fruire la musica».
Ricorda un aneddoto o un commento dei ragazzi particolarmente
curioso o divertente?
Grazia Resi: «Vedere suonare dal vivo un
artista è una cosa che colpisce sempre
moltissimo i ragazzi. Anche con una certa
ingenuità (ricordo una studentessa che rimase molto colpita dal pianista, e scrisse:
“mi ha fatto impressione che sapesse tutte
le note a memoria!”). Ma è comunque
un’emozione forte, che molti di loro consigliano anche ai compagni».
Badini: «Spesso li stupisce anche il coinvolgimento del pubblico, un entusiasmo
divistico che a loro suona estraneo per un
artista ‘classico’ (vedi le folle estasiate per
Pollini come se fosse Bruce Springsteen...); un entusiasmo tuttavia che
spesso è contagioso, così magari i ragazzi
si lasciano coinvolgere sulla fiducia!».
Rosetti: «Anche il fatto di gridare “bravo”
da parte di persone adulte è destabilizzante per i ragazzi... è l’emozione del
momento reale del concerto e non della
prova a loro riservata o tagliata su misura. Quello che non c’è nelle prove generali, per quanto utili, è proprio il
clima, la mezz’ora che precede magari
l’inizio di un’opera. Essere realmente in
mezzo al pubblico e non insieme ai propri ‘simili’ cambia molto la prospettiva;
il cellulare ovviamente va tenuto spento,
ma quando i ragazzi sono tutti insieme
l’atmosfera è completamente diversa.
Dall’altra parte vi sono magari pregiudizi all’incontrario...».
Grazia Resi: «Infatti disturba anche
l’adulto che scarta costantemente e rumorosamente caramelle, o tossisce senza
il minimo tentativo di limitarsi. Il fatto
poi che i ragazzi siano in mezzo al pubblico li mette un po’ ‘in riga’, tuttavia ritengo che in questi ultimi anni abbiano
essi stessi imparato a comportarsi meglio, siano un po’ entrati nella parte di
ascoltatori responsabili».
MI
MUSICA INSIEME
15
MICO - Musica Insieme COntemporanea 2015
Con quattro concerti tra marzo e maggio, la X edizione di MICO allarga lo sguardo
verso terre lontane, senza dimenticare il ricordo dell’Olocausto e l’omaggio
alla grande tradizione barocca di Anastasia Miro
P
Storia e geografia
rosegue con quattro concerti il
cartellone di MICO – Musica Insieme COntemporanea, ripercorrendo il filo della memoria: lunedì 9
marzo 2015 vedrà il flautista Manuel
Zurria, interprete tra i più apprezzati del
repertorio contemporaneo, impegnato
nell’originale recital Landscape with tears,
dove le seicentesche Lachrimae di John
Dowland saranno accompagnate da riprese video, e alternate a sette opere contemporanee. Il 30 marzo, protagonista
sul palco dell’Oratorio di San Filippo
Neri, che anche quest’anno ospita la rassegna, sarà il FontanaMIXensemble,
oggi ufficialmente l’ensemble in residenza
di MICO: Psalms and Night Prayers, questo il titolo, che fonde in sé Night Prayers
di Giya Kancheli e Psalms di Justé Janulyté, compositrice lituana della quale
verrà presentata la prima esecuzione assoluta di una nuova versione del suo Sandglasses. A concludere la rassegna, il 20
aprile, sarà una giornata ricca di eventi,
ulteriore contributo di MICO al cartellone di Resistenza Illuminata, omaggio a
Luigi Nono nel 70° anniversario della
Liberazione. Due gli appuntamenti pomeridiani, in collaborazione con il Conservatorio “G.B. Martini”: alle 17 tre testimoni storici illustreranno la figura di
Luigi Nono, alle 19 il violinista Enzo
Porta eseguirà La lontananza nostalgica
utopica futura del compositore veneziano.
Chiuderà idealmente la giornata, e la rassegna, il concerto delle ore 20.30 in San
Filippo Neri, in programma
una nuova opera di Andrea Agostini, In forma
di canzone d’amore,
frutto del progetto
EXITIME/Formazione e Ricerca, e nel
finale il toccante oratorio A Survivor from
Warsaw di Arnold
Schoenberg, traManuel Zurria
Musica Insieme COntemporanea 2015
X EDIZIONE
Oratorio di San Filippo Neri
(Via Manzoni 5) ore 20,30
2015 lunedì
9 marzo
MANUEL ZURRIA
flauto e video
LANDSCAPE WITH TEARS
Musiche di Dowland, Mazulis, Kurtág,
Leach, Eötvös, Basinski, Janulyté, Shlomowitz
2015 mercoledì
18 marzo
ANDREA BACCHETTI
pianoforte
IN MEMORIAM OMIZZOLO E FANO
Musiche di Bach, Fano,
Omizzolo, Hasse, Scarlatti
30 FONTANAMIXENSEMBLE
marzo 2015 lunedì
PSALMS AND NIGHT PRAYERS
Musiche di Kancheli, Janulyté, Avital
20 Conservatorio
aprile 2015 lunedì ore 17
“G.B. Martini” di Bologna
CAMINAR
ore 17
Incontro con Maddalena Novati,
Marco Mazzolini e Gianni Di Capua
ore 19
ENZO PORTA violino
regia del suono a cura della Scuola
di Musica Elettronica del Conservatorio
Musiche di Nono
in collaborazione con il Conservatorio
„G.B. Martini‰ di Bologna
20 FONTANAMIXENSEMBLE
aprile 2015 lunedì
VOCI DELLA SCUOLA
DI TEATRO “ALESSANDRA
GALANTE GARRONE”
ANNA MARIA SARRA soprano
FRANCESCO LA LICATA direttore
⁄ AND THEY BEGAN SINGING
Musiche di Nono, Olivero,
Agostini, Schoenberg
gica testimonianza di un rastrellamento
nazista nel Ghetto della capitale polacca,
con la partecipazione delle Voci della
Scuola di Teatro “Alessandra Galante
Garrone”. Al tema delle persecuzioni razziali si ricollega anche il recital di Andrea
Bacchetti, mercoledì 18 marzo, dedicato
a Silvio Omizzolo e Guido Alberto Fano,
pianisti e compositori i cui destini sono
legati alla Resistenza e all’Olocausto. Andrea Bacchetti ci racconta come queste
due figure s’inseriscano nella tradizione
della grande scuola pianistica italiana:
«Penso che i tesori pianistici non si esauriscano tutti nella musica già molto conosciuta. La musica italiana misconosciuta dal barocco al Novecento storico
ne è un esempio…» Quanto all’inserimento di Bach e Scarlatti in programma,
prosegue Bacchetti: «Bach è il ‘Padre’ e lo
‘Spirito Santo’ insieme. Tutta la musica
discende da lui, persino il pop o il jazz,
per cui penso che ogni concerto debba
iniziare con qualcosa di suo. In particolare qui si radunano alcune pagine giovanili e la Suite francese che fa da ponte
con i pezzi di Fano e Omizzolo, ispirati
alla Resistenza. Il Corale variato di Fano,
poi, è articolato proprio come un corale
bachiano. Infine Scarlatti fa sentire le radici della musica del Novecento storico
italiano, che non sono solo nella grande
musica mitteleuropea».
MICO si realizza con il sostegno dell’Assessorato alla Cultura della Regione Emilia-Romagna, con il contributo della Fondazione del Monte di
Bologna e Ravenna e della Cassa di Risparmio di Bologna, e con la sponsorship tecnica di SOS Graphics.
ACQUISTO BIGLIETTI
I biglietti saranno in vendita
presso l’ORATORIO DI SAN
FILIPPO NERI (Via Manzoni, 5
Bologna), il giorno del concerto
a partire dalle ore 19.
PREZZI: Posto unico € 10
Abbonati Musica Insieme, studenti
Università e Conservatorio, possessori
“Resistenza Illuminata Card” € 7
I VIAGGI DI MUSICA INSIEME
Viaggi e cultura - Stoccolma
16-19 aprile 2015
Come ogni primavera da oltre vent’anni, Musica Insieme accompagna gli abbonati
alla scoperta delle capitali europee, abbinando la visita della città all’ascolto
di concerti prestigiosi. Prossima destinazione: Stoccolma
D
opo Bruxelles, Istanbul, Oslo e
Copenhagen, sarà Stoccolma
la prossima meta dei Viaggi di
Musica Insieme. Come ogni anno infatti, anche questa primavera la nostra
Fondazione organizza e realizza un
viaggio culturale per gli abbonati e i sostenitori, accompagnandoli nella visita
della capitale europea, e abbinando il
viaggio a un importante concerto.
La capitale della Svezia, che visiteremo
dal 16 al 19 aprile, sorge su 14 isole
che dal lago Mälaren si protendono a
Oriente, sul Mar Baltico. Gli edifici e
i palazzi, la ricca storia culturale e i
musei raccontano le meraviglie di 700
anni di storia. La città vecchia racchiude tutta questa storia fra le stradine
medievali, gli edifici ricurvi ma perfettamente conservati, il Palazzo Reale, le
chiese gotiche e i bar, le caffetterie, i ristoranti e i negozi di oggettistica di
design svedese.
La partenza è prevista giovedì 16
aprile con volo di linea Lufthansa (via
Monaco), e arrivo in serata a Stoccolma. La sistemazione dei nostri
ospiti avverrà presso l’Hotel Hilton
Stockholm Slussen, situato in posizione centrale tra il quartiere di Södermalm e la zona storica della città.
La mattina di venerdì 17 aprile sarà
dedicata alla visita guidata di Stoccolma, attraverso Gamla Stan, la pittoresca e caratteristica città vecchia con
i suoi vicoli di acciottolato, la Piazza di
Stortorget, la piazza più antica della
città, il Palazzo Reale e il Municipio.
18
MI
MUSICA INSIEME
Con la direzione di John Storgårds,
ascolteremo la Sinfonia n. 4 op. n. 90
di Felix Mendelssohn e, nella seconda
parte, la Sinfonia n. 2 op. 43 di Jean
Sibelius.
Nella foto sopra: una veduta panoramica
di Stoccolma. Sotto: la sala della Stockholms
Konserthus, sede del concerto di venerdì 17 aprile.
In basso: la Helsinki Philharmonic Orchestra
L’appuntamento con la musica – da
sempre tratto distintivo dei nostri
viaggi – è fissato per la sera di venerdì
17, presso la Stockholms Konserthus,
principale teatro per la musica sinfonica della città, dove ogni anno si tiene
la consegna dei Premi Nobel: qui assisteremo al concerto della Helsinki
Philharmonic Orchestra, compagine
storica con alle spalle 130 anni di attività, prima orchestra professionistica
ad essere nata nei Paesi Scandinavi.
Sabato 18 aprile, la giornata si svolgerà tra la visita di Skansen, il più antico museo all’aria aperta del mondo
che conserva 150 edifici originali provenienti da ogni parte della Svezia, e
Vasa, dove è conservato l’ultimo vascello da guerra seicentesco rimasto al
mondo. Nel pomeriggio sarà la volta
del Palazzo Reale di Drottningholm, situato sull’isola di Lovö, palazzo ispirato
ai modelli dell’architettura francese e
olandese, fatto erigere dalla regina
Eleonora nel 1662, considerato uno
dei palazzi reali più suggestivi d’Europa. In serata è previsto il rientro a
Stoccolma con giro in battello riservato
sul lago Mälerenore, per poi trascorrere
la serata nella capitale.
Infine, domenica 19 aprile sarà dedicata a scelta o alla visita individuale
della città, o all’escursione guidata a
Sigtuna e Uppsala, pittoreschi centri
storici tipicamente svedesi. Nel pomeriggio raggiungeremo l’aeroporto di
Stoccolma, dove un volo Lufthansa
(via Francoforte) ci riporterà a Bologna
in serata.
Per tutte le informazioni relative al
viaggio è possibile rivolgersi direttamente alla segreteria di Musica Insieme (tel. 051 271932) oppure all’agenzia Uvet Pomodoro Viaggi di
via Farini, 3 (tel. 051 6441011).
VARIGNANA MUSIC FESTIVAL 2015
Dal 10 al 18 luglio, la II edizione del Festival organizzato da Musica Insieme
per Palazzo di Varignana ospiterà alcuni fra i maggiori protagonisti del panorama
internazionale, offrendo un palco d’eccezione per l’estate bolognese
D
Note d’estate
opo il grandissimo successo della
I edizione del Varignana Music
Festival, il cui pubblico ha costantemente gremito la Sala Belvedere e gli
spazi del Palazzo di Varignana Resort &
SPA, la II edizione del Festival, in programma dal 10 al 18 luglio 2015, allargherà ulteriormente lo sguardo sui più
interessanti protagonisti del panorama
musicale internazionale, con nuove presenze e graditissime riconferme. Alcune
anticipazioni, fra le tante novità in cartellone: innanzitutto, un testimonial straordinario qual è Mario Brunello, ad oggi il
più celebre violoncellista italiano al
mondo, sarà protagonista di una ‘carta
bianca’ che animerà interamente le tre
giornate d’apertura del Festival. Primo
italiano nel 1986 a vincere il Concorso
“Čajkovskij” di Mosca, Brunello è invitato
dalle più prestigiose orchestre, dalla London Philharmonic alla NHK Symphony
di Tokyo, all’Accademia di Santa Cecilia,
diretto da Temirkanov, Abbado, Chailly,
Pappano, Muti, Ozawa. Brunello presenterà alcuni progetti inediti che prevedono
la collaborazione di numerosi artisti ospiti,
fra cui si segnala il compositore Ezio
Bosso, autore di musiche originali e dall’eccezionale impatto emotivo. Brunello
animerà poi un’originale ‘conversazioneconcerto’ con Gustavo Zagrebelsky, giurista italiano già Presidente della Corte
Alexander Romanovsky
20
MI
MUSICA INSIEME
Costituzionale, sull’interpretazione di due
testi sacri come una sonata di Schubert
e… la Costituzione. Altro special guest, in
due recital tutti brahmsiani, sarà Julian
Rachlin, violinista, violista e direttore
d’orchestra fra i più acclamati, ed artista
impegnato per l’educazione delle nuove
generazioni (attivo dal 2010 anche come
Ambasciatore UNICEF). Accanto a lui
quello che è oggi il pianista più richiesto
dai solisti di tutto il mondo: Itamar Golan, già al fianco di Mischa Maisky, Vadim Repin, Janine Jansen, ed ospite delle
sale e dei festival più prestigiosi. Fra i testimonial di questa II edizione si riconferma poi un interprete d’eccezione qual
è Alexander Romanovsky, vincitore ancora diciassettenne del prestigioso Concorso “Busoni” 2001, ed oggi pianista invitato dalle principali compagini, come
Royal Philharmonic Orchestra o Filarmonica del Teatro alla Scala, diretto fra gli
altri da Antonio Pappano e Vladimir
Ashkenazy. Oltre ad esibirsi in duo con
Mario Brunello, in un programma espressamente creato per il Varignana Music
Festival che affiancherà una rara sonata di
Lekeu all’unica Sonata di Rachmaninov
per violoncello e pianoforte, Romanovsky
sarà protagonista di un recital con la violoncellista statunitense Christine Walewska, già allieva del grande Gregor Pjatigorskij. Con lei Romanovsky presenterà
un affascinante programma dedicato al
tango – Christine Walewska è infatti dedicataria di numerosi arrangiamenti di
Astor Piazzolla. Infine, un orgoglio tutto
italiano come il Quartetto di Cremona
sarà protagonista di due appuntamenti, fra
cui il concerto conclusivo del festival, che
lo vedranno esibirsi sia ‘in formazione’
che ‘a geometria variabile’, accanto a Brunello, Rachlin, Romanovsky. Tutti i concerti del Varignana Music Festival
avranno inizio alle ore 20, e saranno seguiti da momenti conviviali e d’incontro
con gli stessi artisti.
II edizione
2015 venerdì ore 20
10 luglio
MARIO BRUNELLO violoncello
ALEXANDER ROMANOVSKY pianoforte
Musiche di Lekeu, Rachmaninov
2015 sabato ore 20
11 luglio
MARIO BRUNELLO violoncello
QUARTETTO DI CREMONA
Musiche di Schubert
12 ore 17
luglio 2015 domenica
MARIO BRUNELLO
GUSTAVO ZAGREBELSKY
Dialogo sullÊinterpretazione
e forse⁄ una Sonata di Schubert
ore 20
MARIO BRUNELLO violoncello
EZIO BOSSO pianoforte
Musiche di Pärt, Bach,
Cage, Messiaen, Bosso
13 JULIAN RACHLIN
luglio 2015 lunedì ore 20
violino
ITAMAR GOLAN pianoforte
Musiche di Brahms
14 ITAMAR GOLAN
luglio 2015 martedì ore 20
NATSUKO INOUE
pianoforte a quattro mani
Musiche di Schubert, Ravel, Brahms
15 ALEXANDER ROMANOVSKY
luglio 2015 mercoledì ore 20
pianoforte
Programma da definire
16 CHRISTINE WALEWSKA
luglio 2015 giovedì ore 20
ALEXANDER ROMANOVSKY pianoforte
violoncello
Musiche di Piazzolla, Ginastera
17 JULIAN RACHLIN
luglio 2015 venerdì ore 20
violino
ITAMAR GOLAN pianoforte
Musiche di Brahms
18 QUARTETTO DI CREMONA
luglio 2015 sabato ore 20
JULIAN RACHLIN violino
ALEXANDER ROMANOVSKY pianoforte
Musiche di Schumann, Chausson
L’INTERVISTA DOPPIA
RAFAŁ BLECHACZ - YUNDI
Un premio per due
R
I due pianisti si raccontano, dagli esordi musicali, entrambi curiosamente
con un altro strumento, al Premio “Chopin”, che ha definitivamente indirizzato
entrambi verso una strepitosa carriera di Cristina Fossati
afał Blechacz e Yundi: due giovani pianisti, due artisti
che hanno visto la propria carriera consacrarsi internazionalmente grazie alla vittoria della più antica e prestigiosa competizione pianistica internazionale. Il primo, infatti,
si è aggiudicato il Primo Premio al Concorso “Fryderyk Chopin” di Varsavia nel 2005, il secondo nel 2000, primo artista
in assoluto nel suo Paese ad aggiudicarsi questo concorso. Più
che naturale allora cercare il confronto per poter capire cosa li
differenzia e cosa li accomuna, al di là della grande passione per
la musica.
Quando ha cominciato ad appassionarsi alla musica,
ed in particolare al pianoforte?
Blechacz: «Da bambino, il mio desiderio più grande era suonare
l’organo. E sull’organo, in particolare, suonare la musica di Johann Sebastian Bach. In casa comunque c’era un pianoforte.
Così ho cominciato a suonare entrambi. Poi, eccomi a scuola
di musica. Avevo cinque o sei anni. Da quel momento il pianoforte è entrato definitivamente nella mia vita».
Yundi: «A tre anni ho iniziato a suonare la fisarmonica. A sette
Rafał Blechacz
22
MI
MUSICA INSIEME
ho cominciato a frequentare una scuola di musica. Poi, in Accademia il pianoforte è diventato il mio sogno: è con il pianoforte che il mio cammino musicale ha preso forma. In seguito,
ovviamente ho cominciato a cambiare uno strumento dopo l’altro, ma tutti i pianoforti su cui mi sono esercitato sono diventati comunque “il mio pianoforte”. Quando ne cambi uno, è
ogni volta come lasciare una parte di te. Così accade pure ogni
volta che suoni, non importa se si tratta dello strumento di un
teatro o del tuo pianoforte».
Quali sono stati i più importanti maestri (non solo in
senso musicale) che ha incontrato nel suo percorso?
Blechacz: «Pensando ai miei studi, due in particolare sono stati
i miei maestri. Il primo è stato Jacek Polanski, il mio primo vero
maestro di pianoforte una volta entrato alla Scuola di Musica
“Artur Rubinstein” a Bydgoszcz. Il suo insegnamento era concentrato sullo stile classico, su Haydn e Mozart, ed è stato lui
a portarmi alla vittoria del mio primo concorso, non a caso,
forse, un concorso intitolato proprio a Bach. Poi ho incontrato
Ekaterina Popowa-Zydroń. Con lei ho appreso molto sull’interpretazione e l’espressività, focalizzando i miei studi certo su
Chopin, ma anche su autori, come Debussy, che secondo lei mi
avrebbero aiutato ad interpretare meglio anche la musica di
Chopin. Infine, dovrei citare tutte le persone importanti che ho
incontrato, ed anche coloro che, come Rubinstein o Michelangeli, non ho ovviamente conosciuto, ma le cui incisioni mi
sono state di grande ausilio».
Yundi: «Sicuramente quei maestri che hanno creduto in me, che
mi hanno spronato ad andare avanti. La mia famiglia, e mio padre in particolare, sono stati i miei primi insegnanti. Poi i docenti dell’Accademia di Shenzhen e tutti i musicisti dell’edizione del Concorso pianistico internazionale “Chopin”. Tutti
costoro sono stati miei maestri sia in senso umano sia musicale.
Per non parlare di Seiji Ozawa, Claudio Abbado, Valerij Gergiev, Riccardo Chailly, Daniel Harding. Credo che tutti coloro
che danno attenzione al talento e ai sogni di un ragazzo possano essere considerati come suoi maestri. Chi dà una possibilità, chi è generoso e aiuta a costruire la vita di un bambino, che
sia un padre, un nonno, un insegnante, un direttore d’orchestra, è sempre un maestro secondo me. La lezione più importante che ho ricevuto è di non lasciare mai nessuno da parte,
per nessun motivo. Una lezione che non dimenticherò mai!».
Lei ha vinto il Concorso pianistico internazionale “Chopin” di Varsavia, uno dei premi più prestigiosi per un
pianista. Cosa ricorda di quel momento?
Foto Chen Man
Blechacz: «Una competizione davvero lunga e difficile, questo
il mio ricordo. Rammento bene le sessioni di piano solo, nelle
quali ho cercato di trovare lo stile giusto per eseguire mazurche e polacche. E poi l’ultimo round: il concerto con l’orchestra. In ogni caso, sono riuscito a restare concentrato su me
stesso. Non ho guardato la TV, non ho letto i giornali, non ho
cercato di avere informazioni su quanto stava accadendo al concorso, se non quelle che mi riguardavano. Il mio obiettivo era
creare in me stesso il giusto equilibrio tanto nel cuore quanto
nella mente, restando sempre e solo concentrato sulla musica
che avrei dovuto suonare».
Yundi: «Ricordo chiaramente quando ho vinto il concorso. Si
è trattato davvero di un momento molto eccitante. Mi era
chiaro che non avevo raggiunto il vertice, ma allo stesso
tempo, mi era altrettanto chiaro che il destino mi stava dando
la possibilità di seguire il mio percorso e di mostrare a me
stesso se questa sarebbe stata la strada giusta per me. La sensazione che seguì alla vittoria ne fu in certo senso il segnale
di conferma».
Qual è, secondo lei, un compositore del passato o del
presente da (ri)scoprire?
Blechacz: «Sono sempre incuriosito da tutto il repertorio. In
particolare, però, mi sto dedicando alla riscoperta della musica
pianistica polacca, una produzione nella quale spiccano nomi
importanti come quello della compositrice Grażyna Bacewicz.
D’altronde, anche di autori più noti, come Karoł Szymanowski, molte opere debbono essere di fatto ancora riscoperte, ed
è per questo che ho voluto introdurre alcune suoi lavori nelle
mie incisioni discografiche».
Yundi: «Io adoro tutti i compositori di musica classica. Mi odierei se parlassi di uno solo! Sarebbe come escludere gli altri e
quindi non lo farò. A proposito degli autori contemporanei,
credo che ci siano grandi talenti oggi in tutto il mondo. Sono
sempre molto curioso di apprendere cosa stanno facendo, e
sono convinto che i sentimenti, le esperienze, il genio e la cultura di persone così dotate illuminino gli altri esseri umani. Apprezzo ovviamente i compositori cinesi, anche quelli che scrivono canzoni popolari, magari cercando di dar nuova vita a
quella che fu la nostra musica del passato».
Cos’è importante, secondo lei, per un giovane artista
che voglia costruire una solida carriera?
Blechacz: «Credo che ciascuno di noi debba in primo luogo
ascoltare se stesso, il proprio intuito, ciò che sente. Ogni artista ha, del resto, una sua specifica personalità, e quindi dev’essere in base a questa che deve cercare di trovare il giusto equilibrio tra gli impegni della sua professione e la vita privata.
Detto questo, ovviamente deve sempre sviluppare il proprio repertorio, allargandolo, cercando di affrontare stili musicali diversi e compositori diversi, sempre però cercando di avere il
tempo necessario per ottenere la giusta preparazione».
Yundi: «Bisogna studiare tutti i giorni e tutto il giorno, se è possibile, avendo sempre fiducia nei propri insegnanti e senza
mai smettere di essere umili. Inoltre è importante seguire master class e concerti di grandi interpreti. Non bisogna mai
smettere di mettere un mattone sopra l’altro, e continuare a
farlo sino alla fine della propria vita».
Yundi
Maestro Yundi, come descriverebbe il suo rapporto
con gli ascoltatori? Nota particolari differenze tra il
‘suo’ pubblico in Cina e all’estero?
Yundi: «Ovunque sono invitato ad esibirmi spero di instaurare
un bel rapporto con il pubblico. Non c’è mai nulla di sicuro.
Dal mio punto di vista io dò tutto me stesso, i miei sforzi e le
mie energie sono focalizzati a comunicare con chi mi ascolta:
questo è il punto focale, insieme alla musica. La psicologia e la
sensibilità sono tutto per un musicista: saper suonare non
serve a nulla se le emozioni non entrano in gioco. È importante
conservare l’anima libera e trasparente in ogni momento. Per
questa ragione, secondo me, in Cina o in Italia, o in ogni altro paese, il pubblico non è diverso. Io mi sento legato a tutti
perché il pubblico è composto di persone che hanno espressamente voluto assistere al mio concerto e ascoltarmi. Le emozioni delle persone e la partecipazione umana sono uguali in
tutte le parti del mondo».
Maestro Blechacz, a Musica Insieme abbiamo invece
avuto il piacere di ascoltarla più volte: qual è il suo ricordo di questi concerti, e più in generale del pubblico
italiano?
Blechacz: «In primo luogo rammento bene le sale: sia quella del
Manzoni che il Teatro Comunale sono davvero ottime sale da
concerto, dove ho sempre avuto a disposizione uno splendido
pianoforte. In più, il pubblico mi è apparso sempre molto concentrato, sensibile e caloroso. Insomma, dei miei precedenti recital a Bologna ho davvero un bel ricordo. Così come del pubblico italiano in genere. Ogni volta ho vissuto una bella
esperienza, sia sotto il profilo musicale, sia dal punto di vista
personale, trascorrendo in Italia davvero dei bei momenti».
MI
MUSICA INSIEME
23
L’INTERVISTA DOPPIA
ARIEL ZUCKERMANN - NING FENG
Passione e rigore
n triplo debutto a Bologna: il concerto del 13 aprile
sarà l’occasione per ascoltare per la prima volta in città
sia la celebre orchestra dei Münchner Symphoniker, fra
le principali compagini tedesche, sia il suo direttore, l’israeliano
Ariel Zuckermann, e il violinista cinese Ning Feng. I due, del
resto, l’Italia la conoscono bene (Feng peraltro ha conseguito
il Primo Premio al Concorso “Paganini” di Genova) e la amano
per quella commistione di rigore e ‘saper vivere’, che risuona anche nella sua musica.
Percepisce qualche differenza nel modo di fare e fruire
la musica nei diversi paesi in cui regolarmente si esibisce? Com’è in particolare il suo rapporto con il pubblico italiano?
Zuckermann: «Ho diretto a Milano l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, a Bolzano l’Orchestra Haydn (una nuova collaborazione di questa Stagione) e a Palermo, ma sarà la prima
volta che mi esibisco a Bologna. Certo, le differenze tra i paesi
si sentono anche nelle rispettive orchestre… tuttavia la musica
è un linguaggio così internazionale che non porrei confini. Da
israeliano sento comunque con forza la mentalità ‘meridionale’
che ci accomuna agli italiani, quindi amo molto lavorare nel vostro paese, per il calore e l’energia della gente, e per quell’apertura che mi ricorda appunto la terra dove sono cresciuto».
Feng: «Credo che in Italia valga un po’ la regola “prima il piacere
e poi il dovere” (il che non toglie che lavoriate duramente), mentre in Germania è il contrario: prima il lavoro, poi il piacere. Ho
un carissimo amico, il pianista Roberto Giordano, che vive fra
il Belgio e la Calabria (abbiamo tenuto oltre cinquanta concerti
in duo!), e di lui ho apprezzato quella personalità, quello stile di
vita tutto italiano, quella capacità di godere della vita, pur non
esimendosi dal lavorare con grande impegno».
da ciascuno di loro qualcosa di diverso e di davvero speciale».
Parafrasando una famosa affermazione di Mischa
Maisky: Ning Feng è nato in Cina, ha studiato a Londra e vive a Berlino. Oltre a ciò, suona uno strumento
italiano. Maestro Feng, dove si sente a casa, e quanto
contano le radici nella sua attività?
Feng: «È una domanda molto difficile perché ho avuto quattro
importantissimi insegnanti di violino, ed i primi tre sono tutti
cinesi. Il terzo di loro l’ho conosciuto peraltro quando studiavo
a Londra, quindi ho studiato in Europa con un violinista cinese… poi il mio quarto maestro, tedesco, l’ho avuto in Germania. Devo a tutti loro quello che sono diventato. Il violino, da
parte sua, è nato in Italia e la musica occidentale proviene principalmente dall’Europa, quindi anche dalla vita delle persone che
l’hanno prodotta. Il fatto che io abbia studiato e viva ancora in
Europa ha influenzato sicuramente quello che sono oggi».
Foto Felix Broede
U
Nelle parole dei due artisti, al loro debutto per Musica Insieme, emerge l’amore
per l’Italia, apprezzata sia per la sua ricchezza artistica, sia per il calore
e l’energia che la contraddistinguono di Valentina De Ieso
Maestro Zuckermann, lei è stato fra l’altro assistente
di Iván Fischer con la Budapest Festival Orchestra, che
ha poi anche diretto. Quali sono gli insegnamenti che
ritiene più preziosi per la sua formazione musicale?
Zuckermann: «Il periodo trascorso con Iván Fischer è stato certamente grandioso, ma ho avuto meravigliosi insegnanti sin
dall’infanzia. È stata proprio la mia prima maestra di pianoforte, all’età di cinque anni, ad infondermi l’amore per la musica. Non posso poi trascurare lo studio con Bruno Weil a Monaco, o con Jorma Panula, che è una vera leggenda,
all’Accademia Reale di Stoccolma. Non sento di avere un
‘guru’ in particolare, ma sono stato molto fortunato ad incontrare una serie di grandi insegnanti, potendo così acquisire
24
MI
MUSICA INSIEME
Ariel Zuckermann
Foto Lawrence Tsang
nosciuto: di lui si ascoltano molte opere, ma altrettante non
sono adeguatamente programmate».
Maestro Feng, lei si è aggiudicato il Primo Premio al
Concorso “Paganini” di Genova, e del genovese eseguirà il Primo Concerto: deve trattarsi di un autore
molto importante per la sua attività artistica…
Feng: «C’è un aspetto di Paganini che amo particolarmente, ed
è il carattere operistico delle sue melodie. Il che può anche suonare naturale, essendo italiano… ma proprio in lui ritrovo quel
piacere che non esclude il lavorare sodo di cui parlavo prima: tecnicamente i suoi lavori sono ardui, soltanto che accanto alla tecnica c’è una miracolosa naturalezza, una melodia lirica che
sgorga spontanea come un’aria d’opera. Semplicemente meraviglioso. Il suo Concerto è splendido, concepito per l’idioma e
la tecnica violinistica, e tuttavia ha una cantabilità quasi vocale».
A proposito di autori ingiustamente dimenticati: ci fareste qualche esempio?
Ning Feng
Come definirebbe il suo collega nel concerto per Musica Insieme?
Zuckermann: «Abbiamo già suonato insieme molte volte. Personalmente considero Ning Feng un violinista, e soprattutto un musicista, straordinario. L’ultima volta ci siamo esibiti in Francia, a
Montpellier, quando abbiamo eseguito la Serenata di Bernstein».
Feng: «Proprio nella Serenata di Bernstein per violino, archi,
arpa e percussioni credo emerga la bravura di un direttore
come Zuckermann: si tratta infatti di un brano molto impegnativo metricamente per chi deve guidare l’orchestra, una
grande sfida che Ariel Zuckermann ha vinto con la sua estrema
chiarezza, e sostenendo in maniera naturalissima me (che ho
una parte molto ‘fisica’) e l’ensemble».
Il programma che presenterete a Musica Insieme è
‘classico’ ma originale, accostando a Paganini e Haydn
due autori come Berwald e Kraus, non propriamente
noti ai più…
Zuckermann: «Credo che Berwald sia un autore ingiustamente
negletto: soprannominato “il Mendelssohn svedese”, vanta
ben poche incisioni e poche esecuzioni delle sue pur pregevoli
composizioni. Anche il tedesco Kraus, che è vissuto all’incirca
gli stessi anni di Mozart (1756-1792), è stato attivo in Svezia.
Entrambi sono caduti nell’oblio malgrado abbiano lasciato
dei lavori bellissimi. Paganini non necessita di presentazioni,
come pure Haydn, che è fra i miei autori preferiti. Tuttavia a
mio avviso anche Haydn è in certo modo un compositore sco-
Zuckermann: «Ce ne sono così tanti… risponderò ancora
Haydn. Andrebbe suonato di più, le sue sinfonie sono note solo
per metà. Tutti lo conoscono, ma i suoi lavori non sono così familiari al pubblico come dovrebbero».
Feng: «Citerò anch’io un compositore assai famoso, ma a mio
parere non abbastanza, specie per il mio strumento: Luciano
Berio, un genio. Le Sequenze che ha scritto per i singoli strumenti sono meravigliose, ma vorrei ricordare anche i suoi 34
Duetti per due violini (1979-83): è incredibile quante idee affascinanti abbia potuto sviluppare; meno di un minuto, questa la durata di ciascun Duetto, eppure ognuno è un mondo a
sé. Berio dovette scrivere un testo per spiegare l’essenza dei
Duetti, ma ritengo che quando la musica funziona non vi sia
bisogno di spiegazioni. In fondo Mozart non ha mai dovuto
spiegare la propria musica!».
Non solo direttore ma anche flautista: Maestro Zuckermann, con l’ensemble Kol-Simcha avete eseguito
per decenni anche il repertorio klezmer.
Zuckermann: «Sì, credo peraltro che ogni direttore dovrebbe saper suonare uno strumento, per mantenere anche la pratica strumentale: del resto un direttore senza orchestra non è niente, e
deve per questo tenere sempre a mente e rispettare l’impegno richiesto dal suonare uno strumento. Venendo al mio ensemble
(Kol-Simcha significa “voce di gioia”), l’ultimo progetto che abbiamo realizzato è un CD con la London Symphony Orchestra;
ho imparato tantissimo da questo ensemble, e dirigere quest’incisione insieme a loro e alla London Symphony è stato prezioso. Del resto, allargare i propri orizzonti, sperimentare nuove
vie, essere curiosi ci arricchisce come persone e come artisti».
Maestro Feng, lei imbraccia un magnifico Stradivari del
1721: come definirebbe la ‘voce’ di questa leggendaria scuola di liuteria?
Feng: «I violini Stradivari sono l’equilibrio perfetto di ogni cosa
riguardi il violino. Altri strumenti, come i Guarneri del Gesù,
non saranno perfetti come gli Stradivari, ma restano comunque meravigliosi. Del resto gli artisti non sono perfetti: quindi
il carattere, per quanto imperfetto, del Gesù non ha nulla da
invidiare allo Stradivari. Anzi, forse lo Stradivari è sin troppo
perfetto per essere affidato alle mani di un essere umano!».
MI
MUSICA INSIEME
25
L’INTERVISTA
RINALDO ALESSANDRINI
Mille e uno stile
Il celebre clavicembalista, sul palco di Musica Insieme il 27 aprile alla guida del ‘suo’
Concerto Italiano, ci offre un raffronto tra Bach e Vivaldi di Fabrizio Festa
R
inaldo Alessandrini è ormai da
molti anni tra i protagonisti della
scena internazionale della musica
antica e barocca. Più che naturale allora
cercare di fare il punto della situazione,
tanto più che il programma che presenterà per i nostri Concerti s’incentra sul binomio Vivaldi/Bach, le cui opere sono
state fin dagli inizi al centro della renaissance di quel tipo di musica.
Da quando tutto è cominciato son
passati una quarantina d’anni, forse
più. Possiamo fare oggi un bilancio?
«Certamente sì. È stata una vicenda al
tempo stesso semplice e complessa. Quarant’anni di storia, dal mio punto di vista,
son serviti a mettere le cose al loro posto.
Del resto, i primi trenta sono stati necessari per razionalizzare un’esigenza, che
sentivamo tanto io personalmente quanto
molti degli altri musicisti con i quali ho
avuto la fortuna di suonare. Tale esigenza
si potrebbe sintetizzare così: bisognava ricollocare questo repertorio in una cornice
prima di tutto musicalmente adeguata.
Dopo i primi momenti, in cui ci si è
mossi un po’ a tentoni, quasi per sentito
dire, magari copiando dai primi dischi in
circolazione, le cose han cominciato a organizzarsi con maggior metodo e coerenza. Oggi le informazioni a proposito di
questo repertorio sono tali e tante che
per affrontare un’esecuzione si è viceversa
costretti a fare una sorta di sintesi, pur
non tralasciando certo quanto abbiamo
appreso e ancora stiamo imparando».
Si può ancora oggi parlare di scuole
interpretative nazionali, magari rinverdendo i fasti di una contrapposizione, quella tra italiani e tedeschi,
che par proprio essere endemica
anche all’epoca dell’Europa unita?
«Parlare d’Italia guardando alla musica antica e barocca significa in realtà far riferi26
MI
MUSICA INSIEME
mento a tre filoni musicali completamente
diversi: quello veneziano, quello napoletano e quello romano. Certo tra questi filoni sono rintracciabili commistioni ed intrecci, ma Venezia, Napoli e Roma sono
state capitali indipendenti non solo dei
loro stati, ma anche dal punto di vista musicale. Quindi, se pensiamo ad una musica
“italiana”, credo che il trait d’union potrebbe essere individuato nell’unione strettissima fra testo e musica. Un dato questo
che riscontriamo non solo ovviamente
nella produzione vocale, ma anche in
quella strumentale, che subisce l’influenza
dei modelli che caratterizzano la musica
vocale, quest’ultima composta quasi sottintendendo un testo. Dunque, se volessimo parlare di una musica “italiana”, potremmo dire che questa si distingue da
altre produzioni coeve in Europa per il
suo legame strettissimo con le formule
della retorica. Allargando l’orizzonte, potremmo dire che tutta la musica strumentale settecentesca deriva dal vocabolario
del teatro d’opera. Affrontarla in concerto
implica l’aver avuto a che a fare con un li-
bretto d’opera. Da qui forse la particolare
brillantezza dello stile italiano, uno stile basato in verità sul principio di contrapposizione. Brillantezza certamente, ma anche
gravitas. Non solo, quindi, pizza e mandolini, ma anche lentezza e profondità, la
gravitas ingrediente fondamentale dello
stile italiano».
Bach e/o Vivaldi?
«Non è facile per un interprete italiano
oggi eseguire la musica di Bach. Basti
pensare alla lingua, che ci pone problemi
precisi. In tedesco le consonanti suonano,
ad esempio, in un modo specifico, così
come in italiano le vocali. La maniera di
pronunciare una parola si trasferisce nel
modo di suonare, nelle articolazioni, nella
lunghezza dei suoni. Poi c’è la differenza
tra le personalità. Vivaldi ha fatto ciò che
Bach non ha mai fatto. L’ego vivaldiano
si trasferisce direttamente nelle sue partiture, che hanno di conseguenza una
struttura gerarchica evidente, dove un
ego appunto predomina su tutti gli altri.
Bach, al contrario, mira all’integrazione
di tutte le parti, ottenendo una sorta di
democrazia nella sua costruzione musicale. Peraltro, Bach era affascinato dalle
possibilità che la struttura gerarchica dello
stile italiano offriva, e quando poteva ne
adottava lo spirito, l’estroversione, ad
esempio, nel caso delle trascrizioni da Vivaldi. Quest’ultimo era a sua volta uomo
pragmatico, come lo deve essere chi lavora per il teatro, e quindi è costretto a
guidare una sorta di azienda, differentemente da Bach che era tutto sommato
uno stipendiato. Oggi Vivaldi rappresenta quel carattere un po’ effimero, non
imbrigliabile dell’invenzione. Lontano da
qualsiasi sclerotizzazione della scrittura. Mentre la lingua di Bach è
una sola, Vivaldi è l’inventore
dei mille e uno stile».
L’INTERVISTA
MARIANGELA VACATELLO
Italiani nel mondo
La straordinaria pianista partenopea, chiamata a concludere la Stagione di Musica Insieme
con il Secondo Concerto di Beethoven accanto alla Prague Chamber Orchestra,
racconta con passione e profondità la propria professione di Fulvia de Colle
F
ra i tanti riconoscimenti ricevuti,
essere insignita a soli ventitre anni
del Premio “Giuseppe Verdi: la
musica per la vita” significa molto: significa che la musica per Mariangela Vacatello è davvero la missione di una vita,
il pianoforte sempre accanto (quasi una
sua diramazione, come mostrano non
senza ironia molte foto dell’artista), tra
sfide tecniche stimolanti e una passione
che sa contagiare anche con le parole.
pena di focalizzarsi un poco di più sulla nostra musica, come fanno tra gli altri pianisti come Lang Lang [o Yundi nel cartellone
di Musica Insieme, ndr], che eseguono lavori della propria tradizione nazionale…».
Incominciamo dall’inizio: Mariangela Vacatello, partenopea, si forma
a quella che è senza dubbio la migliore scuola pianistica italiana, l’Accademia “Incontri col Maestro” di
Imola…
«Ritengo che un esecutore non possa prescindere dalla musica d’oggi, mentre a
volte il pubblico ha bisogno di un po’ di
tempo per metabolizzarla. Tuttavia il linguaggio dei compositori di oggi fa parte
del nostro mondo: l’autore vede, vive,
sente, filtra quello che accade intorno a sé,
e quello che ne scaturisce è una sorta di
giornale, una testimonianza viva del nostro presente che sta agli esecutori scoprire
e portare alla luce – naturalmente a seconda della propria sensibilità. Nel mio
caso è cominciata proprio con Fedele: ho
eseguito in America con successo i suoi
Studi boreali; poi nella Stagione 2012/13
ho portato in tournée il mio Twilight
Project, con brani che andavano da Ravel
ai due Notturni crudeli di Sciarrino (scritti
praticamente ieri, nel 2009…). Ho scelto
questi brani per un mio studio personale
sullo stile, sui colori, sui tocchi».
«Certo la mia formazione principale si è
svolta all’Accademia, dove sono entrata a
soli undici anni, per terminare a venti. Lì
ho incontrato grandi insegnanti provenienti da tutto il mondo, oltre naturalmente ai miei maestri, Franco Scala e
Riccardo Risaliti (con il quale mi sono
poi diplomata al Conservatorio di Milano). Ma dal momento che mi ha definito “partenopea”, vorrei aggiungere che
il mio primo insegnante, cui devo la mia
impostazione anche tecnica dai sette agli
undici anni, è stato Aldo Tramma, a sua
volta già allievo di Vincenzo Vitale.
Quindi mi è andata piuttosto bene, potendo trarre profitto dalle due maggiori
scuole pianistiche italiane, quella napoletana e quella dell’Accademia imolese».
Lei sente in qualche modo la ‘forza
delle radici’ italiane nella sua professione?
«Io credo che chiunque si accosti alla musica debba prima o poi fare i conti con la
nostra tradizione, essendo l’Italia uno dei
paesi in cui la musica è stata una costante
attraverso i secoli, pur nelle inevitabili oscillazioni. Per questo ritengo che valga la
A Musica Insieme l’abbiamo ascoltata in recital nel 2011 con un programma impegnativo, che a Liszt e
Prokof’ev affiancava Ivan Fedele.
Che posto ha la contemporanea
nelle sue scelte?
forma che adoro, può andare dalla miniatura fino alla durata di oltre un’ora,
contenendo in sé oltre all’elemento tecnico molte sfaccettature dell’autore. Uno
dei tre cicli, posso anticiparlo, è già in
corso e riguarda l’integrale di Alberto Ginastera, di cui ricorreranno nel 2016 i
cento anni dalla nascita. Sto terminando
l’incisione, che uscirà a fine 2015».
Per l’appuntamento conclusivo di
Musica Insieme eseguirà il Secondo
Concerto di Beethoven, pietra miliare del genere...
«Ho già in repertorio tutti i Concerti di
Beethoven… e ho suonato il Quarto più
di qualsiasi altra opera, insieme forse agli
studi di Liszt. Quindi sono pronta per
l’integrale! Venendo al Secondo, è un
concerto molto fresco, con un meraviglioso cantabile nel secondo movimento
e un tema di rondò finale che s’imprime
nella memoria».
Gli studi sono al centro delle sue più
recenti incisioni: c’è una particolare
ricerca in queste scelte?
«È iniziata per caso con l’incisione degli
Studi trascendentali di Liszt, un mio amore
di gioventù, e sta diventando ormai un
punto centrale, almeno per qualche anno,
nel mio lavoro di incisione. Dopo Liszt e
Debussy posso anticipare che sono in cantiere almeno tre cicli di studi, con l’intenzione di creare una raccolta che poi potrà ampliarsi nel tempo. Lo studio è una
MI
MUSICA INSIEME
29
I LUOGHI DELLA MUSICA
Scatti d’arte
In mostra presso la Gallery della Fondazione MAST, gli scatti inediti di Emil Otto Hoppé,
che alle immagini della seconda rivoluzione industriale affianca ritratti di ballerini
e coreografi russi di Maria Pace Marzocchi
L
a mostra in corso alla Gallery della
Fondazione MAST – l’istituzione
culturale, filantropica e museale
voluta dall’imprenditrice Isabella Seragnoli e inaugurata nel 2013, che conta anche un auditorium con 420 posti – presenta 190 scatti fino ad ora inediti di
fotografie industriali di Emil Otto Hoppé
(Monaco di Baviera 1878 – Londra
1972), che, famosissimo negli anni Venti
e Trenta del Novecento, fu poi quasi dimenticato dopo che nel 1954 decise di ritirarsi e di vendere le fotografie di un cinquantennio di attività ad un archivio
londinese. Tutto il materiale fu inventariato, ma ordinato per soggetto: le circa
6.000 stampe di Hoppé finirono quindi
tra milioni di altre immagini, così che
l’opera perdette la sua integrità e il suo
nome venne pressoché cancellato, anche
se le immagini potevano essere settorialmente consultate: sotto le cartelle New
York, India, Australia, Gran Bretagna…
Nel 1994 il Fondo Hoppé fu acquisito
dalla Curatorial Assistance di Graham
Hove, società di servizi museali californiana specializzata in fotografia che diede
avvio alla riorganizzazione e digitalizzazione di tutto il materiale, e in seguito a
pubblicazioni e mostre. Le fotografie
esposte nello spazio continuo ed inclinato
della Gallery mostrano immagini della seconda rivoluzione industriale realizzate
fra il 1912 e il 1937 in diversi paesi del
mondo: Inghilterra e Germania, Stati
Uniti, Australia, India… in uno straordinario connubio tra paesaggio e fabbrica:
gli edifici, le macchine, gli uomini che le
azionavano, in un intenso eppure morbido e soffuso bianco e nero.
Ma per dare conto della poliedricità di
Hoppé (iniziò nel 1902 dapprima come
ritrattista poi come reporter di viaggi), al
piano terreno del MAST è allestita una
sorta di grande camera oscura che proietta
senza soluzione di continuità 240 immagini scandite per argomenti, dai ritratti ai
nudi alla vita quotidiana alle fotografie di
viaggio, alla sequenza dei 40 fotogrammi
dei Ballets Russes di Sergej Djagilev, di cui
Hoppé fu fotografo ufficiale per le stagioni
londinesi. L’incontro con l’impresario
russo data al 1896, ma il rapporto professionale all’estate del 1911, quando la
compagnia di danza, attiva dal 1909 al
’29, tenne i primi spettacoli a Londra due
anni dopo gli esordi a Parigi, cui seguirono
tournées in tutta l’Europa e negli Stati
Uniti. Ai balletti con musiche di autori ormai classici come Chopin, Schumann,
Borodin, Djagilev alternò spettacoli con
partiture da lui stesso commissionate a
musicisti d’avanguardia. Eclatante il caso,
nel 1910, de L’Oiseau de Feu del giovanissimo e quasi sconosciuto Stravinskij, di
colpo assurto alla notorietà, che nel 1911
avrebbe composto Petruška e nel ’13 Le
Sacre du Printemps, mentre nel 1912 andò
in scena L’Après-midi d’un Faune di Debussy con le coreografie di Vaclav Nižinskij. Le scene e i costumi, dove esotismi
orientali si mescolavano alle rivoluzionarie forme delle avanguardie (nel 1909 Il
Principe Igor di Borodin e Cléopâtre di
A destra: Hubert Stowitts nell’assolo della Danza Inca
in La Péri, 1922. In alto:Tamara Karsavina come
Uccello di Fuoco e Adolph Bolm come Ivan Zarevič
ne L’Oiseau de Feu, 1911
30
MI
MUSICA INSIEME
Arenskij, nel ’10 Shéhérazade di RimskijKorsakov…), erano ideati e disegnati da
Léon Bakst, Picasso, Matisse, De Chirico,
Braque, Derain. Coreografi e ballerini
provenivano quasi tutti dal Bol’šoj e dal
Mariinskij: Michel Fokine – il primo coreografo della compagnia – e Vera Fokina, Anna Pavlova, Lydia Lopokova,
Adolph Bolm, Lubov Tchernicheva, Léonide Massine… Tamara Karsavina come
Uccello di Fuoco e Bolm come Ivan Zarevič nell’Oiseau de Feu (1911), Vera Fokina come Zobeide e Massine come
Schiavo d’Oro in Shéhérazade (1914), Tamara Karsavina come Pimpinella in Pulcinella (1920), Hubert Stowitts nell’assolo della danza Inca in La Péri del 1922.
Emil Hoppé li ha fissati e restituiti al suo
pubblico e a noi nella tensione dei movimenti, nell’icasticità dell’interpretazione,
nell’oltranza rivoluzionaria dei bellissimi
costumi ‘modernisti’.
EMIL OTTO HOPPÉ. IL SEGRETO SVELATO
Fotografie industriali 1912-37
Fondazione MAST – Gallery
Via Speranza, 42 - Bologna
21 gennaio - 3 maggio 2015
I CONCERTI marzo/maggio 2015
Lunedì 2 marzo 2015
AUDITORIUM MANZONI ore 20.30
RAFAŁ BLECHACZ....................................pianoforte
Musiche di Bach, Beethoven, Chopin
Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme”
e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna
Lunedì 16 marzo 2015
AUDITORIUM MANZONI ore 20.30
YUNDI.......................................................................pianoforte
Musiche di Chopin, Liszt, tradizionale cinese
Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Musica per le Scuole”
Lunedì 23 marzo 2015
AUDITORIUM MANZONI ore 20.30
KRYSTIAN ZIMERMAN.........................pianoforte
Programma da definire
Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme”
e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna
Lunedì 13 aprile 2015
AUDITORIUM MANZONI ore 20.30
MÜNCHNER SYMPHONIKER
NING FENG.......................................................violino
ARIEL ZUCKERMANN...........................direttore
Musiche di Kraus, Paganini, Berwald, Haydn
Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme
e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna
Lunedì 27 aprile 2015
AUDITORIUM MANZONI ore 20.30
CONCERTO ITALIANO
MONICA PICCININI.................................soprano
LAURA PONTECORVO...........................flauto
RINALDO ALESSANDRINI................clavicembalo e direttore
Musiche di Bach, Vivaldi
Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Musica per le Scuole”
Lunedì 11 maggio 2015
AUDITORIUM MANZONI ore 20.30
PRAGUE CHAMBER ORCHESTRA
MARIANGELA VACATELLO...................pianoforte
Musiche di Janáček, Beethoven, Barber, Dvořák
Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme”
e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna
Per ulteriori informazioni rivolgersi alla Segreteria di Musica Insieme:
Galleria Cavour, 2 - 40124 Bologna - tel. 051.271932 - fax 051.279278
[email protected] - www.musicainsiemebologna.it
Lunedì 2 marzo 2015
Cantabilità e pathos
Il pianista polacco, vincitore del prestigioso Concorso “Chopin”, torna a Musica Insieme
con un intenso programma che percorre la storia del pianoforte di Francesco Corasaniti
«
Di principi ce n’è e ce ne saranno
ancora migliaia, di Beethoven ce
n’è uno solo». Parole forti, soprattutto
perché pronunciate quando i musicisti
non avevano ancora dismesso la livrea, e
tanto più perché a dar loro voce non è un
ammiratore del compositore tedesco, ma
lui stesso, rivolto ad uno dei suoi più
prodighi mecenati, il principe Lichnowsky. I rapporti stavano cominciando a
deteriorarsi e di lì a pochi mesi, siamo
nel 1806, si arrivò al punto di non ritorno: Beethoven rifiutò di esibirsi davanti ad illustri ospiti del principe e lasciò la sua residenza. Musicista
dilettante, il principe aveva preso sotto la
sua ala il giovane Beethoven, che nel
1799 gli dedicò la Sonata per pianoforte
in do minore op. 13. Era questo un periodo di febbrile attività, ma allo stesso
tempo di profonda sofferenza, dovuto
al peggioramento delle condizioni di salute, che lo portarono progressivamente
a una irreversibile perdita dell’udito. Il
nome con cui la Sonata è passata alla storia, Patetica, diversamente dai tanti altri
apocrifi, uno su tutti Al chiaro di luna, è
stato attribuito dall’editore in accordo
con Beethoven. L’intento dell’editore era
quello di rendere più accattivante
l’opera, ma il nome è comunque calzante: la Sonata è ricca di pathos, ed infatti lo stesso Beethoven non disdegnò di
farne dono a una donna amata, Josephine Deym. Dopo il Grave. Allegro di
molto e con brio, segue l’Adagio cantabile,
il cui nobile tema, divenuto celeberrimo,
assume il respiro tipico di un’aria da
opera seria. Limpida ed al contempo
LUNEDÌ 2 MARZO 2015
AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30
RAFAŁ BLECHACZ
pianoforte
Johann Sebastian Bach
Concerto Italiano BWV 971
Ludwig van Beethoven
Sonata in do minore op. 13 – Patetica
Fryderyk Chopin
Notturno in mi maggiore op. 62 n. 2
Tre Valzer op. 64
Tre Mazurke op. 56
Polacca in fa diesis minore op. 44
Introduce Alessandro Taverna. Si occupa di
cronache musicali su riviste e quotidiani, fra
cui le pagine bolognesi del Corriere della Sera
profondissima, la melodia assume le
sembianze del dolore più straziante.
E se la Sonata di Beethoven meritò il titolo di Patetica, alla Polacca in fa diesis
minore op. 44 di Chopin toccò addirittura quello di Tragica. Dedicata alla principessa Ludmilla de Beauveau, membro
di spicco della comunità polacca a Parigi,
fu composta e pubblicata nello stesso
anno, il 1841. La Polacca, tripartita, presenta nella sezione centrale la peculiare
reiterazione di un singolo accordo, che
con il suo effetto percussivo simula una
sorta di grandioso fraseggio di carattere
militare. Nell’uso sapiente di sezioni contrastanti e di melodie cantabilissime si
intravede la dimestichezza di Chopin
con l’opera italiana. Nel 1847 il compositore polacco diede invece alle stampe i
Tre Valzer op. 64, gli ultimi pubblicati in
vita. Per la loro brevità, più che danze
vere e proprie, paiono riflessioni interiori
poste in musica. Dedicatarie sono tre
donne: il primo Valzer (Molto vivace) fu
dedicato alla contessa Delphine Potocka,
allieva e confidente di Chopin, nonché
sorella di Ludmilla, il secondo (Tempo
giusto) alla baronessa De Rothschild, il
terzo e ultimo (Moderato) alla contessa
Catherina Branicka. Il Valzer n.1, detto
anche Valzer del Minuto per la sua brevità, è caratterizzato da morbidi accordi
di sostegno a una melodia agitata, di sapore virtuosistico, a cui fa seguito una
parte lenta fino al rapidissimo finale. Raffinato e prezioso, il Valzer suscitò gli entusiasmi del colto ed elegante pubblico
parigino dell’epoca. Il secondo è tra i più
famosi del compositore e riflette efficacemente la dualità della sua situazione:
da una parte i salotti parigini, ritrovo
d’intellettuali, dall’altra il pensiero sempre rivolto alla dura realtà della sua Polonia, invasa dalla Russia. È una musica
languida, interiore, che alterna una melodia struggente a veloci passaggi in cui
però un velo di tristezza rimane sempre
latente. Infine, l’ultimo Valzer è caratterizzato da una sognante delicatezza, pura
espressione di perfetto equilibrio strutturale e armonico in cui appare una sorta
di dialogo tra le voci. Oltre ai valzer,
Chopin sperimentò e rielaborò anche
altre forme di danza, tra i quali alla mazurka spetta un posto d’onore. Negli ultimi anni di vita del compositore, una
delle figure più presenti fu l’allieva Jane
Sterling, la cui amica, Katharina Maberly, fu dedicataria delle Tre Mazurke
Lo sapevate che...
Al termine del Concorso “Chopin”, Piotr Paleczny, che sedeva in giuria, ha detto: «Blechacz
era così superiore da impedire l’assegnazione del secondo premio agli altri finalisti»
32
MI
MUSICA INSIEME
Rafał Blechacz
DA ASCOLTARE
Soprattutto Chopin tra le sue registrazioni recenti. Il che per un vincitore del “Varsavia”, ovvero del premio pianistico intitolato proprio a Chopin, parrebbe del
tutto naturale. Dunque, Rafał Blechacz, che incide per la Deutsche Grammophon,
al celebre conterraneo ha dedicato la maggior parte delle sue fatiche discografiche. Nel 2014 è uscita infatti la sua versione dell’integrale dei Preludi. Un’incisione importante, che dice molto dell’originale interpretazione chopiniana proposta da Blechacz, e che d’altronde deve confrontarsi con quelle storiche, realizzate dai grandi pianisti del passato. L’anno prima era toccato ad un’antologia delle polacche. Nel 2012, invece, aveva affrontato Debussy e Szymanowski, dando vita a due interessanti CD. Debussy che, proprio come racconta lo stesso Blechacz nell’intervista contenuta in queste pagine, è il compositore che egli
ha più studiato per trovare il modo corretto di interpretare Chopin, mentre Szymanowski, ed è sempre Blechacz a dircelo, è parte integrante di quella sua ricerca personale alla riscoperta della produzione musicale polacca.
prepotentemente l’eco della cantabilità
italiana, lo stesso non può certo dirsi di
un compositore tanto pienamente tedesco quanto Bach, emblema stesso del
contrappunto e della più articolata struttura formale. Eppure, ascoltando il suo
Concerto Italiano in fa maggiore BWV
971, si percepisce la dimestichezza con
Marcello o Vivaldi. Scritto per clavicembalo nel 1735, fa parte della seconda
Vincitoredinumerosiconcorsiinternazionali,Rafał Blechacz si è affermato a livello mondiale vincendo all’unanimità la 15ª edizione del Concorso “Chopin” di Varsavia e conquistando anche i
tre premi speciali: il Premio della Radio Polacca
per la “miglior esecuzione di mazurche”, il Premio della Società Polacca Chopin per la “miglior esecuzione di polacche” e il Premio
dellaFilarmonicadiVarsaviaper“lamigliore esecuzione concertistica”, oltre
alpremioistituitodaKrystianZimerman
per “la miglior esecuzione di sonate”.
La vittoria di Varsavia nel 2005 gli ha
apertoleportedellepiùimportantisale da concerto del mondo, sale in cui
ormaisuonaregolarmente,fracuiRoyalFestivalHalleWigmoreHalldiLondra, Philharmonie di Berlino e Avery
Fisher Hall di New York. Nel maggio
2006 Blechacz ha firmato un contratto in esclusiva con la DGG, secondo
artista polacco dopo Krystian Zimerman, e nel 2010 ha ricevuto il
Premio Internazionale dell’Accademia Chigiana di Siena.
parte della Clavier-Übung, preziosa raccolta di composizioni per strumento a
tastiera, compendio di stili e forme dell’epoca. Il Concerto appare come espressione dell’idea bachiana di riproposizione di un concerto per clavicembalo e
orchestra (con citazioni del modello vivaldiano), tramite l’uso delle due tastiere
del clavicembalo. L’alternarsi del forte e
del piano ripropone con sapiente maestria il contrasto tra il “tutti” orchestrale
e lo strumento solista. Suddiviso in tre
movimenti, è concluso dal celebre
Presto, con un motivo ascendente
vorticoso e impetuoso, che riascoltiamo in svariate tonalità,
alternato ad episodi solistici.
MI
MUSICA INSIEME
33
Foto Felix Broede
op. 56, composte nel 1843. Inizialmente
fraintese dalla critica, poiché considerate un nostalgico ritorno al passato, furono largamente rivalutate, una volta
compreso come il compositore avesse
elevato la danza tradizionale polacca ad
un livello superiore, tra rigore e libertà,
fra atmosfera campestre e intimo salotto
urbano. La prima delle tre Mazurke (Allegro non tanto) contiene accenni di valzer, in una pagina gioiosa ma intima. La
seconda (Vivace), dal vero e proprio sapore popolare, contiene una sorta di canone tra due parti, indipendenti tra loro.
Nella terza e ultima (Moderato), il tema,
latente nella prima parte, si manifesta
compiutamente con forza solo nella seconda. E se la mazurka è indissolubilmente legata al nome di Chopin, lo
stesso può dirsi del notturno, di cui il
compositore ci ha lasciato 19 luminosi
esempi. Dedicato all’allieva M. de Könneritz, il Notturno op. 62 n. 2 è caratterizzato da una prima sezione placida, seguita da una più mossa e sincopata, in
un’atmosfera intima, limpidamente lirica e meditativa.
E se nella produzione di Chopin emerge
Lunedì 16 marzo 2015
Romantiche forme
Esordisce a Bologna il pluripremiato pianista cinese, con un programma che rimanda
alla sua formazione ‘occidentale’, ma anche al forte legame con la tradizione musicale
della sua terra di Mariateresa Storino
B
allata, sonata, tarantella, canti
popolari cinesi: è possibile individuare delle linee di convergenza tra queste forme? Chopin e Liszt:
quali elementi li accomunano? A quest’ultimo interrogativo si può rispondere
prontamente, data la contemporaneità
dei due compositori, la condivisione del
contesto storico-geografico e culturale,
l’interesse reciproco. Romantici per eccellenza, in verità le somiglianze sono
tante quante le diversità. Partecipi dell’afflato romantico, entrambi dedica-
LUNEDÌ 16 MARZO 2015
AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30
YUNDI
pianoforte
Fryderyk Chopin
Ballata in sol minore op. 23
Ballata in fa maggiore -la minore op.38
Ballata in la bemolle maggiore op.47
Ballata in fa minore op.52
Sonata in si bemolle minore op. 35
Franz Liszt
Tarantelle de bravura d’après
La muette de Portici R117
Tradizionale cinese
Colour Clouds Chasing the Moon
Five Yunnan Folk Songs
Introduce Marco Beghelli. Docente
nell’Università di Bologna, coordina l’Archivio
del Canto nel Dipartimento delle Arti,
ed è autore di libri di argomento musicale
rono parte della loro creatività alla riscoperta e alla rielaborazione delle
forme ereditate dalla madrepatria – ballate, polacche e mazurke in Chopin,
rapsodie e czardas in Liszt. Se Chopin
fu sempre alquanto laconico sull’opera
Yundi
di Liszt, diverso fu l’atteggiamento di
quest’ultimo. Il ritratto di Chopin tracciato da Liszt nella sua monografia Vita
di Chopin (1851) coglie l’essenza dell’opera del compositore polacco con
tale precisione che, a distanza di più di
un secolo e mezzo, continua a sorprendere per l’acume ermeneutico dell’Ungherese. Proprio il giudizio sulle sonate
sembra convergere per taluni aspetti
con le critiche che per alcuni decenni
furono mosse contro la reinterpretazione chopiniana della forma classica
per eccellenza. Liszt valutava le sonate
di Chopin frutto della volontà più che
dell’ispirazione, un’ispirazione «imperiosa, bizzarra, irriflessiva» che non poteva essere ingabbiata in schemi preesistenti. Composta tra il 1837 e il 1839,
la Sonata in si bemolle minore op. 35 è
percorsa da un clima umbratile, quasi
decadentista. In quattro movimenti,
Schumann la definiva «una sfinge dall’ironico sorriso», una composizione che
finisce così come comincia: «con dissonanze, attraverso dissonanze, nelle dissonanze». Alle arditezze armoniche si
A soli 13 anni Yundi si aggiudica il Concorso “Stravinskij” negli Stati Uniti, pochi anni dopo il Premio internazionale “Franz Lizst” nei Paesi Bassi, per accrescere poi il
suo palmarès con l’assegnazione del Primo Premio al Concorso pianistico internazionale di Pechino. Si impone però all’attenzione di critica e pubblico nel 2000 grazie al successo riportato nella XIV edizione del Concorso “Chopin” di Varsavia, a
cui partecipa su esortazione del Ministro della cultura cinese, diventando il primo
vincitore cinese nella storia del concorso. Da allora appare regolarmente presso le
maggiori sale, quali Carnegie Hall di New York, Royal Festival Hall di Londra, Philharmonie di Berlino, Alte Oper di Francoforte, Herkulessaal di Monaco, e collabora con orchestre e direttori del calibro di Berliner Philharmoniker con Seiji Ozawa e Daniel Harding, Gewandhausorchester di Lipsia con Riccardo Chailly, Mahler
Chamber Orchestra con Daniel Harding, Royal Philharmonic con Yannick NézetSéguin, Orchestra del Mariinskij con Valerij Gergiev.
34
MI
MUSICA INSIEME
accostava un’architettura formale atipica, tale da valutare – dichiarava Schumann – come «un capriccio, se non una
tracotanza, l’averla chiamata Sonata,
poiché egli ha qui riunito quattro delle
sue creature più bizzarre». Eppure la
coerenza tematica non manca; l’organicità dell’insieme è garantita da una sottesa rete di motivi. Il motto d’apertura
del Grave introduttivo di sole quattro
battute suona come una sentenza lapidaria, inspiegabile ma incontrovertibile.
I primi due movimenti vivono di forti
opposizioni di tono, in cui ogni conclusione consolatoria è fuggevole, come
dimostra l’ingresso della Marcia funebre.
Un Presto su un rapidissimo continuum
melodico, quasi una sorta di brusio,
spegne la sonata all’improvviso, con
uno scarto dinamico violento. Se per
Schumann la Marcia funebre di questa
sonata aveva qualcosa di quasi repulsivo, per Liszt simboleggiava la morte di
un’intera generazione, che, tuttavia, se
pur dolorosa manifestava «una dolcezza
così penetrante da sembrare non venir
più da questa terra».
Liszt riteneva che Chopin avesse fatto
violenza al suo genio ogni qualvolta lo
aveva costretto alle regole (come nel
caso delle sonate), perché queste «non
potevano accordarsi con le esigenze del
suo spirito». Nella scelta di forme libere
(ballata, polacca, preludio) e forme “rigide” (sonata, concerto), Chopin – proseguiva Liszt – aveva seguito l’esempio
dell’amico poeta Adam Mickiewicz che,
dopo aver dato vita alla poesia romantica polacca con Ballate e romanze
(1822), si era cimentato nelle forme
classiche. Non è dunque casuale che
proprio le Ballate di Mickiewicz siano
state a lungo ritenute la fonte ispiratrice
delle Quattro Ballate di Chopin. Se
l’ombra del poeta polacco si stende sulle
composizioni di Chopin non è certo in
termini descrittivi; ciò che si ritrova
della ballata è la tecnica narrativa: nessuna traccia di lotta fra protagonisti (i
temi), bensì una reiterazione tematica
DA ASCOLTARE
Deutsche Grammophon ed EMI, questi gli editori del giovane talento cinese Yundi. Il che significa aver già raggiunto una posizione ragguardevole nel rank mondiale dei pianisti e quindi poter contare su editori importanti, con i quali realizzare
incisioni che godranno di una capillare distribuzione mondiale. Insomma, Yundi è a pieno titolo incluso nello star system. Certo lo interpreta da par suo, mettendo in luce, anche nel caso delle incisioni discografiche, quella spiccata personalità, che gli è riconosciuta dal pubblico delle platee di tutto il mondo. Eccola emergere nella recente registrazione dell’Imperatore beethoveniano
(DGG 2014), registrazione che lo vede impegnato a confrontarsi con un’orchestra
che proprio di Beethoven ha fatto il suo cavallo di battaglia: i Berliner Philharmoniker. Sul podio un direttore solido come Daniel Harding. Beethoven anche
nell’incisione DGG realizzata l’anno prima, con Patetica, Chiaro di Luna e Appassionata, segno del focalizzarsi degli interessi del pianista cinese sull’opera
del Tedesco. Per i tipi di EMI segnaliamo, infine, l’integrale dei Preludi di Chopin e la precedente incisione dei Concerti di Ravel e di Prokof’ev, autori che Yundi ha nel suo repertorio fin dagli anni di studio.
con variazioni di intensità, di fraseggio, di articolazione ritmica, disposta a
creare un movimento continuo. Tuttavia, anche in assenza di contrasti tematici, la forma è sospinta in un crescente
clima tensivo, proprio in virtù della tecnica compositiva di reiterazione-variazione – a riflesso della struttura periodica del corrispettivo letterario –, del
fluttuare del materiale melodico tra raffinatezze armoniche «altrettanto inattese che inaudite» (Liszt) e pieghe cromatiche riposte. La stesura delle Ballate
impegnò Chopin per circa un decennio,
dal 1830, anno in cui fu costretto ad
abbandonare l’amata patria, al 1841,
quando era ormai affermato compositore a Parigi. Il ciclo completo è un
percorso evocativo dei toni della ballata
poetico-musicale: dal drammatico (n.
1) al leggendario (n. 2), al lirico (n. 3),
fino all’introspettivo (n. 4); una sinossi
delle possibilità espressive di una forma
vocale di origine popolare che da secoli
narrava dell’uomo, ma che con Chopin
era assurta allo stato di musica strumentale pura.
Alla tradizione etnica si rifà anche Liszt
nella Tarantella di bravura d’après La
Muette de Portici di Auber (1846). La
tarantella attraversa quasi interamente
la carriera di Liszt, sia in forma di trascrizione di originali colti (Rossini, Auber, Dargomyžskij, Cui), sia come rielaborazioni personali di spunti popolari
(Canzone napolitana, Venezia e Napoli).
Brano di estremo virtuosismo, in questa “fantasia” da Auber Liszt trae il materiale tematico dalla danza del terzo
atto e dal coro finale del quarto atto. Per
ridar vita al clima sensuale, festoso, ma
allo stesso tempo intriso di morte della
tarantella, Liszt sceglie la forma del
tema e variazioni, dove il ritornare sul
già noto implica un accrescimento e/o
un cambiamento di natura armonica,
ritmica, dinamica, l’impiego insomma
di tutte le risorse combinatorie che
erano patrimonio comune dei pianisticompositori dell’epoca, tanto più di un
virtuoso come Liszt.
E i canti popolari cinesi? Sono parte
della memoria musicale di Yundi, testimoni delle sue origini, e come tali
espressione della sua identità nazionale.
Certo non è più possibile pensare alla
riscoperta del patrimonio etnico-nazionale in chiave romantica, come regno
della purezza, ma possiamo sempre sperare di scorgervi qualche pallido riflesso.
Lo sapevate che...
Yundi si accosta alla musica sin dall’età di tre anni: ascoltando in un negozio il suono di
una fisarmonica, se ne innamora, e solo un anno dopo saprà già suonarla con sicurezza
MI
MUSICA INSIEME
35
Lunedì 23 marzo 2015
Lezioni di piano
Il mese dedicato al pianoforte si conclude con un grande ritorno: quello del Maestro
polacco, annoverato fra i più grandi musicisti del nostro tempo di Maria Chiara Mazzi
Q
uella dei pianisti, da quando il
pianoforte è stato inventato e
da quando, soprattutto, è diventato il principe delle case e delle sale
da concerto all’inizio dell’Ottocento, è
una schiera di artisti particolarmente
lunga e differenziata. Lunga e differenziata perché da sempre i vari esecutori si
collocano su alberi genealogici differenti,
corrispondenti alle diverse ‘scuole’ in Europa: tante lunghe genealogie divise per
nazioni e per modi di suonare, tra le
quali una delle più affascinanti (e anche
delle più vaste) è quella costituita dai
pianisti polacchi. Si dice pianoforte, in
Polonia, e inevitabilmente si traccia un
arco musicale meraviglioso che ha da
una parte il nome di Fryderyk Chopin e
dall’altra quello di Krystian Zimerman
(classe 1956), la cui carriera è stata consacrata non a caso proprio a partire dalla
vittoria, esattamente quarant’anni fa, al
celebre concorso internazionale che da
quel primo grande genio della musica
nazionale ha preso il nome. Una vittoria
che, come spesso (ma non sempre) è accaduto, ha consegnato al mondo della
musica le voci più significative della storia dell’interpretazione pianistica.
Ma torniamo alla Polonia, paese la cui
antica, affascinante e spesso tragica storia
civile è fatta di eventi che hanno segnato
la storia del mondo, e la cui storia pianistica è costruita da compositori-interpreti di straordinaria suggestione: basti
elencarne, a caso, i nomi, da Artur Rubinstein a Ignaz Paderewski, da Josef
Hoffman a Leopold Godowski, da Carl
Tausig o Moritz Moszkowski a Wanda
LUNEDÌ 23 MARZO 2015
AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30
KRYSTIAN ZIMERMAN
Programma da definire
pianoforte
Introduce Giuseppe Fausto Modugno, concertista e docente di pianoforte principale
presso l’Istituto “Orazio Vecchi” di Modena
Landowska, da Witold Małcuzyński ad
Adam Harasiewicz… Per arrivare, appunto, a Fryderyk Chopin, che aveva alle
spalle una carriera di apprezzato concertista. Un simbolo ma anche un presagio
questo, se pensiamo che da quel momento uno strano destino di cosmopolitismo ha legato i pianisti polacchi alla tormentata storia di quel paese e ha
caratterizzato la vicenda di quasi tutti gli
interpreti di quella nazione. Suonatori
erranti sono stati, spesso terminando la
loro vita fuori dalla loro patria, quasi
tutti (Godowski e Rosenthal, Friedmann
e Leszeticki, Paderewski) e, più vicino a
noi, Rubinstein, la cui arte riuscì ad affermare l’immagine internazionale della
Polonia, grazie anche alla forza d’impatto
del mercato discografico ormai globalizzato. Mentre, nonostante tutto, negli
anni della guerra fredda e della contrapposizione dei blocchi, rimasero in patria,
fra gli altri, Jan Ekier (autore anche della
più accurata edizione critica delle opere
di Chopin), Alina Czerny-Stefanska e
Raoul Koczalski, che dal 1945 era rientrato a Varsavia in veste di insegnante.
Ma, alla caduta del Muro di Berlino, le
forze migliori del concertismo polacco
hanno ripreso nuova linfa, tracciando una
nuova linea sulla quale, dalla fine degli
anni Settanta, si muove appunto Krystian Zimerman che, dopo la vittoria nel
1975 al Concorso “Chopin” di Varsavia
(una delle grandi vetrine, forse la più
grande, della Polonia in ambito internazionale), è stato invitato al prestigioso Festival di Salisburgo dove brillava la sua recentissima incisione delle Sonate di
Mozart per la celebre etichetta tedesca,
per la quale avrebbe poi realizzato i Concerti di Grieg e di Schumann coi Berliner
e von Karajan, forse uno dei maggiori
sponsor del giovane artista. Incisioni alle
quali ne sarebbero seguite altre, con Bernstein, Giulini, Ozawa, Boulez, Rattle e
che, coronate dai premi più prestigiosi del
mondo, coprono il repertorio più eseguito per pianoforte e orchestra. In parallelo venivano registrati a futura memoria, inevitabilmente, i capisaldi della
musica per pianoforte solo e del camerismo, dall’inevitabile Chopin sino a
Franck e Debussy e a qualche ‘puntata’ sul
Novecento più vicino a noi, da Lutosławski a Szymanowski. Se non sempre
moderno è il repertorio, moderno è però
il suo modo di suonare, in ragione di una
sostanziale sobrietà di espressione, pienamente consapevole del tanto che è già
stato detto. «Si muove con disinvoltura da
Bach a Szymanowski, variando stili, registri e interpretazione. Le sue mani volano
sulle note ora accarezzandole, ora inseguendole con furore», scrive una recente
recensione, che prosegue: «Egli disegna la
musica con il solo movimento di mani e
dita, raccolto in un alone di maestria e
Lo sapevate che...
Da diversi anni Zimerman viaggia con il proprio pianoforte al seguito, curando
personalmente ogni aspetto dei concerti, dal trasporto dello strumento all’accordatura
36
MI
MUSICA INSIEME
meraviglia, che lo stupore del pubblico
riesce appena a toccare». Da qui si comprende la rinuncia a un protagonismo
che non solo ha nella platealità la sua
manifestazione più fastidiosa, ma che
poggia anche su una legittimità spesso
discutibile, affidata alla consuetudine
come all’intuizione del momento.
Qualcuno ha visto in Zimerman l’espressione del pianismo moderno, e forse in
ciò rientra anche questa attenzione
estrema al repertorio, non particolarmente vasto ma selezionatissimo, costruito a lungo termine portando avanti
più autori insieme: ciò che determina
inevitabilmente tempi diversi di maturazione e dunque la ricorrente indicazione
in cartellone di “programma da definire”,
nell’impossibilità di stabilire esattamente,
un anno per l’altro, ciò che potrà essere
effettivamente eseguito nella serata del
concerto, diventato così da spettacolo a
rito di attesa e di iniziazione. Come ha
scritto il critico Cappelletto: «Egli ritiene
essenziale l’aspetto rituale del concerto
dal vivo. Buio in sala, solo un cono di
luce a inquadrare il pianoforte, lunga attesa prima del suo ingresso. Concentrazione e imprevedibilità, con la variazione
di programma, molto frequente, annunciata a voce, un attimo prima dell’inizio,
seguendo l’estro del momento».
Da questo punto di vista Krystian Zimerman rappresenta un vero e proprio
punto d’eccellenza: raramente nella sto-
DA ASCOLTARE
Una quarantina i titoli in catalogo per il pianista polacco, e tutti siglati DGG.
Tra i più recenti, per la verità, ci sono solo ristampe, come il tutto Debussy/Ravel
diretto da Boulez (6 CD, 2012), o Berliner Philharmoniker Great Recordings (8
CD, 2014), raccolte nelle quali troviamo Zimerman impegnato per esempio nel
Primo di Brahms, con Sir Simon Rattle, o nei due Concerti di Ravel. Tra queste
ristampe, non possiamo non citare quella che lo vide, ancor giovanissimo, con
Karajan affrontare i Concerti di Grieg e Schumann (2012). Nel 2011 la DGG
consegna al pubblico tre incisioni importanti: ancora due raccolte (tutto Liszt)
e un album interamente dedicato alla musica della compositrice Grazyna Bacewicz, figura importante nella scena musicale polacca del secolo scorso. Inutile dire che andando a ritroso nella discografia, l’appassionato può trovare gran
parte del repertorio più amato (Chopin, Schubert, Beethoven), Zimerman comunque lasciando ampio spazio anche in sala di registrazione alla modernità
e quindi a pagine e compositori meno frequentati dai pianisti, compreso il trovarlo con Bernstein impegnato in una registrazione delle Noces stravinskiane
in compagnia di Martha Argerich, Homero Francesch e Cyprien Katsaris.
ria del pianoforte si è potuto apprezzare
un così straordinario controllo del
suono, accompagnato ad una ricchezza
di sfumature davvero mirabile che dà
l’esatta dimensione delle possibilità che
tasti, corde e martelletti offrono alle dita
di un artista. Se a tutto ciò sommiamo
una capacità straordinaria di rendere perfettamente intellegibili le diversità stilistiche, di suggerirci contesti e ambiti, di
dare il giusto rilievo a ciò che sta intorno a ciascuna partitura, la capacità di
trovare il giusto equilibrio tra la propria
individualità d’artista e la sostanza (sempre diversa) della musica, comprendiamo
come Zimerman, a quarant’anni da
quella vittoria al Premio “Chopin”, sia
ancora ai vertici dell’arte musicale, unito
per sempre a coloro che nella storia
hanno considerato la musica come qualcosa di più grande della ‘semplice’ arte di
combinare e far ascoltare i suoni.
Krystian Zimerman
Foto Hiromichi Yamamoto
Da oltre trent’anni nell’alveo dei più grandi pianisti del nostro tempo, Krystian Zimerman inaugura la propria carriera internazionale nel 1975, con la vittoria al
Concorso “Chopin” di Varsavia. Come egli stesso afferma, le collaborazioni con
grandi artisti, sia nel campo della cameristica che nella direzione d’orchestra, sono stati la sua più grande fortuna. Ha suonato con Kremer, Chung, Menuhin e sotto la direzione di Bernstein, von Karajan, Ozawa, Muti, Maazel, Previn, Boulez,
Mehta, Haitink, Rattle e ha avuto l’opportunità di conoscere pianisti della generazione precedente alla sua quali Arrau, Benedetti Michelangeli, Rubinstein, Richter,
che hanno avuto tutti un’importante influenza sulla sua formazione musicale. Nel
2005, in seguito alla vittoria al MIDEM di Cannes nella sezione “musica per orchestra” per la sua incisione dei Concerti n. 1 e n. 2 di Rachmaninov, il Ministro francese della cultura gli ha conferito la Legione d’Onore. Ha ricevuto inoltre il Dottorato honoris causa dell’Università di Katowice, mentre recentemente il Presidente
della Repubblica Polacca gli ha consegnato la prima e più alta onorificenza per
personaggi non legati al corpo militare: la Croce al Merito con Stella.
MI
MUSICA INSIEME
37
Lunedì 13 aprile 2015
Sguardo al Nord
Con un solista e un direttore d’eccezione, la compagine
tedesca che quest’anno festeggia i 70 anni d’attività
debutta nella nostra Stagione con un programma
‘classico’ quanto originale di Luca Baccolini
I
Foto Felix Broede
n rapporto alla qualità della sua musica, nessun paese europeo è stato penalizzato dalla geografia, dalla storia e
dal pubblico internazionale come la Svezia.
Se l’area scandinava ha prodotto almeno un
epigono per paese, capace poi di affondare
le radici nella grande tradizione continentale (Grieg per la Norvegia, Sibelius per la
Finlandia), la Svezia è rimasta a lungo orfana, assieme alla Danimarca, di un rappresentante forte nel parlamento musicale
europeo. E questo è accaduto non perché
le mancassero candidature adeguate, ma
perché queste giunsero troppo tardi, a seggi
ormai chiusi. Non sembrerà pretestuoso
ricordare che Toscanini diffuse e incise volentieri musiche di Kurt Atterberg (18871974), un tardoromantico forse fuori
tempo massimo, dotato però di grande genio orchestrale, tangibile nelle sue nove
sinfonie e in meravigliosi concerti. I figli di
Stoccolma sono tuttavia cresciuti dopo che
praticamente in ogni paese erano già nate,
e talvolta defunte, le scuole nazionali. Ma
arrivare tardi non è certo una colpa agli occhi di chi, come noi oggi, può avvicinarsi
contemporaneamente a Ildegarda di Bingen e Xenakis.
Quella offerta
38
MI
MUSICA INSIEME
LUNEDÌ 13 APRILE 2015
AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30
MÜNCHNER SYMPHONIKER
NING FENG violino
ARIEL ZUCKERMANN direttore
Joseph Martin Kraus
Sinfonia in do minore VB 142
Niccolò Paganini
Concerto n. 1 in re maggiore op. 6
per violino e orchestra
Franz Adolf Berwald
Ouverture da Estrella de Soria
Franz Joseph Haydn
Sinfonia in sol minore Hob. I: 83
La Poule
Introduce Nicola Sani. Compositore e
musicologo, è Sovrintendente del Teatro
Comunale di Bologna
da Ariel Zuckermann con i Münchner
Symphoniker è senz’altro una buona occasione per aprire una finestra sulla Svezia
e, chissà, un giorno godere delle meraviglie
del Concerto per violino di Peterson-Berger o delle sinfonie di Allan Petterson.
Che la Svezia per decenni abbia rinunciato ad inaugurare una propria scuola,
preferendo la musica d’importazione (sia
sul filone sacro di matrice luterana, sia su
quello profano con gli Italiani e i Francesi
alla corte dei re), lo prova in carne e ossa
Joseph Martin Kraus, un bavarese trapiantato a Stoccolma per puro accidente
biografico (seguì infatti alla ventura un
compagno d’università svedese). Tedesco
a tutti gli effetti, cambiò cittadinanza in
qualità di compositore ufficiale di Gustavo III, il re assassinato nel 1792 al celebre ballo in maschera che avrebbe ispirato il dramma di Verdi. Kraus non ebbe
solo la sfortuna di assistere al regicidio del
suo mecenate, ma condivise con Mozart
quasi la stessa parabola biografica, ovvero
dal 1756 al 1792, morendo appena un
anno dopo il Salisburghese. Per questa
surreale coincidenza il nostro fu chiamato “Mozart di Odenwald”. Un nomignolo ben poco rivelatore, perché la sua
musica, che in realtà è d’ispirazione feconda e carica di penombre protoromantiche, non ha davvero nulla di provinciale o imitativo. Semmai si fa
anticipatrice di contrasti drammatici e di
turbolenze dell’anima quasi pre-schubertiani. La sua Sinfonia Funebre per la sepoltura di Gustavo III è da circoscrivere
tra le creazioni più sublimi di fine Settecento. Il Requiem, poi, gareggia con i migliori dell’epoca, fatto salvo ovviamente
l’inarrivabile capolavoro mozartiano.
Meno nota è invece la Sinfonia in do minore VB 142 proposta nel concerto di
Musica Insieme (dove “VB” sta per Van
Foto Peter von Felbert
Boer, curatore del catalogo), composta
nel 1783 dopo un tour europeo che lo
portò anche a Bologna per conoscere Padre Martini, appena in tempo prima della
sua morte (il volto di Kraus spicca nella
collezione di ritratti del frate bolognese).
Non risultò mai chiaro se fosse proprio
quella sinfonia a far dire a Haydn «sarà per
secoli ricordata come un capolavoro: ben
pochi possono vantarsi di aver composto
qualcosa di simile»; certo, nella produzione di Kraus, tra molti lavori smarriti o
non pubblicati, quest’esemplare si colloca
ai vertici per asciuttezza, efficacia e incisività del linguaggio, in pieno coinvolgimento “Sturm und Drang”, di cui il tedesco-svedese fu un esponente non solo
musicale, ma anche letterario, con poesie,
tragedie e saggi sull’arte.
Non soltanto per la stima riservatagli da
Haydn, ma anche in virtù di un comune
terreno estetico, sarà piacevole ascoltare in
I protagonisti
Fondata nel 1945 come Symphonie-Orchester Kurt Graunke, la compagine dei
Münchner Symphoniker presenta un repertorio ampio e variegato, e affianca
collaborazioni di grandi artisti internazionali con eccellenti solisti e direttori
della nuova generazione. Con più di cento concerti ogni anno in Europa, Asia
e Stati Uniti, i Münchner sono una delle orchestre più interessanti del momento. Da dieci anni l’Orchestra è anche partner del Gut Immling Opera Festival,
con numerose produzioni liriche all’attivo. Strettamente legati all’Orchestra
sono il direttore onorario dei Münchner Symphoniker Philippe Entremont ed il
primo direttore ospite principale Ken-David Masur. Dalla stagione 2014/15 è
stato nominato nuovo direttore principale della compagine il tedesco Kevin John
Edusei. Nato e formatosi in Cina, prima di specializzarsi alla Royal Academy
di Londra, il violinista Ning Feng si è aggiudicato nel 2006 il Premio “Paganini”. Collabora attualmente con le più prestigiose orchestre, dalla Los Angeles Philharmonic alla Sinfonica di Macao, dalla Filarmonica di Hong Kong alla Sinfonica di Stato Russa, esibendosi nelle più importanti sedi internazionali, come Konzerthaus di Vienna, Sydney Opera House, Konzerthaus di Berlino. Vincitore di numerose competizioni internazionali, il direttore israeliano
Ariel Zuckermann inizia la sua carriera musicale come flautista per poi specializzarsi come direttore all’Accademia Reale di Stoccolma con Jorma Panula; oggi dirige compagini di primo piano, quali London Symphony Orchestra,
Orchestre de Chambre de Lausanne, Sinfoniche di Basilea e di Lucerna, Orchestra Filarmonica d’Israele e Filarmonica Ceca.
MI
MUSICA INSIEME
39
Lunedì 13 aprile 2015
DA ASCOLTARE
Fondata nel 1945, ma nota con suo nome attuale solo dal 1990, l’Orchestra Sinfonica di Monaco ovviamente ha dato un suo rilevante contributo alla discografia.
Tanto più, e val pena sottolinearlo, che ad essa sono state affidate oltre cinquecento
colonne sonore, tra le quali quelle di pellicole come Il silenzio degli innocenti o
di serie televisive come Il giovane Indiana Jones. Insomma, siamo di fronte a una
compagine che frequenta abitualmente la sala di registrazione, spesso incidendo titoli lontani dal repertorio tradizionale, ad esempio Il Fantasma dell’Opera,
il celebre musical, nel 1994 per la Orbis. Il tutto senza farsi mancare quel che
per un’orchestra tedesca è indispensabile, a cominciare da Bach, Brahms e Schubert che troviamo qua e là nel loro catalogo discografico. L’era digitale, infine,
ci obbliga a segnalare i molti file mp3 scaricabili che la vedono protagonista, i
più recenti dei quali sono dedicati alla produzione orchestrale di Antonín Dvořák.
Foto Felix Broede
parallelo la coeva Sinfonia n. 83 dell’Austriaco, quella nota ai posteri col nomignolo di La poule, per l’onomatopea del
secondo tema del movimento iniziale, che
riecheggia con l’oboe il chiocciare della
gallina. Il fatto che Haydn, in una delle
sue rare incursioni nella tonalità minore,
opti per quest’inserto ironico la dice lunga
sulla sua superba maestria nel mischiare
stile alto e popolare, profondità di pensiero e gaiezza di spirito. In realtà, nonostante il primo tema avviato con slancio in
sol minore, senza introduzioni lente, il
resto dell’opera nulla concede ai toni inquieti dello Sturm und Drang: la tonalità
minore lascia infatti il passo rapidamente
a un Andante di grazia mozartiana, poi a
un purissimo e classicissimo minuetto e
infine a una vivace conclusione dall’aspetto di danza. Tra Kraus e Haydn,
dunque, il vero “Viandante sul mare di
nebbia” dipinto da Caspar David Friedrich è indubbiamente il primo.
Percorso inverso, dalla Svezia alla Germania, dovette intraprendere invece Franz
Adolf Berwald (1796-1868), che da Stoccolma scese a Berlino per cercare una legittimazione artistica quasi mai certificatagli in vita. Eppure è con lui che la Svezia
cominciò a destarsi dall’indolenza e a camminare sulle proprie gambe: Berwald, come
Gade in Danimarca, aprì la strada più che
a una marcata identità svedese, all’effettiva
possibilità di realizzarsi. Ascoltando la sua
Ouverture dall’opera del 1862 Estrella de
Soria si avrà infatti la percezione di rivivere
le stagioni di Mendelssohn, ma con quegli
accenti nordici che, successivamente irrorati da una tavolozza di colori più ampia e
soprattutto dal patrimonio di musica popolare, avrebbero dato vita a un vivido sapore svedese. L’opera Estrella de Soria fu per
Berwald una delle rare parentesi di tiepido
successo in un’esistenza di magrissime soddisfazioni, per non dire di autentiche beffe,
come quando gli fu conferita, sottratta e
poi infine riconsegnata la cattedra al Conservatorio di Stoccolma, pochi mesi prima
di morire. Di certo, un successo vero e costante non gli arrise mai. Negli anni giovanili, per mantenersi a Berlino dovette la-
vorare come impiegato in una vetreria. Costretto per comprensibili ragioni a rientrare in patria, trovò occupazione in una
clinica come contabile. Gli studi irregolari,
la spontanea, non originalissima adesione
al primo romanticismo tedesco e un rapporto complicato con le istituzioni musicali
svedesi non hanno mai contribuito a fare di
Berwald un caposcuola riconosciuto, né in
patria né all’estero. Oggi questo giudizio
può però a buon diritto essergli riconsegnato, postumo come la prima esecuzione
del suo magnifico Concerto per pianoforte
e orchestra. Sia per Berwald che per Kraus
la Svezia è dunque un orizzonte ancora destituito di un genuino carattere nazionale,
ma senza di loro, probabilmente, non poco
avrebbero faticato gli eredi successivi in
quelle terre longitudinalmente sconfinate.
In fondo, nella corsa all’identità musicale,
la battaglia di Niccolò Paganini non fu
meno aspra, combattuta in questo caso
tra l’anima dell’esecutore e la vocazione al
comporre. Il corpus per violino e orchestra, quindi anche il suo Primo Concerto
eseguito nel programma da Ning Feng, è
testimone di una tensione tra l’instancabile
attività concertistica e quella, soltanto in
parte realizzata, di produttore di musica
propria. Paganini dovette comporre, scomporre e riassemblare di continuo i suoi
materiali, per far fronte alle richieste che gli
giungevano. Così, adeguandosi anche alle
consuetudini dell’epoca, pagine già scritte
diventano arie per concerti diversi. Da qui
il suono operistico che sovente ritorna,
con interventi orchestrali rutilanti, ampie
introduzioni e lunghissimi cantabili.
Quanto Paganini abbia contribuito alla
formazione di una scuola violinistica anche
in Scandinavia lo testimonia il norvegese
Ole Bull (1810-1880), che adolescente
suonava già i Capricci del Genovese e iniziò, proprio da Bologna, una carriera intercontinentale addirittura più alacre del
predecessore. Il violino sarebbe presto diventato il terminale più amato dai compositori nordici. E se Berwald col suo
Concerto del 1820 rimediò un sonoro fiasco, da Sillen, Peterson-Berger, Atterberg
fino a Sinding, Borresen e Sibelius questo
genere avrebbe ripreso un vigore e un respiro non inferiori al resto d’Europa. Forse
molto tempo passerà ancora prima di riscoprire i tesori di quelle latitudini: ma certamente aiuta sapere che i padri musicali
della Scandinavia, battezzati dal mondo tedesco e imbevuti inizialmente di gusto italiano, a contatto con il nostro gusto non
appaiono così lontani. Avvicinarvisi può
riservare grandi ricompense.
Lo sapevate che...
Ning Feng suona uno Stradivari del 1721, conosciuto come “MacMillan”,
gentilmente concesso dalla Premiere Performances di Hong Kong
40
MI
MUSICA INSIEME
Lunedì 27 aprile 2015
Rinaldo Alessandrini e il Concerto Italiano
Rivoluzioni barocche
Ensemble di riferimento per la prassi esecutiva antica, la compagine guidata da
Alessandrini ci conduce in un viaggio fra due generi affascinanti come il concerto
e la cantata, declinati da due Maestri come Bach e Vivaldi di Fabrizio Festa
«
Non sa che sia dolore/Chi dall’amico suo parte e non
more»: comincia così il testo anonimo della Cantata
BWV 209, che Bach vide eseguita per la prima volta a Lipsia
nella primavera del 1729. Questo anche l’anno in cui è stata
composta? Forse no. Forse Bach l’ha scritta una ventina di anni
prima. Incertezza questa che non ci fa essere certi neppure della
ragione per cui è stata composta. Un amico in partenza? Probabilmente sì. Sappiamo dal testo, infatti, che costui si recherà
ad Ansbach, cittadina bavarese situata nella Media Franconia,
sede fino al 1792 dell’omonimo principato. In ogni caso, l’opera,
divisa in cinque parti (sinfonia, recitativo, aria, recitativo, aria),
obbedisce ai canoni retorici che all’epoca delineavano il profilo
affettivo dell’addio. Canoni che Bach interpreta da par suo, ovviamente, ma in maniera talmente canonica da non farci capire
per chi e per quale ragione «lasci a noi dolente il core». Insomma,
una bella pagina d’occasione che ci illumina quanto i ben più
famosi Concerti Brandeburghesi, tra i quali il Quinto è forse il
più celebre, sulla natura della musica bachiana. Compatta, coerente, strutturata, emozionante, ma sostanzialmente poco incline
al lasciar spazio a quell’invenzione tanto cara al Vivaldi [come del
42
MI
MUSICA INSIEME
resto bene dice Alessandrini nell’intervista che il lettore può trovare
sempre in queste pagine, ndr]. I Brandeburghesi vedono la luce
tra il ’17 e il ’23 – Bach è a Köthen – e rappresentano l’ennesimo esempio di quella straordinaria integrazione tra le parti, che
fa di Bach un caso unico nell’intera storia della musica. Resta il
dubbio: l’ultimo dei neoplatonici, o il primo dei musicisti dell’era industriale? Di questo, però, ci occuperemo a breve.
Chi capì che i tempi erano già cambiati fu Vivaldi. “Vengo a voi
luci adorate” è stata composta dopo il 1734. Eppure la sua è già
musica di stile “classico”, come si evince dalla bellissima melodia che apre la prima aria di questa cantata (cui seguirà un recitativo ed un’aria conclusiva). Eppure – prendendo qui a prestito la felice definizione che ne dà Alessandrini nella citata
intervista – è davvero il compositore dai mille e uno stili, come
del resto dimostrano i suoi affascinanti e variopinti concerti. Non
basta però a sopravvivere nel feroce mondo dell’opera lirica,
quello cui pure Bach avrebbe voluto attingere, ma non ebbe mai
la possibilità di fare. Per quello bisogna già essere attrezzati, come
Händel, con le attitudini e gli strumenti dell’imprenditore. Capitalismo musicale ante litteram? Forse sì. Il teatro d’opera non
Foto Fabio Biondi
LUNEDÌ 27 APRILE 2015
AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30
CONCERTO ITALIANO
MONICA PICCININI soprano
LAURA PONTECORVO flauto
RINALDO ALESSANDRINI clavicembalo e direttore
Johann Sebastian Bach
Cantata „Non sa che sia dolore‰ BWV 209
per soprano, flauto e archi
Antonio Vivaldi
Concerto in sol minore RV 156 per archi
Concerto in sol maggiore RV 438 per flauto e archi
Cantata „Vengo a voi luci adorate‰ RV 682
per soprano e archi
Johann Sebastian Bach
Concerto Brandeburghese n. 5 in re maggiore BWV 1050
per flauto, violino, clavicembalo e archi
Monica Piccinini
è solo artigianato: ci vuole di più. Saremmo tentati di dire che
siamo di fronte ad un fenomeno culturale che è espressione della
rivoluzione industriale e quindi del primo capitalismo, e che proprio nel capitalismo ottocentesco – non è un caso – trova vitalissima linfa. Se questa nostra intuizione fosse vera, non potremmo che dedurre che il lessico storico-musicale necessiterebbe
di una profonda revisione. Qualunque idea si abbia, infatti, del
barocco, definire “barocchi” musicisti come Antonio Vivaldi o
Johann Sebastian Bach è come minimo fuorviante. Barocchi
come? Come Bernini, che muore nel 1680, cioè quando Bach
non era ancora nato e Vivaldi aveva due anni? O come Rubens,
che si era spento nel 1640? O come il Marino, che nella sua Napoli era morto nel 1625? E che ne è di quel manierismo musicale che in certo qual modo avrebbe dovuto traghettare la tarda
polifonia rinascimentale nel nuovo mondo della melodia accompagnata d’inizio Seicento? Insomma, già da queste brevi osservazioni comprendiamo come la tassonomia storico-musi-
Introduce Rinaldo Alessandrini
cale, almeno nella sua forma vulgata, quella che per convenzione
appunto, o forse solo per comodità, continuiamo ad utilizzare,
abbia davvero bisogno di una rinfrescata. D’altronde dovremmo
chiederci – pur sapendo che non si possono fissare limiti esatti
e che nella storia della cultura difficilmente esistono eventi che
spartiscono un prima e un dopo in maniera inequivocabile – se
non sia il caso di individuare almeno un labile confine: una linea dopo la quale, pur con i necessari distinguo, pur tra sfumature e chiaroscuri, gli eventi hanno preso una direzione piuttosto che un’altra. Lo scopo è semplice: fare chiarezza auditiva.
Cioè sapere cosa stiamo ascoltando collocandolo, per quanto
possibile, in una cornice illuminante. Il che non è poco quando
si parli di Bach e di Vivaldi oggi. Quando ascoltiamo un brano
musicale dovremmo farci domande che ci aiutino a capire come
e dove è nata la musica che ci viene presentata.
Tornando al nostro spartiacque, su una sponda di questo ipotetico fiume, quella dove si gettano le fondamenta del ponte che
I protagonisti
Concerto Italiano si è imposto tra i gruppi italiani che hanno rivoluzionato i criteri d’esecuzione della musica antica, a partire dal
repertorio madrigalistico, fino a quello orchestrale e operistico per il XVIII secolo. Le incisioni discografiche dell’ensemble sono ormai considerate versioni di riferimento da critica e pubblico, a testimonianza del rinnovato interesse verso un repertorio ora rivisitato attraverso la sensibilità mediterranea. Oltre che fondatore e direttore di Concerto Italiano, Rinaldo Alessandrini è clavicembalista, organista e fortepianista. Da vent’anni sulla scena della musica antica, conduce anche un’intensa attività solistica, ed è ospite dei festival di tutto il mondo. Nel 2003 è stato nominato Chevalier dans l’ordre des Artes et des Lettres dal Ministro francese della
Cultura ed è Accademico della Filarmonica Romana. Membro dal 2003 di Concerto Italiano, Monica Piccinini collabora con le più
importanti compagini di musica antica italiane, e con Hespèrion XXI e La Capella Reial de Catalunya diretti da Jordi Savall. Flauto
solista dell’ensemble, Laura Pontecorvo svolge da anni attività concertistica con diverse formazioni orchestrali e da camera, tra
cui Europa Galante, Accademia Bizantina e I Turchini, con le quali ha preso parte a numerosi festival internazionali.
MI
MUSICA INSIEME
43
Lunedì 27 aprile 2015
DA ASCOLTARE
In scena o in sala d’incisione, Rinaldo Alessandrini e il
‘suo’ Concerto Italiano sono parimenti infaticabili. In poche righe non è neppure immaginabile riassumere una
più che decennale attività discografica, peraltro tanto ricca di successi da essere divenuta punto di riferimento per
tutti gli appassionati di musica antica e barocca. Claudio Monteverdi e Antonio Vivaldi ovviamente sono tra
i fil rouge. Allora citiamo: nel 2014 per i tipi della Naïve ecco i Vespri Solenni (monteverdiani manco a dirlo)
per la Festa di San Marco, incisione della quale parliamo
più diffusamente nella rubrica Da ascoltare su questo stesso numero, e che rimanda anche al DVD L’uomo e il suo
divino girato da Claudio Rufa, che mostra appunto Alessandrini impegnato nel dirigere Monteverdi. Dieci anni
prima aveva inciso il Vespro per la Beata Vergine, cui avevano fatto seguito l’Orfeo (2007) e i Madrigali Guerrieri
et Amorosi (2013). Guardando al programma che il Concerto Italiano presenterà per Musica Insieme, non manca nella sua discografia il ‘classico’ confronto Bach/Vivaldi. Ancora per la Naïve, eccolo a disposizione del pubblico nel 2011, sei CD dove troviamo anche sempreverdi
come le Stagioni e i Brandeburghesi.
poi ci porterà sull’altra, potremmo trovarci Vincenzo Galilei intento a far discutere Piero Strozzi e Giovanni Bardi intorno alla
musica degli antichi e dei moderni in quel di Firenze nel 1581.
Anticipando Verdi di un paio di secoli all’incirca, il Galilei ci dice
che tornare all’antico sarà un progresso. Antichità greca, manco
a dirlo. La Grecia che sarà anche del Canova, che nasce però nel
1757, sette anni dopo la morte di Bach; Canova che è un contemporaneo di Mozart e che già parla neoclassico (la lingua di
Mozart in certo qual modo). E prima ancora del Winckelmann, gli inizi della cui vita intersecano quelle dei nostri Vivaldi
e Bach. Winckelmann pubblica i suoi Pensieri sull’imitazione dell’arte greca nella pittura e nella scultura nel 1775; la sua Storia dell’arte antica nel 1763. Cioè quarant’anni dopo il fondamentale
Trattato dell’armonia ridotta ai suoi principi naturali del Rameau,
uscito nel ’22, mentre nel 1750 (l’anno della morte di Bach)
Baumgarten aveva dato alle stampe il suo Aesthetica, segnando
così di fatto la nascita di quella disciplina che delle arti avrebbe
studiato i fondamenti. In questo turbinar di pubblicazioni travolgenti sta anche il saggio del Burke, quell’Inchiesta filosofica sul
sublime che vide la luce negli stessi anni dei saggi winckelmanniani, tra il ’56 e il ’59.
La storia, però, si diverte, è noto. Nel 1618 Cartesio scrive il
Compendium Musicae, trattatello pitagorico-euclideo, nel quale
geometria e psicologia, proprio come avrebbero voluto non solo
gli evocati Pitagora ed Euclide, ma anche Platone, s’incontrano
per spiegare perché l’arte dei suoni riesce a commuoverci.
L’anno dopo Kepler dà alle stampe l’Harmonices Mundi: la circonferenza diventa un’ellisse, la “esse” dei manieristi, già in voga,
domina nella pittura a scapito delle proporzioni rinascimentali,
nei teatri di corte s’ascoltano le prime opere liriche. Sono gli
anni di Monteverdi (1567-1643), alla fine dei quali Cartesio
pubblica il saggio che fa calare definitivamente il sipario sul Rinascimento: Passioni dell’anima, 1649. Gli antichi invocati da
Galilei non ci fanno una bella figura. Anzi, l’incipit del primo
articolo recita: «Non c’è niente in cui appaia meglio la limitatezza delle scienze tramandateci dagli Antichi, quanto in ciò che
essi hanno scritto delle passioni». Et voilà: tanti saluti a Greci
e Romani, tragici o filosofi che fossero. Delle Passioni ce ne occupiamo noi, creando un efficace mix di fisica, filosofia, psicologia, fisiologia, alla faccia anche di quanti (compreso lo
scrivente fino all’altrieri) credevano davvero che Cartesio volesse
del tutto separati mente e corpo. Qui siamo già sull’altra
sponda. Dunque potremmo cominciare a dire che Bach e Vivaldi appartengono all’epoca post-cartesiana.
Vivaldi e Bach stanno in questa terra di mezzo. Vivono la
transizione da professionisti della musica, sbarcando il lunario
giorno dopo giorno: tagliandosi, cioè, una loro porzione di spazio in un contesto, quello musicale, vicino alla saturazione e
molto competitivo. Certo, meglio un contratto con questo o
quel nobile, ma il vero successo lo si ottiene solo rischiando con
l’opera (vedi Händel). Così Vivaldi va a spegnersi in quel di
Vienna nel 1741, e finisce sepolto in una fossa comune, sebbene
nella capitale austriaca un paio di targhe ne onorino il ricordo.
Vienna dov’era andato per sfuggire al nuovo che avanzava:
l’opera di stile napoletano. Lo stile alla moda che Mozart di lì
a poco avrebbe tagliato – ancora storie viennesi – in fogge straordinarie. Già, Mozart: Vivaldi è più vicino al Salisburghese che
al barocco in salsa mantovana d’inizio Seicento. Di questo ce
ne sono ampie tracce nelle partiture mozartiane, basti pensare
all’uso delle progressioni. Bach invece guarda al futuro. Non che
avesse letto Cartesio, ma certo è che di metodo ne possedeva da
vendere. Metodo, applicazione, costanza, inventiva: un alchimista che ha scoperto un fantastico metodo per l’appunto per
comporre pagine che destano meraviglia, così come le tante
macchine strane (più o meno automatiche, più o meno ingegnose), che furoreggiavano nei salotti di quegli anni. È il cosmografo che Kepler avrebbe voluto avere al suo fianco. Val la
pena rammentare che la prima tastiera elettrica della storia – il
clavecin électrique – Delaborde la costruirà nel 1759 (solo nove
anni dopo la morte di Bach). Nel 1787 nasce il telaio meccanico, da cui Jacquard nel 1801 deriverà il suo: la prima macchina automatica industriale. Ci piacerebbe credere, pur sapendo che non è così, che Bach avesse capito cosa stava
succedendo: ma quale rivoluzione scientifica! La rivoluzione si
chiama capitale, è l’industria, la macchina, che da oggetto di
meraviglia sta diventando catena di montaggio.
Lo sapevate che...
Fra gli autori prediletti da Alessandrini, Monteverdi è al centro di una trilogia operistica,
allestita alla Scala di Milano dal 2009 al 2015, con la visionaria regia di Bob Wilson
44
MI
MUSICA INSIEME
Lunedì 11 maggio 2015
Una classica modernità
Cala il sipario della XXVIII edizione dei Concerti con una delle compagini più longeve e
originali, accompagnata dal virtuosismo e dalla carica espressiva della ‘nostra’ Vacatello
L
di Sara Bacchini
a letteratura per orchestra è talmente varia e multiforme da risultare pressoché infinita: orchestra
sinfonica, orchestra da camera, orchestra
d’archi, orchestra di fiati, sono solo alcuni degli organici che fanno capo alle composizioni strumentali di questo genere. Un
genere che dal XVI secolo in poi ha attraversato la storia della musica e annovera fra i propri padri Bach, Haydn, Mozart e Beethoven. A questi grandi maestri
tutti i compositori faranno riferimento in
epoche successive, dal romanticismo fino
allo sperimentalismo novecentesco. L’orchestra d’archi è formata, lo dice il nome
46
MI
MUSICA INSIEME
stesso, da soli violini, viole, violoncelli e
contrabbassi; in pratica, un quartetto
d’archi – organico classico tra i più elaborati ed apprezzati dai compositori – portato all’ennesima potenza. E proprio da
un quartetto per archi trae origine uno dei
brani più famosi ed eseguiti del Novecento: l’Adagio op. 11 di Samuel Barber.
Nato in Pennsylvania, Barber (19101981) iniziò a comporre già a sette anni
per approdare, dopo gli studi al Curtis Institute of Music di Philadelphia, all’Accademia Americana di Roma nel 1935.
Qui scrisse il Quartetto per archi in si minore (1936), il cui secondo movimento,
arrangiato per orchestra d’archi su suggerimento di Arturo Toscanini – che lo
eseguì con l’Orchestra sinfonica della
NBC il 5 novembre 1938 a New York –
venne pubblicato come Adagio per archi
op. 11. È l’opera più famosa di Barber, eseguita anche ai funerali dei due presidenti americani Roosevelt e Kennedy, ed è stata scelta sia dal regista Oliver Stone per la
colonna sonora del film Platoon (1986) sia
da David Lynch per The Elephant Man
(1980). Nella sua versione originale,
l’Adagio segue e fa da contrasto ad un primo movimento decisamente violento,
per cedere successivamente il passo a
una breve ripresa del materiale tematico
precedente. Il compositore statunitense
evitò sempre lo sperimentalismo di alcuni colleghi americani della sua generazione,
preferendo esprimersi con armonie e forme relativamente tradizionali. Gran parte della sua musica è infatti caratterizzata da un senso della melodia quasi lussureggiante, tale da essere definita ‘neoromantica’, sebbene alcuni dei suoi lavori più
maturi, come il Third Essay e Dance of
Vengeance, mostrino un uso sapiente di effetti percussivi, modernismi e richiami
neo-stravinskiani.
La vicenda artistica di Leoš Janáček
(1854-1928) mostra caratteri di assoluta
originalità: la sua produzione rappresenta per certi versi un unicum nel panorama
compositivo europeo novecentesco, un corpo strumentale e operistico estremamente variegato, che fa di Janáček indiscutibilmente il maggior compositore ceco moderno, e una delle figure più enigmatiche
della musica del XX secolo. Per molti anni
l’attività compositiva del Boemo (sino alla
fine dell’Ottocento) si mantenne nel solco della tradizione nazionale, che riconosceva in Smetana e Dvořák i suoi più illustri rappresentanti. Soltanto con l’aprirsi del nuovo secolo, nel 1903, e dopo la
lunga elaborazione del capolavoro operistico Jenůfa, il musicista prende le distanze
dall’influenza tardo-romantica per imporsi
come un compositore originale e moderno. Il suo stile è essenzialmente affrancato da vincoli armonici rigidi, caratterizzandosi invece per una invenzione melodica personalissima, basata sull’analisi
maniacale delle inflessioni prosodiche e accentuative del linguaggio boemo parlato.
Col passare degli anni, l’ispirazione dell’artista sembra assecondare gli impulsi di
un crescente affrancamento dalla tradizione, con esiti di sempre maggiore vitalità e modernità. La Suite per archi JW 6/2
(1877-78) appartiene alla fase compositiva
giovanile di Janáček, e pur ascrivendosi alla
sua fase canonicamente tardo-romantica
racchiude in sé alcune intuizioni e soluzioni
armoniche destinate a confluire nell’evoluzione successiva della sua esperienza creativa. Nel 1877 il maestro ventitreenne, con
una grande predilezione per l’amico
Dvořák, del quale esegue le opere sinfoniche oltre a rielaborarle per diversi orga-
nici strumentali, inizia ad imporre con esuberanza la sua personalità originale e insofferente verso gli accademismi: fonda
un’orchestra di amatori per la quale scrive le sue prime opere strumentali e compone la Suite per orchestra d’archi, eseguita
alla fine di quello stesso anno a Brno. Prima opera del suo catalogo orchestrale, la
Suite è un interessante documento storico del periodo classicistico di Janáček: in
sei brevi movimenti, resterà inedita fino al
1926. I primi due (Moderato e Adagio)
oscillano tra richiami armonici wagneriani e melodie brahmsiane, mentre il successivo Andante con moto presenta un carattere ritmico decisamente derivante dalla tradizione popolare ceca. Al Presto,
che rielabora in tono classico il materiale
melodico di un incompiuto Sonetto per
quattro violini, fa da contraltare il più cupo
e notturno Adagio che conduce all’Andante
finale: ed è proprio questo movimento conclusivo a rivelare l’indisciplinato classicismo di Janáček.
Costante riferimento del compositore
boemo fu lo stimato maestro e amico Antonín Dvořák, che rimane, accanto a
Smetana e allo stesso Janáček, uno dei
maggiori esponenti della musica boema
del secolo scorso. Il suo linguaggio fluente e spontaneo esalta la gioia del “fare musica” da sempre tipica degli Slavi, e dei Ce-
LUNEDÌ 11 MAGGIO 2015
AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30
PRAGUE CHAMBER ORCHESTRA
MARIANGELA VACATELLO pianoforte
Leoš Janáček
Suite JW 6/2 per archi
Ludwig van Beethoven
Concerto n. 2 in si bemolle maggiore
op. 19 per pianoforte e orchestra
Samuel Barber
Adagio op.11 per archi
Antonín Dvořák
Serenata in mi maggiore op. 22
per archi
Introduce Fulvia de Colle. Da quindici anni a
Musica Insieme, collabora alla direzione artistica,
scrive di musica e traduce per Einaudi Editore
chi in particolare: canti di strada, di osteria, di campagna rivivono nella sua produzione, senza volgarità ma anzi con semplicità e bonarietà. E la storia delle sue
opere, delle sinfonie, delle pagine cameristiche, ci parla proprio di questo spirito, di quel radicato sentimento popolare mai tradito, sempre rigenerato dall’interno. L’eco di questa ‘musica della terra’ è per Dvořák un moto intimo e indelebile. La Serenata in mi maggiore op.
Prague Chamber Orchestra
Nel corso di oltre mezzo secolo di attività, la Prague Chamber Orchestra si è distinta per le sue straordinarie esecuzioni sia all’estero, sia in patria, esibendosi in
Canada, Giappone, Australia, Hong Kong, Corea. Impostasi all’attenzione della
critica grazie alla partecipazione al Festival della Primavera di Praga nel 1952, è
ben presto entrata nel novero delle principali compagini ceche. Nonostante si esibisca per tradizione senza un direttore, nel corso della propria attività la Prague
Chamber Orchestra ha collaborato su alcuni programmi specifici con direttori del
livello di Václav Neumann, Gerd Albrecht, Sir Charles Mackerras, e con solisti come Michelangeli, Accardo, Maisky, Gabetta.
Mariangela Vacatello
Esibitasi con le orchestre più famose in sale come la Wigmore Hall di Londra, la
Disney Hall di Los Angeles, la Carnegie Hall di New York, nel 2005 viene scelta
per rappresentare l’Italia al Musical Interpretation Prize 2002 di Bruxelles e si aggiudica il Premio “Giuseppe Verdi: la musica per la vita”, come riconoscimento al
suo precoce talento e alla sua straordinaria tecnica. Dopo aver conseguito il Master all’Accademia di Imola nel 2006, viene premiata al Concorso “Busoni” 2005
ed al “Reine Elisabeth” 2007, e nel 2009 vince il “Top of the World” norvegese e
il Premio del Pubblico al prestigioso “Van Cliburn” statunitense.
MI
MUSICA INSIEME
47
Lunedì 11 maggio 2015
DA ASCOLTARE
Di Mariangela Vacatello in versione digitale abbiamo già detto proprio su queste pagine. Rammentiamo quindi solo le due incisioni per la Brilliant: Liszt, Studi
trascendentali, e il più recente tutto Debussy (2012). Il catalogo dell’Orchestra da
Camera di Praga, invece, è lungo e articolato. Del resto, non potrebbe essere diversamente. Basti rammentare che l’anno di fondazione del celebre ensemble ceco
è il 1951. Lasciando da parte la gloriosa età dei long playing, nell’epoca del compact disc la compagine praghese ha ulteriormente arricchito la già lunga lista delle sue registrazioni. L’ha arricchita scegliendo con cura un repertorio spesso inusuale, scelta già di per sé meritevole della massima attenzione e di sincera lode.
Certo non manca la Serenata di Dvořák (2001), ma questa s’inserisce in un percorso dove troviamo pagine rare come i Concerti per clarinetto di Baermann (2002)
per la Orfeo o le sinfonie e le partite di Frantisek Tuma incise nel 2010 ed attualmente disponibili solo come file audio. E poi ci sono Dittersdorf, Mysliveček,
Benda, Hoffmeister, e così via accanto al sempre amato e gettonato Mozart.
22 per archi è assimilabile alla produzione cameristica sia per l’origine settecentesca della serenata, sia perché la fioritura di questo genere creativo era strettamente collegata alla disponibilità di strumentisti boemi, sia tra gli archi sia tra i fiati, arruolatisi nelle orchestre arcivescovili o principesche mitteleuropee. Brahms
e l’influente critico Hanslick furono tra i
primi a manifestare a Dvořák la propria
simpatia per questo lavoro sin dal primo
ascolto. La Serenata fu scritta nel 1875 in
soli dodici giorni. Ripartita in cinque movimenti in forma di suite, è un brano di
intensa carica melodica e di grande fascino.
Il primo movimento (Moderato) si apre
con il bellissimo e celeberrimo tema che
passa dai violini ai violoncelli e viceversa, originando la sensazione di visione aerea di un paesaggio incantevole all’interno del quale per un attimo l’occhio cerca di mettere a fuoco i piccoli momenti
della vita quotidiana. Il Tempo di Valse che
segue è senza dubbio frutto delle prime
esperienze del compositore quando si guadagnava da vivere come membro dell’orchestra da ballo “Komzàk”: un valzer lieve e vaporoso che all’interno del movimento si evolve continuamente fino al nostalgico tema del Trio centrale, che preannuncia la linea melodica del successivo Larghetto. Il terzo movimento è un bril-
lantissimo Scherzo in cui le serrate imitazioni contrappuntistiche tra le diverse
sezioni strumentali sembrano ricordare il
gioioso vociare di una festa paesana. La
straordinaria invenzione melodica del
Larghetto (il cui tema viene richiamato anche negli altri movimenti) catalizza la quasi completa attenzione dell’intera Serenata:
frasi struggenti, intriganti cellule sonore,
risonanze che si diradano, insomma un
concentrato di emozioni che conduce al
‘felice spirito’ di terra boema nel Finale,
annunciato da incalzanti elementi a squillo e veloci staccati discendenti a canone
tra i violini e il resto dell’orchestra.
Il Concerto per pianoforte e orchestra in
si bemolle maggiore op. 19 di Beethoven,
composto tra il 1794 e il 1798, venne eseguito per la prima volta a Praga e vanta,
tra le prime esecuzioni che richiamarono
sull’opera l’attenzione del pubblico, quelle del grande pianista ungherese Ernő Dohnány. Questo concerto è mozartiano nella struttura del primo movimento (Allegro con brio), che rimanda per alcuni versi al Concerto in re minore KV 466 del genio salisburghese: l’entrata del solista,
che non espone subito il primo tema ma
inizia a fantasia, con figurazioni derivate
dal materiale tematico già esposto dall’orchestra; il rapporto tra solista e orchestra, con il pianoforte integrato nella
massa degli strumenti, dalla quale emerge spesso ma nella quale si inserisce anche
come se fosse uno dei componenti dell’orchestra; l’organico e, soprattutto, la somiglianza ritmica e melodica tra i secondi temi dei due concerti. Il secondo movimento è un Adagio tra i più grandi del
primo Beethoven, e di altissimo valore
emotivo: la cadenza finale svela una straordinaria forza drammatica dell’orchestra
che cede il passo ad un parlante recitativo del pianoforte. L’ultimo movimento
(Rondò. Molto allegro) è un rondò di
semplicissima struttura, a metà tra il rondò brillante e il rondò pastorale, al cui interno il pianoforte prima, e i violini poi,
intonano un frammento melodico del secondo tempo della Sinfonia “Pastorale”.
Lo sapevate che...
La Prague si caratterizza per essere un’orchestra senza direttore: a prescindere
dall’ampiezza dell’organico, ogni membro della compagine assume un ruolo paritetico
48
MI
MUSICA INSIEME
PER LEGGERE
Helmut Failoni
e Francesco Merini
L’Orchestra. Claudio Abbado
e i musicisti della Mozart
(Mammut Film, 2014)
Per Mammut Film, con il
contributo di Fabio Roversi
Monaco, Fondazione Carisbo e Museo della città di Bologna, è uscito il
DVD L’orchestra. Claudio Abbado e i musicisti della Mozart di Helmut Failoni e Francesco Merini. Un’ora per raccontare la vita dell’Orchestra
Mozart, che, già scomparsa, ha però lasciato un
segno. Claudio Abbado fondò “la Mozart” riunendo i migliori musicisti e mescolando giovani promesse ed affermati solisti: da Johane
Gonzalez, contrabbassista venezuelano proveniente da un barrio di Caracas, al trombettista
tedesco Reinhold Friedrich. Seguendo l’orchestra nel tour italiano ed europeo 2012/13, il documentario offre uno sguardo unico e privilegiato
sul lavoro del Maestro Abbado e sull’essere musicisti di classica nel nuovo millennio, raccontando alcuni dei componenti dell’orchestra, dai
concerti alla vita privata: Maria Francesca Latella,
Federica Vignoni, Lucas Macías Navarro, Alois
Posch, Alessio Allegrini. Con due interviste
inedite ed esclusive al maestro Abbado e riprese durante i concerti e le prove di Bologna, Lucerna, Vienna, Madrid e Palermo.
Luca Chiantore
Beethoven al pianoforte.
Improvvisazione, composizione e ricerca sonora
negli esercizi tecnici
(Il Saggiatore, 2014)
Luca Chiantore è un pianista e
musicologo formatosi a Milano e all’Università di Barcellona. Finiti gli studi è
rimasto in Spagna dov’è noto come interprete e studioso, specializzato soprattutto in tecnica pianistica.
Per l’editrice Il Saggiatore esce la traduzione di un
suo ampio saggio intitolato Beethoven al pianoforte.
Improvvisazione, composizione e ricerca sonora negli esercizi tecnici. Se n’è parlato molto per un solo
capitolo in cui l’autore sostiene «Non fu Beethoven a scrivere Per Elisa». Ovviamente, la reazione
è stata ampia, ma non è questa la tesi più interessante. Il volume, in realtà, guarda al compositore
in un’interessante prospettiva inedita: quella degli
esercizi tecnici. L’autore ha trovato tali brani tra gli
appunti di Beethoven, eppure si tratta di una testimonianza preziosa. Non si tratta della tecnica cui
siamo abituati, quanto di una riflessione pratica che
prelude e sottende alle composizioni più note del
Tedesco. Insomma, chiamarla tecnica sembra un
po’ riduttivo: siamo di fronte alla testimonianza affascinante del suo rapporto fisico con lo strumento,
in vista di nuovi spazi sonori. Di grande interesse anche il discorso sull’improvvisazione.
50
MI
MUSICA INSIEME
MEMORIA
di Chiara Sirk
SONORA
Un DVD e due libri
ci restituiscono le
testimonianze di grandi
Maestri, raccontandoci
l’Orchestra del Maestro
Abbado, le dediche a
Luigi Nono e le riflessioni
sulla tecnica pianistica
di Beethoven
Resistenza Illuminata è il titolo di un
omaggio a Luigi Nono nel settantesimo anniversario della Resistenza e
della guerra di Liberazione e di un progetto interdisciplinare che prevede
concerti, mostre, proiezioni, convegni
e incontri tra Bologna, Ferrara, Marzabotto, Modena, Reggio Emilia.
Molte le opere che saranno eseguite
nel corso della manifestazione, tra le
quali Il Canto Sospeso, basato sulle lettere dei condannati a morte della Resistenza europea, diretto da Roberto
Abbado. Alla realizzazione dell’iniziativa tematica collabora, per la consulenza scientifica, la Fondazione “Archivio Luigi Nono” di Venezia. L’Archivio è stato fondato nel 1993, su iniziativa di Nuria Schoenberg Nono, per
raccogliere, conservare e promuovere
il lascito del compositore. Tale lascito consiste di manoscritti (23.000 fogli di schizzi, abbozzi e studi preparatori per le sue composizioni musicali e 12.000 di appunti e di scritti di
natura musicale, teorica e politica); lettere (6.400 con esponenti di spicco
della storia, dell’arte, della politica e
della cultura italiana e internazionale); nastri (230 bobine, fra materiali
preparatori delle opere elettroniche, registrazioni delle prime assolute delle
sue composizioni e di alcune interviste); libri e partiture (12.400 volumi,
molti dei quali glossati, rari, antichi,
unici); vinili (1.370, con registrazioni di musica popolare di ogni provenienza geografica, di discorsi e di
canti politici nazionali e internazionali); fotografie (6.500); programmi
di sala (300), manifesti (170), recensioni e saggi critici (4000). Per commemorare il novantesimo anniversario della nascita di Luigi Nono, nel
2014 l’Archivio ha pubblicato un libro speciale (Per Luigi Nono. Dediche,
a cura di Nuria Schoenberg Nono)
con immagini e trascrizioni in lingua
originale e in inglese di dediche al
compositore, trovate tra i libri e le partiture della sua biblioteca personale,
conservati nell’Archivio. Il libro contiene una selezione di 40 dediche, tra
le oltre 700 dediche ritrovate, e brevi note biografiche che spiegano il rapporto di ciascun dedicante a Luigi
Nono. Alcuni nomi degli autori delle dediche: fra i tanti, Theodor W.
Adorno e Nanni Balestrini, Julian
Beck e Massimo Cacciari, Italo Calvino e Pietro Ingrao, György Kurtág
e Gió Pomodoro. Un viaggio tra rapporti di stima reciproca e di amicizia
che, in modo vertiginoso, fa scorrere
davanti a noi i maggiori protagonisti
di diversi campi dell’arte e della cultura del Novecento.
Per Luigi Nono. Dediche
a cura di Nuria Schoenberg Nono
(Fondazione Archivio Luigi Nono, 2014)
DA ASCOLTARE
di Piero Mioli
GRANDEUR E INTIMISMO
Alessandrini e il Concerto Italiano ridanno vita ai Vespri
monteverdiani, Baglini si misura con il capolavoro
di Musorgskij, mentre l’Estrio incanta con l’incisione
dei Trii di Mendelssohn
Maurizio Baglini, Roberto Prosseda
Pictures at an Exhibition
and other Piano Works
(2 CD, Decca, 2014)
Che i Quadri di un’esposizione siano un capolavoro, un capolavoro tale da rasentare quasi l’incompatibilità con il normale pianismo ottocentesco, è
fuor di dubbio. E Maurizio Baglini, pisano del 1975 in piena carriera da
tempo, se n’è servito: nel doppio CD della Decca ha registrato tutta l’ardua partitura (con un titolo inglese che forse sorprende ma ha la stessa attendibilità di quello italiano), mettendola in apertura e conseguendo ottimi risultati; e poi si è lanciato in un’integrale musorgskiana dove ha brillato di luce propria, se non a quattro mani in compagnia di Roberto Prosseda e senza temer confronti con un passato illustre. Notevole il lirismo, da
Rêverie a Une larme, ma non meno dell’umorismo, evidente nel First punishment delle Memorie infantili. Au village, inoltre, è lento, quasi senza tempo e senza ritmo; e se On the Southern Shore of the Crimea ha il sapore di
una ballata lontana, Nanny and me sembra un’antica filastrocca. Su tutto,
una paletta dinamica straordinaria (basti la Polka che chiude il primo CD);
e la capacità, continua, di suggerire confronti con Rossini e Satie.
Estrio
Laura Gorna, Cecilia Radic, Laura Manzini
Mendelssohn Trios
Decca, 2014)
Una trentina di pezzi, il camerismo di Mendelssohn;
e non tutti fortunati nel repertorio, e tanto meno nella discografia. Dei due
Trii per archi e pianoforte, ad esempio, il primo brilla anche dei nomi di
Heifetz, Stern, Casals, Rubinstein e Cortot; ma, sebbene il resto della sua
presenza in catalogo sia notevole, non si può dire che sia oggetto di concupiscenza. Buona dunque l’idea di proporlo unitamente al secondo nelle
grazie, fra l’altro, di un trio tutto femminile. Il quale, fondato nel 2005 e
già padrone dei capolavori della sua formazione (fino a Madame Tailleferre), inanella i quattro più quattro movimenti del Trio n. 1 in re minore op.
49 e del Trio n. 2 in do minore op. 66 leggendo le indicazioni di Mendelssohn alla Mendelssohn, cioè con un entusiasmo e un’intensità mai debordanti,
sempre romantici, ma giammai anticlassici. Il secondo Scherzo è velocissimo, invero, proprio “quasi presto”, ma l’Andante espressivo precedente suona molto misurato, così come il primo Scherzo profuma ancora di Mozart
e l’attacco dell’opera 66 intende la richiesta “energia” in termini più di dinamica che di potenza.
Cercare, nei cataloghi monteverdiani, i Vespri solenni per la festa di San Marco, è perfettamente inutile. Si eseguirono, nella Venezia del primo Seicento,
grazie a tanto maestro di cappella, ma così belli e
pronti come i Vespri della Beata Vergine non si trovano, e non perché sia musica perduta. Come si usava, Monteverdi componeva, eseguiva, e pubblicava in modo da prospettare scelte libere e diverse.
Per farla breve, Rinaldo Alessandrini e il suo
Concerto Italiano hanno consultato prima le cronache e poi le stampe musicali: da queste, un po’
dai citati vespri mariani del 1610 e specie dalla ricchissima Selva morale e spirituale del 1640 hanno
tratto quanto occorreva, quanto risultava dagli usi
e costumi. Ed eccoli qua, i Vespri ricomposti, soprattutto ma non solo monteverdiani perché l’antifona è gregoriana e dopo il salmo compare una
“sonata in loco antiphonae” (invece della replica),
a firma d’altri e per esempio di Giovanni Gabrieli. Ma certo i grandi salmi e mottetti sono suoi, nella loro già barocca e cioè variopinta grandeur. In questa volutamente diseguale panoramica vocal-strumentale il Concerto Italiano non si fa mancare nulla, passando dalla monodia gregoriana alla polifonia concertata con ogni libertà di fraseggio ed esperienza di spettacolo, sempre con trasparenza di contrappunto e scioltezza di pronuncia latina. Così nel
CD, cui il cofanetto annette un DVD. Si tratta di
un video, un “film” che, ricordando come la registrazione abbia avuto luogo a Mantova, prodiga
splendide immagini d’architettura sacra e profana
della città dei Gonzaga, con stralci di prove, momenti di registrazione, pause di conversazione fra
collaboratori e amici. Quando poi Alessandrini, citando la querelle della prima e seconda “pratica” musicale scoppiata nel primo Seicento, cita come censore di Monteverdi l’Artusi, il cuoco con cui sta parlando non può che sorridere, anch’egli ricordando un Artusi: il romagnolo Pellegrino, famoso autore della Scienza in cucina e arte di mangiar bene.
Concerto Italiano, Rinaldo Alessandrini
Vespri solenni per la festa di San Marco
L'umano e il suo divino. Alessandrini dirige
Monteverdi. Un film di Claudio Rufa
(CD e DVD, Naïve, 2014)
52
MI
MUSICA INSIEME
Fondazione Musica Insieme
Galleria Cavour, 2 – 40124 Bologna
Tel. 051 271932 – Fax 051 279278
Editore
Fabrizio Festa
Direttore responsabile
Bruno Borsari, Fulvia de Colle, Valentina De Ieso,
Cristina Fossati, Roberto Massacesi, Alessandra Scardovi
In redazione
Sara Bacchini, Luca Baccolini, Francesco Corasaniti,
Maria Pace Marzocchi, Maria Chiara Mazzi,
Piero Mioli, Anastasia Miro, Chiara Sirk, Mariateresa Storino
Hanno collaborato
Kore Edizioni - Bologna
Grafica e impaginazione
Grafiche Zanini - Anzola Emilia (Bologna)
Stampa
Registrazione al Tribunale di Bologna
n° 6975 del 31-01-2000
Musica Insieme ringrazia:
BANCA DI BOLOGNA, BANCA ETRURIA, BANCA POPOLARE DELL’EMILIA ROMAGNA,
BANCO DI DESIO E DELLA BRIANZA, CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO
E AGRICOLTURA DI BOLOGNA, CAMST, CASSA DI RISPARMIO DI BOLOGNA, CASSA DI RISPARMIO
DI CENTO, COCCHI TECHNOLOGY, CONFCOMMERCIO ASCOM BOLOGNA, COOP ADRIATICA,
COSWELL, FATRO, FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO IN BOLOGNA,
FONDAZIONE DEL MONTE DI BOLOGNA E RAVENNA, GRAFICHE ZANINI, GRUPPO GRANAROLO,
GRUPPO HERA, MAURIZIO GUERMANDI E ASSOCIATI, MAX INFORMATION,
M. CASALE BAUER, PELLICONI, PILOT, S.O.S. GRAPHICS, UNICREDIT SPA,
UNINDUSTRIA, UNIPOL BANCA, UNIPOL GRUPPO FINANZIARIO
MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI, REGIONE EMILIA-ROMAGNA
PROVINCIA DI BOLOGNA, COMUNE DI BOLOGNA