Poste Italiane SpA. Spedizione in abbonamento postale 70% – CN/BO – Bimestrale n. 2/2015 – anno XXIV/BO - € 2,00 marzo/maggio 2015 La primavera del pianoforte con Blechacz, Yundi e Zimerman I debutti eccellenti di Concerto Italiano e Münchner Symphoniker Varignana Music Festival, II edizione: grandi stelle sotto il cielo di luglio Finale di Stagione con Mariangela Vacatello e la Prague Chamber Orchestra SOMMARIO n. 2 marzo - maggio 2015 Musica a Bologna - I programmi di Musica Insieme Editoriale Una tessera dopo l’altra di Fabrizio Festa Note d’ascolto: la parola all’abbonato A scuola con la musica 11 14 MICO - Musica Insieme COntemporanea Storia e geografia di Anastasia Miro 16 I viaggi di Musica Insieme Stoccolma: 16 - 19 aprile 2015 Varignana Music Festival 2015 Note d’estate: 10 - 18 luglio 2015 18 20 Interviste Rafał Blechacz - Yundi di Cristina Fossati Ariel Zuckermann - Ning Feng di Valentina De Ieso Rinaldo Alessandrini di Fabrizio Festa Mariangela Vacatello di Fulvia de Colle 22 24 26 29 I luoghi della musica Gli scatti d’arte di Hoppé di Maria Pace Marzocchi 30 Il calendario 31 Per leggere 50 I concerti marzo / maggio 2015 Memoria sonora: Nono, Abbado, Beethoven di Chiara Sirk Da ascoltare Grandeur e intimismo per Concerto Italiano, Baglini, Estrio di Piero Mioli 52 In copertina: Mariangela Vacatello 8 MI MUSICA INSIEME EDITORIALE UNA TESSERA DOPO L’ALTRA Fryderyk Chopin al pianoforte Il Concorso “Chopin” lo hanno vinto tutti e tre. Certo in anni diversi. Zimerman aveva diciotto anni nel 1975. Yundi pure, che la prestigiosa competizione ha espugnato nel 2000. Cinque anni dopo (il concorso si svolge, lo ricordiamo, con cadenza quinquennale) tocca a Blechacz. Di anni il giovane polacco ne ha venti, ma certo non fa molta differenza. Quel che fa la differenza è che Blechacz ottiene un risultato da grande slam: a lui vengono infatti assegnati anche tutti i premi speciali della giuria, incluso quello per la migliore esecuzione di una sonata, premio che proprio Zimerman gli riconosce. Altro fatto singolare, in quella edizione non verrà assegnato il secondo premio. Tra i giurati corse voce che Blechacz aveva suonato così bene da sbaragliare persino l’ipotesi che qualcuno potesse qualificarsi secondo. Quasi un festival, quindi, nel segno della prestigiosa competizione polacca, quello che a marzo li vedrà sotto i riflettori del Manzoni uno dietro l’altro: Blechacz il 2, Yundi il 16, Zimerman il 23. Certo il repertorio pianistico è una delle architravi di una stagione in- centrata sulla musica da camera, eppure questa luminosa costellazione di pianisti, che avrà una coda nel concerto conclusivo, quando sotto i riflettori ci sarà Mariangela Vacatello (l’11 maggio con l’Orchestra da Camera di Praga), merita di essere segnalata come un tratto distintivo della programmazione di Musica Insieme. Una programmazione che da sempre ha avvicinato l’esplodere di un talento emergente con l’esperienza di un artista maturo. Una programmazione che, peraltro, non si lascia sfuggire l’occasione di proporre al suo pubblico emozionanti cambi di prospettiva, carichi di suggestioni affascinanti. Ecco i Münchner Symphoniker con un programma di rarità nord-europee, ecco Rinaldo Alessandrini con il ‘suo’ Concerto Italiano condurci attraverso la musica di Antonio Vivaldi e Johann Sebastian Bach. Ancora, quindi, segni di una distinzione, del marcare con attenzione le scelte che portano anche lungo itinerari musicali che permetteranno al nostro pubblico di aggiungere tessere significative al nostro già ampio mosaico musicale. Fabrizio Festa MI MUSICA INSIEME 11 NOTE D’ASCOLTO: LA PAROLA ALL’ABBONATO CATERINA BADINI - LUCIA GRAZIA RESI - RICCARDO ROSETTI A scuola con la musica Tre protagonisti, con il loro lavoro di educatori e docenti, di Musica per le Scuole, la rassegna dedicata da Musica Insieme agli studenti degli istituti medi superiori, condividono con noi gioie e dolori della ‘missione’ di conquistare i giovanissimi all’arte dei suoni A bbiamo incontrato tre docenti di altrettanti istituti medi superiori del territorio bolognese, che da oltre un decennio partecipano con i loro studenti a Musica per le Scuole, l’iniziativa varata da Musica Insieme nel 2004 a favore della formazione e della divulgazione della musica fra i giovanissimi, guardando al pubblico del domani. Sono Caterina Badini, professoressa di italiano e latino all’Istituto “Keynes” di Castelmaggiore; Lucia Grazia Resi, insegnante in pensione di italiano e storia all’Istituto “Rosa Luxemburg” di Bologna; Riccardo Rosetti, professore di pianoforte al Liceo musicale “Lucio Dalla”, nuova diramazione del Liceo “Laura Bassi” di Bologna. Oltre ai loro istituti, nel 2014/15 partecipano a Musica per le Scuole il Conservatorio “G.B. Martini” e i licei “Galvani”, “Minghetti”, “Righi”, “Alfieri” e “Copernico”, grazie alla fattiva collaborazione dei professori Ghianda, Natale, Ricchi, Cavallari, Cocchieri e Sebastiani. Un’esperienza, caso unico in Italia di collaborazione tra una fondazione privata e le istituzioni pubbliche, che coniuga al momento del concerto le lezioni introduttive nelle sedi didattiche, la cui frequenza viene riconosciuta agli studenti in termini di crediti didattici ed inserita nel POF d’istituto. L’obiettivo, quello che Musica Insieme pone da sempre al centro delle proprie iniziative, è naturalmente quello di avvicinare all’arte dei suoni i ragazzi, convinti come siamo dell’importanza della cultura musicale nella vita di ognuno, non soltanto come creazione di un bagaglio culturale, ma anche come strumento per ascoltare e dialogare, unirsi e ‘concertare’ insieme un futuro. E i docenti, in questi anni, ci sono stati sempre accanto con impegno e partecipazione, sottraendo magari anche qualche ora libera ad una missione, quella di coinvolgere e convincere sempre più i ragazzi che la classica non è un’arte ‘per i grandi’, ma un momento che può regalare, quelle sì, grandi emozioni e arricchire la vita di tutti i giorni con la magia della musica. Come ha conosciuto Musica Insieme e com’è nato il suo impegno per Musica per le Scuole? Badini: «Da abbonata storica di Musica Insieme, l’impegno è nato dalla mia passione personale per un certo tipo di musica cosiddetta ‘colta’: perciò quando ho visto che una delle mie risorse musicali preferite organizzava questa rassegna per le scuole, ho pensato che fosse possibile coniugare il mio diletto all’utilità per gli studenti, anche perché sento moltissimo la mancanza di un’educazione musicale, anche soltanto a carattere storico, in un liceo, come quello in cui insegno». Grazia Resi: «La mia conoscenza di Musica Insieme è incominciata invece proprio con la scuola, a partire naturalmente da una passione per la musica che coltivavo già nella mia città, Torino. Il mio predecessore, il Professor Michele Tosi, aveva lanciato questa proposta, che abbiamo adottato. Peraltro negli anni l’Istituto “Rosa Luxemburg” ha aderito a diverse iniziative, come le conferenze del Maestro Ravetti, “Viaggio nella storia della musica”, presso la Regia Accademia Filarmonica (per le tre classi del triennio dalla terza alla quinta): un’iniziativa molto utile anche per i docenti, permettendo quell’interdisciplinarietà fra dottrine umanistiche, quali musica storia letteratura arte, che è fondamentale anche per l’insegnamento». Nel vostro istituto, quanto spazio è dedicato all’educazione musicale e artistica in genere e con quali modalità? Rosetti: «Noi siamo il primo e ad ora 14 MI MUSICA INSIEME unico caso in città di liceo musicale, il “Lucio Dalla”; purtroppo soffriamo un po’ di una sorta di isolamento fisico della nostra sede (in Via Ca’ Selvatica) rispetto alle altre ‘branche’ del Liceo “Laura Bassi”. Per questo coinvolgere gli studenti delle altre diramazioni del liceo è molto difficile. Quando ho assunto io l’impegno di Musica per le Scuole ho avuto l’impressione di dovere un po’ spronare, convincere i ragazzi che seguire Musica per le Scuole non è una cosa ‘automatica’, ma una scelta attiva. Credo sia una questione generazionale, ma serve sempre una figura che si assuma l’onere di concretizzare l’adesione alla rassegna, perché i ragazzi tendono spesso a vivere in un loro mondo a parte...». Badini: «Abbiamo per qualche anno aderito a un’iniziativa, che ha portato alla formazione di un coro all’interno dell’istituto. Poi, per questioni meramente economiche, purtroppo non abbiamo potuto proseguire. I ragazzi del coro erano i più motivati, cantavano in Piazza Maggiore insieme ad altri cori, ed ora sentiamo molto la mancanza di iniziative di coinvolgimento attivo, per cui Musica per le Scuole è a maggior ragione la benvenuta». Grazia Resi: «Lo stesso tipo di partecipazione attiva (anch’essa terminata), era quella di Cantiamo l’opera: i ragazzi avevano i CD, sui quali potevano esercitarsi a cantare le arie più famose, e poi allo spettacolo (al Comunale o al Manzoni) c’erano questi momenti di partecipazione che erano piaciuti molto. Oltre a ‘scoprire’ magari un posto nuovo come il Teatro Comunale. Ricordo un’osservazione di una mia allieva che davanti ai palchi esclamò incuriosita: “E quei terrazzini cosa sono?”». domanda che mi fanno è: quando finisce?, ma questo accade anche quando consegno loro un libro: quante pagine ci sono? Non chiedono di cosa parla... Non si tratta quindi soltanto di una pur grave carenza di una vera educazione musicale a scuola, è proprio una questione generazionale». Ha notato in particolare qualche cambiamento, specie in chi magari segue il progetto da più di un anno, nell’apprezzamento della musica classica? Badini: «Sì, i ragazzi hanno il terrore di annoiarsi, ma una volta scoperto che non è così possono riservare grandi sorprese. Oggi conto almeno cinque o sei ragazzi provenienti dalla mia scuola e che frequentano l’università che hanno sottoscritto l’abbonamento a Musica Insieme; altrettanti, anche se non abbonati, seguono alcuni concerti acquistando i biglietti. Questa è una grande soddisfazione. Ecco uno scoop che stupirà magari più di qualcuno: il compositore che più hanno apprezzato i ragazzi è Šostakovič! In particolare dopo l’omaggio che Musica Insieme gli ha reso nel 2006, con le introduzioni di Fabrizio Festa, il must per loro è diventato proprio Šostakovič...». Rosetti: «Ecco cosa è cambiato: una volta acquistavamo un certo quantitativo di abbonamenti, e solo in un secondo mo- Volendo fare un’istantanea, come descriverebbe i ragazzi che partecipano a Musica per le Scuole? Rosetti: «I ragazzi magari seguono Gaetano Curreri o gli Area, si procurano biglietti ai concerti su Vivaticket, frequentano l’Estragon o il Link; insomma, hanno conoscenze musicali a volte sofisticate, però il repertorio classico è per loro ancora un corpo estraneo». Badini: «C’è una resistenza, da parte dei ragazzi, che è poi comune alla musica come alla prosa o alla letteratura: la prima Sopra: Dmitrij Šostakovič , il compositore più apprezzato dagli studenti. Nella pagina a fianco: i ragazzi di Musica per le Scuole all’ingresso dell’Auditorium Manzoni (foto di Maurizio Guermandi) mento cercavamo lo studente che volesse frequentare. Invece oggi abbiamo una ventina di studenti, sui trenta totali che nel nostro istituto si abbonano a Musica per le Scuole , che la rassegna l’hanno seguita sin dall’inizio, per due o tre anni. È un passo in avanti, i ragazzi sanno fin da subito che seguiranno cinque concerti, una concezione quindi organica e non occasionale del fruire la musica». Ricorda un aneddoto o un commento dei ragazzi particolarmente curioso o divertente? Grazia Resi: «Vedere suonare dal vivo un artista è una cosa che colpisce sempre moltissimo i ragazzi. Anche con una certa ingenuità (ricordo una studentessa che rimase molto colpita dal pianista, e scrisse: “mi ha fatto impressione che sapesse tutte le note a memoria!”). Ma è comunque un’emozione forte, che molti di loro consigliano anche ai compagni». Badini: «Spesso li stupisce anche il coinvolgimento del pubblico, un entusiasmo divistico che a loro suona estraneo per un artista ‘classico’ (vedi le folle estasiate per Pollini come se fosse Bruce Springsteen...); un entusiasmo tuttavia che spesso è contagioso, così magari i ragazzi si lasciano coinvolgere sulla fiducia!». Rosetti: «Anche il fatto di gridare “bravo” da parte di persone adulte è destabilizzante per i ragazzi... è l’emozione del momento reale del concerto e non della prova a loro riservata o tagliata su misura. Quello che non c’è nelle prove generali, per quanto utili, è proprio il clima, la mezz’ora che precede magari l’inizio di un’opera. Essere realmente in mezzo al pubblico e non insieme ai propri ‘simili’ cambia molto la prospettiva; il cellulare ovviamente va tenuto spento, ma quando i ragazzi sono tutti insieme l’atmosfera è completamente diversa. Dall’altra parte vi sono magari pregiudizi all’incontrario...». Grazia Resi: «Infatti disturba anche l’adulto che scarta costantemente e rumorosamente caramelle, o tossisce senza il minimo tentativo di limitarsi. Il fatto poi che i ragazzi siano in mezzo al pubblico li mette un po’ ‘in riga’, tuttavia ritengo che in questi ultimi anni abbiano essi stessi imparato a comportarsi meglio, siano un po’ entrati nella parte di ascoltatori responsabili». MI MUSICA INSIEME 15 MICO - Musica Insieme COntemporanea 2015 Con quattro concerti tra marzo e maggio, la X edizione di MICO allarga lo sguardo verso terre lontane, senza dimenticare il ricordo dell’Olocausto e l’omaggio alla grande tradizione barocca di Anastasia Miro P Storia e geografia rosegue con quattro concerti il cartellone di MICO – Musica Insieme COntemporanea, ripercorrendo il filo della memoria: lunedì 9 marzo 2015 vedrà il flautista Manuel Zurria, interprete tra i più apprezzati del repertorio contemporaneo, impegnato nell’originale recital Landscape with tears, dove le seicentesche Lachrimae di John Dowland saranno accompagnate da riprese video, e alternate a sette opere contemporanee. Il 30 marzo, protagonista sul palco dell’Oratorio di San Filippo Neri, che anche quest’anno ospita la rassegna, sarà il FontanaMIXensemble, oggi ufficialmente l’ensemble in residenza di MICO: Psalms and Night Prayers, questo il titolo, che fonde in sé Night Prayers di Giya Kancheli e Psalms di Justé Janulyté, compositrice lituana della quale verrà presentata la prima esecuzione assoluta di una nuova versione del suo Sandglasses. A concludere la rassegna, il 20 aprile, sarà una giornata ricca di eventi, ulteriore contributo di MICO al cartellone di Resistenza Illuminata, omaggio a Luigi Nono nel 70° anniversario della Liberazione. Due gli appuntamenti pomeridiani, in collaborazione con il Conservatorio “G.B. Martini”: alle 17 tre testimoni storici illustreranno la figura di Luigi Nono, alle 19 il violinista Enzo Porta eseguirà La lontananza nostalgica utopica futura del compositore veneziano. Chiuderà idealmente la giornata, e la rassegna, il concerto delle ore 20.30 in San Filippo Neri, in programma una nuova opera di Andrea Agostini, In forma di canzone d’amore, frutto del progetto EXITIME/Formazione e Ricerca, e nel finale il toccante oratorio A Survivor from Warsaw di Arnold Schoenberg, traManuel Zurria Musica Insieme COntemporanea 2015 X EDIZIONE Oratorio di San Filippo Neri (Via Manzoni 5) ore 20,30 2015 lunedì 9 marzo MANUEL ZURRIA flauto e video LANDSCAPE WITH TEARS Musiche di Dowland, Mazulis, Kurtág, Leach, Eötvös, Basinski, Janulyté, Shlomowitz 2015 mercoledì 18 marzo ANDREA BACCHETTI pianoforte IN MEMORIAM OMIZZOLO E FANO Musiche di Bach, Fano, Omizzolo, Hasse, Scarlatti 30 FONTANAMIXENSEMBLE marzo 2015 lunedì PSALMS AND NIGHT PRAYERS Musiche di Kancheli, Janulyté, Avital 20 Conservatorio aprile 2015 lunedì ore 17 “G.B. Martini” di Bologna CAMINAR ore 17 Incontro con Maddalena Novati, Marco Mazzolini e Gianni Di Capua ore 19 ENZO PORTA violino regia del suono a cura della Scuola di Musica Elettronica del Conservatorio Musiche di Nono in collaborazione con il Conservatorio „G.B. Martini‰ di Bologna 20 FONTANAMIXENSEMBLE aprile 2015 lunedì VOCI DELLA SCUOLA DI TEATRO “ALESSANDRA GALANTE GARRONE” ANNA MARIA SARRA soprano FRANCESCO LA LICATA direttore ⁄ AND THEY BEGAN SINGING Musiche di Nono, Olivero, Agostini, Schoenberg gica testimonianza di un rastrellamento nazista nel Ghetto della capitale polacca, con la partecipazione delle Voci della Scuola di Teatro “Alessandra Galante Garrone”. Al tema delle persecuzioni razziali si ricollega anche il recital di Andrea Bacchetti, mercoledì 18 marzo, dedicato a Silvio Omizzolo e Guido Alberto Fano, pianisti e compositori i cui destini sono legati alla Resistenza e all’Olocausto. Andrea Bacchetti ci racconta come queste due figure s’inseriscano nella tradizione della grande scuola pianistica italiana: «Penso che i tesori pianistici non si esauriscano tutti nella musica già molto conosciuta. La musica italiana misconosciuta dal barocco al Novecento storico ne è un esempio…» Quanto all’inserimento di Bach e Scarlatti in programma, prosegue Bacchetti: «Bach è il ‘Padre’ e lo ‘Spirito Santo’ insieme. Tutta la musica discende da lui, persino il pop o il jazz, per cui penso che ogni concerto debba iniziare con qualcosa di suo. In particolare qui si radunano alcune pagine giovanili e la Suite francese che fa da ponte con i pezzi di Fano e Omizzolo, ispirati alla Resistenza. Il Corale variato di Fano, poi, è articolato proprio come un corale bachiano. Infine Scarlatti fa sentire le radici della musica del Novecento storico italiano, che non sono solo nella grande musica mitteleuropea». MICO si realizza con il sostegno dell’Assessorato alla Cultura della Regione Emilia-Romagna, con il contributo della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna e della Cassa di Risparmio di Bologna, e con la sponsorship tecnica di SOS Graphics. ACQUISTO BIGLIETTI I biglietti saranno in vendita presso l’ORATORIO DI SAN FILIPPO NERI (Via Manzoni, 5 Bologna), il giorno del concerto a partire dalle ore 19. PREZZI: Posto unico € 10 Abbonati Musica Insieme, studenti Università e Conservatorio, possessori “Resistenza Illuminata Card” € 7 I VIAGGI DI MUSICA INSIEME Viaggi e cultura - Stoccolma 16-19 aprile 2015 Come ogni primavera da oltre vent’anni, Musica Insieme accompagna gli abbonati alla scoperta delle capitali europee, abbinando la visita della città all’ascolto di concerti prestigiosi. Prossima destinazione: Stoccolma D opo Bruxelles, Istanbul, Oslo e Copenhagen, sarà Stoccolma la prossima meta dei Viaggi di Musica Insieme. Come ogni anno infatti, anche questa primavera la nostra Fondazione organizza e realizza un viaggio culturale per gli abbonati e i sostenitori, accompagnandoli nella visita della capitale europea, e abbinando il viaggio a un importante concerto. La capitale della Svezia, che visiteremo dal 16 al 19 aprile, sorge su 14 isole che dal lago Mälaren si protendono a Oriente, sul Mar Baltico. Gli edifici e i palazzi, la ricca storia culturale e i musei raccontano le meraviglie di 700 anni di storia. La città vecchia racchiude tutta questa storia fra le stradine medievali, gli edifici ricurvi ma perfettamente conservati, il Palazzo Reale, le chiese gotiche e i bar, le caffetterie, i ristoranti e i negozi di oggettistica di design svedese. La partenza è prevista giovedì 16 aprile con volo di linea Lufthansa (via Monaco), e arrivo in serata a Stoccolma. La sistemazione dei nostri ospiti avverrà presso l’Hotel Hilton Stockholm Slussen, situato in posizione centrale tra il quartiere di Södermalm e la zona storica della città. La mattina di venerdì 17 aprile sarà dedicata alla visita guidata di Stoccolma, attraverso Gamla Stan, la pittoresca e caratteristica città vecchia con i suoi vicoli di acciottolato, la Piazza di Stortorget, la piazza più antica della città, il Palazzo Reale e il Municipio. 18 MI MUSICA INSIEME Con la direzione di John Storgårds, ascolteremo la Sinfonia n. 4 op. n. 90 di Felix Mendelssohn e, nella seconda parte, la Sinfonia n. 2 op. 43 di Jean Sibelius. Nella foto sopra: una veduta panoramica di Stoccolma. Sotto: la sala della Stockholms Konserthus, sede del concerto di venerdì 17 aprile. In basso: la Helsinki Philharmonic Orchestra L’appuntamento con la musica – da sempre tratto distintivo dei nostri viaggi – è fissato per la sera di venerdì 17, presso la Stockholms Konserthus, principale teatro per la musica sinfonica della città, dove ogni anno si tiene la consegna dei Premi Nobel: qui assisteremo al concerto della Helsinki Philharmonic Orchestra, compagine storica con alle spalle 130 anni di attività, prima orchestra professionistica ad essere nata nei Paesi Scandinavi. Sabato 18 aprile, la giornata si svolgerà tra la visita di Skansen, il più antico museo all’aria aperta del mondo che conserva 150 edifici originali provenienti da ogni parte della Svezia, e Vasa, dove è conservato l’ultimo vascello da guerra seicentesco rimasto al mondo. Nel pomeriggio sarà la volta del Palazzo Reale di Drottningholm, situato sull’isola di Lovö, palazzo ispirato ai modelli dell’architettura francese e olandese, fatto erigere dalla regina Eleonora nel 1662, considerato uno dei palazzi reali più suggestivi d’Europa. In serata è previsto il rientro a Stoccolma con giro in battello riservato sul lago Mälerenore, per poi trascorrere la serata nella capitale. Infine, domenica 19 aprile sarà dedicata a scelta o alla visita individuale della città, o all’escursione guidata a Sigtuna e Uppsala, pittoreschi centri storici tipicamente svedesi. Nel pomeriggio raggiungeremo l’aeroporto di Stoccolma, dove un volo Lufthansa (via Francoforte) ci riporterà a Bologna in serata. Per tutte le informazioni relative al viaggio è possibile rivolgersi direttamente alla segreteria di Musica Insieme (tel. 051 271932) oppure all’agenzia Uvet Pomodoro Viaggi di via Farini, 3 (tel. 051 6441011). VARIGNANA MUSIC FESTIVAL 2015 Dal 10 al 18 luglio, la II edizione del Festival organizzato da Musica Insieme per Palazzo di Varignana ospiterà alcuni fra i maggiori protagonisti del panorama internazionale, offrendo un palco d’eccezione per l’estate bolognese D Note d’estate opo il grandissimo successo della I edizione del Varignana Music Festival, il cui pubblico ha costantemente gremito la Sala Belvedere e gli spazi del Palazzo di Varignana Resort & SPA, la II edizione del Festival, in programma dal 10 al 18 luglio 2015, allargherà ulteriormente lo sguardo sui più interessanti protagonisti del panorama musicale internazionale, con nuove presenze e graditissime riconferme. Alcune anticipazioni, fra le tante novità in cartellone: innanzitutto, un testimonial straordinario qual è Mario Brunello, ad oggi il più celebre violoncellista italiano al mondo, sarà protagonista di una ‘carta bianca’ che animerà interamente le tre giornate d’apertura del Festival. Primo italiano nel 1986 a vincere il Concorso “Čajkovskij” di Mosca, Brunello è invitato dalle più prestigiose orchestre, dalla London Philharmonic alla NHK Symphony di Tokyo, all’Accademia di Santa Cecilia, diretto da Temirkanov, Abbado, Chailly, Pappano, Muti, Ozawa. Brunello presenterà alcuni progetti inediti che prevedono la collaborazione di numerosi artisti ospiti, fra cui si segnala il compositore Ezio Bosso, autore di musiche originali e dall’eccezionale impatto emotivo. Brunello animerà poi un’originale ‘conversazioneconcerto’ con Gustavo Zagrebelsky, giurista italiano già Presidente della Corte Alexander Romanovsky 20 MI MUSICA INSIEME Costituzionale, sull’interpretazione di due testi sacri come una sonata di Schubert e… la Costituzione. Altro special guest, in due recital tutti brahmsiani, sarà Julian Rachlin, violinista, violista e direttore d’orchestra fra i più acclamati, ed artista impegnato per l’educazione delle nuove generazioni (attivo dal 2010 anche come Ambasciatore UNICEF). Accanto a lui quello che è oggi il pianista più richiesto dai solisti di tutto il mondo: Itamar Golan, già al fianco di Mischa Maisky, Vadim Repin, Janine Jansen, ed ospite delle sale e dei festival più prestigiosi. Fra i testimonial di questa II edizione si riconferma poi un interprete d’eccezione qual è Alexander Romanovsky, vincitore ancora diciassettenne del prestigioso Concorso “Busoni” 2001, ed oggi pianista invitato dalle principali compagini, come Royal Philharmonic Orchestra o Filarmonica del Teatro alla Scala, diretto fra gli altri da Antonio Pappano e Vladimir Ashkenazy. Oltre ad esibirsi in duo con Mario Brunello, in un programma espressamente creato per il Varignana Music Festival che affiancherà una rara sonata di Lekeu all’unica Sonata di Rachmaninov per violoncello e pianoforte, Romanovsky sarà protagonista di un recital con la violoncellista statunitense Christine Walewska, già allieva del grande Gregor Pjatigorskij. Con lei Romanovsky presenterà un affascinante programma dedicato al tango – Christine Walewska è infatti dedicataria di numerosi arrangiamenti di Astor Piazzolla. Infine, un orgoglio tutto italiano come il Quartetto di Cremona sarà protagonista di due appuntamenti, fra cui il concerto conclusivo del festival, che lo vedranno esibirsi sia ‘in formazione’ che ‘a geometria variabile’, accanto a Brunello, Rachlin, Romanovsky. Tutti i concerti del Varignana Music Festival avranno inizio alle ore 20, e saranno seguiti da momenti conviviali e d’incontro con gli stessi artisti. II edizione 2015 venerdì ore 20 10 luglio MARIO BRUNELLO violoncello ALEXANDER ROMANOVSKY pianoforte Musiche di Lekeu, Rachmaninov 2015 sabato ore 20 11 luglio MARIO BRUNELLO violoncello QUARTETTO DI CREMONA Musiche di Schubert 12 ore 17 luglio 2015 domenica MARIO BRUNELLO GUSTAVO ZAGREBELSKY Dialogo sullÊinterpretazione e forse⁄ una Sonata di Schubert ore 20 MARIO BRUNELLO violoncello EZIO BOSSO pianoforte Musiche di Pärt, Bach, Cage, Messiaen, Bosso 13 JULIAN RACHLIN luglio 2015 lunedì ore 20 violino ITAMAR GOLAN pianoforte Musiche di Brahms 14 ITAMAR GOLAN luglio 2015 martedì ore 20 NATSUKO INOUE pianoforte a quattro mani Musiche di Schubert, Ravel, Brahms 15 ALEXANDER ROMANOVSKY luglio 2015 mercoledì ore 20 pianoforte Programma da definire 16 CHRISTINE WALEWSKA luglio 2015 giovedì ore 20 ALEXANDER ROMANOVSKY pianoforte violoncello Musiche di Piazzolla, Ginastera 17 JULIAN RACHLIN luglio 2015 venerdì ore 20 violino ITAMAR GOLAN pianoforte Musiche di Brahms 18 QUARTETTO DI CREMONA luglio 2015 sabato ore 20 JULIAN RACHLIN violino ALEXANDER ROMANOVSKY pianoforte Musiche di Schumann, Chausson L’INTERVISTA DOPPIA RAFAŁ BLECHACZ - YUNDI Un premio per due R I due pianisti si raccontano, dagli esordi musicali, entrambi curiosamente con un altro strumento, al Premio “Chopin”, che ha definitivamente indirizzato entrambi verso una strepitosa carriera di Cristina Fossati afał Blechacz e Yundi: due giovani pianisti, due artisti che hanno visto la propria carriera consacrarsi internazionalmente grazie alla vittoria della più antica e prestigiosa competizione pianistica internazionale. Il primo, infatti, si è aggiudicato il Primo Premio al Concorso “Fryderyk Chopin” di Varsavia nel 2005, il secondo nel 2000, primo artista in assoluto nel suo Paese ad aggiudicarsi questo concorso. Più che naturale allora cercare il confronto per poter capire cosa li differenzia e cosa li accomuna, al di là della grande passione per la musica. Quando ha cominciato ad appassionarsi alla musica, ed in particolare al pianoforte? Blechacz: «Da bambino, il mio desiderio più grande era suonare l’organo. E sull’organo, in particolare, suonare la musica di Johann Sebastian Bach. In casa comunque c’era un pianoforte. Così ho cominciato a suonare entrambi. Poi, eccomi a scuola di musica. Avevo cinque o sei anni. Da quel momento il pianoforte è entrato definitivamente nella mia vita». Yundi: «A tre anni ho iniziato a suonare la fisarmonica. A sette Rafał Blechacz 22 MI MUSICA INSIEME ho cominciato a frequentare una scuola di musica. Poi, in Accademia il pianoforte è diventato il mio sogno: è con il pianoforte che il mio cammino musicale ha preso forma. In seguito, ovviamente ho cominciato a cambiare uno strumento dopo l’altro, ma tutti i pianoforti su cui mi sono esercitato sono diventati comunque “il mio pianoforte”. Quando ne cambi uno, è ogni volta come lasciare una parte di te. Così accade pure ogni volta che suoni, non importa se si tratta dello strumento di un teatro o del tuo pianoforte». Quali sono stati i più importanti maestri (non solo in senso musicale) che ha incontrato nel suo percorso? Blechacz: «Pensando ai miei studi, due in particolare sono stati i miei maestri. Il primo è stato Jacek Polanski, il mio primo vero maestro di pianoforte una volta entrato alla Scuola di Musica “Artur Rubinstein” a Bydgoszcz. Il suo insegnamento era concentrato sullo stile classico, su Haydn e Mozart, ed è stato lui a portarmi alla vittoria del mio primo concorso, non a caso, forse, un concorso intitolato proprio a Bach. Poi ho incontrato Ekaterina Popowa-Zydroń. Con lei ho appreso molto sull’interpretazione e l’espressività, focalizzando i miei studi certo su Chopin, ma anche su autori, come Debussy, che secondo lei mi avrebbero aiutato ad interpretare meglio anche la musica di Chopin. Infine, dovrei citare tutte le persone importanti che ho incontrato, ed anche coloro che, come Rubinstein o Michelangeli, non ho ovviamente conosciuto, ma le cui incisioni mi sono state di grande ausilio». Yundi: «Sicuramente quei maestri che hanno creduto in me, che mi hanno spronato ad andare avanti. La mia famiglia, e mio padre in particolare, sono stati i miei primi insegnanti. Poi i docenti dell’Accademia di Shenzhen e tutti i musicisti dell’edizione del Concorso pianistico internazionale “Chopin”. Tutti costoro sono stati miei maestri sia in senso umano sia musicale. Per non parlare di Seiji Ozawa, Claudio Abbado, Valerij Gergiev, Riccardo Chailly, Daniel Harding. Credo che tutti coloro che danno attenzione al talento e ai sogni di un ragazzo possano essere considerati come suoi maestri. Chi dà una possibilità, chi è generoso e aiuta a costruire la vita di un bambino, che sia un padre, un nonno, un insegnante, un direttore d’orchestra, è sempre un maestro secondo me. La lezione più importante che ho ricevuto è di non lasciare mai nessuno da parte, per nessun motivo. Una lezione che non dimenticherò mai!». Lei ha vinto il Concorso pianistico internazionale “Chopin” di Varsavia, uno dei premi più prestigiosi per un pianista. Cosa ricorda di quel momento? Foto Chen Man Blechacz: «Una competizione davvero lunga e difficile, questo il mio ricordo. Rammento bene le sessioni di piano solo, nelle quali ho cercato di trovare lo stile giusto per eseguire mazurche e polacche. E poi l’ultimo round: il concerto con l’orchestra. In ogni caso, sono riuscito a restare concentrato su me stesso. Non ho guardato la TV, non ho letto i giornali, non ho cercato di avere informazioni su quanto stava accadendo al concorso, se non quelle che mi riguardavano. Il mio obiettivo era creare in me stesso il giusto equilibrio tanto nel cuore quanto nella mente, restando sempre e solo concentrato sulla musica che avrei dovuto suonare». Yundi: «Ricordo chiaramente quando ho vinto il concorso. Si è trattato davvero di un momento molto eccitante. Mi era chiaro che non avevo raggiunto il vertice, ma allo stesso tempo, mi era altrettanto chiaro che il destino mi stava dando la possibilità di seguire il mio percorso e di mostrare a me stesso se questa sarebbe stata la strada giusta per me. La sensazione che seguì alla vittoria ne fu in certo senso il segnale di conferma». Qual è, secondo lei, un compositore del passato o del presente da (ri)scoprire? Blechacz: «Sono sempre incuriosito da tutto il repertorio. In particolare, però, mi sto dedicando alla riscoperta della musica pianistica polacca, una produzione nella quale spiccano nomi importanti come quello della compositrice Grażyna Bacewicz. D’altronde, anche di autori più noti, come Karoł Szymanowski, molte opere debbono essere di fatto ancora riscoperte, ed è per questo che ho voluto introdurre alcune suoi lavori nelle mie incisioni discografiche». Yundi: «Io adoro tutti i compositori di musica classica. Mi odierei se parlassi di uno solo! Sarebbe come escludere gli altri e quindi non lo farò. A proposito degli autori contemporanei, credo che ci siano grandi talenti oggi in tutto il mondo. Sono sempre molto curioso di apprendere cosa stanno facendo, e sono convinto che i sentimenti, le esperienze, il genio e la cultura di persone così dotate illuminino gli altri esseri umani. Apprezzo ovviamente i compositori cinesi, anche quelli che scrivono canzoni popolari, magari cercando di dar nuova vita a quella che fu la nostra musica del passato». Cos’è importante, secondo lei, per un giovane artista che voglia costruire una solida carriera? Blechacz: «Credo che ciascuno di noi debba in primo luogo ascoltare se stesso, il proprio intuito, ciò che sente. Ogni artista ha, del resto, una sua specifica personalità, e quindi dev’essere in base a questa che deve cercare di trovare il giusto equilibrio tra gli impegni della sua professione e la vita privata. Detto questo, ovviamente deve sempre sviluppare il proprio repertorio, allargandolo, cercando di affrontare stili musicali diversi e compositori diversi, sempre però cercando di avere il tempo necessario per ottenere la giusta preparazione». Yundi: «Bisogna studiare tutti i giorni e tutto il giorno, se è possibile, avendo sempre fiducia nei propri insegnanti e senza mai smettere di essere umili. Inoltre è importante seguire master class e concerti di grandi interpreti. Non bisogna mai smettere di mettere un mattone sopra l’altro, e continuare a farlo sino alla fine della propria vita». Yundi Maestro Yundi, come descriverebbe il suo rapporto con gli ascoltatori? Nota particolari differenze tra il ‘suo’ pubblico in Cina e all’estero? Yundi: «Ovunque sono invitato ad esibirmi spero di instaurare un bel rapporto con il pubblico. Non c’è mai nulla di sicuro. Dal mio punto di vista io dò tutto me stesso, i miei sforzi e le mie energie sono focalizzati a comunicare con chi mi ascolta: questo è il punto focale, insieme alla musica. La psicologia e la sensibilità sono tutto per un musicista: saper suonare non serve a nulla se le emozioni non entrano in gioco. È importante conservare l’anima libera e trasparente in ogni momento. Per questa ragione, secondo me, in Cina o in Italia, o in ogni altro paese, il pubblico non è diverso. Io mi sento legato a tutti perché il pubblico è composto di persone che hanno espressamente voluto assistere al mio concerto e ascoltarmi. Le emozioni delle persone e la partecipazione umana sono uguali in tutte le parti del mondo». Maestro Blechacz, a Musica Insieme abbiamo invece avuto il piacere di ascoltarla più volte: qual è il suo ricordo di questi concerti, e più in generale del pubblico italiano? Blechacz: «In primo luogo rammento bene le sale: sia quella del Manzoni che il Teatro Comunale sono davvero ottime sale da concerto, dove ho sempre avuto a disposizione uno splendido pianoforte. In più, il pubblico mi è apparso sempre molto concentrato, sensibile e caloroso. Insomma, dei miei precedenti recital a Bologna ho davvero un bel ricordo. Così come del pubblico italiano in genere. Ogni volta ho vissuto una bella esperienza, sia sotto il profilo musicale, sia dal punto di vista personale, trascorrendo in Italia davvero dei bei momenti». MI MUSICA INSIEME 23 L’INTERVISTA DOPPIA ARIEL ZUCKERMANN - NING FENG Passione e rigore n triplo debutto a Bologna: il concerto del 13 aprile sarà l’occasione per ascoltare per la prima volta in città sia la celebre orchestra dei Münchner Symphoniker, fra le principali compagini tedesche, sia il suo direttore, l’israeliano Ariel Zuckermann, e il violinista cinese Ning Feng. I due, del resto, l’Italia la conoscono bene (Feng peraltro ha conseguito il Primo Premio al Concorso “Paganini” di Genova) e la amano per quella commistione di rigore e ‘saper vivere’, che risuona anche nella sua musica. Percepisce qualche differenza nel modo di fare e fruire la musica nei diversi paesi in cui regolarmente si esibisce? Com’è in particolare il suo rapporto con il pubblico italiano? Zuckermann: «Ho diretto a Milano l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, a Bolzano l’Orchestra Haydn (una nuova collaborazione di questa Stagione) e a Palermo, ma sarà la prima volta che mi esibisco a Bologna. Certo, le differenze tra i paesi si sentono anche nelle rispettive orchestre… tuttavia la musica è un linguaggio così internazionale che non porrei confini. Da israeliano sento comunque con forza la mentalità ‘meridionale’ che ci accomuna agli italiani, quindi amo molto lavorare nel vostro paese, per il calore e l’energia della gente, e per quell’apertura che mi ricorda appunto la terra dove sono cresciuto». Feng: «Credo che in Italia valga un po’ la regola “prima il piacere e poi il dovere” (il che non toglie che lavoriate duramente), mentre in Germania è il contrario: prima il lavoro, poi il piacere. Ho un carissimo amico, il pianista Roberto Giordano, che vive fra il Belgio e la Calabria (abbiamo tenuto oltre cinquanta concerti in duo!), e di lui ho apprezzato quella personalità, quello stile di vita tutto italiano, quella capacità di godere della vita, pur non esimendosi dal lavorare con grande impegno». da ciascuno di loro qualcosa di diverso e di davvero speciale». Parafrasando una famosa affermazione di Mischa Maisky: Ning Feng è nato in Cina, ha studiato a Londra e vive a Berlino. Oltre a ciò, suona uno strumento italiano. Maestro Feng, dove si sente a casa, e quanto contano le radici nella sua attività? Feng: «È una domanda molto difficile perché ho avuto quattro importantissimi insegnanti di violino, ed i primi tre sono tutti cinesi. Il terzo di loro l’ho conosciuto peraltro quando studiavo a Londra, quindi ho studiato in Europa con un violinista cinese… poi il mio quarto maestro, tedesco, l’ho avuto in Germania. Devo a tutti loro quello che sono diventato. Il violino, da parte sua, è nato in Italia e la musica occidentale proviene principalmente dall’Europa, quindi anche dalla vita delle persone che l’hanno prodotta. Il fatto che io abbia studiato e viva ancora in Europa ha influenzato sicuramente quello che sono oggi». Foto Felix Broede U Nelle parole dei due artisti, al loro debutto per Musica Insieme, emerge l’amore per l’Italia, apprezzata sia per la sua ricchezza artistica, sia per il calore e l’energia che la contraddistinguono di Valentina De Ieso Maestro Zuckermann, lei è stato fra l’altro assistente di Iván Fischer con la Budapest Festival Orchestra, che ha poi anche diretto. Quali sono gli insegnamenti che ritiene più preziosi per la sua formazione musicale? Zuckermann: «Il periodo trascorso con Iván Fischer è stato certamente grandioso, ma ho avuto meravigliosi insegnanti sin dall’infanzia. È stata proprio la mia prima maestra di pianoforte, all’età di cinque anni, ad infondermi l’amore per la musica. Non posso poi trascurare lo studio con Bruno Weil a Monaco, o con Jorma Panula, che è una vera leggenda, all’Accademia Reale di Stoccolma. Non sento di avere un ‘guru’ in particolare, ma sono stato molto fortunato ad incontrare una serie di grandi insegnanti, potendo così acquisire 24 MI MUSICA INSIEME Ariel Zuckermann Foto Lawrence Tsang nosciuto: di lui si ascoltano molte opere, ma altrettante non sono adeguatamente programmate». Maestro Feng, lei si è aggiudicato il Primo Premio al Concorso “Paganini” di Genova, e del genovese eseguirà il Primo Concerto: deve trattarsi di un autore molto importante per la sua attività artistica… Feng: «C’è un aspetto di Paganini che amo particolarmente, ed è il carattere operistico delle sue melodie. Il che può anche suonare naturale, essendo italiano… ma proprio in lui ritrovo quel piacere che non esclude il lavorare sodo di cui parlavo prima: tecnicamente i suoi lavori sono ardui, soltanto che accanto alla tecnica c’è una miracolosa naturalezza, una melodia lirica che sgorga spontanea come un’aria d’opera. Semplicemente meraviglioso. Il suo Concerto è splendido, concepito per l’idioma e la tecnica violinistica, e tuttavia ha una cantabilità quasi vocale». A proposito di autori ingiustamente dimenticati: ci fareste qualche esempio? Ning Feng Come definirebbe il suo collega nel concerto per Musica Insieme? Zuckermann: «Abbiamo già suonato insieme molte volte. Personalmente considero Ning Feng un violinista, e soprattutto un musicista, straordinario. L’ultima volta ci siamo esibiti in Francia, a Montpellier, quando abbiamo eseguito la Serenata di Bernstein». Feng: «Proprio nella Serenata di Bernstein per violino, archi, arpa e percussioni credo emerga la bravura di un direttore come Zuckermann: si tratta infatti di un brano molto impegnativo metricamente per chi deve guidare l’orchestra, una grande sfida che Ariel Zuckermann ha vinto con la sua estrema chiarezza, e sostenendo in maniera naturalissima me (che ho una parte molto ‘fisica’) e l’ensemble». Il programma che presenterete a Musica Insieme è ‘classico’ ma originale, accostando a Paganini e Haydn due autori come Berwald e Kraus, non propriamente noti ai più… Zuckermann: «Credo che Berwald sia un autore ingiustamente negletto: soprannominato “il Mendelssohn svedese”, vanta ben poche incisioni e poche esecuzioni delle sue pur pregevoli composizioni. Anche il tedesco Kraus, che è vissuto all’incirca gli stessi anni di Mozart (1756-1792), è stato attivo in Svezia. Entrambi sono caduti nell’oblio malgrado abbiano lasciato dei lavori bellissimi. Paganini non necessita di presentazioni, come pure Haydn, che è fra i miei autori preferiti. Tuttavia a mio avviso anche Haydn è in certo modo un compositore sco- Zuckermann: «Ce ne sono così tanti… risponderò ancora Haydn. Andrebbe suonato di più, le sue sinfonie sono note solo per metà. Tutti lo conoscono, ma i suoi lavori non sono così familiari al pubblico come dovrebbero». Feng: «Citerò anch’io un compositore assai famoso, ma a mio parere non abbastanza, specie per il mio strumento: Luciano Berio, un genio. Le Sequenze che ha scritto per i singoli strumenti sono meravigliose, ma vorrei ricordare anche i suoi 34 Duetti per due violini (1979-83): è incredibile quante idee affascinanti abbia potuto sviluppare; meno di un minuto, questa la durata di ciascun Duetto, eppure ognuno è un mondo a sé. Berio dovette scrivere un testo per spiegare l’essenza dei Duetti, ma ritengo che quando la musica funziona non vi sia bisogno di spiegazioni. In fondo Mozart non ha mai dovuto spiegare la propria musica!». Non solo direttore ma anche flautista: Maestro Zuckermann, con l’ensemble Kol-Simcha avete eseguito per decenni anche il repertorio klezmer. Zuckermann: «Sì, credo peraltro che ogni direttore dovrebbe saper suonare uno strumento, per mantenere anche la pratica strumentale: del resto un direttore senza orchestra non è niente, e deve per questo tenere sempre a mente e rispettare l’impegno richiesto dal suonare uno strumento. Venendo al mio ensemble (Kol-Simcha significa “voce di gioia”), l’ultimo progetto che abbiamo realizzato è un CD con la London Symphony Orchestra; ho imparato tantissimo da questo ensemble, e dirigere quest’incisione insieme a loro e alla London Symphony è stato prezioso. Del resto, allargare i propri orizzonti, sperimentare nuove vie, essere curiosi ci arricchisce come persone e come artisti». Maestro Feng, lei imbraccia un magnifico Stradivari del 1721: come definirebbe la ‘voce’ di questa leggendaria scuola di liuteria? Feng: «I violini Stradivari sono l’equilibrio perfetto di ogni cosa riguardi il violino. Altri strumenti, come i Guarneri del Gesù, non saranno perfetti come gli Stradivari, ma restano comunque meravigliosi. Del resto gli artisti non sono perfetti: quindi il carattere, per quanto imperfetto, del Gesù non ha nulla da invidiare allo Stradivari. Anzi, forse lo Stradivari è sin troppo perfetto per essere affidato alle mani di un essere umano!». MI MUSICA INSIEME 25 L’INTERVISTA RINALDO ALESSANDRINI Mille e uno stile Il celebre clavicembalista, sul palco di Musica Insieme il 27 aprile alla guida del ‘suo’ Concerto Italiano, ci offre un raffronto tra Bach e Vivaldi di Fabrizio Festa R inaldo Alessandrini è ormai da molti anni tra i protagonisti della scena internazionale della musica antica e barocca. Più che naturale allora cercare di fare il punto della situazione, tanto più che il programma che presenterà per i nostri Concerti s’incentra sul binomio Vivaldi/Bach, le cui opere sono state fin dagli inizi al centro della renaissance di quel tipo di musica. Da quando tutto è cominciato son passati una quarantina d’anni, forse più. Possiamo fare oggi un bilancio? «Certamente sì. È stata una vicenda al tempo stesso semplice e complessa. Quarant’anni di storia, dal mio punto di vista, son serviti a mettere le cose al loro posto. Del resto, i primi trenta sono stati necessari per razionalizzare un’esigenza, che sentivamo tanto io personalmente quanto molti degli altri musicisti con i quali ho avuto la fortuna di suonare. Tale esigenza si potrebbe sintetizzare così: bisognava ricollocare questo repertorio in una cornice prima di tutto musicalmente adeguata. Dopo i primi momenti, in cui ci si è mossi un po’ a tentoni, quasi per sentito dire, magari copiando dai primi dischi in circolazione, le cose han cominciato a organizzarsi con maggior metodo e coerenza. Oggi le informazioni a proposito di questo repertorio sono tali e tante che per affrontare un’esecuzione si è viceversa costretti a fare una sorta di sintesi, pur non tralasciando certo quanto abbiamo appreso e ancora stiamo imparando». Si può ancora oggi parlare di scuole interpretative nazionali, magari rinverdendo i fasti di una contrapposizione, quella tra italiani e tedeschi, che par proprio essere endemica anche all’epoca dell’Europa unita? «Parlare d’Italia guardando alla musica antica e barocca significa in realtà far riferi26 MI MUSICA INSIEME mento a tre filoni musicali completamente diversi: quello veneziano, quello napoletano e quello romano. Certo tra questi filoni sono rintracciabili commistioni ed intrecci, ma Venezia, Napoli e Roma sono state capitali indipendenti non solo dei loro stati, ma anche dal punto di vista musicale. Quindi, se pensiamo ad una musica “italiana”, credo che il trait d’union potrebbe essere individuato nell’unione strettissima fra testo e musica. Un dato questo che riscontriamo non solo ovviamente nella produzione vocale, ma anche in quella strumentale, che subisce l’influenza dei modelli che caratterizzano la musica vocale, quest’ultima composta quasi sottintendendo un testo. Dunque, se volessimo parlare di una musica “italiana”, potremmo dire che questa si distingue da altre produzioni coeve in Europa per il suo legame strettissimo con le formule della retorica. Allargando l’orizzonte, potremmo dire che tutta la musica strumentale settecentesca deriva dal vocabolario del teatro d’opera. Affrontarla in concerto implica l’aver avuto a che a fare con un li- bretto d’opera. Da qui forse la particolare brillantezza dello stile italiano, uno stile basato in verità sul principio di contrapposizione. Brillantezza certamente, ma anche gravitas. Non solo, quindi, pizza e mandolini, ma anche lentezza e profondità, la gravitas ingrediente fondamentale dello stile italiano». Bach e/o Vivaldi? «Non è facile per un interprete italiano oggi eseguire la musica di Bach. Basti pensare alla lingua, che ci pone problemi precisi. In tedesco le consonanti suonano, ad esempio, in un modo specifico, così come in italiano le vocali. La maniera di pronunciare una parola si trasferisce nel modo di suonare, nelle articolazioni, nella lunghezza dei suoni. Poi c’è la differenza tra le personalità. Vivaldi ha fatto ciò che Bach non ha mai fatto. L’ego vivaldiano si trasferisce direttamente nelle sue partiture, che hanno di conseguenza una struttura gerarchica evidente, dove un ego appunto predomina su tutti gli altri. Bach, al contrario, mira all’integrazione di tutte le parti, ottenendo una sorta di democrazia nella sua costruzione musicale. Peraltro, Bach era affascinato dalle possibilità che la struttura gerarchica dello stile italiano offriva, e quando poteva ne adottava lo spirito, l’estroversione, ad esempio, nel caso delle trascrizioni da Vivaldi. Quest’ultimo era a sua volta uomo pragmatico, come lo deve essere chi lavora per il teatro, e quindi è costretto a guidare una sorta di azienda, differentemente da Bach che era tutto sommato uno stipendiato. Oggi Vivaldi rappresenta quel carattere un po’ effimero, non imbrigliabile dell’invenzione. Lontano da qualsiasi sclerotizzazione della scrittura. Mentre la lingua di Bach è una sola, Vivaldi è l’inventore dei mille e uno stile». L’INTERVISTA MARIANGELA VACATELLO Italiani nel mondo La straordinaria pianista partenopea, chiamata a concludere la Stagione di Musica Insieme con il Secondo Concerto di Beethoven accanto alla Prague Chamber Orchestra, racconta con passione e profondità la propria professione di Fulvia de Colle F ra i tanti riconoscimenti ricevuti, essere insignita a soli ventitre anni del Premio “Giuseppe Verdi: la musica per la vita” significa molto: significa che la musica per Mariangela Vacatello è davvero la missione di una vita, il pianoforte sempre accanto (quasi una sua diramazione, come mostrano non senza ironia molte foto dell’artista), tra sfide tecniche stimolanti e una passione che sa contagiare anche con le parole. pena di focalizzarsi un poco di più sulla nostra musica, come fanno tra gli altri pianisti come Lang Lang [o Yundi nel cartellone di Musica Insieme, ndr], che eseguono lavori della propria tradizione nazionale…». Incominciamo dall’inizio: Mariangela Vacatello, partenopea, si forma a quella che è senza dubbio la migliore scuola pianistica italiana, l’Accademia “Incontri col Maestro” di Imola… «Ritengo che un esecutore non possa prescindere dalla musica d’oggi, mentre a volte il pubblico ha bisogno di un po’ di tempo per metabolizzarla. Tuttavia il linguaggio dei compositori di oggi fa parte del nostro mondo: l’autore vede, vive, sente, filtra quello che accade intorno a sé, e quello che ne scaturisce è una sorta di giornale, una testimonianza viva del nostro presente che sta agli esecutori scoprire e portare alla luce – naturalmente a seconda della propria sensibilità. Nel mio caso è cominciata proprio con Fedele: ho eseguito in America con successo i suoi Studi boreali; poi nella Stagione 2012/13 ho portato in tournée il mio Twilight Project, con brani che andavano da Ravel ai due Notturni crudeli di Sciarrino (scritti praticamente ieri, nel 2009…). Ho scelto questi brani per un mio studio personale sullo stile, sui colori, sui tocchi». «Certo la mia formazione principale si è svolta all’Accademia, dove sono entrata a soli undici anni, per terminare a venti. Lì ho incontrato grandi insegnanti provenienti da tutto il mondo, oltre naturalmente ai miei maestri, Franco Scala e Riccardo Risaliti (con il quale mi sono poi diplomata al Conservatorio di Milano). Ma dal momento che mi ha definito “partenopea”, vorrei aggiungere che il mio primo insegnante, cui devo la mia impostazione anche tecnica dai sette agli undici anni, è stato Aldo Tramma, a sua volta già allievo di Vincenzo Vitale. Quindi mi è andata piuttosto bene, potendo trarre profitto dalle due maggiori scuole pianistiche italiane, quella napoletana e quella dell’Accademia imolese». Lei sente in qualche modo la ‘forza delle radici’ italiane nella sua professione? «Io credo che chiunque si accosti alla musica debba prima o poi fare i conti con la nostra tradizione, essendo l’Italia uno dei paesi in cui la musica è stata una costante attraverso i secoli, pur nelle inevitabili oscillazioni. Per questo ritengo che valga la A Musica Insieme l’abbiamo ascoltata in recital nel 2011 con un programma impegnativo, che a Liszt e Prokof’ev affiancava Ivan Fedele. Che posto ha la contemporanea nelle sue scelte? forma che adoro, può andare dalla miniatura fino alla durata di oltre un’ora, contenendo in sé oltre all’elemento tecnico molte sfaccettature dell’autore. Uno dei tre cicli, posso anticiparlo, è già in corso e riguarda l’integrale di Alberto Ginastera, di cui ricorreranno nel 2016 i cento anni dalla nascita. Sto terminando l’incisione, che uscirà a fine 2015». Per l’appuntamento conclusivo di Musica Insieme eseguirà il Secondo Concerto di Beethoven, pietra miliare del genere... «Ho già in repertorio tutti i Concerti di Beethoven… e ho suonato il Quarto più di qualsiasi altra opera, insieme forse agli studi di Liszt. Quindi sono pronta per l’integrale! Venendo al Secondo, è un concerto molto fresco, con un meraviglioso cantabile nel secondo movimento e un tema di rondò finale che s’imprime nella memoria». Gli studi sono al centro delle sue più recenti incisioni: c’è una particolare ricerca in queste scelte? «È iniziata per caso con l’incisione degli Studi trascendentali di Liszt, un mio amore di gioventù, e sta diventando ormai un punto centrale, almeno per qualche anno, nel mio lavoro di incisione. Dopo Liszt e Debussy posso anticipare che sono in cantiere almeno tre cicli di studi, con l’intenzione di creare una raccolta che poi potrà ampliarsi nel tempo. Lo studio è una MI MUSICA INSIEME 29 I LUOGHI DELLA MUSICA Scatti d’arte In mostra presso la Gallery della Fondazione MAST, gli scatti inediti di Emil Otto Hoppé, che alle immagini della seconda rivoluzione industriale affianca ritratti di ballerini e coreografi russi di Maria Pace Marzocchi L a mostra in corso alla Gallery della Fondazione MAST – l’istituzione culturale, filantropica e museale voluta dall’imprenditrice Isabella Seragnoli e inaugurata nel 2013, che conta anche un auditorium con 420 posti – presenta 190 scatti fino ad ora inediti di fotografie industriali di Emil Otto Hoppé (Monaco di Baviera 1878 – Londra 1972), che, famosissimo negli anni Venti e Trenta del Novecento, fu poi quasi dimenticato dopo che nel 1954 decise di ritirarsi e di vendere le fotografie di un cinquantennio di attività ad un archivio londinese. Tutto il materiale fu inventariato, ma ordinato per soggetto: le circa 6.000 stampe di Hoppé finirono quindi tra milioni di altre immagini, così che l’opera perdette la sua integrità e il suo nome venne pressoché cancellato, anche se le immagini potevano essere settorialmente consultate: sotto le cartelle New York, India, Australia, Gran Bretagna… Nel 1994 il Fondo Hoppé fu acquisito dalla Curatorial Assistance di Graham Hove, società di servizi museali californiana specializzata in fotografia che diede avvio alla riorganizzazione e digitalizzazione di tutto il materiale, e in seguito a pubblicazioni e mostre. Le fotografie esposte nello spazio continuo ed inclinato della Gallery mostrano immagini della seconda rivoluzione industriale realizzate fra il 1912 e il 1937 in diversi paesi del mondo: Inghilterra e Germania, Stati Uniti, Australia, India… in uno straordinario connubio tra paesaggio e fabbrica: gli edifici, le macchine, gli uomini che le azionavano, in un intenso eppure morbido e soffuso bianco e nero. Ma per dare conto della poliedricità di Hoppé (iniziò nel 1902 dapprima come ritrattista poi come reporter di viaggi), al piano terreno del MAST è allestita una sorta di grande camera oscura che proietta senza soluzione di continuità 240 immagini scandite per argomenti, dai ritratti ai nudi alla vita quotidiana alle fotografie di viaggio, alla sequenza dei 40 fotogrammi dei Ballets Russes di Sergej Djagilev, di cui Hoppé fu fotografo ufficiale per le stagioni londinesi. L’incontro con l’impresario russo data al 1896, ma il rapporto professionale all’estate del 1911, quando la compagnia di danza, attiva dal 1909 al ’29, tenne i primi spettacoli a Londra due anni dopo gli esordi a Parigi, cui seguirono tournées in tutta l’Europa e negli Stati Uniti. Ai balletti con musiche di autori ormai classici come Chopin, Schumann, Borodin, Djagilev alternò spettacoli con partiture da lui stesso commissionate a musicisti d’avanguardia. Eclatante il caso, nel 1910, de L’Oiseau de Feu del giovanissimo e quasi sconosciuto Stravinskij, di colpo assurto alla notorietà, che nel 1911 avrebbe composto Petruška e nel ’13 Le Sacre du Printemps, mentre nel 1912 andò in scena L’Après-midi d’un Faune di Debussy con le coreografie di Vaclav Nižinskij. Le scene e i costumi, dove esotismi orientali si mescolavano alle rivoluzionarie forme delle avanguardie (nel 1909 Il Principe Igor di Borodin e Cléopâtre di A destra: Hubert Stowitts nell’assolo della Danza Inca in La Péri, 1922. In alto:Tamara Karsavina come Uccello di Fuoco e Adolph Bolm come Ivan Zarevič ne L’Oiseau de Feu, 1911 30 MI MUSICA INSIEME Arenskij, nel ’10 Shéhérazade di RimskijKorsakov…), erano ideati e disegnati da Léon Bakst, Picasso, Matisse, De Chirico, Braque, Derain. Coreografi e ballerini provenivano quasi tutti dal Bol’šoj e dal Mariinskij: Michel Fokine – il primo coreografo della compagnia – e Vera Fokina, Anna Pavlova, Lydia Lopokova, Adolph Bolm, Lubov Tchernicheva, Léonide Massine… Tamara Karsavina come Uccello di Fuoco e Bolm come Ivan Zarevič nell’Oiseau de Feu (1911), Vera Fokina come Zobeide e Massine come Schiavo d’Oro in Shéhérazade (1914), Tamara Karsavina come Pimpinella in Pulcinella (1920), Hubert Stowitts nell’assolo della danza Inca in La Péri del 1922. Emil Hoppé li ha fissati e restituiti al suo pubblico e a noi nella tensione dei movimenti, nell’icasticità dell’interpretazione, nell’oltranza rivoluzionaria dei bellissimi costumi ‘modernisti’. EMIL OTTO HOPPÉ. IL SEGRETO SVELATO Fotografie industriali 1912-37 Fondazione MAST – Gallery Via Speranza, 42 - Bologna 21 gennaio - 3 maggio 2015 I CONCERTI marzo/maggio 2015 Lunedì 2 marzo 2015 AUDITORIUM MANZONI ore 20.30 RAFAŁ BLECHACZ....................................pianoforte Musiche di Bach, Beethoven, Chopin Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna Lunedì 16 marzo 2015 AUDITORIUM MANZONI ore 20.30 YUNDI.......................................................................pianoforte Musiche di Chopin, Liszt, tradizionale cinese Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Musica per le Scuole” Lunedì 23 marzo 2015 AUDITORIUM MANZONI ore 20.30 KRYSTIAN ZIMERMAN.........................pianoforte Programma da definire Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna Lunedì 13 aprile 2015 AUDITORIUM MANZONI ore 20.30 MÜNCHNER SYMPHONIKER NING FENG.......................................................violino ARIEL ZUCKERMANN...........................direttore Musiche di Kraus, Paganini, Berwald, Haydn Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna Lunedì 27 aprile 2015 AUDITORIUM MANZONI ore 20.30 CONCERTO ITALIANO MONICA PICCININI.................................soprano LAURA PONTECORVO...........................flauto RINALDO ALESSANDRINI................clavicembalo e direttore Musiche di Bach, Vivaldi Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Musica per le Scuole” Lunedì 11 maggio 2015 AUDITORIUM MANZONI ore 20.30 PRAGUE CHAMBER ORCHESTRA MARIANGELA VACATELLO...................pianoforte Musiche di Janáček, Beethoven, Barber, Dvořák Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna Per ulteriori informazioni rivolgersi alla Segreteria di Musica Insieme: Galleria Cavour, 2 - 40124 Bologna - tel. 051.271932 - fax 051.279278 [email protected] - www.musicainsiemebologna.it Lunedì 2 marzo 2015 Cantabilità e pathos Il pianista polacco, vincitore del prestigioso Concorso “Chopin”, torna a Musica Insieme con un intenso programma che percorre la storia del pianoforte di Francesco Corasaniti « Di principi ce n’è e ce ne saranno ancora migliaia, di Beethoven ce n’è uno solo». Parole forti, soprattutto perché pronunciate quando i musicisti non avevano ancora dismesso la livrea, e tanto più perché a dar loro voce non è un ammiratore del compositore tedesco, ma lui stesso, rivolto ad uno dei suoi più prodighi mecenati, il principe Lichnowsky. I rapporti stavano cominciando a deteriorarsi e di lì a pochi mesi, siamo nel 1806, si arrivò al punto di non ritorno: Beethoven rifiutò di esibirsi davanti ad illustri ospiti del principe e lasciò la sua residenza. Musicista dilettante, il principe aveva preso sotto la sua ala il giovane Beethoven, che nel 1799 gli dedicò la Sonata per pianoforte in do minore op. 13. Era questo un periodo di febbrile attività, ma allo stesso tempo di profonda sofferenza, dovuto al peggioramento delle condizioni di salute, che lo portarono progressivamente a una irreversibile perdita dell’udito. Il nome con cui la Sonata è passata alla storia, Patetica, diversamente dai tanti altri apocrifi, uno su tutti Al chiaro di luna, è stato attribuito dall’editore in accordo con Beethoven. L’intento dell’editore era quello di rendere più accattivante l’opera, ma il nome è comunque calzante: la Sonata è ricca di pathos, ed infatti lo stesso Beethoven non disdegnò di farne dono a una donna amata, Josephine Deym. Dopo il Grave. Allegro di molto e con brio, segue l’Adagio cantabile, il cui nobile tema, divenuto celeberrimo, assume il respiro tipico di un’aria da opera seria. Limpida ed al contempo LUNEDÌ 2 MARZO 2015 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30 RAFAŁ BLECHACZ pianoforte Johann Sebastian Bach Concerto Italiano BWV 971 Ludwig van Beethoven Sonata in do minore op. 13 – Patetica Fryderyk Chopin Notturno in mi maggiore op. 62 n. 2 Tre Valzer op. 64 Tre Mazurke op. 56 Polacca in fa diesis minore op. 44 Introduce Alessandro Taverna. Si occupa di cronache musicali su riviste e quotidiani, fra cui le pagine bolognesi del Corriere della Sera profondissima, la melodia assume le sembianze del dolore più straziante. E se la Sonata di Beethoven meritò il titolo di Patetica, alla Polacca in fa diesis minore op. 44 di Chopin toccò addirittura quello di Tragica. Dedicata alla principessa Ludmilla de Beauveau, membro di spicco della comunità polacca a Parigi, fu composta e pubblicata nello stesso anno, il 1841. La Polacca, tripartita, presenta nella sezione centrale la peculiare reiterazione di un singolo accordo, che con il suo effetto percussivo simula una sorta di grandioso fraseggio di carattere militare. Nell’uso sapiente di sezioni contrastanti e di melodie cantabilissime si intravede la dimestichezza di Chopin con l’opera italiana. Nel 1847 il compositore polacco diede invece alle stampe i Tre Valzer op. 64, gli ultimi pubblicati in vita. Per la loro brevità, più che danze vere e proprie, paiono riflessioni interiori poste in musica. Dedicatarie sono tre donne: il primo Valzer (Molto vivace) fu dedicato alla contessa Delphine Potocka, allieva e confidente di Chopin, nonché sorella di Ludmilla, il secondo (Tempo giusto) alla baronessa De Rothschild, il terzo e ultimo (Moderato) alla contessa Catherina Branicka. Il Valzer n.1, detto anche Valzer del Minuto per la sua brevità, è caratterizzato da morbidi accordi di sostegno a una melodia agitata, di sapore virtuosistico, a cui fa seguito una parte lenta fino al rapidissimo finale. Raffinato e prezioso, il Valzer suscitò gli entusiasmi del colto ed elegante pubblico parigino dell’epoca. Il secondo è tra i più famosi del compositore e riflette efficacemente la dualità della sua situazione: da una parte i salotti parigini, ritrovo d’intellettuali, dall’altra il pensiero sempre rivolto alla dura realtà della sua Polonia, invasa dalla Russia. È una musica languida, interiore, che alterna una melodia struggente a veloci passaggi in cui però un velo di tristezza rimane sempre latente. Infine, l’ultimo Valzer è caratterizzato da una sognante delicatezza, pura espressione di perfetto equilibrio strutturale e armonico in cui appare una sorta di dialogo tra le voci. Oltre ai valzer, Chopin sperimentò e rielaborò anche altre forme di danza, tra i quali alla mazurka spetta un posto d’onore. Negli ultimi anni di vita del compositore, una delle figure più presenti fu l’allieva Jane Sterling, la cui amica, Katharina Maberly, fu dedicataria delle Tre Mazurke Lo sapevate che... Al termine del Concorso “Chopin”, Piotr Paleczny, che sedeva in giuria, ha detto: «Blechacz era così superiore da impedire l’assegnazione del secondo premio agli altri finalisti» 32 MI MUSICA INSIEME Rafał Blechacz DA ASCOLTARE Soprattutto Chopin tra le sue registrazioni recenti. Il che per un vincitore del “Varsavia”, ovvero del premio pianistico intitolato proprio a Chopin, parrebbe del tutto naturale. Dunque, Rafał Blechacz, che incide per la Deutsche Grammophon, al celebre conterraneo ha dedicato la maggior parte delle sue fatiche discografiche. Nel 2014 è uscita infatti la sua versione dell’integrale dei Preludi. Un’incisione importante, che dice molto dell’originale interpretazione chopiniana proposta da Blechacz, e che d’altronde deve confrontarsi con quelle storiche, realizzate dai grandi pianisti del passato. L’anno prima era toccato ad un’antologia delle polacche. Nel 2012, invece, aveva affrontato Debussy e Szymanowski, dando vita a due interessanti CD. Debussy che, proprio come racconta lo stesso Blechacz nell’intervista contenuta in queste pagine, è il compositore che egli ha più studiato per trovare il modo corretto di interpretare Chopin, mentre Szymanowski, ed è sempre Blechacz a dircelo, è parte integrante di quella sua ricerca personale alla riscoperta della produzione musicale polacca. prepotentemente l’eco della cantabilità italiana, lo stesso non può certo dirsi di un compositore tanto pienamente tedesco quanto Bach, emblema stesso del contrappunto e della più articolata struttura formale. Eppure, ascoltando il suo Concerto Italiano in fa maggiore BWV 971, si percepisce la dimestichezza con Marcello o Vivaldi. Scritto per clavicembalo nel 1735, fa parte della seconda Vincitoredinumerosiconcorsiinternazionali,Rafał Blechacz si è affermato a livello mondiale vincendo all’unanimità la 15ª edizione del Concorso “Chopin” di Varsavia e conquistando anche i tre premi speciali: il Premio della Radio Polacca per la “miglior esecuzione di mazurche”, il Premio della Società Polacca Chopin per la “miglior esecuzione di polacche” e il Premio dellaFilarmonicadiVarsaviaper“lamigliore esecuzione concertistica”, oltre alpremioistituitodaKrystianZimerman per “la miglior esecuzione di sonate”. La vittoria di Varsavia nel 2005 gli ha apertoleportedellepiùimportantisale da concerto del mondo, sale in cui ormaisuonaregolarmente,fracuiRoyalFestivalHalleWigmoreHalldiLondra, Philharmonie di Berlino e Avery Fisher Hall di New York. Nel maggio 2006 Blechacz ha firmato un contratto in esclusiva con la DGG, secondo artista polacco dopo Krystian Zimerman, e nel 2010 ha ricevuto il Premio Internazionale dell’Accademia Chigiana di Siena. parte della Clavier-Übung, preziosa raccolta di composizioni per strumento a tastiera, compendio di stili e forme dell’epoca. Il Concerto appare come espressione dell’idea bachiana di riproposizione di un concerto per clavicembalo e orchestra (con citazioni del modello vivaldiano), tramite l’uso delle due tastiere del clavicembalo. L’alternarsi del forte e del piano ripropone con sapiente maestria il contrasto tra il “tutti” orchestrale e lo strumento solista. Suddiviso in tre movimenti, è concluso dal celebre Presto, con un motivo ascendente vorticoso e impetuoso, che riascoltiamo in svariate tonalità, alternato ad episodi solistici. MI MUSICA INSIEME 33 Foto Felix Broede op. 56, composte nel 1843. Inizialmente fraintese dalla critica, poiché considerate un nostalgico ritorno al passato, furono largamente rivalutate, una volta compreso come il compositore avesse elevato la danza tradizionale polacca ad un livello superiore, tra rigore e libertà, fra atmosfera campestre e intimo salotto urbano. La prima delle tre Mazurke (Allegro non tanto) contiene accenni di valzer, in una pagina gioiosa ma intima. La seconda (Vivace), dal vero e proprio sapore popolare, contiene una sorta di canone tra due parti, indipendenti tra loro. Nella terza e ultima (Moderato), il tema, latente nella prima parte, si manifesta compiutamente con forza solo nella seconda. E se la mazurka è indissolubilmente legata al nome di Chopin, lo stesso può dirsi del notturno, di cui il compositore ci ha lasciato 19 luminosi esempi. Dedicato all’allieva M. de Könneritz, il Notturno op. 62 n. 2 è caratterizzato da una prima sezione placida, seguita da una più mossa e sincopata, in un’atmosfera intima, limpidamente lirica e meditativa. E se nella produzione di Chopin emerge Lunedì 16 marzo 2015 Romantiche forme Esordisce a Bologna il pluripremiato pianista cinese, con un programma che rimanda alla sua formazione ‘occidentale’, ma anche al forte legame con la tradizione musicale della sua terra di Mariateresa Storino B allata, sonata, tarantella, canti popolari cinesi: è possibile individuare delle linee di convergenza tra queste forme? Chopin e Liszt: quali elementi li accomunano? A quest’ultimo interrogativo si può rispondere prontamente, data la contemporaneità dei due compositori, la condivisione del contesto storico-geografico e culturale, l’interesse reciproco. Romantici per eccellenza, in verità le somiglianze sono tante quante le diversità. Partecipi dell’afflato romantico, entrambi dedica- LUNEDÌ 16 MARZO 2015 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30 YUNDI pianoforte Fryderyk Chopin Ballata in sol minore op. 23 Ballata in fa maggiore -la minore op.38 Ballata in la bemolle maggiore op.47 Ballata in fa minore op.52 Sonata in si bemolle minore op. 35 Franz Liszt Tarantelle de bravura d’après La muette de Portici R117 Tradizionale cinese Colour Clouds Chasing the Moon Five Yunnan Folk Songs Introduce Marco Beghelli. Docente nell’Università di Bologna, coordina l’Archivio del Canto nel Dipartimento delle Arti, ed è autore di libri di argomento musicale rono parte della loro creatività alla riscoperta e alla rielaborazione delle forme ereditate dalla madrepatria – ballate, polacche e mazurke in Chopin, rapsodie e czardas in Liszt. Se Chopin fu sempre alquanto laconico sull’opera Yundi di Liszt, diverso fu l’atteggiamento di quest’ultimo. Il ritratto di Chopin tracciato da Liszt nella sua monografia Vita di Chopin (1851) coglie l’essenza dell’opera del compositore polacco con tale precisione che, a distanza di più di un secolo e mezzo, continua a sorprendere per l’acume ermeneutico dell’Ungherese. Proprio il giudizio sulle sonate sembra convergere per taluni aspetti con le critiche che per alcuni decenni furono mosse contro la reinterpretazione chopiniana della forma classica per eccellenza. Liszt valutava le sonate di Chopin frutto della volontà più che dell’ispirazione, un’ispirazione «imperiosa, bizzarra, irriflessiva» che non poteva essere ingabbiata in schemi preesistenti. Composta tra il 1837 e il 1839, la Sonata in si bemolle minore op. 35 è percorsa da un clima umbratile, quasi decadentista. In quattro movimenti, Schumann la definiva «una sfinge dall’ironico sorriso», una composizione che finisce così come comincia: «con dissonanze, attraverso dissonanze, nelle dissonanze». Alle arditezze armoniche si A soli 13 anni Yundi si aggiudica il Concorso “Stravinskij” negli Stati Uniti, pochi anni dopo il Premio internazionale “Franz Lizst” nei Paesi Bassi, per accrescere poi il suo palmarès con l’assegnazione del Primo Premio al Concorso pianistico internazionale di Pechino. Si impone però all’attenzione di critica e pubblico nel 2000 grazie al successo riportato nella XIV edizione del Concorso “Chopin” di Varsavia, a cui partecipa su esortazione del Ministro della cultura cinese, diventando il primo vincitore cinese nella storia del concorso. Da allora appare regolarmente presso le maggiori sale, quali Carnegie Hall di New York, Royal Festival Hall di Londra, Philharmonie di Berlino, Alte Oper di Francoforte, Herkulessaal di Monaco, e collabora con orchestre e direttori del calibro di Berliner Philharmoniker con Seiji Ozawa e Daniel Harding, Gewandhausorchester di Lipsia con Riccardo Chailly, Mahler Chamber Orchestra con Daniel Harding, Royal Philharmonic con Yannick NézetSéguin, Orchestra del Mariinskij con Valerij Gergiev. 34 MI MUSICA INSIEME accostava un’architettura formale atipica, tale da valutare – dichiarava Schumann – come «un capriccio, se non una tracotanza, l’averla chiamata Sonata, poiché egli ha qui riunito quattro delle sue creature più bizzarre». Eppure la coerenza tematica non manca; l’organicità dell’insieme è garantita da una sottesa rete di motivi. Il motto d’apertura del Grave introduttivo di sole quattro battute suona come una sentenza lapidaria, inspiegabile ma incontrovertibile. I primi due movimenti vivono di forti opposizioni di tono, in cui ogni conclusione consolatoria è fuggevole, come dimostra l’ingresso della Marcia funebre. Un Presto su un rapidissimo continuum melodico, quasi una sorta di brusio, spegne la sonata all’improvviso, con uno scarto dinamico violento. Se per Schumann la Marcia funebre di questa sonata aveva qualcosa di quasi repulsivo, per Liszt simboleggiava la morte di un’intera generazione, che, tuttavia, se pur dolorosa manifestava «una dolcezza così penetrante da sembrare non venir più da questa terra». Liszt riteneva che Chopin avesse fatto violenza al suo genio ogni qualvolta lo aveva costretto alle regole (come nel caso delle sonate), perché queste «non potevano accordarsi con le esigenze del suo spirito». Nella scelta di forme libere (ballata, polacca, preludio) e forme “rigide” (sonata, concerto), Chopin – proseguiva Liszt – aveva seguito l’esempio dell’amico poeta Adam Mickiewicz che, dopo aver dato vita alla poesia romantica polacca con Ballate e romanze (1822), si era cimentato nelle forme classiche. Non è dunque casuale che proprio le Ballate di Mickiewicz siano state a lungo ritenute la fonte ispiratrice delle Quattro Ballate di Chopin. Se l’ombra del poeta polacco si stende sulle composizioni di Chopin non è certo in termini descrittivi; ciò che si ritrova della ballata è la tecnica narrativa: nessuna traccia di lotta fra protagonisti (i temi), bensì una reiterazione tematica DA ASCOLTARE Deutsche Grammophon ed EMI, questi gli editori del giovane talento cinese Yundi. Il che significa aver già raggiunto una posizione ragguardevole nel rank mondiale dei pianisti e quindi poter contare su editori importanti, con i quali realizzare incisioni che godranno di una capillare distribuzione mondiale. Insomma, Yundi è a pieno titolo incluso nello star system. Certo lo interpreta da par suo, mettendo in luce, anche nel caso delle incisioni discografiche, quella spiccata personalità, che gli è riconosciuta dal pubblico delle platee di tutto il mondo. Eccola emergere nella recente registrazione dell’Imperatore beethoveniano (DGG 2014), registrazione che lo vede impegnato a confrontarsi con un’orchestra che proprio di Beethoven ha fatto il suo cavallo di battaglia: i Berliner Philharmoniker. Sul podio un direttore solido come Daniel Harding. Beethoven anche nell’incisione DGG realizzata l’anno prima, con Patetica, Chiaro di Luna e Appassionata, segno del focalizzarsi degli interessi del pianista cinese sull’opera del Tedesco. Per i tipi di EMI segnaliamo, infine, l’integrale dei Preludi di Chopin e la precedente incisione dei Concerti di Ravel e di Prokof’ev, autori che Yundi ha nel suo repertorio fin dagli anni di studio. con variazioni di intensità, di fraseggio, di articolazione ritmica, disposta a creare un movimento continuo. Tuttavia, anche in assenza di contrasti tematici, la forma è sospinta in un crescente clima tensivo, proprio in virtù della tecnica compositiva di reiterazione-variazione – a riflesso della struttura periodica del corrispettivo letterario –, del fluttuare del materiale melodico tra raffinatezze armoniche «altrettanto inattese che inaudite» (Liszt) e pieghe cromatiche riposte. La stesura delle Ballate impegnò Chopin per circa un decennio, dal 1830, anno in cui fu costretto ad abbandonare l’amata patria, al 1841, quando era ormai affermato compositore a Parigi. Il ciclo completo è un percorso evocativo dei toni della ballata poetico-musicale: dal drammatico (n. 1) al leggendario (n. 2), al lirico (n. 3), fino all’introspettivo (n. 4); una sinossi delle possibilità espressive di una forma vocale di origine popolare che da secoli narrava dell’uomo, ma che con Chopin era assurta allo stato di musica strumentale pura. Alla tradizione etnica si rifà anche Liszt nella Tarantella di bravura d’après La Muette de Portici di Auber (1846). La tarantella attraversa quasi interamente la carriera di Liszt, sia in forma di trascrizione di originali colti (Rossini, Auber, Dargomyžskij, Cui), sia come rielaborazioni personali di spunti popolari (Canzone napolitana, Venezia e Napoli). Brano di estremo virtuosismo, in questa “fantasia” da Auber Liszt trae il materiale tematico dalla danza del terzo atto e dal coro finale del quarto atto. Per ridar vita al clima sensuale, festoso, ma allo stesso tempo intriso di morte della tarantella, Liszt sceglie la forma del tema e variazioni, dove il ritornare sul già noto implica un accrescimento e/o un cambiamento di natura armonica, ritmica, dinamica, l’impiego insomma di tutte le risorse combinatorie che erano patrimonio comune dei pianisticompositori dell’epoca, tanto più di un virtuoso come Liszt. E i canti popolari cinesi? Sono parte della memoria musicale di Yundi, testimoni delle sue origini, e come tali espressione della sua identità nazionale. Certo non è più possibile pensare alla riscoperta del patrimonio etnico-nazionale in chiave romantica, come regno della purezza, ma possiamo sempre sperare di scorgervi qualche pallido riflesso. Lo sapevate che... Yundi si accosta alla musica sin dall’età di tre anni: ascoltando in un negozio il suono di una fisarmonica, se ne innamora, e solo un anno dopo saprà già suonarla con sicurezza MI MUSICA INSIEME 35 Lunedì 23 marzo 2015 Lezioni di piano Il mese dedicato al pianoforte si conclude con un grande ritorno: quello del Maestro polacco, annoverato fra i più grandi musicisti del nostro tempo di Maria Chiara Mazzi Q uella dei pianisti, da quando il pianoforte è stato inventato e da quando, soprattutto, è diventato il principe delle case e delle sale da concerto all’inizio dell’Ottocento, è una schiera di artisti particolarmente lunga e differenziata. Lunga e differenziata perché da sempre i vari esecutori si collocano su alberi genealogici differenti, corrispondenti alle diverse ‘scuole’ in Europa: tante lunghe genealogie divise per nazioni e per modi di suonare, tra le quali una delle più affascinanti (e anche delle più vaste) è quella costituita dai pianisti polacchi. Si dice pianoforte, in Polonia, e inevitabilmente si traccia un arco musicale meraviglioso che ha da una parte il nome di Fryderyk Chopin e dall’altra quello di Krystian Zimerman (classe 1956), la cui carriera è stata consacrata non a caso proprio a partire dalla vittoria, esattamente quarant’anni fa, al celebre concorso internazionale che da quel primo grande genio della musica nazionale ha preso il nome. Una vittoria che, come spesso (ma non sempre) è accaduto, ha consegnato al mondo della musica le voci più significative della storia dell’interpretazione pianistica. Ma torniamo alla Polonia, paese la cui antica, affascinante e spesso tragica storia civile è fatta di eventi che hanno segnato la storia del mondo, e la cui storia pianistica è costruita da compositori-interpreti di straordinaria suggestione: basti elencarne, a caso, i nomi, da Artur Rubinstein a Ignaz Paderewski, da Josef Hoffman a Leopold Godowski, da Carl Tausig o Moritz Moszkowski a Wanda LUNEDÌ 23 MARZO 2015 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30 KRYSTIAN ZIMERMAN Programma da definire pianoforte Introduce Giuseppe Fausto Modugno, concertista e docente di pianoforte principale presso l’Istituto “Orazio Vecchi” di Modena Landowska, da Witold Małcuzyński ad Adam Harasiewicz… Per arrivare, appunto, a Fryderyk Chopin, che aveva alle spalle una carriera di apprezzato concertista. Un simbolo ma anche un presagio questo, se pensiamo che da quel momento uno strano destino di cosmopolitismo ha legato i pianisti polacchi alla tormentata storia di quel paese e ha caratterizzato la vicenda di quasi tutti gli interpreti di quella nazione. Suonatori erranti sono stati, spesso terminando la loro vita fuori dalla loro patria, quasi tutti (Godowski e Rosenthal, Friedmann e Leszeticki, Paderewski) e, più vicino a noi, Rubinstein, la cui arte riuscì ad affermare l’immagine internazionale della Polonia, grazie anche alla forza d’impatto del mercato discografico ormai globalizzato. Mentre, nonostante tutto, negli anni della guerra fredda e della contrapposizione dei blocchi, rimasero in patria, fra gli altri, Jan Ekier (autore anche della più accurata edizione critica delle opere di Chopin), Alina Czerny-Stefanska e Raoul Koczalski, che dal 1945 era rientrato a Varsavia in veste di insegnante. Ma, alla caduta del Muro di Berlino, le forze migliori del concertismo polacco hanno ripreso nuova linfa, tracciando una nuova linea sulla quale, dalla fine degli anni Settanta, si muove appunto Krystian Zimerman che, dopo la vittoria nel 1975 al Concorso “Chopin” di Varsavia (una delle grandi vetrine, forse la più grande, della Polonia in ambito internazionale), è stato invitato al prestigioso Festival di Salisburgo dove brillava la sua recentissima incisione delle Sonate di Mozart per la celebre etichetta tedesca, per la quale avrebbe poi realizzato i Concerti di Grieg e di Schumann coi Berliner e von Karajan, forse uno dei maggiori sponsor del giovane artista. Incisioni alle quali ne sarebbero seguite altre, con Bernstein, Giulini, Ozawa, Boulez, Rattle e che, coronate dai premi più prestigiosi del mondo, coprono il repertorio più eseguito per pianoforte e orchestra. In parallelo venivano registrati a futura memoria, inevitabilmente, i capisaldi della musica per pianoforte solo e del camerismo, dall’inevitabile Chopin sino a Franck e Debussy e a qualche ‘puntata’ sul Novecento più vicino a noi, da Lutosławski a Szymanowski. Se non sempre moderno è il repertorio, moderno è però il suo modo di suonare, in ragione di una sostanziale sobrietà di espressione, pienamente consapevole del tanto che è già stato detto. «Si muove con disinvoltura da Bach a Szymanowski, variando stili, registri e interpretazione. Le sue mani volano sulle note ora accarezzandole, ora inseguendole con furore», scrive una recente recensione, che prosegue: «Egli disegna la musica con il solo movimento di mani e dita, raccolto in un alone di maestria e Lo sapevate che... Da diversi anni Zimerman viaggia con il proprio pianoforte al seguito, curando personalmente ogni aspetto dei concerti, dal trasporto dello strumento all’accordatura 36 MI MUSICA INSIEME meraviglia, che lo stupore del pubblico riesce appena a toccare». Da qui si comprende la rinuncia a un protagonismo che non solo ha nella platealità la sua manifestazione più fastidiosa, ma che poggia anche su una legittimità spesso discutibile, affidata alla consuetudine come all’intuizione del momento. Qualcuno ha visto in Zimerman l’espressione del pianismo moderno, e forse in ciò rientra anche questa attenzione estrema al repertorio, non particolarmente vasto ma selezionatissimo, costruito a lungo termine portando avanti più autori insieme: ciò che determina inevitabilmente tempi diversi di maturazione e dunque la ricorrente indicazione in cartellone di “programma da definire”, nell’impossibilità di stabilire esattamente, un anno per l’altro, ciò che potrà essere effettivamente eseguito nella serata del concerto, diventato così da spettacolo a rito di attesa e di iniziazione. Come ha scritto il critico Cappelletto: «Egli ritiene essenziale l’aspetto rituale del concerto dal vivo. Buio in sala, solo un cono di luce a inquadrare il pianoforte, lunga attesa prima del suo ingresso. Concentrazione e imprevedibilità, con la variazione di programma, molto frequente, annunciata a voce, un attimo prima dell’inizio, seguendo l’estro del momento». Da questo punto di vista Krystian Zimerman rappresenta un vero e proprio punto d’eccellenza: raramente nella sto- DA ASCOLTARE Una quarantina i titoli in catalogo per il pianista polacco, e tutti siglati DGG. Tra i più recenti, per la verità, ci sono solo ristampe, come il tutto Debussy/Ravel diretto da Boulez (6 CD, 2012), o Berliner Philharmoniker Great Recordings (8 CD, 2014), raccolte nelle quali troviamo Zimerman impegnato per esempio nel Primo di Brahms, con Sir Simon Rattle, o nei due Concerti di Ravel. Tra queste ristampe, non possiamo non citare quella che lo vide, ancor giovanissimo, con Karajan affrontare i Concerti di Grieg e Schumann (2012). Nel 2011 la DGG consegna al pubblico tre incisioni importanti: ancora due raccolte (tutto Liszt) e un album interamente dedicato alla musica della compositrice Grazyna Bacewicz, figura importante nella scena musicale polacca del secolo scorso. Inutile dire che andando a ritroso nella discografia, l’appassionato può trovare gran parte del repertorio più amato (Chopin, Schubert, Beethoven), Zimerman comunque lasciando ampio spazio anche in sala di registrazione alla modernità e quindi a pagine e compositori meno frequentati dai pianisti, compreso il trovarlo con Bernstein impegnato in una registrazione delle Noces stravinskiane in compagnia di Martha Argerich, Homero Francesch e Cyprien Katsaris. ria del pianoforte si è potuto apprezzare un così straordinario controllo del suono, accompagnato ad una ricchezza di sfumature davvero mirabile che dà l’esatta dimensione delle possibilità che tasti, corde e martelletti offrono alle dita di un artista. Se a tutto ciò sommiamo una capacità straordinaria di rendere perfettamente intellegibili le diversità stilistiche, di suggerirci contesti e ambiti, di dare il giusto rilievo a ciò che sta intorno a ciascuna partitura, la capacità di trovare il giusto equilibrio tra la propria individualità d’artista e la sostanza (sempre diversa) della musica, comprendiamo come Zimerman, a quarant’anni da quella vittoria al Premio “Chopin”, sia ancora ai vertici dell’arte musicale, unito per sempre a coloro che nella storia hanno considerato la musica come qualcosa di più grande della ‘semplice’ arte di combinare e far ascoltare i suoni. Krystian Zimerman Foto Hiromichi Yamamoto Da oltre trent’anni nell’alveo dei più grandi pianisti del nostro tempo, Krystian Zimerman inaugura la propria carriera internazionale nel 1975, con la vittoria al Concorso “Chopin” di Varsavia. Come egli stesso afferma, le collaborazioni con grandi artisti, sia nel campo della cameristica che nella direzione d’orchestra, sono stati la sua più grande fortuna. Ha suonato con Kremer, Chung, Menuhin e sotto la direzione di Bernstein, von Karajan, Ozawa, Muti, Maazel, Previn, Boulez, Mehta, Haitink, Rattle e ha avuto l’opportunità di conoscere pianisti della generazione precedente alla sua quali Arrau, Benedetti Michelangeli, Rubinstein, Richter, che hanno avuto tutti un’importante influenza sulla sua formazione musicale. Nel 2005, in seguito alla vittoria al MIDEM di Cannes nella sezione “musica per orchestra” per la sua incisione dei Concerti n. 1 e n. 2 di Rachmaninov, il Ministro francese della cultura gli ha conferito la Legione d’Onore. Ha ricevuto inoltre il Dottorato honoris causa dell’Università di Katowice, mentre recentemente il Presidente della Repubblica Polacca gli ha consegnato la prima e più alta onorificenza per personaggi non legati al corpo militare: la Croce al Merito con Stella. MI MUSICA INSIEME 37 Lunedì 13 aprile 2015 Sguardo al Nord Con un solista e un direttore d’eccezione, la compagine tedesca che quest’anno festeggia i 70 anni d’attività debutta nella nostra Stagione con un programma ‘classico’ quanto originale di Luca Baccolini I Foto Felix Broede n rapporto alla qualità della sua musica, nessun paese europeo è stato penalizzato dalla geografia, dalla storia e dal pubblico internazionale come la Svezia. Se l’area scandinava ha prodotto almeno un epigono per paese, capace poi di affondare le radici nella grande tradizione continentale (Grieg per la Norvegia, Sibelius per la Finlandia), la Svezia è rimasta a lungo orfana, assieme alla Danimarca, di un rappresentante forte nel parlamento musicale europeo. E questo è accaduto non perché le mancassero candidature adeguate, ma perché queste giunsero troppo tardi, a seggi ormai chiusi. Non sembrerà pretestuoso ricordare che Toscanini diffuse e incise volentieri musiche di Kurt Atterberg (18871974), un tardoromantico forse fuori tempo massimo, dotato però di grande genio orchestrale, tangibile nelle sue nove sinfonie e in meravigliosi concerti. I figli di Stoccolma sono tuttavia cresciuti dopo che praticamente in ogni paese erano già nate, e talvolta defunte, le scuole nazionali. Ma arrivare tardi non è certo una colpa agli occhi di chi, come noi oggi, può avvicinarsi contemporaneamente a Ildegarda di Bingen e Xenakis. Quella offerta 38 MI MUSICA INSIEME LUNEDÌ 13 APRILE 2015 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30 MÜNCHNER SYMPHONIKER NING FENG violino ARIEL ZUCKERMANN direttore Joseph Martin Kraus Sinfonia in do minore VB 142 Niccolò Paganini Concerto n. 1 in re maggiore op. 6 per violino e orchestra Franz Adolf Berwald Ouverture da Estrella de Soria Franz Joseph Haydn Sinfonia in sol minore Hob. I: 83 La Poule Introduce Nicola Sani. Compositore e musicologo, è Sovrintendente del Teatro Comunale di Bologna da Ariel Zuckermann con i Münchner Symphoniker è senz’altro una buona occasione per aprire una finestra sulla Svezia e, chissà, un giorno godere delle meraviglie del Concerto per violino di Peterson-Berger o delle sinfonie di Allan Petterson. Che la Svezia per decenni abbia rinunciato ad inaugurare una propria scuola, preferendo la musica d’importazione (sia sul filone sacro di matrice luterana, sia su quello profano con gli Italiani e i Francesi alla corte dei re), lo prova in carne e ossa Joseph Martin Kraus, un bavarese trapiantato a Stoccolma per puro accidente biografico (seguì infatti alla ventura un compagno d’università svedese). Tedesco a tutti gli effetti, cambiò cittadinanza in qualità di compositore ufficiale di Gustavo III, il re assassinato nel 1792 al celebre ballo in maschera che avrebbe ispirato il dramma di Verdi. Kraus non ebbe solo la sfortuna di assistere al regicidio del suo mecenate, ma condivise con Mozart quasi la stessa parabola biografica, ovvero dal 1756 al 1792, morendo appena un anno dopo il Salisburghese. Per questa surreale coincidenza il nostro fu chiamato “Mozart di Odenwald”. Un nomignolo ben poco rivelatore, perché la sua musica, che in realtà è d’ispirazione feconda e carica di penombre protoromantiche, non ha davvero nulla di provinciale o imitativo. Semmai si fa anticipatrice di contrasti drammatici e di turbolenze dell’anima quasi pre-schubertiani. La sua Sinfonia Funebre per la sepoltura di Gustavo III è da circoscrivere tra le creazioni più sublimi di fine Settecento. Il Requiem, poi, gareggia con i migliori dell’epoca, fatto salvo ovviamente l’inarrivabile capolavoro mozartiano. Meno nota è invece la Sinfonia in do minore VB 142 proposta nel concerto di Musica Insieme (dove “VB” sta per Van Foto Peter von Felbert Boer, curatore del catalogo), composta nel 1783 dopo un tour europeo che lo portò anche a Bologna per conoscere Padre Martini, appena in tempo prima della sua morte (il volto di Kraus spicca nella collezione di ritratti del frate bolognese). Non risultò mai chiaro se fosse proprio quella sinfonia a far dire a Haydn «sarà per secoli ricordata come un capolavoro: ben pochi possono vantarsi di aver composto qualcosa di simile»; certo, nella produzione di Kraus, tra molti lavori smarriti o non pubblicati, quest’esemplare si colloca ai vertici per asciuttezza, efficacia e incisività del linguaggio, in pieno coinvolgimento “Sturm und Drang”, di cui il tedesco-svedese fu un esponente non solo musicale, ma anche letterario, con poesie, tragedie e saggi sull’arte. Non soltanto per la stima riservatagli da Haydn, ma anche in virtù di un comune terreno estetico, sarà piacevole ascoltare in I protagonisti Fondata nel 1945 come Symphonie-Orchester Kurt Graunke, la compagine dei Münchner Symphoniker presenta un repertorio ampio e variegato, e affianca collaborazioni di grandi artisti internazionali con eccellenti solisti e direttori della nuova generazione. Con più di cento concerti ogni anno in Europa, Asia e Stati Uniti, i Münchner sono una delle orchestre più interessanti del momento. Da dieci anni l’Orchestra è anche partner del Gut Immling Opera Festival, con numerose produzioni liriche all’attivo. Strettamente legati all’Orchestra sono il direttore onorario dei Münchner Symphoniker Philippe Entremont ed il primo direttore ospite principale Ken-David Masur. Dalla stagione 2014/15 è stato nominato nuovo direttore principale della compagine il tedesco Kevin John Edusei. Nato e formatosi in Cina, prima di specializzarsi alla Royal Academy di Londra, il violinista Ning Feng si è aggiudicato nel 2006 il Premio “Paganini”. Collabora attualmente con le più prestigiose orchestre, dalla Los Angeles Philharmonic alla Sinfonica di Macao, dalla Filarmonica di Hong Kong alla Sinfonica di Stato Russa, esibendosi nelle più importanti sedi internazionali, come Konzerthaus di Vienna, Sydney Opera House, Konzerthaus di Berlino. Vincitore di numerose competizioni internazionali, il direttore israeliano Ariel Zuckermann inizia la sua carriera musicale come flautista per poi specializzarsi come direttore all’Accademia Reale di Stoccolma con Jorma Panula; oggi dirige compagini di primo piano, quali London Symphony Orchestra, Orchestre de Chambre de Lausanne, Sinfoniche di Basilea e di Lucerna, Orchestra Filarmonica d’Israele e Filarmonica Ceca. MI MUSICA INSIEME 39 Lunedì 13 aprile 2015 DA ASCOLTARE Fondata nel 1945, ma nota con suo nome attuale solo dal 1990, l’Orchestra Sinfonica di Monaco ovviamente ha dato un suo rilevante contributo alla discografia. Tanto più, e val pena sottolinearlo, che ad essa sono state affidate oltre cinquecento colonne sonore, tra le quali quelle di pellicole come Il silenzio degli innocenti o di serie televisive come Il giovane Indiana Jones. Insomma, siamo di fronte a una compagine che frequenta abitualmente la sala di registrazione, spesso incidendo titoli lontani dal repertorio tradizionale, ad esempio Il Fantasma dell’Opera, il celebre musical, nel 1994 per la Orbis. Il tutto senza farsi mancare quel che per un’orchestra tedesca è indispensabile, a cominciare da Bach, Brahms e Schubert che troviamo qua e là nel loro catalogo discografico. L’era digitale, infine, ci obbliga a segnalare i molti file mp3 scaricabili che la vedono protagonista, i più recenti dei quali sono dedicati alla produzione orchestrale di Antonín Dvořák. Foto Felix Broede parallelo la coeva Sinfonia n. 83 dell’Austriaco, quella nota ai posteri col nomignolo di La poule, per l’onomatopea del secondo tema del movimento iniziale, che riecheggia con l’oboe il chiocciare della gallina. Il fatto che Haydn, in una delle sue rare incursioni nella tonalità minore, opti per quest’inserto ironico la dice lunga sulla sua superba maestria nel mischiare stile alto e popolare, profondità di pensiero e gaiezza di spirito. In realtà, nonostante il primo tema avviato con slancio in sol minore, senza introduzioni lente, il resto dell’opera nulla concede ai toni inquieti dello Sturm und Drang: la tonalità minore lascia infatti il passo rapidamente a un Andante di grazia mozartiana, poi a un purissimo e classicissimo minuetto e infine a una vivace conclusione dall’aspetto di danza. Tra Kraus e Haydn, dunque, il vero “Viandante sul mare di nebbia” dipinto da Caspar David Friedrich è indubbiamente il primo. Percorso inverso, dalla Svezia alla Germania, dovette intraprendere invece Franz Adolf Berwald (1796-1868), che da Stoccolma scese a Berlino per cercare una legittimazione artistica quasi mai certificatagli in vita. Eppure è con lui che la Svezia cominciò a destarsi dall’indolenza e a camminare sulle proprie gambe: Berwald, come Gade in Danimarca, aprì la strada più che a una marcata identità svedese, all’effettiva possibilità di realizzarsi. Ascoltando la sua Ouverture dall’opera del 1862 Estrella de Soria si avrà infatti la percezione di rivivere le stagioni di Mendelssohn, ma con quegli accenti nordici che, successivamente irrorati da una tavolozza di colori più ampia e soprattutto dal patrimonio di musica popolare, avrebbero dato vita a un vivido sapore svedese. L’opera Estrella de Soria fu per Berwald una delle rare parentesi di tiepido successo in un’esistenza di magrissime soddisfazioni, per non dire di autentiche beffe, come quando gli fu conferita, sottratta e poi infine riconsegnata la cattedra al Conservatorio di Stoccolma, pochi mesi prima di morire. Di certo, un successo vero e costante non gli arrise mai. Negli anni giovanili, per mantenersi a Berlino dovette la- vorare come impiegato in una vetreria. Costretto per comprensibili ragioni a rientrare in patria, trovò occupazione in una clinica come contabile. Gli studi irregolari, la spontanea, non originalissima adesione al primo romanticismo tedesco e un rapporto complicato con le istituzioni musicali svedesi non hanno mai contribuito a fare di Berwald un caposcuola riconosciuto, né in patria né all’estero. Oggi questo giudizio può però a buon diritto essergli riconsegnato, postumo come la prima esecuzione del suo magnifico Concerto per pianoforte e orchestra. Sia per Berwald che per Kraus la Svezia è dunque un orizzonte ancora destituito di un genuino carattere nazionale, ma senza di loro, probabilmente, non poco avrebbero faticato gli eredi successivi in quelle terre longitudinalmente sconfinate. In fondo, nella corsa all’identità musicale, la battaglia di Niccolò Paganini non fu meno aspra, combattuta in questo caso tra l’anima dell’esecutore e la vocazione al comporre. Il corpus per violino e orchestra, quindi anche il suo Primo Concerto eseguito nel programma da Ning Feng, è testimone di una tensione tra l’instancabile attività concertistica e quella, soltanto in parte realizzata, di produttore di musica propria. Paganini dovette comporre, scomporre e riassemblare di continuo i suoi materiali, per far fronte alle richieste che gli giungevano. Così, adeguandosi anche alle consuetudini dell’epoca, pagine già scritte diventano arie per concerti diversi. Da qui il suono operistico che sovente ritorna, con interventi orchestrali rutilanti, ampie introduzioni e lunghissimi cantabili. Quanto Paganini abbia contribuito alla formazione di una scuola violinistica anche in Scandinavia lo testimonia il norvegese Ole Bull (1810-1880), che adolescente suonava già i Capricci del Genovese e iniziò, proprio da Bologna, una carriera intercontinentale addirittura più alacre del predecessore. Il violino sarebbe presto diventato il terminale più amato dai compositori nordici. E se Berwald col suo Concerto del 1820 rimediò un sonoro fiasco, da Sillen, Peterson-Berger, Atterberg fino a Sinding, Borresen e Sibelius questo genere avrebbe ripreso un vigore e un respiro non inferiori al resto d’Europa. Forse molto tempo passerà ancora prima di riscoprire i tesori di quelle latitudini: ma certamente aiuta sapere che i padri musicali della Scandinavia, battezzati dal mondo tedesco e imbevuti inizialmente di gusto italiano, a contatto con il nostro gusto non appaiono così lontani. Avvicinarvisi può riservare grandi ricompense. Lo sapevate che... Ning Feng suona uno Stradivari del 1721, conosciuto come “MacMillan”, gentilmente concesso dalla Premiere Performances di Hong Kong 40 MI MUSICA INSIEME Lunedì 27 aprile 2015 Rinaldo Alessandrini e il Concerto Italiano Rivoluzioni barocche Ensemble di riferimento per la prassi esecutiva antica, la compagine guidata da Alessandrini ci conduce in un viaggio fra due generi affascinanti come il concerto e la cantata, declinati da due Maestri come Bach e Vivaldi di Fabrizio Festa « Non sa che sia dolore/Chi dall’amico suo parte e non more»: comincia così il testo anonimo della Cantata BWV 209, che Bach vide eseguita per la prima volta a Lipsia nella primavera del 1729. Questo anche l’anno in cui è stata composta? Forse no. Forse Bach l’ha scritta una ventina di anni prima. Incertezza questa che non ci fa essere certi neppure della ragione per cui è stata composta. Un amico in partenza? Probabilmente sì. Sappiamo dal testo, infatti, che costui si recherà ad Ansbach, cittadina bavarese situata nella Media Franconia, sede fino al 1792 dell’omonimo principato. In ogni caso, l’opera, divisa in cinque parti (sinfonia, recitativo, aria, recitativo, aria), obbedisce ai canoni retorici che all’epoca delineavano il profilo affettivo dell’addio. Canoni che Bach interpreta da par suo, ovviamente, ma in maniera talmente canonica da non farci capire per chi e per quale ragione «lasci a noi dolente il core». Insomma, una bella pagina d’occasione che ci illumina quanto i ben più famosi Concerti Brandeburghesi, tra i quali il Quinto è forse il più celebre, sulla natura della musica bachiana. Compatta, coerente, strutturata, emozionante, ma sostanzialmente poco incline al lasciar spazio a quell’invenzione tanto cara al Vivaldi [come del 42 MI MUSICA INSIEME resto bene dice Alessandrini nell’intervista che il lettore può trovare sempre in queste pagine, ndr]. I Brandeburghesi vedono la luce tra il ’17 e il ’23 – Bach è a Köthen – e rappresentano l’ennesimo esempio di quella straordinaria integrazione tra le parti, che fa di Bach un caso unico nell’intera storia della musica. Resta il dubbio: l’ultimo dei neoplatonici, o il primo dei musicisti dell’era industriale? Di questo, però, ci occuperemo a breve. Chi capì che i tempi erano già cambiati fu Vivaldi. “Vengo a voi luci adorate” è stata composta dopo il 1734. Eppure la sua è già musica di stile “classico”, come si evince dalla bellissima melodia che apre la prima aria di questa cantata (cui seguirà un recitativo ed un’aria conclusiva). Eppure – prendendo qui a prestito la felice definizione che ne dà Alessandrini nella citata intervista – è davvero il compositore dai mille e uno stili, come del resto dimostrano i suoi affascinanti e variopinti concerti. Non basta però a sopravvivere nel feroce mondo dell’opera lirica, quello cui pure Bach avrebbe voluto attingere, ma non ebbe mai la possibilità di fare. Per quello bisogna già essere attrezzati, come Händel, con le attitudini e gli strumenti dell’imprenditore. Capitalismo musicale ante litteram? Forse sì. Il teatro d’opera non Foto Fabio Biondi LUNEDÌ 27 APRILE 2015 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30 CONCERTO ITALIANO MONICA PICCININI soprano LAURA PONTECORVO flauto RINALDO ALESSANDRINI clavicembalo e direttore Johann Sebastian Bach Cantata „Non sa che sia dolore‰ BWV 209 per soprano, flauto e archi Antonio Vivaldi Concerto in sol minore RV 156 per archi Concerto in sol maggiore RV 438 per flauto e archi Cantata „Vengo a voi luci adorate‰ RV 682 per soprano e archi Johann Sebastian Bach Concerto Brandeburghese n. 5 in re maggiore BWV 1050 per flauto, violino, clavicembalo e archi Monica Piccinini è solo artigianato: ci vuole di più. Saremmo tentati di dire che siamo di fronte ad un fenomeno culturale che è espressione della rivoluzione industriale e quindi del primo capitalismo, e che proprio nel capitalismo ottocentesco – non è un caso – trova vitalissima linfa. Se questa nostra intuizione fosse vera, non potremmo che dedurre che il lessico storico-musicale necessiterebbe di una profonda revisione. Qualunque idea si abbia, infatti, del barocco, definire “barocchi” musicisti come Antonio Vivaldi o Johann Sebastian Bach è come minimo fuorviante. Barocchi come? Come Bernini, che muore nel 1680, cioè quando Bach non era ancora nato e Vivaldi aveva due anni? O come Rubens, che si era spento nel 1640? O come il Marino, che nella sua Napoli era morto nel 1625? E che ne è di quel manierismo musicale che in certo qual modo avrebbe dovuto traghettare la tarda polifonia rinascimentale nel nuovo mondo della melodia accompagnata d’inizio Seicento? Insomma, già da queste brevi osservazioni comprendiamo come la tassonomia storico-musi- Introduce Rinaldo Alessandrini cale, almeno nella sua forma vulgata, quella che per convenzione appunto, o forse solo per comodità, continuiamo ad utilizzare, abbia davvero bisogno di una rinfrescata. D’altronde dovremmo chiederci – pur sapendo che non si possono fissare limiti esatti e che nella storia della cultura difficilmente esistono eventi che spartiscono un prima e un dopo in maniera inequivocabile – se non sia il caso di individuare almeno un labile confine: una linea dopo la quale, pur con i necessari distinguo, pur tra sfumature e chiaroscuri, gli eventi hanno preso una direzione piuttosto che un’altra. Lo scopo è semplice: fare chiarezza auditiva. Cioè sapere cosa stiamo ascoltando collocandolo, per quanto possibile, in una cornice illuminante. Il che non è poco quando si parli di Bach e di Vivaldi oggi. Quando ascoltiamo un brano musicale dovremmo farci domande che ci aiutino a capire come e dove è nata la musica che ci viene presentata. Tornando al nostro spartiacque, su una sponda di questo ipotetico fiume, quella dove si gettano le fondamenta del ponte che I protagonisti Concerto Italiano si è imposto tra i gruppi italiani che hanno rivoluzionato i criteri d’esecuzione della musica antica, a partire dal repertorio madrigalistico, fino a quello orchestrale e operistico per il XVIII secolo. Le incisioni discografiche dell’ensemble sono ormai considerate versioni di riferimento da critica e pubblico, a testimonianza del rinnovato interesse verso un repertorio ora rivisitato attraverso la sensibilità mediterranea. Oltre che fondatore e direttore di Concerto Italiano, Rinaldo Alessandrini è clavicembalista, organista e fortepianista. Da vent’anni sulla scena della musica antica, conduce anche un’intensa attività solistica, ed è ospite dei festival di tutto il mondo. Nel 2003 è stato nominato Chevalier dans l’ordre des Artes et des Lettres dal Ministro francese della Cultura ed è Accademico della Filarmonica Romana. Membro dal 2003 di Concerto Italiano, Monica Piccinini collabora con le più importanti compagini di musica antica italiane, e con Hespèrion XXI e La Capella Reial de Catalunya diretti da Jordi Savall. Flauto solista dell’ensemble, Laura Pontecorvo svolge da anni attività concertistica con diverse formazioni orchestrali e da camera, tra cui Europa Galante, Accademia Bizantina e I Turchini, con le quali ha preso parte a numerosi festival internazionali. MI MUSICA INSIEME 43 Lunedì 27 aprile 2015 DA ASCOLTARE In scena o in sala d’incisione, Rinaldo Alessandrini e il ‘suo’ Concerto Italiano sono parimenti infaticabili. In poche righe non è neppure immaginabile riassumere una più che decennale attività discografica, peraltro tanto ricca di successi da essere divenuta punto di riferimento per tutti gli appassionati di musica antica e barocca. Claudio Monteverdi e Antonio Vivaldi ovviamente sono tra i fil rouge. Allora citiamo: nel 2014 per i tipi della Naïve ecco i Vespri Solenni (monteverdiani manco a dirlo) per la Festa di San Marco, incisione della quale parliamo più diffusamente nella rubrica Da ascoltare su questo stesso numero, e che rimanda anche al DVD L’uomo e il suo divino girato da Claudio Rufa, che mostra appunto Alessandrini impegnato nel dirigere Monteverdi. Dieci anni prima aveva inciso il Vespro per la Beata Vergine, cui avevano fatto seguito l’Orfeo (2007) e i Madrigali Guerrieri et Amorosi (2013). Guardando al programma che il Concerto Italiano presenterà per Musica Insieme, non manca nella sua discografia il ‘classico’ confronto Bach/Vivaldi. Ancora per la Naïve, eccolo a disposizione del pubblico nel 2011, sei CD dove troviamo anche sempreverdi come le Stagioni e i Brandeburghesi. poi ci porterà sull’altra, potremmo trovarci Vincenzo Galilei intento a far discutere Piero Strozzi e Giovanni Bardi intorno alla musica degli antichi e dei moderni in quel di Firenze nel 1581. Anticipando Verdi di un paio di secoli all’incirca, il Galilei ci dice che tornare all’antico sarà un progresso. Antichità greca, manco a dirlo. La Grecia che sarà anche del Canova, che nasce però nel 1757, sette anni dopo la morte di Bach; Canova che è un contemporaneo di Mozart e che già parla neoclassico (la lingua di Mozart in certo qual modo). E prima ancora del Winckelmann, gli inizi della cui vita intersecano quelle dei nostri Vivaldi e Bach. Winckelmann pubblica i suoi Pensieri sull’imitazione dell’arte greca nella pittura e nella scultura nel 1775; la sua Storia dell’arte antica nel 1763. Cioè quarant’anni dopo il fondamentale Trattato dell’armonia ridotta ai suoi principi naturali del Rameau, uscito nel ’22, mentre nel 1750 (l’anno della morte di Bach) Baumgarten aveva dato alle stampe il suo Aesthetica, segnando così di fatto la nascita di quella disciplina che delle arti avrebbe studiato i fondamenti. In questo turbinar di pubblicazioni travolgenti sta anche il saggio del Burke, quell’Inchiesta filosofica sul sublime che vide la luce negli stessi anni dei saggi winckelmanniani, tra il ’56 e il ’59. La storia, però, si diverte, è noto. Nel 1618 Cartesio scrive il Compendium Musicae, trattatello pitagorico-euclideo, nel quale geometria e psicologia, proprio come avrebbero voluto non solo gli evocati Pitagora ed Euclide, ma anche Platone, s’incontrano per spiegare perché l’arte dei suoni riesce a commuoverci. L’anno dopo Kepler dà alle stampe l’Harmonices Mundi: la circonferenza diventa un’ellisse, la “esse” dei manieristi, già in voga, domina nella pittura a scapito delle proporzioni rinascimentali, nei teatri di corte s’ascoltano le prime opere liriche. Sono gli anni di Monteverdi (1567-1643), alla fine dei quali Cartesio pubblica il saggio che fa calare definitivamente il sipario sul Rinascimento: Passioni dell’anima, 1649. Gli antichi invocati da Galilei non ci fanno una bella figura. Anzi, l’incipit del primo articolo recita: «Non c’è niente in cui appaia meglio la limitatezza delle scienze tramandateci dagli Antichi, quanto in ciò che essi hanno scritto delle passioni». Et voilà: tanti saluti a Greci e Romani, tragici o filosofi che fossero. Delle Passioni ce ne occupiamo noi, creando un efficace mix di fisica, filosofia, psicologia, fisiologia, alla faccia anche di quanti (compreso lo scrivente fino all’altrieri) credevano davvero che Cartesio volesse del tutto separati mente e corpo. Qui siamo già sull’altra sponda. Dunque potremmo cominciare a dire che Bach e Vivaldi appartengono all’epoca post-cartesiana. Vivaldi e Bach stanno in questa terra di mezzo. Vivono la transizione da professionisti della musica, sbarcando il lunario giorno dopo giorno: tagliandosi, cioè, una loro porzione di spazio in un contesto, quello musicale, vicino alla saturazione e molto competitivo. Certo, meglio un contratto con questo o quel nobile, ma il vero successo lo si ottiene solo rischiando con l’opera (vedi Händel). Così Vivaldi va a spegnersi in quel di Vienna nel 1741, e finisce sepolto in una fossa comune, sebbene nella capitale austriaca un paio di targhe ne onorino il ricordo. Vienna dov’era andato per sfuggire al nuovo che avanzava: l’opera di stile napoletano. Lo stile alla moda che Mozart di lì a poco avrebbe tagliato – ancora storie viennesi – in fogge straordinarie. Già, Mozart: Vivaldi è più vicino al Salisburghese che al barocco in salsa mantovana d’inizio Seicento. Di questo ce ne sono ampie tracce nelle partiture mozartiane, basti pensare all’uso delle progressioni. Bach invece guarda al futuro. Non che avesse letto Cartesio, ma certo è che di metodo ne possedeva da vendere. Metodo, applicazione, costanza, inventiva: un alchimista che ha scoperto un fantastico metodo per l’appunto per comporre pagine che destano meraviglia, così come le tante macchine strane (più o meno automatiche, più o meno ingegnose), che furoreggiavano nei salotti di quegli anni. È il cosmografo che Kepler avrebbe voluto avere al suo fianco. Val la pena rammentare che la prima tastiera elettrica della storia – il clavecin électrique – Delaborde la costruirà nel 1759 (solo nove anni dopo la morte di Bach). Nel 1787 nasce il telaio meccanico, da cui Jacquard nel 1801 deriverà il suo: la prima macchina automatica industriale. Ci piacerebbe credere, pur sapendo che non è così, che Bach avesse capito cosa stava succedendo: ma quale rivoluzione scientifica! La rivoluzione si chiama capitale, è l’industria, la macchina, che da oggetto di meraviglia sta diventando catena di montaggio. Lo sapevate che... Fra gli autori prediletti da Alessandrini, Monteverdi è al centro di una trilogia operistica, allestita alla Scala di Milano dal 2009 al 2015, con la visionaria regia di Bob Wilson 44 MI MUSICA INSIEME Lunedì 11 maggio 2015 Una classica modernità Cala il sipario della XXVIII edizione dei Concerti con una delle compagini più longeve e originali, accompagnata dal virtuosismo e dalla carica espressiva della ‘nostra’ Vacatello L di Sara Bacchini a letteratura per orchestra è talmente varia e multiforme da risultare pressoché infinita: orchestra sinfonica, orchestra da camera, orchestra d’archi, orchestra di fiati, sono solo alcuni degli organici che fanno capo alle composizioni strumentali di questo genere. Un genere che dal XVI secolo in poi ha attraversato la storia della musica e annovera fra i propri padri Bach, Haydn, Mozart e Beethoven. A questi grandi maestri tutti i compositori faranno riferimento in epoche successive, dal romanticismo fino allo sperimentalismo novecentesco. L’orchestra d’archi è formata, lo dice il nome 46 MI MUSICA INSIEME stesso, da soli violini, viole, violoncelli e contrabbassi; in pratica, un quartetto d’archi – organico classico tra i più elaborati ed apprezzati dai compositori – portato all’ennesima potenza. E proprio da un quartetto per archi trae origine uno dei brani più famosi ed eseguiti del Novecento: l’Adagio op. 11 di Samuel Barber. Nato in Pennsylvania, Barber (19101981) iniziò a comporre già a sette anni per approdare, dopo gli studi al Curtis Institute of Music di Philadelphia, all’Accademia Americana di Roma nel 1935. Qui scrisse il Quartetto per archi in si minore (1936), il cui secondo movimento, arrangiato per orchestra d’archi su suggerimento di Arturo Toscanini – che lo eseguì con l’Orchestra sinfonica della NBC il 5 novembre 1938 a New York – venne pubblicato come Adagio per archi op. 11. È l’opera più famosa di Barber, eseguita anche ai funerali dei due presidenti americani Roosevelt e Kennedy, ed è stata scelta sia dal regista Oliver Stone per la colonna sonora del film Platoon (1986) sia da David Lynch per The Elephant Man (1980). Nella sua versione originale, l’Adagio segue e fa da contrasto ad un primo movimento decisamente violento, per cedere successivamente il passo a una breve ripresa del materiale tematico precedente. Il compositore statunitense evitò sempre lo sperimentalismo di alcuni colleghi americani della sua generazione, preferendo esprimersi con armonie e forme relativamente tradizionali. Gran parte della sua musica è infatti caratterizzata da un senso della melodia quasi lussureggiante, tale da essere definita ‘neoromantica’, sebbene alcuni dei suoi lavori più maturi, come il Third Essay e Dance of Vengeance, mostrino un uso sapiente di effetti percussivi, modernismi e richiami neo-stravinskiani. La vicenda artistica di Leoš Janáček (1854-1928) mostra caratteri di assoluta originalità: la sua produzione rappresenta per certi versi un unicum nel panorama compositivo europeo novecentesco, un corpo strumentale e operistico estremamente variegato, che fa di Janáček indiscutibilmente il maggior compositore ceco moderno, e una delle figure più enigmatiche della musica del XX secolo. Per molti anni l’attività compositiva del Boemo (sino alla fine dell’Ottocento) si mantenne nel solco della tradizione nazionale, che riconosceva in Smetana e Dvořák i suoi più illustri rappresentanti. Soltanto con l’aprirsi del nuovo secolo, nel 1903, e dopo la lunga elaborazione del capolavoro operistico Jenůfa, il musicista prende le distanze dall’influenza tardo-romantica per imporsi come un compositore originale e moderno. Il suo stile è essenzialmente affrancato da vincoli armonici rigidi, caratterizzandosi invece per una invenzione melodica personalissima, basata sull’analisi maniacale delle inflessioni prosodiche e accentuative del linguaggio boemo parlato. Col passare degli anni, l’ispirazione dell’artista sembra assecondare gli impulsi di un crescente affrancamento dalla tradizione, con esiti di sempre maggiore vitalità e modernità. La Suite per archi JW 6/2 (1877-78) appartiene alla fase compositiva giovanile di Janáček, e pur ascrivendosi alla sua fase canonicamente tardo-romantica racchiude in sé alcune intuizioni e soluzioni armoniche destinate a confluire nell’evoluzione successiva della sua esperienza creativa. Nel 1877 il maestro ventitreenne, con una grande predilezione per l’amico Dvořák, del quale esegue le opere sinfoniche oltre a rielaborarle per diversi orga- nici strumentali, inizia ad imporre con esuberanza la sua personalità originale e insofferente verso gli accademismi: fonda un’orchestra di amatori per la quale scrive le sue prime opere strumentali e compone la Suite per orchestra d’archi, eseguita alla fine di quello stesso anno a Brno. Prima opera del suo catalogo orchestrale, la Suite è un interessante documento storico del periodo classicistico di Janáček: in sei brevi movimenti, resterà inedita fino al 1926. I primi due (Moderato e Adagio) oscillano tra richiami armonici wagneriani e melodie brahmsiane, mentre il successivo Andante con moto presenta un carattere ritmico decisamente derivante dalla tradizione popolare ceca. Al Presto, che rielabora in tono classico il materiale melodico di un incompiuto Sonetto per quattro violini, fa da contraltare il più cupo e notturno Adagio che conduce all’Andante finale: ed è proprio questo movimento conclusivo a rivelare l’indisciplinato classicismo di Janáček. Costante riferimento del compositore boemo fu lo stimato maestro e amico Antonín Dvořák, che rimane, accanto a Smetana e allo stesso Janáček, uno dei maggiori esponenti della musica boema del secolo scorso. Il suo linguaggio fluente e spontaneo esalta la gioia del “fare musica” da sempre tipica degli Slavi, e dei Ce- LUNEDÌ 11 MAGGIO 2015 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30 PRAGUE CHAMBER ORCHESTRA MARIANGELA VACATELLO pianoforte Leoš Janáček Suite JW 6/2 per archi Ludwig van Beethoven Concerto n. 2 in si bemolle maggiore op. 19 per pianoforte e orchestra Samuel Barber Adagio op.11 per archi Antonín Dvořák Serenata in mi maggiore op. 22 per archi Introduce Fulvia de Colle. Da quindici anni a Musica Insieme, collabora alla direzione artistica, scrive di musica e traduce per Einaudi Editore chi in particolare: canti di strada, di osteria, di campagna rivivono nella sua produzione, senza volgarità ma anzi con semplicità e bonarietà. E la storia delle sue opere, delle sinfonie, delle pagine cameristiche, ci parla proprio di questo spirito, di quel radicato sentimento popolare mai tradito, sempre rigenerato dall’interno. L’eco di questa ‘musica della terra’ è per Dvořák un moto intimo e indelebile. La Serenata in mi maggiore op. Prague Chamber Orchestra Nel corso di oltre mezzo secolo di attività, la Prague Chamber Orchestra si è distinta per le sue straordinarie esecuzioni sia all’estero, sia in patria, esibendosi in Canada, Giappone, Australia, Hong Kong, Corea. Impostasi all’attenzione della critica grazie alla partecipazione al Festival della Primavera di Praga nel 1952, è ben presto entrata nel novero delle principali compagini ceche. Nonostante si esibisca per tradizione senza un direttore, nel corso della propria attività la Prague Chamber Orchestra ha collaborato su alcuni programmi specifici con direttori del livello di Václav Neumann, Gerd Albrecht, Sir Charles Mackerras, e con solisti come Michelangeli, Accardo, Maisky, Gabetta. Mariangela Vacatello Esibitasi con le orchestre più famose in sale come la Wigmore Hall di Londra, la Disney Hall di Los Angeles, la Carnegie Hall di New York, nel 2005 viene scelta per rappresentare l’Italia al Musical Interpretation Prize 2002 di Bruxelles e si aggiudica il Premio “Giuseppe Verdi: la musica per la vita”, come riconoscimento al suo precoce talento e alla sua straordinaria tecnica. Dopo aver conseguito il Master all’Accademia di Imola nel 2006, viene premiata al Concorso “Busoni” 2005 ed al “Reine Elisabeth” 2007, e nel 2009 vince il “Top of the World” norvegese e il Premio del Pubblico al prestigioso “Van Cliburn” statunitense. MI MUSICA INSIEME 47 Lunedì 11 maggio 2015 DA ASCOLTARE Di Mariangela Vacatello in versione digitale abbiamo già detto proprio su queste pagine. Rammentiamo quindi solo le due incisioni per la Brilliant: Liszt, Studi trascendentali, e il più recente tutto Debussy (2012). Il catalogo dell’Orchestra da Camera di Praga, invece, è lungo e articolato. Del resto, non potrebbe essere diversamente. Basti rammentare che l’anno di fondazione del celebre ensemble ceco è il 1951. Lasciando da parte la gloriosa età dei long playing, nell’epoca del compact disc la compagine praghese ha ulteriormente arricchito la già lunga lista delle sue registrazioni. L’ha arricchita scegliendo con cura un repertorio spesso inusuale, scelta già di per sé meritevole della massima attenzione e di sincera lode. Certo non manca la Serenata di Dvořák (2001), ma questa s’inserisce in un percorso dove troviamo pagine rare come i Concerti per clarinetto di Baermann (2002) per la Orfeo o le sinfonie e le partite di Frantisek Tuma incise nel 2010 ed attualmente disponibili solo come file audio. E poi ci sono Dittersdorf, Mysliveček, Benda, Hoffmeister, e così via accanto al sempre amato e gettonato Mozart. 22 per archi è assimilabile alla produzione cameristica sia per l’origine settecentesca della serenata, sia perché la fioritura di questo genere creativo era strettamente collegata alla disponibilità di strumentisti boemi, sia tra gli archi sia tra i fiati, arruolatisi nelle orchestre arcivescovili o principesche mitteleuropee. Brahms e l’influente critico Hanslick furono tra i primi a manifestare a Dvořák la propria simpatia per questo lavoro sin dal primo ascolto. La Serenata fu scritta nel 1875 in soli dodici giorni. Ripartita in cinque movimenti in forma di suite, è un brano di intensa carica melodica e di grande fascino. Il primo movimento (Moderato) si apre con il bellissimo e celeberrimo tema che passa dai violini ai violoncelli e viceversa, originando la sensazione di visione aerea di un paesaggio incantevole all’interno del quale per un attimo l’occhio cerca di mettere a fuoco i piccoli momenti della vita quotidiana. Il Tempo di Valse che segue è senza dubbio frutto delle prime esperienze del compositore quando si guadagnava da vivere come membro dell’orchestra da ballo “Komzàk”: un valzer lieve e vaporoso che all’interno del movimento si evolve continuamente fino al nostalgico tema del Trio centrale, che preannuncia la linea melodica del successivo Larghetto. Il terzo movimento è un bril- lantissimo Scherzo in cui le serrate imitazioni contrappuntistiche tra le diverse sezioni strumentali sembrano ricordare il gioioso vociare di una festa paesana. La straordinaria invenzione melodica del Larghetto (il cui tema viene richiamato anche negli altri movimenti) catalizza la quasi completa attenzione dell’intera Serenata: frasi struggenti, intriganti cellule sonore, risonanze che si diradano, insomma un concentrato di emozioni che conduce al ‘felice spirito’ di terra boema nel Finale, annunciato da incalzanti elementi a squillo e veloci staccati discendenti a canone tra i violini e il resto dell’orchestra. Il Concerto per pianoforte e orchestra in si bemolle maggiore op. 19 di Beethoven, composto tra il 1794 e il 1798, venne eseguito per la prima volta a Praga e vanta, tra le prime esecuzioni che richiamarono sull’opera l’attenzione del pubblico, quelle del grande pianista ungherese Ernő Dohnány. Questo concerto è mozartiano nella struttura del primo movimento (Allegro con brio), che rimanda per alcuni versi al Concerto in re minore KV 466 del genio salisburghese: l’entrata del solista, che non espone subito il primo tema ma inizia a fantasia, con figurazioni derivate dal materiale tematico già esposto dall’orchestra; il rapporto tra solista e orchestra, con il pianoforte integrato nella massa degli strumenti, dalla quale emerge spesso ma nella quale si inserisce anche come se fosse uno dei componenti dell’orchestra; l’organico e, soprattutto, la somiglianza ritmica e melodica tra i secondi temi dei due concerti. Il secondo movimento è un Adagio tra i più grandi del primo Beethoven, e di altissimo valore emotivo: la cadenza finale svela una straordinaria forza drammatica dell’orchestra che cede il passo ad un parlante recitativo del pianoforte. L’ultimo movimento (Rondò. Molto allegro) è un rondò di semplicissima struttura, a metà tra il rondò brillante e il rondò pastorale, al cui interno il pianoforte prima, e i violini poi, intonano un frammento melodico del secondo tempo della Sinfonia “Pastorale”. Lo sapevate che... La Prague si caratterizza per essere un’orchestra senza direttore: a prescindere dall’ampiezza dell’organico, ogni membro della compagine assume un ruolo paritetico 48 MI MUSICA INSIEME PER LEGGERE Helmut Failoni e Francesco Merini L’Orchestra. Claudio Abbado e i musicisti della Mozart (Mammut Film, 2014) Per Mammut Film, con il contributo di Fabio Roversi Monaco, Fondazione Carisbo e Museo della città di Bologna, è uscito il DVD L’orchestra. Claudio Abbado e i musicisti della Mozart di Helmut Failoni e Francesco Merini. Un’ora per raccontare la vita dell’Orchestra Mozart, che, già scomparsa, ha però lasciato un segno. Claudio Abbado fondò “la Mozart” riunendo i migliori musicisti e mescolando giovani promesse ed affermati solisti: da Johane Gonzalez, contrabbassista venezuelano proveniente da un barrio di Caracas, al trombettista tedesco Reinhold Friedrich. Seguendo l’orchestra nel tour italiano ed europeo 2012/13, il documentario offre uno sguardo unico e privilegiato sul lavoro del Maestro Abbado e sull’essere musicisti di classica nel nuovo millennio, raccontando alcuni dei componenti dell’orchestra, dai concerti alla vita privata: Maria Francesca Latella, Federica Vignoni, Lucas Macías Navarro, Alois Posch, Alessio Allegrini. Con due interviste inedite ed esclusive al maestro Abbado e riprese durante i concerti e le prove di Bologna, Lucerna, Vienna, Madrid e Palermo. Luca Chiantore Beethoven al pianoforte. Improvvisazione, composizione e ricerca sonora negli esercizi tecnici (Il Saggiatore, 2014) Luca Chiantore è un pianista e musicologo formatosi a Milano e all’Università di Barcellona. Finiti gli studi è rimasto in Spagna dov’è noto come interprete e studioso, specializzato soprattutto in tecnica pianistica. Per l’editrice Il Saggiatore esce la traduzione di un suo ampio saggio intitolato Beethoven al pianoforte. Improvvisazione, composizione e ricerca sonora negli esercizi tecnici. Se n’è parlato molto per un solo capitolo in cui l’autore sostiene «Non fu Beethoven a scrivere Per Elisa». Ovviamente, la reazione è stata ampia, ma non è questa la tesi più interessante. Il volume, in realtà, guarda al compositore in un’interessante prospettiva inedita: quella degli esercizi tecnici. L’autore ha trovato tali brani tra gli appunti di Beethoven, eppure si tratta di una testimonianza preziosa. Non si tratta della tecnica cui siamo abituati, quanto di una riflessione pratica che prelude e sottende alle composizioni più note del Tedesco. Insomma, chiamarla tecnica sembra un po’ riduttivo: siamo di fronte alla testimonianza affascinante del suo rapporto fisico con lo strumento, in vista di nuovi spazi sonori. Di grande interesse anche il discorso sull’improvvisazione. 50 MI MUSICA INSIEME MEMORIA di Chiara Sirk SONORA Un DVD e due libri ci restituiscono le testimonianze di grandi Maestri, raccontandoci l’Orchestra del Maestro Abbado, le dediche a Luigi Nono e le riflessioni sulla tecnica pianistica di Beethoven Resistenza Illuminata è il titolo di un omaggio a Luigi Nono nel settantesimo anniversario della Resistenza e della guerra di Liberazione e di un progetto interdisciplinare che prevede concerti, mostre, proiezioni, convegni e incontri tra Bologna, Ferrara, Marzabotto, Modena, Reggio Emilia. Molte le opere che saranno eseguite nel corso della manifestazione, tra le quali Il Canto Sospeso, basato sulle lettere dei condannati a morte della Resistenza europea, diretto da Roberto Abbado. Alla realizzazione dell’iniziativa tematica collabora, per la consulenza scientifica, la Fondazione “Archivio Luigi Nono” di Venezia. L’Archivio è stato fondato nel 1993, su iniziativa di Nuria Schoenberg Nono, per raccogliere, conservare e promuovere il lascito del compositore. Tale lascito consiste di manoscritti (23.000 fogli di schizzi, abbozzi e studi preparatori per le sue composizioni musicali e 12.000 di appunti e di scritti di natura musicale, teorica e politica); lettere (6.400 con esponenti di spicco della storia, dell’arte, della politica e della cultura italiana e internazionale); nastri (230 bobine, fra materiali preparatori delle opere elettroniche, registrazioni delle prime assolute delle sue composizioni e di alcune interviste); libri e partiture (12.400 volumi, molti dei quali glossati, rari, antichi, unici); vinili (1.370, con registrazioni di musica popolare di ogni provenienza geografica, di discorsi e di canti politici nazionali e internazionali); fotografie (6.500); programmi di sala (300), manifesti (170), recensioni e saggi critici (4000). Per commemorare il novantesimo anniversario della nascita di Luigi Nono, nel 2014 l’Archivio ha pubblicato un libro speciale (Per Luigi Nono. Dediche, a cura di Nuria Schoenberg Nono) con immagini e trascrizioni in lingua originale e in inglese di dediche al compositore, trovate tra i libri e le partiture della sua biblioteca personale, conservati nell’Archivio. Il libro contiene una selezione di 40 dediche, tra le oltre 700 dediche ritrovate, e brevi note biografiche che spiegano il rapporto di ciascun dedicante a Luigi Nono. Alcuni nomi degli autori delle dediche: fra i tanti, Theodor W. Adorno e Nanni Balestrini, Julian Beck e Massimo Cacciari, Italo Calvino e Pietro Ingrao, György Kurtág e Gió Pomodoro. Un viaggio tra rapporti di stima reciproca e di amicizia che, in modo vertiginoso, fa scorrere davanti a noi i maggiori protagonisti di diversi campi dell’arte e della cultura del Novecento. Per Luigi Nono. Dediche a cura di Nuria Schoenberg Nono (Fondazione Archivio Luigi Nono, 2014) DA ASCOLTARE di Piero Mioli GRANDEUR E INTIMISMO Alessandrini e il Concerto Italiano ridanno vita ai Vespri monteverdiani, Baglini si misura con il capolavoro di Musorgskij, mentre l’Estrio incanta con l’incisione dei Trii di Mendelssohn Maurizio Baglini, Roberto Prosseda Pictures at an Exhibition and other Piano Works (2 CD, Decca, 2014) Che i Quadri di un’esposizione siano un capolavoro, un capolavoro tale da rasentare quasi l’incompatibilità con il normale pianismo ottocentesco, è fuor di dubbio. E Maurizio Baglini, pisano del 1975 in piena carriera da tempo, se n’è servito: nel doppio CD della Decca ha registrato tutta l’ardua partitura (con un titolo inglese che forse sorprende ma ha la stessa attendibilità di quello italiano), mettendola in apertura e conseguendo ottimi risultati; e poi si è lanciato in un’integrale musorgskiana dove ha brillato di luce propria, se non a quattro mani in compagnia di Roberto Prosseda e senza temer confronti con un passato illustre. Notevole il lirismo, da Rêverie a Une larme, ma non meno dell’umorismo, evidente nel First punishment delle Memorie infantili. Au village, inoltre, è lento, quasi senza tempo e senza ritmo; e se On the Southern Shore of the Crimea ha il sapore di una ballata lontana, Nanny and me sembra un’antica filastrocca. Su tutto, una paletta dinamica straordinaria (basti la Polka che chiude il primo CD); e la capacità, continua, di suggerire confronti con Rossini e Satie. Estrio Laura Gorna, Cecilia Radic, Laura Manzini Mendelssohn Trios Decca, 2014) Una trentina di pezzi, il camerismo di Mendelssohn; e non tutti fortunati nel repertorio, e tanto meno nella discografia. Dei due Trii per archi e pianoforte, ad esempio, il primo brilla anche dei nomi di Heifetz, Stern, Casals, Rubinstein e Cortot; ma, sebbene il resto della sua presenza in catalogo sia notevole, non si può dire che sia oggetto di concupiscenza. Buona dunque l’idea di proporlo unitamente al secondo nelle grazie, fra l’altro, di un trio tutto femminile. Il quale, fondato nel 2005 e già padrone dei capolavori della sua formazione (fino a Madame Tailleferre), inanella i quattro più quattro movimenti del Trio n. 1 in re minore op. 49 e del Trio n. 2 in do minore op. 66 leggendo le indicazioni di Mendelssohn alla Mendelssohn, cioè con un entusiasmo e un’intensità mai debordanti, sempre romantici, ma giammai anticlassici. Il secondo Scherzo è velocissimo, invero, proprio “quasi presto”, ma l’Andante espressivo precedente suona molto misurato, così come il primo Scherzo profuma ancora di Mozart e l’attacco dell’opera 66 intende la richiesta “energia” in termini più di dinamica che di potenza. Cercare, nei cataloghi monteverdiani, i Vespri solenni per la festa di San Marco, è perfettamente inutile. Si eseguirono, nella Venezia del primo Seicento, grazie a tanto maestro di cappella, ma così belli e pronti come i Vespri della Beata Vergine non si trovano, e non perché sia musica perduta. Come si usava, Monteverdi componeva, eseguiva, e pubblicava in modo da prospettare scelte libere e diverse. Per farla breve, Rinaldo Alessandrini e il suo Concerto Italiano hanno consultato prima le cronache e poi le stampe musicali: da queste, un po’ dai citati vespri mariani del 1610 e specie dalla ricchissima Selva morale e spirituale del 1640 hanno tratto quanto occorreva, quanto risultava dagli usi e costumi. Ed eccoli qua, i Vespri ricomposti, soprattutto ma non solo monteverdiani perché l’antifona è gregoriana e dopo il salmo compare una “sonata in loco antiphonae” (invece della replica), a firma d’altri e per esempio di Giovanni Gabrieli. Ma certo i grandi salmi e mottetti sono suoi, nella loro già barocca e cioè variopinta grandeur. In questa volutamente diseguale panoramica vocal-strumentale il Concerto Italiano non si fa mancare nulla, passando dalla monodia gregoriana alla polifonia concertata con ogni libertà di fraseggio ed esperienza di spettacolo, sempre con trasparenza di contrappunto e scioltezza di pronuncia latina. Così nel CD, cui il cofanetto annette un DVD. Si tratta di un video, un “film” che, ricordando come la registrazione abbia avuto luogo a Mantova, prodiga splendide immagini d’architettura sacra e profana della città dei Gonzaga, con stralci di prove, momenti di registrazione, pause di conversazione fra collaboratori e amici. Quando poi Alessandrini, citando la querelle della prima e seconda “pratica” musicale scoppiata nel primo Seicento, cita come censore di Monteverdi l’Artusi, il cuoco con cui sta parlando non può che sorridere, anch’egli ricordando un Artusi: il romagnolo Pellegrino, famoso autore della Scienza in cucina e arte di mangiar bene. Concerto Italiano, Rinaldo Alessandrini Vespri solenni per la festa di San Marco L'umano e il suo divino. Alessandrini dirige Monteverdi. Un film di Claudio Rufa (CD e DVD, Naïve, 2014) 52 MI MUSICA INSIEME Fondazione Musica Insieme Galleria Cavour, 2 – 40124 Bologna Tel. 051 271932 – Fax 051 279278 Editore Fabrizio Festa Direttore responsabile Bruno Borsari, Fulvia de Colle, Valentina De Ieso, Cristina Fossati, Roberto Massacesi, Alessandra Scardovi In redazione Sara Bacchini, Luca Baccolini, Francesco Corasaniti, Maria Pace Marzocchi, Maria Chiara Mazzi, Piero Mioli, Anastasia Miro, Chiara Sirk, Mariateresa Storino Hanno collaborato Kore Edizioni - Bologna Grafica e impaginazione Grafiche Zanini - Anzola Emilia (Bologna) Stampa Registrazione al Tribunale di Bologna n° 6975 del 31-01-2000 Musica Insieme ringrazia: BANCA DI BOLOGNA, BANCA ETRURIA, BANCA POPOLARE DELL’EMILIA ROMAGNA, BANCO DI DESIO E DELLA BRIANZA, CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTURA DI BOLOGNA, CAMST, CASSA DI RISPARMIO DI BOLOGNA, CASSA DI RISPARMIO DI CENTO, COCCHI TECHNOLOGY, CONFCOMMERCIO ASCOM BOLOGNA, COOP ADRIATICA, COSWELL, FATRO, FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO IN BOLOGNA, FONDAZIONE DEL MONTE DI BOLOGNA E RAVENNA, GRAFICHE ZANINI, GRUPPO GRANAROLO, GRUPPO HERA, MAURIZIO GUERMANDI E ASSOCIATI, MAX INFORMATION, M. 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