DIARI
“DIARI”
di Attilio Azzola
Produzione: Italia, 2007 - Soggetto: Attilio Azzola - Sceneggiatura: Attilio Azzola, M.
Nuzzo, Beba Slijepcevic - Fotografia: Valerio Ferrario e Selene De Rui - Montaggio:
Massimo Sbaraccani, Attilio Azzola - Scenografia: Riccardo Pirovano - Musiche: Mauro
Buttafava, Gipo Gurrado, Mell Morcone – Interpreti e Personaggi: Roisin Grieco (Leo
Villa); Amine Slimane ( Alì Trabelsi); Antonio Sommella ( Michele Mancia); Manuel
Ferreira (Juan Villa); Maria Teruzzi (Ester); Paolo Porta (Giulio); Matilde Pezzotta (Sara);
Joseph Scicluna (Ahmed Trabelsi); Monica Barbato (Yasmine Trabelsi); Davide Lottfalla
(Jalel Trabelsi); Luca Bonetti ( Fededrico Rossini); Sonny Aro (Sonny); Elena Lolli
(Elena); Jose' Alberto Beltran Madalenguitia (Beto); Maria Teruzzi (Ester); Pier Paolo Porta
(Giulio); – Colore – Durata: 93’ – Distribuzione: Lab80. Film vincitore al Festival di
Cannes nella sezione “Ecrans Junior”.
LA STORIA
Juan Villa è tornato dalla natia Argentina dopo dieci anni di assenza, durante i quali non
ha mai dato notizie di sé. Juan è un artista, un attore di teatro, i cartelloni del suo
imminente spettacolo tappezzano i muri della cittadina lombarda. Per questo è in Italia,
nella stessa città in cui vive sua figlia Leonora, detta Leo, che ha lasciato bambina e che
ora ha sedici anni. Capelli castani, un viso acqua sapone, qualche debito scolastico che le
farà compagnia durante l’estate, e Giulio nel cuore. Leo lo frequenta da un paio di
settimane. Non hanno niente in comune, ma non importa, si piacciono. Lui vuole arrivare
subito al sodo, lei invece gli chiede tempo e soprattutto di accompagnarla quella sera a
teatro. Lui però non si fa vedere, e con un sms le dà il benservito, avanzando l’ipotesi che
forse sono troppo diversi per stare insieme … Nel suo monologo Juan parla di una lettera
mai spedita a una ragazza italiana di sedici anni. Leo, seduta da sola in platea, non regge
alla tensione e lascia il teatro. Ci dev’essere una ragione se tutti mi abbandonano, pensa.
Quando vede Giulio insieme a un’altra ragazza, decide che è ora di cambiare. Ed eccola
con una nuova capigliatura rosso fiammante, trucco pesante, anfibi e un tatuaggio sul
polso, simbolo massimo di trasgressione, quasi un rito iniziatico. Si iscrive al seminario
teatrale tenuto da Juan sotto il falso nome di Stefania Di Ari. Juan invita i suoi allievi a
mettersi in gioco, a tirare fuori le emozioni, a urlarle se necessario, e soprattutto a fidarsi
di lui. Leo all’inizio non ci riesce, troppa la rabbia dentro di sé. Ma alla fine ce la fa. Ce l’ho
con te, gli grida. Dove sei stato in tutti questi anni senza mai farti sentire? Più tardi, a casa,
sorride fra sé soddisfatta, come se si fosse liberata di un grosso peso. La sera successiva, a
una festa, Leo vede Giulio baciarsi con la solita ragazza. In bagno, dove si è rifugiata,
ripete a se stessa di essere forte, che tutto va bene. E’ Juan a raccoglierla per strada, più
tardi, stordita dal troppo bere e dalla sofferenza. Adesso, a casa della madre, di fronte a sé
ci sono entrambi i suoi genitori. Non piangere, si impone. E infatti è Juan a farlo, senza
trovare le parole adatte per spiegare a questa figlia troppo a lungo dimenticata la sua
imperdonabile assenza. Può bastare un abbraccio a riempire dieci anni di vuoto?, si
chiede Leo, prima di abbandonarsi al sonno. Coetaneo di Leo, Alì adora i manga ed è
bravissimo a disegnarli, tanto da aver creato K, supereroe dai molteplici poteri, suo alter
ego virtuale. Sotto questa sua identità segreta ha conquistato in chat Sara, la ragazza più
carina della III C. Promosso a scuola senza debiti, Alì non vede l’ora di partire per la
Tunisia con la madre e il fratello più piccolo per le meritate vacanze, ma il padre vuole che
rimanga a lavorare con lui come giardiniere. Alì ci rimane malissimo, ma ubbidisce.
Marziano voglio conoscerti, scrive intanto Sara. Cerca le mie tracce e mi troverai, la incalza
lui, disseminando la città di mappe, disegni e fiori. Ma quando la ragazza scopre che K
non è altri che Alì, va su tutte le furie e lo pianta in asso. Alì ha il cuore spezzato e
vorrebbe sparire dalla faccia della terra. Quella sera, a una festa dove viene trascinato di
peso dagli amici, Sara lo umilia definitivamente. Il giorno dopo il padre gli fa trovare lo
scooter che tanto desiderava. Alì si addormenta all’ombra di un albero nel caldo
pomeridiano, mentre il padre intona una dolce nenia in arabo. Per racimolare qualche
soldo e andarsene in vacanza per conto proprio, Leo farà per una settimana da badante
all’anziano Michele Mancia, mentre la figlia è in ferie. Ad aiutarla nell’accudimento
dell’uomo, che abita in una bella casa con giardino, e come tanti anziani è capriccioso,
scontroso e non ci sta tanto con la testa, c’è il fedele Beto. L’inizio non è dei migliori, ma
Leo impara ad assecondare le manie e le ossessioni del vecchio. Come quella per una certa
Maria, un suo amore di gioventù, alla quale scrive lettere che non spedisce mai, tutte con
la medesima data, e per il tango, che ascolta da un vecchio giradischi, struggendosi per il
bel tempo andato, costringendo Leo a ballarlo insieme ad Alì, sì, proprio lui, che sta
sistemando il giardino di Michele. Pur frequentando la stessa scuola, più o meno gli stessi
luoghi e amici, Leo e Alì non si conoscevano prima, scoprendo di condividere la medesima
passione per i fumetti giapponesi. Una sera Michele sfugge al controllo di Leo e, indossato
un elegante abito bianco, esce furtivamente di casa, appuntandosi un fiore all’occhiello.
Vuole incontrare la sua Maria, e Leo si rivolge ad Alì per aiutarla a cercarlo. Voglio andare
a ballare, lei mi aspetta, chiede Michele, quando i due ragazzi lo trovano poco distante. E
Leo lo accontenta, portandolo in una balera all’aperto e presentandogli la sua ancora bella
e giovanile nonna, ballerina provetta, come Maria. Quella notte, Michele dorme
serenamente dopo tanto tempo, mentre Leo e Alì, al chiarore della luna estiva, accennano
timidamente a qualche passo di tango, per poi spiccare il volo sotto forma di manga.
ANALISI CRITICA
“Diari” nasce da un progetto educativo sviluppatosi in Brianza nel 2007, quando il regista
Attilio Azzola, coadiuvato da alcuni educatori, tenne dei seminari di cinema per gli
studenti delle scuole superiori, alcuni dei quali furono successivamente selezionati per
prendere parte al film, chi come attore, chi come assistente tecnico. Poteva finire lì, come
una bella esperienza circoscritta soltanto a chi l’aveva vissuta, e invece è successo un
miracolo: iscritto quasi per scherzo al festival di Cannes, nella sezione riservata al cinema
giovanile, ha vinto il Primo Premio “per l’originalità della storia e della sua costruzione,
per la recitazione degli attori, la loro spontaneità e la qualità delle musiche”, come recita la
motivazione. E quindi, al successo ottenuto a Cannes da “Gomorra” e “Il divo” va
aggiunto anche quello di “Diari”. Niente male, vero, per un film costato poco e niente in
termini economici, e una bella soddisfazione per il mondo della scuola, al quale è stata
data voce, per una volta tanto, dal suo interno, dai suoi reali protagonisti. Infatti, fra i
tanti film che trattano l’universo giovanile, “Diari” possiede un’originalità e una
freschezza che potremmo definire intrinseche, e soprattutto è portatore di uno sguardo per
una volta ottimista e propositivo nei confronti dei sedicenni, sottratti a una
rappresentazione sempre più univoca e fastidiosa che li vuole dediti soltanto alla droga,
all’alcol e all’autolesionismo, privi di progetti per il futuro, passivi, avulsi e indifferenti
alla realtà che li circonda. I ragazzi qui raccontati vivono i loro conflitti, certo, ma non
necessariamente trasformandoli in tragedia. Hanno i loro problemi, com’è normale alla
loro età, ma sono allegri, vitali, pieni di risorse. “Diari” rappresenta il risultato di
un’esperienza unica, frutto del duro lavoro di un gruppo di giovani impegnati anche
diciotto ore al giorno sul set, e di un regista che ha creduto in loro. Il segreto della sua
riuscita sta tutto qui, nella sua indipendenza economica e libertà creativa, nella sensibilità
di chi è stato capace di cogliere e mettere in scena l’universo adolescenziale rivolgendosi
agli adolescenti stessi, lasciandoli liberi di esprimersi, con la loro ingenuità, le loro piccole
e grandi frustrazioni, le difficoltà di relazione con il mondo adulto, i retaggi infantili
mescolati con la voglia di diventare grandi e parte di un mondo che stanno iniziando a
conoscere ed esplorare. Ma sbaglia chi ritiene che vada premiato unicamente per le sue
belle intenzioni, perché invece è proprio un bel film, scritto e girato bene, con gusto,
sensibilità, cura di ogni dettaglio, dall’ambientazione in una piccola provincia del Nord
alla trattazione “alta” dei sentimenti, dalla musica, che non ha utilizzato la facile
scorciatoia dei brani in voga, ma ha cercato una sua originalità e peculiarità affidandosi a
musicisti e band locali. Non manca, infine, un doveroso omaggio a “Caro diario” di Nanni
Moretti, con la locandina in bella vista appesa in camera di Alì. E poi è molto coinvolgente
questo intreccio di storie di amori non corrisposti e di amori nascenti, di lettere mai
spedite e di identità segrete, di padri assenti e di padri ingombranti, di scherzi del destino
e di coincidenze, scandito in tre capitoli che in realtà compongono un unico percorso,
secondo una struttura narrativa semplice ma interessante, con una sua poetica e un suo
stile, laddove traspare un certo gusto per le coincidenze e le simmetrie, e alcuni elementi
“ritornano” suggestivamente, facendo confluire fra di loro gli episodi in maniera
speculare: il sonno dei protagonisti che chiude ogni capitolo, le lettere mai spedite di Juan
e Michele, l’amore per il ballo che accomuna quest’ultimo e la nonna di Leo , il falso
cognome che Leo dà a Juan quando si iscrive al suo seminario teatrale, Di Ari (oltre al
richiamo evidente al titolo del film, sua madre si chiama Arianna, e dunque anche così Leo
ribadisce di essere solo “di Arianna” e non “di Juan”). Ancora, le vite di Leo e di Alì si
sfiorano inconsapevolmente nella scena della festa, che viene mostrata dai rispettivi punti
di vista. Dapprima, Leo sta ballando con Federico, suo compagno al seminario di teatro.
Leo si sente triste e confusa perché suo padre è appena tornato dal passato portando
scompiglio nella sua vita che non contempla alcuna presenza maschile (mamma e nonna
sembrano libere da legami in questo senso), e Giulio sta abbracciato con un’altra in un
divanetto non lontano da lì. Noi spettatori ancora non lo sappiamo, ma Federico è
soprattutto l’amico del cuore di Alì, che infatti sopraggiunge in quel momento
trascinandolo via dalla pista senza tanti complimenti. Il perché lo scopriamo più avanti,
quando la medesima scena viene rivisitata dal punto di vista di quest’ultimo. Quella
sfortunata serata segue la rivelazione della propria identità da parte del ragazzo a Sara, la
quale ha reagito nel peggiore dei modi, non solo respingendo il povero Alì, ma
dichiarando anche il suo interesse per Federico, che non si capisce bene se “c’è” o “ci fa”.
Alì interrompe il lento sulla pista perché vuole capire come stanno le cose, perché non
potrebbe sopportare, oltre al rifiuto della ragazza, il tradimento del suo migliore amico.
Alì e Leo si sfiorano anche in altre circostanze, per forza, frequentano la stessa scuola, gli
stessi luoghi di ritrovo, conoscono le stesse persone, prima di incontrarsi in un terreno
neutro, che permette loro di svelarsi come sono, al di là delle identità segrete di cui
entrambi si sono serviti. Leo si iscrive al seminario teatrale tenuto dal padre sotto falso
nome, con la speranza che lui la riconosca ugualmente; allo stesso modo Alì, sotto le
mentite spoglie di K, desidera di essere riconosciuto ugualmente da Sara, e che lei sappia
guardare oltre l’apparenza. Fragili entrambi, nei momenti di difficoltà Alì e Leo escogitano
una sorta di formula magica per farsi coraggio, scacciare il dolore, il disagio,
l’inadeguatezza di fronte alle prime difficoltà della vita. Leo decide improvvisamente di
cambiare nel momento in cui ricompare il padre e subisce la sua prima delusione d’amore.
E allora via l’aspetto ancora fanciullesco, e sotto con il cambio drastico del look, che
diventa quasi un travestimento: capelli colorati, trucco accentuato, abbigliamento dark,
come a voler cancellare la sua recente infanzia, almeno fino a quando non capirà chi è
veramente, magari indossando un elegante abito nero da sera. Ma queste trasformazioni
non hanno nulla a che vedere con la menzogna, con l’inganno, bensì con la dimensione
dell’immaginazione, della proiezione fantastica, della capacità di rappresentarsi come
altro da sé per poter essere ugualmente riconosciuto. Come succede nelle favole, del resto,
dove all’eroe viene richiesta come prova d’amore quella di saper ritrovare il proprio amato
o amata anche sotto altre sembianze, per effetto di un qualche incantesimo e sortilegio. I
tre episodi sono costruiti su altrettante figure paterne, ciascuna a suo modo emblematica:
quella immatura e irresponsabile di Juan, quella tradizionalista e autoritaria di Ahmed,
quella ormai anziana e persa in un mondo tutto suo di Michele. Leo sta affrontando il
problema di un padre assente che, dopo dieci anni, si presenta improvvisamente nella sua
vita, al quale urla tutto il suo dolore, fino a quando se ne sente liberata, uscendo più
matura e consapevole. Alì ha invece il problema opposto, quello di sottrarsi al controllo
eccessivo del genitore e di far valere i propri diritti, ora che sta crescendo. Restando solo
con lui però, egli ne scopre per la prima volta la dedizione al lavoro, l’amore per i figli, la
tenerezza ben celati sotto la ruvida scorza che il suo ruolo gli impone. Michele rappresenta
un modello genitoriale d’altri tempi, eppure quell’amore perduto per Maria possiede
qualcosa di adolescenziale, di immaturo e di irrisolto. Due età, quella adolescenziale e
quella anziana, che si incontrano perché accomunate dal medesimo desiderio di
rivendicare i propri bisogni, senza i compromessi e le regole dell’età adulta. Michele svela
ai due ragazzi i segreti della seduzione e i codici amorosi della sua epoca, affascinandoli,
perché sono modi che essi non conoscono, completamente al di fuori dai condizionamenti
del gruppo dei pari e del loro ambiente. In questa cornice del tutto nuova e inaspettata,
Leo e Alì si liberano delle loro identità fittizie e si mostrano così come sono.
Nell’adolescenza tutto è vissuto con straordinaria intensità e urgenza. È un periodo della
vita dove necessariamente mettiamo in discussione noi stessi e il mondo che ci circonda,
con tutto il carico di insicurezza che questo comporta, ma che ci regala, ora più che mai, la
capacità di sognare. E allora il finale favolistico ci sta tutto, dentro a questo piccolo
viaggio di maturazione, lontano dai luoghi comuni e pieno di vita.
SPUNTI DІ RIFLESSIONE E APPROFONDIMENTO
-Il film rappresenta la parte conclusiva di un progetto formativo sviluppato nel territorio
della Brianza, realizzato attraverso laboratori e seminari condotti durante i primi sei mesi
del 2007 dal regista Attilio Azzola e dall’educatrice Maria Grazia Biraghi. L’esperienza
maturata durante questo periodo ha rappresentato il punto di partenza per la scelta dei
personaggi e per la costruzione del soggetto. Il film è stato realizzato con un gruppo
selezionato di ragazzi che hanno partecipato alle riprese affiancando la troupe e
collaborando come assistenti. Ogni fase del progetto è stata filmata in modo da costruire
un documentario video, che possa costituire una memoria ulteriore dell’esperienza e
testimoniare dall’interno il percorso compiuto dai ragazzi. (Notizie tratte dal Press Book
del film). Vi piacerebbe poter fare un’esperienza come quella vissuta dai ragazzi
lombardi? E se sì, su quali tematiche?
- “Al di là di tutti i buoni propositi, più di tutto mi assillava una domanda: “Ma davvero
c’è bisogno di un altro film sull’adolescenza?”. La risposta credo che venga spontanea: no
di certo. I giovani sono ormai un argomento stra-inflazionato, non solo nel cinema: basta
accendere un televisore per essere bombardati da messaggi terroristici sulle abitudini degli
adolescenti italiani: abusano di alcol, sesso e droga, e come se non bastasse, sono i più
ignoranti d’Europa. Un coro di biasimo e paure che sembra avere relegato la percezione di
chi attraversa quel periodo della vita in due macro categorie: quelli tipo gioventù bruciata,
dediti a eccessi di ogni tipo; quelli tipo gioventù da bruciare, vittime passive della società
dei consumi, attaccati ai cellulari e al televisore. In tutta la confusione che mi si affollava
nella mente, avevo chiara solo una cosa: io avrei cercato di raccontare qualcosa di diverso.
In primo luogo perché essere succubi della cronaca è un percorso che trovavo e trovo
artisticamente sterile, e poi perché quello stereotipo non corrispondeva e non corrisponde
all’esperienza maturata in anni di lavoro con e sui ragazzi (Dichiarazione del Regista, dal
Press book del film)”. Condividete questa dichiarazione del regista, e ritenete riuscito il
suo intento di sottrarre agli stereotipi negativi la realtà giovanile contemporanea?
-“Non voglio certo dire che siano solo problemi inventati dai media, tutt’altro, ma quello
che a me interessava indagare e che chiedevo a quelli con cui entravo in contatto, era di
mostrarmi quanto di meglio sapevano o sognavano di fare. La gioventù che sono andato a
cercare è quella che trasforma un garage in una sala prove, quella che passa le notti su un
computer per realizzare un’animazione di dieci secondi, quella che si esalta per l’ultimo
film del regista preferito, quella che legge poesie o piuttosto che non ha mai letto un libro
ma ha dentro un enorme bisogno di gridare al mondo il proprio valore. Quella gioventù
volevo fosse la protagonista di “Diari”, e per quella gioventù “Diari” sarebbe stato
l’incubatore in cui far fiorire i propri talenti. Mi sono imposto la sfida di fare un film
togliendo tutti gli stereotipi legati a sesso, droga e violenza, e cercare se ci fosse ancora
qualcosa di interessante da dire su questi ragazzi. (Dichiarazione del Regista, dal Press
book del film). Vi sentite di appartenere a questa gioventù con cui ha avuto a che fare il
regista?
-Che cosa pensate dell’immagine che spesso viene data dei giovani da parte dei media, di
cui si parla solo per i disastri che combinano? Come si possono superare questi stereotipi,
che fanno di tutta un’erba un fascio?
-Quale fra i tre episodi che compongono il film vi è piaciuto di più e vi ha maggiormente
coinvolto?
-Come giudicate le figure adulte del film?Quale vi è parsa la più interessante e riuscita?
-Quale fra le figure dei ragazzi vi ha maggiormente colpito e per quale ragione? Ce n’è una
in particolare nella quale vi siete identificati o che avete percepito come simile a voi?
- “La scuola è un campo di conflitto. Molto teso ma su base del tutto individuale: studenti
e professori, ma anche professori tra loro, si fronteggiano in modo molto duro. I professori
si devono conquistare sul campo il rispetto degli alunni. Molto diverso dai miei tempi,
quando la politica assolveva a una funzione di mediazione”. (Dichiarazione del Regista,
dal Press book del film). Quali sono le vostre impressioni sui rapporti esistenti all’interno
del mondo della scuola, fra studenti e con gli insegnanti?
-“Diari”, vero e proprio film corale, ha lasciato senza fiato la giuria di Cannes; i ragazzi
francesi hanno raccontato di essersi immedesimati nei personaggi riconoscendosi in tutto e
per tutto. “E’ questo il segreto, raccontare una storia con connotati universali, dinamiche
comportamentali e conflitti sono sempre gli stessi”, spiega Azzola, “probabilmente gli
adolescenti hanno meno punti di riferimento di un tempo, da qui molti dei loro problemi”.
Con una sceneggiatura che è andata aggiustandosi via via che venivano individuati gli
attori, Alì è Amine Slimane, monzese “doc” di origini tunisine, Roisin Grieco è Leo, la
pellicola è frutto dell’osmosi fra realtà e finzione. “Il lavoro è stato complesso”, aggiunge
il regista, ma l’esito ci ha ripagato di tutti gli sforzi, è stata un’esperienza proficua per
principianti e professionisti a partire da me. Presto potrebbe esserci un seguito: sto
pensando a “Diari 2” per approfondire il viaggio”. (Dichiarazione del Regista, dal Press
book del film). Avete qualche tematica da suggerire al regista per l’eventuale “Diari 2”?
Scheda realizzata da: Lucia Caratti
Progetto: “Educare alla sessualità – Schermi del cuore” – Usl 9 Treviso – Responsabile dott.ssa
Teresa Rando
I RAGAZZI CHE SI AMANO
I ragazzi che si amano si baciano in piedi
Contro le porte della notte
E i passanti che passano li segnano a dito
Ma i ragazzi che si amano
Non ci sono per nessuno
Ed è soltanto la loro ombra
Che trema nel buio
Suscitando la rabbia dei passanti
La loro rabbia il loro disprezzo i loro risolini
la loro invidia
I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno
Loro sono altrove ben più lontano della notte
Ben più in alto del sole
Nell’abbagliante splendore del loro primo amore.
Jacques Prévert