Corso di Laurea Specialistica in Economia e Finanza Prova finale di Laurea Liquidità e crisi finanziarie: un indicatore di stress finanziario Relatore Prof. ssa Monica Billio Laureando Marco Bonventi Matricola 817888 Anno Accademico 2008 / 2009 Semplicemente grazie ad Angela, per l’aiuto nel reperimento dei dati con Bloomberg; a Lorenzo Frattarolo, per l’aiuto e la pazienza nell’impostazione dello script di MatLab; alla Prof.ssa Monica Billio, per l’aiuto ricevuto e la dedizione e disponibilità dimostrata, oltre che nello svolgimento di questo lavoro durante tutto il corso di laurea. INDICE INTRODUZIONE ..............................................................................................................i 1. IL PROBLEMA DELLA LIQUIDITÀ ........................................................................1 1.1. DEFINIZIONE DEI DIVERSI ASPETTI DELLA LIQUIDITÀ .......................1 1.1.1. Liquidità della Banca Centrale...................................................................3 1.1.2. Liquidità di finanziamento .........................................................................3 1.1.3. Liquidità di mercato ...................................................................................5 1.2. MECCANISMI DI INTERRELAZIONE E PROPAGAZIONE DEL RISCHIO DI LIQUIDITÀ ..................................................................................................13 1.3. MISURE DI LIQUIDITÀ .................................................................................22 1.4. FATTORI COMUNI DI LIQUIDITÀ .............................................................. 46 1.5. LIQUIDITÀ ED HEDGE FUND ......................................................................50 2. LE CRISI FINANZIARIE: DEFINIZIONE ED IDENTIFICAZIONE .....................55 2.1. INTRODUZIONE ............................................................................................. 55 2.2. RISCHIO SISTEMICO .....................................................................................56 2.3. CRISI BANCARIE ........................................................................................... 57 2.4. CRISI SUL DEBITO SOVRANO ....................................................................58 2.5. CRISI VALUTARIE .........................................................................................59 2.6. CRISI DEI MERCATI ......................................................................................59 2.6.1. Aumento dell’incertezza sul valore fondamentale delle attività ..............60 2.6.2. Aumento dell’incertezza sul comportamento degli altri investitori .........61 2.6.3. Aumento dell’asimmetria informativa .....................................................61 2.6.4. Diminuzione della disponibilità a detenere attività rischiose ..................62 2.6.5. Diminuzione della disponibilità a detenere attività illiquide ...................62 2.6.6. Interazione tra domanda e offerta di liquidità durante le crisi di mercato64 2.7. EPISODI SELEZIONATI DI CRISI FINANZIARIE ......................................67 2.7.1. Crisi asiatica, 1997 ...................................................................................67 2.7.2. Crisi russa e fallimento di LTCM, 1998 ..................................................68 2.7.3. Agosto, 2007 ............................................................................................ 71 2.7.4. Crisi dei mutui sub-prime, 2007-2009 .....................................................71 3. ANALISI EMPIRICA ................................................................................................ 75 3.1. INTRODUZIONE ............................................................................................. 75 3.2. DATI .................................................................................................................75 3.2.1. Costruzione delle variabili e significato economico ................................ 78 3.3. ANALISI DEI DATI .........................................................................................86 3.3.1. Periodo lungo (ottobre 1991-ottobre 2009) .............................................86 3.3.2. Periodo breve (gennaio 2002-ottobre 2009) ............................................90 3.4. COSTRUZIONE DI UN INDICE DI STRESS FINANZIARIO .....................93 3.4.1. Long Period Financial Stress Index .........................................................93 3.4.1.1. Episodi di stress correttamente segnalati dall’indicatore ...............96 3.4.1.2. Episodi di stress index specific.......................................................98 3.4.2. Short Period Financial Stress Index .........................................................99 3.4.2.1. Episodi di stress correttamente segnalati dall’indicatore .............102 3.5. ANALISI DI EPISODI SELEZIONATI DI STRESS FINANZIARIO .........102 3.5.1. 1998: Crisi Russa e LTCM ....................................................................102 3.5.2. 2000-2001: Bolla dot.com e crollo Nasdaq ...........................................104 3.5.3. 2007-2009: Crisi dei sub-prime ............................................................. 106 3.6. CONFRONTO CON ALTRI INDICATORI DI STRESS FINANZIARIO ...109 CONCLUSIONI ............................................................................................................114 APPENDICE A: RISULTATI DELLA PRINCIPAL COMPONENT ANALYSIS ....118 I. PERIODO LUNGO (ottobre 1991 - ottobre 2009) ...........................................118 II. PERIODO BREVE (gennaio 2002 – ottobre 2009) ..........................................120 BIBLIOGRAFIA ...........................................................................................................121 Faremo un grande regalo alla nostra società se capiremo cosa ha plasmato il mondo moderno, e cosa potrebbe plasmare il futuro. Jared Diamond, “Armi, acciaio e malattie” INTRODUZIONE Marzo 2010 La comprensione di fenomeni reali è particolarmente complessa a causa dell’interagire di una moltitudine di variabili. L’esigenza di ridurre questa complessità è evidente in qualsiasi branca di studio e gli esempi potrebbero essere infiniti: metafore e similitudini nella letteratura, parabole nella teologia, modelli nell’economia, fattispecie in giurisprudenza e molte altre se ne possono rintracciare in qualsiasi altro campo. Il tentativo di spiegare la complessità dei fenomeni reali è una sfida ancor maggiore nel momento in cui interviene una variabile particolare: l’essere umano. Spiegare il flusso di un liquido in un corpo è una cosa alla portata di molti individui con gli strumenti adatti. Spiegare un fenomeno in cui interviene l’agire umano è tutt’altra cosa. Le possibili combinazioni e variabili in gioco sono pressoché infinite. L’uomo, di fatto, non agisce sempre in modo razionale (che già sarebbe un grande vantaggio per gli studiosi) ma anche quando ciò accade, esso si trova a rispondere a delle logiche personali determinate da un insieme di fattori, credenze, culture, educazioni, sensazioni, condizioni ambientali, influenze, che ne rendono ogni azione in qualche modo unica. Lo studio del comportamento dei mercati finanziari può essere visto come lo studio dell’interagire umano, sotto determinati stimoli, in determinati ambienti, con determinati obiettivi. i In questo lavoro si è cercato di indagare come si comportino i mercati durante le crisi finanziarie e attraverso quali segnali sia possibile individuarle, per arrivare a fornire nuove informazioni e nuovi strumenti agli operatori. La recente crisi finanziaria è stata la più dirompente ed estesa degli ultimi vent’anni e questo ha inevitabilmente portato a riconsiderare buona parte del sistema finanziario globale. La maggior parte delle teorie economiche cerca di spiegare il comportamento dei mercati finanziari in condizioni ideali, in modo da ridurre la complessità di cui si parlava. Se da un lato tale approccio consente effettivamente una delimitazione del problema, dall’altro trascura un aspetto fondamentale costituito dal fatto che i momenti critici sono proprio quelli più importanti. Si è scelto di basarsi sul mercato statunitense in quanto è lì che ha avuto origine la recente crisi ed in quanto è, ad oggi, il mercato considerato più efficiente e più esteso. Si è partiti dal cercare di capire quali siano i diversi aspetti della liquidità, in quanto componente fondamentale e, forse, maggiormente influente nei momenti di tensione, in modo da fornire un primo quadro di concetti e misure per la comprensione dell’analisi seguente. Per far ciò, nel capitolo 1, si cercheranno di delineare le diverse sfaccettature della liquidità, evidenziando le caratteristiche della liquidità di mercato e della liquidità di finanziamento e i relativi rischi. Quindi si tenterà di capire come queste due componenti interagiscano e si propaghino a livello di sistema finanziario. Infine, si ricercheranno le grandezze più diffuse per misurare il grado di liquidità all’interno di un mercato e gli eventuali fattori comuni in grado di spiegarne l’andamento. Attenzione verrà posta anche al settore degli hedge fund in quanto fornitori di liquidità al sistema e attori determinanti nella recente crisi ed anche nella crisi del 1998 che coinvolse il fondo Long Term Capital Management. Nel capitolo 2, ci si soffermerà, invece, sulle crisi finanziarie. Dopo averne introdotto i concetti di base e cosa si intenda per rischio sistemico si approfondiranno le caratteristiche delle crisi bancarie, delle crisi sul debito sovrano, delle crisi valutarie e delle crisi dei mercati. In particolare, a proposito di quest’ultime, si evidenzieranno i cambiamenti che colpiscono i meccanismi di interazione tra domanda e offerta di liquidità durante le crisi. Infine, si analizzeranno alcuni episodi selezionati di crisi finanziarie storiche che appaiono maggiormente rilevanti ai fini dell’analisi empirica ii successiva. Perciò, si descriveranno brevemente la crisi asiatica del 1997, quella russa e di LTCM del 1998 e quella recente del 2007-2009 (su quest’ultima facendo una finestra sul mese di agosto 2007 particolarmente rilevante per il settore degli hedge fund). Il capitolo 3 contiene l’analisi empirica che ha l’obiettivo di verificare se esistano, di fatto, le relazioni e i comportamenti comuni e latenti tra le diverse misure di liquidità evidenziate nei capitoli precedenti. Se tali andamenti fossero confermati si potrebbe costruire un indicatore di stress finanziario che permette di evidenziare correttamente le crisi del passato. L’analisi verrà svolta dapprima identificando a livello teorico, sulla basa della survey contenuta nei primi due capitoli quali siano le variabili più utilizzate in letteratura e più attendibili nello spiegare i fenomeni sottostanti. Si utilizzerà, quindi, la tecnica dell’Analisi delle Componenti Principali (Principal Component Analysis in anglosassone) che consente di estrarre da un campione un numero limitato di componenti principali capaci di spiegare il più possibile la variabilità dei dati. Una volta estratte le componenti più rappresentative si cercherà di aggregarle in un indice di stress finanziario seguendo le linee tracciate in altri indici simili costruiti dalla Bank of Canada, dalla Federal Reserve Bank of Kansas City, dal Fondo Monetario Internazionale e da Goldman Sachs1. Infine, si cercherà di verificare se tale indicatore riesce ad identificare le crisi finanziarie degli ultimi vent’anni e se è possibile rintracciare, grazie al contributo delle singole componenti, quali siano i segmenti che maggiormente ne hanno influenzato l’andamento. 1 Per i riferimenti si veda il capitolo 3. iii Capitolo 1 IL PROBLEMA DELLA LIQUIDITÀ 1.1 DEFINIZIONE DEI DIVERSI ASPETTI DELLA LIQUIDITÀ Il concetto di liquidità nella letteratura economica è legato alla capacità di un agente economico di scambiare il suo benessere con prodotti e servizi o con altre attività [Williamson, 2008]. In tale contesto, la liquidità può essere interpretata come un insieme di flussi scambiati tra gli agenti economici (in particolare intermediari finanziari, banca centrale e mercati). Pertanto, il concetto di liquidità si può ricollegare alla capacità di portare effettivamente a compimento tali flussi. L’impossibilità di realizzarli porta, invece, a considerare un’attività finanziaria illiquida. La liquidità non è facilmente definibile in modo univoco, essa andrebbe definita, piuttosto, come un insieme di caratteristiche delle attività o dei mercati in cui vengono scambiate. Il termine assume, inoltre, una dimensione relativa dal momento che più 1 liquida è un’attività, più facilmente è possibile scambiarla per la liquidità per eccellenza: la moneta2. Un mercato perfettamente liquido dovrebbe perciò garantire un singolo prezzo richiesto e offerto in qualsiasi momento e indipendentemente dalle quantità scambiate. Tuttavia, i mercati finanziari, anche quelli ritenuti più liquidi, si conformano a questa configurazione ideale molto di rado. Il rischio di liquidità indica, invece, la probabilità di non avere la capacità di essere liquidi; più altra è tale probabilità, maggiore sarà il rischio di liquidità. Le cause del rischio di liquidità giacciono nell’allontanamento dai paradigmi di mercati completi e simmetrie informative, che possono condurre a fenomeni di moral hazard3 e di selezione avversa4. Nel momento in cui tali condizioni persistono, il rischio di liquidità risulta essere endemico nel sistema finanziario e può provocare un legame vizioso tra liquidità di finanziamento e di mercato, spingendo verso un rischio di liquidità sistematico. Pertanto, si possono individuare diverse nozioni di liquidità. In primo luogo esiste la liquidità della Banca Centrale in cui il termine liquidità viene spesso usato in una prospettiva monetaria per indicare la liquidità dell’intera economia. Quindi si ha la liquidità del lato passivo del bilancio degli agenti detta anche liquidità di finanziamento (funding liquidity in anglosassone), indicando con ciò la facilità con cui gli operatori riescono ad ottenere finanziamenti. Inoltre, la liquidità è anche una caratteristica di un’attività o di un mercato (rispettivamente asset liquidity e market liquidity in anglosassone) a seconda che l’attenzione sia posta sul bilancio d’esercizio o sul mercato. Dal punto di vista di un investitore essa descrive la facilità con cui viene scambiata un’attività. Queste diverse forme interagiscono tra di loro in modo complesso e dinamico influenzando la stabilità finanziaria globale. Connesso a ciò, è importante distinguere sin da subito tra liquidità e rischio di liquidità e, in quest’ultimo tra rischio di liquidità di mercato e rischio di liquidità di 2 Per moneta qui si fa riferimento al circolante, cioè l’insieme delle monete e banconote usate come mezzo legale di pagamento. 3 Cfr. Isotta F. (2007) “Il fenomeno dell’azzardo morale riguarda la situazione successiva alla stipulazione del contratto nel momento in cui una parte non ha la possibilità di verificare il comportamento/sforzo/impegno della controparte ma può solo osservarne il risultato”. 4 Cfr. Isotta F. (2007) “Il fenomeno della selezione avversa trova la propria origine nel fatto che l’agente dispone, prima della definizione del contratto, di informazioni maggiori e diverse rispetto a quelle di cui dispone la controparte”. 2 finanziamento. Il primo è il rischio che la liquidità di mercato peggiori nel momento in cui è necessario liberarsi di una posizione. Il secondo è il rischio che un investitore non possa (ri)finanziare la propria posizione e sia costretto a liquidarla [Garcia, 2009]. 1.1.1 LIQUIDITÀ DELLA BANCA CENTRALE La liquidità della Banca Centrale consiste nella capacità delle banche centrali di fornire la liquidità necessaria al sistema finanziario. Tipicamente viene misurata come il flusso di base monetaria5 dalla banca centrale al sistema finanziario. La strategia della Banca Centrale determina l’atteggiamento di politica monetaria, cioè stabilisce il livello di target operativo. Per implementare tale target, la Banca Centrale usa gli strumenti di politica monetaria (operazioni di mercato aperto) per influenzare la liquidità nei mercati monetari in modo che il tasso interbancario sia allineato al tasso operativo target stabilito dalla prevalente posizione di politica monetaria. Il rischio di liquidità per la Banca Centrale viene considerato nullo in quanto, tipicamente, essendo il monopolista della fornitura di liquidità, può dispensare liquidità in qualsiasi momento e in qualsiasi quantità (salvo le ovvie conseguenze di politica monetaria). Una Banca Centrale può, al limite, essere ritenuta illiquida solo nel caso in cui non vi sia domanda per la valuta domestica; ciò potrebbe avvenire in caso di iperinflazione o crisi nei tassi di cambio. 1.1.2 LIQUIDITÀ DI FINANZIAMENTO A rendere più complessa un’univoca definizione di liquidità c’è anche il fatto che le diverse accezioni di liquidità assumono sfumature diverse al loro interno. I risk manager delle banche e delle istituzioni finanziarie sono interessati alla liquidità dal lato dei finanziamenti, cioè la facilità con la quale i deficit di liquidità delle imprese possano essere (ri)finanziati attraverso le diverse fonti di finanziamento interne ed esterne. Le fluttuazioni imprevedibili durante il tempo di tali quantità costituiscono, di fatto, il rischio di liquidità di finanziamento. Data l’importanza di tale materia, le istituzioni internazionali hanno ritenuto opportuno definire esplicitamente in cosa consista la liquidità di finanziamento. Così 5 Per base monetaria si intende la moneta legale e le attività finanziarie convertibili in moneta legale rapidamente e senza costi 3 essa è definita dal Comitato di Basilea (2008a) come la capacità delle banche di far fronte alle proprie passività, liquidare o stanziare le proprie posizioni nel momento in cui risulta essere necessario. In modo simile il Fondo Monetario Internazionale (2008c) fornisce una definizione di liquidità di finanziamento come la capacità delle istituzioni non insolventi di far fronte agli accordi sui pagamenti in un tempo ragionevole. Il rischio di liquidità di finanziamento, secondo il Fondo Monetario Internazionale (2008c), cattura l’incapacità dell’intermediario finanziario di servire le proprie passività a scadenza. Dal punto di vista degli investitori e degli operatori del mercato, invece, la liquidità di finanziamento, è legata alla propria capacità di raccogliere fondi in breve tempo [Brunnermeier e Pedersen, 2007; Strahan, 2008]. In pratica, un entità è liquida fin tanto che i flussi in entrata sono maggiori o almeno uguali a quelli in uscita. La liquidità di finanziamento descrive la facilità con cui gli investitori esperti e gli arbitraggisti possono ottenere fondi da (talvolta meno informati) finanziatori. La liquidità di finanziamento è alta (e il mercato si dice sia inondato da liquidità) quando è facile raccogliere moneta. Tipicamente un investitore che sfrutta la leva acquista un’attività e quindi la usa come collateral per prendere a prestito a breve termine. Tuttavia, l’investitore non può prendere a prestito l’intero valore. La differenza tra il prezzo dell’azione acquistata dall’investitore e il suo valore in quanto collateral (margine o haircut) deve essere finanziato dall’investitore con capitale proprio. I prestiti concessi per adempiere ai margini sono tipicamente a breve termine, dato il fatto che gli haircut possono essere adeguati alle condizioni di mercato su base giornaliera. Capitali esterni e finanziamenti a lungo termine sono più costosi e più difficili da ottenere, soprattutto quando un investitore è sottoposto al cosiddetto problema del debt-overhang, cioè il fatto che i nuovi finanziatori informati siano riluttanti ad immettere nuovo capitale di rischio dal momento che i risultati dell’investimento remunerano in primis i portatori di capitale di debito e i vecchi investitori e solo in secundis i portatori di nuovo capitale di rischio. Le istituzioni finanziarie che poggiano principalmente sulle commercial paper6 a breve termine o sui contratti repo7 hanno la necessità di rinnovare i propri debiti 6 Le commercial paper sono titoli di credito simili alle cambiali, emesse dalle imprese e generalmente sottoscritte da banche, fondi di investimento o privati. 4 frequentemente. Di fatto, l’impossibilità di rinnovare questo debito corrisponde ad un aumento dei margini del 100% poiché le società diventano incapaci di usare le attività come basi per raccogliere fondi [Brunnermeier, 2009]. Seguendo Brunnermeier (2009), il rischio di liquidità di finanziamento può, conseguentemente, assumere tre forme: 1. Rischio di finanziamento del margine/haircut (o il rischio che l’haircut cambi); 2. Rischio di rinnovamento (o il rischio che sarà più costoso o impossibile rinnovare i prestiti a breve termine); 3. Rischio di rimborso (o il rischio che i correntisti della banca o gli azionisti del fondo chiedano il rimborso del capitale). Bisogna notare, ad ogni modo, che le diverse specificazioni del rischio di liquidità di finanziamento risultano essere dannose solamente nel momento in cui le attività possono essere vendute esclusivamente a prezzi estremamente scontati (cioè quando la liquidità di mercato è bassa). Perciò, il rischio di liquidità di finanziamento consiste nel rischio che un’istituzione debba fronteggiare richieste di liquidità incerte nel futuro che nascono dalle sue attività di business quotidiane. Le istituzioni per cui le attività di negoziazione costituiscono la maggior (se non l’intera) parte dell’attività complessiva come le società di brokerage, le grandi banche d’investimento e gli hedge fund fronteggiano flussi in uscita netti durante i periodi di shock sistematici di liquidità o delle attività così come durante periodi di shock idiosincratici o specifici di tali istituzioni. 1.1.3 LIQUIDITÀ DI MERCATO Anche all’interno del concetto di liquidità di mercato esistono diverse sfaccettature. La liquidità di mercato è spesso definita come la capacità di scambiare un’attività in breve tempo, a basso costo e con un piccolo impatto sul prezzo. La 7 I contratti repo consistono in un accordo tra un venditore ed un acquirente di strumenti finanziari nel quale il venditore si accorda di riacquistare lo strumento ad un prezzo prestabilito in una determinata da futura. 5 liquidità di mercato, pertanto, và distinta in diverse componenti che incorporano i volumi, il tempo e i costi di transazione. Esistono, in altre parole, tre dimensioni di cui si deve tener conto: la profondità di mercato, l’ampiezza e l’elasticità. Un mercato è “profondo” quando un elevato numero di transazioni possono avvenire senza influenzare il prezzo o quando un grande ammontare di ordini giacciono negli order-book dei market-maker in un determinato momento (alto numero di acquirenti e venditori). Un mercato “stretto” è un mercato in cui i prezzi delle transazioni non divergono dai prezzi medi di mercato. Infine, in un mercato “elastico” le fluttuazioni dei prezzi dovute agli scambi scompaiono rapidamente e gli squilibri nei flussi di ordini sono rapidamente aggiustati8. Queste dimensioni assicurano che qualsiasi ammontare di attività possa essere venduta in qualsiasi momento all’interno delle ore di mercato, rapidamente, con perdite minime e a prezzi competitivi. La liquidità di mercato poggia essenzialmente sulla presenza di un numero sufficiente di controparti e dalla loro disponibilità a scambiare. Quest’ultima dipende dalle aspettative degli investitori riguardanti gli sviluppi dei prezzi e la loro avversione al rischio in un determinato momento, così come dalle informazioni disponibili. Un mercato è liquido quando chiunque può scambiare un’ampia quantità poco dopo che la volontà di scambiare è sorta, ad un prezzo vicino ai prezzi degli scambi precedenti e successivi allo scambio voluto. La liquidità indica, quindi, la velocità e la facilità alla quale un investitore può scambiare, ma non è direttamente osservabile. Si ritiene che la liquidità di mercato sia bassa quando è difficile raccogliere capitali vendendo le attività. In altre parole, la liquidità di mercato è bassa quando vendere l’attività deprime il prezzo di vendita e quindi diventa molto costoso ridurre l’esposizione in bilancio. La letteratura distingue tre sottoforme di liquidità di mercato [Kyle, 1985]: 1. L’ampiezza del bid-ask spread che misura il costo di un’inversione di posizione in breve tempo per un ammontare standard. In altre 8 Stando a Liu (2006) si possono riassumere quattro caratteristiche della liquidità: quantità scambiata, velocità di scambio, costi di transazione e impatto sul prezzo. 6 parole misura quanto gli investitori perderebbero se vendessero un unità di un’attività e la ricomprassero immediatamente; 2. La profondità di mercato, che corrisponde al volume delle transazione che possono essere immediatamente eseguite senza uno spostamento dei prezzi limite migliori. Cioè quante unità gli investitori possono vendere o comprare all’attuale prezzo bid o ask senza modificare il prezzo; 3. L’elasticità di mercato, cioè la velocità con cui i prezzi si riportano al loro livello di equilibrio in seguito ad uno shock casuale nel flusso della transazione. L’elasticità determina quanto tempo occorra ai prezzi, che sono temporaneamente scesi, per tornare al livello iniziale. Pertanto, per i partecipanti al mercato dei capitali, la liquidità generalmente si riferisce ai costi di transazione che sorgono, appunto, dai bid-ask spread, dagli impatti sul prezzo e dalla limitata profondità del mercato per scambiare in sicurezza. Per questo motivo, il rischio di liquidità per questi partecipanti generalmente si riferisce a variazioni impreviste nei costi di transazione. Il primo aspetto è una misura diretta dei costi di transazione (escludendo altri costi operativi come le commissioni di intermediazione e quelle di clearing e settlement). Gli altri due indicano la capacità del mercato di assorbire volumi significativi senza effetti avversi sui prezzi. Il prezzo offerto è il prezzo più alto che un market maker è disposto a pagare in un determinato momento per acquistare un determinato ammontare di attività. Simmetricamente, il prezzo richiesto è il prezzo più basso a cui il market maker è disposto a vendere un determinato ammontare di attività. La differenza tra prezzo offerto e prezzo richiesto (bid-ask spread) compensa il market maker per l’immediata esecuzione che offre alle sue controparti. Lo spread misura il costo di una sequenza vendita/acquisto o acquisto/vendita su un breve periodo di tempo: solo lo spread medio dovrebbe perciò essere attribuito ad una singola transazione dal momento che solo tale prezzo è quello che dovrebbe essere pagato in un mercato perfettamente liquido. La sottigliezza dello spread dipende, tra l’altro, dai costi di gestire gli ordini da parte dei market maker, dalla dimensione e volatilità dei flussi di ordini accumulati, così 7 come dal grado di asimmetria informativa tra i market maker e chi mette in atto la transazione. In un mercato quote-driven, lo spread quotato corrisponde alla differenza tra il miglior prezzo offerto e il miglior prezzo richiesto forniti dai market maker, mentre, in un mercato order-driven, ciò che conta è la differenza tra i prezzi limite migliori dell’order book9. Ad ogni modo, lo spread quotato nei mercati non è generalmente un riflesso esatto dei costi di transazione poiché certi scambi potrebbero non essere effettuate ai prezzi bid e ask ma a prezzi collocati all’interno di questo spread o addirittura al di fuori dello spread. In aggiunta a ciò si deve considerare che lo spread è una misura della liquidità che si riferisce ad un preciso momento. Dal punto di vista della misura e gestione del rischio è perciò importante tener conto anche della sua variabilità nel tempo. In particolare, lo spread è quotato per importi limitati e normalmente tende ad ampliarsi in presenza di massicci flussi di ordini, che è ciò a cui si riferisce il concetto di profondità del mercato. Nel caso di una vendita, l’impatto negativo dei flussi di ordini sul prezzo bid, deriva dal declino nella curva di domanda di mercato aggregata che dipende dall’ammontare offerto (cioè dalla sua imperfetta elasticità). Quest’ultima può essere attribuita, in particolare, all’asimmetria informativa tra i partecipanti al mercato. Un flusso sostanziale di ordini di vendita per un’attività fa sorgere, infatti, il sospetto che colui che ha dato il via alla transazione abbia informazioni privilegiate sulla qualità dell’attività e conduce gli acquirenti potenziali a richiedere un prezzo scontato in cambio. Anche il rischio di esecuzione, cioè la possibilità che errori e ritardi nei pagamenti di grandi volumi di ordini, potrebbe condurre a tali reazioni del mercato. Le spiegazioni esistenti della presenza di uno spread sono basate sulle asimmetrie informative e su considerazioni riguardanti il deposito dei market maker. Sotto entrambi gli approcci i market maker sono compensati dallo spread tra il prezzo al quale sono disposti ad acquistare e il prezzo al quale sono disposti a vendere un titolo rischioso. Le spiegazioni basate sull’asimmetria informativa vedono il mercato come consistente da tre tipi di investitori: quelli con informazioni superiori, quelli con 9 Questi due tipi di organizzazione del mercato differiscono con riguardo alle modalità di fissazione dei prezzi e nel modo in cui la liquidità viene assicurata. In un mercato order-driven la liquidità viene creata incrociando gli ordini in un order book centrale. In un mercato price-driven la liquidità è creata attraverso l’azione degli intermediari (i market maker), che garantiscono agli investitori un prezzo offerto e un prezzo richiesto per un ammontare minimo . 8 necessità di scambio legate al ciclo di vita e i market maker. I market maker non posseggono informazioni superiori ma operano la funzione cruciale di fornire liquidità al mercato e per questo motivo dovrebbero ottenere un rendimento adeguato sul loro capitale. Essi scambiano sia con investitori informati che con investitori non informati che sono indistinguibili dalla posizione che essi ricoprono. Per evitare perdite di denaro, i market maker sono pronti ad acquistare i titoli a prezzi più bassi di quelli a cui sono venduti. Motivo per cui gli spread sono positivi. In media, i market maker perdono negli scambi con gli investitori informati e guadagnano negli scambi con gli investitori disinformati.10 I modelli basati sul deposito, sviluppati per primi da Amihud e Mendelson (1980, 1982) e da Ho e Stoll (1981), si focalizzano, invece, sull’esposizione dei market maker al rischio provocato dall’accumulo di titoli. In genere i market maker si trovano di fronte a vincoli sull’ammontare detenuto11 o sul livello di depositi desiderato e ad un costo dal discostarsi da tali livelli12. Lo spread è, pertanto, una fonte di profitto che serve a compensare l’intermediario per l’esposizione al rischio e per i costi amministrativi; riflette quindi la forza di mercato dell’intermediario. Le teorie della profondità sono, invece, estensioni del modello di asimmetria informativa dello spread. Gli intermediari, in genere, sono pronti a scambiare solo quantità limitate per proteggere se stessi dagli investitori più informati che potrebbero essere interessati a fornire o richiedere arbitrariamente ampie quantità ai prezzi dell’intermediario13. La sensibilità del prezzo ai blocchi di transazioni è spesso stimata con la λ di Kyle14 nella seguente equazione econometrica: 10 I primi a formulare ed analizzare tali modelli sono stati Glosten e Milgrom (1985) e Kyle (1985) ed a loro si rimanda per una descrizione più approfondita del fenomeno. 11 Cfr. Amihud e Mendelson (1982) 12 Cfr. Ho e Stoll (1981) 13 Cfr. Charoenwong e Chung (2000), Kavajecz (1996,1999) e Rhodes-Kropf (1998). 14 Cfr. Kyle (1985) 9 dove i cambiamenti di prezzo, , sono una funzione lineare del volume netto degli scambi (NVOLt: differenza tra l’ammontare di ordini di acquisto e di vendita nel periodo t) ed εt a rappresentare un errore casuale. Il coefficiente λ stima la capacità del mercato di assorbire grandi volumi di transazioni: maggiore il volume, minore la capacità di assorbimento da parte del mercato. La liquidità di mercato può anche essere definita come il costo di scambiare un’attività rispetto al suo fair value15. Il fair value viene normalmente stabilito come punto medio del bid-ask spread. Stange e Kaserer (2009) distinguono tre componenti del costo della liquidità in percentuale rispetto al prezzo medio per una determinata quantità di ordinativo al tempo t: dove T(q) sono i costi diretti dello scambio, è l’impatto sul prezzo rispetto al prezzo medio a causa della dimensione della posizione e sono i costi per il ritardo nel caso in cui una posizione non possa essere scambiata immediatamente. I costi diretti dello scambio comprendono le commissioni per lo scambio, le commissioni per l’intermediazione e le tasse sulla transazione. L’impatto sul prezzo è la differenza tra il prezzo raggiunto dalla transazione e il prezzo medio. Esso può anche essere visto come il risultato di curve di domanda e di offerta imperfettamente elastiche che causano un decremento dell’impatto sul prezzo in base alla quantità scambiata. Il fatto che i costi della liquidità aumentino in base alla dimensione dell’ordine è dovuto a due motivi. In primis, gli investitori hanno aspettative eterogenee in relazione al fair value di un’attività e sono soggetti a restrizioni di capitale. Sono perciò disposti a scambiare solo una limitata quantità al loro prezzo prefissato. Maggiore è la posizione da scambiare, maggiori saranno le controparti da trovare e perciò il prezzo raggiungibile nella transazione crolla. In secundis, i costi della liquidità rappresentano anche un prezzo per l’immediatezza. Una transazione immediata ad un determinato prezzo può 15 Cfr. Dowd (2001), Buhl (2004), Amihud e Mendelson (2006). 10 essere essenzialmente vista come un’opzione di tipo americano abbinata ad uno scambio16. I costi del ritardo, invece, comprendono i costi della ricerca di una controparte e il costo imposto all’investitore per sopportare il rischio causato dal fatto che i prezzi e i costi dell’impatto sul prezzo possono cambiare durante il ritardo17. Tale modello si raccorda con le diverse forme di liquidità di mercato e liquidità di finanziamento individuate anche da Kyle (1985) e da Black (1971). Difatti, l’ampiezza del bid-ask spread corrisponde alla somma tra costi diretti dello scambio e costi dell’impatto sul prezzo; la profondità corrisponde alla quantità q scambiabile ad uno specifico impatto sul prezzo; l’elasticità è la velocità di regressione verso la media del costo della liquidità; l’immediatezza corrisponde direttamente al tempo di ritardo della componente del costo di tale ritardo. La liquidità di mercato (cioè la capacità di regolare le transazioni ai prezzi correnti e in qualsiasi momento senza costi di transazione rilevanti) non è mai completamente assicurata. Difatti, una delle minacce più subdole alla liquidità di mercato è l’illusione della sua continuità. Questa illusione comporta che i partecipanti al mercato sovrastimino la propria abilità di completare le transazioni o di coprire le proprie posizioni facilmente e rapidamente per soddisfare le necessità in circostanze imprevedibili, portandoli potenzialmente a prendersi eccessivi rischi ex ante. Bisogna notare, infatti, che la liquidità non è una caratteristica continua. Pertanto, le attività possono avere un diverso grado di liquidità. Il grado di liquidità può essere determinato dal tipo di attività, dalla dimensione della posizione e dall’orizzonte di liquidazione. Seguendo Stange e Kaserer (2009) si possono distinguere almeno quattro categorie di gradi di liquidità. Se un’attività è completamente liquida qualsiasi posizione nell’attività può essere scambiata tempestivamente senza alcun costo (ad esempio le banconote). Un’attività, poi, può essere detta “scambiabile con continuità” quando la maggior parte delle posizioni possono essere scambiate, anche se con un 16 Cfr. Chacko et al. (2008): La componente opzionaria comprende il diritto a ricevere un certo ammontare di quote all’esecuzione dell’ordine con il prezzo di mercato corrente come strike price. Questa opzionalità ha un valore implicito che dipende dalla volatilità del prezzo e dalla dimensione dell’ordine relativa al volume di transazione atteso, poiché ciò determina la liquidità futura della posizione per l’acquirente. A causa di queste due componenti, ci si può attendere che il costo dell’impatto sul prezzo aumenti con la grandezza della posizione. 17 Per la maggior parte delle attività come azioni e obbligazioni, i costi per la ricerca sono quasi trascurabili, ma i costi di un rischio aggiuntivo durante il ritardo possono rimanere rilevanti. 11 determinato costo. La determinazione dei costi di transazione è il problema principale in questa prospettiva. Se la liquidità si deteriora ulteriormente, l’attività diventa “scambiabile incostantemente”. Mentre il prezzo di mercato fornisce un indicatore per il fair value di un’attività, il ritardo e la sua incorporazione nelle misure di liquidità costituiscono un problema ancor più grande. Infine, un’attività è illiquida se nessuna posizione può essere scambiata. I prezzi di mercato sono quindi non osservabili e il valore deve essere determinato con metodi intrinseci. Il grado di liquidità è determinato non solo dal tipo di attività ma anche dalla dimensione della posizione. Nella maggior parte dei casi, è la dimensione della posizione in relazione al volume di scambio prevalente che determina il grado di liquidità, il quale mostra anche la relazione tra liquidità dell’attività e liquidità di mercato. Se la dimensione della posizione è più grande del volume scambiato ci si può attendere un significativo ritardo nella transazione (la posizione sull’attività è solamente “scambiale incostantemente”). Se è troppo grande, può addirittura essere illiquida nel breve termine a causa della mancanza di controparti. L’orizzonte di liquidazione è un’altra determinante del grado di liquidità della posizione. Un titolo potrebbe essere illiquido nel breve termine a causa di una mancanza di controparti ma scambiabile incostantemente in orizzonti di liquidazione più lunghi. Di conseguenza, il rischio di liquidità di mercato, è legato all’incapacità di scambiare ad un prezzo conveniente con immediatezza. È la componente sistematica del rischio di liquidità. Ciò ha due implicazioni di rilievo: in primis suggerisce che vi sia una certa affinità nel rischio di liquidità nei mercati; in secundis, dal momento che è sistematico dovrebbe essere prezzato. Tipicamente, i modelli di asset pricing misurano il rischio di liquidità come la covarianza tra una misura di liquidità e i rendimenti di mercato18. Il rischio di liquidità, empiricamente, è nella maggior parte dei casi basso e stabile. Un rischio di liquidità elevato è raro ed episodico. Tale natura può essere dovuta a delle spirali negative di liquidità a causa della liquidità di mercato e di finanziamento che si rinforzano mutualmente ed è raro a causa dei benefici della cooperazione negli scambi.19 18 Si veda Pastor e Stambaugh (2001), Acharya e Pedersen (2005), Liu (2006). Per le evidenze empiriche di elevati rischi di liquidità nei mercati azionari si veda Pastor e Stambaugh (2001). Sulle spirali negative di liquidità si veda Brunnermeier e Pedersen (2005, 2007). Sui benefici della cooperazione negli scambi si veda (Carlyle et al. 2007). 19 12 Il rischio di liquidità è, perciò, il rischio di non essere in grado di liquidare o coprire immediatamente una posizione ai prezzi di mercato correnti. Questo rischio di liquidità di mercato è diverso dal rischio di liquidità del bilancio che consiste nell’incapacità di raccogliere fondi liquidi vendendo attività od ottenendo prestiti. Esso deriva dal fatto che i mercati non sono perfetti in qualsiasi momento e in qualsiasi segmento. È evidente quindi che la liquidità di mercato sia al centro delle preoccupazioni delle banche centrali riguardanti la stabilità finanziaria poiché è una precondizione per l’efficienza del mercato ed anche perché la sua scomparsa improvvisa dai mercati può degenerare in una crisi sistemica come testimoniato, ad esempio, dalle turbolenze dell’estate e autunno del 1998 che sfociarono nell’improvviso drenaggio della liquidità nei mercati obbligazionari. 1.2 MECCANISMI DI INTERRELAZIONE E PROPAGAZIONE DEL RISCHIO DI LIQUIDITÀ Le diverse forme della liquidità e i relativi rischi non hanno un comportamento distinto e indipendente, esse si combinano, si rinforzano mutualmente e si propagano attraverso tutto il sistema economico-finanziario. Secondo Bervas (2006) una crisi di liquidità è il rischio di illiquidità che raggiunge il suo parossismo. Può essere definito come l’incapacità del mercato di assorbire i flussi di ordini senza che questo provochi violenti aggiustamenti nei prezzi che risultano non essere più correlati con il loro valore fondamentale. È caratterizzata da un improvviso ampliamento del bid-ask spread o perfino dalla totale scomparsa di flussi di acquisto o dall’incapacità di scambiare. Spesso conduce ad un aumento della volatilità di breve termine così come ad un crollo del mercato primario. Contiene, perciò, il seme di seri sconvolgimenti sistemici. Il rischio nel dover fronteggiare questi eventi è quello di registrare perdite consistenti nel momento in cui sia necessario liberarsi delle posizioni per adempiere alle passività o fronteggiare le necessità di copertura. L’esaurimento della liquidità è, di fatto, la conseguenza di un coordinamento unanime degli operatori del mercato verso un cattivo equilibrio in cui tutti gli operatori vogliono uscire dal mercato simultaneamente. Se si considera che questa situazione 13 potrebbe essere scatenata da un semplice cambiamento nelle opinioni collettive è chiaro che questi tipi di eventi sono difficili da prevedere. Per di più, il collasso della liquidità potrebbe generare degli incentivi che inducono gli agenti economici razionali a comportarsi in modo da peggiorare la situazione complessiva del mercato. Questa catena negativa di eventi è ampiamente descritta, ad esempio, nella letteratura sulle crisi bancarie che conducono a corse verso i depositi bancari (vedi infra). È lo stesso fenomeno che accade quando le crisi di mercato scatenano la cosiddetta “preferenza per la liquidità” (flight-to-liquidity in anglosassone). Naturalmente, una grande istituzione finanziaria può arrivare a paralizzare il mercato uscendone. Le difficoltà fronteggiate da partecipanti più piccoli ma molti attivi e che sfruttano pesantemente la leva finanziaria, (come gli hedge fund) possono causare gli stessi tipi di problemi. Quando liquidano le loro attività in tempi di difficoltà finanziarie, le loro azioni possono diventare probabilmente un allarme per altri partecipanti al mercato provocando così il cosiddetto “predatory trading”, cioè la vendita anticipata, che toglie liquidità invece che fornirla al momento necessario.20 Infine, sempre secondo Bervas (2006), le crisi di liquidità riflettono le disfunzioni nel meccanismo di regolazione dei prezzi: invece di ristabilire l’equilibrio, i movimenti dei prezzi esprimono un comportamento pro ciclico.21 Acharya e Schaefer (2006) si concentrano in primis sul fatto che gli shock di liquidità sono altamente episodici e tendono ad essere preceduti da (o associati con) ampi e negativi shock sui rendimenti delle attività, per cui il rischio di liquidità è presentato come un particolare fenomeno non lineare. Un’implicazione di ciò è che i prezzi nei mercati dei capitali esibiscono di fatto due regimi. Nel regime normale, gli intermediari sono ben capitalizzati e gli effetti di liquidità sono minimi: i prezzi delle attività riflettono i fondamentali e non c’è effetto di liquidità. Nel regime illiquido gli intermediari sono vicini ai loro limiti di capitale o di collateral e si verifica il cosiddetto “cash-in-the-market pricing”22. In tale contesto la posizione di liquidità dei partecipanti al mercato in un particolare mercato azionario influenza il prezzo di quell’azione. Perciò, i prezzi riflettono indirettamente il costo del capitale implicito per questi 20 Cfr. Brunnermeier e Pedersen (2005). Cfr. Cohen e Shin (2003). 22 Cfr. Allen e Gale (1994, 1998). 21 14 intermediari, cioè il costo che sopportano per emettere un’unità aggiuntiva di capitale di finanziamento per intraprendere la transazione. In secundis, si concentrano sul fatto che questa visione in cui i prezzi seguono due regimi, in termini di effetti di liquidità, aiuta a comprendere le caratteristiche di un fenomeno apparentemente slegato, il rischio che la correlazione dei rendimenti in diversi mercati fluttui nel tempo. Due caratteristiche del rischio di correlazione condividono una relazione fondamentale con il rischio di liquidità: il fatto che le correlazioni nei rendimenti delle attività primarie (azioni e obbligazioni) sembrano aumentare nei mercati in ribasso rispetto a quelli in rialzo23 e che anche i parametri di correlazione impliciti prodotti dai modelli tradizionali di pricing esibiscono tali sostanziali fluttuazioni. La loro ipotesi principale è che una componente importante di queste fluttuazioni nelle correlazioni sia collegata al rischio di liquidità e non alla correlazione tra i flussi di cassa e i tassi di sconto delle attività sottostanti. Nel regime normale, le correlazioni tra i prezzi delle attività sono guidata principalmente dalla correlazione nei fondamentali delle entità sottostanti o nei rischi. Per contro, nel regime illiquido, i prezzi sono influenzati anche dalla posizione di liquidità dei partecipanti al mercato e, di conseguenza, dai limiti impliciti del costo del capitale fronteggiati dagli intermediari. In definitiva, il rischio di liquidità di mercato, il rischio di liquidità di finanziamento e il rischio di correlazione sono tutti interconnessi e legati in modo non lineare alla stessa incertezza nei rendimenti delle attività sottostanti. Queste relazioni tra le differenti dimensioni del rischio di liquidità e i rischi di correlazione e rendimento delle attività apparentemente non collegati, hanno delle importanti implicazioni per i risk manager e per le strategie di copertura che impiegano nelle loro istituzioni. Durante tali periodi di shock sistematici di liquidità si verifica il cosiddetto flight to quality dei depositi nelle banche commerciali. Gatev e Strahan (2003) misurano gli shock di liquidità sistematici attraverso un aumento dello spread tra commercial paper e buoni del tesoro (il cosiddetto paper-bill spread) e trovano che quando tale differenza aumenta, le banche commerciali americane vedono un aumento dei flussi in entrata nei depositi. 23 Cfr. Longin e Solnik (2001) e Ang e Chen (2002) 15 Gli studi sopra citati, mostrano che gli shock nelle attività e gli shock di liquidità tendono ad essere altamente correlati, sia in aggregato che a livello di singolo titolo. In particolare, gli shock di liquidità sono altamente episodici per cui le innovazioni in un mercato illiquido sono generalmente piccole ma in determinati momenti significativamente ampie. Le innovazioni maggiori, di fatto, coincidono con periodi che storicamente sono stati caratterizzati da crisi di liquidità24. La dimensione relativa dei picchi di illiquidità illustra anche che quando l’illiquidità aumenta, tende a farlo improvvisamente, inducendo una relazione non lineare o di cambiamento di regime tra shock di liquidità e shock nei rendimenti delle attività. Perciò, se il rischio di liquidità di finanziamento coincide con il rischio di liquidità di mercato e con il rischio dei rendimenti delle attività potrebbe accadere che un’istituzione e il suo collateral diventino improvvisamente illiquidi. La mancanza di capacità di scambiare riduce i profitti degli intermediari, spingendoli verso i limiti di capitale o di collateral, restringendo ulteriormente la loro capacità di fornire liquidità ai mercati. Per contro, il valore in quanto garanzia delle attività rischiose diminuisce durante i periodi di illiquidità e restringe l’ammontare di finanziamenti garantiti che gli intermediari possono raccogliere. Come si è visto, quando un investitore compra un’attività, può usarla come collateral e prendere a prestito dandola in garanzia e la differenza tra il prezzo di un’attività e il suo valore come garanzia, chiamato margine o haircut, deve essere finanziato con il capitale proprio dell’investitore. In modo analogo, la vendita allo scoperto, anziché liberare capitali, ne richiede nella forma di margini. Perciò, in ogni momento, il margine totale su tutte le posizioni non può eccedere il capitale dell’investitore. Il modello di Brunnermeier e Pedersen (2008) mostra che i finanziamenti degli investitori influenzano (e sono influenzati) dalla liquidità di mercato in modo profondo. Quando la liquidità di finanziamento è scarsa, gli investitori diventano riluttanti a prendere posizioni, in particolar modo le posizioni ad alta intensità di capitale in attività con alti margini. Ciò riduce la liquidità di mercato, portando ad una maggiore volatilità. 24 Ad esempio, la crisi della Penn Central nel maggio 1970, la crisi petrolifera del novembre 1973, il crollo del mercato azionario dell’ottobre 1987, l’invasione irachena del Kuwait nell’agosto 1990, la crisi asiatica del 1997 e la crisi di LTCM nel 1998. 16 In più, sotto certe condizioni, una bassa liquidità di mercato futura aumenta il rischio di finanziare una transazione, aumentando così i margini. Il loro modello implica che la liquidità di mercato possa improvvisamente sparire, abbia una comunanza tra le attività, sia legata alla volatilità, sia soggetta al fenomeno del flight to quality e si muova insieme al mercato. Nel loro modello gli speculatori riducono le fluttuazione del prezzo, fornendo in tal modo liquidità al mercato. Gli speculatori finanziano le loro transazioni attraverso prestiti garantiti da finanziatori che stabiliscono i propri margini per tener sotto controllo il VaR25. Dal momento che i finanziatori possono ristabilire i margini in ogni periodo, gli speculatori fronteggiano il rischio di liquidità di finanziamento a causa del rischio di margini più alti o perdite sulle posizioni esistenti. I due autori definiscono la liquidità di mercato come la differenza tra il prezzo della transazione e il valore fondamentale mentre la liquidità di finanziamento come la scarsità di capitale degli speculatori. Di conseguenza, gli investitori forniscono liquidità al mercato e la loro capacità di far ciò dipende dalla loro disponibilità di finanziamenti. Contrariamente, i finanziamenti degli investitori (capitale e margini) dipendono dalla liquidità di mercato delle attività detenute in portafoglio. Definiscono, inoltre, i margini come “destabilizzanti” se possono aumentare con l’illiquidità. I margini “destabilizzanti” forzano gli speculatori a liquidare le proprie posizioni in periodi di crisi, conducendo a forniture di liquidità di mercato pro-cicliche. Per contro, i margini possono teoricamente diminuire con l’illiquidità e così diventare “stabilizzanti”. Questo accade quando i finanziatori sanno che i prezzi divergono a causa di illiquidità di mercato temporanee e sanno che la liquidità verrà aumentata a breve non appena arriveranno sul mercato altri clienti. Ciò accade perché una divergenza corrente del prezzo dai fondamentali fornisce un cuscino contro movimenti avversi futuri del prezzo, rendendo le posizioni degli speculatori meno rischiose. Tornando alle implicazioni per la liquidità di mercato, dimostrano in primo luogo che, finché il capitale degli speculatori è così abbondante che non c’è il rischio di 25 Il Value at Risk misura la perdita potenziale di una posizione di investimento in un determinato orizzonte temporale con un determinato livello di confidenza. 17 raggiungere i limiti di finanziamento, la liquidità di mercato è naturalmente al livello più alto ed è insensibile ai cambiamenti marginali nel capitale e nei margini. Ad ogni modo, quando gli speculatori raggiungono i propri limiti di capitale (o rischiano di raggiungerli durante il periodo della transazione) riducono le loro posizioni e la liquidità di mercato diminuisce. A quel punto i prezzi sono maggiormente guidati da considerazioni di liquidità di finanziamento piuttosto che da movimenti nei fondamentali.26 La liquidità è fornita, prevalentemente, dai market maker, dagli hedge fund o dalle banche d’investimento, i quali devono finanziare le proprie posizioni (lunghe e corte). Se gli speculatori sono ben finanziati (ampie disponibilità di capitali o bassi margini), possono scambiare maggiormente (aumentando la liquidità) e quindi la liquidità di finanziamento è un driver della liquidità di mercato. Esiste anche un effetto contrario dovuto al fatto che una migliore liquidità di mercato può far diminuire i margini sia perché i finanziatori sono più disponibili a prestare capitali quando possono vendere le garanzie più facilmente e rapidamente, sia perché la liquidità di mercato può diminuire la volatilità. Questi effetti reciproci possono aumentare le spirali di liquidità nel momento in cui alcuni investitori raggiungono (o sono in prossimità di raggiungere) i propri limiti relativamente ai margini o ai rischi assunti. Inoltre, quando i mercati sono illiquidi, la liquidità di mercato è altamente sensibile ad ulteriori cambiamenti nelle condizioni di finanziamento. Ciò è dovuto, come introdotto, a due spirali di liquidità. In primis, una spirale dei margini emerge se i margini aumentano durante l’illiquidità del mercato. In questo caso, uno shock nei finanziamenti sugli speculatori diminuisce la liquidità di mercato, conducendo verso margini più alti, i quali restringono ulteriormente i limiti di finanziamento e così via. In secundis, una spirale delle perdite sorge se gli speculatori detengono un’ampia posizione iniziale che è negativamente correlata con gli shock di domanda dei clienti. In questo caso, uno shock nei finanziamenti aumenta l’illiquidità di mercato, portando a perdite per gli speculatori sulla loro posizione iniziale, forzandoli a vendere di più, portando ad ulteriori cadute dei prezzi e così via. Queste due spirali si rafforzano reciprocamente implicando un effetto totale maggiore della somma dei singoli effetti. Paradossalmente, le spirali di liquidità 26 Sul punto si veda oltre, par. 2.6.6 18 implicano che un ampio shock sulla domanda dei clienti per liquidità immediata conduce ad una riduzione nella fornitura della stessa durante tali periodi di tensione. Nella loro analisi mostrano che il rapporto tra illiquidità e margini è lo stesso in tutte le attività per i quali gli speculatori forniscono liquidità di mercato. Questo rapporto comune è determinato in equilibrio dalla liquidità di finanziamento degli speculatori. In altre parole, l’illiquidità di mercato di un’attività è il prodotto del suo margine e del costo implicito del finanziamento. Il loro modello contribuisce a fornire, perciò, una spiegazione naturale per il comportamento comune tra le attività dal momento che gli shock ai finanziamenti degli speculatori colpiscono tutte le attività. Il legame tra le tre diverse tipologie di liquidità (e i meccanismi di propagazione dei relativi rischi) assume due diverse connotazioni a seconda che ci si trovi in un periodo normale o in un periodo di crisi (o comunque turbolento). Come accennato all’inizio, le cause del rischio di liquidità giacciono nell’allontanamento dal paradigma dei mercati completi e delle simmetrie informative che può condurre ai fenomeni di moral hazard e selezione avversa. In periodi normali i flussi di liquidità scorrono facilmente tra le tre diverse tipologie, stabilendo un circolo di liquidità virtuoso che stimola la stabilità del sistema finanziario. La Banca Centrale fornisce l’ammontare neutro di liquidità27 al sistema finanziario in modo da coprirne il deficit di liquidità in aggregato. Questo ammontare viene ricevuto dalle banche e, attraverso i vari mercati, viene ridistribuito agli agenti economici che necessitano di liquidità e quindi riciclato all’interno del sistema. In tal modo, la banca centrale fornisce l’ammontare neutro di liquidità, i mercati assicurano la ridistribuzione e il riciclaggio e, la necessità di fondi, l’efficiente allocazione tra i diversi agenti economici. In tale contesto, la scelta tra le diverse fonti di liquidità è bastata solamente su considerazioni di prezzo28 e vi sarà sempre liquidità sufficiente per limare qualsiasi frizione. Il meccanismo appena esposto viene distorto nel momento in cui si manifesta nel sistema un rischio di liquidità producendo spirali di illiquidità viziose. Nei periodi 27 Per neutro si intende l’ammontare di liquidità di equilibrio che soddisfa la domanda di liquidità del sistema finanziario senza alterare l’allineamento tra tassi interbancari e tasso programmato. 28 Cfr. Ayuso e Repullo (2003); Ewerhart et al. (2007); Drehmann e Nikolaou (2009). 19 turbolenti il legame tra le tre diverse forme di liquidità rimane solido ma si trasforma in canale propagatore del rischio destabilizzando il sistema. Il rischio di liquidità di finanziamento giace nel cuore delle banche. Le banche sono considerate per costruzione fragili a causa del meccanismo di trasformazione delle scadenze che intraprendono (depositi liquidi a breve termine contro prestiti illiquidi a lungo termine). Nel far ciò le banche trasformano brevi scadenze (i depositi) in scadenze più lunghe (investimenti) al fine di creare liquidità di finanziamento per gli investitori29 e promuovere l’efficiente allocazione di risorse nel sistema. Ciò è quello che accade anche con i market maker o le società di investimento e gli investitori del mercato finanziario. Di conseguenza, le banche fronteggiano un trade-off tra detenere attività liquide a basso rendimento e usarle per investire in attività (relativamente) illiquide ad alto rendimento (quantomeno potenziale). Il rischio di liquidità di finanziamento che colpisce una singola banca (o un singolo intermediario) non è di per sé un evento che interessa l’intero sistema economico-finanziario. Il problema sorge quando il rischio di liquidità di finanziamento viene trasmesso ad altri intermediari facendolo diventare sistemico. A livello di sistema interbancario il rischio si può propagare a causa della stretta interconnessione tra le banche nel medesimo mercato per la liquidità. Il fallimento di una singola banca può provocare una contrazione nell’ammontare comune di liquidità portando a contrazioni di liquidità nelle singole banche attraverso ristrutturazioni anticipate dell’insieme delle attività e passività. Tali interconnessioni possono trasformarsi in canali di propagazione della crisi in presenza di mercati incompleti e informazione asimmetrica. Ciò a causa del fatto che l’assenza di coperture contro future uscite di liquidità si può combinare con asimmetrie informative circa la solvibilità delle banche e stimolare timori di rischio di credito di controparte30. A livello di mercati mobiliari il rischio si può propagare nel momento in cui gli intermediari (banche e società di investimento) costrette da problemi di liquidità decidono di cercare fondi svendendo i titoli in portafoglio e andando così ad influenzare i prezzi dei titoli e la liquidità del mercato mobiliare. Ciò può portare, infatti, ad un aumento della volatilità dei prezzi delle attività, ad una riduzione della partecipazione al 29 30 Cfr. Strahan (2008) Cfr. Allen e Gale (2000); Drehmann et al. (2007); Brusco e Castiglinesi (2007) e Strahan (2008) 20 mercato causata da un aumento dell’incertezza e a prezzi pesantemente sottovalutati in quanto gli acquisti avvengono solo a prezzi scontati. Ovviamente, data la forte relazione tra liquidità di finanziamento e liquidità di mercato esiste la possibilità che si generino delle spirali negative autoalimentate Il meccanismo di trasmissione e amplificazione parte dal fatto che diversi clienti subiscono shock di domanda che si compensano ma arrivano sul mercato in modo sequenziale creando sbilanciamenti temporanei negli ordini. Una spirale di perdite sorge per gli investitori che sfruttano la leva finanziaria perché il declino nel valore delle attività erode il valore netto degli investitori più rapidamente del loro valore lordo (a causa della leva) e l’ammontare che essi possono prendere a prestito crolla. Tali spirali diventano un equilibrio perché altri potenziali acquirenti con esperienza potrebbero fronteggiare limiti simili nello stesso momento ed anche perché altri potenziali acquirenti trovano più profittevole aspettare che si esaurisca la spirale prima di rientrare nel mercato. In casi più estremi, altri investitori potrebbero al limite intraprendere comportamenti come il “predatory trading”, forzando deliberatamente altri a liquidare le posizioni a prezzi stracciati [Brunnermeier e Pedersen, 2005]. La spirale dei margini rinforza, quindi, la spirale delle perdite. Come i margini aumentano, l’investitore deve vendere ancor di più perché ha la necessità di ridurre il proprio rapporto di leva (che veniva mantenuto costante nella spirale delle perdite). I margini e gli haircut raggiungono i massimi nei periodi di ampie cadute dei prezzi, portando ad una generale contrazione dei prestiti. Emerge, quindi, un circolo vizioso in cui margini più alti forzano a ridurre la leva e ad aumentare le vendite, le quali aumentano i margini ulteriormente e forzano maggiori vendite. Tale comportamento può sembrare controverso in quanto una riduzione di prezzo che risulta da una mancanza di liquidità è verosimilmente temporaneo e gli investitori con l’esperienza necessaria si trovano davanti ad una grande opportunità di acquisto. Quindi, si potrebbe pensare che i finanziatori siano disposti a prestare più liberamente riducendo i margini in seguito ad una caduta dei prezzi. Secondo Brunnermeier (2009) ci sono almeno tre ragioni per cui è vero il contrario. In primis, shock inattesi dei prezzi potrebbero essere un avvisaglia di maggiore volatilità futura e ciò comporta un aumento dei margini. In secundis, 21 l’aumento dei margini in concomitanza con il prosciugarsi della liquidità può essere spiegato dall’emergere di frizioni dovute alle asimmetrie informative. I finanziatori diventano particolarmente attenti ad accettare attività come garanzia se hanno il timore di ricevere una selezione particolarmente negativa di attività. Potrebbero, per esempio, essere intimoriti dal fatto che i veicoli di investimento strutturati vendano le attività migliori (vendibili) e lascino come garanzia solo le peggiori e di minor valore. Infine, se i prestatori stimano ingenuamente la volatilità futura usando dati passati, un’ampia caduta dei margini porta a stime della volatilità più elevate e a margini più alti anche se la caduta dei prezzi potenzialmente riflette una grande opportunità di acquisto. La spirale delle perdite è più pronunciata per le azioni con minore liquidità di mercato, poiché venderle in periodi di tensione finanziaria rischia di condurre ad una caduta dei prezzi più ampia di quello che comporterebbe vendere un’attività più liquida. 1.3 MISURE DI LIQUIDITÀ Come detto, la liquidità, indicando un concetto ampio e variegato e non essendo quotata, non è direttamente osservabile. Partendo dall’idea che la liquidità e il rischio relativo siano prezzati nei mercati, in questa parte del capitolo si cercherà di passare in rassegna le diverse misure di liquidità a bassa frequenza di rilevazione proposte in letteratura tentando di individuare le più coerenti e capaci di spiegare i relativi premi. Nel capitolo 3 si analizzeranno le misure di liquidità utilizzabili come proxy nell’analisi empirica. Esistono diverse misure di liquidità in letteratura, per esempio il bid-ask spread quotato, il bid-ask spread effettivo, il turnover, il rapporto tra rendimenti assoluti e volume e le componenti dell’impatto sul prezzo dovute alla selezione avversa e ai costi dei market maker. Ognuna di queste misure potrebbe avere componenti sistematiche e specifiche del titolo. Per di più, le componenti sistematiche di diverse misure di liquidità potrebbero essere correlate. Goyenko, Holden e Trzcinka (2009) hanno testato le più diffuse misure di liquidità di mercato in rapporto a diversi benchmark di liquidità. L’ipotesi di base è che utili misure di liquidità su base mensile e annuale possono essere costruite su dati a bassa frequenza (giornalieri) di rilevazione relativi ai 22 rendimenti azionari e ai volumi scambiati, consentendo ai ricercatori un accesso a misure di liquidità su un lungo periodo storico e in molti mercati. Per determinare quali misure di liquidità siano le migliori, hanno confrontato proxy calcolate su dati a bassa frequenza di rilevazione (giornaliera) con sofisticati benchmark di liquidità calcolati da due set di dati ad alta frequenza di rilevazione (mensile e annuale) usando le correlazioni nelle serie storiche, le correlazioni incrociate e gli errori di predizione. In particolare, il confronto si svolge tra proxy per lo spread e spread effettivi e realizzati e proxy per l’impatto sul prezzo con due benchmark per l’impatto sul prezzo. Nel lavoro testano 12 proxy per lo spread e 12 proxy per l’impatto sul prezzo, su base mensile e annuale, calcolando la loro capacità di cogliere le caratteristiche salienti dei benchmark ad alta frequenza. Il primo metro di misura per le performance consiste nella correlazione media incrociata basata sulla singola società tra proxy per la liquidità a bassa frequenza e benchmark di liquidità ad altra frequenza. Il secondo metro è la correlazione nelle serie storiche basate su un portafoglio egualmente pesato tra proxy di liquidità e benchmark di liquidità. Il terzo e il quarto metro di paragone sono costituiti dall’errore di predizione tra proxy di liquidità e benchmark di liquidità misurato dal suo errore medio e dalla radice quadrata dell’errore medio. Le proxy per lo spread sono la misura di Roll31, l’effective tick, la misura di Holden32, la misura di Gibbs33, la misura LOT, gli zeros, la misura di Amihud34, la gamma di Pastor e Stambaugh35 e la liquidità di Amivest. Nel 1984 Roll sviluppò uno stimatore per l’effective spread basato sulla covarianza seriale del cambiamento nel prezzo: 31 Cfr. Roll (1984) Cfr. Holden (2009) 33 Cfr. Hasbrouck (2004) 34 Cfr. Amihud (2000) 35 Cfr. Pastor e Stambaugh (2001) 32 23 Holden (2009) e gli autori hanno sviluppato una proxy per l’effective spread basata sul raggruppamento dei prezzi osservabili. Basandosi sulla teoria dei costi di negoziazione di Harris (1991) assumono che i prezzi degli scambi siano raggruppati al fine di minimizzare i costi di negoziazione tra gli investitori potenziali. Inoltre, seguendo Christie e Schultz (1994) assumono che il raggruppamento dei prezzi sia completamente determinato dalla dimensione dello spread. Rimandando alla bibliografia per il calcolo delle diverse componenti, basti sapere che la misura è data dalla medie ponderata dalla probabilità ( dimensioni dello spread (sj) divisa per il prezzo medio ( delle singole nell’intervallo i: Sempre Holden (2009) sviluppa un modello che sfrutta sia la correlazione seriale (come Ross) sia il raggruppamento dei prezzi. In questa sede è sufficiente considerare che la proxy per l’effective spread elaborato da Holden è data da: dove è la probabilità che lo spread sia sj. L’effective spread è una misura utilizzata anche da Chordia, Roll e Subrahmanyam (1999) per studiare l’esistenza di un comportamento (o un fattore) comune nella liquidità a livello di sistema finanziario36 e da Korajczyk e Sadka (2007) che lo inseriscono come una delle otto componenti della loro misura globale di rischio sistematico di liquidità37. 36 Gli autori calcolano l’effective spread come: ; dove Pt è il prezzo effettivamente pagato e PM il punto medio del bid-ask spread. 37 Lo spread effettivo percentuale è misurato per ogni scambio come il valore assoluto della differenza tra prezzo della transazione e punto medio del bid-ask spread quotato, diviso per il punto medio del bidask spread: . 24 Hasbrouck (2004) stima il modello di Roll usando i prezzi giornalieri. Hasbrouck assume che lo shock da informazione pubblica del modello di Roll (et) sia distribuito come una normale di media zero e varianza medio nel modello di Roll come . Inoltre, indica lo spread . Quindi usa il campionamento di Gibbs per stimare numericamente i parametri del modello (c, ), gli indicatori latenti di vendita/acquisto/assenza di scambi e i prezzi efficienti latenti. Lesmond, Ogden e Trzcinka (1999) sviluppano uno stimatore dello spread effettivo basato sull’ipotesi di transazioni informate sui giorni di rendimenti nulli. Il modello LOT assume che il vero rendimento non osservato di un’azione j nel giorno t sia dato da: dove βj è la sensibilità dell’azione j ai rendimenti di mercato Rmt nel giorno t e εjt è lo shock da informazione pubblica nel giorno t. La misura di liquidità di LOT è semplicemente la differenza tra il costo percentuale di acquisto (αj2) e il costo percentuale di vendita(αj1): Gli stessi autori introducono anche la proporzione dei giorni con rendimenti nulli come proxy per la liquidità. Le idee di base sono che, in primis, le azioni con liquidità più bassa hanno più probabilmente giorni con volumi scambiati nulli e quindi più probabilmente giorni con rendimenti nulli; in secundis, le azioni con i costi di transazione più alti sono soggette ad una minore ricerca di informazioni riservate e, di conseguenza, anche nei giorni di volumi positivi, è più probabile che non vi siano rivelazioni di informazioni riservate (e quindi, assumendo mercati efficienti, rendimenti nulli). 25 Definiscono la proporzione di giorni con rendimenti nulli come: Una versione alternativa considera il numero di giorni con volumi positivi con rendimenti nulli. L’utilizzo dei giorni con rendimenti nulli caratterizza anche il lavoro di Bekaert, Harvey e Lundblad (2006) che studiano il problema della liquidità nel contesto dell’asset pricing analizzando un campione di paesi emergenti. Nonostante le problematiche relative alla scarsità di dati e alla relativa inefficienza di questi mercati, il campione è interessante perché proprio in questi Paesi il problema della liquidità è più evidente. Usano misure di liquidità che si fondano sull’incidenza dei rendimenti giornalieri nulli osservati. Seguendo Lesmond, Ogden e Trzcinka (1999), sostengono che se il valore di un segnale informativo è insufficiente a superare i costi associati con la transazione, allora i partecipanti al mercato decideranno di non scambiare con il risultato che i rendimenti saranno nulli. La prima misura che implementano è semplicemente la proporzione dei rendimenti giornalieri nulli. Dimostrano che questa misura è altamente correlata con misure più tradizionali dei costi di transazione per i mercati azionari emergenti in un periodo di tempo limitato. Goyenko, Holden, Lundblad e Trzcinka (2005) comparano diverse misure dei costi di transazione per i dati americani e trovano che quelle basate sui rendimenti nulli osservati sono correlate con i costi effettivi ottenuti da dati ad alta frequenza di rilevamento. Sempre seguendo Lesmond, Ogden e Trzcinka (1999) e Lesmond (2005) costruiscono la proporzione di rendimenti giornalieri nulli (ZR, zero-returns) osservati durante il mese di riferimento per ciascun mercato azionario. Ciò che ottengono è che tale misura è abbastanza persistente. La seconda misura incorpora le informazioni circa la durata dell’intervallo di non-scambio (o di rendimenti nulli). Periodi lunghi di giorni consecutivi con assenza di scambi dovrebbero essere associati con effetti maggiori di illiquidità che i periodi non consecutivi. 26 Usando N azioni nel paese i, creano una misura di pressione sul prezzo quotidiana come segue: dove wj rappresenta il peso dell’azione nell’indice. Utilizzano una misura pesata per la capitalizzazione. Da queste due misure ricavano due proxy per la liquidità, ln(1-ZR) e ln(1-PP), ottenendo che la misura dei rendimenti nulli prevede significativamente i rendimenti e che gli shock di liquidità inattesi sono positivamente correlati con i rendimenti e negativamente correlati con i dividendi. Goyenko, Holden e Trzcinka (2009) usano anche altre tre proxy per lo spread: l’illiquidità di Amihud, il gamma di Pastor e Stambaugh e la liquidità di Amivest. Queste misure, in origine, sono state costruite per approssimare l’impatto sul prezzo. Perciò vengono testate solo per la correlazione con gli spread effettivi e realizzati. Amihud (2000) parte dall’ipotesi di base che la relazione tra rendimento e liquidità è data dal fatto che il rendimento atteso del titolo è una funzione crescente dell’illiquidità di un’azione come proposto da Amihud e Mendelson (1986). La misura di illiquidità di un’azione che viene usata dall’autore, chiamata ILLIQ, è il rapporto giornaliero tra il rendimento assoluto dell’azione e il suo volume in dollari, mediato per il periodo necessario. Può essere interpretato come il risultato sul prezzo quotidiano associato con un dollaro di volume di scambio. L’illiquidità riflette l’impatto del flusso di ordini sul prezzo che risulta dai costi di selezione avversa e di gestione (inventory cost)38. Per le transazioni di grandezza standard l’impatto sul prezzo è dato dal bid-ask spread, mentre un più ampio eccesso di domanda induce un impatto maggiore sui prezzi39 riflettendo probabilmente un’azione degli investitori informati. 38 39 Cfr. Amihud e Mendelson (1980) e Glosten e Milgrom (1985) Cfr. Kraus e Stoll (1972) e Keim e Madhavan (1996) 27 L’illiquidità dell’azione, per l’autore, è definita come rapporto medio del rendimento assoluto giornaliero sul volume di scambio in dollari nel dato giorno. Questa misura di illiquidità è fortemente legata al rapporto conosciuto come misura di Amivest (rapporto tra somma del volume quotidiano sulla somma del rendimento assoluto). Tale misura viene diffusamente utilizzata in letteratura. Korajczyk e Sadka (2007) la inseriscono come una delle otto componenti della loro misura globale di rischio sistematico di liquidità, Acharya e Pedersen (2005) e Acharya e Schaefer (2006) la usano come proxy per l’illiquidità dell’attività nella stima delle covarianze e dei beta di liquidità nel loro liquidity-adjusted CAPM, infine, Aragon e Strahan (2009) la utilizzano per verificare se la liquidità di mercato delle azioni detenute dagli hedge fund clienti di Lehman Brothers sia diminuita in seguito al fallimento del prime broker rispetto agli altri hedge fund. Gamma, invece, misura l’inversione dello shock del flusso di ordine del giorno precedente e, pertanto, dovrebbe avere segno negativo. Maggiore è il valore assoluto di Gamma, maggiore sarà l’impatto sul prezzo implicito. Pastor e Stambaugh (2001) studiano l’aspetto della liquidità associato con fluttuazioni temporanee del prezzo indotte dal flusso di ordini. L’idea di base è che, se il volume sottoscritto è visto approssimativamente come flusso di ordini, allora una bassa liquidità si riflette in una più ampia tendenza, per il flusso di ordini in una data direzione, di essere seguito da un cambiamento inverso del prezzo nel giorno seguente. I loro risultati li portano a concludere che i beta di liquidità delle azioni (la loro sensibilità alle innovazioni nella liquidità aggregata) giocano un ruolo significante nell’asset pricing. Le azioni con beta di liquidità più alti esibiscono più alti rendimenti attesi. Gli autori costruiscono una misura di liquidità di mercato come la media delle misure di liquidità delle singole azioni. In particolare la misura di liquidità per l’azione i nel mese t è data dalla stima del coefficiente γi,t della regressione: 28 è il rendimento dell’azione i nel giorno d nel mese t; dove è la differenza tra il rendimento dell’azione e il rendimento del mercato nel giorno d del mese t; è il volume in dollari dell’azione i nel giorno d del mese t. Per rendere la stima più affidabile mediano su base mensile la stima di γi,t ottenendo: Inoltre, stimano le innovazioni nella liquidità costruendo dapprima la differenza mensile ponderata e quindi regredendo tale differenza sui suoi ritardi e sul valore ritardato della serie nei livelli ponderata: dove mt è il valore totale in dollari alla fine del mese t-1 delle azioni incluse nella media nel mese t. Infine, l’innovazione nella liquidità viene calcolata come i residui stimati diviso 100: I risultati li portano ad evidenziare come la misura di liquidità abbia dei picchi negativi in concomitanza con le più famose crisi di liquidità verificatesi negli scorsi anni. Evidenziano, inoltre, il fenomeno del flight-to-quality in cui si verifica un movimento in direzione opposta delle azioni rispetto alle attività a reddito fisso in periodi di caduta della liquidità. Infine, la misura della liquidità della singola azione 29 ( ) li porta a concludere che esiste un comportamento comune nella loro misura di liquidità tra le diverse azioni. Il rapporto di liquidità di Amivest, infine, è una misura di impatto sul prezzo data da: Maggiore è il valore del rapporto minore sarà l’impatto sul prezzo. Le misure per l’impatto sul prezzo usate da Goyenko, Holden e Trzcinka (2009) sono, come per lo spread, la misura di Amihud, quella di Pastor e Stambaugh e il rapporto di Amivest. I risultati del loro studio, nonostante la casualità del campione e il fatto che non venga applicato né a dati internazionali né ad azioni con scambi notevolmente ridotti, concludono che per gli spread effettivi e realizzati le misure dominanti sono l’effective tick, la misura di Holden e la misura di LOT. Holden è quella che fornisce i risultati migliori ma è la più complessa da calcolare, l’effective tick è, invece, la più semplice. Per l’impatto sul prezzo la misura migliore è, invece, l’indice di Amihud. Come visto, diversi paper hanno studiato l’evidenza empirica del fatto che il rischio di liquidità sia sistematico e se tale rischio sistematico sia prezzato nei mercati azionari. Chordia, Roll e Subrahmanhyam (1999), Hasbrouck e Seppi (1999) e Eckbo e Norli (2002) dimostrano che la liquidità ha un fattore comune sistematico. Pàstor e Stambaugh (2001), Acharya e Pedersen (2005), Chen (2005) e Sadka (2006) forniscono prove di un premio per il rischio sistematico di liquidità. I titoli i cui rendimenti sono più sensibili alle fluttuazioni nella liquidità aggregata ricevano maggiori rendimenti rispetto ai titoli che esibiscono una sensibilità più bassa. Sadka (2006) trova prove del fatto che gli shock sistematici di liquidità sono persistenti. La maggior parte di questi autori trovano prove del fatto che la liquidità sia prezzata come una caratteristica o come un fattore di rischio. Tuttavia, la questione più complessa risulta essere la possibilità di affermare con certezza se il premio dovuto a queste diverse misure sia legato a premi di liquidità multipli o se ciascuna misura sia una stima disturbata di una caratteristica o rischio 30 singolo fondamentale di liquidità. Korajczyk e Sadka (2007) stimano una misura di rischio sistematico di liquidità attraverso un insieme di otto misure di liquidità basandosi sul mercato azionario americano. L’insieme comprende bid-ask spread quotato ed effettivo, turnover delle quote, componenti dell’impatto sul prezzo (fisso contro variabile e temporaneo contro permanente) e il rapporto tra rendimenti assoluti e volumi. L’indice di Amihud si è già visto come viene costruito; la seconda misura è il rapporto di turnover che viene utilizzato anche da Amihud (2000) ed è dato da: dove VOLSHS è il volume di scambio nelle quote dell’azione e NSHRS è il numero di quote sul mercato. La terza misura è lo spread percentuale quotato, misurato per ogni scambio dal rapporto tra lo spread bid-ask quotato e il punto medio del bid-ask. Questa misura viene utilizzata anche da Aragon e Strahan (2009) nel citato studio sugli hedge fund, da Chordia, Roll e Subrahmanyam (1999) per studiare la presenza di un comportamento comune nella liquidità e da Huberman e Halka (2001) nello studio sulla presenza di una componente sistematica di liquidità. La quarta misura è costituita dallo spread percentuale effettivo misurato per ogni scambio come il valore assoluto della differenza tra prezzo della transazione e punto medio quotato, diviso per il punto medio del bid-ask spread \ 31 Le altre quattro misure sono le componenti dell’impatto sul prezzo, cioè la reazione dei prezzi della transazione a causa dello scambio. Le componenti sono ottenute attraverso la regressione: 1. : è la componente variabile permanente dell’impatto sul prezzo dal momento che misura quanto la valutazione di un’attività cambia dato uno shock sul volume di scambio sottoscritto 2. : è la componente variabile transitoria dell’impatto sul prezzo dal momento che l’effetto del volume sottoscritto per uno scambio, un effetto di , ha sul prezzo dello scambio j, un effetto di sullo scambio j+1 e nessun effetto sui prezzi seguenti 3. : è la componente fissa permanente dell’impatto sul prezzo 4. : è la componente fissa transitoria dell’impatto sul prezzo. L’evidenza in Glosten e Harris (1987) è che le componenti più significative sono la componente variabile permanente, e la componente fissa transitoria . La significatività del lavoro di Glosten e Harris è testimoniata dal fatto che diversi autori hanno usato queste componenti. Sadka (2006) studia la componente del rischio di liquidità che può spiegare le anomalie nell’asset-pricing. Nel suo lavoro scompone la liquidità nelle componenti fissa e variabile ottenendo che è la componente variabile piuttosto che quella fissa ad essere prezzata nel contesto dei rendimenti di portafoglio dovuti al momentum e al post-earnings-announcement drift. La letteratura distingue tra effetti permanenti e transitori che gli scambi possono avere sui prezzi. Gli effetti permanenti sono attribuiti alla possibilità di insider trading o di informazioni riservate; gli effetti transitori sono associati con i costi dei marketmaker come quelli di gestione degli ordini e di deposito. 32 Nonostante Sadka consideri le quattro misure di Glosten e Harris, si concentra solo sulla componente permanente variabile dell’impatto sul prezzo e sulla componente fissa transitoria. I fattori di liquidità studiati sono basati sulla liquidità a livello di intera economia come fonti di rischio non diversificabile potenziale. Per costruire i fattori di liquidità utilizza le innovazioni applicando un’autoregressione del secondo ordine per calcolare le innovazioni inattese di liquidità. Uno degli aspetti più interessanti è che le serie storiche di questi due fattori sono coerenti con diversi eventi di liquidità che sono accaduti negli scorsi anni (ad es. la crisi del mercato azionario del 1987 e il crollo di LTCM nel 1998). Questo lavoro dimostra che la componente permanente variabile dell’impatto sul prezzo può spiegare una parte dei rendimenti di portafoglio dovuti a momentum e postearnings-announcement drift. Queste anomalie sono legate alle reazioni degli investitori a nuove informazioni riguardo all’impresa: il momentum può essere visto, infatti, come la reazione dell’investitore a notizie riguardanti l’azione40, mentre il post-earningsannouncement drift può essere visto come la reazione a notizie riguardanti i ricavi. Dal momento che queste anomalie sono legate alle informazioni, non dovrebbe sorprendere il fatto che i rendimenti associati ad esse siano sensibili agli shock da asimmetrie informative a livello di intero mercato. Aragon e Strahan (2009) usano le componenti di Glosten e Harris (1987) per scomporre l’indice di Amihud nell’impatto sul prezzo legato ai costi di adverse selection e nell’impatto relativo ai costi di gestione dell’ordine. Seguendo gli studi di Glosten e Harris (1987), di Brennan e Subrahmanyam (1996)41 e di Sadka (2006) stimano questi parametri di liquidità da dati intraday usando il database TAQ. La componente permanente della liquidità riflette i cambiamenti nella valutazione dell’impresa dei market maker dato il flusso di ordini osservato privatamente. Questo è comunemente chiamato “adverse selection cost” dello scambio. La componente transitoria riflette i costi di gestione dell’ordine sopportati dai market maker. Tali costi sono transitori perché non influenzano la valutazione privata dell’azione da parte dei 40 Cfr. Chan (2003) Brennan e Subrahmanyam (1996) misurano l’illiquidità dell’azione dall’impatto sul prezzo, misurato come risposta del prezzo al flusso di ordine e dal costo fisso dello scambio usando dati continui intragiornalieri sulle transazioni e le quotazioni. 41 33 market maker. I risultati li portano a concludere che la maggior parte della componente permanente dell’impatto sul prezzo deriva dalla componente variabile mentre la maggior parte della componente temporanea deriva dalla componente fissa. In aggiunta a queste otto misure di liquidità Korajczyk e Sadka costruiscono anche una serie storica degli squilibri negli ordini mensili: Per la scomposizione delle diverse misure nella componente idiosincratica e in quella sistematica, dapprima standardizzano tutte le variabili, quindi costruiscono un modello in cui la misura di liquidità corrisponde al prodotto tra la misura degli shock di liquidità (fattori latenti) e fattore di sensibilità agli shock comuni di liquidità sommati ad una misura degli shock di liquidità specifica del titolo. Anziché la Principal Component Analysis (PCA) utilizzano l’Asymptotic Principal Components analysis (APC) per estrarre da ogni singola misura le tre componenti principali. Una volta ottenuti fattori comuni di ogni singola misura di liquidità, stimano i fattori comuni a tutte e otto le misure. I risultati evidenziano che esistono dei fattori di liquidità comuni. Ciò è particolarmente evidente per gli spread e per la componente fissa dell’impatto sul prezzo. Infine, per investigare la persistenza nei cambiamenti di liquidità, calcolano la struttura di autocorrelazione della prima componente principale di ciascuna misura di liquidità. L’analisi suggerisce che tutte le misure di liquidità hanno fattori sistematici che sono altamente autocorrelati (per più di 12 ritardi), il che significa che i cambiamenti in questi livelli di liquidità sono relativamente persistenti. Il legame tra liquidità e autocorrelazione risulta essere di particolare interesse per diversi autori. Getmansky, Lo e Makarov (2003) trovano che la correlazione nelle serie dei rendimenti degli hedge fund è maggiore se comparata con gli asset tradizionali come i fondi comuni d’investimento. Essi sostengono che lo schema di autocorrelazione possa essere spiegato dal return smoothing o dall’illiquidità nei rendimenti delle attività. Più illiquido è il portafoglio, infatti, maggiore è l’impatto sul prezzo di una liquidazione forzata la quale erode il capitale di rischio del fondo più velocemente. Perciò se molti fondi fronteggiano la stessa spirale negativa in un determinato momento, 34 cioè se essi diventano maggiormente correlati durante periodi di tensione e se tali fondi sono debitori di un piccolo numero di gradi istituzioni finanziarie, allora un evento nel mercato come quello dell’agosto 1998 può finire rapidamente in una crisi finanziaria globale. Secondo Chan, Getmansky, Haas e Lo (2005) un metodo immediato per valutare l’esposizione al rischio di illiquidità di un dato hedge fund consiste nell’esaminare il coefficiente di autocorrelazione ρk dei rendimenti mensili del fondo, dove: è il k-esimo ordine di autocorrelazione di Rt il quale misura il grado di correlazione tra il rendimento del mese t e il rendimento del mese t-k. Infatti, le frizioni esistenti nel mercato, come i costi di transazione, i limiti ai prestiti, i costi di ottenere ed elaborare le informazioni e le restrizioni istituzionali sulle vendite allo scoperto e su altre pratiche di trading, contribuiscono alla possibilità di autocorrelazione nei rendimenti delle attività che non possono essere facilmente “arbitrate” proprio per la presenza di tali frizioni. Da questa prospettiva, il grado di correlazione nelle serie dei rendimenti di un’attività può essere visto come una proxy della dimensione di tali frizioni e, quindi, dell’illiquidità in quanto una delle fonti più comuni forme di tali attriti. Gli autori sottolineano, comunque, che l’autocorrelazione può sorgere anche a causa del non-synchronous trading, del metodo di valutazione mark-to-market e del performance smoothing. Ad ogni modo, con l’intento di sviluppare una misura maggiormente aggregata per individuare l’esposizione al rischio sistematico, un approccio più semplice potrebbe essere quello di usare il coefficiente di autocorrelazione e la statistica Q di Ljung-Box. Per illustrare questo approccio stimano queste quantità usando i rendimenti storici mensili totali dei 10 fondi comuni più grandi e di 12 hedge fund. Il campione di hedge fund mostra una sostanziale correlazione nelle serie, con un coefficiente di autocorrelazione del primo ordine che varia da -20.17% a 49.01%. Gli unici due fondi che presentano non significatività sono quelli che dichiarano di adottare lo stile “risk arbitrage”. Questi risultati sono sufficientemente coerenti con la nozione di 35 autocorrelazione come proxy del rischio di illiquidità perché tra i vari tipi di fondi nel campione, i “risk arbitrage” sono quelli con maggior probabilità più liquidi, dal momento che, per definizione, investono in titoli che sono oggetto di scambio e in cui il volume di scambio è tipicamente maggiore del normale a causa dell’imminente evento di fusione su cui il risk arbitrage è basato. Nel contesto del rischio sistematico, gli autori costruiscono una misura aggregata di illiquidità ( ) nel settore degli hedge fund. Indicando con ρ1t,i il coefficiente di autocorrelazione di primo ordine nel mese t per il fondo i usando una rolling window dei rendimenti passati e una media ponderata di queste autocorrelazioni in rolling window, in cui i pesi ωit sono semplicemente la proporzione degli Asset Under Management per il fondo i: Liang e Park (2006) usano il coefficiente di autocorrelazione per misurare l’illiquidità delle attività del portafoglio degli hedge fund. L’assunzione implicita nella letteratura precedente è che l’illiquidità della quota di un hedge fund riflette l’illiquidità delle attività del portafoglio del fondo. Perciò, il rendimento più alto degli hedge fund che prevedono la clausola del lockup è interpretato come un premio per l’illiquidità. In questo paper, gli autori, sostengono che l’illiquidità della quota di un hedge fund a livello del fondo non è una buona proxy per illiquidità delle attività a livello di portafoglio. In altre parole, fanno una distinzione tra illiquidità delle quote dell’hedge fund e illiquidità delle attività nel portafoglio del fondo. Per esaminare l’impatto della clausola di restrizione delle quote sul premio di illiquidità usano le regressioni incrociate della performance aggiustata per il rischio degli hedge fund sulle variabili di restrizione delle quote. La variabile dipendente è l’alfa derivata alternativamente dal modello a sette fattori di Fung, Hsieh (2004) o del modello lagged-market di Asness, Krail e Liew (2001). I regressori consistono in una variabile dummy per il lockup, la frequenza di rimborso, il periodo di notifica del 36 rimborso, la frequenza di sottoscrizione e l’ammontare minimo da investire. Come misura dell’illiquidità delle attività usano, appunto, il coefficiente di correlazione di primo ordine nelle serie dei rendimenti degli hedge fund. Come misura dell’illiquidità delle quote usano le cinque variabili di restrizione delle quote. La correlazione tra l’illiquidità delle attività e l’illiquidità delle quote mostra che il lockup, la frequenza di rimborso, il periodo di notifica del rimborso e l’investimento minimo necessario possono essere utilmente utilizzate come proxy dell’illiquidità delle attività. L’esistenza di frizioni implica che i mercati finanziari devino, con diverso grado, dall’ideale di mercato perfetto nel quale non ci sono impedimenti alle transazioni. Vayanos e Wang (2009) elaborano un modello unificato per verificare come diverse imperfezioni influenzino il comportamento del mercato concentrandosi sulle asimmetrie informative, sui costi di partecipazione, sui costi di transazione, sui limiti all’uso della leva finanziaria, sui comportamenti non competitivi e sulla ricerca di informazioni. Essi considerano due misure di illiquidità. La prima è la lambda di Kyle42, definita nel loro modello come il coefficiente della regressione del cambiamento di prezzo tra i primi due periodi sul volume sottoscritto dai richiedenti la liquidità nel secondo periodo. Quando lambda è grande, gli scambi hanno un forte impatto sul prezzo e il mercato è illiquido. Ciò accade quando gli agenti sono maggiormente avversi al rischio, quando l’attività è più rischiosa o quando i fornitori di liquidità sono meno numerosi. La seconda misura è l’inversione di prezzo, definita come l’opposto dell’autocovarianza dei cambiamenti di prezzo. L’inversione di prezzo fornisce un’utile caratterizzazione delle dinamiche di prezzo in quanto misura l’importanza della componente transitoria del prezzo dovuta agli shock di liquidità, relativamente alla componente random-walk dovuta ai fondamentali. Tale quantità è alta quando gli agenti sono maggiormente avversi al rischio, quando l’attività è più rischiosa, quando i richiedenti la liquidità sono più numerosi e quando gli shock di liquidità sono più ampi. Entrambe le misure sarebbero positive anche in assenza di imperfezioni. Infatti, poiché gli agenti sono avversi al rischio, gli scambi dei richiedenti la liquidità modificano il prezzo nel secondo periodo (implicando una lambda positiva) e tale 42 Cfr. Kyle (1985) 37 movimento si allontana dal valore fondamentale (implicando che l’inversione del prezzo sia anch’essa positiva). All’interno del modello unificato, gli autori hanno la possibilità di valutare la validità di queste misure attraverso le diverse imperfezioni. Il risultato è che lambda sembra essere una buona misura delle imperfezioni poiché in presenza di esse aumenta. Invece, l’inversione di prezzo tende a diminuire in presenza di asimmetrie informative, di comportamenti non competitivi e di ricerca di informazioni. Come introdotto, l’inserimento della clausola di lockup nelle analisi a rappresentare un certo grado di illiquidità nei fondi è pratica diffusa in letteratura. Liang (1998) indica che la caratteristica di lockup è legata ai rendimenti degli hedge fund. Bali, Gokcan, Liang (2006) inseriscono nel loro modello il rischio di liquidità misurato da una variabile dummy relativa al lockup che sembra rivestire un ruolo molto importante nello spiegare i rendimenti sia dei fondi live che di quelli defunct. Trovano infatti che, in media, i fondi con la caratteristica del lockup guadagnano rendimenti più alti rispetto ai fondi che non la prevedono. Il modello prevede che: con dlock che può assumere valore 1 se il periodo di lockup è diverso da 0 e valore 0 altrimenti. Più recentemente, anche Aragon (2004) sostiene che le performance anomale degli hedge fund possano essere ampiamente spiegate da un premio per il rischio di liquidità misurato dal periodo di lockup. Diversi studi sull’effettiva inclusione nei modelli di asset pricing di una componente e un relativo premio di liquidità hanno concluso che il rischio di liquidità sia in qualche modo presente e vada tenuto attentamente in considerazione. Hasbrouck e Seppi (1999) studiano la presenza di fattori comuni nei prezzi, nei flussi di ordini e nella liquidità nel contesto dell’asset pricing. 38 Per quanto attiene alla liquidità usano cinque proxy per la misura della liquidità ex-ante. Dati Bt e At il prezzo bid ed ask per azione al tempo dello scambio t e dati e la dimensione dell’ordine eseguibile a tali quotazioni, applicano le seguenti misure: Le prime tre sono misure standard, le ultime due combinano sia informazioni sui prezzi che sulle quantità. Intuitivamente, potrebbero essere viste come misure di sintesi della curva di offerta di liquidità. La QuoteSlope è, di fatto, la pendenza della linea che congiunge le coppie di prezzo-quantità bid e ask. Il risultato che raggiungono è che la forza esplicativa di qualsiasi fattore comune negli spread e nelle relative misure di liquidità è modesta. L’effetto specifico dell’impresa domina gli effetti della componente principale (il fattore comune) e le stime del fattore di liquidità quotidiano. Pertanto, gli effetti di liquidità sistematica visibili durante le crisi di mercato non sembrano caratterizzare gli scambi normali. Ciò contribuisce a sostenere la teoria di un cambiamento di regime tra periodi normali e periodi turbolenti. Acharya e Pedersen (2005) studiano il rischio di liquidità e l’affinità nella liquidità nel contesto dell’asset pricing. Il loro modello fornisce un quadro teorico che aiuta a spiegare i risultati empirici per cui la sensibilità dei rendimenti alla liquidità di mercato è prezzata43, che la liquidità media è prezzata44 e che la liquidità si muove insieme ai rendimenti e predice i rendimenti futuri45. 43 Cfr. Pastor e Stambaugh (2001). 39 Il loro modello è una variante del CAPM aggiustata per la liquidità in cui i rendimenti attesi di un titolo aumentano con l’aumentare dell’illiquidità attesa e con il suo beta netto. Usando il liqudity-adjusted CAPM è possibile scomporre il beta netto (al netto dei costi esogeni per l’illiquidità) nel beta standard di mercato e nei tre beta rappresentanti altrettante differenti forme di rischio di liquidità. Il beta netto è proporzionale alla covarianza dei rendimenti del titolo (ri), al netto dei suoi costi esogeni per l’illiquidità (ci), con il rendimento netto del portafoglio di mercato (rM-cM). Il beta netto può essere scomposto nel beta di mercato standard e in tre beta rappresentanti diverse forme di rischio di liquidità. Tali rischi di liquidità sono associati con il comportamento comune della liquidità con la liquidità di mercato (cov(ci,cM)), con la sensibilità dei rendimenti alla liquidità di mercato (cov(ri,cM)) e con la sensibilità della liquidità ai rendimenti del mercato (cov(ci,rM)). Come proxy per ci usano l’indice di illiquidità di Amihud. Individuano tre effetti dovuti alla liquidità che individuano altrettanti rischi di liquidità: 1. : il primo effetto è che i rendimenti aumentano con la covarianza tra l’illiquidità dell’attività e l’illiquidità del mercato. Questo perché gli investitori vogliono essere compensati per detenere un titolo che diventa illiquido quando il mercato in generale diventa illiquido. Questo effetto è supportato dai lavori di Chordia et al.(1999), Hasbrouck e Seppi (2001) e Huberman e Halka (2001). 2. : il secondo effetto è dovuto alla covarianza tra i rendimenti di un’attività e la liquidità del mercato. Questa covarianza influenza i rendimenti richiesti negativamente perché gli investitori sono disposti ad accettare un rendimento più basso su un’attività con un rendimento alto in periodi di illiquidità di mercato. Questo effetto è supportato dai lavori di Pastor e Stambaugh (2001), Sadka (2006) e Wang (2003). 3. : il terzo effetto è dovuto alla covarianza tra l’illiquidità del titolo e il rendimento del mercato. Questo effetto sorge dalla disponibilità 44 45 Cfr. Amihud e Mendelson (1986). Cfr. Amihud (2000); Chordia et al. (1999); Jones (2001); Bekaert et al. (2006). 40 dell’investitore ad accettare un più basso rendimento atteso su un titolo che è liquido in un mercato in ribasso. Quando il mercato scende, gli investitori hanno scarse disponibilità di capitali e la possibilità di vendere facilmente è particolarmente di valore. L’illiquidità risulta essere, empiricamente, persistente (gli autori trovano un’autocorrelazione dell’illiquidità di mercato di 0.87 su base mensile). Perciò si concentrano sull’innovazione, 46 , nell’illiquidità del portafoglio quando calcolano i beta per la liquidità. Il risultato è che, per il mercato azionario, tale misura è più alta durante i periodi caratterizzati, tradizionalmente, da crisi di liquidità (tra cui la crisi LTCM del 1998). Essi derivano, quindi, empiricamente che gli episodi associati con forti shock negativi nei rendimenti o ampie innovazioni di illiquidità sono i contribuenti più significativi ai valori medi di queste covarianze di liquidità. La relazione tra il rischio liquidità di finanziamento e di mercato implica che i prezzi nei mercati dei capitali esibiscono di fatto due regimi. Nel regime normale, gli intermediari sono ben capitalizzati e gli effetti della liquidità sono minimi: i prezzi delle attività riflettono i fondamentali e non l’effetto liquidità. Perciò, anche la correlazione tra i prezzi delle attività in questi periodi è guidata principalmente dalla correlazione nei fondamentali dell’entità sottostante o dei rischi. Nel regime illiquido, gli intermediari sono vicini ai propri limiti di capitale o di finanziamento e i prezzi riflettono il costo del capitale implicito di questi intermediari (il costo che sopportano per emettere un unità addizionale di capitale di finanziamento per intraprendere una transazione). In gergo economico, si verifica il cosiddetto “cash in the market” pricing [Allen e Gale (1994), (1998)] e la posizione di liquidità dei partecipanti al mercato di un particolare titolo influenza il prezzo di quel titolo. Dal momento che questo effetto liquidità (lo sconto per l’illiquidità) è legato ai capitali degli intermediari piuttosto che ai fondamentali del titolo, influenza i prezzi dei titoli scambiati da questi intermediari a tutti i livelli, inducendo una correlazione nei prezzi di mercato dei titoli che è al di là e sopra quello indotto dai fondamentali. 46 Tale misura viene calcolata dai residui ut di un processo AR(2) dell’indice di illiquidità di Amihud denormalizzato. Si veda Acharya e Pedersen (2005). 41 Come si è visto, gli studi citati, analizzano spesso gli hedge fund per affrontare il tema della liquidità. Questo può essere ricondotto al fatto che queste istituzioni, oltre a gestire grandi quantità di denaro, influenzano profondamente (e sono fortemente influenzati da) la liquidità a livello di sistema. Inoltre, sono fortemente legati dalle interrelazioni tra liquidità di finanziamento e liquidità di mercato. Boyson, Stahel e Stulz (2008) riscontrano che i rendimenti peggiori degli hedge fund tendono a concentrarsi in particolari momenti. Inoltre, mostrano che questo raggruppamento non può essere spiegato dalle correlazioni o dai fattori di rischio tipicamente usati nell’analisi dei rendimenti degli stili di investimento degli hedge fund. Dato ciò, il raggruppamento dei rendimenti peggiori potrebbe risultare sia da shock esogeni comuni che hanno un impatto pervasivo sugli stili di investimento degli hedge fund sia dall’effetto contagio. Perciò, esaminano la possibilità che gli shock di liquidità spieghino questo raggruppamento. Brunnermeier e Pedersen (2008) forniscono un modello teorico evidenziando l’importanza della liquidità dell’attività e della liquidità di finanziamento per le istituzioni finanziarie che mostra come queste due forme di liquidità possano interagire per peggiorare il declino dei prezzi delle attività. Nel loro modello, un ampio shock negativo sulla liquidità delle attività riduce la capacità per gli intermediari finanziari di finanziare le attività detenute a causa di più alti margini richiesti risultanti dalla diminuzione della liquidità delle attività. BSS costruiscono sei proxy per gli shock di liquidità, quattro per la liquidità di finanziamento e due per la liquidità delle attività. Le prime due proxy per la liquidità di finanziamento sono i credit spread e i volumi di riacquisto. Gli shock avversi sulla liquidità sono accompagnati da un ampliamento dei credit spread e da un decremento nel volume di riacquisto (repo volume)47. Inoltre, una netta riduzione nella liquidità di finanziamento può condurre a fallimenti nel settore degli hedge fund, ad una riduzione nella liquidità delle attività e a perdite dovute al mark-to-market che non possono essere spiegate dai fattori di rischio tradizionali usati per i rendimenti degli hedge fund. Per catturare l’impatto degli shock sulla liquidità di finanziamento, come terza proxy, costruiscono un indice delle azioni dei prime broker, composto dai rendimenti degli 11 maggiori prime broker, e come quarta proxy usano un indice delle azioni bancarie fornito da Thomson Financial. Per 47 Cfr. Fama e French (1989) e Adrian e Fleming (2005). 42 valutare il ruolo degli shock sulla liquidità delle attività usano la variabile di liquidità del mercato azionario suggerita da Chordia, Sarkar e Subrahmanyam (2002). Questa misura può essere interpretata come il cambiamento nel costo medio di entrata e uscita (round-trip cost) di uno scambio sul NYSE ed è frequentemente usata nella letteratura sulla microstruttura di mercato per misurare la liquidità del mercato azionario. L’ultima proxy usata sono i flussi verso gli hedge fund. Se le scarse performance degli hedge fund conducono gli investitori a richiedere rimborsi, gli hedge fund liquideranno le attività per onorare queste richieste di rimborso. Se usano il leverage, devono liquidare più attività del preventivato per incontrare le richieste. Queste liquidazioni possono condurre a pressioni sul prezzo e a perdite di valore se sono sostanziali. Per di più, i fondi che devono fronteggiare i rimborsi forniranno meno liquidità ai mercati. Per tutte e sei le proxy dello shock di liquidità costruiscono anche una variabile dummy di estremo shock di liquidità che assume valore 1 se il cambiamento nella corrispondente variabile di liquidità si trova nel 25° percentile di liquidità più basso e 0 altrimenti. Drehmann e Nikolaou (2009) affrontano il problema della liquidità di finanziamento e dell’interrelazione tra questa e la liquidità di mercato in ambito bancario analizzando un campione di 135 operazioni di rifinanziamento principale presso la BCE nel periodo tra giugno 2005 e ottobre 2008. La loro definizione di liquidità di finanziamento è data dall’abilità di depositare le obbligazioni con tempestività e, conseguentemente, il rischio di liquidità di finanziamento è dovuto alla possibilità che in uno specifico orizzonte temporale la banca diventi incapace di depositare le obbligazioni con tempestività. Partendo da ciò elaborano due misure di rischio di liquidità. La prima si basa sulla normalizzazione delle offerte individuali della banca: dove: è il prezzo per la liquidità, il tasso minimo di offerta e è il tasso stabilito che eguaglia è il volume offerto dalla banca i, presentato 43 nell’offerta b, al tempo t. La prima misura proxy per il rischio di liquidità è data semplicemente dalla somma di tutti gli adjusted bid di ogni singola banca. Dato che tutte le banche in condizioni di mercato perfetto dovrebbero presentare offerte al tasso marginale, elaborano una seconda misura di rischio di liquidità per tener conto solo delle banche che presentano offerte a tassi superiori (pagando quindi un premio per la liquidità). In tale misura sostituiscono il tasso politico con quello marginale: La seconda misura proxy è anche in questo caso la sommatoria degli adjusted bid al di sopra del tasso marginale. Nel momento in cui ci sono delle frizioni nel mercato e le banche sono costrette, possono emergere delle spirali negative di caduta dei prezzi delle attività e aumento del rischio di liquidità di finanziamento. Per verificare ciò empiricamente usano le misure suddette e le confrontano con un indice di liquidità di mercato usato dalla BCE48 formato da una media ponderata di diverse misure di liquidità di mercato date dai bidask spread nei mercati FX, azionario, obbligazionario e monetario. Ciò che emerge è una relazione negativa per la quale quando la liquidità di mercato diminuisce, aumenta il rischio di liquidità di finanziamento. Inoltre (e di maggior interesse per questo lavoro), tale relazione negativa appare essere principalmente determinata dai periodi di agitazione del mercato. La misura per l’illiquidità di mercato usata da Brunnermeier e Pedersen (2008) è data dal valore assoluto della deviazione del prezzo dal suo valore fondamentale: 48 Cfr. Banca Centrale Europea (2008). 44 La misura per l’illiquidità di finanziamento è data dal valore marginale degli speculatori di un dollaro aggiuntivo: Infine, il legame tra liquidità di finanziamento e liquidità di mercato è dato da: Attraverso il legame tra liquidità di finanziamento e liquidità di mercato riescono a fornire, quindi, un framework unificato che permette di spiegare diversi comportamenti. In primo luogo come mai la liquidità improvvisamente scompaia, ciò sembra essere dovuto al fatto che la fragilità nella liquidità è in parte causata dai margini destabilizzanti, i quali sorgono quando i finanziatori sono imperfettamente informati e la volatilità dei fondamentali varia. In secondo luogo che la liquidità di mercato e tale fragilità si muovono insieme (co-muovono) attraverso le attività dal momento che i cambiamenti nelle condizioni di finanziamento influenzano la fornitura di liquidità di mercato degli speculatori in tutte le attività. Terzo che la liquidità di mercato è correlata con la volatilità dal momento che scambiare attività più volatili richiede margini più alti sui pagamenti e gli speculatori forniscono liquidità di mercato attraverso le attività in modo che l’illiquidità per utilizzo di capitale sia costante. Quarto che il fenomeno del flight-to-quality sorge in tale modello dal momento che quando i finanziamenti diventano scarsi, gli speculatori riducono la fornitura di liquidità di mercato in particolar modo per le attività ad intenso utilizzo di capitale (alti margini). Quinto, che la liquidità di mercato si muove con il mercato nel momento in cui lo fanno le condizioni di finanziamento. Infine, Wang (2003) studia l’esistenza di un premio per il rischio di liquidità di mercato. Nel suo lavoro piuttosto che utilizzare variabili suggerite dalle teorie microstrutturali come il bid-ask spread o l’impatto degli scambi sul prezzo, estrae 45 informazioni riguardanti la liquidità di mercato direttamente dalle acquisizioni azionarie istituzionali aggregate. I risultati portano a concludere che la partecipazione attiva delle istituzioni è associata con un aumento della liquidità nel mercato azionario. Inoltre, i portafogli costruiti per avere un maggior peso del fattore rischio di liquidità istituzionale offrono rendimenti più alti. Tali risultati rafforzano il ruolo della misura IML (illiquido meno liquido) come fattore di rischio di liquidità considerando le acquisizioni di azioni da parte di un particolare gruppo di investitori istituzionali costituito dai broker azionari e dai dealer. Tale proxy per l’illiquidità si basa sulla stima dei rendimenti delle singole azioni tramite il modello a tre fattori di Fama e French49 con l’aggiunta dei rendimenti del portafoglio che è più correlato con gli shock di liquidità istituzionali. Le azioni vengono quindi assegnate a dieci portafogli basati sulla stima del coefficiente dell’esposizioni al rischio di liquidità. Infine, lo spread tra il decimo portafoglio (più illiquido) e il primo (più liquido) rappresenta i rendimenti di un portafoglio ad investimento nullo che è lungo nel decile 10 e corto nel decile 1 e rappresenta la misura IML. Quest’ultimi si comportano quasi come tutti gli altri investitori istituzionali tranne che per il loro unico vantaggio informativo durante il processo di transazione. Perciò, più attivamente i broker azionari e i dealer partecipano al mercato, più gli investitori sono preoccupati dalle asimmetrie informative, conseguentemente più stringente è la liquidità di mercato. Se il premio sull’IML serve come compensazione per l’esposizione al rischio di liquidità, ci si dovrebbe aspettare un premio negativo associato con l’esposizione agli shock nelle acquisizioni azionarie da parte di broker e dealer. Ciò è confermato dai risultati empirici, dando validità empirica all’IML come un fattore di liquidità. 1.4 FATTORI COMUNI DI LIQUIDITÀ Chordia, Roll e Subrahmanyam (1999) spiegano come all’interno del framework delle teorie microstrutturali sui depositi, la covarianza nella liquidità potrebbe sorgere semplicemente perché l’attività di trading mostra una variazione intertemporale estesa 49 Cfr. Fama e French (1992). 46 nel mercato in risposta a oscillazioni generali dei prezzi. Qualsiasi sia la fonte, se le fluttuazioni nel deposito fossero correlate tra le attività singole ci si potrebbe aspettare che la liquidità esibisca movimenti comuni simili. All’interno del framework delle asimmetrie informative, invece, ci si potrebbe in primis aspettare una piccola covarianza dal momento che pochissimi investitori potrebbero ragionevolmente possedere informazioni privilegiate su ampi movimenti del mercato. Chordia e Subrahmanyam (1995) derivano un’espressione delimitata della liquidità; lo spread dipende dalla probabilità di un ordine disposto da un investitore informato, dalla volatilità dei rendimenti, dalla dimensione del flusso di ordine e dai costi sopportati dal market maker. Ciascuno di questi elementi probabilmente varia con il tempo e tutti potrebbe essere correlati tra le singole azioni. Un elemento specifico del deposito come il flusso di ordini è probabilmente soggetto a perturbazioni di mercato più ampie durante la transazione come vendite consistenti o pressioni sugli acquisiti. I costi sostenuti dai market maker dipendono infatti, tra l’altro, dai tassi di interesse di mercato. Eventi informativi a livello di mercato e di settore o sentimenti di mercato potrebbero influenzare la probabilità di transazioni informate. La presenza di comportamenti comuni nella liquidità fa sorgere il problema se gli shock a livello di costo della transazione costituiscono una fonte di rischio non diversificabile prezzato, Se la co-variazione nei costi di transazione è in parte non anticipabile e ha un impatto variabile tra le singole azioni, più sensibile è un’attività a tali shock, maggiore dovrebbe essere il suo rendimento atteso. Perciò, ci sono potenzialmente due diversi canali attraverso cui i costi di transazione influenzano l’asset pricing, uno statico (il costo medio) e uno dinamico (il rischio). Chordia, Roll e Subrahmanyam (1999) studiano se vi sia un fattore comune di liquidità nell’asset pricing del mercato azionario americano. 47 Per far ciò utilizzano cinque misure proxy per la liquidità50: 1. Spread Quotato: PA-PB 2. Spread Quotato Proporzionale: 3. Profondità: 4. Spread Effettivo: 5. Spread Effettivo Proporzionale: I risultati li portano a concludere che le singole misure di liquidità si muovono insieme. Ciò risulta confermato anche dopo aver tenuto conto delle determinanti individuali della liquidità come il volume scambiato, la volatilità e il prezzo. L’aver riconosciuto l’esistenza del comportamento comune nella liquidità ha consentito loro di far emergere prove che il rischio di deposito e le asimmetrie informative influenzano la liquidità delle singole azioni. Lo spread di un’azione è positivamente legato al numero di transazioni individuali ma negativamente legato al livello aggregato di scambi nell’intero mercato. Loro interpretano questo comportamento come una manifestazione di due effetti: da un lato una diminuzione del rischio di deposito derivante da maggiori attività di trading sull’intero mercato, molto probabilmente da parte di investitori disinformati; dall’altro, un aumento del rischio di asimmetrie informative provocato da investitori informati che tentano di nascondere le proprie attività separando le transazioni in piccole unità, aumentando così il numero di transazioni51. Una spiegazione comune per la corsa verso la liquidità e il restringimento della liquidità che si è notata nel 1998 e nella recente crisi è basata su uno shock comune sulla salute degli intermediari e speculatori con limitazioni nel capitale52. Intuitivamente, una minor stabilità preclude la possibilità di perseguire opportunità di arbitraggio nei mercati. In pratica, il mercato repo è il mercato chiave in cui le banche di investimento, gli hedge fund e altri speculatori ottengono i fondi marginali per le loro 50 Nelle misure utilizzate PA e PB indicano rispettivamente il prezzo ask e il prezzo bid, PM indica il prezzo medio dato dalla distanza media tra PA e PB, QA e QB sono rispettivamente le quote di azioni effettivamente disponibili al prezzo ask e al prezzo bid, Pt è il prezzo corrente della transazione. 51 Cfr. Jones, Kaul e Lipson (1994). 52 Cfr. Shleifer e Vishny (1997), Kyle e Xiong (2001), Gromb e Vayanos (2002). 48 attività e in cui gestiscono le proprie esposizioni al rischio dovute all’utilizzo della leva finanziaria53. Huberman e Halka (2001) studiano la presenza di una componente sistematica di liquidità ricercando anche delle variabili che possano essere correlate con essa. Considerano quattro proxy per la liquidità: il bid-ask spread, il rapporto spread/prezzo (con il prezzo corrispondente al punto medio tra bid e ask), la profondità di quantità (data dalla somma del numero di azioni richieste e offerte) e la profondità in dollari (data dalla somma del volume in dollari di azioni richieste e offerte). Le innovazioni delle serie storiche delle proxy per la liquidità risultano essere positivamente correlate per ciascuna proxy di liquidità, il che indica la presenza di un fattore comune di liquidità. I loro risultati provano l’esistenza di un fattore comune di liquidità ma non riescono ad individuare una variabile correlata con le proxy utilizzate in grado di coglierne la portata. Il lavoro di Fontaine e Garcia (2009) valuta l’implicazione che il restringimento delle condizioni di finanziamento nei mercati repo dovrebbe riflettersi nel premio per il rischio nei mercati finanziari. Gli autori estendo il modello di Christensen et al. (2004) inserendovi la liquidità ed estraggono un fattore comune che indirizza il premio on-the-run nei mercati. Il loro contributo principale consiste nel dimostrare che la liquidità di finanziamento è un fattore di rischio aggregato che induce una sostanziale condivisione del premio per il rischio nei mercati dei tassi di interesse. In particolare, documentano un’ampia variazione nei premi di liquidità sulle obbligazioni del Tesoro statunitense. Per costruzione, un aumento nel fattore di liquidità è associato con un rendimento atteso più basso per le obbligazioni on-the-run. Ciò che evidenziano è che il premio per il rischio di qualsiasi obbligazione del Tesoro statunitense diminuisce sostanzialmente. Dall’altro lato, condizioni di finanziamento più strette aumentano il premio per il rischio implicito nei tassi LIBOR, nei tassi swap e nel rendimento delle obbligazioni societarie. Per l’analisi introducono una misura del valore della liquidità di finanziamento basata sulla valutazione più elevata delle obbligazioni on-the-run rispetto a quelle offthe-run. 53 Cfr. Adrian e Shin (2008). 49 L’evidenza conduce verso la considerazione di un ampio fattore comune che indirizza il premio per la liquidità delle obbligazioni on-the-run del Tesoro statunitense, con le caratteristiche di aumentare con la maturity e diminuire con l’età dell’obbligazione. Gli autori interpretano questo fattore di liquidità come una misura del valore della liquidità di finanziamento per gli investitori. 1.5 LIQUIDITÀ ED HEDGE FUND Come visto, uno dei maggiori settori che influenza ed è influenzato dalla liquidità è quello degli hedge fund. La materia è abbastanza recente e non esistono ampi filoni empirici al riguardo. Uno dei primi autori a considerare questi aspetti è Wang (2003) che nota come la partecipazione attiva degli investitori istituzionali sia associata ad un aumento nella liquidità di mercato. Un meccanismo che dà rilievo a tale collegamento positivo è che le istituzioni forniscono liquidità al mercato azionario. Maggiori sono le quote, in aggregato, di pertinenza degli investitori istituzionali, più attivi sono gli scambi e quindi più liquido diventa il mercato. Inoltre, le transazioni associate con i ribilanciamenti sono spesso visti come non informate. In base a ciò, gli ordini determinati dalla liquidità non conducono i market maker a richiedere concessioni significative di prezzo come contropartita per il rischio di scambiare con investitori informati. Difatti, le istituzioni, con le loro maggiori capacità di acquisizione e gestione delle informazioni, spesso aiutano il mercato a rivelare le informazioni possedute dagli insider, riducendo così le asimmetrie informative. Dato che la liquidità si pone alla massima attenzione degli investitori istituzionali, essi sono più probabilmente attratti dal mercato azionario quando la liquidità in questo mercato è elevata. Al di là della direzione dell’effetto causale questi fatti suggeriscono una correlazione positiva tra le acquisizioni azionarie istituzionali e la liquidità del mercato. Se la liquidità di mercato è un fattore di rischio, le azioni i cui rendimenti sono più sensibili agli shock nella proprietà aggregata istituzionale sopportano un maggiore rischio di liquidità e dovrebbero offrire rendimenti attesi più elevati. La liquidità riflette la facilità e la velocità con la quale uno scambio può essere eseguito senza spostare significativamente il prezzo. Considerando il tempo, il rischio e 50 il costo associato con la transazione, la liquidità dovrebbe avere un ruolo rilevante nell’asset pricing. La ragione principale per cui le istituzioni aumentano la liquidità di mercato è che esse scambiamo più attivamente degli investitori istituzionali. Le transazioni frequenti delle istituzioni sono in parte il prodotto delle loro elevate necessità di ribilanciamento del portafoglio. Gli investitori istituzionali spesso si impegnano in indicizzazioni passive o seguono una regola di allocazione di portafoglio costante, che genera frequenti scambi per ribilanciare il portafoglio. Problemi di agenzia e preoccupazioni regolamentari sono le due forze principali che indirizzano le loro strategie di portafoglio. I problemi di agenzia sorgono quando i contratti di remunerazione falliscono nell’allineare gli incentivi dei gestori del fondo con gli interessi del principale (i soci). Inoltre, le retribuzioni dei gestori spesso dipendono dalle performance relativamente ai loro concorrenti. Perciò, i manager cercano protezione rendendosi il più indistinguibili possibile. La seconda forza che porta ad un collegamento positivo tra partecipazione istituzionale e liquidità di mercato poggia sui motivi che generano le transazioni degli investitori istituzionali. Come detto, le istituzioni spesso scambiano per ribilanciare il portafoglio. Tali scambi sono privi di informazioni dal momento che non dipendono dalla informazioni che non sono già riflesse nei prezzi azionari. Tali ordini spinti dalla liquidità non portano i market maker a richiedere significative concessioni sul prezzo per compensare il rischio di scambiare con investitori informati. Perciò, la motivazione “neutra” delle transazioni istituzionali suggerisce che maggiori sono le transazioni istituzionali, migliore sarà la situazione di liquidità del mercato.54 Recentemente Aragon e Strahan (2009) hanno verificato come le operazioni di investimento degli hedge fund influenzino la liquidità di mercato. Per far ciò sfruttano uno shock esogeno come il fallimento di Lehman Brothers mostrando come le azioni detenute dagli hedge fund clienti di Lehman Brothers prima della bancarotta del loro prime broker, evidenzino un inatteso e ampio declino nella liquidità in seguito a tale evento. Il complessivo impatto sul prezzo degli scambi su questi titoli aumentò, così 54 Cfr. Wang (2003). 51 come fece i relativo bid ask spread. Come paragone, titoli analoghi detenuti da hedge fund non clienti di Lehman evidenziano un declino nella liquidità nettamente inferiore. Gli autori scompongono l’impatto sul prezzo totale nelle sue componenti permanente e transitoria. La componente permanente riflette i costi affrontati da market maker disinformati nel momento in cui operano con investitori informati. Intuitivamente, i prezzi aumentano permanentemente in risposta ai volumi dal lato degli acquisti riflettendo la probabilità che un dato ordine d’acquisto implichi informazioni riservate riguardo ai fondamentali. La componente temporanea (la parte dell’impatto sul prezzo legata a shock di breve termine sui volumi), invece, riflette i costi di detenere i titoli da parte dei market maker. Ciò che trovano è che la componente permanente crolla per le azioni detenute dagli hedge fund clienti di Lehman mentre la componente temporanea aumenta. Tale risultato suggerisce che le transazioni degli hedge fund aumentano la liquidità relativamente agli shock di breve termine sui volumi, presumibilmente poiché riescono ad operare pazientemente e sono capaci di assorbire alcune delle variazioni nella domanda di liquidità. Inoltre, gli hedge fund investono in informazioni riservate per sé stessi comportando l’imposizione di costi di selezione avversa su altri fornitori di liquidità meno informati. In tal modo, la componente permanente dell’impatto sul prezzo diminuisce per i titoli detenuti dai clienti Lehman, suggerendo che il contenuto informativo negli scambi crolla. Boyson, Stahel e Stulz (2008) analizzano, invece, perché i rendimenti peggiori degli hedge fund, pur con differenti stili di investimento, hanno la tendenza a concentrarsi nel medesimo periodo. Ciò che emerge è che questa concentrazione non può essere spiegata dalle correlazioni o dai fattori di rischio tipicamente usati nell’analizzare i rendimenti degli stili degli hedge fund. Di conseguenza, questo comportamento può risultare da shock comuni esogeni che hanno un impatto pervasivo sugli stili di investimento degli hedge fund oppure dal contagio. Un ampio shock di liquidità è uno shock comune all’intero settore degli hedge fund, che rende più probabile il fatto che hedge fund con diversi stili siano colpiti negativamente. Lo shock, inoltre, si può potenzialmente generare ovunque, non necessariamente all’interno del settore degli hedge fund. 52 Il comportamento evidenziato potrebbe anche essere il risultato del contagio tra gli hedge fund. La letteratura economica e finanziaria spesso usa il termine contagio per descrivere una situazione in cui si verifica un eccesso di correlazione per ragioni non legate ai fondamentali e scarse performance si espandono tra i paesi, tra le categorie di attività o le strategie di investimento55. Esistono almeno due possibili canali per tale contagio. Il primo enfatizzato dagli eventi dell’agosto 2007 (vedi par. 2.7.4) è il canale dei fondi multi-strategia56. In tale contesto i fondi multi-strategia attivi in uno stile che patisce perdite significative riducono la loro leva finanziaria vendendo attività in altri stili, provocando perdite in questi stili a causa degli effetti di pressione sul prezzo. Il secondo canale è dovuto al fatto che i rendimenti peggiori di uno stile di investimento degli hedge fund possano influenzare negativamente la liquidità di finanziamento attraverso il settore dei servizi finanziari, forse perché indeboliscono i prime broker e li spingono a drenare liquidità dai fondi, forzandoli a liquidare le posizione e a sopportare i costi dell’impatto sul mercato. I risultati della loro analisi portano a concludere che i rendimenti degli hedge fund sono influenzati da shock comuni che non sono catturati dalle variabili tradizionalmente utilizzate in letteratura per modellare tali rendimenti. Inoltre, dimostrano che i rendimenti di questi fondi sono legati alle proxy per la liquidità e che gli shock di liquidità hanno una relazione non lineare con i rendimenti degli hedge fund. Tale relazione potrebbe anche essere spiegata dal citato effetto contagio. Usando dati mensili (e quindi incapaci di cogliere eventuali contagi a frequenza più elevata non completamente escludibili in questo settore) non trovano nessuna evidenza di contagio sistematico negli hedge fund. Infine, Billio, Getmansky e Pelizzon (2009) studiano gli effetti della recente crisi finanziaria sul rischio degli hedge fund. In particolare ricercano la presenza di un’esposizione comune degli hedge fund ai fattori di rischio sistematico e idiosincratico (latente) durante le crisi finanziarie. La presenza di un fattore classico di rischio sistematico contribuisce a far luce sui fattori di rischio comuni che conducono ad un aumento della volatilità e della correlazione durante le crisi finanziarie e la capacità dei 55 Cfr. Bekaert, Harvey e Ng (2005) per questa definzione. Per una rassegna delle diverse definizioni di contagio si veda invece Dornbusch, Park e Claessens (2000). 56 Cfr. Khandani e Lo (2007). 53 gestori degli hedge fund di coprire questi rischi. Invece, la presenza di un’esposizione al fattore di rischio latente comune limita i benefici della diversificazione, contribuisce ad aumentare la volatilità e la correlazione e a far emergere i periodi di crisi durante i quali i manager degli hedge fund non possono mantenere le proprie posizioni di arbitraggio ed eliminare le inefficienze nei prezzi. Analizzando otto indici di strategie degli hedge fund concludono che il 39% dell’aumento della volatilità è dovuto alla volatilità idiosincratica e il 33% dell’aumento della correlazione è dovuto all’aumento della correlazione dei rendimenti idiosincratici. L’esposizione ai fattori di volatilità, liquidità e rischio di credito è nettamente superiore nei periodi di crisi rispetto a quelli normali, mentre l’esposizione verso l’indice S&P500 è minore o negativa indicando che i manager degli hedge fund sono in grado di ridurre la propria esposizione verso il mercato azionario durante le crisi finanziarie. Se tutte le esposizioni ai rischi comuni degli hedge fund fossero catturate dai classici fattori di rischio sistematico degli hedge fund, allora non si dovrebbero osservare tali proprietà nei rendimenti idiosincratici. In più, non si dovrebbe rilevare la presenza di un fattore latente che influenzi in modo comune i rendimenti idiosincratici e la volatilità di tutte le strategie degli hedge fund. Le autrici misurano la presenza di questa esposizione al fattore comune di rischio latente calcolando la probabilità congiunta di un aumento della volatilità idiosincratica per tutte le strategie degli hedge fund usando un approccio che prevede il cambiamento di regime e trovano una forte presenza del fattore di rischio comune latente durante i recenti periodi di crisi (LTCM nel 1998 e agosto-settembre 2008). 54 Capitolo 2 CRISI FINANZIARIE Definizione ed identificazione 2.1 INTRODUZIONE In questo lavoro l’attenzione viene posta sulle crisi finanziarie legate principalmente alla liquidità, pertanto, si tralascerà la descrizione delle crisi inflazionistiche e delle crisi valutarie per soffermarsi sulle crisi nei mercati finanziari, nel settore bancario e, marginalmente, sul debito sovrano57. Illing e Liu (2003) definiscono lo stress finanziario come la forza esercitata sugli agenti economici dall’incertezza e dal cambiamento di aspettative di perdite nei mercati e nelle istituzioni finanziarie. 57 Per una trattazione sistematica delle crisi finanziarie si rimanda a Reinhart C.M. e Rogoff K.S., 2008, This time is different, Princeton University Press e alla bibliografia in esso contenuta a cui si far riferimento, ove non diversamente specificato, per le definizioni di seguito presentate. 55 Se lo stress finanziario è sistemico, il comportamento economico può essere alterato a sufficienza da avere effetti avversi sull’economia reale 58. Perciò, lo stress finanziario è una variabile continua con uno spettro di valori, i cui valori estremi sono detti crisi. Lo stress aumenta con le perdite finanziarie attese, con il rischio o con l’incertezza. Il capitolo si struttura come segue: nei prossimi paragrafi verranno definiti i concetti di rischio sistemico, crisi bancaria, crisi sul debito sovrano, crisi valutaria e crisi nei mercati finanziari delineandone i tratti principali ed evidenziandone gli eventi storici caratterizzati da questi fenomeni. Quindi, verrà svolta una breve digressione storica su alcuni particolari episodi di crisi accaduti negli ultimi 20 anni (in particolare si delineeranno le caratteristiche e le tempistiche della crisi asiatica del 1997, di quella Russa e di LTCM nel 1998, i fenomeni dell’agosto 2007 e della crisi del 2007-2009). L’obiettivo del capitolo è di fornire un quadro storico-economico del perché avvengono le crisi finanziarie e cosa ha caratterizzato quelle più importanti del recente passato in modo da poter meglio comprendere l’analisi empirica presentata nel seguente capitolo. 2.2 RISCHIO SISTEMICO Rischio sistemico è un termine ampiamente utilizzato ma difficile da definire e quantificare. Piuttosto, può essere più spesso visto come un fenomeno che esiste quando viene osservato, riflettendo un senso di interruzione ad ampio raggio nel funzionamento del sistema finanziario che, ex-post, si comprende che viene causato da un ampio numero di fallimenti delle istituzioni finanziarie (normalmente banche). In modo simile, un episodio sistemico potrebbe semplicemente essere visto come un caso acuto di instabilità finanziaria, anche se il grado e la durezza dello stress è difficile, se non impossibile, da misurare. Questa caratteristica di discontinuità nella sua osservabilità lo rende, in qualche modo, un fenomeno latente che, pertanto, è sempre presente ma che emerge e si manifesta solo in determinati momenti a causa della concatenazione di eventi apparentemente scollegati o incorrelati e, di conseguenza, di difficile previsione. 58 Questo concorda con la definizione data dal Gruppo dei 10 (2001) di crisi finanziarie come un evento che indurrà perdite nel valore economico o nella confidenza di una porzione sostanziale del sistema finanziario che sia seria abbastanza da avere effetti avversi significativi sull’economia reale. 56 Durante eventi sistemici, i canali sovrastanti e sottostanti i meccanismi fondamentali normali, che collegano le istituzioni finanziarie e i mercati delle attività durante i periodi non di crisi, possono essere importanti fonti di contagio. Gli eventi contagiosi, che possono risultare, ad esempio, dalle asimmetrie informative o dall’incertezza, generano cambiamenti nel comportamento normale dei prezzi e perciò nella distribuzione dei rendimenti usati per propositi di scambio e di gestione del rischio, generando distribuzioni asimmetriche e con code pesanti. Importanti per identificare eventi sistemici sono anche le sottostanti condizioni del mercato e la capacità degli eventi di alterare ulteriormente tali condizioni. Per esempio, quando il livello dell’incertezza del mercato (misurato dalla volatilità implicita delle attività) è alta, anche uno shock temporaneo può portare a fallimenti e generare effetti significativi. Similmente quando la propensione al rischio degli investitori è bassa o la liquidità globale è contratta, anche shock relativamente piccoli possono avere un ampio effetto sui mercati finanziari globali e viceversa. 2.3 CRISI BANCARIE Per crisi bancaria si possono considerare due tipi di eventi. In primis, le cosiddette bank run (traducibili come assalti agli sportelli), che conducono alla chiusura, alla fusione o all’acquisizione da parte del settore pubblico di una o più istituzioni finanziarie; in secundis, alla chiusura, fusione, acquisizione o aiuto governativo su larga scala di un’importane istituzione finanziaria (o gruppo di istituzioni) che segna l’inizio di una serie di simili iniziative per altre istituzioni finanziarie. Il ruolo delle banche nell’effettuare la trasformazione delle scadenze le rende unicamente vulnerabili agli “assalti agli sportelli”. Le banche, infatti, tipicamente prendono a prestito a breve termine sotto forma di risparmi e depositi in conto corrente (i quali, in via di principio, possono essere prelevati con breve anticipo). Allo stesso tempo, prestano a scadenze più lunghe, nella forma di prestiti diretti alle aziende, così come di altri strumenti a lunga scadenza e più alto rischio. Nei periodi normali, le banche detengono risorse liquide che sono più che sufficienti a gestire qualsiasi necessità legata ai prelevamenti dei depositi. Durante un “assalto agli sportelli”, tuttavia, i depositanti perdono la fiducia nella banca e prelevano in massa. Con l’aumentare dei prelievi, la banca è forzata a liquidare le attività contro la propria volontà. Tipicamente i 57 prezzi ricevuti sono a prezzo di saldo, soprattutto se la banca detiene prestiti idiosincratici59 e altamente illiquidi. Diverse banche spesso detengono all’incirca portafogli di attività simili e se tutte le banche provano a vendere contemporaneamente, il mercato può saturarsi completamente. Attività che sono relativamente liquide durante periodi normali possono improvvisamente diventare altamente illiquide proprio nel momento in cui le banche ne hanno maggiormente bisogno60. In una crisi bancaria sistemica, i settori finanziari ed industriali di un paese registrano un ampio numero di fallimenti e le istituzioni finanziarie e le aziende fronteggiano grandi difficoltà ad onorare puntualmente i contratti. Come risultato, i prestiti in sofferenza aumentano rapidamente e tutto o la maggior parte del capitale del sistema bancario aggregato si esaurisce. Questa situazione può essere accompagnata da prezzi delle attività depressi in conseguenza alle rincorse prima delle crisi, da aumenti estesi nei tassi di interesse reali e da una caduta o inversione dei flussi di capitale. In alcuni casi le crisi sono la causa delle corse dei depositanti verso le banche, dato che nella maggior parte dei casi si genera una percezione generale che le istituzioni finanziarie di importanza sistemica siano in crisi. Nel periodo considerato (ottobre 1991-ottobre 2009) si sono registrate varie crisi bancarie che hanno interessato con diversa magnitudo i diversi Paesi. Tra queste le più rilevanti sono state quella del 1994 in Brasile e in Messico, nel 1997 nel Sud-Est asiatico, nel 1998 in Russia, nel 2001 in Argentina e nel 2007 nel Regno Unito e negli USA. 2.4 CRISI SUL DEBITO SOVRANO Le tensioni o crisi legate al debito sovrano vengono caratterizzate da Bordo e Schwartz (2000) come l’incapacità delle nazioni sovrane o del complessivo settore privato di servire i propri debiti. Si possono distinguere due sfaccettature di questo fenomeno a seconda se siano legato al debito estero o a quello interno. Le crisi sul debito estero includono il completo fallimento delle obbligazioni sul debito estero di un governo. Cioè il fallimento nel pagamento ai creditori di un prestito 59 In questo contesto per idiosincratici si intendono quei prestiti erogati a livello locale o interno per cui la banca possiede dei netti vantaggi informativi sulla qualità creditizia dei prenditori rispetto ad altre possibili istituzioni finanziarie. 60 In questo senso alcuni autori hanno rilevato come esistano, di fatto, due diversi regimi: uno normale e uno di crisi. Cfr. Billio, Getmansky, Pelizzon (2009) e la bibliografia ivi contenuta. 58 emesso sotto la giurisdizione di un altro paese, tipicamente denominato in valuta estera e tipicamente detenuto per la maggior parte da creditori stranieri. All’interno della nostra analisi questo tipo di crisi sul debito sovrano è quella più rilevante perché coinvolge maggiormente gli stati esteri (in particolare, per noi, gli Stati Uniti). Il debito pubblico domestico è emesso sotto la giurisdizione legale dello stesso paese. Nella maggior parte dei Paesi, il debito domestico è stato denominato nella valuta locale e detenuto principalmente dai residenti. I principali casi che occorre ricordare sono quelli della Russia nel 1998 e dell’Argentina nel 2001. 2.5 CRISI VALUTARIE: Le crisi valutarie sono usualmente definite come significative svalutazioni, perdite nelle riserve e/o aumenti dei tassi d’interesse difensivi. Tali episodi vengono definiti da Frankel e Rose (1996) come un deprezzamento nominale della valuta di almeno il 30% a cui deve corrispondere, inoltre, un aumento di almeno il 10% nel tasso di deprezzamento del tasso di cambio se paragonato con l’anno precedente. Tra le più rilevanti degli ultimi 20 anni occorre ricordare quella in Messico nel 1995, nel sud-est asiatico nel 1997, in Russia nel 1998, in Brasile nel 1999 e in Argentina nel 200261. 2.6 CRISI DEI MERCATI Per quanto riguarda le crisi legate ai mercati azionari, queste vengono definite come un vasto declino nell’indice complessivo di mercato. Il declino può essere indicativo di più grandi perdite attese, di maggiore dispersione delle perdite probabili (rischio più alto) o di un aumento dell’incertezza sui rendimenti delle imprese. Seguendo Hakkio e Keeton (2009), in termini generali, si può pensare allo stress finanziario come ad un’interruzione del normale funzionamento dei mercati finanziari. Concordare su una definizione più specifica non è facile poiché non esistono due episodi di stress finanziario esattamente uguali. Tuttavia, gli economisti tendono ad associare certi fenomeni chiave con lo stress finanziario. L’importanza relativa di questi 61 La crisi russa del 1998 e quella argentina del 2002 sono strettamente legate alle crisi sul debito sovrano e pertanto verranno considerate come un unico fenomeno di crisi. 59 fenomeni può differire da un episodio all’altro ma, comunque, ogni episodio sembra comprendere almeno uno di questi fenomeni. 2.6.1 AUMENTO DELL’INCERTEZZA SUL VALORE FONDAMENTALE DELLE ATTIVITÀ Un segnale comune di stress finanziario è l’aumento dell’incertezza tra i finanziatori e gli investitori sul valore fondamentale delle attività finanziarie. Il valore fondamentale di un’attività è il valore attuale dei flussi di cassa futuri, come i dividendi e i pagamenti degli interessi. L’aumento dell’incertezza su questi valori fondamentali tipicamente si trasforma in una volatilità maggiore nei prezzi di mercato delle attività. In alcuni casi, l’aumento dell’incertezza sui valori fondamentali delle attività riflette una maggiore incertezza sulle prospettive dell’economia complessiva o per specifici settori. I flussi di cassi attesi da azioni, obbligazioni e prestiti dipendono tutti dalle future condizioni economiche. Come conseguenza, l’aumentata incertezza sulle condizioni economiche può spingere gli investitori e i finanziatori a diventare meno sicuri del valore attualizzato di questi flussi di cassa. L’incertezza sui valori fondamentali delle attività finanziarie può aumentare anche quando le innovazioni finanziarie rendono difficile per i finanziatori e gli investitori perfino assegnare delle probabilità a diversi risultati. Questo tipo di incertezza, nella quale il rischio è visto come sconosciuto e non misurabile è spesso detta incertezza Knightiana62. Secondo alcuni economisti63, tale incertezza tende a sorgere quando le perdite avvengono per la prima volta su un nuovo strumento finanziario o pratica (per esempio prodotti strutturati complessi come i CDO nella recente crisi dei subprime o i programmi di trading nella crisi di LTCM del 1998). Mancando qualsiasi esperienza storica sulla quale basarsi, gli investitori potrebbero concludere in tali situazioni che non possono nemmeno formare un giudizio sulle probabilità dei rendimenti dei nuovi prodotti. 62 63 Cfr. Knight, F.H. (1921), Rischio, incertezza, profitto, La Nuova Italia, Firenze, 1960. Cfr. Hakkio e Keeton (2009). 60 2.6.2 AUMENTO DELL’INCERTEZZA SUL COMPORTAMENTO DEGLI ALTRI INVESTITORI Un’altra fonte di incertezza che spesso aumenta durante le crisi finanziarie e contribuisce alla volatilità del prezzo dell’attività è quella relativa al comportamento degli altri investitori. Per un’attività che potrebbe essere necessario vendere prima della scadenza, il rendimento atteso per un investitore può dipendere tanto dalle azioni degli altri investitori quanto dal valore di lungo periodo (o a scadenza) dell’attività. In tali situazioni Keynes (1921) notava che l’incentivo per gli individui è quello di anticipare quale opinione media si aspetta l’opinione media. Questo tipo di comportamento ricorsivo diventa più prevalente quando i finanziatori e gli investitori diventano più incerti sui valori fondamentali delle attività. Perciò, tende a sorgere nelle stesse situazioni dell’incertezza Knightiana e si può manifestare come vera e propria crisi di fiducia nel sistema e nelle istituzioni finanziarie o di governo. 2.6.3 AUMENTO DELL’ASIMMETRIA INFORMATIVA Un terzo comune segnale di stress finanziario è l’aumento dell’asimmetria informativa tra i finanziatori e i prenditori o tra acquirenti e venditori di attività finanziarie. L’asimmetria informativa si dice che esista quando i prenditori conoscono di più sulla propria vera condizione finanziaria rispetto ai finanziatori o quando i venditori conoscono di più sulla vera qualità delle attività che detengono rispetto ai compratori. I divari informativi di questo tipo possono condurre a problemi di selezione avversa o moral hazard, aumentando il costo medio di prendere a prestito per le imprese e le famiglie e riducendo il prezzo medio delle attività sui mercati secondari. Tali asimmetrie informative potrebbero peggiorare durante i periodi di stress finanziario per due ragioni. In primis, la variazione nella reale qualità dei prenditori di attività finanziarie potrebbe aumentare [Mishkin, 1991; Gorton, 2008]. Il secondo motivo per cui le asimmetrie informative potrebbero peggiorare è attraverso il fatto che i finanziatori perdono confidenza nell’accuratezza delle proprie informazioni sui prenditori [Gorton, 2008]. 61 2.6.4 DIMINUZIONE DELLA DISPONIBILITÀ A DETENERE ATTIVITÀ RISCHIOSE (cosiddetto flight-to-quality) Un altro segnale comune di stress finanziario è un’estesa diminuzione della disponibilità a detenere attività finanziarie rischiose. Tale cambiamento nelle preferenze porta finanziatori e investitori a richiedere rendimenti attesi più alti sulle attività rischiose e rendimenti minori sulle attività sicure. Il risultato di questo fenomeno, spesso detto flight-to-quality, è un aumento dello spread tra i tassi di rendimento sui due tipi di attività e un aumento del costo di finanziarsi per prenditori relativamente rischiosi [Caballero e Kurlat, 2008]. Alcune teorie delle crisi finanziarie enfatizzano la tendenza per finanziatori ed investitori a sottostimare il rischio durante i boom e sovrastimarlo durante i susseguenti crolli [Kindleberger, 1978; Minsky, 1972; Berger e Udell, 2004; Guttentag e Herring, 1986]. Durante i periodi di prolungata stabilità economica, infatti, gli investitori sono particolarmente inclini ad ignorare i rischi delle code spesse (fat-tail risk), cioè la probabilità non trascurabile di perdite estreme. 2.6.5 DIMINUZIONE DELLA DISPONIBILITÀ A DETENERE ATTIVITÀ ILLIQUIDE (cosiddetto flight-to-liquidity) Un ultimo segnale di stress finanziario è il marcato decremento della disponibilità a detenere attività illiquide. Durante le crisi finanziarie, gli investitori tipicamente diventano meno disposti a detenere attività illiquide e più disponibili a detenere attività liquide. L’effetto di questo flight-to-liquidity è quello di ampliare lo spread tra i tassi di rendimento dei due tipi di attività e di aumentare il costo di finanziarsi per quelle società che emettono strumenti illiquidi. Il flight-to-liqudity può accadere per due ragioni: un aumento nella domanda di liquidità per proteggersi da necessità inattese di circolante o un decremento nella liquidità percepita di alcune attività. Come visto, infatti, un aumento della volatilità comporta il rischio, per alcuni investitori, di dover liquidare le posizioni per fronteggiare le richieste sui margini [Brunnermeier e Pedersen, 2009]. 62 Le fonti di crisi del mercato, quindi, giacciono nella natura e nel ruolo del mercato, che possono essere meglio comprese partendo dalla visione maggiormente condivisa di quest’ultimo. La visione accademica più diffusa dei mercati finanziari è basata sui fondamenti delle ipotesi di mercato efficiente. Queste ipotesi affermano che i prezzi nel mercato riflettono tutte le informazioni. Cioè, il prezzo di mercato corrente è la miglior supposizione del mercato di quale dovrebbe essere il giusto prezzo. La supposizione può essere errata, ma sarà non pregiudicata, nel senso che potrebbe essere sia troppo alta che troppo bassa. Nel paradigma di efficienza del mercato, il ruolo dei mercati è di fornire stime dei valori delle attività per l’economia da usare per la pianificazione e l’allocazione dei capitali. I partecipanti al mercato hanno informazioni da diverse fonti e il mercato fornisce un meccanismo che combina l’informazione per creare il prezzo di mercato “completamente informato”. Gli investitori osservano quel prezzo e possono pianificare efficientemente sapendo, da quel prezzo, tutto sulle informazione e sulle attese del mercato. Un corollario alle ipotesi di mercato efficiente è che, poiché tutta l’informazione è già incorporate nei mercati, nessuno può sistematicamente guadagnare scambiando senza informazioni non pubbliche. Se una nuova informazione pubblica arriva sul mercato, il prezzo si sposterà istantaneamente al suo nuovo livello corretto prima che chiunque possa guadagnare sulla base di quella nuova informazione. In realtà esiste qualcosa in più della semplice informazione che fa muovere i prezzi. Gli ordini ricevuti dai trader per esigenze di coprire una posizione in swap, in obbligazioni o una scadenza non hanno nulla a che vedere con l’informazione, ciascuna di esse ha a che vedere con una necessità di liquidità. La liquidazione di grosse posizioni non ha necessariamente a che vedere con nuove informazioni ma ciò influenzerà il prezzo di mercato anche se il mercato sapesse che tale operazione non è dovuta ad alcuna nuova informazione. Questa visione del mercato è una visione di liquidità piuttosto che informativa. Al posto della prospettiva accademica convenzionale che vede il mercato come efficiente e che esiste solamente per propositi informativi, questa visione considera il ruolo del mercato come quello di fornire immediatezza per chi necessità di liquidità. Accettando la nozione che i mercati esistono per soddisfare la domanda e l’offerta di 63 liquidità si può meglio comprendere cosa causi le crisi di mercato, che sono i momenti in cui la liquidità e l’immediatezza contano maggiormente. 2.6.6 INTERAZIONE DELLA DOMANDA E OFFERTA DI LIQUIDITÀ DURANTE LE CRISI DI MERCATO Seguendo il quadro fornito da Bookstaber (1999) gli operatori che richiedono liquidità possono essere visti come i richiedenti di immediatezza. In qualsivoglia operazione, in particolare quelle eseguite durante periodi di tensione, la caratteristica distintiva è che il tempo è più importante del prezzo. Nonostante questi partecipanti possano essere sensibili al prezzo, essi necessitano che lo scambio avvenga immediatamente e sono disposti a pagare perché ciò avvenga. I trader che hanno raggiunto i propri limiti di rischio non hanno alcuna scelta, essi stanno per sforare il limite e non sono in una buona posizione per discutere sul fatto che il prezzo sia o meno giusto o corretto. Si può pensare ai richiedenti di liquidità come agli investitori o a chi effettua coperture sul mercato. Dall’altro lato i fornitori di liquidità sono quegli operatori che cercano di incontrare la domanda di liquidità. I fornitori di liquidità hanno una visione diversa del mercato e assumono una posizione nel mercato quando il prezzo devia da quello che secondo loro è il prezzo corretto. Per i fornitori di liquidità, il prezzo conta molto più del tempo. La funzione economica che forniscono è quella di investire nei relativi business tenendo il capitale prontamente disponibile per essere investito ed applicando la loro esperienza nella gestione del rischio e nel giudizio del mercato. Il loro obiettivo è quello di trovare i casi in cui esiste un differenziale nel prezzo rispetto al valore sottostante e, in quel momento, forniscono la liquidità necessaria a compiere l’operazione. Il loro compenso dovrebbe essere dato da una funzione della volatilità del mercato in quanto più volatile è il mercato, maggiore è la probabilità in qualsiasi momento che i prezzi vadano in direzione opposta a quella voluta. Inoltre, il loro compenso dovrebbe essere anche una funzione della liquidità del mercato in quanto meno liquido è il mercato, più a lungo dovranno detenere la posizione e perciò più a lungo saranno soggetti alla volatilità del mercato. Come già accennato (vedi supra) un mercato si comporta qualitativamente in modo diverso durante le crisi rispetto ai periodi normali. La differenza non sta nel fatto 64 che il mercato diventa più altalenante o che molte più informazioni improvvisamente invadono il mercato. La differenza sta nel fatto che il mercato reagisce in un modo che non fa durante i periodi normali. Il nodo di questa differenza nel comportamento è che i prezzi del mercato diventano “contro economici”. Infatti, la conseguenza economica normale di un declino dei prezzi del mercato dovrebbe essere che pochi operatori hanno un incentivo a vendere e molti più operatori hanno l’incentivo a comprare. Nelle crisi di mercato, questo comportamento razionale si inverte. Un prezzo in caduta invece di dissuadere le persone dal vendere, induce un flusso crescente di vendite e, invece di attrarre compratori, spinge i potenziali acquirenti fuori dal mercato. Questo risultato si ha per diversi motivi: un fornitore che aveva anticipato il movimento del mercato ha già impegnato il proprio capitale, i fornitori diventano richiedenti perché hanno raggiunto i propri livelli di stop-loss e devono liquidare le proprie posizioni, altri considerano il costo del business troppo alto con spread in ampliamento, aumento della volatilità e liquidità ridotta rendendo il trade-off tra rischio e rendimento dei partecipanti al mercato non desiderabile. È come se il mercato fosse paralizzato da una malattia da cui è autoimmune e sta attaccando il suo stesso sistema di autoregolamentazione. I picchi di volatilità che si hanno in periodi di crisi osservabili in particolare nei mercati opzionari (di cui il VIX è un indicatore) non sono dovuti a fenomeni informativi, semplicemente l’enorme volatilità è dovuta alla domanda di liquidità indotta dalla crisi nel momento in cui i fornitori di liquidità non sono presenti sul mercato. Per comprendere meglio questa visione “non accademica” occorre cercare di capire come sia caratterizzato l’ambiente in cui operano i diversi attori. Oggigiorno l’habitat di mercato preferito per la maggior parte degli investitori si sta espandendo a causa delle basse barriere all’entrata e alla facilità di accesso alle informazioni. Anche i più alti livelli di rischio tendono ad espandere l’habitat. Come conseguenza, le distinzioni tra le attività scompaiono all’aumentare del rischio. Inoltre, i partecipanti al mercato diventano più simili l’uno all’altro, il che significa che i richiedenti di liquidità chiedono tutti quasi la stessa attività e si aggrappano a qualsiasi fonte di liquidità sia disponibile. Ciò che viene tradizionalmente visto come contagio, può essere considerato in realtà un’espansione dell’habitat. Se tutti gli investitori 65 operano sugli stessi mercati, finiranno nei problemi nello stesso momento ed inizieranno a liquidare le stesse posizioni per reperire finanziamenti e ridurre i propri rischi. Passando da un ambiente normale, ad uno turbolento, fino ad uno in crisi l’attenzione ai dettagli si modifica. All’aumentare delle turbolenze, gli investitori non hanno il tempo di considerare dettagli come i dividendi, i prospetti futuri, il management, etc. e sono costretti a concentrarsi sui settori. Tutto ciò che conta in un ambiente turbolento è se una società appartiene ad un determinato settore o meno. Arrivando ad un ambiente in crisi tutto ciò che conta è se lo strumento è un’azione e se può essere venduta, in altre parole, tutte le azioni diventano uguali. Bookstaber (1999) fa un paragone efficace con la fisica. All’aumentare dell’energia le costituenti della materia si confondono. A bassi livelli di energia le molecole e gli atomi sono distinti e differenziati. All’aumentare dell’energia le molecole si spezzano e ciò che resta sono i blocchi di base della materia, gli elementi. Se l’energia aumenta ancora gli atomi si spezzano e rimane il plasma. Tutto è una massa indistinta di materia. E così accade nell’ambiente di mercato in crisi. Per fare un esempio di tale comportamento si può considerare ciò che è avvenuto nell’estate 2007 con il mercato dei repo seguendo il lavoro di Gorton (2008). Tale mercato è probabilmente uno dei più grandi mercati finanziari, le stime parlano di un valore di circa 11.5 trilioni di dollari64. I repo sono essenzialmente dei prestiti garantiti in cui il rischio di controparte è pressoché inesistente. Il mercato dei repo scomparve virtualmente nell’agosto del 2007 perché i dealer non erano più disponibili ad accettare le garanzie a causa del fatto che ritenevano correttamente che se avessero dovuto confiscarle non ci sarebbe stato un mercato in cui venderle. Infatti, in tali contratti, l’ammontare prestato dipende dal valore di mercato percepito dell’attività offerta come garanzia. Se tale valore non può essere determinato a causa dell’assenza di un mercato o dell’illiquidità dello stesso, il prestatore non è disposto ad impegnarsi in un repo. Tuttavia, l’incertezza era relativa alla valutazione delle obbligazioni relative ai sub-prime e, questo, se da un lato spiega perché i dealer non erano disposti ad accettare come garanzia gli strumenti assistiti da ipoteca sui mutui residenziali sub-prime (subprime Residential Mortgage-Backed Security), dall’altro non spiega perché non erano 64 Cfr. Gorton (2008). 66 disposti ad accettare altri strumenti come gli ABS (Asset-Backed Security), i RMBS (Residential Mortgage-Backed Security) o i CMBS (Commercial Mortgage-Backed Security). Quest’ultimo aspetto può essere spiegato con la perdita di differenziazione tra i diversi strumenti in un periodo di crisi di cui si parlava. I trader del mercato repo riportano che l’incertezza si era estesa alla credibilità dei rating sui prodotti strutturati e, in un ambiente che si muove rapidamente, la risposta è stata di rifiutarsi di accettare qualsiasi prodotto strutturato. Uno degli aspetti più problematici delle crisi di mercato è il fatto che le strategie di diversificazione falliscono. Attività che sono, di norma, incorrelate diventano improvvisamente altamente correlate e tutte le posizioni crollano contemporaneamente. Ciò è dovuto al fatto che in contesti ad alta energia tutti gli strumenti sono di fatto identici. Ciò che conta non sono più i fattori che li differenziano ma chi detiene le attività perché una perdita in uno strumento costringe l’operatore a liquidarne un altro. La cosa peggiore di questa situazione è che non si riesce a predeterminare quali strumenti diventeranno altamente correlati. In altre parole, non solo la diversificazione fallisce nel momento in cui è maggiormente necessaria ma determinare il modo in cui fallirà sarà impossibile. 2.7 EPISODI SELEZIONATI DI CRISI FINANZIARIE In questa sezione si passeranno in rassegna le crisi più rilevanti degli ultimi anni in modo da fornire un quadro storico di cosa è accaduto e tentare di comprendere le caratteristiche essenziali. Non si intende, quindi, analizzare esaustivamente tutte le crisi passate ma solo quelle di maggiore interesse per questo lavoro65. 2.7.1 CRISI ASIATICA, 1997 Dai primi anni ’50 fino all’alba della crisi nel 1997 i “Dragoni” (Hong Kong, Singapore, Sud Corea e Taiwan) e le “Tigri” (Indonesia, Malesia, Filippine e Thailandia) erano considerate modelli di sviluppo economico di successo. Le loro economie erano cresciute ad alti tassi per diversi anni. 65 Per una trattazione completa si veda Reinhart C.M. e Rogoff K.S., 2008, op.cit. 67 Dopo una sostenuta pressione, la Banca Centrale thailandese smise di difendere il bath il 2 luglio 1997 e la valuta crollò del 14% nel mercato interno e del 19% nel mercato estero66. Questo evento segnò l’inizio della crisi finanziaria asiatica. Le seguenti valute a finire sotto pressione furono il peso filippino e il ringitt malese. La Banca Centrale delle Filippine tentò di difendere il peso aumentando i tassi di interesse ma nonostante ciò perse 1.5mila miliardi di dollari di riserve estere. L’11 luglio lasciò fluttuare il peso che crollo immediatamente dell’11.5%. Anche la banca centrale malese difese il ringitt fino all’11 luglio prima di lasciarlo fluttuare. La banca centrale indonesiana difese la rupia fino al 14 agosto. Anche i Dragoni vennero colpiti. All’inizio di agosto, Singapore decise di non difendere la propria valuta e per la fine di settembre aveva perso l’8%. Anche Taiwan decise di lasciare che la propria valuta si deprezzasse e non venne molto colpita. Il tasso di cambio di Hong Kong, che era agganciato al dollaro finì sotto attacco. Tuttavia, riuscì a mantenere l’aggancio. Inizialmente, il won della Corea del Sud si apprezzò sulle altre valute del Sud Est Asiatico. Tuttavia, a novembre perse il 25% del proprio valore. Per la fine di dicembre 1997 che segnò la fine della crisi il dollaro si era apprezzato del 52%, 52%, 78%, 107% e 151% rispettivamente contro le valuta di Malesia, Filippine, Thailandia, Corea del Sud e Indonesia. 2.7.2 CRISI RUSSA E FALLIMENTO DI LTCM, 1998 Long-Term Capital Management era una società che investiva con la strategia cosiddetta relative-value. Tale strategia considera ogni strumento come un insieme di fattori e cerca all’interno di questi, quei fattori che sono prezzati in modo errato tra un titolo e un altro. Il gestore, quindi cerca di coprire tutte le esposizioni agli altri fattori in modo che il risultato sia un’esposizione lunga nel fattore di un titolo (quello a prezzo più basso) e un’esposizione corta nel fattore di un altro titolo (quello a prezzo più alto). Un titolo è più economico dell’altro ed in tal modo il gestore ottiene rendimenti positivi. Idealmente, le posizioni sono autofinanziate così il gestore può aspettare che i due prezzi convergano finché è necessario. Questa strategia, in altri termini, implicava trovare i titoli i cui rendimenti erano altamente correlati ma i cui prezzi erano leggermente differenti. 66 Vedi Fourcans e Franck (2003). 68 Tali scambi includevano le obbligazioni sovrane dei Paesi europei che stavano entrando nell’Unione Monetaria Europea e i titoli di stato on-the-run e off-the-run statunitensi. Dal momento che le differenze di prezzo erano piccole la strategia implicava un ampio ricorso al leverage. Questo approccio ha grandi vantaggi per il trading basato sull’analisi tecnica perché è più facile determinare se uno strumento è prezzato male relativamente ad un altro strumento piuttosto che determinare se uno strumento è correttamente prezzato in termini assoluti. Un relative-value trader può operare correttamente anche facendo assunzioni erronee fintanto che tali assunzioni riguardano entrambi gli strumenti. Un altro vantaggio è che tale strategia è immune ad alcune delle più imprevedibili caratteristiche del mercato. Se uno shock macroeconomico colpisce il mercato, influenzerà strumenti simili in modo simile. Nonostante entrambi gli strumenti possano perdere di valore, il valore relativo dei due rimarrà immutato. Uno dei problemi di questa strategia e, in particolare, dell’operare con gli spread sorge perché gli spread tra strumenti sono tipicamente molto ridotti. Questi spread ridotti sono un risultato diretto dell’operare tra due strumenti molto simili. Di conseguenza, normalmente un trader che sfrutta tale strategia è altamente esposto alla leva finanziaria. Il relative-value trading, ha anche altri problemi. Primo, queste posizioni così grandi sono difficili da liquidare e i mercati più recenti e meno liquidi sono normalmente i mercati in cui si ha la discrepanza nello spread. Secondo, il gestore ricerca la convergenza dei prezzi tra le due attività in una posizione di spread. Prima o poi tale convergenza avverrà, ma il gestore non sa quando e perciò potrebbe avere un lungo periodo di detenzione. Terzo, a causa della miriade di rischi e dei piccoli spread la modellistica deve essere molto precisa. In LTCM tale strategia era applicata, come visto, al Libor contro i Titoli di Stato, alle obbligazioni dei mercati emergenti contro i Brady bond67 e alle obbligazioni ipotecarie contro i Titoli di Stato. Dopo i primi due anni di successi, nel 1997 ebbe dei rendimenti in linea con il mercato e decise di restituire circa 2.7mila miliardi di dollari ai suoi investitori (su un totale di circa 7mila miliardi). 67 I Brady bond sono obbligazioni emesse dai governi dei paesi emergenti denominate in dollari e, perciò, più liquide delle normali obbligazioni governative. 69 Il 17 agosto 1998 la Russia svalutò il rublo e dichiarò una moratoria di circa 13.5mila miliardi di dollari sul debito sovrano. Nonostante la ridotta scala di questo fallimento, ciò indusse una crisi globale con volatilità estrema in molti mercati finanziari. Molti degli scambi di LTCM cominciarono a perdere denaro dato che il filght-to-quality fece muovere i prezzi in direzioni inattese. Normalmente, inoltre, il LIBOR, i Titoli di Stato e le obbligazioni ipotecarie sono strumenti molto liquidi. Tuttavia, la liquidità che avevano i trader di LTCM era più bassa di quanto si aspettavano per diverse ragioni, alcune delle quali forse non correttamente anticipate. Anche in un contesto di mercato normale, infatti, se un trader ha a che fare con grandezze molto grandi, il mercato non è realmente liquido; se il trader inizia a vendere, nessuno vuole acquistare perché si sa che c’è molta più offerta di quello che viene effettivamente messo in vendita. I problemi reali di LTCM, tuttavia, iniziarono il 7 luglio 1998 quando si diffuse la notizia della chiusura di un’unità di investimento di Salomon Smith Barney. In tale contesto, come prevedibile, tale annuncio ridusse la domanda del mercato. Un altro evento sfavorevole a LTCM furono i problemi della Russia. LTCM si trovò costretta a liquidare la proprie posizioni senza che ci fosse il lato della domanda disponibile ad accollarsi tale mole di titoli. In altre parole, nel momento in cui LTCM chiedeva liquidità immediata non c’erano fornitori di liquidità sul mercato. Per di più, il motivo dei guadagni di LTCM era proprio il fatto che era un fornitore di liquidità al mercato. Nel momento in cui LTCM era uscito dal mercato non rimanevano molti altri operatori a fornire quel lato dell’offerta di liquidità e quelli che rimanevano non erano disposti ad accollarsi l’enorme quantità di offerta di titoli che vendeva LTCM. Perciò nel momento in cui LTCM doveva vendere non c’era un mercato per quella posizione essenzialmente perché LTCM era il mercato. Si innescò così una spirale di liquidità per cui LTCM era costretta a vendere sempre di più a prezzi più bassi. A settembre il capitale di LTCM era diminuito di 600milioni di dollari e di lì a poco il portafoglio venne acquistato da un pool di altre istituzioni finanziarie coordinate dalla Federal Reserve Bank di New York. 70 2.7.3 AGOSTO, 2007 I mesi che portarono all’agosto 2007 furono un periodo turbolento per i mercati finanziari globali, con gli eventi nel mercato dei mutui sub-prime statunitensi che stendevano lunghe ombre su molte parti del settore finanziario. L’esplosione di due fondi di Bear Stearns basati sulle credit strategy in giugno, la vendita del portafoglio di Sowood Capital Management a Citadel in seguito a perdite di oltre il 50% in luglio e i crescenti problemi di Countrywide Financial (il più grande erogatore di mutui degli Stati Uniti) durante il secondo e terzo trimestre del 2007 posero le condizioni per i seguenti tumulti nei mercati del fixed-income e del credito durante il mese di agosto. Durante la seconda settimana di agosto diversi prominenti hedge fund sperimentarono perdite senza precedenti. Tuttavia, a differenza dei fondi di Bear Stearns e di Sowood, questi fondi stavano investendo principalmente su exchangetraded equity, non su strumenti legati ai mutui sub-prime o creditizi. Tali eventi straordinari sono dovuti, secondo Khandani e Lo (2007) ad una rapida liquidazione da parte di uno o più grandi portafogli di azioni long/short, probabilmente di un portafoglio di tipo equity market-neutral che ha creato un effetto cascata sugli altri hedge fund di questo tipo. 2.7.4 CRISI SUBPRIME, 2007-2009 La recente crisi ha inizio nel 2007 con l’intensificarsi delle preoccupazioni relative al mercato dei sub-prime. Nei primi cinque mesi dell’anno falliscono o registrano perdite considerevoli, a causa dei mutui sub-prime, diverse istituzioni finanziarie68. New Century Financial, che operava nell’investimento immobiliare ed era leader nell’erogazione dei mutui sub-prime, fallisce in aprile69. La banca d’affari HSBC svaluta l’acquisizione di Household International (erogatrice di mutui sub-prime) per una cifra pari a 10 miliardi di dollari. Il gruppo bancario UBS chiude, a causa delle perdite legate ai mutui sub-prime, l’hedge fund Dillon Read. La situazione continua a deteriorarsi con l’aumento dei problemi legati al finanziamento degli Special Purpose Vehicle e di diversi fondi d’investimento che si 68 Cfr. “Wall St hit by home payment fears”. BBC News. 13 marzo 2007. 69 Cfr. “New Century files for Chapter 11 bankruptcy, selling its assets for $139 million, subject to bankruptcy approval”. CNN Money. 3 aprile 2007. 71 trovano a dover fronteggiare il rimborso dei margini e i problemi relativi alla liquidità di mercato. Durante l’estate 2007 la situazione peggiora ulteriormente e le tensioni si spostano anche al mercato delle asset-backed commercial paper (in particolare quelle assistite da ipoteca). La banca d’investimento Bear Stearns sospende il rimborso delle quote di uno dei suoi fondi70 e ne chiude altri due71. Le agenzie di rating Moody’s e Standard&Poor’s rivedono al ribasso lo standing creditizio di un centinaio di obbligazioni legate ai mutui sub-prime e oltre 600 altri strumenti collegati vengono indicati come in possibile revisione. Ad inizio agosto fallisce American Home72, una delle maggiori società di investimento immobiliare ed erogazione di mutui. Oltre a ciò che si è detto per l’agosto 2007 (vedi supra) relativamente agli hedge fund, Bnp Paribas sospende il rimborso delle quote dei suoi fondi di investimento73. Sono i primi segnali del contagio ad un settore diverso da quello dei sub-prime. Countrywide Financial Corporation prende a prestito 11.5 miliardi di dollari dal sistema bancario, sfruttando tutte le possibili linee di credito74. Ameriquest, all’epoca il più grande erogatore di mutui sub-prime esce dal mercato75. La banca inglese Northern Rock viene salvata dalla Banca d’Inghilterra tramite un’iniezione di liquidità. In generale il sistema interbancario appare congelato e sia la Banca Centrale Europea che la FED iniettano liquidità per un totale di circa 100 miliardi di euro. La fine del 2007 e l’inizio del 2008 sono ancora più catastrofici, in particolare per le banche d’affari. Merryll Lynch svaluta, in ottobre, asset per circa 8.5 miliardi di dollari76; Citi la segue in gennaio, svalutando attività per 18 miliardi di dollari; Tra febbraio e marzo falliscono il gestore di fondi d’investimento Carlyle Capital Corporation e l’hedge fund Peloton; UBS registra perdite legate ai sub-prime per 18.4 miliardi di dollari e HSBC per 17 miliardi di dollari; JP Morgan acquista, con 70 High-Grade Structured Credit Strategies Enhanced Leverage. 71 Cfr. “Bear Stearns halts redemptions in third hedge fund”. Reuters. 1 agosto 2007. 72 Cfr. “Accredited Home sees up to $60 mln loss for quarter”. Markets News, Reuters. 73 Cfr. “BNP Paribas suspends funds because of subprime problems”. International Herald Tribune. 9 agosto 2007 e “BNP Paribas Investment Partners temporaly suspends the calculation of the Net Asset Value of the following funds: Parvest Dynamic ABS, BNP Paribas ABS EURIBOR and BNP Paribas ABS EONIA”. BNP Paribas. 9 agosto 2007. 74 Cfr. “Countrywide plunges on downgrade, bankruptcy fear”. Reuters. 15 agosto 2007. 75 Cfr. “Ameriquest closes, Citigroup buys mortgage assets". Washington Post. 31 agosto 2007. 76 Cfr. “”Startling” $8 billion loss for Merrill Lynch”. Bloomberg. 25 ottobre 2007. 72 l’appoggio della FED, Bear Stearns ad un prezzo di circa 10 dollari per azione (si noti che l’anno precedente le stesse azioni erano quotate a circa 150 dollari). A settembre 2008 si ha il commissariamento di Fannie Mae e Freddie Mac e il relativo salvataggio da parte del governo statunitense per evitare il fallimento delle due istituzioni che detenevano o garantivano circa metà dei 12 mila miliardi di dollari costituenti il mercato dei mutui statunitense77. La banca d’affari Lehman Brothers fallisce il 15 settembre e il gruppo bancario Bank of America annuncia di voler acquisire la banca d’investimento Merrill Lynch per circa 50 miliardi di dollari. Negli Stati Uniti e nel Regno Unito viene sospesa la vendita allo scoperto delle azioni relative al settore finanziario. La FED, grazie ad un finanziamento di circa 85 miliardi di dollari, salva il gruppo assicurativo AIG e approva la trasformazione di Goldman Sachs e Morgan Stanley da banche d’affari in banche commerciali. La crisi finanziaria è entrata in una fase acuta segnata dal fallimento di importanti banche europee e statunitensi e dagli sforzi dei governi per salvare le istituzioni finanziarie in crisi. In ottobre si verificano i salvataggi di Royal Bank of Scotland, HBOS e Lloyds TSB da parte del governo britannico. La seconda settimana di ottobre viene registrata come la peggiore nel mercato azionario statunitense in 75 anni con il Dow Jones che perde il 22.1%, lo S&P500 che perde il 18.2%. A novembre 2008 Citigroup viene di fatto salvata dalla FED dopo essere crollata di oltre il 20% seguita, anche nei giorni seguenti, dall’indice FTSE100 di Londra e da altri ribassi nelle azioni delle maggiori istituzioni finanziarie statunitensi come Bank of America e JP Morgan Chase. Ad inizio dicembre si continuano ad avere ribassi nel mercato statunitense con le azioni del settore finanziario dello S&P500 che perdono il 17%. Il NBER (National Bureau of Economic Research) dichiara ufficialmente che gli Stati Uniti sono in una fase recessiva dal dicembre 2007. Il 2009 inizia in modo analogo, con i primi due mesi dell’anno che registrano il peggior inizio di anno nella storia dello S&P500 che perde il 18.62% del suo valore e il 77 Cfr. “Loan-Agency Woes Swell From a Trickle to a Torrent”, The New York Times, 11 luglio 2008 . E Peter J. Wallison, Charles W. Calomiris, “AEI-The Last Trillion Dollar Commitment”, American Enterprise Institute, 30 settembre 2008. 73 Dow Jones Industrial Average Index che ha perso più del 50% rispetto al suo massimo dell’estate 2008. In conclusione la crisi sembra essere sorta nel mercato dei mutui sub-prime e da qui essersi spostata agli Special Purpose Vehicle e agli strumenti da questi emessi. Dagli SPV si è trasmessa ai fondi di investimento che avevano acquistato tali strumenti, alle compagnie assicurative e finanziarie che ne garantivano la liquidità, ai mercati in cui venivano scambiati e alle banche che fornivano il credito necessario. La contrazione del credito che ne è susseguita ha, infine, colpito l’economia reale. 74 Capitolo 3 ANALISI EMPIRICA 3.1 INTRODUZIONE Per analizzare ed identificare gli episodi di stress finanziario legati alla liquidità di mercato e di finanziamento occorsi negli ultimi vent’anni si è partiti dall’ipotesi che tali eventi sistemici richiedano attenzione a diversi segnali e possano avere una natura latente, non manifesta con continuità negli indicatori più usati. Per far ciò e pervenire alla costruzione di un indicatore sintetico di stress finanziario si è utilizzata l’Analisi in Componenti Principali (PCA, Principal Component Analysis). Tale metodo permette di estrarre da un campione un numero limitato di componenti (principali appunto) capaci comunque di spiegare il più possibile la variabilità dei dati. 3.2 DATI L’analisi è condotta basandosi su dati forniti da Bloomberg, Federal Reserve Bank of New York e Thomson Financials (cfr. tab. 1) con frequenza mensile su due lassi temporali, il primo da ottobre 1991 a ottobre 2009 e il secondo da gennaio 2002 a ottobre 2009. 75 76 0.0015 (0.0022) 0.0636 (0.0266) 2.2626 (2.6457) 0.0093 (-0.0035) 0.2721 3.3677 0.5644 4.704 ottobre 1991 – ottobre 2009 ottobre 1991 – ottobre 2009 ottobre 1991 – ottobre 2009 ottobre 1991 – ottobre 2009 ottobre 1991 – ottobre 2009 ottobre 1991 – ottobre 2009 ottobre 1991 – ottobre 2009 ottobre 1991 – ottobre 2009 ottobre 1991 – ottobre 2009 ottobre 1991 – ottobre 2009 ottobre 1991 – ottobre 2009 ottobre 1991 – ottobre 2009 ottobre 1991 – ottobre 2009 gennaio 2002 – ottobre 2009 gennaio 2002 – ottobre 2009 gennaio 2002 – ottobre 2009 gennaio 2002 – ottobre 2009 gennaio 2002 – ottobre 2009 gennaio 2002 – ottobre 2009 gennaio 2002 – ottobre 2009 Costruita dall’autore su dati forniti da Datastream Datastream Costruita dall’autore su dati forniti da Bloomberg Datastream Costruita dall’autore su dati forniti da Bloomberg e da Federal Reserve Bank of NY Costruita dall’autore su dati forniti da Datastream e da Federal Reserve Bank of NY Costruita dall’autore su dati forniti da Federal Reserve Bank of NY Costruita dall’autore su dati forniti da Federal Reserve Bank of NY Costruita dall’autore su dati forniti da Federal Reserve Bank of NY Costruita dall’autore su dati forniti da Datastream e da Federal Reserve Bank of NY Costruita dall’autore su dati forniti da Bloomberg e da Federal Reserve Bank of NY Costruita dall’autore su dati forniti da Federal Reserve Bank of NY Costruita dall’autore su dati forniti da Bloomberg e da Datastream Costruita dall’autore su dati forniti da Federal Reserve Bank of NY Federal Reserve Bank of NY Costruita dall’autore su dati forniti da Federal Reserve Bank of NY Costruita dall’autore su dati forniti da Federal Reserve Bank of NY Federal Reserve Bank of NY Costruita dall’autore su dati forniti da Federal Reserve Bank of NY Costruita dall’autore su dati forniti da Bloomberg e da Datastream Value – Growth VIX Credit Spread Datastream Bank Stock Index Repo 3m – US Treasury 3m TED spread AAA-10y T-bond BAA-AAA yield spread Inverted Term Spread I Inverted Term Spread II 5y Bank Bond-5y T-bond Commercial bank asset-deposit gap Prime Broker Index Paper-bill spread 2y swap spread Inverted yield-curve ABCP spread 10y swap spread Discount spread Libor Ois spread 0.3223 0.5445 1.3611 0.0150 (0.0057) 0.0017 (0.0017) 1.0624 (1.3712) -1.2182 (-1.3686) -1.7855 (-1.9453) 0.9334 (1.2056) 1.3292 (1.4401) 0.5673 (0.5767) 0.3487 (0.3716) -0.0010 (-0.0034) ottobre 1991 – ottobre 2009 Costruita dall’autore su dati forniti da Datastream Large – Small 0.0071 (0.0019) MEDIA ottobre 1991 – ottobre 2009 PERIODO Costruita dall’autore su dati forniti da Datastream FONTE SP500 return VARIABILE Tabella 1: Variabili incluse, fonti e statistiche descrittive 0.5081 0.8216 0.6899 0.6806 1.2252 1.3179 0.2703 0.0940 (0.1128) 0.0038 (0.0040) 0.8605 (1.1794) 1.3575 (1.4585) 1.2083 (1.2855) 0.4627 (0.5893) 0.4753 (0.5495) 0.3980 (0.5569) 0.3551 (0.4680) 0.0795 (0.0870) 0.8519 (1.0716) 4.3217 (5.1838) 0.0341 (0.0216) 0.0330 (0.0260) 0.0450 (0.0503) DEVIAZIONE STANDARD Le variabili considerate nella PCA sono diverse per i due periodi a causa della disponibilità dei dati, in particolare per il periodo lungo (10/1991 – 10/2009) sono state considerate78: Per la liquidità di mercato: o SP500 return o Large - small o Value – growth o VIX Per la liquidità di finanziamento: o Credit Spread o Datastream Bank Stock Index (DBSI) o Repo 3m – US Treasury 3m: o TED spread o AAA – 10y Treasury bond o BAA-AAA o Inverted term spread I o Inverted term spread II o 5y Bank bond – 5y Government bond o Commercial bank asset-deposit gap o Prime Broker Index Oltre a queste, nel periodo breve (01/2002 – 10/2009) sono state aggiunte per la liquidità di finanziamento: o Paper-bill spread o 2y swap spread o Inverted yield-curve o ABCP spread o 10y swap spread o Discount spread o Libor Ois spread 78 Si è ritenuto opportuno mantenere i nomi utilizzati nell’analisi, spiegandone singolarmente la costruzione in modo da rendere più immediata la lettura dei dati. 77 Il dataset è formato, pertanto, da 4 variabili che tentano di cogliere gli stress nella liquidità di mercato e da 11 (18 per il periodo breve) variabili indicative delle tensioni a livello di liquidità di finanziamento. 3.2.1 COSTRUZIONE DELLE VARIABILI E SIGNIFICATO ECONOMICO: Al di là del semplice elenco delle variabili utilizzate, al fine di comprendere i risultati dell’analisi e il significato dell’indicatore, appare opportuno in questa sede spiegare la metodologia costruttiva e il significato economico delle variabili evidenziando il fenomeno che si propongono di rappresentare. SP500 RETURN: L’indice S&P500 contiene i rendimenti delle 500 maggiori società per capitalizzazione quotate sul mercato azionario statunitense. Sono state considerate le variazioni del Total Return Index rispetto al mese precedente. Le società a larga capitalizzazione dovrebbero risentire in minor misura dei problemi di liquidità a livello di mercato e, pertanto, shock in tale indicatore potrebbero essere segnali di un forte stress a livello di liquidità complessiva. Inoltre, vista l’assodata importanza del mercato azionario statunitense ci si aspetta che forti tensioni nei rendimenti delle maggiori azioni che lo compongono abbiano un impatto rilevante sulla liquidità del sistema finanziario visto nel suo complesso. LARGE – SMALL: È costruito come la differenza nei rendimenti mensili, calcolata come variazione rispetto al mese precedente, tra l’indice Russell 1000 e l’indice Russell 2000. Entrambi gli indici sono sottogruppi dell’indice Russell 3000 che include le azioni delle 3000 maggiori società per capitalizzazione quotate nel mercato statunitense. Il Russell 1000 contiene le 1000 società con capitalizzazione maggiore e il Russell 2000 le restanti 2000. In questo caso la valenza in termini di liquidità è determinata dal fatto che le società a più ampia capitalizzazione dovrebbero risentire meno delle contrazioni nella liquidità di mercato rispetto a quelle a capitalizzazione più ristretta. In tal senso si è ottenuta 78 una proxy tra società poco sensibili ai problemi di liquidità e società molto sensibili a tali problemi. Un aumento della variabile segnala, quindi, un momento di stress. VALUE – GROWTH: È costruito come la differenza nei rendimenti mensili, calcolata come variazione rispetto al mese precedente, tra l’indice Russell 1000 Value e l’indice Russell 1000 Growth. L’indice Russell 1000 Value comprende le società incluse nel Russell 1000 con i più bassi price-to-book ratio e i più bassi tassi di crescita attesi. Il Russell 1000 Growth, invece, include le società del Russell 1000 con i più alti price-to-book ratio e i più alti tassi di crescita attesi. Anche in questo caso un aumento della variabile segnala un aumento della tensione nel mercato. VIX: Il Volatility IndeX misura la volatilità implicita nei contratti derivati scambiati nel Chicago Board Options Exchange (CBOE). È costruito calcolando la volatilità come fosse l’incognita nelle formule usate per prezzare i derivati, sfruttando come dati esogeni i prezzi dei derivati rilevati sul mercato. La variabile è costruita come differenza rispetto al mese precedente. In tal modo un aumento della variabile segnalerà un aumento della volatilità del mercato e, quindi, un aumento dello stress. Questa variabile può essere rappresentativa dei citati aumenti dell’incertezza sul valore fondamentale delle attività e sul comportamento degli altri investitori. CREDIT SPREAD Questa variabile è costruita come differenza tra il rendimento dei corporate bond con rating di Moody’s pari a BAA e il rendimento di mercato sui titoli del Tesoro statunitense con scadenza a 10 anni. Tale misura dovrebbe indicare la rischiosità delle obbligazioni corporate con più basso standing creditizio tra quelle investment grade stabilito da Moody’s rispetto ai titoli di Stato (che vengono, spesso, considerati come benchmark per l’assenza di 79 rischio79) incorporando, quindi, il premio per i rischi di liquidità, di credito e di mercato. Anche in questo caso maggiore è il valore assunto dalla variabile maggiore è il rischio percepito riguardo al settore privato. Tale variabile, può essere anche vista come rappresentativa del fenomeno del flight-to-liquidity. DATASTREAM BANK STOCK INDEX (DBSI) Questa variabile corrisponde all’indice, egualmente pesato, dei rendimenti azionari delle banche commerciali americane fornito da Datastream. REPO 3M – US TREASURY 3M Questa variabile trae spunto dall’indicatore di stress finanziario elaborato da Goldman Sachs (vedi infra). È costruita come differenza tra tasso sui pronti contro termine (repurchase agreements, repo) a 3 mesi su strumenti assistiti da ipoteca (mortgage-backed) e tasso sui titoli del Tesoro USA di pari durata. La ratio sottostante a questa misura è che nei momenti di crisi esiste una preferenza per attività molto liquide, utilizzabili come garanzie nelle operazioni con le banche centrali. I possessori di strumenti del Tesoro possono utilizzarli come garanzia per prendere a prestito al tasso repo. Tanto maggiore è il tasso sui repo rispetto a quello fornito dai titoli di Stato, tanto maggiore è il premio per il rischio richiesto dal prestatore di fondi e tanto maggiore, quindi, è lo stress a livello di liquidità di finanziamento. TED SPREAD Il TED spread corrisponde alla differenza tra il Libor espresso in dollari a 3 mesi e il rendimento sui titoli del Tesoro statunitense (T-bill) a 3 mesi. In quanto differenza tra un tasso interbancario e un tasso sui titoli di stato permette di catturare il premio applicato dalle banche nel finanziamento reciproco, rappresentando quindi una misura del rischio di controparte sopportato dalla stesse. Il Libor, infatti, può eccedere il T-Bill perché le banche prestatrici temono che il prestito non venga ripagato (default risk) o perché temono di avere 79 Non sembra opportuno, in questa sede, soffermarsi sul dibattito relativo all’utilizzo dei titoli di Stato statunitensi come benchmark per l’assenza di rischio. 80 una necessità inattesa di fondi prima della scadenza (liquidity risk). Maggiore sarà il valore della variabile, maggiore sarà il rischio percepito dalle banche sul mercato interbancario e quindi maggiore lo stress a livello di liquidità di finanziamento. Per come è costruita può essere rappresentativa di un incremento dell’asimmetria informativa e dei fenomeni del flight-to-quality e del flight-toliquidity a causa del fatto che in periodi di crisi aumenta la volontà di detenere Titoli di Stato (giudicati più sicuri) deprimendo il tasso relativo. AAA – 10Y TREASURY SECURITY Questa variabile è costruita come differenza tra il rendimento delle obbligazioni del settore privato con rating di Moody’s AAA e il rendimento di mercato dei titoli del Tesoro statunitense con scadenza a 10 anni. Tale misura dovrebbe indicare la rischiosità delle obbligazioni corporate con più alto standing creditizio stabilito da Moody’s rispetto ai titoli di Stato (che vengono, spesso, considerati come benchmark per l’assenza di rischio) incorporando, quindi, il premio per i rischi di liquidità, di credito e di mercato. Lo spread potrebbe essere positivo perché le obbligazioni sono esigibili prima della scadenza o perché anche le migliori obbligazioni societarie tendono ad essere meno liquide dei titoli di stato. Anche in questo caso maggiore è il valore assunto dalla variabile, maggiore è il rischio percepito e quindi lo stress a livello di liquidità di finanziamento. Questa variabile può avere anche il ruolo di segnalare il flight-to-liquidity. BAA-AAA Questa variabile è calcolata sul differenziale di rendimento tra obbligazioni corporate con rating di Moody’s pari a BAA e pari ad AAA. Il differenziale tra rendimento dei titoli migliori e peggiori tra quelli a livello investment grade di Moody’s, può aumentare perché in periodi di tensione i titoli BAA sono percepiti come maggiormente a rischio di default. L’aumento di valore in questa misura indica, quindi, un aumento del premio richiesto per sopportare il rischio di default e quindi un periodo di stress. Può caratterizzare, 81 inoltre, la presenza di un aumento delle asimmetrie informative e del flight-toquality. INVERTED TERM SPREAD I Questa variabile (e la seguente) approssima la pendenza della curva dei tassi a termine considerando la differenza tra tassi a breve e tassi a lungo termine. L’ITS I è calcolato usando il rendimento di mercato sui titoli del Tesoro USA a 3 mesi (T-bill) come tasso a breve e il rendimento sui titoli del Tesoro USA a 10 anni come tasso a lungo. L’ipotesi di partenza è che le banche generino profitti acquistando fondi a breve termine (finanziandosi) vendendo fondi a lungo termine (investendo) tramite la cosiddetta attività di trasformazione delle scadenze. Una riduzione della pendenza positiva della curva (o addirittura una pendenza negativa) comporta la riduzione dei profitti bancari generati in questo modo rappresentando una fonte di stress per il settore bancario. Calcolando tale variabile in forma “invertita” (sottraendo il tasso a lungo dal tasso a breve) si approssima la pendenza negativa della curva e, pertanto, alti valori di questa variabile sono associati a momenti di alto stress nel settore del finanziamento bancario. INVERTED TERM SPREAD II Questa variabile, come la precedente, approssima la pendenza della curva dei tassi a termine considerando la differenza tra tassi a breve e tassi a lungo termine. L’ITS II, a differenza del precedente è calcolato usando il Libor espresso in dollari a 3 mesi come tasso a breve e il rendimento sui titoli del Tesoro USA a 10 anni come tasso a lungo. Le ipotesi sottostanti e il ragionamento svolto in precedenza valgono anche in questo caso e, pertanto, alti valori di questa variabile sono associati a momenti di alto stress nel settore del finanziamento bancario. 5Y BANK BOND – 5Y GOVERNMENT BOND Questa misura è data dalla differenza tra i rendimenti delle obbligazioni del settore bancario a 5 anni e i rendimenti dei titoli governativi statunitensi 82 della medesima scadenza (come benchmark per il risk-free). L’idea è che le obbligazioni bancarie debbano avere un rendimento maggiore che sconta il maggior rischio percepito. Si ha, in questo modo, una variabile che coglie il costo aggiuntivo per le banche di raccogliere fondi a lungo termine e, pertanto, un aumento del valore indica un aumento dello stress nel finanziamento a lungo termine (e probabilmente un aumento della pressione sulla liquidità di finanziamento a breve termine). COMMERCIAL BANK ASSET-DEPOSIT GAP Questa variabile è costruita sulla base dei bilanci consolidati delle banche commerciali americane pubblicati dalla Federal Reserve. Gli asset di tali istituti includono tutti i prestiti concessi e gli strumenti finanziari acquistati. Per finanziare queste esposizioni, le banche possono affidarsi ai depositi che detengono o devono tentare di prendere a prestito fondi esternamente. Considerando la differenza tra gli attivi e i depositi si ha una misura della pressione sulle banche per finanziare le proprie operazioni tramite prestiti. PRIME BROKER INDEX (PBI) Questo indicatore è costruito includendo i rendimenti, calcolati come variazione rispetto al mese precedente, egualmente pesati delle maggiori società che operano in qualità di prime broker. Si basa sulle società indicate in Billio, Getmansky, Pelizzon (2009) ed è stato ricostruito in modo da includere il periodo più recente. Le società incluse sono: Goldman Sachs, Merrill Lynch, Bear Stearns, UBS AG, Credit Suisse, Lehman Brothers, Morgan Stanley, Deutsche Bank, Bank of America, Bank of New York Mellon e Citigroup. Le uniche componenti in comune con il DBSI sono Citigroup e Bank of America. PAPER-BILL SPREAD Questa variabile è costruita come differenza tra il tasso di interesse sulle commercial paper con rating AA e scadenza a 3 mesi e i titoli del Tesoro statunitense di pari durata. Le commercial paper sono passività a breve termine emesse da società finanziarie e non. Il T-bill viene utilizzato anche qui come 83 benchmark per l’assenza di rischio e, quindi, si ottiene una stima del rischio addizionale percepito sul debito delle società private. In circostanze normali, le commercial paper offrono la fonte di finanziamento a breve termine a costo più basso. L’aumento del costo di finanziarsi in tale mercato potrebbe essere dovuto ad un peggioramento dello standing creditizio o ad una diminuzione dell’offerta complessiva di liquidità. In periodi di contrazione della liquidità sui mercati, l’offerta di prestiti bancari aumenta contemporaneamente all’aumento della domanda di tali prestiti80. Pertanto, un aumento del paper-bill spread è visto come una diminuzione della liquidità in circolazione e quindi a possibili tensioni a livello di finanziamento. 2Y SWAP SPREAD In un interest rate swap, una parte concorda di pagare ad un’altra un flusso di pagamenti a tasso fisso in cambio di un flusso di pagamenti a tasso variabile. I pagamenti a tasso variabile sono normalmente basati sul Libor a breve termine. Il tasso fisso è spesso espresso come il rendimento su un titolo del Tesoro della stessa durata più uno spread in eccesso a quel rendimento. Il Libor può eccedere il tasso fisso per gli stessi motivi suddetti a proposito del TED spread o perché i diritti sui pagamenti del tasso fisso sono meno liquidi di un titolo di Stato della stessa durata che può essere sempre venduto in modo rapido. Pertanto un aumento dello spread può rappresentare l’aumento del rischio di default o il rischio che i fondi siano necessari prima della scadenza dell’accordo e, di conseguenza, segnalare periodi di stress a livello di liquidità di finanziamento. Può segnalare, inoltre, fenomeni di flight-to-liquidity e flight-toquality. 10Y SWAP SPREAD Questa variabile è costruita come la precedente, con l’unica differenza che la scadenza dell’accordo è pari a 10 anni anziché a 2. 80 Vedi Gatev, Strahan (2003). 84 INVERTED YIELD CURVE La variabile della curva dei rendimenti invertita è costruita prendendo la media dei rendimenti a scadenza di riferimento sui titoli del governo statunitense a 5 e 10 anni meno il tasso sulle commercial paper a 90 giorni. Viene inclusa per approssimare gli shock sui tassi di interesse. Implicitamente, il rendimento a scadenza a lungo termine sulle obbligazioni governative è interpretato come il tasso di interesse di equilibrio. Quando i tassi di interesse a breve termine salgono al disopra di questo equilibrio, viene esercitata una tensione sui debitori aumentando i loro costi del servizio del debito a breve termine sopra al livello di equilibrio. ABCP SPREAD Questa variabile è costruita come differenza tra il tasso sulle asset backed commercial paper a 3 mesi e il tasso sui titoli governativi statunitensi di pari durata. Questa misura è stata interpreata da Illing e Liu (2003) come una proxy per la disintermediazione a breve termine o per le strette creditizie e, un suo aumento, segnala tensioni nella liquidità di finanziamento a breve termine. DISCOUNT SPREAD Questa misura è calcolata come differenza tra il tasso delle commercial paper con rating A2/P2 (il più basso del livello investment grade) e il tasso delle commercial paper con rating AA (il miglior livello di standing creditizio), entrambi con scadenza a 3 mesi. Un valore positivo della variabile è associato con un peggioramento dello standing creditizio e all’aumento del rischio di default percepito. Pertanto può indicare un momento di stress nel breve termine. LIBOR OIS SPREAD Lo spread è una misura dei costi di finanziamento tra banche. Il Libor è il tasso di interesse al quale le banche prendono a prestito fra di loro, tipicamente a breve termine. Dato che il prestito interbancario è finalizzato a gestire i livelli del circolante, il tasso riflette gli stress di liquidità o l’incapacità di prestare fondi alle altre banche a scadenza molto breve. L’Overnight Indexed Swap 85 (OIS), invece, è il tasso di interesse per i derivati che scambiano solo il rischio che i tassi di interesse possano modificarsi nel breve termine. Pertanto, questa variabile misura il premio che il mercato sta attualmente caricando per il rischio di default (tipicamente basso nei prestiti a breve termine) e per il rischio di liquidità. 3.3 ANALISI DEI DATI: L’analisi è stata svolta su due campioni differenti ciascuno relativo ad uno dei due periodi considerati. Esiste, pertanto la possibilità che i risultati differiscano nonostante la sovrapposizione temporale. Questa accortezza dovrebbe permettere di focalizzarsi, nel periodo breve, maggiormente sulla recente crisi che sembra essere per caratteristiche e portata differente da quelle del passato evidenziandone eventualmente la natura comune anche consentendo a più variabili di spiegarne le cause e il comportamento. Appare quindi opportuno nell’esposizione trattare separatamente i due periodi di riferimento. 3.3.1 PERIODO LUNGO (OTTOBRE 1991 – OTTOBRE 2009) La PCA è stata condotta su due sottoinsiemi di variabili, il primo contenente tutte le variabili contemporaneamente81 e il secondo suddividendo le variabili secondo la natura economica degli eventi che rappresentano. In particolare il secondo sottoinsieme82 è formato da variabili per la liquidità di mercato (SP500 return, largesmall, value-growth e VIX) e variabili per la liquidità di finanziamento a breve termine83 (REPO 3m-US Treasury 3m, Inverted term spread I, Inverted term spread II), a lungo termine (Credit spread, AAA-10y T-bond, BAA-AAA, 5y Bank bond-5y Government bond) e relative al settore bancario (DBSI return, TED spread, Commercial bank asset-deposit gap, PBI). 81 Per non appesantire il lavoro e dal momento che non si registrano variazioni rilevanti, i risultati della PCA basata su tutte le serie e della costruzione dell’indicatore di stress basato su tali risultati sono disponibili a richiesta. 82 Si rimanda all’appendice per i dati relativi ai risultati dell’analisi. 83 L’uso delle locuzioni “breve termine” e “lungo termine” non intendono avere un significato strettamente legato ad uno specifico intervallo temporale. Si sono considerate a “breve termine” variabili che si riferiscono ad un periodo compreso nei 12 mesi e a “lungo termine” variabili che fanno riferimenti a periodi oltre i 12 mesi. 86 Il secondo sottoinsieme dovrebbe avere il pregio, una volta estratte le componenti principali di dare qualche indicazione sulla natura delle cause che hanno dato origine agli eventi rilevati dall’indicatore di stress finanziario costruito sulla base dei risultati della PCA. 1) PCA LIQUIDITÀ DI MERCATO L’analisi per le variabili di liquidità di mercato ha incluso il rendimento dell’indice SP500, il Large-Small, il Value-Growth e il VIX. I risultati indicano che la prima componente spiega il 99.98% della variabilità dell’insieme di dati e che tale componente coincide con l’inverso del VIX. Da questi risultati se ne deduce che, per quanto riguarda la liquidità di mercato, non esiste di fatto un fattore latente che influenza l’andamento delle quattro variabili ma che, quest’ultime, sono spiegate in modo eccellente dall’andamento del VIX. Pertanto risulterà indifferente nella costruzione dell’indicatore di stress considerare la variabile originale o la componente principale di questo insieme di variabili. Figura 1: Liquidità di mercato, prima componente principale 2) PCA LIQUIDITÀ DI FINANZIAMENTO DEL SETTORE BANCARIO I risultati dell’analisi condotta sul rendimento del Datastream Bank Stock Index, sul rendimento del Prime Broker Index, sul TED spread e sul differenziale tra attività e depositi dei maggiori istituti bancari americani, nonostante i valori assoluti apparentemente bassi, evidenziano come la prima componente principale spieghi da sola il 91.77% della variabilità dell’insieme dei dati. Il restante è spiegato 87 essenzialmente dalla seconda componente che conta per il 7.14% e dalla terza che conta per il 1.08%. Anche in questo caso la prima componente coincide essenzialmente con una sola variabile costituita dal TED spread. La seconda tiene conto, invece, sia dei rendimenti del Datastream Bank Stock Index (peso 0.64) sia del Prime Broker Index (peso 0.76). Ad ogni modo, vista la schiacciante preponderanza della prima componente si è ritenuto sufficiente utilizzare questa nella costruzione dell’indicatore di stress finanziario84. Figura 2: Liquidità di finanziamento settore bancario, prima componente principale 3) PCA LIQUIDITÀ DI FINANZIAMENTO A LUNGO TERMINE Per quanto riguarda la liquidità di finanziamento a lungo termine si sono considerati il Credit Spread, la differenza tra il rendimento dei corporate bond con rating AAA di Moody’s e il rendimento sulle obbligazioni del Tesoro statunitense a 10 anni, lo spread tra i rendimenti dei corporate bond con rating di Moody’s pari a BAA e a AAA e lo spread tra rendimento delle obbligazioni bancarie e del Tesoro americano con scadenza a 5 anni. La prima componente principale spiega il 90.61% della variabilità totale, mentre la seconda il 6.97%, il rimanente è spiegato dalla terza componente. Sempre seguendo la logica della sinteticità, si è ritenuto opportuno tener conto solo della prima componente principale. A differenza dei precedenti, in questo caso il fattore latente è molto più evidente; difatti, la PC1 è formata dall’insieme delle quattro 84 Si ricorda che l’obiettivo è di costruire un indicatore sintetico, quindi un indicatore che sia in grado di spiegare il fenomeno con un numero limitato di variabili. Si potrebbe affermare che il vantaggio marginale dell’aggiunta di più variabili non è tale da compensare la perdita di rapidità, facilità ed immediatezza nella costruzione dell’indice e nella relativa interpretazione dei risultati. 88 variabili presenti nel set a disposizione. Il Credit Spread assume un peso pari a 0.64, lo spread tra obbligazioni bancarie e governative a 5 anni ha una ponderazione pari a 0.63, lo spread tra corporate bond con rating BAA e AAA ha un peso pari a 0.33 ed, infine, allo spread tra corporate bond con rating AAA e obbligazioni del Tesoro a 10 anni viene assegnato un peso pari a 0.31. Figura 3: Liquidità di finanziamento a lungo termine, prima componente principale 4) PCA LIQUIDITÀ DI FINANZIAMENTO A BREVE TERMINE L’ultimo set di variabili è formato da quelle indicative della liquidità di finanziamento a breve termine. In particolare si è tenuto conto dello spread tra Repurchase Agreement e titoli del Tesoro americano a 3 mesi e dello spread sui tassi a termine invertito calcolato sia come differenziale nel rendimento tra Treasury Bill a 3 mesi e Treasury Security a 10 anni, sia come differenziale nel rendimento tra Libor a 3 mesi e Treasury Security a 10 anni. I risultati della PCA indicano che la prima componente principale è in grado di spiegare il 94.75% della variabilità dell’insieme, la seconda componente spiega il 4.73% e la terza spiega il restante 0.52%. Anche in questo caso, nella costruzione dell’indice di stress finanziario si è tenuto conto solo della prima componente che è composta dallo spread sui tassi a termine invertito calcolato con il Libor (peso 0.75), dallo spread sui tassi a termine invertito calcolato con il rendimento sui T-bill (peso 0.66) e dallo spread tra REPO e titoli governativi a 3 mesi (peso 0.07). 89 Figura 4: Liquidità di finanziamento a breve termine, prima componente principale Figura 5: Periodo lungo, prime componenti principali 3.3.2 PERIODO BREVE (GENNAIO 2002 – OTTOBRE 2009) L’Analisi delle Componenti Principali per il periodo tra gennaio 2002 e ottobre 2009 consente l’inclusione di più variabili esplicative delle diverse sfaccettature della liquidità. Anche in questo caso l’analisi è stata svolta considerando l’intero insieme di variabili contemporaneamente e suddividendolo in diversi sottogruppi a seconda della natura economica sottostante. In questo caso, dai risultati, emerge che l’ulteriore suddivisione non è necessaria a migliorare la capacità esplicativa dell’indicatore di stress finanziario pertanto in questa sede ci si concentrerà solo sull’analisi svolta sull’intero dataset comprendente tutte le variabili contemporaneamente. 90 Per la liquidità di mercato si sono considerati il rendimento dell’indice SP500, il Large-Small, il Value-Growth e il VIX. Per la liquidità di finanziamento relativa al settore bancario il rendimento del Datastream Bank Stock Index, del Prime Broker Index e la differenze tra attività e depositi delle maggiori banche americane. Per la liquidità di finanziamento relativa al breve termine si sono inclusi lo spread tra rendimento dei repurchase agreement e dei titoli governativi americani a 3 mesi, il TED-spread e il Libor-Ois spread. Per il canale del finanziamento obbligazionario a lungo termine si è utilizzato il Credit Spread, il differenziale nei rendimenti dei corporate bond con standing AAA e i titoli governativi americani a 10 anni e il differenziale nei rendimenti dei corporate bond con standing BAA e AAA. Per cogliere le tensioni relative all’ambito delle commercial paper che, come si è visto, hanno influenzato notevolmente la recente crisi finanziaria si sono inclusi il Paper-Bill spread, l’ABCP spread e il Discount spread. Per quanto riguarda l’ambito della liquidità di finanziamento a lungo termine si è tenuto conto dello swap spread a 2 e a 10 anni nonché della differenza tra rendimento delle obbligazioni bancarie e delle obbligazioni governative a 5 anni. Infine, per apprezzare eventuali squilibri tra liquidità di finanziamento a breve e a lungo termine si sono inclusi lo spread sui tassi a termine invertito calcolato sia con il Libor a 3 mesi che con il rendimento sui T-bill trimestrali e, infine, la curva dei rendimenti invertita. L’analisi svolta considerando contemporaneamente tutte le variabili mostra che le prime due componenti principali insieme sono capaci di spiegare il 86.93% della variabilità complessiva del dataset, rispettivamente il 68.31% e il 18.63%. La terza componente principale spiega il 9.55%, la quarta il 1.35% e il restante è spiegato dalle altre componenti in misura trascurabile. Volendo ottenere anche nel periodo di analisi più breve un indicatore di stress finanziario che sia sintetico e dato che le prime due componenti spiegano buona parte della variabilità complessiva si è ritenuto sufficiente considerare solo quest’ultime nella costruzione dell’indicatore. La prima componente principale è costituita essenzialmente dal VIX (peso 1.00) e pertanto sarà essenzialmente indifferente includere la serie del PC1 o del VIX dato che è fortemente rappresentativa dell’aspetto della liquidità legato al mercato. 91 La seconda componente principale, invece, è costituita da un insieme di variabili legate essenzialmente alla liquidità di finanziamento. In particolare, le variabili più rilevanti risultano essere lo spread sui tassi a termine invertito costruito con il Libor a 3 mesi (peso -0.45), lo spread sui tassi a termine invertito costruito con il rendimento sui T-Bill a 3 mesi (peso -0.45), lo spread sugli swap a 2 anni (peso -0.45), la curva dei rendimenti invertiti (peso 0.41), il Credit Spread (peso 0.29), lo spread tra obbligazioni bancarie e governative con scadenza quinquennale (peso 0.23) e lo spread tra i rendimenti dei corporate bond con standing AAA e i T-Bond con scadenza 10 anni (peso 0.17). Figura 6: Periodo breve, prime componenti principali 92 3.4 COSTRUZIONE DI UN INDICE DI STRESS FINANZIARIO L’obiettivo della Principal Component Analysis è quello di individuare, in un determinato insieme dei dati, quali siano (se esistono) le principali componenti in grado di spiegarne l’andamento complessivo. In tal senso, le componenti principali vengono qui interpretate come manifestazione latente di un comportamento delle variabili utilizzate. Nell’ipotesi di regime normale dell’andamento dei mercati finanziari le variabili dovrebbero assumere un comportamento che può essere definito di equilibrio nel senso che normalmente si evolvono secondo uno specifico trend a seconda delle condizioni dell’economia. Come si è visto, però, in letteratura sono diversi i casi in cui si ipotizza che di fatto i mercati assumano due regimi: uno normale tipico dei periodi in cui non c’è stress finanziario e uno di tensione che emerge solo nei periodi di crisi nei mercati. Questo regime definito, a volte, latente è quello che si è cercato di individuare con la PCA svolta in questo lavoro ed, in particolare, con la costruzione di un indicatore sintetico di stress finanziario. Sono stati elaborati due indici, uno per il periodo lungo (10/1991-10/2009) ed uno per il periodo breve (01/2002-10/2009) entrambi a frequenza mensile e con le medesime caratteristiche costruttive. 3.4.1 LONG PERIOD FINANCIAL STRESS INDEX: L’indice per il periodo lungo è costruito considerando le componenti principali che meglio spiegano i quattro sottoinsiemi di variabili (mercato, finanziamento settore bancario, finanziamento a breve, e finanziamento a lungo). Come visto, dai risultati emerge che la prima componente principale di ciascun sottogruppo è in grado di spiegare la maggior parte della variabilità del relativo sottogruppo (rispettivamente il 99.98%, 91.77%, 90.61% e 94.75%), pertanto si è ritenuto sufficiente includere queste quattro nuove variabili latenti nell’indice. L’unica accortezza seguita rispetto ai risultati della PCA è stata quella di invertire il segno della componente principale relativa alla liquidità di mercato. Questo poiché il risultato statistico indicava una preponderanza nel peso assunto dal VIX ma con segno negativo; avendo come obiettivo cogliere fenomeni economici reali è sembrato opportuno considerare la serie con il suo segno originale che, evidenziando il 93 cambiamento della volatilità nel mercato, assume un andamento crescente nei momenti di stress. Le variabili sono state quindi standardizzate sottraendo la media campionaria e dividendole per la deviazione standard campionaria. L’indice è quindi costruito prendendo la media delle quattro variabili. È stato quindi calcolato il relativo trend tramite il filtro di Hodrick-Prescott. Per l’individuazione dei periodi di stress si sono considerati quei valori dell’indice che superano più di una deviazione standard il proprio trend. L’indicatore così costruito permette di identificare 22 episodi di stress finanziario dei quali 16 corrispondono ad episodi di stress storicamente noti. Al di là della semplice identificazione, il metodo costruttivo utilizzato permette di cercare di individuare quali siano stati i fattori scatenanti di tali episodi e, pertanto, si cercherà di motivare economicamente la presenza dei picchi. 94 Figura 7: Periodo lungo, Financial Stress Index 95 3.4.1.1 EPISODI DI STRESS CORRETTAMENTE SEGNALATI DALL’INDICE 85: Novembre 1997: in questa data l’indicatore è più alto del livello soglia del 25.23%. Tale valore è influenzato principalmente dalla componente relativa alla liquidità di mercato e da quella relativa alla liquidità di finanziamento a breve termine. In questo periodo a livello reale ci si trovava nel pieno della crisi asiatica ed in particolare, in novembre, si ebbe la crisi relativa alla Corea del Sud che comportò la svalutazione del won del 25%. Agosto, settembre, ottobre 1998: in questo trimestre l’indice supera la soglia prima del 34.77%, poi del 61.99% ed, infine, del 35.46%. In tutti e tre i mesi i valori sono influenzati principalmente dalle componenti relative alla liquidità di mercato e alla liquidità di finanziamento a breve termine. A livello reale ad agosto si verificò un rilevante declino del mercato azionario statunitense con una caduta del Dow Jones del 16% e del S&P500 del 15% a causa principalmente delle precarie condizioni delle banche commerciali che può trovare una corrispondenza proprio nelle tensioni di liquidità di finanziamento a breve termine. Sempre in agosto si verificò la crisi russa legata al debito pubblico e che ha contribuito a portare al fallimento di LTCM nel settembre dello stesso anno. L’indicatore sembra, quindi, cogliere puntualmente le cause reali che hanno portato alla crisi finanziaria di quei mesi. Febbraio 1999: in questo mese si ha una fuoriuscita dalla soglia del 16.97% con un’influenza dovuta alle componenti della liquidità di mercato e di finanziamento sia a breve che a lungo termine. A gennaio 1999 è iniziata la svalutazione della moneta brasiliana. Ottobre, novembre, dicembre 2000: nell’ultimo trimestre del 2000 l’indice fuoriesce dal livello soglia del 18.74%, del 21.31% e del 28.55%. In tutti e tre i mesi l’influenza maggiore l’ha avuta la componente relativa alla liquidità di finanziamento a breve termine, seguita da quella relativa alla liquidità di mercato e da quella relativa alla liquidità di finanziamento a lungo termine. In questo trimestre si verificarono declini rilevanti nell’indice S&P500 così come 85 Sembra opportuno suddividere la trattazione in 1) episodi segnalati dall’indice e corrispondenti ad episodi benchmark per i quali si cercherà di vedere se le cause evidenziate in letterature corrispondano a quelle colte dall’indicatore; 2) episodi segnalati dall’indice ma non corrispondenti ad episodi ritenuti di particolare stress finanziario per i quali si cercherà comunque di dare una giustificazione economica. 96 nel NASDAQ in seguito all’esplosione della bolla dot.com. A marzo 2000 l’indice tecnologico americano raggiunse il suo massimo storico a quota 5132.52 (10 marzo 2000) per poi crollare perdendo in meno di un anno metà del suo valore ed arrivare ad un minimo di 1108.49 il 10 ottobre 2002. Marzo 2001: in questo mese l’indice di stress finanziario supera la soglia del 54.19%, influenzato da tutte e quattro le variabili ma principalmente dalla componente per la liquidità di mercato e da quella per la liquidità di finanziamento a breve termine. È ancora la situazione relativa alla bolla dot.com che viene correttamente segnalata dall’indicatore. Settembre 2001: nel mese degli attacchi terroristici alle Torri Gemelle a New York, l’indice fuoriesce dal livello di guardia del 9.72% sotto l’influenza delle componenti relative alla liquidità di mercato, alla liquidità di finanziamento a breve termine e alla liquidità di finanziamento nel settore bancario. Agosto 2002: in questo mese si ha uno dei maggiori salti nel periodo considerato con l’indice che supera la soglia del 54.46% spinto dalle tensioni nella liquidità di mercato e nella liquidità di finanziamento a lungo termine e nel settore bancario. Nell’estate 2002 ci fu lo scandalo Enron in giugno, il fallimento di Worldcom in luglio (il maggiore nella storia degli Stati Uniti fino a quel momento) e quello di Arthur Andersen (una delle 5 società più grandi al mondo di revisione contabile) in agosto. È evidente che oltre ai danni economici diretti di questi tre fallimenti ci fu una crisi di fiducia nel mercato causata dagli scandali contabili causati proprio da chi doveva controllare la correttezza dei bilanci delle società. Marzo 2007: alla fine del primo trimestre del 2007 l’indice segnalava già un balzo del 45.11% in più rispetto alla soglia di attenzione con una forte influenza della liquidità di mercato e della liquidità di finanziamento a breve termine. In questo mese si ha l’inizio delle prime tensioni e preoccupazioni relativamente ai mutui sub-prime. Agosto 2007: in uno dei mesi iniziali della recente crisi finanziaria l’indice di stress finanziario segnala un 54.46% in più del livello soglia utilizzato in questo lavoro. Le tensioni in ambito di liquidità di mercato e di liquidità di finanziamento a breve termine sembrano quelle che maggiormente hanno 97 colpito il sistema finanziario. Come visto, in piena crisi sub-prime si registrarono perdite enormi per diversi hedge fund ed è altamente probabile che questo abbia avuto un impatto notevole sia sulla liquidità di mercato che su quella di finanziamento come correttamente segnalato dall’indice. Ottobre 2008: ad ottobre 2008 l’indice supera il massimo precedente fatto registrare a settembre 1998, oltrepassando il benchmark del 66.81%. In questo caso i problemi maggiori si sono avuti nella liquidità di mercato e nella liquidità di finanziamento a lungo termine. Questo è il mese in cui, tra gli altri, si registrò il fallimento di Lehman Brothers, una delle maggiori banche d’investimento al mondo nonché uno dei maggiori prime broker. Dicembre 2008: nell’ultimo mese del 2008 l’indice sale nuovamente oltre la soglia del 76.93% riflettendo, anche qui, le tensioni nella liquidità di mercato e in quella di finanziamento a lungo termine comprensibili all’interno della recente crisi che ha portato, oltre a Lehman Brothers, al fallimento (o quasi) di altre società e a tensioni enormi nei mercati finanziari. Febbraio, marzo 2009: in questi due mesi l’indice oltrepassa la soglia del 97.72% e del 101.96%, i due picchi più alti di tutto il periodo considerato. L’influenza determinante in entrambi i casi è data dalla liquidità di finanziamento a breve termine peggiorata dalle tensioni nella liquidità del mercato. 3.4.1.2 EPISODI DI STRESS INDEX SPECIFIC: Marzo 1994: a marzo 1994 l’indice oltrepassa la soglia del 17.46% spinto dalle tensioni nella liquidità di mercato e in quella di finanziamento nel settore bancario. Questa è la prima data non inclusa nei punti di riferimento. In questo mese a livello mondiale le tensioni erano relative soprattutto alla situazione messicana e, non è difficile ipotizzare che, visti i rapporti commerciali tra Stati Uniti e Messico, tali eventi possano aver avuto un influenza (anche solo indiretta) sul mercato statunitense. Inoltre, all’inizio del 1994 iniziarono a verificarsi perdite consistenti nei mercati obbligazionari influenzati anche dalla 98 crisi messicana facendo diventare il 1994 l’anno con i peggiori rendimenti del mercato obbligazionario86 Agosto 1995: in questo mese l’indice oltrepassa il benchmark del 10.04% e l’unica componente che non registra stress è quella relativa alla liquidità di finanziamento a lungo termine. Marzo 1996: alla fine del primo trimestre del 1996 l’indice segnala un sorprendente 55.15% in più del benchmark a causa di tensioni in tutti gli aspetti della liquidità tranne che in quella a lungo termine. Aprile 2001: in questo mese l’indice oltrepassa la soglia del 9.20% a causa di tensioni in tutte le componenti di liquidità. Ottobre 2001: il mese successivo agli attentati a New York l’indice registra uno sforamento del 25.37% rispetto al livello di soglia, nettamente superiore a quello fatto registrare il mese precedente. Questo può segnalare, forse, un certo ritardo nel sistema di incorporare le tensioni dovute ad un fatto reale ma non strettamente economico-finanziario. Ad ogni modo, tale stress sembra dovuto principalmente alla liquidità di mercato e di finanziamento a lungo termine. 3.4.2 SHORT PERIOD FINANCIAL STRESS INDEX: L’indice per il periodo breve (01/2002-10/2009) è costruito considerando le componenti principali che meglio spiegano l’intero dataset di variabili in modo da avere una visione globale dell’esistenza di un comportamento latente dei fenomeni indagati 87. Come si è visto, le prime due componenti principali insieme sono capaci di spiegare il 86.93% della variabilità complessiva del dataset, rispettivamente il 68.31% e il 18.63%. Volendo ottenere anche nel periodo di analisi più breve un indicatore di stress finanziario che sia sintetico e dato che le prime due componenti spiegano buona parte della variabilità complessiva si è ritenuto sufficiente considerare solo quest’ultime nella costruzione dell’indicatore. 86 Cfr. El Ahrbar, The great bond market massacre, Fortune Magazine, 17 ottobre 1994. I risultati delle analisi svolte considerando le variabili suddivise per natura economica sono disponibili su richiesta. Viene qui riportato l’indice costruito con il metodo che meglio identifica i periodi di crisi nel lasso temporale considerato. 87 99 La prima componente principale è costituita essenzialmente dal VIX (peso 1.00) e pertanto sarà essenzialmente indifferente includere la serie del PC1 o del VIX dato che è fortemente rappresentativa dell’aspetto della liquidità legato al mercato. La seconda componente principale, invece, è costituita da un insieme di variabili legate essenzialmente alla liquidità di finanziamento. In questo caso, si è ritenuto opportuno considerare la variabile PC2 con segno invertito poiché altrimenti le variabili che la compongono avrebbero un comportamento indicativo di stress finanziario con segno negativo, in contrasto quindi con la PC1. Le variabili sono state, anche in questo caso, standardizzate sottraendo la media campionaria e dividendole per la deviazione standard campionaria. L’indice è quindi costruito prendendo la media delle quattro variabili. È stato quindi calcolato il relativo trend tramite il filtro di Hodrick-Prescott. Per l’individuazione dei periodi di stress, anche per il periodo breve, si sono considerati quei valori dell’indice che superano più di una deviazione standard il proprio trend. L’indicatore così costruito permette di identificare 5 episodi88 di stress finanziario tutti corrispondenti ad episodi di stress storicamente noti.89 Al di là della semplice identificazione, il metodo costruttivo utilizzato permette di cercare di individuare quali siano stati i fattori scatenanti di tali episodi e, pertanto, si cercherà di motivare economicamente la presenza dei picchi. 88 Considerando una soglia di attenzione pari al 95% della deviazione standard l’indice individua un sesto mese di stress corrispondente a Marzo 2007. Non si è ritenuto includerlo nella trattazione perché inferiore al livello soglia standard. 89 Dal momento che i periodi individuati coincidono con quelli segnalati dall’indicatore per il periodo lungo, si rimanda al paragrafo precedente per la spiegazione delle possibili motivazioni economiche sottostanti. 100 Figura 8: Periodo breve, Financial Stress Index 101 3.4.2.1 EPISODI DI STRESS CORRETTAMENTE SEGNALATI DALL’INDICE 90: Agosto 2002: in agosto 2002 l’indice supera la soglia del 90.55%. L’influenza è determinata dalla componente principalmente legata al VIX e quindi alla liquidità di mercato. Agosto 2007: in questo mese l’indicatore oltrepassa il livello limite del 20.94%. Tale picco è determinato, anche in questo caso, dalla componente legata alla liquidità di mercato. Ottobre, novembre, dicembre 2008: nell’ultimo trimestre del 2008 l’indicatore supera la soglia del 145.75%, del 52.28% e del 18.59%. In tutti e tre i casi l’influenza è determinata da entrambe le componenti utilizzate. Tale differenza è tra questi picchi e i due precedenti (agosto 2002 e agosto 2007) potrebbe essere sintomatica del fatto che gli eventi che hanno sconvolto il sistema finanziario nel picco della recente crisi sono dovuti sia a tensioni nella liquidità di mercato che nella liquidità di finanziamento. 3.5 ANALISI DI EPISODI SELEZIONATI DI STRESS FINANZIARIO 3.5.1 1998: CRISI RUSSA E LTCM I mesi di agosto, settembre, ottobre e novembre 1998 furono caratterizzati dall’inasprirsi della crisi legata al debito russo e dalle successive turbolenze relative a LTCM che portarono al suo fallimento. Vista la rilevanza di tali eventi in relazione alla liquidità appare opportuno tentare di analizzarne più nel dettaglio le cause e lo sviluppo tramite l’indicatore qui costruito. A luglio 1998 iniziarono i primi problemi per LTCM a causa della diffusione della notizia della chiusura del trading desk di Salomon Smith & Barney (SSB) ma a livello di mercato complessivo non si registrò nessuna crisi e l’indicatore rimane entro il livello di guardia. Ad agosto 1998 la Russia svalutò il rublo e dichiarò una moratoria sul debito estero denominato in dollari. Questo evento è importante perché, come visto, uno dei mercati in cui operava LTCM era proprio quello dei Brady bond emessi dai Paesi 90 Sembra opportuno suddividere la trattazione in 1) episodi segnalati dall’indice e corrispondenti ad episodi benchmark per i quali si cercherà di vedere se le cause evidenziate in letterature corrispondano a quelle colte dall’indicatore; 2) episodi segnalati dall’indice ma non corrispondenti ad episodi ritenuti di particolare stress finanziario per i quali si cercherà comunque di dare una giustificazione economica. 102 emergenti. A livello di mercato, la notizia del mese prima relativa a SSB, le decisioni del governo russo e l’impatto sul LTCM provocarono notevoli tensioni che si riflettono, oltre che sugli indici azionari statunitensi, anche sul nostro indicatore. In questo mese supera la soglia del 34.77% evidenziando tensioni dovute alla liquidità di mercato (45% del totale) e della liquidità di finanziamento a breve termine (30% del totale), controbilanciato per il restante 25% dalla liquidità di finanziamento a lungo termine (15%) e da quella relativa al settore bancario (10%). È possibile interpretare il tutto in questi termini: la nuova informazione su SSB ha contribuito a provocare le tensioni nella liquidità di mercato mentre la situazione di LTCM potrebbe aver determinato le tensioni nella liquidità di finanziamento a breve termine per le spirali negative che si possono creare nel momento in cui le perdite relative ad un mercato (quello obbligazionario a lungo termine) provocano a cascata vendite in altri strumenti, in questo caso, forse, il LIBOR (sul cui mercato operava LTCM). A settembre 1998 l’indice ha il picco più alto del periodo superando la soglia del 61.99%. La situazione è peggiorata, la percentuale di incidenza positiva è l’85% del totale, composta da liquidità di mercato (50%) e liquidità di finanziamento a breve termine (35%) a segnalare tensioni nei relativi settori. La crisi di LTCM è all’apice e in questo mese il capitale era diminuito di circa 600 milioni di dollari. Ad ottobre 1998 l’indice torna a scendere pur mantenendosi al di sopra della soglia di attenzione. Si riduce l’impatto della liquidità di mercato (40% del totale) mentre permangono i problemi relativi alla liquidità di finanziamento a breve termine (35% del totale). Il fallimento di LTCM è ormai certo ed il relativo portafoglio viene acquisito da un pool di altre istituzioni finanziarie coordinate dalla Federal Reserve Bank di New York. A novembre 1998 l’indice ha un rimbalzo positivo (in termini di benessere del mercato) scendendo addirittura al di sotto della soglia negativa. Le turbolenze del trimestre precedente sembrano essersi placate. L’influsso positivo è dato principalmente dalla liquidità di mercato (50% del totale) che è tornata a livelli positivi, aiutata dalla stabilità relativa alla situazione del settore bancario che sembra essere sempre riuscito a mantenere una certa situazione liquida relativamente al mercato del finanziamento interbancario. 103 Figura 9: 1998, FSI e contributo delle singole componenti al totale 3.5.2 2000-2001: BOLLA DOT.COM E CROLLO NASDAQ In questo sottoperiodo si verificarono declini rilevanti nell’indice S&P500 così come nel NASDAQ in seguito all’esplosione della bolla dot-com. A marzo 2000 l’indice tecnologico americano raggiunse il suo massimo storico a quota 5132.52 (10 marzo 2000) per poi crollare perdendo in meno di un anno metà del suo valore ed arrivare ad un minimo di 1108.49 il 10 ottobre 2002. 104 Ottobre 2000 è il primo mese dell’anno in cui l’indice supera la soglia di attenzione (18.74% in più). I maggiori problemi sono dati dalla liquidità di finanziamento a breve termine (55% del totale) seguita dalla liquidità di mercato (30%) e da quella di finanziamento a lungo termine (15%). Novembre 2000 fa segnare una fuoriuscita dalla banda del 21.31%. Anche in questo caso l’influenza è data dalle stesse componenti: 55% dalla liquidità di finanziamento a breve termine, 25% da quella di mercato e 20% da quella di finanziamento a lungo termine. A dicembre dello stesso anno l’indicatore supera il livello di confidenza del 28.55%, ancora una volta a causa della liquidità di finanziamento a breve termine (55%), della liquidità di mercato (25%) e della liquidità di finanziamento a lungo termine (20%). Dopo essere rientrato per un paio di mesi all’interno dei limiti di attenzione, a marzo 2001 si osserva il picco maggiore per il sottoperiodo considerato. L’indicatore sfora del 54.19% con il contributo di tutte le quattro componenti. A maggio 2001 si verifica il rimbalzo positivo (come fu per il 1998) sotto la spinta del miglioramento della situazione con riguardo alla liquidità di mercato (55%) e della liquidità di finanziamento del settore bancario (10%). 105 Figura 10: 2000-2001, FSI e contributo delle singole componenti al totale 3.5.3 2007-2009: CRISI SUB-PRIME91 L’analisi di questo periodo inizia ad agosto 2007 quando l’indicatore del periodo lungo supera la soglia del 54.46% con l’influenza positiva (nel senso di alzare l’indicatore) della liquidità di mercato (50% del totale) e della liquidità di finanziamento a breve termine (30%) controbilanciate solo dalla liquidità di finanziamento a lungo termine e per nulla dalla liquidità di finanziamento del settore bancario. I problemi relativi agli hedge fund in questo mese hanno probabilmente contribuito a determinare 91 Per rendere comparabile l’analisi svolta in questo paragrafo con le due precedenti, si utilizzerà solo l’indicatore relativo al periodo lungo. Ad ogni modo, come visto, non si registrano differenze eclatanti tra i due indicatori. 106 delle notevoli tensioni a livello di liquidità di mercato. Inoltre, è interessante notare come l’influsso della componente di finanziamento a breve termine può ragionevolmente essere spiegata dai problemi legati alle asset backed commercial paper che iniziano proprio nel mese di agosto. Infine, si può notare come l’iniezione di liquidità della BCE e della FED potrebbero aver beneficiato la liquidità di finanziamento a lungo termine e del settore bancario. Ottobre è il mese seguente al fallimento di Lehman Brothers e alla cessione di Merrill Lynch a Bank of America. L’indicatore supera del 66.81% il livello di attenzione sotto la spinta della liquidità di mercato (45%) e di finanziamento a lungo termine (20%), con un andamento in controtendenza da parte della liquidità di finanziamento del settore bancario. In questo mese si verificano diversi salvataggi di banche del Regno Unito e ciò può spiegare forse il miglioramento della relativa componente. D’altro canto ad ottobre si registrò la peggior settimana del mercato azionario statunitense da 75 anni con crolli sia sul Dow Jones che sullo S&P500. Dicembre 2008 è segnato da fallimenti di diversi istituzioni e da cadute nello S&P500 intorno al 15-20%. L’indicatore supera il benchmark del 76.93% influenzato dalla liquidità di finanziamento a lungo termine (40%) e di mercato (25%). I problemi nei mercati azionari e la conferma della situazione recessiva potrebbero aver determinato questo picco. Nei mesi di febbraio e marzo 2009 si assiste ai due maggiori picchi dell’indicatore. Gli sforamenti rispettivamente del 97.72% e del 101.96% sono determinati entrambi dalla liquidità di finanziamento a lungo termine e dalla liquidità di mercato. A livello di mercato azionario, si è visto che è stato il peggiore inizio anno della storia. Inoltre, è possibile che il passaggio della crisi all’economia reale abbia influenzato le componenti obbligazionarie del settore privato aumentando gli spread utilizzati nella nostra analisi a causa della riduzione della fiducia negli emittenti. 107 Figura 11: 2007-2009, FSI e contributo delle singole componenti al totale 108 3.6 CONFRONTO CON ALTRI INDICATORI DI STRESS FINANZIARIO L’indicatore di stress finanziario da noi costruito non è l’unico tentativo di unire un’insieme limitato di variabili in un indice sintetico che permetta di spiegare e, eventualmente, prevedere l’andamento del sistema finanziario. In questo paragrafo si cercherà di spiegare le differenze tra alcuni indicatori esistenti e il nostro (vedi tab. 2). In particolare si è tenuto conto del Financial Distress Index elaborato da Goldman Sachs92, del Canada Financial Stress Index93, del Kansas City Financial Stress Index94 e del Financial Stress Index elaborato dal FMI95. Tabella 2: Indicatori di stress finanziario alternativi INDICATORE Goldman Sachs Kansas City FSI FMI FSI Canada FSI VARIABILI 3mLibor-Tasso FED su future a 3m; 3mRepo mortgage backed-3m T-bill; tasso di crescita annuo dei titoli di credito negoziabili non pagati; rapporto tra attività totali nel mercato monetario dei fondi comuni e capitalizzazione di mercato del NYSE 3m Libor-3m T-bill: 2y swap spread; 10y On-/off-the-run Treasury; AAA-10y T-Sec spread; BAA-AAA spread; High-yield-BAA spread; Consumer ABS-10y T-Sec spread; VIX; Correlazione tra rendimento azioni e T-bond; volatilità idiosincratica settore bancario; dispersione incrociata rendimenti settore bancario TED spread; inverted term spread; beta settore bancario; corporate spread; stock decline; time-varying stock volatilità; time-varying real effective exchange rate volatility Beta settore bancario; volatilità tasso di cambio; corporate bond spread; 90g Canada-U.S.A. spread sui Titoli di Stato; 90g bid-ask spread su TdS Canada; commercial paper – T-bill Canada; curva dei rendimenti invertita; volatilità mercato azionario METODO DI COSTRUZIONE Equally-weighted dopo aver depurato le serie dal ciclo economico BENCHMARK MERCATO Nessuno U.S.A. PCA Nessuno U.S.A. Equally-weighted 1 deviazione standard sopra il trend stimato con HodrickPrescott 17 Paesi Credit-weighted 2 deviazioni standard sopra la media Canada 92 Vedi Garzarelli e Karoui (2008). Vedi Illing e Liu (2003). 94 Vedi Hakkio e Keeton (2009). 95 Vedi Fondo Monetario Internazionale (2008). 93 109 Goldman Sachs si concentra su quattro dimensioni del rischio che in qualche modo si intersecano. In particolare l’attenzione viene posta sul rischio di controparte, sul rischio di liquidità, sul rischio di rifinanziamento e su una più ampia avversione al rischio. L’obiettivo è quello di cogliere l’aumento della tensione a livello di sistema finanziario nei mercati del credito e del reddito fisso. Come proxy per il rischio di controparte usano lo spread tra il Libor a 3 mesi in dollari e il tasso di finanziamento della Fed incorporato nei contratti future nello stesso orizzonte temporale. Serve, appunto, come proxy per il grado di mancanza di fiducia tra le istituzioni finanziarie. Come proxy del rischio di liquidità usano la differenza nei rendimenti tra un 3month Repo su titoli coperti da garanzia ipotecaria e titoli emessi da enti governativi e il rendimento dei titoli del tesoro USA a 3mesi. Per il rischio di rifinanziamento usano il tasso di crescita annuo degli effetti e titoli di credito negoziabili non pagati. Per l’avversione al rischio usano il rapporto tra attività totali nel mercato monetario dei fondi comuni e capitalizzazione di mercato del NYSE. Maggiore il rapporto, minore l’interesse per le azioni. Tutte le proxy vengono depurate dal ciclo economico regredendo ciascuna contro la variazione annuale nel tasso di disoccupazione. I residui vengono quindi standardizzati per renderli comparabili. Infine, vengono aggregate le variabili con pesi uguali. Il vantaggio principale è di considerare quatto variabili che sembrano essere altamente identificative dei fenomeni studiati e, quindi, rendere molto sintetico l’indicatore. A differenza del nostro, non indicano un benchmark di riferimento per determinare quando l’indicatore è a livelli di stress ma osservano i picchi storici associandoli ad avvenimenti noti di tensione o crisi finanziaria. Illing e Liu (2003), invece, si concentrano sul mercato canadese costruendo un indice basato su 8 variabili dividendole per settore di appartenenza. Per il settore bancario usano il beta classico relativo a tale settore dato dal rapporto tra covarianza tra rendimenti del settore e rendimenti del mercato e varianza dei rendimenti del mercato. Alternativamente considerano diversi tipi di spread per il rischio per approssimare le tensioni nel settore bancario. Per raffinare meglio la misura del beta considerano solo i valori con beta maggiore di 1 e con i rendimenti dell’indice bancario minori del rendimento di mercato. 110 Per il mercato dei cambi l’approccio standard prevede l’utilizzo di una misura di volatilità o più comunemente una misura ibrida di volatilità delle perdite come il calcolo del CMAX dato da: Come misura standard per approssimare l’incertezza nel mercato del debito pubblico usano lo spread tra titoli del tesoro canadesi e statunitensi a 90 giorni. Assumendo che entrambe le obbligazioni sopportino una probabilità nulla di default, la condizione di parità di interesse coperta stabilisce che dovrebbe esserci uno spread nullo. Questo lascia all’incertezza del mercato la spiegazione di qualsiasi divergenza significativa statisticamente. Tali divergenze sono indicative di un maggiore stress. Uno spread rappresentativo delle obbligazioni societarie viene usato per approssimare il rischio nel relativo mercato. I corporate yield spread sono una combinazione di premi per il rischio di credito, di mercato e di liquidità. Come misure della liquidità di mercato obbligazionario usano il bid-ask spread sui titoli del tesoro canadese a 90 giorni. Un basso livello di liquidità è indicativo di un aumento dell’incertezza da parte dei market-maker. Perciò un maggiore bid-ask spread è interpretato come un segnale di maggiore stress finanziario. La liquidità di finanziamento è invece misurata con lo spread tra tasso delle commercial paper e tasso sui titoli del tesoro. Questa misura è stata interpretata come una proxy per la disintermediazione a breve termine o per le strette creditizie. Usano, inoltre, una misura della curva dei rendimenti invertita per approssimare gli shock sui tassi di interesse. Nel loro caso usano la media dei rendimenti a scadenza di riferimento sui titoli del governo canadese a 5 e 10 anni meno il tasso sulle commercial paper a 90 giorni. Elaborano diversi pesi per l’indice (PCA, equally-weighted) ma in termini di miglior performance complessiva, l’indice pesato per il credito mostra il più basso errore di prima specie e il più basso errore di seconda specie. Tale approccio pesa le variabili per la dimensione relativa di ciascun mercato a cui appartiene. Più grande è il mercato in quanto quota del credito totale nell’economia, maggiore il peso assegnato 111 alla variabile che approssima lo stress in tale mercato. Per identificare gli episodi di stress utilizzano un limite di due deviazioni standard sopra la media. L’indice elaborato da Hakkio e Keeton (2009) per la Federal Reserve Bank of Kansas City, considera 11 variabili esplicative: lo spread tra Libor e Treasury Bill a 3 mesi, lo spread sugli swap a 2 anni, lo spread tra Titoli di Stato statunitensi on- e offthe-run a 10 anni, lo spread tra corporate bond con rating AAA e Treasury Security a 10 anni, lo spread tra corporate bond con rating BAA e AAA, lo spread tra corporate bond con rating peggiore e BAA, lo spread tra consumer ABS e Treasury Security a 10 anni, la correlazione tra il rendimento di azioni e di Treasury bond, il VIX, la volatilità idiosincratica dei prezzi delle azioni bancarie e la dispersione incrociata dei rendimenti delle azioni bancarie Assumendo che la tensione finanziaria sia il fattore maggiormente responsabile del movimento comune di queste variabili, viene usato il metodo del componente principale per identificare tale fattore. I valori del KCFSI e i coefficienti vengono scelti in modo da minimizzare la somma degli errori quadratici sotto la condizione che la varianza del KCFSI sia 1. Il KCFSI sembra identificare bene i periodi di crisi passati e svolgere un buon lavoro nell’anticipare i cambiamenti nell’attività economica. Tuttavia, non viene indicato dagli autori un preciso benchmark di riferimento per identificare i momenti di crisi ma si affidano all’osservazione dei picchi in corrispondenza di precisi eventi passati noti. L’ultimo indicatore considerato è quello costruito dal Fondo Monetario Internazionale. Tale indice si basa su 7 variabili raggruppate in 3 categorie: settore bancario, mercato mobiliare, tassi di cambio. Per il settore bancario vengono utilizzati il TED spread, l’inverted term spread dato dalla differenza tra tasso governativo a breve termine e tasso governativo a lungo termine e beta del settore bancario. Per il mercato mobiliare vengono usati il corporate spread, lo stock decline dato dall’indice azionario al tempo t-1 meno l’indice azionario al tempo t, diviso poi per l’indice azionario al tempo t-1 e il time-varying stock volatility dato dalla volatilità dei rendimenti mensili dell’indice di mercato azionario stimata con un modello GARCH(1,1). Infine, per il mercato dei tassi di cambio viene usato il timevarying real effective exchange rate volatility dato dalla volatilità del cambiamento 112 percentuale mensile del tasso di cambio reale effettivo stimata con un modello GARCH(1,1). Tale indice, secondo gli autori, facilita l’identificazione di quattro caratteristiche fondamentali degli eventi di tensione finanziaria: ampi cambiamenti nei prezzi delle attività (rendimenti dei mercati azionario e obbligazionario); un brusco cambiamento del rischio o dell’incertezza (volatilità nelle azioni e nei tassi di cambio); un brusco cambiamento nella liquidità (TED spread); lo stato di salute del sistema bancario (il beta delle azioni del settore bancario e la curva dei rendimenti a scadenza, che influenza la profittabilità di trasformare passività a breve termine in attività a lungo termine). L’obiettivo è quello di evidenziare momenti di stress che si riflettono sull’economia reale e stabilire quale dei diversi settori li abbia provocati. Gli episodi di tensione finanziaria sono identificati come quei periodi in cui l’indice per un paese è più di una deviazione standard superiore al suo trend (stimato tramite il filtro di Hodrick-Prescott). Ciò segnala che una o più delle variabili dei mercati bancario, mobiliare e dei tassi di cambio sono cambiate bruscamente. L’indice viene costruito prendendo la media delle componenti dopo averle aggiustate per la media campionaria e standardizzate per la deviazione standard campionaria. L’indice è quindi ribilanciato in modo che vada da 0 a 100. Infine, è convertito in frequenza trimestrale usando la media dei dati mensili. Per classificare la causa di un episodio di stress finanziario considerano il cambiamento tra il FSI dal trimestre prima dell’inizio dell’evento al massimo valore del FSI durante l’evento. 113 CONCLUSIONI L’analisi svolta nel primo capitolo ha evidenziato e definito i diversi aspetti della liquidità e, in particolare, quelli di mercato e di finanziamento. Tale analisi ha permesso di isolare differenti variabili associate a differenti fenomeni che, a livello reale, si intersecano tra loro con dinamiche spesso complesse. È fondamentale che gli operatori (siano essi trader, regolatori, market-maker, etc.) capiscano e imparino ad affrontare e prevedere i meccanismi di interrelazione (ad esempio le spirali di liquidità) tra i diversi aspetti della liquidità, in quanto essi appaiono essere molto più collegati di quanto ci si aspetti. Come visto nel capitolo secondo, ciò può portare ad abbandonare i paradigmi di mercati efficienti nei momenti di crisi, anche a causa del fatto che sembrano essere sempre più convincenti le argomentazioni riguardanti un cambiamento di regime nel comportamento dei mercati finanziari tra periodi normali e periodi di tensione. L’analisi svolta tramite la Principal Component Analysis, ha permesso di estrarre alcune componenti comuni in grado di spiegare molto bene la variabilità dei fenomeni di base. Per quanto riguarda il periodo lungo (ottobre 1991-ottobre 2009), la PCA svolta tra le variabili selezionate per cogliere i comportamenti comuni nella liquidità di mercato96 ha portato a concludere che non esiste di fatto un fattore latente che influenzi l’andamento delle altre variabili ma che, quest’ultime, sono spiegate completamente dal VIX (99.98% della variabilità totale). 96 S&P500 return, Large-Small, Value-Growth e Vix. 114 Tra le variabili per la liquidità di finanziamento del settore bancario97, il 91.77% della variabilità totale è spiegato dal TED spread. La prima componente principale della liquidità di finanziamento a lungo termine spiega il 90.61% della variabilità totale. Tale componente è formata dall’insieme delle quattro variabili costituenti l’insieme considerato98 indicando in modo evidente l’esistenza di un fattore latente comune. Infine, per la liquidità di finanziamento a breve termine, i risultati portano a concludere che il 94.75% della variabilità totale è spiegata dalla prima componente principale formata dall’insieme delle variabili considerate99, indicando, anche in questo caso, la presenza di un fattore latente comune. Per quanto riguarda, invece, il periodo breve (gennaio 2002-ottobre 2009) l’analisi svolta sull’intero dataset mostra che la prima componente principale spiega il 68.31% della variabilità complessiva ed è formata dal VIX; la seconda componente, invece, spiega il 18.63% ed è formata da un’insieme di variabili legate alla liquidità di finanziamento. Ciò implica e supporta l’idea che esista un comportamento comune nei mercati finanziari, invisibile se non nei momenti di crisi in quanto, appunto, latente. L’analisi svolta supporta la necessità di riconsiderare i benefici e l’applicabilità della diversificazione e del risk management anche alla luce della recente indagine del Senior Supervisors Group (SSG)100 in cui si evidenzia il fatto che nessun piano di emergenza delle varie società (contingency funding plan in anglosassone) si è dimostrato essere efficace durante la recente crisi101. Da qui l’esigenza, richiamata dallo stesso SSG di tener conto negli stress test, oltre che degli shock specifici, anche degli shock sistemici ed includere nella modellistica e nelle operazioni anche gli aspetti di criticità, come il comportamento latente e comune della liquidità, evidenziati in questo 97 Datastream Bank Stock Index, Prime Broker Index, TED spread e differenziale tra attività e depositi dei maggiori istituti bancari statunitensi. 98 Credit spread, BAA-10y Treasury bond spread, BAA-AAA corporate bond spread e 5y bank bond-5y government bond spread. 99 Spread tra repo a 3 mesi e US Treasury a 3 mesi, inverted term spread 1 e inverted term spread 2. 100 Cfr. Senior Supervisors Group (2009). 101 Per contingency funding plan si intende un piano completo che le istituzioni finanziarie mettono in atto per mantenere sufficienti risorse di liquidità in uno scenario di emergenza. Tipicamente include proiezioni dei cash flow che stimano le future necessità sotto condizioni avverse e dovrebbe presentare sequenze di azioni per indirizzare necessità inattese di liquidità a breve, medio e lungo termine. Tali piani vengono anche richiamati dalla Banca d’Italia (2009) nelle “Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche” . 115 lavoro in modo da riuscire ad anticipare i momenti di tensione e affrontarli nel modo più efficiente ed efficace possibile. Sempre nel terzo capitolo, si è inoltre cercato di costruire un indice di stress finanziario che evidenziasse le crisi note degli ultimi vent’anni e che possa essere d’aiuto agli operatori e ai regolatori per prevedere i momenti futuri di tensione. L’indicatore costruito ha il pregio di essere basato su un set di variabili in grado di cogliere diversi aspetti della liquidità a livello di sistema finanziario. Basandosi sull’idea che la liquidità, nei suoi diversi aspetti, abbia un ruolo fondamentale nell’andamento del mercato ed eserciti un’influenza determinante su quest’ultimo, non ha la pretesa di cogliere le tensioni in ogni singolo segmento del mercato ma, piuttosto, cerca di cogliere dei segnali che le condizioni di liquidità di mercato generali, stiano peggiorando. L’indice costruito per il lungo periodo (LPFSI) include la prima componente principale di ciascuno dei quattro sottogruppi. In tal modo vengono identificate 22 episodi di stress finanziario, 16 dei quali corrispondo ad episodi di stress storicamente noti. L’analisi svolta su 3 sottoperiodi relativi alla crisi russa e di LTCM nel 1998, al crollo del Nasdaq del 2000-2001 e alla crisi sub-prime del 2007-2009, ha permesso di evidenziare una corrispondenza tra andamento dell’indicatore, composizione delle variabili sottostanti ed episodi reali. In particolare, per il primo sottoperiodo, l’indicatore evidenzia la svalutazione del rublo di agosto 1998, il crollo di LTCM di settembre e il definitivo fallimento in ottobre. In tutti e tre i mesi le tensioni maggiori sembrano essere legate alla liquidità di mercato e a quella di finanziamento a breve termine e, tale fatto, trova riscontro nelle percentuali di contribuzione delle serie di base alla composizione dell’indicatore. La crisi relativa alla bolla dot.com e al crollo del Nasdaq copre un arco più lungo della precedente e, pertanto, non è facile cogliere i momenti esatti di tensione. Ad ogni modo, l’indicatore rileva segni di stress nell’ultimo trimestre del 2000 e a marzo 2001 evidenziando sufficientemente bene i riflessi della caduta del Nasdaq iniziata a marzo 2000 sul sistema finanziario statunitense. Infine, per quanto riguarda la crisi dei mutui sub-prime, l’indicatore segnala correttamente l’inizio della crisi a marzo 2007 (manifestazione delle prime 116 preoccupazioni sui mutui sub-prime), le tensioni di agosto (con l’impatto sugli hedge fund che si riflette nelle stesse componenti della crisi del 1998 legata ad LTCM), ottobre e dicembre 2008 (mesi nei quali falliscono o sono appena fallite importanti istituzioni finanziarie) e, infine, febbraio-marzo 2009 (mesi caratterizzati dal peggiore inizio anno della storia dei mercati azionari statunitensi). L’indice costruito per il periodo breve (gennaio 2002-ottobre 2009) è stato costruito con le prime due componenti principali dell’intero dataset e permette di identificare 5 episodi di stress finanziario, coincidenti con eventi storici noti e già evidenziati anche dall’indicatore per il periodo lungo. Il fatto che gli indicatori siano costruiti utilizzando la PCA consente, inoltre, di rendere visibile ciò che è invisibile. Infatti, fondandoci sulle ipotesi che i mercati di fatto seguano due diversi regimi (normale e di tensione), che il passaggio sia imprevedibile con gli strumenti tradizionali in quanto brusco ed improvviso e che esista un andamento silenzioso e latente di alcune dinamiche, si sono estratte da alcune variabili ritenute molto indicative delle condizioni di salute (e quindi degli stress) dei mercati che guidano la liquidità, solo quelle componenti in grado di spiegarne la maggior parte della variabilità102. Ciò che si ottiene sono proprio delle nuove variabili, non osservabili direttamente, che spiegano approssimativamente bene l’intero dataset. Riaggregandole in un indicatore sintetico è stato possibile individuare, con rapidità e facilità di costruzione, quali siano i momenti in cui i mercati (e osservando il peso dato ai diversi fattori anche quale specifico mercato) stiano andando verso situazioni di tensione e provare quindi ad intervenire anticipatamente per scongiurare effetti a catena, sistemici, sul resto del sistema finanziario. Futuri sviluppi nella ricerca potrebbero riguardare sia l’applicazione dell’indicatore (e la relativa procedura di costruzione) ad altri Paesi (ed, eventualmente, a livello globale), sia la costruzione di variabili con frequenze di rilevazione giornaliere che permettano di cogliere più puntualmente i segnali di stress. In quest’ultimo caso si dovrà prestare attenzione a non rendere troppo complessa la costruzione se si vuole costruire un indicatore di rapida analisi e monitoraggio. . 102 Si osservi che non è tanto il valore assoluto ad essere rilevante ma quanto un determinato valore vari rispetto ai propri valori precedenti. 117 APPENDICE A RISULTATI DELLA PRINCIPAL COMPONENT ANALYSIS I. PERIODO LUNGO (ottobre 1991-ottobre 2009) PC1 PC2 PC3 PC4 SP500 Return Large-Small Value-Growth VIX MARKET LIQUIDITY EIGENVALUES Cumulative abs. Value % Value % 18.678 99.98% 99.98% 0.001 0.01% 99.99% 0.001 0.01% 100.00% 0.001 0.00% 100.00% FACTORS LOADINGS PC1 PC2 PC3 PC4 0.01 -0.66 0.23 0.72 0.00 -0.30 0.79 -0.53 0.00 0.69 0.56 0.45 -1.00 -0.01 0.00 0.01 PC1 PC2 PC3 PC4 DBSI return TED spread Comm. bank asset - deposit gap Prime Broker Index FUNDING LIQUIDITY BANKS EIGENVALUES Cumulative abs. Value % Value % 0.159 91.77% 91.77% 0.012 7.14% 98.91% 0.002 1.08% 99.99% 0.000 0.01% 100.00% FACTORS LOADINGS PC1 PC2 PC3 PC4 0.02 0.64 -0.76 0.00 -1.00 0.07 0.03 0.00 0.00 0.00 0.00 -1.00 0.07 0.76 0.64 0.00 118 PC1 PC2 PC3 PC4 Credit Spread AAA-10y T-bond BAA-AAA 5y Bank Bond - 5y Gov. bond FUNDING LIQUIDITY LONG TERM EIGENVALUES Cumulative abs. Value % Value % 1.727 90.61% 90.61% 0.133 6.97% 97.58% 0.046 2.42% 100.00% 0.000 0.00% 100.00% FACTORS LOADINGS PC1 PC2 PC3 PC4 0.64 -0.42 0.30 0.00 0.31 -0.63 -0.42 0.00 0.33 0.21 0.72 0.00 0.63 0.62 -0.47 0.00 FUNDING LIQUIDITY SHORT TERM EIGENVALUES abs. Value % Value Cumulative % PC1 3.249 94.75% 94.75% PC2 0.162 4.73% 99.48% PC3 0.018 0.52% 100.00% FACTORS LOADINGS PC1 PC2 PC3 REPO 3m - UST 3m 0.07 0.81 -0.59 Inverted Term Spread I 0.66 -0.48 -0.58 Inverted Term Spread II 0.75 0.35 0.56 119 II. PERIODO BREVE (gennaio 2002-ottobre 2009) MARKET&FUNDING LIQUIDITY EIGENVALUES abs. Value % value cumulative % PC1 27.0339 68.31% 68.31% PC2 7.3720 18.63% 86.93% PC3 3.7793 9.55% 96.48% PC4 0.5347 1.35% 97.84% FACTORS LOADINGS PCA1 PCA2 PCA3 PCA4 SP500 return -0.0076 -0.0027 -0.0037 -0.0093 Large-Small 0.0024 -0.0005 0.0006 -0.0042 Value-Growth -0.0004 0.0000 -0.0025 0.0113 VIX 0.9964 0.0662 -0.0111 -0.0382 Credit Spread -0.0231 0.2907 0.3353 -0.0751 DBSI return 0.0030 0.0003 -0.0096 -0.0100 Repo 3m - UST 3m 0.0096 0.0000 0.1952 0.1462 TED spread 0.0193 -0.0020 0.2517 0.2066 Paper-bill spread 0.0183 -0.0347 0.0653 0.0739 2y swap spread 0.0447 -0.4476 -0.0124 0.5121 AAA-10y Treasury bond -0.0112 0.1706 0.1139 -0.0428 BAA-AAA -0.0119 0.1201 0.2214 -0.0323 Inverted yield-curve -0.0243 0.4110 -0.2262 0.2488 ABCP spread 0.0242 0.0107 0.2670 0.2035 Inverted Term Spread I 0.0111 -0.4518 0.1362 -0.3278 Inverted term Spread II 0.0304 -0.4538 0.3879 -0.1211 10y swap spread 0.0299 -0.1461 -0.1712 0.5204 Discount spread -0.0100 0.0927 0.3292 0.3733 Libor-Ois spread 0.0159 0.0588 0.2198 0.1351 5y Bank bond - 5y Government bond -0.0101 0.2313 0.4917 -0.0269 Comm. bank asset - deposit gap 0.0000 0.0004 -0.0001 0.0001 Prime Broker Index -0.0001 0.0007 -0.0169 -0.0578 120 BIBLIOGRAFIA Aa. 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