Karl Polany, economista e sociologo, (veloce e sommaria) Scheda

Karl Polany, economista e sociologo,
(veloce e sommaria) Scheda
didattica sull’opera, a cura di
Paolo Ferrario
Karl Polany (1886-1964) è un classico studioso delle scienze sociali contemporanee che ha
offerto contributi di rilievo
allo studio dei rapporti tra economia e società,
alla critica del paradigma dominante in economia,
alla analisi delle istituzioni economiche
e alla interpretazione dei meccanismi istituzionali e delle contraddizioni della società
industriale.
Polany è un autore dell’approccio istituzionalista. Per lui l’economia è inserita o incorporata nella
società, e i processi economici
del produrre,
del distribuire
e dell’allocare risorse
sono attività essenziali di ogni società che, tuttavia si svolgono entro quadri istituzionali diversi,
ovvero con motivazioni, significati, leggi e ordinamenti differenti.
Il rapporto tra economia e società si configura per Polany in modo diverso nelle diverse epoche
storiche. Egli afferma infatti che di regola, l’economia dell’uomo è immersa nei suoi rapporti
sociali e che “l’uomo non agisce in modo da salvaguardare il suo interesse individuale nel
possesso di beni materiali, agisce in modo da salvaguardare la sua posizione sociale, le sue
pretese sociali, i suoi vantaggi sociali“
L’eccezionalità del capitalismo moderno consiste nel fatto che in esso “non è più l’economia ad
essere inserita nei rapporti sociali, ma sono i rapporti sociali ad essere inseriti nel sistema
economico” fino al punto di una “conduzione accessoria ” della società rispetto al mercato
regolato da prezzi.
Per Polany l’economia si sottrae al controllo della società e subordina alle proprie esigenze gli
altri aspetti della vita sociale.
Il nucleo centrale della critica di Polanyi è costituito da tre grandi centri di attenzione strettamente
collegati:
1) L’economia di mercato e le sue contraddizioni;
Una economia di mercato è un sistema economico controllato, regolato e diretto soltanto dai
mercati; l’ordine nella produzione e distribuzione delle merci è affidato a questo meccanismo
autoregolantesi. Una economia di questo tipo deriva dalla aspettativa che gli esseri umani si
comportino in modo tale da raggiungere un massimo di guadagno monetario.
2) Il mercato autoregolato che rappresenta l’istituzione fondamentale del
capitalismoliberale;
Un mercato autoregolato richiede:
– la separazione istituzionale della società in una sfera economica ed una politica;
– l’esistenza di istituzioni economiche separate;
– una economia di mercato deve comprendere tutti gli elementi dell’industria compreso illavoro,
la terra e la moneta (concetto di merce);
3) la pretesa della teoria economica classica e neo classica di attribuire validità universale al
paradigma economico mezzi – fini.
Polany contesta la validità universale delle leggi dell’economia classica e neo-classica, che viene
relativizzata come efficace modello interpretativo della sola economia di mercato. La pretesa
universalistica di tale disciplina nasce, secondo Polanyi, dalla “fallacia economicistica “, ovvero
dall’errore logico di confondere due significati distinti del concetto di economia, quello
“sostanziale ” che definisce il rapporto istituzionalizzato tra gli uomini e il loro ambiente naturale e
sociale, diretto al soddisfacimento dei bisogni, e quello “formale ” che deriva dal rapporto logico
tra mezzi e fini e implica la scarsità dei mezzi e la scelta tra alternative.
Ora mentre l’aspetto fisico dei bisogni dell’uomo fa parte della condizione umana e, quindi,
nessuna società, può esistere senza possedere un qualche tipo di economia sostanziale, il
meccanismo offerta-domanda-prezzo è, invece, un istituzione relativamente moderna,
avente una struttura specifica che non è facile costituire né fare funzionare.
La fallacia economicistica è a sua volta imputabile allo sviluppo, negli ultimi due secoli di storia
dell’Europa occidentale e dell’America, di un’organizzazione delle condizioni della sopravvivenza
umana, costituito da un sistema di mercati regolatori dei prezzi, in cui gli atti di scambio effettuati
in tale sistema comportano scelte tra mezzi scarsi, e “il significato formale e quello sostanziale di
economia vengono in pratica a coincidere ” alimentando la convinzione che vi sia un unico modo
di istituzionalizzazione delle attività economiche nei vari tipi di società.
Già nella Grande Trasformazione vi è una critica del postulato dell’homo oeconomicus. Scrive
Polany che i “suggerimenti di A. Smith sulla psicologia economica dell’uomo primitivo erano
tanto falsi quanto la psicologia politica del selvaggio di Rousseau. La divisione del lavoro, un
fenomeno antico quanto la società, nasce da differenze inerenti al sesso, alla geografia e alle
doti individuali e la presunta disposizione dell’uomo al baratto, al commercio e allo scambio è del
tutto apocrifa “.
La critica dell’economia diventa più aspra con riferimento ai successori di A. Smith. Mentre Smith
e Marx sono, infatti, in parte “risparmiati” per la loro capacità di concepire l’attività economica
entro un preciso contesto sociale, Ricardo, Malthus e Townsend sono violentemente criticati per
il loro naturalismo, cioè per la loro pretesa di considerare le leggi contingenti del modello di
mercato come leggi di natura e universalmente valide. “Mentre gradualmente si apprendevano le
leggi che governano un’economia di mercato, queste leggi venivano poste sotto l’autorità della
natura stessa. La legge dei rendimenti decrescenti era una legge della fisiologia delle piante, la
legge malthusiana della popolazione rifletteva il rapporto tra la fecondità dell’uomo e quella del
suolo” e la disponibilità di cibo costituiva il limite naturale oltre il quale gli esseri umani non
potevano moltiplicarsi, cosicché la fame diventa l’unico criterio regolatore di una società di “liberi
“individui nella parabola delle capre e dei cani, ricordata da Townsend.
Secondo Polany il paradigma economico dominante concepisce la società economica
come sottoposta a leggi che non sono leggi umane. Per trovare approcci alternativi capaci di
reintegrare la società nel mondo umano bisogna superare decisamente i confini del pensiero
economico. Marx si muove nella direzione giusta, ma a causa della sua troppo stretta aderenza
a Ricardo e alle tradizioni dell’economia liberale resta nel paradigma economicstico.
Particolarmente severo è il giudizio sugli economisti neo- classici come Von Mises (nel 1920
aveva proclamato un vero e proprio manifesto liberale – Solo il libero mercato consente di
misurare attraverso la formazione dei prezzi, la scarsità relativa delle risorse e quindi evidenzia
la irrazionalità della pianificazione), Hayek e Robbins.
Polany non critica tanto le categorie dell’analisi economica quanto il suo quadro ideologico
generale, l’utilitarismo, l’individualismo, il formalismo razionale, il naturalismo a-storico.
Razionalismo, individualismo e spirito acquisitivo, costituiscono per Weber e Sombart i valori
fondamentali della cultura borghese che tanta parte ha svolto nell’affermazione del capitalismo di
mercato, mentre il naturalismo nasce dal tentativo consapevole di Smith di fondare l’autonomia
della scienza economica mutuando il metodo delle scienze della natura. Anche Polanyi
attribuisce grande importanza a questi orientamenti culturali, ma mette in luce soprattutto
l’influenza negativa da essi esercitata nel favorire un’istituzione come il mercato autoregolato che
ha subordinato la società all’economia.
Lo sforzo di Polanyi è rivolto a mostrare come esistano forme di istituzionalizzazione delle attività
economiche diverse dallo schema mezzi – fini.
Più specificatamente, Polanyi si sforza di dimostrare che il complesso concorrenziale mercatomoneta-prezzo, che opera nel contesto giuridico della proprietà privata e del libero contratto e
nel contesto culturale dell’economizzare, “è stato assente e ha svolto un ruolo subordinato
durante la maggior parte della storia umana“. Ciò appare chiaro se si ritorna alla nozione di
economia e si esaminano i diversi contesti istituzionali in cui tale sfera opera.
L’analisi dell’economia come processo istituzionale è necessaria non solo per comprendere
realtà diverse dal capitalismo liberale, ma anche per comprendere i problemi specifici della
società contemporanea emersa dalla crisi del mercato autoregolato, correggendo la distorsione
prodotta dalla fallacia economicistica e contribuire, quindi, alla loro soluzione.
Sostenendo che il significato sostanziale di economia è quello universale e il significato formale
quello storicamente contingente, il lavoro di Polany è teso a dimostrare che i principi
dell’economizzare non sono universalmente presenti. Le analisi del commercio, della moneta,
dei mercati, che costituiscono l’oggetto privilegiato della sua indagine perché sono più facilmente
oggetto di fraintendimenti dovuti all’impiego delle categorie dell’economia formale, mostrano che
“i rapporti interpersonali basati sul dare e ricevere sono tipicamente incorporati in una vasta rete
di impegni sociali e politici che non consentono agli individui di massimizzare i vantaggi
economici ottenuti in queste relazioni” e aprono la strada alla elaborazione di una teoria “dei
movimenti appropriativi” dei fattori della produzione.
La tesi della eccezionalità del capitalismo liberale e la critica della teoria economica formale
diedero vita a un ampio e composito progetto di studi e ricerche interdisciplinari, ispirate da
Polany, sulle società primitive e le società antiche, che si proponevano di dimostrare l’esistenza
di meccanismi istituzionali di integrazione sociale dell’economia diversi dal mercato autoregolato
e di sostenere l’esigenza di categorie di analisi diverse dallo schema domanda offerta prezzo.
Il risultato teorico più interessante scaturito dai risultati di queste ricerche è la concezione
dell’economia come processo istituzionalizzato e la connessa tipologia delle forme di
integrazione, transazione o appropriazione.
Dunque Polany concepisce l’economia, nel suo significato sostanziale, come un processo
istituzionalizzato di interazione tra l’uomo e il suo ambiente, che da vita a un continuo
flusso di mezzi materiali per il soddisfacimento dei bisogni. Uomini, mezzi materiali, capitali,
conoscenze tecniche, tutto ciò che contribuisce alla produzione deve spostarsi da una parte
all’altra della società e i prodotti di questa attività devono essere ridistribuiti tra i membri della
società. Accanto ai movimenti fisici acquistano fondamentale importanza i movimenti
appropriativi, derivanti sia da transazioni che da disposizioni.
L’organizzazione sociale del potere appropriativo costituisce quindi, la matrice istituzionale che
ordina i rapporti economici tra gli uomini e definisce il posto dell’economia nella società, nel
senso che individua le condizioni sociali da cui scaturiscono le motivazioni individuali e l’insieme
dei diritti e dei doveri che sanciscono i movimenti con cui i beni e le persone partecipano al
processo economico.
Lo studio del modo in cui i sistemi economici concreti sono istituzionalizzati, cioè acquistano
stabilità e unità viene effettuato mediante una tipologia che identifica tre schemi di integrazione
o modi di transazione fondamentali:
la reciprocità,
la ridistribuzione
e lo scambio
Reciprocità e ridistribuzione svolgeranno un ruolo centrale nel pensiero di Polany.
Nel linguaggio corrente, tali concetti sono spesso impiegati per indicare rapporti tra persone. Ma
nell’accezione di Polany non si tratta di semplici aggregati di comportamenti individuali, ma di
strutture che identificano i tipi di provvedimenti istituzionali che regolano i rapporti tra i
partecipanti al processo economico.
Queste strutture comportano diverse modalità di distribuzione nello spazio:”La reciprocità sta ad
indicare movimenti tra punti correlati di gruppi simmetrici (principio di simmetria); la
ridistribuzione indica movimenti appropriativi in direzione di un centro e successivamente
provenienti da esso (principio di centricità); lo scambio si riferisce a movimenti bilaterali che si
svolgono tra due “mani” in un sistema di mercato“.
I comportamenti di reciprocità tra le persone integrano l’economia solo se esistono strutture
organizzate simmetricamente come il sistema parentale, gli atti di ridistribuzione presuppongono
l’esistenza di un centro politico che raccoglie e alloca risorse e gli atti di scambio tra individui
producono prezzi solo quando hanno luogo i mercati regolatori dei prezzi.
Ciascuna delle tre forme identifica i principi di organizzazione sociale e moventi di azione
che si possono applicare ad aree ampie ed eterogenee di attività sociale: “la tacita mutualità
tipica della sfera sociale dei rapporti affettivi diretti (nella famiglia, nel gruppo amicale, nella
comunità, ecc.) il controllo razionale, rivolto a fini collettivi, delle regole formali e dell’autorità
centrale e l’interesse personale economicamente razionale dei rapporti di scambio“. Così intese,
queste forme potrebbero essere denominate i principi sociale, politico ed economico
dell’ordinamento della società.
Nella tipologia delle forme di integrazione di Polany vi sono due questioni aperte che è
opportuno esaminare per valutarne il grado di compiutezza teorica, e cioè il problema della
dominanza delle diverse forme di integrazione nelle diverse situazioni storiche e delle loro
sequenze temporali e il problema dei meccanismi di transizione da una forma all’altra.
Polany dice chiaramente che le “forme di integrazione non rappresentano <stadi> dello sviluppo
e non implicano alcuna sequenza temporale, e che, a fianco della forma dominante possono
esisterne diverse altre, secondarie, e la stessa forma dominante può ricomparire dopo un
periodo di eclisse temporanea“.
Polany, ostile ad una economia dominata unicamente dal mercato (ma lo è anche nei confronti di
una economia rigidamente pianificata) non considera il capitalismo di mercato come il risultato di
un processo storico di accumulazione del capitale e di liberazione della forza lavoro, di
razionalizzazione degli orientamenti culturali e delle istituzioni, o di esplicazione delle energie
dell’innovazione imprenditoriale, ma come la situazione storica in cui la forma di mercato
autoregolato è dominante.
La sua ferma negazione della possibilità di configurare una sequenza di stadi nasce dal timore di
presentare il capitalismo liberale come fase superiore dello sviluppo della società umana.
Polany va apprezzato in particolare per la sua critica della pretesa di universalità della teoria
economica classica e neo classica, e per il suo apporto alla costruzione di un modello
esplicativo del posto dell’economia nella società che si fonda sulla tipologia degli schemi di
integrazione. L’ individuazione di una contraddizione del mercato autoregolato che è costretto ad
asservire alla sua logica, la società, ed è nel contempo vittima della sua reazione, conserva una
notevole forza interpretativa. E la critica dei modelli evoluzionistici e monocausali, che vedono
nell’economia di mercato l’approdo naturale della storia umana e nello scambio utilitaristico la
logica di forma regolativa per eccellenza dei rapporti sociali è molto attuale.
Basti pensare all’attuale dibattito sulla crisi e la riforma del welfare state, che Polany
considerava come un movimento tendente a reincorporare l’economia nella società, e agli
studi recenti intesi a porre in luce la crescente importanza di forme di economia informale e
diffusa in tutti i paesi tardo – industriali, che offrono testimonianze diverse circa l’attualità delle
tesi polanyane, come verifica della tesi della coesistenza di diversi schemi di integrazione
dell’economia in una società storicamente data e della riemergenza di forme ritenute scomparse.
Dalla sua opera si possono trarre indicazioni assai stimolanti per affrontare alcune questioni
fondamentali della ricerca storico/economica e socio/antropologica, e, in particolare: la questione
del rapporto tra i tre schemi di integrazione e del passaggio dall’uno all’altro nelle varie
situazioni storiche; il problema della perdurante importanza della reciprocità e della
ridistribuzione in una società i cui valori egemoni sono l’individualismo e il razionalismo
utilitaristico; la questione delle tensioni tra reciprocità e scambio, ovvero tra solidarietà
ed efficienza e tra ridistribuzione e scambio, ovvero tra stato e mercato; la questione
normativa, infine, della combinazione delle tre forme più adeguata a gestire i complessi
problemi della società tardo industriali contemporanee.
Contribuendo ad analizzare le contraddizioni del complesso rapporto economia società e
stimolando la ricerca intorno a questioni centrali nel dibattito intellettuale contemporaneo, Polanyi
può costituire un efficace antidoto sia contro i difensori del mercato e del neo utilitarismo, sia
contro i loro avversari sostenitori dell’economia pianificata.
“La grande trasformazione” è l’opera fondamentale di Polany; un opera al confine tra
diverse discipline: Economia, sociologia, Storia, Antropologia. Scopo dell’opera è analizzare le
origini politiche ed economiche e le cause del crollo di quella che Polany definisce ” la civiltà del
diciannovesimo secolo “, ovvero del capitalismo industriale moderno, e in particolare la crisi della
sua istituzione fondamentale, il mercato autoregolato, “fonte e matrice ” del sistema e
innovazione fondamentale che ne spiega il carattere storicamente specifico e l’entità della
grande trasformazione che esso ha comportato.
La tesi centrale è che il mercato autoregolato implicava una grande utopia, poiché esso non
poteva esistere a lungo “senza annullare la sostanza umana e naturale della società“, cioè
distruggendo l’uomo fisicamente e trasformando il suo ambiente in un deserto. Era quindi
inevitabile che “la società prendesse delle misure per difendersi, ma qualunque misura avesse
preso, essa ostacolava l’autoregolazione del mercato, disorganizzava la vita industriale e
metteva così in pericolo la società in un altro modo”. Fu questo dilemma a spingere lo sviluppo
del sistema di mercato in un solco preciso ed infine a far crollare l’organizzazione sociale che si
basava su di esso.
La semplicità e unilateralità della sua tesi, Polany la giustifica in base alla straordinaria
importanza del meccanismo istituzionale costituito dal mercato autoregolato per la nascita, lo
sviluppo e la sopravvivenza di quel particolare stadio della storia della civiltà industriale, che è il
capitalismo del XIX secolo.
Polany condivide con Marx la convinzione di una ineliminabile contraddizione nell’operare della
società capitalistica. A differenza di Marx tuttavia egli identifica nel mercato e non nei rapporti
sociali di produzione, il nucleo centrale del sistema e non considera questa società come
il punto più alto dello sviluppo finora raggiunto dalla società umana, sia pure ancora
appartenente alla “preistoria ” del genere umano, ma quasi, un caso patologico che non può che
chiudersi tra i contorcimenti di una crisi violenta, perché ha violato alcuni principi fondamentali
dell’integrazione sociale. Vi è, quindi un rovesciamento ancora più radicale che in Marx delle
analisi e degli assunti dell’economia politica classica e del pensiero liberale. Non sono tanto le
categorie di analisi della teoria economica che vengono criticate, ma i postulati utilitaristici e
individualistici e l’abbandono da parte del pensiero economico liberale di una concezione che
sappia inquadrare le attività economiche nei rapporti sociali.
Nel capitalismo liberale Polany individua una contraddizione di fondo, un conflitto
insanabile tra mercato e società. L’economia, strutturandosi sulla base del mercato
autoregolato, si è infatti separata radicalmente dalle altre istituzioni sociali e ha costretto il resto
della società a funzionare secondo le leggi della sua propria organizzazione, trasformando in
merci il lavoro e la terra e minacciando così di distruggere la natura e l’uomo. Di fronte a questo
pericolo la società ha sviluppato processi di difesa che, a loro volta, hanno ostacolato il
meccanismo fondamentale dello sviluppo capitalistico.
Buona parte della “La grande trasformazione” è dedicata all’analisi del “doppio movimento”
originato dal tentativo di controllare questa contraddizione di fondo, cercando di far coesistere il
meccanismo istituzionale del mercato libero e autoregolato con una serie di controlli sulle
transazioni di forza lavoro, capitali e risorse naturali che rispondono a esigenze di integrazione e
stabilità sociale. Questa situazione conduce ad uno scontro tra:
– liberalismo economico e protezione sociale, che hanno portato ad una forte tensione
istituzionale;
– conflitto fra le classi che interagendo col primo punto ha portato alla catastrofe fascista:
Dopo l’enunciazione della tesi centrale del libro, Polany delinea nei primi due capitoli un affresco
del capitalismo liberale del XIX secolo, ponendo l’accento sulle istituzioni e gli attori sociali
fondamentali che hanno garantito una pace secolare dal 1815 al 1914. L’equilibrio di potere tra
le grandi potenze del concerto europeo, ha avuto nell’agire dell’alta finanza internazionale il suo
garante principale, e nella base aurea (moneta come mezzo di scambio legato all’oro;
conseguenze: da un lato stabilità dei cambi che favorisce il commercio internazionale, dall’altra
la crescita di importazione provoca un deflusso dell’oro ed una riduzione della quantità di moneta
circolante e disponibile per pagamenti interni con la conseguenza di un calo delle vendite che
colpisce le attività produttive e genera disoccupazione) e nel governo democratico costituzionale
, i due requisiti istituzionali essenziali.
Ma l’istituzione fondamentale di tale assetto è stato il mercato autoregolato, e’ infatti
l’emergere non più controllato delle sue contraddizioni latenti che determina la crisi delle altre
istituzioni, dalla base aurea alla democrazia parlamentare , all’equilibrio pacifico tra le potenze,
sconvolgendo la civiltà del XIX secolo.
Per comprendere i conflitti contemporanei è dunque necessario, secondo Polany, risalire alle
origini del capitalismo liberale e analizzare le cause e le conseguenze di “quel rivolgimento
sociale e tecnologico dal quale era sorta nell’Europa occidentale l’idea di un mercato
autoregolato“. E dalla ricostruzione della crisi contemporanea si passa alla individuazione della
specificità di un sistema economico di mercati autoregolati.
La ricostruzione delle origini del capitalismo industriale pone l’accento soprattutto sugli effetti
dirompenti della introduzione della macchina e sui deliberati interventi del potere statale per
liberalizzare i mercati del lavoro e della terra.
A Polany interessa l’identificazione di un meccanismo istituzionale di regolazione
dell’economia, del tutto nuovo rispetto al passato e le contraddizioni che esso suscita,
espresse nel doppio movimento del mercato auto regolato e della autodifesa della società.
L’opera è costruita attorno a questo contrappunto che è espresso nei titoli delle due sezioni della
parte seconda del libro: “I macchinari satanici ” e “L’autodifesa della società”
Polany afferma in polemica con gli economisti classici che il mercato autoregolato è solo
uno dei meccanismi istituzionali di integrazione dell’economia, la cui assoluta novità
rispetto agli altri tipi di attività commerciale che sono sempre esistiti, consiste nella
subordinazione ad esso dell’intera organizzazione sociale. Questa subordinazione, a sua volta
comporta la trasformazione in “merci fittizie ” del lavoro, della terra e del denaro, tre fattori che
non sono prodotti per la vendita.
La finzione della merce, fornisce un principio di organizzazione vitale per un tipo di economia in
cui nessun ostacolo deve essere posto al mercato autoregolato, al meccanismo dei prezzi e al
libero gioco della domanda e dell’offerta.
E tuttavia, sostiene Polany, permettere al meccanismo di mercato di essere l’unico elemento
direttivo del destino degli esseri umani e del loro ambiente naturale, e sia pure anche solo, della
quantità e dell’impiego del potere d’acquisto, porterebbe alla demolizione della società. “La
presunta merce forza lavoro non può infatti essere fatta circolare, usata indiscriminatamente e
neanche lasciata priva di impiego, senza influire sull’individuo umano che risulta essere il
portatore di questa merce particolare. La natura verrebbe ridotta ai suoi elementi, l’ambiente e il
paesaggio deturpati, i fiumi inquinati;. . . . e infine, gli eccessi di moneta si dimostrerebbero
altrettanto disastrosi per il commercio quanto le alluvioni e le siccità per le società primitive“.
Questa tensione fondamentale tra espansione del mercato e autodifesa della società spiega
perché man mano che si sviluppava la produzione industriale, e cresceva l’importanza del
mercato autoregolato (il quale doveva garantire la libera fornitura all’industria stessa del lavoro,
della terra e della moneta trasformate in merci) si sviluppassero anche varie istituzioni protettive
di tali elementi. Polany analizza in modo approfondito il conflitto tra le due esigenze contrastanti
della libera circolazione delle merci fittizie nel mercato autoregolato e dei meccanismi di
autodifesa della società (leggi sui poveri e pauperismo), al rapporto tra mercato e natura e alle
tensioni distruttive che pongono in crisi l’ultima a cadere delle istituzioni liberali vale a dire il
sistema monetario internazionale a base aurea. Parallelamente esamina sia il funzionamento
delle istituzioni e il comportamento degli attori sociali e politici, sia il credo liberale e la teoria
economica che legittimavano il nuovo ordine economico, anticipando i punti fondamentali della
critica dell’Economia politica che svilupperà nelle opere successive.
A titolo di esemplificazione dell’argomentazione di Polany, ricordiamo l’analisi della
Speenhamland Law del 1795. Com’è noto, si trattava di una legge che decideva la quota di
sussidio spettante a tutti i disoccupati e a tutti coloro che non erano in grado di percepire
un salario pari al reddito familiare a loro assegnato, collegandola al prezzo del pane.
Questa sorta di salario minimo garantito, indicizzato, impedì fino all’anno della sua
abrogazione, nel 1834, la creazione di un mercato del lavoro libero perché scioglieva il legame
tra entità della prestazione (tempo di lavoro) e salario per la maggioranza dei lavoratori inglesi
dell’epoca, rimuovendo la principale motivazione al lavoro, che consisteva nel bisogno, e
determinando una assuefazione all’assistenza.
Il conflitto tra il meccanismo liberistico e il principio utilitaristico che lo sorregge, da un lato, e le
esigenze di solidarietà e di coesione sociale, dall’altro, sono analizzate con grande acutezza in
questo come negli altri casi esaminati ricostruendo un processo continuo di interventi, che
tuttavia non riuscirono a evitare il pieno dispiegarsi delle tensioni distruttive, che portarono al
crollo della civiltà del XIX secolo.
Il conflitto tra liberismo economico e protezionismo sociale è non solo il tema centrale della
Grande trasformazione , ma anche quello più squisitamente sociologico, in quanto affronta con
originalità la questione sociologica classica dei fondamenti della solidarietà in una società
individualistica e utilitaristica. La tradizione sociologica aveva già ampiamente sviluppato tale
tema, e l’espansione dell’intervento statale in economia a seguito della grande depressione degli
anni ’30 aveva riproposto con forza il problema. Polany tratta questa questione chiave della
riflessione sociologica in modo originale , incentrandola sul rapporto economia – società e
interpretando in questa chiave non solo la crisi del capitalismo liberale ma anche le reazioni
politico – sociali del periodo tra le due guerre mondiali, dal New Deal americano alla
pianificazione sovietica, ai tentativi di regolazione economica dei regimi autoritari di
connotazione fascista.
Si tratta di una questione assolutamente centrale che si ripropone oggi nella forma della crisi del
Welfare state e dei tentativi di ridefinire il ruolo, al fine di realizzare un compromesso
soddisfacente tra efficienza economica fondata sulla competitività e equità sociale garantita da
istituzioni di protezione sociale.
Ho in parte incluso l’analisi di Polany in questo capitolo: Le politiche dell’assistenza, in Paolo
Ferrario, POLITICA DEI SERVIZI SOCIALI, Carocci Faber, 2001, pagg. 37-54