Documenti degli archivi turchi ( di V. N. Dadrian) Gli elementi che rendono difficoltoso uno studio minuzioso del genocidio armeno del 1915/16 sono numerosi. Tanto più facile infatti ne fu l’attuazione, agevolata dalla congiuntura del conflitto mondiale, quanto più difficoltoso è lo studio dei fatti nella loro singolarità; i motivi sono molteplici. E’ da segnalare innanzitutto: la ostinata negazione del crimine; la scomparsa di una gran parte degli archivi del Comitato centrale del partito Ittihad (Giovane Turco); la distruzione della maggior parte degli archivi personali di Talaat, Enver e Djemal, i tre dirigenti principali dell’Ittihad, attuata prima della loro imprevista fuga verso la Germania alla fine della guerra; la decisione di bruciare tutti i testi dei dispacci telegrafici relativi alla deportazione ed ai massacri; infine la distruzione, sempre mediante il fuoco, di tutta la documentazione che avrebbe potuto far luce sulle attività dell’Organizzazione speciale, ad opera di uno dei suoi capi, E. Kuskubasi. Una complicazione ulteriore sta nel fatto che Talaat e Enver avevano installato a casa propria un sistema telegrafico speciale per poter impartire istruzioni segrete che spesso annullavano gli ordini ufficiali inviati attraverso i canali governativi. Nonostante tutto questo, è stato possibile ricostruire e verificare la realtà del genocidio armeno utilizzando svariate tipologie di documenti turchi che sono scampati alla distruzione e che possono essere raggruppati nel modo seguente: Archivi del tribunale militare turco. Al fine di mettere sotto accusa gli autori del genocidio, il tribunale ha riunito una grande quantità di materiali. Commissione d’inchiesta della 50^ Commissione della camera dei Deputati. Questa Commissione ha interrogato, direttamente o per iscritto, i ministri dei due governi dell’epoca di guerra, oltre a due dignitari religiosi, che non erano ancora fuggiti dal Paese. L’ex gran visir Saïd Halim, riconobbe che l’Organizzazione speciale era stata creata senza il consenso del Governo e che i suoi compiti erano sottratti ad ogni tipo di controllo ufficiale. Egli riconobbe inoltre che l’ordine di deportazione aveva come obiettivo quello di “uccidere” i deportati. L’anziano Ministro della Giustizia Ibrahim, rivelò da parte sua che “un numero non indifferente” di prigionieri comuni era stato liberato per essere reclutato dall’Organizzazione speciale. Dibattito parlamentare. Deposizioni analoghe alle precedenti sono state raccolte nel corso dei dibattiti parlamentari che ebbero luogo nell’ottobre/dicembre 1918. l’11 dicembre dello stesso anno, un deputato di Trebisonda, M. Hafiz, avvocato, descrisse di aver personalmente visto degli Armeni costretti a salire su una chiatta che era poi stata condotta in alto mare, dove tutti erano stati affogati. Egli aggiunse che questa politica era stata messa in atto in tutta la regione di Trebisonda, lungo il mar Nero, ad opera del Governo centrale. Nel suo discorso di investitura, il 19 ottobre 1918, il presidente del Senato A. Riza, insorse contro la “barbarie” con la quale gli Armeni erano stati assassinati. Il 21 novembre dello stesso anno, il senatore R. Akif, un rispettabile uomo politico turco, riconobbe durante un discorso al Senato, di avere preso visione di un documento segreto dell’Ittihad, nell’ufficio del Presidente del Consiglio di Stato: si trattava di una circolare che ordinava ai funzionari regionali del partito di dare il via ai massacri ricorrendo ai criminali comuni. E’ inoltre possibile ritrovare una grande quantità di ricordi personali, tra i quali quelli dell’anziano generale Ali Fouad Erden, capo di Stato Maggiore del Comandante della quarta armata; Djemal Pacha. Il generale rifiuta categoricamente la versione ufficiale secondo la quale le deportazioni avevano come scopo quello di collocare le popolazioni in un’altra regione poiché “nulla era stato previsto né organizzato per dare ospitalità alle centinaia di migliaia di deportati”. Un altro autore, lo storico A. Refik, che prestava servizio nella seconda sezione dei servizi segreti dello stato maggiore ottomano, ricorda nella sua autobiografia: “L’Ittihad si era prefisso l’obiettivo di distruggere gli Armeni” e che “i crimini più abominevoli furono quelli perpetrati dai criminali comuni reclutati dall’Organizzazione speciale”. Se si intende ricostruire il puzzle a partire da tutti questi elementi, è possibile pertanto cogliere le grandi tappe del genocidio armeno. La prima di queste tappe fu quella di indebolire la comunità arruolando forzatamente tutti gli uomini validi nel contesto della mobilitazione generale decisa dalla Turchia, la quale, benché ufficialmente ancora neutrale, stipulava in segreto, il 2 agosto 1914, un’alleanza militare e politica con la Germania imperiale. La seconda tappa coincide con l’inizio del genocidio, quando, nella primavera del 1915, intellettuali, insegnanti, sacerdoti, avvocati, mercanti e diversi altri notabili Armeni, vengono arrestati, con un’azione sincronizzata, di notte, in tutto il territorio dell’Impero e deportati per essere poi in gran parte trucidati. Questi provvedimenti draconiani decapitarono la comunità armena e la gettarono nel terrore. Il comandante della polizia di Istanbul, Bedri, si vantò di fronte all’ambasciatore americano Henry Morgenthau del fatto che i dettagli macabri sulle torture alle quali erano sottoposti i notabili della comunità “fossero il tema principale di discussione notturna nella sede” dell’Ittihad e del fatto che i carnefici “riferissero costantemente in merito alle sofferenze che avevano loro inflitto”. Inoltre, alcuni uomini furono impiccati in pubblico, nelle città più importanti dell’Impero. La tappa successiva, di gran lunga la più cruenta, fu la deportazione massiccia della popolazione armena, ormai costituita essenzialmente di donne, bambini e vecchi. Ufficialmente venivano deportati per “ricollocarli” in campi che il governo dichiarava di aver appositamente approntati nel deserto della Mesopotamia. In realtà la maggior parte dei convogli, in particolare quelli della Turchia orientale, furono attaccati e massacrati senza pietà da bande di criminali appositamente arruolati , al comando di ufficiali dell’armata regolare, selezionati con cura. Nelle province di Bitlis, Kharpout, Erzeraum ed in alcune regioni del Van, la maggior parte delle vittime fu uccisa sul posto o prima ancora di lasciare la regione. Nella pianura di Mouch, che comprendeva circa 90 villaggi e insediamenti Armeni, circa 80.000 persone furono bruciate vive nelle stalle e nei fienili. Nella provincia di Trebisonda, lungo tutto il litorale del mar Nero, quasi 50.000 Armeni furono eliminati per annegamento, allo stesso modo di innumerevoli vittime che subirono la stessa sorte nell’Eufrate e nei suoi affluenti. Quelli che, nonostante tutto, sopravvissero e superarono gli innumerevoli ostacoli mortali che incontrarono durante il percorso della deportazione, giunsero in Mesopotamia in condizioni penose, soprattutto quelli che provenivano dall’ovest o dal sud-ovest dell’Anatolia; e fu proprio in quel luogo che nell’estate del 1916 subirono una nuova serie di massacri, dietro ordine del governo che sollecitava di sterminarli il più rapidamente possibile. Il numero degli Armeni assassinati in questa seconda ondata ammonta a circa 150.000. in base alle statistiche ufficiali turche, nel corso della deportazione, furono uccisi 800.000 Armeni; a questo numero occorre aggiungere quello degli ufficiali e dei soldati Armeni eliminati dai propri commilitoni, le innumerevoli orfane, le fanciulle e le donne costrette alla prostituzione o che furono aggregate ad Harem dopo una conversione obbligata all’Islam. Altre donne inoltre, giovani e meno giovani, furono violentate prima di essere uccise; quelle che opponevano resistenza venivano prima mutilate e poi assassinate. Tutte le testimonianze concordano nel dimostrare che il genocidio armeno fu un’azione intenzionale, risultato di una pianificazione gestita a livello centrale. Essa fu concepita, organizzata, attuata soprattutto, quando non esclusivamente, dal Comitato centrale del partito Ittihad, che tramava nell’ombra, alla stregua di un organismo esecutivo segreto, ma talmente potente da gestire gli ingranaggi dello Stato. A questa conclusione pervenne anche il comandante della 3^ armata ottomana, il generale Vehib: la maggior parte dei massacri si era verificata nella sua zona prima che ne assumesse il comando ed egli indagò personalmente su queste atrocità in occasione della corte marziale che lui stesso istituì durante l’estate del 1916. Ecco ciò che dichiarò: “Il massacro e l’eliminazione degli Armeni, oltre al saccheggio dei loro beni, furono la conseguenza delle decisioni assunte dal comitato centrale giovane- turco…..Le atrocità furono commesse all’interno di un programma prestabilito; non vi è alcun dubbio che furono premeditate…..In tutta la storia dell’Islam, non è riscontrabile un analogo caso di atrocità e di barbarie……La giustizia divina non ha sempre agito all’istante, ma sicuramente non si tirerà indietro dall’intervenire”.