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Le cause profonde della Seconda guerra mondiale
Al di là dei folli disegni egemonici di Hitler, quali furono le cause profonde del secondo conflitto
mondiale e i suoi nessi con la Grande guerra e la crisi economica?
Il rifiuto tedesco dell’ordine di Versailles
I nessi causali tra la prima e la seconda guerra mondiale sono profondi e affondano le loro radici nel
modello di relazioni internazionali che le potenze vincitrici imposero all’Europa e soprattutto alla
Germania sconfitta. Questo modello era fondato, come scrisse John Maynard Keynes, sulla
«politica del più forte»: la Francia e la Gran Bretagna vollero schiacciare la Germania vinta,
minaccioso colosso economico e pericoloso concorrente nel conflitto per l’egemonia in Europa;
così il trattato di Versailles privò la Germania di un esercito permanente e di un impero coloniale, la
ridimensionò territorialmente e la strangolò economicamente.
Ciò alimentò nell’opinione pubblica i violenti sentimenti revanscisti e nazionalisti su cui
prosperarono Hitler e il movimento nazista. Tutta la politica estera del Führer – l’uscita dalla
Società delle nazioni nel 1933, la riunificazione della Saar nel 1935, l’occupazione della Renania
nel 1936, la politica di rarmo e la ricostruzione dell’esercito, fino all’invasione della Polonia e alla
presa di Danzica – fu infatti esplicitamente orientata a violare i trattati di pace per affermare il
rifiuto tedesco dell’ordine internazionale imposto a Versailles.
Sarebbe però un errore attribuire la responsabilità della seconda guerra mondiale esclusivamente al
nazionalismo tedesco e al folle disegno politico di Hitler.
La guerra come prolungamento della lotta economica fra le nazioni
L’aggressiva strategia hitleriana di imporre all’Europa l’egemonia tedesca va infatti inserita nel
contesto di una serie complessa di fattori che già minavano la stabilità dell’ordine europeo. Fra
questi fattori di disgregazione un ruolo decisivo ebbe la crisi economica mondiale degli anni trenta.
La disintegrazione del sistema monetario internazionale e l’affermazione di un rigido protezionismo
volto a blindare i mercati interni dalla concorrenza internazionale, trasferirono sul piano politico le
tensioni economiche; in assenza di un mercato mondiale aperto alla concorrenza, la vitalità delle
singole economie nazionali si legò all’allargamento del mercato interno attraverso l’estensione delle
sue dimensioni territoriali.
I miti coloniali di Mussolini, l’imperialismo del Giappone, il sogno hitleriano della “grande
Germania” affondavano le loro radici in questo disperata ricerca di estensione dello spazio
nazionale, troppo ristretto per sorreggere lo sviluppo economico. La guerra si configurò quindi
come prolungamento della lotta economica tra le nazioni.
Il complesso scontro tra modelli poitico-ideologici
Le mitologie guerresche, razziste e totalitarie dei fascismi fornirono l’armamentario ideologico di
una guerra che assunse anche i caratteri di uno scontro decisivo e irriducibile tra modelli sociali e
politici alternativi: comunismo, fascismo, liberal-democrazia; gli sconfitti sarebbero
irrimediabilmente usciti dalla scena della storia.
E così accadde: il nazionalismo totalitario nazifascista uscì dal novero dei sistemi di organizzazione
della società effettivamente praticabili: rimasero il comunismo autoritario di marca staliniana e la
liberal-democrazia occidentale, usciti vincitori dalla prova bellica, che si scontrarono per quasi
mezzo secolo per imporre la propria egemonia a livello planetario.
La lotta al comunismo era una variabile del mosaico di processi che plasmarono i complessi scenari
della guerra, maturata già negli anni trenta. Essa non costituì soltanto uno dei capisaldi della
ideologia nazifascista di Germania, Italia e Giappone, che puntava esplicitamente a distruggere la
repubblica dei soviet, come stabiliva il patto anticomintern stretto nel 1937 tra Tokio, Berlino e
Roma. Costituì anche un elemento strategico dell’iniziativa internazionale delle grandi democrazie
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europee, che appoggiarono più o meno tacitamente l’anticomunismo dei fascismi europei allo scopo
di disinnescare la minaccia della rivoluzione comunista in Europa.
Lo scontro fra capitalismo e comunismo fu quindi un altro dei fattori che indebolirono le relazioni
internazionali negli anni trenta, rendendo assai problematico e tortuoso il compito di contenimento
delle spinte espansioniste del blocco nazifascista.
Del resto tale conflitto, una volta finita la guerra e, con essa, l’alleanza fra Stalin e le potenze
democratiche occidentali, si impose esplicitamente come l’elemento-cardine delle strategie politicomilitari dei due blocchi ideologico-politici formatisi nel dopoguerra. Così, mentre finiva la guerra
tra comunismo e democrazie da un lato e nazifascismo dall’altro, prendeva corpo l’altro, irriducibile
contrasto, su cui si imperniò l’equilibrio internazionale nei decenni successivi, mentre il
nazionalismo totalitario in Europa rimaneva confinato nella penisola iberica come residuato di una
stagione storica ormai conclusa.
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