lo sciamanesimo: il punto di vista

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LO SCIAMANESIMO: IL PUNTO DI VISTA PSICOANTROPOLOGICO
PREMESSA: prima di entrare nel vivo della dissertazione sulle caratteristiche psicologiche o
psicopatologiche dello sciamano è necessario comprendere il motivo della presenza degli
sciamani.
Agli albori della vita dell’uomo sulla terra, la natura doveva apparire come qualcosa di
minaccioso, spaventoso e incontrollabile. Questo portò gli uomini a sentirsi in uno stato di
inferiorità nei suoi confronti. Il credere agli spiriti aveva allora il valore di tentare di dare un
significato e di comprendere il mondo circostante. Le pratiche sciamaniche, dunque, permisero ai
nostri antenati di mantenere il loro equilibrio spirituale nella difficile lotta con la Natura.
Ora veniamo all’assunto principale: lo sciamano è sano di mente? In
questo capitolo, ci
soffermeremo a considerare tale domanda in una duplice prospettiva: la prima da un punto di
vista occidentale (la cui valutazione degli aspetti di salute mentale attinge ad un linguaggio
medico-psichiatrico), la seconda dal punto di vista della cultura della tribù dove gli sciamani
sono inseriti, quindi, più in generale del loro valore nel loro sistema culturale .
1) L’inizio delle osservazioni sulle manifestazioni degli sciamani risale al diciannovesimo
secolo. In questo periodo le loro caratteristiche diagnostiche salienti- come esclamazioni e
movimenti incoerenti, bava alla bocca, sguardo vacuo e totale perdita di conoscenza- meritavano
una spiegazione ovvia e semplice: gli sciamani sono abili e smaliziati ciarlatani, che simulano la
possessione da parte di "demoni" per approfittare della credulità della tribù.
L’opinione si modifica agli inizi del 1900. I "servitori degli spiriti" divennero persone dalla
mente instabile: neuropatici.
Mentre quest'idea era ancora inespressa in V. M. Mikhailovskii (1892), nel 1905 N. N. Kharuzin
proponeva «di riconoscere che i veri sciamani [...] sono soprattutto persone neuropatiche, nelle
quali le deviazioni nervose si sono sviluppate in una particolare direzione». V. B. Bogoraz
sosteneva che, tra gli sciamani a lui noti, «molti erano praticamente isterici e alcuni erano
letteralmente mezzi matti»; per dichiarare poi nel 1910 che «lo sciamanesimo è una forma di
religione creata da una selezione delle persone mentalmente più instabili». G. V. Ksenofontov
pubblicò nel 1929 The Cult of Madness in Ural-Altaic Shamanism. D. K. Zelenin scrisse nel
1928 che un individuo sano non avrebbe neanche potuto diventare uno sciamano; solo un
neuropatico, che «gli spiriti continuamente invadono», poteva infatti curare chi soffriva di
"possessione spiritica" senza rischi per la propria incolumità. Afferma Zelenin: «Lo sciamano
[...] è un neuropatico, costretto dal clan ad assumere una peculiare funzione medica: assorbire
personalmente i demoni della malattia dai sofferenti della comunità».Teorie simili prevalevano
anche tra gli studiosi dell'Europa occidentale.
Troviamo comunque in S. A. Tokarev la concezione più chiara e concisa dello sciamano come
neuropatico: «Tutti gli osservatori unanimamente riportano che il "servitore degli spiriti è
soprattutto un individuo nervoso, isterico, soggetto ad attacchi, occasionalmente un epilettico [...]
La stessa seduta sciamanica ha molte similitudini con un attacco di isteria».
Il carattere ereditario dello sciamanesimo portò, in parecchie popolazioni, alla credenza che le
speciali qualità mentali tipiche dello sciamano si trasmettessero dai genitori ai figli. A. V
Anokhin scrisse nel 1924 che tali individui «ricevono la predisposizione alla vocazione
sciamanica solamente dai loro antenati, attraverso un disturbo nervoso, l'epilessia.
L. Shternberg dà questa interpretazione: «Per diventare sciamano, è essenziale avere una
particolare organizzazione neurale morbosa, una tendenza a stati di estasi, suscettibilità a diversi
tipi di allucinazioni e così via; in una parola, bisogna soffrire di isteria e l'isteria, come sappiamo,
è facilmente trasmissibile per via ereditaria».
Secondo questi studiosi, dunque, gli sciamani erano persone dalla mente aberrata, e tale ipotesi,
mai del tutto provata, si affermò trionfalmente passando da un'opera all'altra. Come avviene
spesso nell'ambito scientifico, infatti, un'opinione consolidata non viene più messa in
discussione; così anche il rinomato neuropatologo S. N. Davidenkov, nel 1947, parlava dello
sciamanesimo come di un «culto dell'isteria», «una nevrosi organizzata, che assume una forma
stabile e definitiva».
Parallelismi tra la malattia sciamanica e l’isteria. Un gran numero di autori ha affermato che la
seduta sciamanica ricorda un attacco isterico. S. N. Davidenkov scrive: «Il fatto che certe
caratteristiche della seduta sciamanica siano perfettamente coincidenti con l'isteria è evidente per
qualunque neuropatologo». Egli si riferisce a quei momenti in cui lo sciamano si contorce come
un epilettico o perde conoscenza. Gli attacchi, tuttavia, non disturberebbero il procedere dei
complicati rituali della seduta? Si rispose anche a questa obiezione: lo sciamano sarebbe in
possesso di «un enorme potere di autocontrollo negli intervalli tra i vari attacchi che lo
colpiscono durante le cerimonie» (Czaplicka, 1914)
È necessario che vi sia questo aspetto di possibilità- che sia essa reale o simulata- di "attacchi" o
"svenimenti" durante la cerimonia; essi ne sono una parte indispensabile, logicamente connessa
con i suoi scopi e con la sua sostanza.
Nel rituale, il linguaggio del movimento del corpo acquista un suo valore ed un suo significato
peculiare, ed è ciò che si deve fare; ad esempio se lo sciamano trema dalla testa ai piedi oppure
ha uno scatto d'ira o salta in piedi e grida, significa che gli spiriti sono entrati in lui o che sta
lottando con demoni ostili; se giace incosciente, significa che la sua anima ha lasciato il corpo e
vaga in altri mondi. Perciò, durante la seduta, così come durante tutta la sua esistenza,
caratterizzata da una sintomatologia definibile col nome di “malattia sciamanica”, egli si
comporta come richiesto dalle credenze della sua gente.
Gli svenimenti e gli attacchi rituali dello sciamano hanno una origine comune con la malattia
sciamanica. Si tratta di uno schema comportamentale che fa riferimento al proprio ruolo di
mediatore con gli spiriti; una volta intrapreso un cliché lo vivrà fino in fondo, senza più deviarne.
(Balzer 1998)
La visione dello sciamano come individuo mentalmente disturbato regnò nell'ambito scientifico
per quasi mezzo secolo, e anche se studiosi come S. M. Shirokogorov (1919), I. N. Kosokov
(1930) e I. M. Suslov (1931) non la accettarono, le loro lezioni furono per lo più ignorate. In
Occidente, uno dei primi a rifiutare questa tesi fu N. Chadwick nel 1936, ma le sue critiche non
portarono comunque alla crisi di tale teoria.
Solo negli ultimi trenta o quarant'anni si è verificata una vera e propria svolta interpretativa:
l'assunto secondo il quale la mente dello sciamano sarebbe caratterizzata da deviazioni rispetto
alla norma non viene infatti più considerato soddisfacente da molti studiosi. Ciononostante, l'idea
dello sciamano come individuo disturbato dal punto di vista psicologico non è stata del tutto
abbandonata.
2) Vediamo ora gli stessi sintomi, o meglio le stesse caratteristiche, dello sciamano in modo più
allargato, cioè cerchiamo di dare un significato più analitico alle sue azioni, anche con gli occhi
del clan o della tribù dove lo sciamano vive.
La visione sciamanica come primissima forma di contatto con il sacro e al tempo stesso di cura e
guarigione, a proposito della definizione e della sua concezione di salute, si allontana dalla nostra
classica visione occidentale. La salute è un fatto globale, è una condizione di benessere, uno stare
bene nel corpo e nello spirito, è un giusto equilibrio tra le forze della natura e le forze dello
spirito. Lo spirito deve quindi armonizzarsi con il corpo, con il mondo circostante, con la natura,
con gli altri e con gli spiriti del mondo. Una visione che ricorda la concezione olistica della
natura psicosomatica dell’uomo e quella della cultura neoplatonica rinascimentale con la sua
visione dell’anima mundi, dell’anima del mondo.
Il grande storico delle religioni Mircea Eliade sottolineò che il ruolo e la funzione dello sciamano
sono innanzitutto quelli di essere coinvolto nelle «tecniche dell’estasi». Lo sciamano va in estasi
o trance ed attua una comunione e un contatto diretto con gli spiriti coinvolti nella malattia o nel
danno dell’individuo oppure della stessa comunità. Egli ha la capacità in questo sistema sociale,
religioso e simbolicamente riconosciuto, di comunicare con la morte, con i demoni, con gli spiriti
della natura senza esserne catturato o sopraffatto. Significativo è che lo spirito dello sciamano
possa lasciare il proprio corpo e vagare intenzionalmente nei «mondi altri» dove egli cerca
l’anima perduta del malato, restituendola. Ma lo sciamano è soprattutto in grado di curare la più
terribile forma di malattia primitiva: la perdita dell’anima.
La guarigione sciamanica nella sua forma fondamentale è quel processo in cui può avvenire la
restituzione dell’integrità psichica e fisica, sia restituendo l’anima- eliminando cioè il male o uno
spirito maligno o comunque estraneo dal corpo del malato- sia rimuovendo oggetti all’interno del
corpo o bloccando ed inibendo malefici, oppure ancora risolvendo una colpa per aver infranto un
qualche tipo di tabù. Tutte queste procedure sono orientate al bilanciamento e al ripristino
dell’armonia dell’anima del soggetto e del suo rapporto funzionale con il mondo.
La cura sciamanica, vista da Lévi-Strauss quale esatto equivalente di quella psicanalitica, mira a
riportare alla coscienza conflitti e resistenze rimasti fino ad allora inconsci, facendoli rivivere nel
paziente, mediante una precisa manipolazione psicologica (L. Strauss 1958). I gesti e le formule
pronunciate dallo sciamano- che Mauss chiama rispettivamente riti manuali e riti orali-(M.
Mauss 1950) garantiscono l’efficacia simbolica dell’azione terapeutica. Quest’efficacia è
storicamente e culturalmente condizionata, in quanto si basa sulla condivisione da parte del
guaritore, del paziente e del pubblico di una medesima tradizione collettiva e di una comune
rappresentazione del mondo.
La terapia sciamanica si differenzia da quelle analoghe operate da maghi, stregoni e medicinemen, per il fatto che lo sciamano opera in uno stato di trance. Egli può guarire il malato solo
compiendo un viaggio estatico poiché le cause degli eventi non sono da individuare sulla terra
ma nel mondo degli spiriti. Lo sciamano si distingue perciò dagli altri specialisti del sacro per le
sue eccezionali doti estatiche.
L’estasi e la trance sciamanica, che implicano la capacità da parte dello sciamano di distaccare
l’anima dal corpo, sono intrinsecamente connesse al motivo dello sdoppiamento. L’anima o le
anime dello sciamano, così come gli spiriti adiutori, rappresentano dei doppi, delle proiezioni
esterne di sé che costituiscono una sorta di alter-ego dello sciamano stesso.
La trance si configura come uno stato dissociativo che rispecchia la disgregazione del mondo, il
caos ove lo sciamano è chiamato ad intevenire al fine di ristabilire l’ordine cosmico e garantire
così la sopravvivenza della comunità. L’azione simbolica sciamanica si gioca tutta allora in
quell’intervallo entro il quale il rischio della definitiva distruzione e quella della nuova creazione
appaiono di poco separabili (U. Galimberti 1994).
Apriamo ora una parentesi sugli aspetti psicologici del rituale sciamanico, cioè quel percorso
interiore che lo sciamano stesso compie per arrivare allo stato di estasi, che è in sé sia lo stato più
concentrato che quello più dissociato che quello più terapeutico. Dato che proprio lo stato di
estasi è il punto nevralgico sia della specificità che delle possibilità maieutiche dello sciamano.
•
Lo stato d'animo durante la preparazione alla seduta.
«Se lo sciamano desidera praticare e sta aspettando la giusta opportunità, tutto è per lui più
facile; ma se ciò gli viene richiesto ed è forzato a praticare, gli è più difficile, dal momento che si
deve porre in una condizione in cui desideri praticare».
L'esperienza accumulata da molte generazioni di sciamani ha portato a procedimenti che
velocizzano il raggiungimento dell'estasi. Secondo le testimonianze fornite dalla letteratura, i
"servitori degli spiriti" di certe popolazioni facevano uso di sostanze stupefacenti e allucinogene
per facilitare l’ingrasso nello stato dissociativo.
•
L’autoipnosi.
L'idea che l'estasi sia un tipo di autoipnosi fu avanzata già agli inizi del secolo (N. N. Kharuzin
nel 1898, L. Shternberg nel 1912, S. M. Shirokogorov nel 1919).
L’autipnosi è “uno stato di coscienza modificato, ottenuto attraverso un lungo, serio, costante,
impegnativo e motivato allenamento a rivolgere la mente dall’esterno all’interno…” (A.
Brugnoli 2000).
Tutto ciò che sappiamo riguardo all'estasi sciamanica è coerente con quest'ultima definizione:
una volta che l'estasi è stata raggiunta, attraverso l’autoipnosi, lo sciamano è in grado di
impiegare quelle capacità dell'organismo umano che non vengono esibite in stati normali.
Un esempio lampante è la dimostrazione di incredibile forza fisica durante lo stato di estasi: «In
quei casi lo sciamano è in grado di mostrare un'energia totalmente incoerente con il proprio
profilo fisico; deboli sciamane hanno tanta forza quanta svariati uomini adulti e non possono
essere trattenute; se necessario, donne o uomini anziani divengono agili e giovanili», come
riportato da Shirokogorov.
Lo stato di estasi rende possibili alterazioni nel funzionamento degli organi di senso che sono
strabilianti per chi le osservi: l'organismo può non reagire a stimoli molto forti e non sperimentare sensazioni presenti invece nello stato normale. Se lo sciamano infatti è convinto di essere
posseduto da uno spirito che non sente dolore, è in grado di sopportare coltellate, tagli e colpi di
ogni genere senza soffrire.
D'altro canto, sembra anche che durante l'estasi gli organi sensoriali aumentino
straordinariamente le loro capacità. Conviene essere molto cauti sull'argomento, dal momento
che l'osservatore può essere tratto in inganno e le sue impressioni non possono essere verificate;
ma non possiamo semplicemente ignorare i molti resoconti che suggeriscono come le percezioni
dei sensi dello sciamano in stato d'estasi si acuiscano straordinariamente.
•
L’"estasi".
È la condizione mentale che lo sciamano raggiunge attraverso la concentrazione e la meditazione
e che temporaneamente lo pone in una condizione dissociativa rispetto la realtà, ma che gli dà la
possibilità di entrare in contatto col mondo delle sue visioni; la quantità di tempo richiesta per
raggiungere questo stato dipende dalle sue personali capacità.
L'estasi è uno dei tratti peculiari dell'attività sciamanica e lo distingue dalle altre categorie di
sacerdoti, come già è stato sottolineato in numerose occasioni. Perciò S. A.Tokarev osservava
che «l'utilizzo di metodi di relazione estatica con il mondo soprannaturale è la più tipica
caratteristica dello sciamanesimo». Per lo stesso motivo, M. Eliade dette al suo libro Shamanism
il sottotitolo Archaic Techniques of Ecstasy.
Secondo Shirokogorov, quando lo sciamano cade in estasi «la sua mente, la sua lingua e il suo
corpo sono rapiti dagli spiriti e lui si abbandona totalmente all'immagine dello spirito; i suoi
desideri e le sue sofferenze si impadroniscono di lui». La forza delle visioni e il senso di realtà
delle allucinazioni possono essere così grandi che lo sciamano correrebbe addirittura il rischio di
morire durante la seduta, se il pericoloso viaggio verso il mondo ultraterreno gli facesse
incontrare un potente nemico che, secondo la credenza popolare, ne potrebbe catturare l'anima e
ucciderlo; ma più spesso, a quanto sembra, gli sciamani non si estraniano del tutto e sono consci
del fatto che le persone sedute con loro nella tenda stanno seguendo da vicino ogni loro
movimento.
A lato dell’importanza della condizione nello sciamanesimo, rimane sempre il discorso sulla
possibilità del suo controllo; N. Chadwick, riguardo a questo aspetto scrive: «Questa condizione
strana, esaltata e squisitamente mentale, non solo viene raggiunta consciamente, ma può anche
essere controllata del tutto, consciamente e con successo, in conformità alle prescrizioni della
tradizione». Ciò implica che l'estasi sia sostanzialmente una situazione programmata in anticipo
(più o meno consciamente), che il “servitore degli spiriti” raggiunge attraverso l'autosuggestione.
La comunità che assiste lo sciamano, conferendogli consensus collettivo, svolge la principale
funzione di contenere la potenza del sovrannaturale, limitando il rischio del suo pericoloso
viaggio nelle lontane regioni dell’incodificabile alla ricerca del codificabile.
Il male assume i caratteri di un evento sociale, dove la malattia non viene individualizzata ed
autonomizzata, come accade nella nostra civiltà occidentale, ma si ripercuote sull’intera
comunità, mettendone in grave pericolo la vita. Il delirio e le sofferenze del malato non vengono
vissuti nella più completa solitudine e nel doloroso isolamento di quest’ultimo dalla società, ma
trovano sfogo ed espressione proprio entro la comunità stessa, ove vengono inseriti e
contestualizzati. Lo sciamano ed il gruppo, mediante la profonda condivisione di
rappresentazioni mitiche e linguaggi simbolici, ricontestualizzano il delirio del malato,
ricodificandolo e riportandolo entro nuovi orizzonti di senso.
Lo sciamano può essere inteso come un “malato” che è riuscito a guarirsi, che ha imparato cioè a
controllare i propri stati di dissociazione, senza però eliminarli. Le crisi iniziatiche del futuro
sciamano si manifestano nelle più svariate forme: fuga, visioni, allucinazioni, amnesie, catalessi,
insensibilità, sonnambulismo, deliri, attacchi di panico. Fenomeni che furono, come abbiamo
visto precedentemente, interpretati dal punto di vista patologico come isteria artica (Shirokorov),
personalità multipla, schizofrenia, crisi nervose di tipo psicotico. Ora, in questa prospettiva, tali
eventi non sono vissuti dallo sciamano come disturbo psichico ma, al contrario, come risorsa ed
autentica esperienza del numinoso che afferra la psiche e trasforma il soggetto.
CONCLUSIONI: la furia dello sciamano durante la "malattia sciamanica" e gli attacchi durante
la seduta non vanno considerati come sintomi di qualche male ereditario. La "bizzarria" del suo
comportamento durante il rituale o nella vita di tutti i giorni dipende dalla natura del suo ruolo,
che vive con tutto se stesso, e che comunque non tutti gli sciamani sono in grado di svolgere fino
in fondo. Alcuni di essi infatti compiono solo parzialmente i loro compiti, altri si accollano
questo incarico, ma desiderano, con l'avanzare dell'età, di «liberarsi dagli spiriti» e affidare tale
onere a persone più giovani; altri ancora portano il loro fardello fino all'ultimo giorno di vita.
È importante riconoscere che i "servitori degli spiriti" vivono un'esistenza interiore intensissima.
«Il talento dello sciamano non è un dono, ma un fardello».
Non tutti, infatti, sono in grado di sopportare lo stress, perché ciò richiede una notevole forza
psichica. Ecco il motivo per cui alcuni sciamani muoiono durante la seduta, persuasi di essere
stati sconfitti dagli spiriti maligni. Lo sciamano può anche convincersi che questi ultimi, irati per
la sua disobbedienza o per qualche altra mancanza, richiedano la sua morte o una punizione
attraverso la malattia.
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